Marzo - Anno 7 - n. 3 - 2004 La terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica Giorgio Splendiani Stefano Condò Obesità e apnea Antonio D’Alessandro Annalisa Aggio Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale Spedizione in abbonamento postale - 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano Giuseppe Raiola Vincenzo Arcuri Domenico Salerno Maria Concetta Galati Fortunato Serrao Maria Vittoria Guerra L’influenza dei polli Guglielmo Gargani PRIMO PIANO Infezioni delle vie urinarie non complicate Pietro Cazzola Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 49 La terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica Scripta MEDICA Direttore Responsabile Pietro Cazzola Direzione Marketing Armando Mazzù Registrazione Tribunale di Milano n.383 del 28/05/1998 Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa n.10.000 Redazione e Amministrazione Scripta Manent s.n.c. 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Edizioni Scripta Manent pubblica inoltre: ARCHIVIO ITALIANO DI UROLOGIA E ANDROLOGIA RIVISTA ITALIANA DI MEDICINA DELL’ADOLESCENZA INFORMED, CADUCEUM, IATROS, EUREKA La raccolta dei fascicoli del 2003 di Scripta Medica è disponibile in CD (file PDF) versando 30 Euro sul c/c postale n. 20350682 intestato a Edizioni Scripta Manent s.n.c. Diffusione gratuita. Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 51 La terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica Giorgio Splendiani, Stefano Condò glomeruli meno danneggiati conduce ad un loro rapido deterioramento (sindrome da iperfiltrazione) (1). Per insufficienza renale cronica si intende L’iperfiltrazione e l’ipertensione, scatenata una sindrome clinica caratterizzata da una dall’attivazione del sistema RAA, aggravano riduzione graduale e irreversibile della funl’eventuale proteinuzione renale sia in ria già esistente o ne senso emuntorio provocano la comche endocrino con Evoluzione verso l’insufficienza renale cronica parsa per alterazioni naturale tendenza a ca-rico della memprogressiva. Si pos- 1. Fase iniziale. Filtrato glomerulare >50% del normale con compenso biochimico-metabolico e brana basale glomesono distinguere tre assenza di sintomi clinici. rulare. L’aumentato fasi: iniziale, conclatraffico proteico atmata e terminale Prevenzione traverso la membra(Tabella 1). na basale glomerulaIl danno renale inire induce alterazioni ziale, qualunque sia 2. Fase conclamata. Filtrato glomerulare <50% del prevalentemente a normale; segni laboratoristici dello scompenso l’eziologia, provoca funzionale (incremento dei valori di creatininecarico delle cellule riduzione della masmia e azotemia); poliuria, nicturia, astenia. epiteliali. sa renale. Il tubulo tende a riasLa riduzione della Terapia conservativa sorbire le proteine massa renale induceche vengono filtrate nel tempo ipertrofia dal glomerulo; supeanatomica e funzio- 3. Fase terminale. Filtrato glomerulare <10% del normale; compromissione multisistemica conserata la capacità massinale dei nefroni suguente all’accumulo di cataboliti azotati. ma di riassorbimento perstiti. Questa iperdelle proteine, le stestrofia “compensatose vengono perse con ria”, si instaura atTabella 1. traverso un aumento Il passaggio dalla fase iniziale (asintomatica) alla fase le urine. L’aumentato del flusso e della conclamata (sintomatica) può essere arrestato da un transito, attraverso lo pressione nei capilla- trattamento di prevenzione secondaria. Il passaggio spazio tubulo-interdalla fase conclamata alla fase terminale può essere stiziale, delle proteine ri glomerulari; deter- rallentato con una terapia definita conservativa. riassorbite, causa un minante a tal fine è rilascio di citochine e l’attivazione del sistefattori di crescita (IL, TNF, PDGF, TGF, IFN) da ma renina-angiotensina-aldosterone (RAA). parte delle cellule tubulari con conseguente Con l’andare del tempo questi fenomeni comtrasformazione dei fibrociti dell’interstizio in pensatori finiscono tuttavia per rilevarsi svanfibroblasti e successiva sclerosi interstiziale taggiosi; l’aumento del carico funzionale sui (Figura 1) (2). È oramai universalmente accettato che la Cattedra di Nefrologia Università Tor Vergata, Roma. proteinuria è un fattore di rischio indipen- Introduzione Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 52 dente per il progressivo deterioramento della funzionalità renale (2). I principi di terapia si basano sull’uso di farmaci che agiscono prevalentemente sulla riduzione della proteinuria. Due sono livelli di intervento da poter mettere in atto: la prevenzione, che impedisce il passaggio tra fase iniziale e conclamata; la terapia conservativa, che entra in gioco quando la prevenzione ha fallito (Tabella 1). Prostaglandine Angiotensina II Fibronectina Collagene PP Prevenzione IL, TNF, PDGF, TGF, IFN La prevenzione si attua con l’uso di farmaci che riducono l’iperfiltrazione e la proteinuria. Possono essere divisi per categoria (Tabella 2). FA R M A C I Farmaci immunodepressivi I farmaci immunodepressivi di comune uso clinico sono indicati nella Tabella 3. Gli steroidi possono essere usati in boli (prevalente azione citolitica) o a dosaggi inferiori (prevalente azione anti-infiammatoria). In caso di steroido-resistenza o di intolleranza si ricorre agli agenti alchilanti (azione citolitica). I farmaci inibenti le calcioneurine sono efficaci nel controllo della proteinuria ma hanno nefrotossicità ed effetto solo transitorio (rapida recidiva dopo la sospensione). Farmaci vasoattivi (Tabella 4) Modificano il flusso e la pressione intraglomerulare, vasodilatando l’arteria efferente (ACEinibitori e sartani) o vasocostringendo l’arteriola afferente (FANS, COX2 -i) (Figura 2). Tra i farmaci vasoattivi indichiamo: ACE-inibitori (es. ramipril: 5-10 mg/die): hanno un’azione inibente sull’angiotensina II e sul catabolismo della bradichinina, con conseguente prevalenza dell’azione vasodi- Immunodepressivi Vasoattivi Antiproliferativi Antiaggreganti Ipolipemizzanti Antiossidanti latatrice sulla arteriola efferente. Gli ACEinibitori sono i più efficaci rispetto agli altri farmaci antipertensivi nel ridurre la proteinuria e la progressione delle nefropatie croniche diabetiche e non (3, 6). Sartani: bloccano i recettori AT1 dell’angiotensina, ma non gli AT2 che sembrano avere azione vasodilatatrice. Calcioantagonisti (verapamil: 120 mg/die; diidropiridinici long-acting: 10 mg/die): hanno un’azione sul controllo dell’ipertensione; alcuni calcioantagonisti (in particolare non-diidropiridinici) hanno un effetto Figura 1. Aumentato traffico proteico. In condizioni normali le proteine filtrate dal glomerulo sono interamente riassorbite dal tubulo. Se aumenta il flusso glomerulare (per azione vasodilatante delle prostaglandine) o aumenta la pressione glomerulare (per vasocostrizione dell’arteriola efferente da parte dell’angiotensina II) aumenta la proteinuria. Tabella 2. Farmaci per la prevenzione della progressione verso l’insufficienza renale cronica. Scripta MEDICA La terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica 53 Tabella 3. Farmaci immunodepressivi Tabella 4. Farmaci vasoattivi Metil prednisolone In bolli: 1 gr x 3 gg Prednisone Per os: 1 mg/kg/die Ciclofosfamide In boli: 0.5-1 gr/mese Per os: 2-3 mg/kg/die Micofenolato Mofetil Per os: 500 mg x2/die Azatioprina Per os: 1 mg x2/die Clorambucil Per os: 0.2-0.3 mg/kg/die Ciclosporina Per os: 3-6 mg/kg/die FK 506 Per os: 0.15 mg/kg/die ACE-inibitori Es. Ramipril 5-10 mg/die AT1 antagonisti Es. Losartan 50 mg/die CA++ antagonisti Es. Verapamil Es. Diidropiridinici long acting Anti-prostaglandine Es. Meclofenamato Es. Rofecoxib Figura 2. L’arteriola afferente presenta vasocostrizione dopo somministrazione di FANS e COX2-i . L’arteriola efferente si dilata dopo blocco dell’angiotensina e incremento della bradichinina (azione degli ACE-i). ACE-i, Sartanici antiproteinurico e reno-protettivo parzialmente indipendente dal controllo dei valori pressori (7). Anti-prostaglandinici (meclofenamato: 250 mg/die; rofecoxib: 12,5 mg/die): hanno un’azione prevalentemente inibente l’attività prostaglandinica con conseguente vasocostrizione dell’arteriola afferente (8, 9). Lo scopo della terapia vasoattiva, che vasocostringe l’arteriola afferente e vasodilata l’arteriola efferente, è quello di diminuire la pressione intraglomerulare con conseguente riduzione della proteinuria e rallentamento della progressione del danno renale (Figura 2). Farmaci antiproliferativi Ancora non disponiamo di farmaci ad esclusiva azione antiproliferativa; gli ACE-inibitori, i sartani ed il trapidil, che ha un’azione antiPDGF, hanno un’azione anti-fattore di crescita. Farmaci antiaggreganti piastrinici Possono essere utili nel rallentamento della proliferazione cellulare e della nefrosclerosi. Il dipiridamolo (240 mg/die) e il trapidil (200 mg/die), bloccano la via di sintesi del trombossano, ma non quella delle prostaglandine; l’aspirina (100 mg/die), blocca sia la via di sintesi del trombossano che delle prostaglandine. 120 mg/die 10 mg/die 250 mg/die 12.5 mg/die Ag II Prostaglandine FANS, COX2-i P Bradichinina Farmaci ipolipemizzanti. Le statine comunemente usate per il controllo dell’ipercolesterolemia, si sono dimostrate utili nella terapia delle nefropatie per la loro azione antinfiammatoria (10, 11). I fibrati (1200 mg/die) controllano anche l’ipertrigliceridemia; non possono essere associati alle statine e possono avere azione epatotossica. Gli acidi grassi “omega 3”, usati nella terapia di alcune nefropatie (S. di Berger) non hanno ancora dimostrato una sicura efficacia. Farmaci antiossidanti Le vitamine antiossidanti (A, E, Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 54 C, B6, B12), acido folico e l’N-acetilcisteina, potrebbero avere un ruolo nefroprotettivo contro gli insulti ossidanti (12). Il trattamento farmacologico, iniziato precocemente, induce buona remissione della sintomatologia, rallentamento della progressione della nefropatia e ridotta incidenza di effetti collaterali farmaco indotti. Terapia conservativa Il secondo livello di intervento, di cui possiamo avvalerci, quando il primo livello fallisce, consiste nella terapia conservativa che interviene tra la fase conclamata e la fase terminale (Tabella 1). Nel tentativo di ridurre la tossicosi uremica entra in gioco la dieta ipoproteica, anche se il suo ruolo sulla progressione dell’insufficienza renale cronica dell’adulto verso l’uremia è ancora controverso (13-20). I pazienti con insufficienza renale di tipo cronico dovrebbero essere sottoposti ad un regime nutrizionale controllato che consiste nella riduzione dell’introito di proteine (max 0,7 g al giorno per kg corporeo) e di fosfati. La dieta ipoproteica normo-ipercalorica (35 Kcal/kg/die) permette allo stesso tempo: il controllo dei livelli di urea e paratormone, dell’equilibrio acido-base, il rallentamento della progressione dell’insufficienza renale verso l’uremia terminale e, infine, il mantenimento di uno stato nutrizionale soddisfacente (21). Determinante il continuo controllo dietologico (almeno una volta ogni sei mesi) al fine di ottimizzare l’apporto delle sostanze nutrienti e, in particolar modo, l’apporto calorico. Quest’ultimo è molto importante, poiché se il paziente assume una quantità di calorie inferiore a 30-35 Kcal per kg di peso corporeo al giorno durante la dieta ipoproteica può andare incontro a stati di malnutrizione, anche molto gravi (22). La minor assunzione di proteine va sempre associata ad un maggior introito di carboidrati e lipidi (naturalmente, tenendo sempre conto dello stato fisico individuale del singolo paziente, soprattutto se diabetico) (23). Più precisamente, i dati forniti dalle linee guida della Società Italiana di Nefrologia sono: Proteine: 0,7 g/kg/ peso ideale (75% ad alto valore biologico). Glucidi: 60% delle calorie (zuccheri complessi, alimenti a basso indice glicemico). Lipidi: 30% delle calorie (rapporto acidi grassi polinsaturi/saturi >1,2). Colesterolo: 300-350 mg/die. Calorie: >35 Kcal/kg peso/die; Potassio: introito libero per VFG >10 ml/min. La dieta ipoproteica è utile purché non subentri la malnutrizione. Terapia delle complicanze La terapia conservativa riduce la progressione verso l’insufficienza renale cronica; in fase iniziale i risultati migliori si ottengono con l’uso di terapie combinate che agiscono sulla patogenesi della evoluzione (immunosoppressori, ACE-inibitori, sartani, ipolipemizzanti). Una volta subentrata l’uremia conclamata vanno farmacologicamente controllate le complicanze quali l’anemia, l’iperfosforemia e l’ipertensione. Per quanto riguarda l’anemia la terapia deve essere iniziata nei pazienti uremici con: Hb <11 g/dL nei due sessi prima della pubertà e nelle donne in età fertile; Hb < 12 g/dL nei maschi adulti e nelle donne in menopausa (24). In numerosi studi la correzione parziale dell’anemia ottenuta con epoetina si accompagna a una migliore tolleranza all’esercizio fisico (25-28), un miglioramento delle funzioni cerebrali (29, 30), un miglioramento della funzione cardiaca (31, 32), una migliore qualità di vita (33), una migliore attività sessuale (34), una ridotta ospedalizzazione (35-37) ed una ridotta mortalità (35-37). Viene considerata ottimale la correzione dell’anemia secondaria a insufficienza renale cronica mantenendo i valori di Hb nell’intervallo 11-12 g/dL (Ht = 33-36%). I farmaci utilizzati per la correzione dell’anemia sono l’epoetina ed il ferro. Bisogna somministrare epoetina alfa o beta ai pazienti con anemia secondaria a insuffi- Scripta MEDICA La terapia conservativa dell’insufficenza renale cronica 55 cienza renale cronica in terapia conservativa o sostitutiva, adeguando posologia, via e ritmo di somministrazione all’effetto eritropoietico individuale; la posologia standard di epoetina è variabile nell’intervallo 1.00030.000 U alla settimana (25-400 U/kg per taglie di 50-70 kg). Per quanto riguarda la terapia marziale per via orale bisogna somministrare almeno 200 mg/die di ferro (elemento da assumere 1 ora prima o 2 ore dopo i pasti, sfasata di almeno 30 min da tè o caffè), chelanti del fosforo, antiacidi e gastroprotettori non in formule protette a lenta dismissione. Per quanto riguarda la terapia marziale per via endovenosa bisogna somministrare 150 mg/settimana nella fase di induzione della terapia con epoetina, mentre nelle fasi di mantenimento bisogna somministrare 50-60 mg/settimana. Non superare 40-60 mg/dose con prodotti a base di sali a basso peso molecolare; diluire il prodotto in fisiologica ottenendo una concentrazione finale < 1 mg/ml. L’iniezione va fatta lentamente. Un’altra complicanza dell’uremia è l’iperfosforemia che deve essere controllata con una dieta ipofosforica e con l’utilizzo di diverse sostanze chelanti; le più diffuse sono state fino a qualche tempo fa i composti a base di calcio, alluminio, magnesio o lantanio (38), che permettono una riduzione dell’assorbimento intestinale del fosforo, con un aumento della sua escrezione fecale. Per sfruttarne al massimo la potenzialità terapeutica questi composti vanno ingeriti durante il pasto, in modo che si mischino con gli alimenti (39, 40); naturalmente l’efficacia di questi farmaci è limitata dalla quantità di fosforo in eccesso nel lume intestinale. Attualmente è usato il sevelamer, chelante privo di calcio.(41). Infine, ultima complicanza importante è l’ipertensione arteriosa. Secondo le linee guida del 2003 della Società Europea dell’Ipertensione, la pressione arteriosa normale è 120-129 mmHg per la sistolica e 8084 mmHg per la diastolica; i valori pressori ottimali sono al di sotto dei 120 mmHg per la sistolica e degli 80 mmHg per la diastolica (42). Una recente metanalisi di 11 trial clinici con- dotta nei pazienti nefropatici non diabetici ha dimostrato un rallentamento della progressione in soggetti con valori pressori inferiori a 139/85 mmHg (43). Nei pazienti diabetici si è dimostrato un rallentamento della progressione verso l’insufficienza renale con l’uso dei sartani (44). In pratica il valore di pressione arteriosa da raggiungere deve essere almeno pari a quello consigliato nella popolazione generale nei pazienti a basso rischio di progressione (proteinuria <1g/24h); mentre deve essere più stretto nei pazienti con proteinuria più elevata. La microalbuminuria o la proteinuria sono fattori di rischio per la progressione dell’insufficienza renale. È stato dimostrato che valori pressori di 125/75 mmHg sono sicuri e ben tollerati dai pazienti con ipertensione essenziale o con ipertensione e insufficienza renale (45-47). Gli ACE-inibitori vanno considerati come farmaci di prima scelta nel trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti con insufficienza renale cronica; i calcio-antagonisti vanno considerati come seconda linea di trattamento. Sembra ragionevole associare questi due farmaci quando la monoterapia non è sufficiente ad ottenere un adeguato controllo dei valori pressori. Diversi dati sperimentali suggeriscono che gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II possono ridurre la proteinuria e la progressione dell’insufficienza renale come gli ACE-inibitori (48, 49). Nei pazienti ipertesi essenziali gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II hanno dimostrato un’efficacia antipertensiva simili agli ACE-inibitori con minori effetti collaterali (50-52). Gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II sono ben tollerati anche nei pazienti con insufficienza renale cronica (53). Per completezza va detto che in un recente lavoro sulla “reverse epidemiology” si afferma che nel soggetto in dialisi il rischio di morte sarebbe inversamente proporzionale ai valori pressori (54). In conclusione va sottolineato che l’approccio precoce col nefrologo sembra essere l’elemento più importante nella prevenzione dell’insufficienza renale terminale (55). Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 56 Bibliografia 1. Hostetter TH, Renne HG, Brenner BM. Compensatory renal hemodynamic injury: a final common pathway of residual nephron destruction. Am J Kidney Dis 1982; 1:310 2. Remuzzi G. Ruggenenti P, Benigni A. Understanding the nature of renal disease progression. Kidney Int 1997; 51:2 3. Maschio G, Alberti D, Janin G et al. Effect of the Angiotensin-Converting-Enzyme inhibitor benazepril on the progression of chronic renal insufficiency. 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Nella pratica clinica tale obiettivo non sempre L’eccesso ponderale, causato da un accumulo è raggiunto, sovresponendo così il paziente ad di trigliceridi nel tessuto adiposo, è legato ad elevati rischi di morbilità e mortalità (70, 75). un significativo aumento della morbilità e Le cause dell’insuccesdella mortalità esTabella 1. so sono spesso attrisendo stato ormai Patologie legate all’obesità. (Clinical Evidence, 2003). buibili ad una scarsa acquisito come tutti i attenzione del Sanisoggetti sovrappeso • Ipertensione tario alle condizioni o obesi, di 18 anni o • Dislipidemie cliniche generali, al più, siano a rischio comportamento e alle delle patologie elen• Diabete abitudini alimentari, cate in Tabella 1 (31, • Malattie cardiovascolari alla composizione cor53, 91). porea, alla funzionaIl rischio può essere • Apnea notturna lità dei vari organi ed efficacemente ridotto • Artrosi apparati, agli eventuaper mezzo di una li disturbi o patologie riduzione dei deposi• Alcune forme tumorali maligne correlate o sovrappoti di grasso, ottenibiste (67, 71, 97). le con un adeguato Basti ricordare, a titolo studio del paziente e esemplificativo, come il mero riferimento al un corretto piano di trattamento individuale BMI (Body Mass Index) e alla circonferenza (24, 25, 44, 59, 107). addominale, troppo spesso unico parametro di Tale riduzione diminuisce il rischio di diabevalutazione dei soggetti in sovrappeso o obesi te di tipo 2, di eventi cardio-vascolari e la per stimare il rischio di complicanze confronSpecialista in Scienza dell’Alimentazione (Ind. Dietetico) tandolo con quello di soggetti normopeso, sia Specialista in Odontostomatologia, L’ Aquila stato ascritto solo in Categoria di Evidenza C, *Specialista in Scienza dell’Alimentazione (Ind. Nutrizionistico) L’ Aquila in ambito EBM (Evidence Based Medicine) (9). Introduzione Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 60 mitanza di disturbi associati ed al percorso Ciò implica come il percorso diagnostico terapeutico proposto (101). debba essere necessariamente ben più esauPer migliorare la qualità e l’aspettativa di vita riente e articolato del mero rilievo di semplidel paziente obeso, andrebbe quindi posta ci valori antropometrici e come la terapia non una maggiore attenzione sia in fase diagnopossa basarsi, di conseguenza, unicamente stica che terapeutica ed andrebbero studiati sulla prescrizione di una “dieta”, per quanto adeguatamente tutti quegli aspetti inspiegacorretta dal punto di vista nutrizionale. bilmente misconosciuti o, quantomeno, sotPerciò, sebbene il Cochrane 2003 ascriva in tovalutati, che possono contribuire a miglioCategoria di Evidenza A l’efficacia terapeutica rare le possibilità di successo. Tra questi, dell’associazione di dietoterapia, attività motoquello che desta un interesse crescente da ria e terapia cognitivo-comportamentale, i parte sia del paziente che del Medico, è l’arisultati clinici ottenuti negli ultimi anni hanno pnea morfeica cronica, ovvero l’Obstructive subito notevoli miglioramenti, grazie all’impleSleep Apnoea Syndrome (OSAS), complicanza mentazione di tecniche e presidi medico-chi“emergente” dell’obesità (47, 49, 51, 90). rurgici di sicura efficacia clinica nell’associazione terapeutica descritta (60, 76, 93). In ambito farmacologico, ad esempio, sono Obstructive Sleep Apnoea oggi disponibili, sostanzialmente, due moleSyndrome cole, più efficaci, sicure e maneggevoli di quelle utilizzate in passato: la sibutramina e L’OSAS rappresenta una grave forma di l’orlistat. insufficienza respiratoria cronica, che si preLa sibutramina, inibitore del re-uptake della senta in maniera ricorrente e frequente serotonina, può essere di valido ausilio nei durante il sonno (52, 89, 95, 108, 109, 111). pazienti con BMI >27 e almeno due fattori di È provocata dall’accumulo di grasso viscerarischio concomitanti, oppure nei pazienti le (sollevamento del diaframma), mediastinicon BMI >30 che, dopo 3 mesi di terapia traco (compressione vie aeree), perilaringeo dizionale, non abbiano ridotto di almeno il (lassità parietale) e peripalatale (ostruzione), 5% il peso corporeo (18, 50). e in grado di indurre una serie di conseIn tali casi, il rischio per malattie legate all’oguenze anche preoccupanti di ordine clinico, besità è così elevato da giustificare l’uso della metabolico e comportamentale, elencate in sibutramina e l’eventuale comparsa di effetti Tabella 2 e 3 (3, 4, 7, 19, 11, 28-30, 34, 36, collaterali (principalmente tachicardia ed 38, 42, 47, 61-65, 68, 69, 78, 79, 87, 99, ipertensione reversibili (33, 37, 43). 103-105, 110, 113). L’ orlistat, invece, agisce come inibitore delle La diagnosi di OSAS può essere sospettata in lipasi, riducendo di circa il 30% l’assorbimento dei grassi presenti nel cibo ingerito con un meccanismo d’azione locale, dal moSonnolenza mento che circa l’80% della doAstenia se assunta viene escreta immodificata nelle feci (106). → Incremento frequenza Cefalea Gli eventuali effetti collaterali incidenti stradali e infortuni sul lavoro dell’orlistat sono perciò a carico Irritabilità dell’apparato digerente (scariche oleose, flatulenza, urgenza Indebolimento cognitivo fecale, etc) (112). Riduzione della libido La scelta dell’uno o dell’altro farmaco è compito del Medico, Ipertensione arteriosa in relazione alle condizioni cliRischio anestesiologico elevato niche ed alle esigenze del paziente, all’eventuale conco- Tabella 2. Eventi diurni ascrivibili all’OSAS. Scripta MEDICA Obesità e apnea 61 Tabella 3. Effetti notturni dell’OSAS. Tachicardia sopraventricolare Fibrillazione atriale (nei soggetti con by-pass aorto-coronarico) Slivellamento tratto ST Angina notturna Infarto ↑ aggregazione piastrinica ↑ produzione fibrinogeno ↑ viscosità sangue ↑ livelli plasmatici di citochine ↑ proteina C-reattiva ↑ adesione monociti alle cellule endoteliali ↓ livelli plasmatici di derivati dell’ossido nitrico (NO) presenza dei sintomi e segni descritti, in soggetti con BMI >30, e confermata quando l’esame polisomnografico dimostri almeno 30 episodi di apnea in 7 ore di sonno, sia in fase REM che non-REM (54, 55, 81, 82) . La presenza di più di 20 apnee per ora rappresenta il più alto rischio di mortalità totale e di morbosità/mortalità durante l’anestesia (57, 58, 80). Figura 1. Fisiopatologia dell’OSAS. Il meccanismo fisiopatologico dell’OSAS è schematizzato in Figura 1. L’ OSAS è spesso accompagnata o preceduta anamnesticamente da roncopatia, primo momento di una riduzione del lume delle vie respiratorie, causa di rumorosa vibrazione del palato molle e dell’ugola, con funzionalità respiratoria conservata (83, 84, 86). La roncopatia può evolvere in OSAS quando la riduzione del flusso d’aria nelle prime vie aeree è di grado elevato, in presenza o meno di altri fattori sfavorevoli come lingua ipotonica, protrusioni mandibolari e abitudine a dormire supini (10, 11). La lingua è allora aspirata indietro per effetto Bernoulli, a seguito di un significativo incremento della velocità del flusso dell’aria, formando un sigillo contro la parete posteriore del faringe e inducendo il diaframma a contrarsi più vigorosamente per vincere la resistenza, con un circolo vizioso (66). L’ipossia e l’ipercapnia che ne conseguono causano un’azione riflessa che induce il paziente a cambiare posizione sbuffando, senza però svegliarlo e senza che conservi alcuna memoria dell’accaduto (6). Di grande rilevanza clinica appare l’infarto notturno del miocardio, ascrivibile all’OSAS ben più spesso di quello che comunemente si creda (1, 23, 26, 27, 48, 72, 74, 77). Ciò, quindi, rende necessario proporre adeguati piani di trattamento, alcuni dei quali indicati in Tabella 4 (14, 15). Incremento catecolamine circolanti Apnea Ipossiemia vasocostrizione polmonare Ipertensione sistemica Ritenzione di CO2 ipertensione polmonare insufficienza cardiaca dx Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 62 Uno schema terapeutico ragionevole sembra essere quello volto ad affiancare alla riduzione del peso corporeo, ottenuta per mezzo di dietoterapia, attività motoria, modifiche comportamentali ed, eventualmente, farmaci antiobesità, il tipo di dispositivo orale funzionale (DOF) più adatto alle esigenze del paziente. Dispositivi orali funzionali Riduzione del peso corporeo Tabella 4. Terapia dell’OSAS. Uvulopalatofaringoplastica (UPPP) Dispositivo a pressione positiva continua delle vie respiratorie (CPAP) Dispositivi orali funzionali in Tabella 6 e raffigurati in Figure 2-7. Lo splint è senz’altro l’apparecchio più noto per la sua più facile realizzazione e per il suo ampio utilizzo in posturologia e in odontostomatologia pre-protesica. Ciò non deve trarre in inganno sulla sua maneggevolezza terapeutica nel caso dell’OSAS e della roncopatia che richiedono, al contrario, un accurato inquadramento eziologico, fisiopatologico e, soprattutto, gnatologico. Il prototipo di questi apparecchi fu utilizzato con successo da P.T. George nel 1983, su un paziente gravemente obeso ed apnoico, al quale era stata consigliata la tracheotomia (40). L’apparecchio, denominato NAPA (Nocturnal Airway Patency Appliance) è, attualmente, un bimascellare a completa copertura occlusale, con ganci di stabilizzazione atti a precludere • Inibisce l’atto di mordersi la lingua qualsiasi effetto ortodontico, ed uno spazio prevenendone la retrazione libero anteriore per facilitare la respirazione durante la notte (Figura 2) (39, 41). • Inibisce l’apertura della bocca Il meccanismo di azione del NAPA è esemstabilizzando la mandibola plificato il Tabella 5. e inducendo la protrusione L’efficacia del NAPA nell’OSAS e nella roncodella lingua e dell’osso ioide patia è stata largamente validata nel corso • Induce la protrusione degli anni, sia confermando l’assenza di della mandibola e, quindi, effetti collaterali ortodontici, sia evidenzianl’allontanamento della lingua do, con studi condotti per mezzo del polidalla parete posteriore del faringe somnigrafo, una riduzione dell’RDI (Respiratory Disturbance Index), legato al numero di apnee per ora, sino all’80% (73, 94, 100). Il NAPA non è, comunque, l’unico apparecchio orale funzio• Nocturnal Airway Patency Appliance (NAPA) nale per la cura dell’OSAS. Nel corso degli anni sono stati • Tepper Oral Proprioceptive Stimulator (TOPS) proposti altri tipi di dispositivi • Dispositivi per il sollevamento del palato molle volti, fondamentalmente, ad • Herbst classico incrementare la dimensione verticale, a protrudere la mandibo• Herbst modificato da Garry-Prior la, ad anteriorizzare la lingua e • Herbst modificato da Clark (UCLA) l’osso ioide e, in alcuni casi, a • Splint sostenere il palato (59, 16, 32, 35, 98). • Dispositivo per il sollevamento del palato molle I principali dispositivi attualmodificato da D’Alessandro e Di Girolamo mente disponibili sono elencati Tabella 5. Meccanismo di azione del NAPA. Tabella 6. Dispositivi orali funzionali per il trattamento della roncopatia e dell’OSAS. Scripta MEDICA Obesità e apnea 63 Figura 2. Splint. Figura 3. Sollevatore di palato molle modificato da D’Alessandro e Di Girolamo. Figura 4. Herbst classico. Figura 5. TOPS. Figura 6. NAPA. Figura 7. NAPA. Esistono, infatti, indicazioni, sia mediche che odontoiatriche, del tutto particolari per i vari tipi di splint attualmente disponibili, elencati in Tabella 7. Ciascuno dei dispositivi descritti nelle Tabelle 6 e 7 può, entro certi limiti, presentare delle modifiche progettate e realizzate da parte di singoli Sanitari, in base all’esperienza, alla Scuola di appartenenza, alla funzione che si intende ottenere, all’eventuale presenza di protesi dentali, etc. È attualmente allo studio il DADOA (D’Alessandro-Aggio-Di Girolamo Obesity Appliance), dispositivo estremamente innovativo dal punto di vista concettuale, strutturale e funzionale, altamente specifico per l’uso nel paziente obeso, ma utilizzabile, con opportune modifiche, anche in ambito puramente ortodontico. Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 64 Il DADOA ed altri tipi di DOF, associati ad un adeguato programma di controllo del peso corporeo, rappresentano a nostro parere il trattamento di prima scelta in pazienti con OSAS opportunamente selezionati, poichè presentano degli innegabili vantaggi rispetto all’UPPP ed al CPAP, come descritto in Tabella 8 (2). Resta da stabilire quali siano le figure sanitarie abilitate all’esecuzione di un completo percorso obesiologico in tal senso. Di certo lo è, a pieno titolo, il Medico Chirurgo-Dentista, con annotazione a margine (abilitazione all’esercizio dell’odontoiatria) o doppia iscrizione (all’Albo dei MediciChirurghi ed a quello degli Odontoiatri), figura professionale ormai “ad esaurimento”. Al contrario, il Medico-Chirurgo iscritto esclusivamente al proprio relativo Albo, non è abilitato all’esecuzione di alcuna manovra odontoiatrica nella bocca del paziente (visita stomatologica, cure dentali, chirurgia orale, presa di impronte, protesizzazione, posizionamento e follow-up di dispositivi orali etc.), né amministrativa e fiscale in tal senso (prescrizione sanitaria di dispositivi e protesi a norma della legge CE 93/42, emissione di parcella per il paziente, accettazione di fattura a proprio nome dal laboratorio odontotecnico, etc.). Una certa perplessità nascerebbe dalla eventuale prescrizione e utilizzazione di questi particolari dispositivi, quale momento di un’articolata terapia sistemica dell’obesità e delle relative malattie ad essa collegate, dall’Odontoiatra, quantomeno per motivi di buon senso. È possibile, quindi, che il limitato uso di questi apparecchi in Italia sia ascrivibile ad aspetti medico-legali dai contorni mal definiti e a difficoltà di attribuzione di competenze sanitarie, oltre che a difficoltà di aggiornamento culturale e di comunicazione tra il comparto medico e quello odontoiatrico. Ciononostante, l’utilizzo dei dispositivi orali funzionali per ridurre gli effetti dell’OSAS e della roncopatia andrebbe serenamente valutato, ove necessario, per l’interesse del paziente. Ciò contribuirebbe senz’altro alla riduzione della morbilità e della mortalità, nonché al Bite Thore Hansson Tabella 7. Tipi di splint. Bite Michigan Bite di Federici Bite termostampato Bite occlusale piatto Bite (mouth) guard Bite di Stramazzi Splint con guide di disclusione Splint di Farrar Splint di Gelb Ortotico di Jankelson Placca di riposizionamenento Placca di Mongini DADOA (D’Alessandro-Aggio-Di Girolamo Obesity Appliance) Non invasività Alta tollerabilità Elevata compliance Relativa facilità di realizzazione Scarsissima manutenzione Estrema praticità di impiego Lunga durata nel tempo Costi contenuti miglioramento della qualità di vita delle persone affette da quella che è ormai una delle malattie metaboliche più diffuse nel mondo. Ringraziamenti Desideriamo ringraziare l’Odontotecnico Marco Di Girolamo, Pescara, per i suoi preziosi consigli tecnici e per aver fornito gli apparecchi dimostrativi raffigurati nelle figure. Un affettuoso ringraziamento va anche ad Andrea D’Alessandro, per la realizzazione delle foto. Tabella 8. Vantaggi degli apparecchi funzionali per l’OSAS e la roncopatia. Scripta MEDICA Obesità e apnea 65 Bibliografia 1. Andreas S. Central sleep apnea and chronic heart failure. Sleep. 2000;23: 220 2. Becker HF, Jerrentrup A, Ploch T. Effect of nasal continuous positive airway pressure treatment on blood pressure in patients with obstructive sleep apnea. Circulation. 2003; 107:68 3. Blackshear JL, Kaplan J, Thompson RC, Safford RE, Atkinson EJ. Nocturnal dyspnea and atrial fibrillation predict Cheyne-Stokes respirations in patients with congestive heart failure. Arch Intern Med. 1995; 155:1297-1302 4. Bokinsky G, Miller M, Ault K, Husband P, Mitchell J. Spontaneous platelet activation and aggregation during obstructive sleep apnea and its response to therapy with nasal continuous positive airway pressure: a preliminary investigation. Chest. 1995; 108:625-630 5. Bonnet B. Un appareil de reposturation: l’Enveloppe linguale nocturne. Rev Orth Dento Facial 1992; 26:329-347 16. Clark G, Nakano M. Dental appliance for the treatment of obstructive sleep apnea. 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Ciò è dovuto a diversi fattori: i bambini e gli adolescenti, generalmente, hanno una parete addominale sottile e una minima adiposità che consente un’ottima risoluzione diagnostica; assenza di radiazioni ionizzanti; assoluta non invasività dell’esame ecografico che può essere ripetuto, nei casi che richiedono un follow-up, un numero infinito di volte. Le giovani pazienti, inoltre, presentano una maggiore capacità nel sopportare la ripienezza vescicale rispetto alle adulte, condizione essenziale per eseguire l’esame US per via transaddominale. L’esecuzione dell’esame con sonda transvagiAmbulatorio di Auxoendocrinologia - U.O. di Pediatria U.O. di Radiologia; 3 U.O. di Chirurgia Pediatrica; 4 U.O. di Oncoematologia Pediatrica, A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro 1 2 nale, per ovvi motivi anatomici, tecnici e psicologici, non può essere impiegato nelle pazienti in età pediatrica, tranne che nella diagnostica delle complicanze precoci che si possono avere (per esempio sospetta gravidanza ectopica) nelle adolescenti sessualmente attive. Un’altra metodica d’esplorazione con gli US delle patologie del basso tratto genitale (cisti della vagina o corpi estranei) può essere l’ecografia translabiale che si esegue poggiando la sonda ecografia, di solito da 5 MHz di frequenza e a superficie curva, in mezzo alle grandi labbra consentendo una buona valutazione ecografica dello scavo del Douglas, della cervice, della base della vescica, dell’uretra e della vagina. La valutazione con US della pelvi femminile può essere migliorato dall’uso del power colorDoppler. Con tale tecnica possono essere acquisite informazioni aggiuntive di tipo vascolare fondamentali nella diagnosi di torsioni ovariche e neoplasie. Anatomia e sviluppo US della pelvi femminile durante l’infanzia e l’adolescenza Utero In età neonatale, l’utero può essere identificato come un organo relativamente lungo in rapporto alle dimensioni corporee, essendo ancora sotto l’effetto residuo degli ormoni materni. È stata riportata una lunghezza uterina media di 3.4 cm. Sino all’età di 7 anni le misure uterine non sono correlate all’età, essendo di 2.0-3.3 cm in lunghezza e di 0.51 cm in larghezza. Dall’età di 7 anni, le misure dell’utero aumentano in relazione all’età, Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 72 raggiungendo nel periodo post-pubere i 7-8 cm in lunghezza e gli 1.6-3.0 cm di larghezza a livello del fondo. Al 5° anno postmenarcale, l’utero assume la caratteristica conformazione a "pera" dell’utero adulto (morfologia adulta). La forma dell’utero e la configurazione varia in accordo all’età. Prima dei 7 anni l’utero si presenta di forma tubulare, con la cervice più lunga del fondo. Il rapporto tra lunghezza del corpo e della cervice all’età di 7 anni è pari a 1:1 (morfologia cilindrica). Nell’età successiva, l’aumento in lunghezza e volume del corpo è maggiore rispetto a quello della cervice e il rapporto diventa, approssimativamente di 2:1. Endometrio Nelle neonate l’endometrio è facilmente visualizzabile come una linea ecogenica centrale, spesso irregolare. La residua stimolazione ormonale materna può produrre occasionalmente muco e secrezioni che appaiono come uno spazio eco-free nella cavità endometriale. L’endometrio non stimolato durante l’infanzia appare come una indistinta sottile linea centrale ecogena che diventa più evidente con l’avvicinarsi della pubertà. Nelle ragazze in età post-menarcale, l’endometrio proliferativo è visualizzato come strati ipoecogeni in ciascun lato dell’interfaccia iperecogena. L’endometrio secretorio postovulatorio assumerà l’aspetto di una fine linea ecogenica irregolarmente interrotta. Vagina Il canale vaginale è visibile come una lunga linea iperecogena ricurva. In caso di presenza di muco nel lume situato tra le pareti anteriori e posteriori (ipoecogene), si ha un tipico aspetto a sandwich. Quando necessaria, l’ecografia trans-labiale offre una migliore visualizzazione dell’anatomia e delle strutture circostanti. Ovaie Lo studio ecografico delle ovaie, effettuato con l’ausilio di eco colorDoppler deve valutare la triplice componente: follicolare, stro- male e vascolare. L’ecografia perciò evidenzia la continua maturazione ovarica e lo sviluppo follicolare nell’infanzia identificabile con un progressivo incremento del volume ovarico e con le notevoli modificazioni morfologiche che si riscontrano prima che sia evidente l’inizio della pubertà (1). La misura delle ovaie è relativamente stabile prima della pubertà [Volume (ml) = X (mm) x Y (mm) x Z (mm) x 0.523], generalmente con un volume inferiore a 1 cm3 (0.13-0.9 cm3). Con l’inizio della pubertà, vi è un rapido incremento del volume dell’ovaio e, il volume medio nelle ragazze puberi varia da 1.8 a 5.7 cm3, mentre nei soggetti postpuberi il volume medio varia da 4 a 9.8 cm3. La morfologia delle ovaie si adatta alle fisiologiche modificazioni presenti alla pubertà (Tabella 1). Generalmente sin dal 5° anno post-menarcale, le ovaie assumono le caratteristiche presenti nell’età adulta. La loro crescita è simmetrica; quando la crescita di un ovaio è maggiore rispetto al controlaterale, ciò può essere indicativo di una patologia a carico dell’annesso e,quindi, sono richieste ulteriori indagini. Vi è una stretta correlazione tra la lunghezza dell’utero e il volume ovarico. Un ingrandimento delle ovaie, senza un corrispondente aumento della lunghezza dell’utero, può essere indicativo di una crescita neoplastica ovarica che, per ovvi motivi, necessita di ulteriori accertamenti. Aspetti patologici US in ecografia: anomalie Anomalie dei dotti mulleriani Classificazione dell’American Fertility Society, 1988 Le ragazze con anomalie dei dotti mulleriani, possono presentare un ampio range di sintomi. In questi casi sono di comune riscontro ciclici dolori pelvici e amenorrea primaria (2). L’ecografia transaddominale è il principale metodo di valutazione dell’estensione e del coinvolgimento. L’isterosalpingografia e l’ecografia transvagi- Scripta MEDICA Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale 73 Tabella 1. Morfologia ovarica nelle diverse età. Età 6-7 anni Morfologia ovarica omogenea con assenza di strutture cistiche, correlata con lo sviluppo allo stadio I e con valori molto bassi di FSH, LH ed estradiolo Età dai 7 anni sino all’età di 10-12 anni Le ovaie presentano un tipico aspetto microcistico, con alcune cisti più grandi (5-9 mm). Si accompagna allo sviluppo della mammella allo stadio II e con un significativo aumento di FSH, LH ed estradiolo. Queste modificazioni segnano la fase iniziale della pubertà, ma anche la fase premenarcale Età tra 10 e i 12,5 anni Le ovaie si presentano macrocistiche con alcune cisti che possono superare i 9 mm di diametro. Il numero medio di follicoli è generalmente > 5 e la componente dello stroma appare ridotta nale permettono un’accurata valutazione, con maggiore invasività. La RMN permette una maggiore risoluzione nella valutazione delle anomalie del tratto superiore particolarmente utile quando si devono acquisire informazioni prima di sottoporre il soggetto a correzione chirurgica. È nota la forte correlazione con le anomalie dei reni che devono essere esaminati durante l’esame ecografico associando, eventualmente, in fase pre-chirurgica, un’urografia endovenosa. Anomalie del tratto genitale inferiore Agenesia della vagina e dell’utero (S. di Rokitanski-Kunster-Mayer) L’associazione di amenorrea primaria con normali caratteri sessuali secondari e il riscontro di una vagina a fondo cieco e di una vulva altrimenti normale è la principale presentazione clinica di questa malformazione. L’ecografia pelvica può valutare le caratteristiche dei rudimenti mulleriani e se sono cavi o meno (funzionale), la presenza di ovaie normali, l’estensione dell’agenesia vaginale, la presenza di un utero rudimentale o di corde fibromuscolari, o piccoli corni uterini rudimentali sul muro pelvico laterale. Deve essere ricercata l’eventuale presenza di anomalie del tratto urinario (presenti nel 10% dei casi) e dell’apparato scheletrico (emivertebre, spina bifida, scoliosi, lussazione dell’anca, malformazioni del radio, dell’omero o sindattilia). Imene imperforato L’ecografia transaddominale è il metodo d’imaging di scelta nelle adolescenti che presentano criptomenorrea e normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Prima dell’esecuzione dell’incisione chirurgica che permette la fuoriuscita del fluido mestruale ritenuto, si dovrà eseguire l’esame US che evidenzierà una vagina dilatata con aspetto di formazione ovalare contenente liquido strutturato con livello fluido-fluido, con un normale aspetto della cervice che si proietta dentro il grosso ematocolpo. Spesso la cavità uterina appare ripiena di fluido, che comunica con la cavità vaginale a causa di una endocervice allargata (ematometra). Anomalie del tratto genitale superiore L’esame ecografico dovrebbe essere effettuato nella seconda metà del ciclo. L’estensione delle anomalie di fusione devono essere valutate per mezzo di un attento esame sia sagittale che trasversale che permetterà di evidenziare l’eventuale presenza di 2 canali vaginali, 2 cervici e configurazioni uterine, in particolare la cavità endometriale ecogena per stabilire se è cavitaria. Un utero unicorno con corno rudimentale non comunicante potrà essere visualizzato come una cavità a forma di banana. L’esame del fondo dell’utero nei piani trasversi deve essere eseguito con vescica semipiena; questo potrà rivelare la conformazione della Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 74 cavità endometriale e determinare un ispessimento miometriale. Uteri bicorni e didelfi sono differenziati da uteri parzialmente e completamente settati dalla presenza di un’intaccatura profonda più di 10 mm. Nei casi dubbi, specialmente quando deve essere considerata l’opzione chirurgica, l’RMN può (deve) essere impiegata per la sua maggiore risoluzione e accuratezza diagnostica. Anche in questo caso deve essere ricercata l’eventuale presenza di anomalie dell’apparato urinario e scheletrico. Valutazione ecografica dei disordini della pubertà Il monitoraggio ecografico delle misure uterine e ovariche e delle variazioni morfologiche è parte integrante del management dei disordini della pubertà. Tale tecnica costituisce un rigido e non invasivo indicatore delle variazioni puberali dei genitali interni. Questa, insieme ai parametri endocrini e alla valutazione dell’età ossea, può indirizzare verso la causa e, quindi, suggerire il tipo di trattamento. Nella pubertà precoce vera (prima degli 8 anni), dove si ha un’attivazione anticipata dell’asse ipotalamo-ipofisario, si ha una prematura follicologenesi ovarica; le ovaie appaiono aumentate di volume e il loro aspetto varierà da quello con stroma omogeneo e solido, a quello multicistico. Inoltre si potrà osservare una variazione del profilo uterino e delle dimensioni. L’età ossea risulta essere avanzata rispetto all’età cronologica. Il monitoraggio ecografico delle ovaie e dell’utero, in corso di terapia, ci indicherà se la terapia è adeguata. Infatti il trattamento con gli analoghi del GnRH, dovrebbe portare alla regressione dello sviluppo degli organi pelvici. Nel telarca prematuro e nell’adrenarca prematuro, l’età ossea, la morfologia e le dimensioni delle ovaie e dell’utero è rapportata all’età cronologica. L’osservazione a livello delle ovaie di cisti sono suggestive per Sindrome di McCune-Albright o di cisti ovariche autonome. La pubertà ritardata è caratterizzata dall’assenza dei caratteri sessuali secondari all’età di 14 anni; può trovare la sua origine in cause organiche come ipogonadismo ipogonadotropo o ipergonadotropo, oppure può essere secondaria a ritardo costituzionale di sviluppo. Le donne ipogonadiche hanno caratteristicamente utero e ovaie infantili e un marcato ritardo dell’età ossea. Il ritardo costituzionale è quasi sempre una diagnosi d’esclusione; un attento esame clinico permetterà di osservare la comparsa di caratteri sessuali secondari. L’età ossea mostra tipicamente un ritardo di maturazione ossea >2 o più DS. L’ecografia pelvica può evidenziare le trasformazioni perimenarcali degli organi pelvici (ovaie multicistiche, ingrandimento dell’utero con rapporto utero/cervice >1). Per confermare la diagnosi è comunque necessario un breve periodo di follow-up. Disfunzioni mestruali nelle adolescenti In molti casi le disfunzioni mestruali nelle adolescenti sono di breve durata e generalmente possono essere gestite con l’impiego di semplici trattamenti medici. L’ecografia pelvica, eccetto nel monitoraggio dell’aspetto e dello spessore dell’endometrio, ha un piccolo ruolo nel trattamento di questo gruppo di pazienti. In uno studio eseguito su una popolazione di 1200 adolescenti che presentavano disturbi mestruali nel 25.6% dei casi fu riconosciuta una Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS); ciò indica che questa sindrome ricorre molto più frequentemente e piuttosto precocemente, più di quanto una volta si ritenesse. Nella pratica clinica, l’ecografia ha sostituito la valutazione laparoscopica che in passato veniva eseguita nelle ovaie policistiche. Con l’avvento dell’ecografia transvaginale, è stato possibile visualizzare non solo la misura e la forma delle ovaie, ma anche la loro struttura interna, vale a dire i follicoli e lo stroma. Oggi è possibile ottenere delle immagini che hanno una definizione vicina al taglio anatomico. Nella Tabella 2 vengono riportate le caratteristiche istologiche della Scripta MEDICA Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale 75 Tabella 2. Caratteristiche istologiche dell’ovaio policistico. Ipertrofia generalizzata dell’ovaio Capsula spessa (> 100 micron) Aumentato numero delle cisti follicolari subcapsulari Scarsità del corpo luteo e dell’albicans Iperplasia e fibrosi dello stroma ovarico Diminuito spessore dello strato della granulosa Pattern atresico dello strato della granulosa Aumento dello spessore della teca interna Prematura luteinizzazione delle cellule della teca Tabella 3. Criteri ecografici impiegati per la diagnosi di PCOS Segni morfologici esterni Aumento dell’area o del volume delle ovaie Aumento dell’indice di rotondità (larghezza ovarica/lunghezza ovarica) Diminuzione del rapporto larghezza uterina/lunghezza ovarica (U/O) Segni morfologici interni Numero per ovaio delle piccole zone con minore ecogenicità, con dimensioni < 10 mm (microcisti) Ripartizione periferica delle microcisti Aumento dell’ecogenicità dello stroma ovarico Aumentata superficie dello stroma ovarico nella sezione angolare (per mezzo di misure computerizzate) PCOS; il volume è spesso molto aumentato e le ovaie tendono ad avere una conformazione sferica anziché ovoidale. Ciò è dovuto all’incremento dello spessore della corteccia, dello stroma iperplastico e fibrotico e dal numero eccessivo dei follicoli i (2-6 mm di diametro). Le caratteristiche ecografiche tipiche della PCOS, sono un ingrandimento bilaterale delle ovaie (volume >6 ml), conformazione sferica, capsule ispessite, numerose cisti sottocapsulari e stroma centrale iperecogeno (3). Queste caratteristiche US si correlano molto strettamente con gli esami ormonali, come l’aumentato rapporto LH/FSH e l’aumento dei livelli di testosterone. Interessante è l’osservazione secondo la quale le caratteristiche ecografiche sono maggiormente rilevate a carico dell’ovaio destro rispetto a quello di sinistro. Sono state valutate 150 adolescenti affette da PCOS: nel 60% dei casi il volume dell’ovaio di destro era tra 8 e 14 ml; nel 16% vi era un volume di 6-8 ml; nel 24% fu ritrovato un volume >14 ml. Più favorevoli, invece, erano le caratteristiche dell’ovaio di sinistro: <8 ml nel 31.4%; 8-14 ml nel 50%, mentre nel 18.6% si evidenziava un volume superiore. L’esame ecografico riveste un ruolo di estrema importanza, non solo nella diagnosi, ma anche nel follow-up della risposta al trattamento. Il monitoraggio ecografico può evidenziare delle modificazioni morfologiche nel corso della terapia; nella maggior parte dei casi le ovaie assumono caratteristiche multicistiche, mentre in una piccola percentuale può aversi una totale reversibilità delle anomalie tipiche della PCOS. Questa totale reversibilità delle ovaie policistiche può essere osservata con maggiore frequenza in quelle gonadi che presentano un importante incremento del volume. Nel follow-up delle adolescenti con PCOS, oltre alla sintomatologia clinica, gli US possono essere un parametro sufficiente per evidenziare una progressione o regressione dei sintomi, quindi fornisce utili indicazioni per la condotta terapeutica (durata del trattamento o necessità di ripeterlo). Il primo approccio all’esame ecografico della pelvi deve avvenire per via transaddominale, e potrà evidenziare ovaie multifollicolari (MFO in differenti situazioni fisiologiche e patologiche, come nella normale mediatarda pubertà, nella pubertà precoce centrale, nella anovulazione ipotalamica, nell’iperprolattinemia e, la più importante, la norma- Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 76 le precoce fase follicolare nelle donne adulte, prima che il follicolo diventi dominante. Questi rappresentano un’importante diagnosi differenziale per la PCOS (Adams, et al. 1985). Teoricamente la PCOS differisce dalle ovaie normali e dalle MFO per essere più larghe, per avere più follicoli e per avere una ipetrofia dello stroma (4) Il pattern polifollicolare (eccessivo numero di piccole cisti con diametro <10 mm) è fortemente suggestivo (in accordo con la definizione della sindrome policistica). Nella PCOS, la distribuzione dei follicoli è predominante a livello periferico, con la tipica distribuzione della struttura ipoecogena (inizialmente descritta da Adams, et al. 1985). In alcuni studi (Battaglia, et al. 1998), le pazienti più giovani mostravano questa distribuzione periferica più frequentemente, mentre un pattern più generalizzato, con piccole cisti nella zona centrale dell’ovaio, era osservato nelle donne più vecchie. Per definizione, il pattern polifollicolare è anche osservato nelle MFO. Perciò vi è un significativo rischio di un risultato falso falso-positivo quando viene preso in considerazione solo il pattern polifollicolare. Teoricamente, il pattern polifollicolare è differente nella PCOS e nella MFO. Nel primo, il numero dei follicoli per ogni sezione ovarica era più elevato. Ma vi è una considerevole controversia intorno al valore cut-off tra MFO e PCO (>5 ?, >10 ?, >15 ?). Nella MFO i follicoli sembrano essere irregolarmente disseminati in tutte le ovaie. Tuttavia, quest’analisi è puramente qualitativa. In molti casi, la stima del pattern follicolare è confusa e questo non permette una chiara differenziazione tra MFO e PCOS. L’aumento dello stroma aiuta a differenziare la PCOS dalla MFO. L’ipertrofia dello stroma è caratterizzata da un aumento della componente della zona centrale dell’ovaio, che è piuttosto iperecogena. Nell’opinione di molti autori, l’ipertrofia dello stroma e l’iperecogenicità sono il più attendibile segno ecografico che distingue la PCOS dalla MFO, in quanto queste caratteristiche sono specifiche per la prima. Masse pelviche Generalmente le masse pelviche nelle bambine non causano sintomi fino a quando non raggiungono grosse dimensioni tanto da essere valutate con la palpazione addominale o retto addominale. Nelle adolescenti la pelvi è abbastanza grande, tanto da contenere un tumore di grosse dimensioni senza produrre distorsioni del profilo addominale. L’ecografia pelvica è indispensabile per apprezzare la presenza di masse pelviche e nello stabilire la loro origine anatomica e le loro caratteristiche sonografiche, indispensabili per la diagnosi differenziale. Mappe di flusso colore e la valutazione del flusso con Doppler sono di ausilio nello stabilire la natura delle masse. Nelle neonate, la più comune massa pelvica è la cisti funzionale dell’ovaio, secondaria allo stimolo in utero da parte delle gonadotropine materne. Nel feto, le ovaie anomale possono essere osservate nel corso del 3° trimestre e, alla nascita, come struttura ipoecogena nella pelvi. Le cisti ovariche neonatali sono di misure variabili ed evolvono verso una spontanea risoluzione nei mesi successivi alla nascita; comunque dovrà essere posta particolare attenzione al verificarsi di una possibile torsione dell’ovaio interessato. Nelle bambine più grandi e nelle adolescenti, le cisti ovariche costituiscono le più comuni masse pelviche riscontrabili. La maggior parte di queste cisti sono cisti funzionali, mentre le altre sono cisti follicolari o del corpo luteo. Generalmente sono asintomatiche e il ritrovamento di cisti con diametro di Figura 1. Cisti ovarica semplice. Scripta MEDICA Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale 77 Figura 2. Teratoma. 3-6 cm può essere occasionale; altre volte si possono avere complicazioni come dolori pelvici da emorragia, rotture o torsioni. L’indagine ecografica viene eseguita per via sovrapubica, mentre in caso di adolescenti sessualmente attive l’esame può anche essere eseguito per via transvaginale. Particolare attenzione dovrà essere posta in quelle ovaie che presentano un volume superiore a quello medio per età e sviluppo puberale e in ovaie dai contorni irregolari. Le cisti follicolari o funzionali generalmente presentano delle dimensioni che quasi mai superano i 5 cm di diametro; è possibile evidenziare il parenchima ovarico da cui originano e generalmente regrediscono con la fase mestruale del ciclo. Nelle cisti con dimensioni più voluminose si dovrà prendere in considerazione un trattamento terapeutico ed, eventualmente, un’agoaspirazione (Figura 1). Altre cisti sono le paraovariche (con caratteristiche sovrapponibili alle precedenti, ma insensibili all’attività ormonale e/o farmacologica) e cisti sierose (possono raggiungere grosse dimensioni e non è quasi mai possibile evidenziare l’ovaio di origine). Le cisti luteali possono raggiungere i 5 cm di diametro e presentano delle pareti più spesse, spesso vascolarizzate; il contenuto è un liquido corpuscolato e possono essere presenti dei sepimenti. È quasi sempre riconoscibile il tessuto ovarico d’origine. Queste formazioni cistiche possono sparire nella fase mestruale e la loro rottura può essere causa di emoperitoneo; in tal caso dovrà essere ricercata la presenza di liquido nello scavo del Douglas e, se il sanguinamento è cospicuo, si potrà riscontrare liquido tra le anse intestinali in sede periepatica e peri-splenica. Le cisti endometriosiche possono essere di dimensioni variabili (10-20 mm); anch’esse presentano pareti ispessite a volte vascolarizzate; il contenuto può essere liquido, più frequentemente corpuscolato. A volte può essere osservata una sorta di demarcazione tra la fase liquida e la corpuscolata. Possono essere presenti più formazioni cistiche a carico di entrambe le ovaie. Le cisti disontogenetiche presentano caratteristicamente, nel loro contesto, tessuti di varia ecogenicità (abbozzi dentari, adiposi) (Figura 2); le dimensioni sono variabili, sono scarsamente vascolarizzate, quindi lo studio con colorDoppler risulta essere silente. Il distoma presenta delle pareti spesse e all’interno è possibile osservare del liquido attraversato dalla componente solida che forma dei grossolani tralci endoluminali che manifestano un’attività vascolare con le caratteristiche della neoangiogenesi neoplastica. Ecografia scrotale Negli ultimi dieci anni l’ecografia ha compiuto importanti progressi nell’imaging della patologia del sacco scrotale. Il suo progressivo sviluppo non solo ha contribuito a migliorare l’accuratezza diagnostica, ma ha anche significativamente semplificato l’approccio clinico alle varie problematiche e di altre patologie mascheranti neoplasie. Grazie a tale tecnica si è avuto un aumento di quei casi diagnosticati precocemente e contemporaneamente anche le diagnosi delle patologie testicolari benigne (cisti semplici, cisti dermoidi, granulomi, ecc.). La tecnica B-mode è stata implementata dall’utilizzo del colorDoppler e del flowDoppler direzionale. Tali tecnologie sono oggi di uso comune in quasi tutte le patologie scrotali dal momento che offrono un contributo fondamentale nello studio della vascolarizzazione (5). Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 78 Tecnica e anatomia 1. Il paziente deve essere posto in posizione supina e il pene viene rovesciato in alto sulla parete addominale. Lo scroto viene sollevato da una fascia che lo solleva, contemporaneamente fissandolo alle estremità con le mani dello stesso paziente. La sonda utilizzata per l’ esame deve essere di almeno 7.5 MHz di frequenza con tecnica real-time lineare. Vengono effettuate scansioni nei piani trasversali e longitudinale, avendo cura di mantenere in tensione lo scroto. Quando si adopera l’accessorio color-flow Doppler è da rammentare l’uso di bassi valori di amplificazione, necessari per percepire appieno la vascolarizzazione didimaria che ha bassi flussi. 2. Il testicolo normale ha aspetto ecografico omogeneo con ecogenicità medio-bassa, di forma ovoidale con misure pari a 3-5 cm di ø longitudinale e 2-3 cm di ø trasversale. Il mediastinum testis viene identificato come banda iperecogena parallela all’epididimo che attraversa il didimo dalla periferia al centro. Le arterie capsulare e testicolare decorrono in periferia nella tunica vasculosa, con la capsulare che decorre nel mediastinum testis. L’indice di resistività può essere campionato con valori medi di 0.62 cm/sec nelle aa. intratesticolari e 0.84 cm/sec nelle sopratesticolari. Inoltre con il color-flow Doppler si campiona il flusso nel plesso pampiniforme per lo studio elettivo nella diagnosi di varicocele. Figura 3. A. Localizzazione leucemica. B. Seminoma. C. Carcinoma. A B C Patologia scrotale Infiammazione L’epididimo è normalmente coinvolto nei pazienti con flogosi del sacco scrotale. L’imaging ecografico in B-mode documenta: ipoecogenicità diffusa dell’epididimo, idrocele, ispessimento scrotale. Con il colorDoppler si evidenzia lo stato di iperemia, con incremento netto del flusso diastolico. Il coinvolgimento del testicolo avviene solo nel 20% dei casi, il cui pattern dimostra un incremento di flusso in aree di ipoecogenicità. Torsione testicolare La torsione testicolare esprime un incidente meccanico vascolare legato ad anomalie congenite della fissazione epididimo-testicolare. Incide in particolar modo in età puberale (occasionalmente in età neonatale nella varietà extravaginale). Nella più frequente forma intravaginale, la torsione è legata a un’eccessiva lunghezza del funicolo. La diagnosi deve essere la più precoce possibile per avere reali possibilità di salvataggio del tessuto didimario. Scripta MEDICA Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale 79 Figura 4. Microlitasi testicolare. L’ecografia con color-flow Doppler (ECD) è oggi ritenuta la metodica più efficace in tale diagnostica, riportandosi valori di sensibilità in letteratura tra l’85% ed il 100% e di specificità del 100% (6) . L’imaging è diverso a seconda dell’epoca di insorgenza della sintomatologia: a 4 ore: congestione delle arterie ed ischemia testicolare: assenza di flusso rilevabile ECD; a 5-24 ore: incremento della congestione ed edema; incremento del flusso ECD a livello delle borse scrotali; oltre 24 ore: ipervascolarizzazione peritesticolare con costante assenza di flusso testicolare. La diagnosi differenziale deve essere posta con l’epididimite acuta. Neoplasie Le neoplasie testicolari rappresentano l’1% di tutti i tumori maligni nei soggetti di sesso maschile e sono da 20 a 50 volte più frequenti nei testicoli criptorchidi o già ritenuti. Circa il 95% delle neoplasie primitive testicolari origina dal tessuto germinale. I seminomi rappresentano la frazione più numerosa, seguiti dai carcinomi embrionali, dai teratomi e dai coriocarcinomi. Per quanto riguarda l’età i seminomi sono rarissimi prima dei sedici anni. Il pattern ecografico è abbastanza diverso nei seminomi rispetto ai non-seminomi, essendo questi ultimi notevolmente piu disomogenei,maggiormente ecogeni e sempre irregolari nei contorni (Figura 3). È da sottolineare oggi anche l’importanza dell’ecografia nel rivelare la presenza di microlitiasi testicolare, oggi accettata quale indice di predisposizione alla neoplasia (Figura 4). Varicocele Il varicocele insorge secondariamente ad un’incompetenza valvolare delle vene testicolari causando dilatazione delle vene del plesso pampiniforme. Nell’85-90% dei casi interessa il lato sinistro, nel restante dei casi è bilaterale. Le varici possono essere viste anche in B-mode, avendo il tipico aspetto “vermiforme” anecogeno (Figura 5a e b). Esistono varie classificazioni di varicocele mediante l’impiego di eco color-Doppler basandosi essenzialmente sulla durata del reflusso in relazione alla manovra di Valsalva (inspirazione a glottide chiusa) e sulla tipo- Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 80 logia dell’onda di reflusso (Figura 6). L’esame dovrà essere condotto sia in clinostatismo che ortostatismo. Possiamo schematizzare il reflusso in tre tipi: reflusso breve (<1 sec) fisiologico; reflusso intermedio (<2 sec) terminando prima della conclusione della manovra di Valsalva; reflusso permanente (>2 sec) con aspetto a plateau; Non è correlato con il diametro della vena spermatica. L’eco color-Doppler, oltre a una valutazione emodinamica, permette un valutazione morfologica: una vena spermatica con diametro >3 mm può avere una continenza normale, una vena spermatica con diametro <2 mm è raramente incontinente. L’importanza della diagnosi di varicocele nei ragazzi è testimoniata del dato che il testicolo dal lato interessato mostra una riduzione di volume e consistenza in circa il 70% dei casi. Anche se questo danno non pare determinare un’alterazione della qualità dello sperma, comunque la restitutio ad integrum del didimo è documentata facendo assumere all’intervento correttivo un valore profilattico. Criptorchidismo Il criptorchidismo è stato trovato in circa lo 0,2-0,8%. Le cause meccaniche di maggior importanza sono: corda spermatica corta; canale inguinale stretto; inadeguato sviluppo del gubernaculum testis; fibrosi o adesività sulle vie di discesa. La diagnosi di criptorchidismo è basata essenzialmente sull’esame obiettivo e, poi, dall’ecografia. Il ruolo dell’imaging è ancora in discussione, dal momento che molti chirurghi preferiscono effettuare diagnosi e trattamento nello stesso tempo chirurgico. L’esame ecografico riesce molto frequentemente a dimostrare una gonade sfuggita alla valutazione clinica. La dimostrazione di una massa ipoecogena nel canale inguinale, con caratteri del didimo originario è praticamente diagnosi di certezza. La ricerca deve essere effettuata nello Figura 5. Varicocele di III grado A e B = B-mode; C = color flow-doppler: evidenza del reflusso. A B C scroto, nel perineo, nel canale inguinale e va estesa all’area soprainguinale e anche all’apparato urinario ricercando eventuali anomalie concomitanti (1-2%). L’ecografia è di grande utilità sia nella fase diagnostica del criptorchidismo sia nel follow-up della terapia medica o chirurgica. In caso di ritenzione all’anello inguinale interno o nell’addome, la Risonanza Magnetica oggi riveste senz’altro un ruolo di primaria importanza. Conclusioni L’ecografia è oggi un metodo accurato, rapido e sicuro nell’imaging dei disturbi dello scroto nell’età adolescenziale ed in generale. Scripta MEDICA Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale 81 L’incremento nella risoluzione, grazie all’ausilio del color flow Doppler consente di migliorare notevolmente la diagnostica differenziale sia nelle patologie vascolari che neoplastiche, dando al Clinico Pediatra informazioni irrinunciabili, sia per l’approccio terapeutico che per il follow-up. Bibliografia 1. Cohen HL, Tice HM, Mandel FS. Ovarian volumes measured by ultrasound: bigger than we think, Radiology 1990; 177:189-192 2. Buttram VC, Gibbons WE. Mullerian anomalies: a proposed classification. (An analysis of 144 cases). Fertility and Sterility 1979; 32:40-46 3. Goldzieher M, Green JA. The policystyc ovary. Clinical and histologic features. J Clin Endocrinol Metab 1962; 22:325-338 4. Ardaens Y, Robert Y, Lemaitre L, Fossati P, Dewailly D. Polycystic ovarian disease: contribution of vaginal endosonography and reassessment of ultrasonic diagnosis. Fertility and Sterility 1991; 55:1062-1068 5. Robert Y, Dubrulle F, Gaillandre G, et al. Ultrasound assessment of ovarian stroma hypertrophy in hyperandrogenism and ovulation disorders: visual analysis versus computerized quantification. Fert Steril 1995; 64:307-312 6. Feld R, Middleton WD. Recente advances in sonography of the testis and scrotum. Radiol Clin North Am 1992; 30:1033-1051 7. Atkinson GO jr, Patrick LE, Ball TI jr, et al. The normal and abnormal scrotum in children: evaluation with Color Doppler sonography. AJR 1992; 158:613-617 8. Jecquier S, Patriquin H, Filiatrault D, et al. Duplex Doppler sonography examinations of the testis in prepubertal boys. J Ultrasound Med 1993; 12:317-332 Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 83 L’influenza dei polli Guglielmo Gargani La peste aviaria La peste aviaria, oggi meglio indicata come “influenza aviaria” o anche HPAI (Higly Pathogenic Avian Influenza) fu descritta per la prima volta da E. Perroncito nel 1878, in Italia, come una malattia dei polli a decorso acuto o iperacuto: dopo 3-7 giorni di incubazione l’animale ha piumaggio arruffato, inappetenza, diarrea acquosa, temperatura elevata, cianosi della cresta; non produce uova o se le produce queste sono prive di guscio. La morte interviene 24-48 ore dall’inizio dei sintomi; solo raramente la malattia si prolunga per una settimana ed eccezionalmente si evolve a guarigione. La diffusione epidemica suggeriva l’esistenza di un agente infettivo e nel 1901 Centanni e Savonuzzi dimostrarono, mediante prove di filtrazione, la presenza nelle escrezioni (principalmente feci) di un virus, che nel 1955 fu identificato come un Orthomixovirus del tipo A. In tal modo fu ben differenziata la peste dalla pseudopeste aviaria o malattia di Newcastle, descritta nel 1927 da Doyle, che è provocata da un Paramixovirus. Gli Orthomixovirus Il termine Orthomixovirus è utilizzato esclusivamente per i virus dell’influenza, precedentemente riuniti con altri, come quelli della parotite, del morbillo, della malattia di Newcastle, nel gruppo Mixovirus, che è caratterizzato dalla presenza di RNA a singola elica con polarità negativa e dalla affinità per le mucose degli animali a sangue caldo. Nei virus influenzali si distinguono tre “tipi”, A, B, C, in realtà più che “tipi” virus diversi per Professore Emerito di Microbiologia, Università di Firenze caratteristiche molto importanti sia intrinseche sia estrinseche: Solo il tipo A ha un genoma segmentato, dal quale dipende una notevole variabilità antigene, determinante per i ben noti aspetti epidemiologici di questo tipo di influenza. I virioni hanno un certo pleomorfismo da sferoidali ad allungati con diametro da 80 a 100 mµ, sono avvolti da una membrana lipidica, appoggiata su una struttura proteica, dalla quale sporgono spine di due diversi aspetti: bastoncini triangolari, dotati in vitro di attività agglutinante sui globuli rossi, detti H, da Haemoagglutinine e bastoncini sottili che portano all’estremità un corpo oblungo, dotati di attività enzimatica che provoca in vitro il distacco del virione dal globulo rosso, detti N da Neuraminidasis. È dimostrato che i bastoncini H determinano in natura la adesione del virione alla cellula sensibile, prima fase dell’infezione, e quindi la adattabilità di ospite (host-range) del virus. D’altra parte gli anticorpi anti-H, bloccando l’adesione alle cellule sensibili proteggono dall’infezione e la loro ricerca è alla base delle indagini epidemiologiche volte a ricostruire il percorso dei vari virus sul globo terracqueo. Nei virioni A troviamo un RNA formato da 8 segmenti diversi, a riproduzione indipendente, ciascuno dei quali governa una particolare funzione (Tabella 1). Due geni governano rispettivamente le emoagglutinine (H) e le neuraminidasi (N), un gene governa la proteina associata all’acido nucleico, uno le due proteine Matrix, che formano lo strato profondo della membrana pericapsidica, tre geni governano le RNA polimerasi per la riproduzione dei virioni, due geni governano proteine non strutturali, che non si ritrovano nei virioni maturi, di cui ignoriamo la funzione. Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 84 Tutte queste proteine hanno attività antigene, ben note sono le H, le N e le NP. Quest’ultima differenzia i tre “tipi”, mentre nel tipo A e non negli altri due possono essere presenti 15 diversi antigeni H e 9 diversi antigeni N (Tabella 2); la cui combinazione determina i numerosi sottotipi . La classificazione e la denominazione dei virus influenzali vengono dai seguenti criteri: tipo (A, B, C), animale luogo e data di isolamento, antigene H ed antigene N (Tabella 3). Dei vari sottotipi sono stati finora trovati nell’uomo e nei maiali H1N1, H2N2, H3N2, e recentemente H1N2, nel maiale in Cina H9N2, in Canada H4N6 (che è comunque limitato ad un singolo allevamento), gli altri in vari uccelli ed occasionalmente in qualche mammifero (cavallo, foca, balena, visone) (Tabella 4). Gli Orthomixovirus hanno moderata resistenza ai fattori ambientali, sopravvivono 4 giorni in acqua 22°C e oltre 30 giorni a 0°C. Sono però inattivati dal trattamento con il calore dopo 3h a 56°C, dopo 30min a 60°C; dal pH acido, da agenti ossidanti, da formalina e da composti di iodio. Sopravvivono forse per lunghi periodi in tessuti: H5N1 è stato isolato da carne di anatra (1). I virus degli uccelli Gene Funzione Gene HA Emoagglutinine (15 diverse) Gene NA Neuraminidasi (9 diverse) Gene NP Nucleoproteina associata ad RNA diversa per ciascun tipo A, B, C Gene M Le due proteine Matrix strato profondo del pericapside Gene NS1 Proteina non strutturale 1 a funzione ignota Gene NS2 Proteina non strutturale 2 a funzione ignota Gene PA Polimerasi Gene PB1 Polimerasi Gene PB2 Polimerasi Denominazione e situazione nel virione Specificità Nucleocapside NP A, B, C identificano i tipi Emoagglutinina H 15 diversi in combinazione con N identificano i sottotipi Neuraminidasi N 9 diversi in combinazione con H identificano i sottotipi 1. Tipo (A, B, C) 2. Animale di isolamento (se diverso dall’uomo) 3. Luogo di isolamento 4. Numero assegnato dal centro mondiale 5. Anno di isolamento 6. Antigene H, N (fra parentesi) Esempio A/Hong Kong/156/97 (H5, N1) il virus dai casi umani mortali di Hong Kong nel 1997 A/Goose/Guandong /1/96 (H5, N1) il virus dall’oca nel Guandong nel 1996 Questo termine non ha alcun significato tassonomico, probabilmente tutti i virus A possono trovarsi negli uccelli, ma viene utilizzato comunemente ad indicare gli stipiti virali isolati per la prima volta da questi. È ormai opinione comune che varie specie di uccelli selvatici, soprattutto acquatici, costituiscano il principale deposito di virus A, che è un loro ospite abituale e produce infezioni Tabella 1. I geni dell’“Influenza A”. Tabella 2. Antigeni dei virus influenzali. Tabella 3. Nomenclatura dei virus influenzali. Scripta MEDICA L’influenza dei polli 85 Tabella 4. Ospiti non umani del virus A. Ospite Sottotipi Evoluzione dell’infezione Maiale H1N1, H1N2, H9N2 Grave Cavallo H7N7, H3N8 Benigna Foca H7N7, H4N5 Grave Balena H13N2, H13N9 Benigna Visone H10N Grave Gabbiano e altri uccelli marini H5N1 Asintomatica Anatra selvatica Vari Asintomatica Quaglia Vari Asintomatica H7N1, H7N2, H7N3, H7N7, H5N1, H6N1 Grave H7N7, H5N1, H1N2 Grave Polli Tacchini Nota: L’infezione si trova anche in molte specie aviarie selvagge di solito con evoluzione benigna ed in alcune altre domestiche con evoluzione grave. asintomatiche o paucisintomatiche. Molte di queste specie hanno abitudini migratorie e nei loro voli, spesso transoceanici, diffondono a distanza il virus. Altre specie di uccelli terrestri, prevalentemente domestiche (soprattutto polli e tacchini) possono ospitare occasionalmente i medesimi sottotipi di virus. alcuni dei quali provocano una infezione a decorso rapido spesso con esito letale: la peste aviaria (influenza aviaria). Dagli uccelli domestici questi virus possono passare al maiale e da questo all’uomo, come è stato possibile ricostruire a posteriori per la grande pandemia del 1918 che prese origine dai maiali del “Middle West”, si propagò per contagio interumano in U.S.A. nella primavera, e nell’estate con i soldati americani che venivano a combattere nella “Grande Guerra” passò in Europa, dove fra la fine dell’estate e l’autunno esplose la pandemia che si diffuse in tutto il mondo. Dagli uccelli domestici A (H7N7) e forse dai anche dai selvaggi A (H3N8) l’infezione passa al cavallo, nel quale ha andamento epidemico con evoluzione benigna e nessun passaggio all’uomo o ad altra specie. Dagli uccelli selvatici l’infezione passa alle foche (2), nelle quali decorre in modo acuto, spesso con esito letale, ma non si diffonde ad altre specie, alle balene (3) e a qualche altro mammifero marino nell’Oceano Artico, nei quali l’infezione è benigna e autolimitante, ed infine al visone, nel quale provoca polmonite che si diffonde in modo epidemico negli allevamenti, con grave danno economico (4). Da queste quattro specie non risulta contagio all’uomo. La trasmissione diretta dagli uccelli all’uomo si è osservata occasionalmente, negli ultimi mesi con notevole impatto mediatico in Asia orientale e sud orientale, e la possibilità di qualche caso di trasmissione secondaria interumana non è da escludersi (vedi oltre). L’influenza dei polli I sottotipi di virus A che infettano il pollame domestico hanno, con poche eccezioni, antigeni H5 ed H7, dall’antigene H dipende infatti la adattabilità di ospite, e antigeni N variabili. Sulla base di criteri epidemiologici, poi confermati da prove di virulenza sperimentale (5) e dall’esame dei profili genetici, questi stipiti Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 86 sono stati distinti, indipendentemente dalla classificazione antigene, fra HPAI (High Pathogenic Avian Influenza) e LPAI (Low Pathogenic Avian Influenza) (6). Gli animali che hanno superato una infezione benigna da LPAI sono protetti da una successiva con HPAI. È d’altra parte possibile che una epidemia di HPAI avvenga in seguito a mutazione e successiva selezione da virus LPAI già circolante nel territorio, come è avvento nel 1999-2000 in nord Italia (7). I virus eliminati con le feci e in minor misura per via respiratoria, sopravvivono nell’ambiente, così che il contagio avviene per contaminazione degli alimenti, inclusa l’acqua, mentre quello per via aerogena è possibile solo se gli animali sono molto vicini e vi è movimento dell’aria. In un focolaio in Pennsylvania si è dimostrato che certe mosche, catturate negli immediati dintorni degli animali infetti, erano fonte di virus. Focolai di HPAI sono stati descritti in Australia, Inghilterra, Sud Africa, Scozia, Irlanda, Olanda, Messico, Pakistan, U.S.A, Italia, Olanda, Cina, Viet-Nam, Giappone Tailandia, Indonesia. Le perdite economiche più gravi si verificano negli allevamenti di tacchini. In U.S.A. nei mercati di polli vivi oltre ad H7N2 furono isolati H7N3, H7N7. Nel 1999 in Missouri fu isolato da tacchini H1N2. Questo sembra un riassortimento abbastanza complesso di geni da virus suini, umani e aviari ed è simile ai recenti isolati dal suino nel Midwest (8). In Italia il primo focolaio fu identificato in allevamenti domestici e semi industriali nel 1997 (7); attribuito a H5N2, di moderata virulenza, fu rapidamente bloccato, senza eccessive perdite economiche, dalle misure profilattiche. Il secondo episodio fra il 1999 ed il 2000, da virus H7N1, fu invece di notevole gravità. Dal primo focolaio in un allevamento di tacchini (con 100% di mortalità), si diffuse rapidamente negli allevamenti industriali di Veneto e Lombardia con 413 focolai (colpiti polli tacchini, quaglie, fagiani, anatre e struzzi). Indagini sierologiche con esito negativo furono eseguite su 249 individui fra gli addetti agli allevamenti, come negative furono quelle culturali su 6 tamponi faringei dalla medesima popolazione (9). Nel 2002 fu isolato in Italia da polli con modesta sintomatologia respiratoria un virus umano H3N2 (10), che riprodusse la sintomatologia in polli infettati sperimentalmente. I virus aviari e l’uomo La prima sporadica segnalazione di infezione umana da virus aviari risulta, per quanto a mia conoscenza, una congiuntivite da H7N1 in Gran Bretagna nel 1995, posta in relazione con un focolaio epidemico nelle anatre. Due anni più tardi nel maggio 1997 a Hong Kong, mentre era in corso una epizoologia ad elevata letalità nei polli del mercato, fu coltivato da una bambina, affetta da morbo di Reye, deceduta con sintomatologia respiratoria ad evoluzione letale, un virus identificato come A (H5N1). Questa morte, benché probabilmente dovuta alla patologia di base, ricevette maggiore attenzione della congiuntivite di due anni prima in Gran Bretagna e provocò una accurata sorveglianza delle malattie respiratorie umane, così che entro la fine del 1997 si identificarono altri 18 casi di malattia respiratoria, 6 dei quali ad evoluzione fatale, attribuiti al medesimo virus. Non si riuscì a precisare la modalità del contagio, pur escludendo quello interumano, ma i pazienti erano stati tutti a stretto contatto con i polli del mercato e di conseguenza si provvide alla eliminazione di tutti i capi sospetti (un milione e mezzo), bloccando ogni ulteriore diffusione della infezione. Le ricerche ambientali nei mercati dimostrarono sia nel materiale proveniente da polli o altri volatili, sia in quello dalle gabbie, la presenza, nel 20% dei campioni, del virus A (H5N1) e, nel 5%, di un altro virus A (H9N2) con qualche caso di coinfezione. Indagini sierologiche parallele negli addetti a questi mercati rilevarono una discreta frequenza di anticorpi anti H5 ed H9, dimostrando il passaggio dell’infezione dai polli all’uomo, fortunatamente senza evoluzione in malattia (11). Il passaggio del virus A (H9N2) all’uomo fu osservato nel 1998 in Cina (Guangdong) con l’isolamento da 5 casi di sintomatologia simil- Scripta MEDICA L’influenza dei polli 87 influenzale, in concomitanza con la presenza negli allevamenti suini, e successivamente nel marzo 1999, quando fu isolato da due bambine rispettivamente di 4 anni e di 13 mesi ricoverate con sintomi influenzali ad evoluzione favorevole in due diversi ospedali del territorio di Hong Kong (Kowloon e Isola). L’analisi molecolare dimostrò una notevole vicinanza degli stipiti dalle bambine con quelli del 1997 da una quaglia (considerato stipite tipo) e da polli del mercato di Hong Kong. La presenza poi dei sei geni delle proteine non di superficie molto simili a quelli di H5N1 dimostrerebbe una ricombinazione genetica, già suggerita dai pochi casi di coinfezione rilevati nei polli nel 1997. I due casi del 1999 sono da considerare la continuazione della epidemia del 1997, mentre non hanno nulla a che vedere con i 5 casi del Guangdong del 1998. Nel febbraio del 2003 è comparsa in Olanda una grave epizoozia in allevamenti di polli da virus A (H7N7), alla quale sono associati casi umani nelle persone addette e relative famiglie. Al 25 aprile erano stati confermati 83 casi, prevalentemente di congiuntivite, sporadicamente associata a sintomi similinfluenzali, tutti ad evoluzione favorevole tranne in un veterinario di 57 anni nel quale una grave sintomatologia respiratoria ebbe invece evoluzione letale L’interesse di questo focolaio è soprattutto la trasmissione da due pazienti a tre famigliari della congiuntivite, in un caso accompagnata da sintomatologia similinfluenzale. Quasi contemporaneamente nel febbraio 2003 due casi da virus A (H5N1) furono diagnosticati in una singola famiglia di Hong Kong: un bambino ed il padre, il primo con evoluzione benigna, il secondo con evoluzione letale. Tutti i quattro membri della famiglia presentavano sintomatologia respiratoria ed avevano viaggiato nella provincia cinese di Fujian, dove una figlia era morta. Non ci fu alcun elemento per verificare se tutta la famiglia si era infettata da una singola fonte comune o se c’era stato contagio interumano Nel 2003 epizoozie di influenza aviaria da virus A (H5N1) comparvero nell’Asia orientale e sud-orientale, Cina, Corea del Sud, Giappone e Viet-Nam, più tardi Tailandia, infine Indonesia. In concomitanza con queste, furono registrati, a partire dal 23 ottobre, in Viet-Nam, dapprima nelle provincie settentrionali poi in quelle meridionali, 16 casi di sindrome similinfluenzale ad evoluzione grave: dei 7 dai quali fu coltivato A (H5N1) 6 (5 bambini ed una donna di 30 anni) morirono. Successivamente nel gennaio fu individuato un focolaio familiare di 4 persone, con tre morti, per due di questi non si è accertato contatto con polli infetti e si pone quindi l’ipotesi di un contagio interumano. Nella seconda metà di gennaio comparvero in Tailandia casi simili e da tre, di cui uno ad evoluzione letale, fu coltivato il medesimo virus e al 2 febbraio un successivo caso. Nello stesso paese fu segnalata una possibile trasmissione interumana in una famiglia. Tre nuovi casi furono infine confermati in Viet-Nam il 3 febbraio con un decesso (12) La Cina comunicò il 29 gennaio che la malattia si era diffusa nei polli nelle provincie di Hunan e Hebec ed era stata segnalata in un allevamento di anatre nel Guaxi fin dal 27; e il 2 febbraio l’estensione ad altre regioni. Comunque nessun caso nell’uomo. Percorso epidemico dei virus A (H5N1) e A (H9N2) Il virus A (H5N1) fu isolato per la prima volta nel 1961 in sud Africa da un gabbiano, negli anni successivi da varie specie di uccelli selvatici, e da anatre e polli domestici, solo in questi ultimi il decorso dell’infezione è grave e la letalità elevata, sopra tutto in Asia orientale dove ha acquistato un notevole grado di virulenza (fino al 100% dei polli colpiti). Il sequenziamento degli stipiti dai casi umani ha dimostrato diversità da quelli precedenti isolati in Asia orientale ma la presenza dei soli aviari. Almeno per gli stipiti di Hong Kong (il sequenziamento per quelli di Hanoi è ancora incompleto) fu rilevata inoltre tendenza alla sostituzione di amino acidi delle proteine interne. Questa tendenza e la possibilità accertata per i virus aviari di doppia infezione della medesima cellula potrebbero portare a ricombinazioni con geni umani. Il virus A (H9N2) fu isolato la prima volta in Nord America nel tacchino, poi nella quaglia Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 88 e nei polli, associato a modesta Paese sintomatologia respiratoria, quindi fra il 1975 e il 1985 cirKorea colò in Asia esclusivamente nell’anatra, senza apparente Vier Nam sintomatologia, e a partire dai Giappone primi anni ’90 nei polli, accompagnato da eventi patoTailandia logici, in Cina ed in Corea. La ricombinazione con A (H5N1) Cambogia è dimostrata negli stipiti isolati Cina nei casi umani di Hong Kong che contengono i geni per le Laos proteine non di superficie di questo. I casi umani segnalati Indonesia sono comunque sporadici. Candidato a divenire agente di pandemia è per il momento solo il virus A (H5N1), che si è diffuso rapidamente fra gli uccelli domestici in Asia orientale e sud-orientale ed è l’unico ad aver dato un certo numero di casi di influenza nell’uomo (Tabella 5) ad alta letalità per contagio diretto mentre rimane dubbio, ma non da escludere, per gli ultimi casi descritti il contagio interumano, benché nei genomi finora sequenziati siano assenti geni dei virus dell’influenza umana. Perché dagli sporadici casi di contagio all’uomo si possa passare ad una catena di contagi interumani, che sfocerebbe senza alcun dubbio in una pandemia per la completa assenza di resistenze immunitarie, è necessaria una ricombinazione con geni da sottotipi dotati di capacità diffusive nella popolazione umana, che potrebbe avvenire nel maiale, come nel 1918, quando la pandemia cominciò nei maiali del Middle West (U.S.A.). Attualmente in Cina non c’è stata dimostrazione diretta del virus nel maiale, ma anticorpi H1, H3, H4 ed H5, sono stati identificati (13) in campioni di siero raccolti fra il 1977 e il 1988 e anche anticorpi H9 in campioni del 1998, quando questo virus si è diffuso nei polli. D’altra parte lo stipite A/teal/Hong Kong/W312/97 (H6N1) isolato in Cina da una anatra d’acqua e poi dai polli e gli umani H5N1 e H9N2, colpevoli dei piccoli focolai di Hong Kong 1997 e 1999 hanno geni simili per le proteine interne: il primo potrebbe Casi umani No Si No Si No No No No essere quindi un altro candidato per un nuovo virus umano (14) La trasmissione interumana sarebbe stata possibile in almeno tre focolai famigliari, nei quali tuttavia non si può escludere la contaminazione da una singola fonte di infezione. È possibile che ci sia un progressivo adattamento all’uomo con contagio per ora solo nel caso di stretti contatti, come possono verificarsi in ambiente famigliare. Comunque al momento le drastiche misure di eliminazione dei polli, unite a scopo precauzionale alla proibizione dei mercati di pollame vivo, come già si fa in Europa, dovrebbe essere sufficiente a bloccare l’attacco di questo virus, come ad Hong Kong nel 1997. La WHO si è comunque attivata per ridurre la frequenza di malattia e di morte da virus A (H5N1) fra gli uomini, e contemporaneamente abbassare le probabilità di una nuova pandemia influenzale. Una visione ottimistica potrebbe essere suggerita dalla nostra conoscenza delle glicoproteine di superficie dei virus candidati, dalle quali allestire vaccini, che sarebbero già pronti per la nuova pandemia, al contrario di quanto avvenne nel 1957 e nel 1968 quando, al momento della esplosione su scala mondiale dell’influenza, era ancora ignota la struttura antigene del nuovo virus ed occorsero alcune settimane per sviluppare il vaccino ed ancora di più per produrne quantità sufficienti. Tabella 5. Focolai confermati di influenza da H5N1 nei polli e relativi casi umani al 4 febbraio 2004 (WHO). Scripta MEDICA L’influenza dei polli 89 Bibliografia 1. Lu XH; Cho D, Hall et al. Pathogenesis of and immunity to a new influenza A (H5N1) virus isolated from duck meat . Avian Dis 2003; 47 (suppl):1135-40 2. Hinshaw VS, Bean WJ, Webster RG et al. Are seals frequently infected with avian influenza viruses. J Virol 1984; 51: 863-65 8. Suarez DL, Spackman E, Senne DA. Update in molecular epidemiology of H1, H5, and H7 influenza virus infections in poultry in North America. Avian Dis 2003; 47 (supp):888-97 9. Capua L, Marinelli F, Pozza MD et al. The 19992000 avian influenza (H7N1) epidemic in Italy: veterinary and human health implication. Acta Trop 2002; 83: 7-11 3. Hinshaw VS, Bean WJ, Geraci P et al. Characterisation of two influenza A viruses from a pilot whale . J Virol 1986; 58: 655-56 10. Campitelli L, Fabiani C, Puzelli S et al. 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Sesso maschile Età avanzata Recente ospedalizzazione Gravidanza Cateterismo urinario Recente intervento urologico Anomalie morfo-funzionali del tratto escretore Recente uso di antibiotici Diabete mellito Immunodepressione Specialista in Anatomia e Istologia Patologica e Tecniche di Laboratorio senza di alcuni fattori di rischio (Tabella 1) (1) può orientare la diagnosi che deve essere tuttavia confermata da più approfonditi accertamenti. Nell’adulto la forma più frequente di IVU è rappresentata dalla cistite acuta non complicata che colpisce prevalentemente i soggetti di sesso femminile sessualmente attivi con un’incidenza dello 0,5 per persona/anno (2). Eziologia delle IVU non complicate Gli studi microbiologici hanno evidenziato differenze tra i patogeni responsabili delle IVU non complicate e quelli che causano le forme complicate. Nonostante la rilevanza delle IVU, mancano dati italiani sulla loro epidemiologia e sono solo disponibili i risultati relativi a studi osservazionali ad hoc. Uno di questi ha valutato l’epidemiologia delle IVU in 1805 pazienti afferenti agli ambulatori specialistici diffusi su tutto il territorio nazionale: nel 40% dei casi l’urinocoltura ha dato esito positivo ed i principali germi riscontrati sono stati i seguenti (3): Escherichia coli 69% Proteus mirabilis 10,5% Klebsiella spp 5,7% Pseudomonas aeruginosa 4,3% IVU non complicate: fattori di rischio La grande differenza di prevalenza delle IVU tra donne e uomini sembra essere la conseguenza di svariati fattori proteggenti il maschio come la maggior distanza tra ano e meato uretrale, l’ambiente più secco dell’area periuretrale, la maggior lunghezza dell’uretra e l’attività antibatterica del li- Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 92 Figura 1 Rischio di infezione delle vie urinarie nella donna in relazione alla frequenza settimanale dei rapporti sessuali (2). 10 9,0 9 8 7 Rischio relativo quido prostatico (4). Nel sesso femminile gli uropatogeni nella maggior parte dei casi originano dalla flora batterica rettale e, dopo aver colonizzato la vagina ed i tessuti periuretrali, raggiungono la vescica attraverso l’uretra (5). La colonizzazione della vagina è ritenuta un prerequisito essenziale per la diffusione dell’uropatogeno nella vescica ed i fattori che favoriscono le IVU incrementano il rischio facilitando l’innidamento batterico vaginale (5). Poiché i fattori di rischio sono differenti tra uomo e donna e nelle differenti età della vita, appare utile distingue le seguenti tipologie di soggetti: 6,6 6 4,8 5 4 3,5 3 2,6 1,9 2 1,4 1,0 1 Donne prima della menopausa I rapporti sessuali e l’uso di spermicidi (particolarmente se associati all’impiego del diaframma) sono i fattori per cui esiste una chiara dimostrazione dell’aumento del rischio di IVU nelle giovani donne (2). Uno studio condotto in studentesse universitarie ha dimostrato che 3 rapporti sessuali a settimana incrementano il rischio relativo di UVI di 2,6 volte, mentre se il rapporto sessuale è quotidiano il rischio è di 9 volte superiore rispetto a quello di un’equivalente popolazione di confronto in cui non vi sono stati rapporti sessuali in quella determinata settimana (2) (Figura 1). I rapporti sessuali nelle giovani donne aumentano il rischio di IVU attraverso il trasporto meccanico degli uropatogeni in vescica (6) e, probabilmente, anche trami- 0 Controlli senza rapporti sessuali 1 2 3 4 5 6 7 Giorni della settimana con rapporti sessuali te un effetto microtraumatico (7). Studi sperimentali e clinici hanno precisato il ruolo favorente le IVU esercitato dagli spermicidi: quest’ultimi, infatti, alterando l’ecosistema vaginale (in particolare agendo sui lattobacilli produttori di H2O2), favoriscono la colonizzazione da parte degli uropatogeni che successivamente possono agevolmente raggiungere la vescica (8-12). Anche l’impiego di alcuni antibiotici, ed in particolare dei β-lattamici, può indurre dismicrobismo vaginale a favore degli uropatogeni, con conseguente incremento del rischio di IVU (13): quest’ulti- mo tuttavia aumenta dopo 15-28 giorni dall’assunzione dell’antimicrobico in quanto nei giorni precedenti il paziente è protetto dalle infezioni dall’effetto stesso.dell'antibiotico (14). Donne dopo la menopausa Nelle donne anziane è il basso livello estrogenico che sembra giocare un ruolo favorente l’insorgenza delle IVU (2). In uno studio di intervento, condotto in doppio cieco, Raz e Stamm (15) hanno dimostrato che il trattamento topico intravaginale con estrogeni dimezza la colonizzazione della vagina da parte di Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 93 Escherichia coli, riequilibra la flora lattobacillare e riduce marcatamente l’incidenza delle IVU. Molto recentemente Stern et al. (16) hanno evidenziato che anche nelle donne anziane, analogamente a quanto avviene negli uomini anziani, le IVU sono correlate all’entità del residuo post-minzionale e che quest’ultimo, a sua volta, può essere migliorato dalla terapia estrogenica sostitutiva. re associate ad alterazioni strutturali e funzionali delle vie urinarie: questi dati indicano pertanto che anche le IVU che compaiono negli uomini giovani non necessitano obbligatoriamente di indagini radiologiche, endoscopiche o urodinamiche. Uomini giovani Negli uomini giovani le IVU non complicate sono rare ed i fattori di rischio sono rappresentati dai rapporti sessuali con donne infette e dall’omosessualità (5). Occorre tuttavia segnalare che nell’uomo i ceppi degli uropatogeni tendono ad essere marcatamente virulenti (17). Le IVU sono tradizionalmente ritenute dei processi infettivi acuti, spesso autolimitanti, causati principalmente da ceppi non invasivi di Escherichia coli. Questo concetto, tuttavia, è stato recentemente modificato da osservazioni che hanno mostrato come nella cistite acuta l’infezione sia il risultato di una complessa serie di interazioni tra patogeno e ospite che determinano l’invasione e la persistenza batterica tissutale (19). Nel caso dell’Escherichia coli, è il diverso profilo degli antigeni batterici di superficie O (somatici), H (flagellari) e K (capsulari) a condizionare l’organotropismo dei vari cloni batterici. Infatti si ritiene che il sierogruppo somatico di questo batterio sia in grado di orientare in una sede predeterminata il processo di colonizzazione-infezione [alcuni sierogruppi O possiedono tipi di Abarbanel et al. (18), in uno studio condotto su uomini con età inferiore a 45 anni, hanno evidenziato che in questa categoria di soggetti le IVU non sono in gene- Fattori di virulenza degli uropatogeni adesine adeguate alla mucosa del tratto urinario, altri sono forniti di fattori per la colonizzazione (intimine)], mentre gli altri antigeni maggiori H e K modulano la suscettibilità del ceppo alla difesa anticorpale e macrofagica espressa dall’ospite (20). Tra i fattori di virulenza dei microrganismi infettanti le vie urinarie un ruolo determinante spetta alla capacità di aderenza batterica alle cellule uroteliali: infatti attraverso questa proprietà il batterio si oppone al meccanismo di lavaggio costituito dal flusso urinario. La capacità di aderire all’urotelio può essere mediata da fimbrie o da adesine non fimbriali (glicocalice, capsula batterica, proteine di membrana). Le fimbrie P sono strutture in grado di aderire a specifici recettori presenti sulla superficie delle cellule uroteliali (21): la più elevata suscettibilità alle infezioni urinarie del sesso femminile è stata attribuita a alcuni Autori ad una maggior possibilità di adesione offerta dall’ambiente vaginale alle fimbrie P (22, 23). Studi recenti hanno evidenziato che l’Escherichia coli, una volta sopraffatte le difese dell’ospite (afflusso di neutrofili ed esfoliazione cellulare) si annida entro le cellule uroteliali formando biofilm in cui i batteri sono immersi in una matrice polisaccaridica circondata da un guscio protettivo di uroplachina (24). Questa modalità di organizzazione renderebbe i batteri meno sensibili nei confronti delle difese dell’ospite e favorirebbe la loro persistenza in loco. Scripta M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004 94 Bibliografia 1. Naber KG, Bergman B, Bishop MC, et al. EAU guidelines for the management of urinary and male genital tract infections. Urinary Tract Infection (UTI) Working Group of the Health Care Office (HCO) of the European Association of Urology (EAU). Eur Urol 2001; 40:576 2. Hooton TM, Scholes D, Hughes JP, et al. A prospective study of risk factors for symptomatic urinary tract infection in young women. N Engl J Med 1996; 335:468 3. Ferri C. Epidemiologia e clinica delle IVU nel contesto italiano. Informed 2003; 6 (4):7 4. Lipsky BA. Urinary tract infections in men. Epidemiology, pathophysiology, diagnosis, and treatment. Ann Intern Med 1989; 110:138 5. Hooton TM. Pathogenesis of urinary tract infections: an update. J Antimicrob Chemother 2000; 46 (Suppl 1):1 6. Hooton TM, Hillier S, Johnson C, et al. Escherichia coli bacteriuria and contraceptive method. JAMA 1991; 265:64 7. Foxman B, Marsh J, Gillespie B, et al. 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