Intervista a
Giovanni Berneschi, presidente di Banca Carige
“ La crisi che stiamo
“ L’industria italiana
ha i numeri per
sopravvivere a questo
ciclo negativo, grazie
alla forte componente
di piccole e medie
imprese, reattive
e legate al territorio”
Giovanni Berneschi
L'intervista
vivendo è conseguenza
di una finanza spregiudicata
che ha compromesso
anche la fiducia, creando
squilibri dannosi
per il sistema bancario”
Banche
e imprese
contro
la crisi
RAOUL DE FORCADE
“ Imprese e banche
rappresentano
l’economia reale:
è fondamentale
che tra loro ci sia
un rapporto sereno,
libero da polemiche
e da conflitti”
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Se la crisi
globale non durerà troppo, l’industria
italiana riuscirà a riprendersi, anche in virtù del fatto che è
composta da piccole e medie aziende i cui proprietari, a differenza di quanto avviene per i manager delle grandi multinazionali, hanno uno stretto legame con le loro imprese e buone capacità di reazione. Ad affermarlo è Giovanni Berneschi, presidente di Banca Carige, il quale non nasconde, peraltro, quanto
sia grave il momento che l’economia sta vivendo. Una situazione che, secondo il banchiere, va combattuta lasciando da parte le polemiche e instaurando un rapporto sereno e trasparen7
te tra istituti di credito e aziende. Perché esiste il rischio
che la recessione possa durare non meno di due anni.
dustriali che le banche vivono di prestiti. Siamo nella stessa barca, perché un soggetto è l’erogatore del denaro e
l’altro lo riceve. Semplificando, si tratta di un rapporto
non molto differente da quello tra un negoziante e il suo
cliente. Se non ci fosse il secondo, il primo fallirebbe. Le
banche, dunque, per loro stesso interesse, sono obbligate ad andare incontro alle esigenze dei clienti. Perciò ritengo che le polemiche, su questo tema, siano fuori luogo. Le industrie e le banche non possono che andare
d’accordo, perché rappresentano l’economia reale.
Come è possibile che il mondo intero sia giunto a un
crack di questa portata?
Tutto è nato dalla finanza americana che ha cominciato
a macinare utili virtuali e ha portato danni a non finire. A
mio parere, fare utili vuol dire ottenere la differenza tra
costi e ricavi reali. Invece tutto ciò che è virtuale, prima o
poi, lo paghi e tutti ne scontano le conseguenze. Quando cadono i mercati, e mi riferisco, in particolare, a quelli di bond e corporate, si creano ovviamente minusvalenze. Però, se l’azienda di riferimento non fallisce, passata
la crisi, anche un bond arrivato ai minimi torna a essere
un valore. Ciò che stiamo vivendo, lo ripeto, sono le
conseguenze di una finanza spregiudicata che ha compromesso, in generale, la fiducia. E mancando quest’ultima, si creano squilibri dannosi per il sistema bancario. In
ogni caso, ovunque, negli Stati Uniti, in Germania, Francia, Italia, perfino in Cina, i Governi stanno varando
provvedimenti per salvare le imprese e gli istituti di credito in difficoltà. A mio parere, tra l’altro, le misure anticrisi messe in atto in America dal presidente Obama sono sostenute stampando nuovo denaro. E una volta coperto il debito ci sarà una grande inflazione.
Eppure una stretta del credito c’è stata.
No. C’è solo una maggiore attenzione degli istituti di credito, i quali sanno benissimo che non si possono più finanziare operazioni speculative. Mi spiego con un esempio: se qualcuno oggi vuole comprare un terreno per costruirci sopra diversi edifici, magari non otterrà più il denaro, come invece accadeva una volta, per acquistare
tutto il lotto ma dovrà accontentarsi di procedere nell’operazione a tappe, acquisendo un pezzo di terreno, poi
un altro e così via. Certo, ci saranno anche casi di banche
che riducono i fidi o li revocano, però bisogna entrare nel
merito. Devo dire, d’altro canto, che gli imprenditori, parlo di industriali ma anche di artigiani o commercianti,
possono superare questi problemi informandosi bene sugli strumenti che hanno a disposizione. Attraverso l’opera delle associazioni di categoria e dei confidi, infatti,
normalmente anche le imprese che hanno qualche difficoltà riescono a raggiungere un accordo con le banche.
Insomma, accedere ai finanziamenti non è semplice come prima ma l’importante è capirsi, con la massima trasparenza. E le soluzioni si trovano.
In tutto questo, l’Italia come sta?
Il nostro, come è noto, è un Paese che ha tanti difetti. Ma
non si può dire che non sia risparmiatore. Gli italiani sono
oculati e di solito non fanno il passo più lungo della gamba. Queste caratteristiche, tra l’altro, si riscontrano con
una particolare incidenza nelle aree periferiche, maggiormente che nelle grandi città. Un simile discorso vale anche per le banche italiane: se si fossero buttate nella finanza estrema oggi non avrebbero più risorse. Ma non è
così, perché i nostri istituti, tranne qualche caso particolare, si sono sempre dimostrati morigerati. Carige, da parte
sua, come altre aziende, ha seguito la linea di cui ho parlato e non ha mai creduto alle sirene.
Secondo lei quanto durerà la crisi?
Bisognerebbe essere degli indovini per dirlo. Ma, certamente, più lunga sarà, peggiori saranno i suoi effetti.
Credo, comunque, che questo periodo durerà minimo
due anni. E può darsi che qualcuno, alla fine, non riesca
a restare sul mercato. Vedo un periodo lungo perché, dopo una crisi come questa, l’economia deve avere il tempo
di riassestarsi. La recessione, inoltre, porta un rallentamento degli investimenti; quindi, alla fine del ciclo, ci si
ritrova inevitabilmente con imprese obsolete e questo è il
vero pericolo. Con il riavvio dell’economia, dunque, gli
imprenditori dovranno, in prima battuta, dedicarsi a risistemare l’azienda. In ogni caso, è bene chiedersi cosa
succederà una volta finito il periodo della sofferenza. Io
credo, ne ho già fatto cenno, che sfoceremo in una grande inflazione. A quel punto, chi avrà avuto la forza di sopravvivere, vedrà salire alla svelta i suoi numeri. Il problema è, appunto, sopravvivere, ma l’industria italiana ha i
numeri per farlo. Favorita dal fatto di essere composta
soprattutto da piccole e medie imprese e non da multinazionali. Un imprenditore è ovviamente legato alla sua
azienda molto più di quanto lo sia un manager di una
grande realtà. E il legame tra proprietà e azienda infonde
alle imprese italiane anche una maggiore capacità di reazione rispetto alle multinazionali. È fondamentale, però,
che banche e imprese abbiano un rapporto sereno, che
consenta loro di essere unite e non in conflitto. I
Dunque, secondo lei era possibile prevedere una simile, repentina caduta del mercato?
Guardi, nel cinquecentenario della scoperta dell’America,
tra tante mostre organizzate ce n’era una che riguardava
la finanza e mostrava documenti notarili dei banchieri fiorentini e genovesi, quelli che hanno inventato gli istituti di
credito, prima dell’epoca di Colombo. Leggendo quelle
carte, si scopre che già allora esistevano tutti i prodotti,
come i futures o il leasing, che sono stati poi ribattezzati
con nomi inglesi. Esiste, ad esempio, il decreto di un doge
genovese che vietava di fare mutui a tasso variabile (anche
se il fine era diverso dall’attuale). Dunque, già prima del
1500 c’erano questi prodotti e si sapeva che erano pericolosi. Non sono un particolare cultore dei documenti antichi
ma per evitare problemi spesso basterebbe molto poco:
leggere quanto ci tramanda la storia ed essere oculati.
Oggi il rapporto tra banche e industria è diventato
più difficile?
Bisogna riflettere su una cosa molto semplice: sia gli in8
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Banche e imprese