Marzo - Anno 7 - n. 3 - 2004
La terapia conservativa
dell’insufficienza renale cronica
Giorgio Splendiani
Stefano Condò
Obesità e apnea
Antonio D’Alessandro
Annalisa Aggio
Attualità in tema
di ecografia gonadica
in età adolescenziale
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Giuseppe Raiola
Vincenzo Arcuri
Domenico Salerno
Maria Concetta Galati
Fortunato Serrao
Maria Vittoria Guerra
L’influenza dei polli
Guglielmo Gargani
PRIMO PIANO
Infezioni delle vie urinarie
non complicate
Pietro Cazzola
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
49
La terapia conservativa
dell’insufficienza renale cronica
Scripta
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Obesità e apnea
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Attualità in tema di ecografia gonadica
in età adolescenziale
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L’influenza dei polli
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PRIMO PIANO
Infezioni delle vie urinarie non complicate
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
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La terapia conservativa
dell’insufficienza renale cronica
Giorgio Splendiani, Stefano Condò
glomeruli meno danneggiati conduce ad un
loro rapido deterioramento (sindrome da iperfiltrazione) (1).
Per insufficienza renale cronica si intende
L’iperfiltrazione e l’ipertensione, scatenata
una sindrome clinica caratterizzata da una
dall’attivazione del sistema RAA, aggravano
riduzione graduale e irreversibile della funl’eventuale proteinuzione renale sia in
ria già esistente o ne
senso
emuntorio
provocano la comche endocrino con
Evoluzione verso l’insufficienza renale cronica
parsa per alterazioni
naturale tendenza
a ca-rico della memprogressiva. Si pos- 1. Fase iniziale. Filtrato glomerulare >50% del normale con compenso biochimico-metabolico e
brana basale glomesono distinguere tre
assenza di sintomi clinici.
rulare. L’aumentato
fasi: iniziale, conclatraffico proteico atmata e terminale
Prevenzione
traverso la membra(Tabella 1).
na basale glomerulaIl danno renale inire induce alterazioni
ziale, qualunque sia 2. Fase conclamata. Filtrato glomerulare <50% del
prevalentemente a
normale; segni laboratoristici dello scompenso
l’eziologia, provoca
funzionale (incremento dei valori di creatininecarico delle cellule
riduzione della masmia e azotemia); poliuria, nicturia, astenia.
epiteliali.
sa renale.
Il tubulo tende a riasLa riduzione della
Terapia conservativa
sorbire le proteine
massa renale induceche vengono filtrate
nel tempo ipertrofia
dal glomerulo; supeanatomica e funzio- 3. Fase terminale. Filtrato glomerulare <10% del
normale; compromissione multisistemica conserata la capacità massinale dei nefroni suguente all’accumulo di cataboliti azotati.
ma di riassorbimento
perstiti. Questa iperdelle proteine, le stestrofia “compensatose vengono perse con
ria”, si instaura atTabella 1.
traverso un aumento Il passaggio dalla fase iniziale (asintomatica) alla fase le urine. L’aumentato
del flusso e della conclamata (sintomatica) può essere arrestato da un transito, attraverso lo
pressione nei capilla- trattamento di prevenzione secondaria. Il passaggio spazio tubulo-interdalla fase conclamata alla fase terminale può essere
stiziale, delle proteine
ri glomerulari; deter- rallentato con una terapia definita conservativa.
riassorbite, causa un
minante a tal fine è
rilascio di citochine e
l’attivazione del sistefattori di crescita (IL, TNF, PDGF, TGF, IFN) da
ma renina-angiotensina-aldosterone (RAA).
parte delle cellule tubulari con conseguente
Con l’andare del tempo questi fenomeni comtrasformazione dei fibrociti dell’interstizio in
pensatori finiscono tuttavia per rilevarsi svanfibroblasti e successiva sclerosi interstiziale
taggiosi; l’aumento del carico funzionale sui
(Figura 1) (2).
È oramai universalmente accettato che la
Cattedra di Nefrologia Università Tor Vergata, Roma.
proteinuria è un fattore di rischio indipen-
Introduzione
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
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dente per il progressivo
deterioramento della funzionalità renale (2).
I principi di terapia si basano
sull’uso di farmaci che agiscono prevalentemente sulla
riduzione della proteinuria.
Due sono livelli di intervento da poter mettere in atto:
la prevenzione, che impedisce il passaggio tra fase
iniziale e conclamata;
la terapia conservativa,
che entra in gioco quando
la prevenzione ha fallito
(Tabella 1).
Prostaglandine
Angiotensina II
Fibronectina
Collagene
PP
Prevenzione
IL, TNF, PDGF,
TGF, IFN
La prevenzione si attua con
l’uso di farmaci che riducono l’iperfiltrazione e la proteinuria.
Possono essere divisi per categoria (Tabella
2).
FA R M A C I
Farmaci immunodepressivi
I farmaci immunodepressivi di comune uso
clinico sono indicati nella Tabella 3.
Gli steroidi possono essere usati in boli (prevalente azione citolitica) o a dosaggi inferiori (prevalente azione anti-infiammatoria).
In caso di steroido-resistenza o di intolleranza si ricorre agli agenti alchilanti (azione
citolitica).
I farmaci inibenti le calcioneurine sono efficaci nel controllo della proteinuria ma hanno
nefrotossicità ed effetto solo transitorio (rapida recidiva dopo la sospensione).
Farmaci vasoattivi (Tabella 4)
Modificano il flusso e la pressione intraglomerulare, vasodilatando l’arteria efferente (ACEinibitori e sartani) o vasocostringendo l’arteriola afferente (FANS, COX2 -i) (Figura 2).
Tra i farmaci vasoattivi indichiamo:
ACE-inibitori (es. ramipril: 5-10 mg/die):
hanno un’azione inibente sull’angiotensina
II e sul catabolismo della bradichinina, con
conseguente prevalenza dell’azione vasodi-
Immunodepressivi
Vasoattivi
Antiproliferativi
Antiaggreganti
Ipolipemizzanti
Antiossidanti
latatrice sulla arteriola efferente. Gli ACEinibitori sono i più efficaci rispetto agli altri
farmaci antipertensivi nel ridurre la proteinuria e la progressione delle nefropatie
croniche diabetiche e non (3, 6).
Sartani: bloccano i recettori AT1 dell’angiotensina, ma non gli AT2 che sembrano
avere azione vasodilatatrice.
Calcioantagonisti (verapamil: 120 mg/die;
diidropiridinici long-acting: 10 mg/die):
hanno un’azione sul controllo dell’ipertensione; alcuni calcioantagonisti (in particolare non-diidropiridinici) hanno un effetto
Figura 1.
Aumentato
traffico proteico.
In condizioni normali le proteine
filtrate dal glomerulo sono interamente riassorbite
dal tubulo. Se
aumenta il flusso
glomerulare (per
azione vasodilatante delle prostaglandine) o
aumenta la pressione glomerulare
(per vasocostrizione dell’arteriola
efferente da
parte dell’angiotensina II) aumenta la proteinuria.
Tabella 2.
Farmaci
per la prevenzione
della progressione
verso
l’insufficienza
renale cronica.
Scripta
MEDICA
La terapia conservativa dell’insufficienza renale cronica
53
Tabella 3.
Farmaci
immunodepressivi
Tabella 4.
Farmaci
vasoattivi
Metil
prednisolone
In bolli: 1 gr x 3 gg
Prednisone
Per os: 1 mg/kg/die
Ciclofosfamide
In boli: 0.5-1 gr/mese
Per os: 2-3 mg/kg/die
Micofenolato
Mofetil
Per os: 500 mg x2/die
Azatioprina
Per os: 1 mg x2/die
Clorambucil
Per os: 0.2-0.3 mg/kg/die
Ciclosporina
Per os: 3-6 mg/kg/die
FK 506
Per os: 0.15 mg/kg/die
ACE-inibitori
Es. Ramipril
5-10 mg/die
AT1 antagonisti
Es. Losartan
50 mg/die
CA++ antagonisti
Es. Verapamil
Es. Diidropiridinici
long acting
Anti-prostaglandine
Es. Meclofenamato
Es. Rofecoxib
Figura 2.
L’arteriola
afferente
presenta vasocostrizione dopo
somministrazione
di FANS e COX2-i .
L’arteriola
efferente si dilata
dopo blocco
dell’angiotensina
e incremento
della bradichinina
(azione degli ACE-i).
ACE-i, Sartanici
antiproteinurico e reno-protettivo parzialmente indipendente dal controllo dei valori pressori (7).
Anti-prostaglandinici (meclofenamato: 250
mg/die; rofecoxib: 12,5 mg/die): hanno un’azione prevalentemente inibente l’attività prostaglandinica con conseguente vasocostrizione
dell’arteriola afferente (8, 9).
Lo scopo della terapia vasoattiva, che vasocostringe l’arteriola afferente e vasodilata l’arteriola efferente, è quello di diminuire la pressione intraglomerulare con conseguente riduzione della proteinuria e rallentamento della
progressione del danno renale (Figura 2).
Farmaci antiproliferativi
Ancora non disponiamo di farmaci ad esclusiva azione antiproliferativa; gli ACE-inibitori, i
sartani ed il trapidil, che ha un’azione antiPDGF, hanno un’azione anti-fattore di crescita.
Farmaci antiaggreganti piastrinici
Possono essere utili nel rallentamento della
proliferazione cellulare e della nefrosclerosi.
Il dipiridamolo (240 mg/die) e il trapidil
(200 mg/die), bloccano la via di sintesi del
trombossano, ma non quella delle prostaglandine; l’aspirina (100 mg/die), blocca sia
la via di sintesi del trombossano che delle
prostaglandine.
120 mg/die
10 mg/die
250 mg/die
12.5 mg/die
Ag II
Prostaglandine
FANS, COX2-i
P
Bradichinina
Farmaci ipolipemizzanti.
Le statine comunemente usate
per il controllo dell’ipercolesterolemia, si sono dimostrate utili
nella terapia delle nefropatie
per la loro azione antinfiammatoria (10, 11).
I fibrati (1200 mg/die) controllano anche l’ipertrigliceridemia;
non possono essere associati
alle statine e possono avere
azione epatotossica.
Gli acidi grassi “omega 3”, usati
nella terapia di alcune nefropatie (S. di Berger) non hanno
ancora dimostrato una sicura
efficacia.
Farmaci antiossidanti
Le vitamine antiossidanti (A, E,
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C, B6, B12), acido folico e l’N-acetilcisteina,
potrebbero avere un ruolo nefroprotettivo
contro gli insulti ossidanti (12).
Il trattamento farmacologico, iniziato precocemente, induce buona remissione della sintomatologia, rallentamento della progressione della nefropatia e ridotta incidenza di
effetti collaterali farmaco indotti.
Terapia conservativa
Il secondo livello di intervento, di cui possiamo avvalerci, quando il primo livello fallisce, consiste nella terapia conservativa che
interviene tra la fase conclamata e la fase terminale (Tabella 1).
Nel tentativo di ridurre la tossicosi uremica
entra in gioco la dieta ipoproteica, anche se
il suo ruolo sulla progressione dell’insufficienza renale cronica dell’adulto verso l’uremia è ancora controverso (13-20).
I pazienti con insufficienza renale di tipo
cronico dovrebbero essere sottoposti ad un
regime nutrizionale controllato che consiste
nella riduzione dell’introito di proteine
(max 0,7 g al giorno per kg corporeo) e di
fosfati.
La dieta ipoproteica normo-ipercalorica (35
Kcal/kg/die) permette allo stesso tempo: il
controllo dei livelli di urea e paratormone, dell’equilibrio acido-base, il rallentamento della
progressione dell’insufficienza renale verso l’uremia terminale e, infine, il mantenimento di
uno stato nutrizionale soddisfacente (21).
Determinante il continuo controllo dietologico (almeno una volta ogni sei mesi) al fine di
ottimizzare l’apporto delle sostanze nutrienti
e, in particolar modo, l’apporto calorico.
Quest’ultimo è molto importante, poiché se
il paziente assume una quantità di calorie
inferiore a 30-35 Kcal per kg di peso corporeo al giorno durante la dieta ipoproteica
può andare incontro a stati di malnutrizione,
anche molto gravi (22).
La minor assunzione di proteine va sempre
associata ad un maggior introito di carboidrati e lipidi (naturalmente, tenendo sempre
conto dello stato fisico individuale del singolo paziente, soprattutto se diabetico) (23).
Più precisamente, i dati forniti dalle linee
guida della Società Italiana di Nefrologia sono:
Proteine: 0,7 g/kg/ peso ideale (75% ad
alto valore biologico).
Glucidi: 60% delle calorie (zuccheri complessi, alimenti a basso indice glicemico).
Lipidi: 30% delle calorie (rapporto acidi
grassi polinsaturi/saturi >1,2).
Colesterolo: 300-350 mg/die.
Calorie: >35 Kcal/kg peso/die;
Potassio: introito libero per VFG
>10 ml/min.
La dieta ipoproteica è utile purché non
subentri la malnutrizione.
Terapia delle complicanze
La terapia conservativa riduce la progressione
verso l’insufficienza renale cronica; in fase iniziale i risultati migliori si ottengono con l’uso
di terapie combinate che agiscono sulla patogenesi della evoluzione (immunosoppressori,
ACE-inibitori, sartani, ipolipemizzanti).
Una volta subentrata l’uremia conclamata
vanno farmacologicamente controllate le
complicanze quali l’anemia, l’iperfosforemia
e l’ipertensione.
Per quanto riguarda l’anemia la terapia deve
essere iniziata nei pazienti uremici con:
Hb <11 g/dL nei due sessi prima della
pubertà e nelle donne in età fertile;
Hb < 12 g/dL nei maschi adulti e nelle
donne in menopausa (24).
In numerosi studi la correzione parziale dell’anemia ottenuta con epoetina si accompagna a una migliore tolleranza all’esercizio
fisico (25-28), un miglioramento delle funzioni cerebrali (29, 30), un miglioramento
della funzione cardiaca (31, 32), una migliore qualità di vita (33), una migliore attività
sessuale (34), una ridotta ospedalizzazione
(35-37) ed una ridotta mortalità (35-37).
Viene considerata ottimale la correzione dell’anemia secondaria a insufficienza renale
cronica mantenendo i valori di Hb nell’intervallo 11-12 g/dL (Ht = 33-36%).
I farmaci utilizzati per la correzione dell’anemia sono l’epoetina ed il ferro.
Bisogna somministrare epoetina alfa o beta
ai pazienti con anemia secondaria a insuffi-
Scripta
MEDICA
La terapia conservativa dell’insufficenza renale cronica
55
cienza renale cronica in terapia conservativa
o sostitutiva, adeguando posologia, via e
ritmo di somministrazione all’effetto eritropoietico individuale; la posologia standard di
epoetina è variabile nell’intervallo 1.00030.000 U alla settimana (25-400 U/kg per
taglie di 50-70 kg).
Per quanto riguarda la terapia marziale per
via orale bisogna somministrare almeno 200
mg/die di ferro (elemento da assumere 1 ora
prima o 2 ore dopo i pasti, sfasata di almeno
30 min da tè o caffè), chelanti del fosforo,
antiacidi e gastroprotettori non in formule
protette a lenta dismissione.
Per quanto riguarda la terapia marziale per
via endovenosa bisogna somministrare 150
mg/settimana nella fase di induzione della
terapia con epoetina, mentre nelle fasi di
mantenimento bisogna somministrare 50-60
mg/settimana.
Non superare 40-60 mg/dose con prodotti a
base di sali a basso peso molecolare; diluire
il prodotto in fisiologica ottenendo una concentrazione finale < 1 mg/ml.
L’iniezione va fatta lentamente.
Un’altra complicanza dell’uremia è l’iperfosforemia che deve essere controllata con una
dieta ipofosforica e con l’utilizzo di diverse
sostanze chelanti; le più diffuse sono state
fino a qualche tempo fa i composti a base di
calcio, alluminio, magnesio o lantanio (38),
che permettono una riduzione dell’assorbimento intestinale del fosforo, con un aumento della sua escrezione fecale.
Per sfruttarne al massimo la potenzialità
terapeutica questi composti vanno ingeriti
durante il pasto, in modo che si mischino
con gli alimenti (39, 40); naturalmente l’efficacia di questi farmaci è limitata dalla quantità di fosforo in eccesso nel lume intestinale.
Attualmente è usato il sevelamer, chelante
privo di calcio.(41).
Infine, ultima complicanza importante è l’ipertensione arteriosa.
Secondo le linee guida del 2003 della Società
Europea dell’Ipertensione, la pressione arteriosa
normale è 120-129 mmHg per la sistolica e 8084 mmHg per la diastolica; i valori pressori
ottimali sono al di sotto dei 120 mmHg per la
sistolica e degli 80 mmHg per la diastolica (42).
Una recente metanalisi di 11 trial clinici con-
dotta nei pazienti nefropatici non diabetici
ha dimostrato un rallentamento della progressione in soggetti con valori pressori inferiori a 139/85 mmHg (43).
Nei pazienti diabetici si è dimostrato un rallentamento della progressione verso l’insufficienza renale con l’uso dei sartani (44).
In pratica il valore di pressione arteriosa da
raggiungere deve essere almeno pari a quello
consigliato nella popolazione generale nei
pazienti a basso rischio di progressione (proteinuria <1g/24h); mentre deve essere più
stretto nei pazienti con proteinuria più elevata.
La microalbuminuria o la proteinuria sono
fattori di rischio per la progressione dell’insufficienza renale.
È stato dimostrato che valori pressori di
125/75 mmHg sono sicuri e ben tollerati dai
pazienti con ipertensione essenziale o con
ipertensione e insufficienza renale (45-47).
Gli ACE-inibitori vanno considerati come
farmaci di prima scelta nel trattamento dell’ipertensione arteriosa nei pazienti con
insufficienza renale cronica; i calcio-antagonisti vanno considerati come seconda
linea di trattamento. Sembra ragionevole
associare questi due farmaci quando la
monoterapia non è sufficiente ad ottenere
un adeguato controllo dei valori pressori.
Diversi dati sperimentali suggeriscono che
gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II possono ridurre la proteinuria e la
progressione dell’insufficienza renale come
gli ACE-inibitori (48, 49).
Nei pazienti ipertesi essenziali gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II hanno
dimostrato un’efficacia antipertensiva simili agli ACE-inibitori con minori effetti collaterali (50-52). Gli antagonisti del recettore dell’angiotensina II sono ben tollerati
anche nei pazienti con insufficienza renale
cronica (53).
Per completezza va detto che in un recente
lavoro sulla “reverse epidemiology” si afferma
che nel soggetto in dialisi il rischio di morte
sarebbe inversamente proporzionale ai valori pressori (54).
In conclusione va sottolineato che l’approccio precoce col nefrologo sembra essere l’elemento più importante nella prevenzione dell’insufficienza renale terminale (55).
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
59
Obesità e apnea
Antonio D’Alessandro, Annalisa Aggio*
pressione arteriosa, sia in soggetti ipertesi
che normotesi; induce, inoltre, diminuzione
della glicemia, dei trigliceridi e del colesteroObesità (kg/m2 >30) e sovrappeso (30< kg/m2 >25),
lo totale ed un aumento del colesterolo-HDL
espressione di una complessa patologia cro(45, 46, 56).
nica multifattoriale causata dall’interazione
Dall’analisi dei dati scientifici disponibili da
di diversi fattori genetici ed ambientali, rapparte di un Panel di Esperti mondiali (Clinical
presentano senz’altro una delle principali
Evidence, 2003) scaturisce che una sensibile
emergenze sanitarie sia dei paesi occidentali
riduzione del rischio consegue ad una riduche di quelli in via di sviluppo (8, 29, 21,
zione di 450-900 g di peso corporeo per set22, 85, 96, 102).
timana, in sei mesi, per una quota pari al
Si calcola che nel nostro Paese esistano,
10% del peso corporeo iniziale, da manteneattualmente, 4 milioni di persone obese e 16
re per un periodo non inferiore a 5 anni (17).
milioni in sovrappeso (19, 88, 92).
Nella pratica clinica tale obiettivo non sempre
L’eccesso ponderale, causato da un accumulo
è raggiunto, sovresponendo così il paziente ad
di trigliceridi nel tessuto adiposo, è legato ad
elevati rischi di morbilità e mortalità (70, 75).
un significativo aumento della morbilità e
Le cause dell’insuccesdella mortalità esTabella 1.
so sono spesso attrisendo stato ormai
Patologie legate all’obesità. (Clinical Evidence, 2003).
buibili ad una scarsa
acquisito come tutti i
attenzione del Sanisoggetti sovrappeso
• Ipertensione
tario alle condizioni
o obesi, di 18 anni o
• Dislipidemie
cliniche generali, al
più, siano a rischio
comportamento e alle
delle patologie elen• Diabete
abitudini alimentari,
cate in Tabella 1 (31,
• Malattie cardiovascolari
alla composizione cor53, 91).
porea, alla funzionaIl rischio può essere
• Apnea notturna
lità dei vari organi ed
efficacemente ridotto
• Artrosi
apparati, agli eventuaper mezzo di una
li disturbi o patologie
riduzione dei deposi• Alcune forme tumorali maligne
correlate o sovrappoti di grasso, ottenibiste (67, 71, 97).
le con un adeguato
Basti ricordare, a titolo
studio del paziente e
esemplificativo, come il mero riferimento al
un corretto piano di trattamento individuale
BMI (Body Mass Index) e alla circonferenza
(24, 25, 44, 59, 107).
addominale, troppo spesso unico parametro di
Tale riduzione diminuisce il rischio di diabevalutazione dei soggetti in sovrappeso o obesi
te di tipo 2, di eventi cardio-vascolari e la
per stimare il rischio di complicanze confronSpecialista in Scienza dell’Alimentazione (Ind. Dietetico)
tandolo con quello di soggetti normopeso, sia
Specialista in Odontostomatologia, L’ Aquila
stato ascritto solo in Categoria di Evidenza C,
*Specialista in Scienza dell’Alimentazione (Ind. Nutrizionistico)
L’ Aquila
in ambito EBM (Evidence Based Medicine) (9).
Introduzione
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
60
mitanza di disturbi associati ed al percorso
Ciò implica come il percorso diagnostico
terapeutico proposto (101).
debba essere necessariamente ben più esauPer migliorare la qualità e l’aspettativa di vita
riente e articolato del mero rilievo di semplidel paziente obeso, andrebbe quindi posta
ci valori antropometrici e come la terapia non
una maggiore attenzione sia in fase diagnopossa basarsi, di conseguenza, unicamente
stica che terapeutica ed andrebbero studiati
sulla prescrizione di una “dieta”, per quanto
adeguatamente tutti quegli aspetti inspiegacorretta dal punto di vista nutrizionale.
bilmente misconosciuti o, quantomeno, sotPerciò, sebbene il Cochrane 2003 ascriva in
tovalutati, che possono contribuire a miglioCategoria di Evidenza A l’efficacia terapeutica
rare le possibilità di successo. Tra questi,
dell’associazione di dietoterapia, attività motoquello che desta un interesse crescente da
ria e terapia cognitivo-comportamentale, i
parte sia del paziente che del Medico, è l’arisultati clinici ottenuti negli ultimi anni hanno
pnea morfeica cronica, ovvero l’Obstructive
subito notevoli miglioramenti, grazie all’impleSleep Apnoea Syndrome (OSAS), complicanza
mentazione di tecniche e presidi medico-chi“emergente” dell’obesità (47, 49, 51, 90).
rurgici di sicura efficacia clinica nell’associazione terapeutica descritta (60, 76, 93).
In ambito farmacologico, ad esempio, sono
Obstructive Sleep Apnoea
oggi disponibili, sostanzialmente, due moleSyndrome
cole, più efficaci, sicure e maneggevoli di
quelle utilizzate in passato: la sibutramina e
L’OSAS rappresenta una grave forma di
l’orlistat.
insufficienza respiratoria cronica, che si preLa sibutramina, inibitore del re-uptake della
senta in maniera ricorrente e frequente
serotonina, può essere di valido ausilio nei
durante il sonno (52, 89, 95, 108, 109, 111).
pazienti con BMI >27 e almeno due fattori di
È provocata dall’accumulo di grasso viscerarischio concomitanti, oppure nei pazienti
le (sollevamento del diaframma), mediastinicon BMI >30 che, dopo 3 mesi di terapia traco (compressione vie aeree), perilaringeo
dizionale, non abbiano ridotto di almeno il
(lassità parietale) e peripalatale (ostruzione),
5% il peso corporeo (18, 50).
e in grado di indurre una serie di conseIn tali casi, il rischio per malattie legate all’oguenze anche preoccupanti di ordine clinico,
besità è così elevato da giustificare l’uso della
metabolico e comportamentale, elencate in
sibutramina e l’eventuale comparsa di effetti
Tabella 2 e 3 (3, 4, 7, 19, 11, 28-30, 34, 36,
collaterali (principalmente tachicardia ed
38, 42, 47, 61-65, 68, 69, 78, 79, 87, 99,
ipertensione reversibili (33, 37, 43).
103-105, 110, 113).
L’ orlistat, invece, agisce come inibitore delle
La diagnosi di OSAS può essere sospettata in
lipasi, riducendo di circa il 30% l’assorbimento dei grassi presenti nel
cibo ingerito con un meccanismo d’azione locale, dal moSonnolenza
mento che circa l’80% della doAstenia
se assunta viene escreta immodificata nelle feci (106).
→ Incremento frequenza
Cefalea
Gli eventuali effetti collaterali
incidenti stradali e infortuni sul lavoro
dell’orlistat sono perciò a carico
Irritabilità
dell’apparato digerente (scariche oleose, flatulenza, urgenza
Indebolimento cognitivo
fecale, etc) (112).
Riduzione della libido
La scelta dell’uno o dell’altro
farmaco è compito del Medico,
Ipertensione arteriosa
in relazione alle condizioni cliRischio anestesiologico elevato
niche ed alle esigenze del
paziente, all’eventuale conco-
Tabella 2.
Eventi diurni
ascrivibili
all’OSAS.
Scripta
MEDICA
Obesità e apnea
61
Tabella 3.
Effetti notturni
dell’OSAS.
Tachicardia sopraventricolare
Fibrillazione atriale (nei soggetti con
by-pass aorto-coronarico)
Slivellamento tratto ST
Angina notturna
Infarto
↑ aggregazione piastrinica
↑ produzione fibrinogeno
↑ viscosità sangue
↑ livelli plasmatici di citochine
↑ proteina C-reattiva
↑ adesione monociti alle cellule
endoteliali
↓ livelli plasmatici di derivati
dell’ossido nitrico (NO)
presenza dei sintomi e segni descritti, in soggetti con BMI >30, e confermata quando l’esame polisomnografico dimostri almeno 30
episodi di apnea in 7 ore di sonno, sia in fase
REM che non-REM (54, 55, 81, 82) .
La presenza di più di 20 apnee per ora rappresenta il più alto rischio di mortalità totale
e di morbosità/mortalità durante l’anestesia
(57, 58, 80).
Figura 1.
Fisiopatologia
dell’OSAS.
Il meccanismo fisiopatologico dell’OSAS è
schematizzato in Figura 1.
L’ OSAS è spesso accompagnata o preceduta
anamnesticamente da roncopatia, primo
momento di una riduzione del lume delle
vie respiratorie, causa di rumorosa vibrazione del palato molle e dell’ugola, con funzionalità respiratoria conservata (83, 84, 86).
La roncopatia può evolvere in OSAS quando
la riduzione del flusso d’aria nelle prime vie
aeree è di grado elevato, in presenza o meno
di altri fattori sfavorevoli come lingua ipotonica, protrusioni mandibolari e abitudine a
dormire supini (10, 11).
La lingua è allora aspirata indietro per effetto Bernoulli, a seguito di un significativo
incremento della velocità del flusso dell’aria,
formando un sigillo contro la parete posteriore del faringe e inducendo il diaframma a
contrarsi più vigorosamente per vincere la
resistenza, con un circolo vizioso (66).
L’ipossia e l’ipercapnia che ne conseguono
causano un’azione riflessa che induce il
paziente a cambiare posizione sbuffando,
senza però svegliarlo e senza che conservi
alcuna memoria dell’accaduto (6).
Di grande rilevanza clinica appare l’infarto
notturno del miocardio, ascrivibile all’OSAS
ben più spesso di quello che comunemente
si creda (1, 23, 26, 27, 48, 72, 74, 77).
Ciò, quindi, rende necessario proporre adeguati piani di trattamento, alcuni dei quali
indicati in Tabella 4 (14, 15).
Incremento catecolamine circolanti
Apnea
Ipossiemia
vasocostrizione polmonare
Ipertensione sistemica
Ritenzione di CO2
ipertensione polmonare
insufficienza cardiaca dx
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
62
Uno schema terapeutico ragionevole sembra essere quello
volto ad affiancare alla riduzione
del peso corporeo, ottenuta per
mezzo di dietoterapia, attività
motoria, modifiche comportamentali ed, eventualmente, farmaci antiobesità, il tipo di dispositivo orale funzionale (DOF)
più adatto alle esigenze del
paziente.
Dispositivi orali funzionali
Riduzione del peso corporeo
Tabella 4.
Terapia dell’OSAS.
Uvulopalatofaringoplastica (UPPP)
Dispositivo a pressione positiva continua
delle vie respiratorie (CPAP)
Dispositivi orali funzionali
in Tabella 6 e raffigurati in Figure 2-7.
Lo splint è senz’altro l’apparecchio più noto
per la sua più facile realizzazione e per il suo
ampio utilizzo in posturologia e in odontostomatologia pre-protesica. Ciò non deve trarre
in inganno sulla sua maneggevolezza terapeutica nel caso dell’OSAS e della roncopatia
che richiedono, al contrario, un accurato
inquadramento eziologico, fisiopatologico e,
soprattutto, gnatologico.
Il prototipo di questi apparecchi fu utilizzato
con successo da P.T. George nel 1983, su un
paziente gravemente obeso ed apnoico, al
quale era stata consigliata la tracheotomia
(40).
L’apparecchio, denominato NAPA (Nocturnal
Airway Patency Appliance) è, attualmente, un
bimascellare a completa copertura occlusale,
con ganci di stabilizzazione atti a precludere
• Inibisce l’atto di mordersi la lingua
qualsiasi effetto ortodontico, ed uno spazio
prevenendone la retrazione
libero anteriore per facilitare la respirazione
durante la notte (Figura 2) (39, 41).
• Inibisce l’apertura della bocca
Il meccanismo di azione del NAPA è esemstabilizzando la mandibola
plificato il Tabella 5.
e inducendo la protrusione
L’efficacia del NAPA nell’OSAS e nella roncodella lingua e dell’osso ioide
patia è stata largamente validata nel corso
• Induce la protrusione
degli anni, sia confermando l’assenza di
della
mandibola e, quindi,
effetti collaterali ortodontici, sia evidenzianl’allontanamento
della lingua
do, con studi condotti per mezzo del polidalla
parete
posteriore
del faringe
somnigrafo, una riduzione dell’RDI (Respiratory Disturbance Index), legato al numero di
apnee per ora, sino all’80% (73, 94, 100).
Il NAPA non è, comunque, l’unico apparecchio orale funzio• Nocturnal Airway Patency Appliance (NAPA)
nale per la cura dell’OSAS.
Nel corso degli anni sono stati
• Tepper Oral Proprioceptive Stimulator (TOPS)
proposti altri tipi di dispositivi
• Dispositivi per il sollevamento del palato molle
volti, fondamentalmente, ad
• Herbst classico
incrementare la dimensione verticale, a protrudere la mandibo• Herbst modificato da Garry-Prior
la, ad anteriorizzare la lingua e
• Herbst modificato da Clark (UCLA)
l’osso ioide e, in alcuni casi, a
• Splint
sostenere il palato (59, 16, 32,
35, 98).
• Dispositivo per il sollevamento del palato molle
I principali dispositivi attualmodificato da D’Alessandro e Di Girolamo
mente disponibili sono elencati
Tabella 5.
Meccanismo di
azione del NAPA.
Tabella 6.
Dispositivi orali
funzionali
per il trattamento
della roncopatia
e dell’OSAS.
Scripta
MEDICA
Obesità e apnea
63
Figura 2. Splint.
Figura 3. Sollevatore di palato molle
modificato da D’Alessandro e Di Girolamo.
Figura 4. Herbst classico.
Figura 5. TOPS.
Figura 6. NAPA.
Figura 7. NAPA.
Esistono, infatti, indicazioni, sia mediche
che odontoiatriche, del tutto particolari per i
vari tipi di splint attualmente disponibili,
elencati in Tabella 7.
Ciascuno dei dispositivi descritti nelle
Tabelle 6 e 7 può, entro certi limiti, presentare delle modifiche progettate e realizzate da
parte di singoli Sanitari, in base all’esperienza, alla Scuola di appartenenza, alla funzione
che si intende ottenere, all’eventuale presenza di protesi dentali, etc.
È attualmente allo studio il DADOA (D’Alessandro-Aggio-Di Girolamo Obesity Appliance),
dispositivo estremamente innovativo dal punto
di vista concettuale, strutturale e funzionale,
altamente specifico per l’uso nel paziente
obeso, ma utilizzabile, con opportune modifiche, anche in ambito puramente ortodontico.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
64
Il DADOA ed altri tipi di DOF, associati ad un
adeguato programma di controllo del peso
corporeo, rappresentano a nostro parere il trattamento di prima scelta in pazienti con OSAS
opportunamente selezionati, poichè presentano degli innegabili vantaggi rispetto all’UPPP
ed al CPAP, come descritto in Tabella 8 (2).
Resta da stabilire quali siano le figure sanitarie abilitate all’esecuzione di un completo
percorso obesiologico in tal senso.
Di certo lo è, a pieno titolo, il Medico Chirurgo-Dentista, con annotazione a margine
(abilitazione all’esercizio dell’odontoiatria) o
doppia iscrizione (all’Albo dei MediciChirurghi ed a quello degli Odontoiatri),
figura professionale ormai “ad esaurimento”.
Al contrario, il Medico-Chirurgo iscritto
esclusivamente al proprio relativo Albo,
non è abilitato all’esecuzione di alcuna
manovra odontoiatrica nella bocca del
paziente (visita stomatologica, cure dentali,
chirurgia orale, presa di impronte, protesizzazione, posizionamento e follow-up di
dispositivi orali etc.), né amministrativa e
fiscale in tal senso (prescrizione sanitaria di
dispositivi e protesi a norma della legge CE
93/42, emissione di parcella per il paziente,
accettazione di fattura a proprio nome dal
laboratorio odontotecnico, etc.).
Una certa perplessità nascerebbe dalla
eventuale prescrizione e utilizzazione di
questi particolari dispositivi, quale momento di un’articolata terapia sistemica dell’obesità e delle relative malattie ad essa collegate, dall’Odontoiatra, quantomeno per
motivi di buon senso.
È possibile, quindi, che il limitato uso di
questi apparecchi in Italia sia ascrivibile ad
aspetti medico-legali dai contorni mal definiti e a difficoltà di attribuzione di competenze sanitarie, oltre che a difficoltà di
aggiornamento culturale e di comunicazione tra il comparto medico e quello odontoiatrico.
Ciononostante, l’utilizzo dei dispositivi orali
funzionali per ridurre gli effetti dell’OSAS e
della roncopatia andrebbe serenamente valutato, ove necessario, per l’interesse del
paziente.
Ciò contribuirebbe senz’altro alla riduzione
della morbilità e della mortalità, nonché al
Bite Thore Hansson
Tabella 7.
Tipi di splint.
Bite Michigan
Bite di Federici
Bite termostampato
Bite occlusale piatto
Bite (mouth) guard
Bite di Stramazzi
Splint con guide di disclusione
Splint di Farrar
Splint di Gelb
Ortotico di Jankelson
Placca di riposizionamenento
Placca di Mongini
DADOA
(D’Alessandro-Aggio-Di Girolamo
Obesity Appliance)
Non invasività
Alta tollerabilità
Elevata compliance
Relativa facilità di realizzazione
Scarsissima manutenzione
Estrema praticità di impiego
Lunga durata nel tempo
Costi contenuti
miglioramento della qualità di vita delle persone affette da quella che è ormai una delle
malattie metaboliche più diffuse nel mondo.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare l’Odontotecnico
Marco Di Girolamo, Pescara, per i suoi preziosi consigli tecnici e per aver fornito gli
apparecchi dimostrativi raffigurati nelle figure. Un affettuoso ringraziamento va anche ad
Andrea D’Alessandro, per la realizzazione
delle foto.
Tabella 8.
Vantaggi
degli apparecchi
funzionali
per l’OSAS e
la roncopatia.
Scripta
MEDICA
Obesità e apnea
65
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
71
Attualità in tema di ecografia gonadica
in età adolescenziale
Giuseppe Raiola1, Vincenzo Arcuri2, Domenico Salerno3, Maria Concetta Galati4,
Fortunato Serrao2, Maria Vittoria Guerra2
Ecografia pelvica
Introduzione
I problemi ginecologici nell’età pediatrica e
adolescenziale sono spesso disturbi funzionali
peculiari per l’età e solo occasionalmente può
essere presente un serio disturbo organico.
Talvolta l’esame clinico può essere poco sensibile e, a volte, difficoltoso.
L’imaging è perciò complemento essenziale
dell’esame clinico, consentendo la valutazione dello stato funzionale e dello sviluppo dei
genitali interni.
Tecnica e metodica
Nell’ambito delle diverse tecniche di imaging pelvico, l’ecografia ha un ruolo preminente.
Ciò è dovuto a diversi fattori:
i bambini e gli adolescenti, generalmente,
hanno una parete addominale sottile e
una minima adiposità che consente un’ottima risoluzione diagnostica;
assenza di radiazioni ionizzanti;
assoluta non invasività dell’esame ecografico che può essere ripetuto, nei casi che
richiedono un follow-up, un numero infinito di volte.
Le giovani pazienti, inoltre, presentano una
maggiore capacità nel sopportare la ripienezza vescicale rispetto alle adulte, condizione
essenziale per eseguire l’esame US per via
transaddominale.
L’esecuzione dell’esame con sonda transvagiAmbulatorio di Auxoendocrinologia - U.O. di Pediatria
U.O. di Radiologia;
3
U.O. di Chirurgia Pediatrica;
4
U.O. di Oncoematologia Pediatrica,
A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
1
2
nale, per ovvi motivi anatomici, tecnici e psicologici, non può essere impiegato nelle
pazienti in età pediatrica, tranne che nella
diagnostica delle complicanze precoci che si
possono avere (per esempio sospetta gravidanza ectopica) nelle adolescenti sessualmente attive.
Un’altra metodica d’esplorazione con gli US
delle patologie del basso tratto genitale (cisti
della vagina o corpi estranei) può essere l’ecografia translabiale che si esegue poggiando
la sonda ecografia, di solito da 5 MHz di frequenza e a superficie curva, in mezzo alle
grandi labbra consentendo una buona valutazione ecografica dello scavo del Douglas,
della cervice, della base della vescica, dell’uretra e della vagina.
La valutazione con US della pelvi femminile
può essere migliorato dall’uso del power
colorDoppler. Con tale tecnica possono essere acquisite informazioni aggiuntive di tipo
vascolare fondamentali nella diagnosi di torsioni ovariche e neoplasie.
Anatomia e sviluppo US
della pelvi femminile durante
l’infanzia e l’adolescenza
Utero
In età neonatale, l’utero può essere identificato come un organo relativamente lungo in
rapporto alle dimensioni corporee, essendo
ancora sotto l’effetto residuo degli ormoni
materni. È stata riportata una lunghezza uterina media di 3.4 cm. Sino all’età di 7 anni le
misure uterine non sono correlate all’età,
essendo di 2.0-3.3 cm in lunghezza e di 0.51 cm in larghezza. Dall’età di 7 anni, le misure dell’utero aumentano in relazione all’età,
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
72
raggiungendo nel periodo post-pubere i 7-8
cm in lunghezza e gli 1.6-3.0 cm di larghezza a livello del fondo. Al 5° anno postmenarcale, l’utero assume la caratteristica
conformazione a "pera" dell’utero adulto
(morfologia adulta).
La forma dell’utero e la configurazione varia
in accordo all’età. Prima dei 7 anni l’utero si
presenta di forma tubulare, con la cervice
più lunga del fondo.
Il rapporto tra lunghezza del corpo e della
cervice all’età di 7 anni è pari a 1:1 (morfologia cilindrica). Nell’età successiva, l’aumento in lunghezza e volume del corpo è
maggiore rispetto a quello della cervice e il
rapporto diventa, approssimativamente di
2:1.
Endometrio
Nelle neonate l’endometrio è facilmente
visualizzabile come una linea ecogenica centrale, spesso irregolare. La residua stimolazione ormonale materna può produrre occasionalmente muco e secrezioni che appaiono
come uno spazio eco-free nella cavità endometriale.
L’endometrio non stimolato durante l’infanzia appare come una indistinta sottile linea
centrale ecogena che diventa più evidente
con l’avvicinarsi della pubertà.
Nelle ragazze in età post-menarcale, l’endometrio proliferativo è visualizzato come strati ipoecogeni in ciascun lato dell’interfaccia
iperecogena. L’endometrio secretorio postovulatorio assumerà l’aspetto di una fine
linea ecogenica irregolarmente interrotta.
Vagina
Il canale vaginale è visibile come una lunga
linea iperecogena ricurva. In caso di presenza di muco nel lume situato tra le pareti
anteriori e posteriori (ipoecogene), si ha un
tipico aspetto a sandwich. Quando necessaria, l’ecografia trans-labiale offre una migliore visualizzazione dell’anatomia e delle strutture circostanti.
Ovaie
Lo studio ecografico delle ovaie, effettuato
con l’ausilio di eco colorDoppler deve valutare la triplice componente: follicolare, stro-
male e vascolare. L’ecografia perciò evidenzia
la continua maturazione ovarica e lo sviluppo follicolare nell’infanzia identificabile con
un progressivo incremento del volume ovarico e con le notevoli modificazioni morfologiche che si riscontrano prima che sia evidente l’inizio della pubertà (1).
La misura delle ovaie è relativamente stabile
prima della pubertà
[Volume (ml) = X (mm) x Y (mm) x Z (mm)
x 0.523],
generalmente con un volume inferiore a 1
cm3 (0.13-0.9 cm3). Con l’inizio della
pubertà, vi è un rapido incremento del volume dell’ovaio e, il volume medio nelle ragazze puberi varia da 1.8 a 5.7 cm3, mentre nei
soggetti postpuberi il volume medio varia da
4 a 9.8 cm3. La morfologia delle ovaie si
adatta alle fisiologiche modificazioni presenti alla pubertà (Tabella 1).
Generalmente sin dal 5° anno post-menarcale, le ovaie assumono le caratteristiche presenti nell’età adulta. La loro crescita è simmetrica; quando la crescita di un ovaio è
maggiore rispetto al controlaterale, ciò può
essere indicativo di una patologia a carico
dell’annesso e,quindi, sono richieste ulteriori indagini.
Vi è una stretta correlazione tra la lunghezza
dell’utero e il volume ovarico. Un ingrandimento delle ovaie, senza un corrispondente
aumento della lunghezza dell’utero, può
essere indicativo di una crescita neoplastica
ovarica che, per ovvi motivi, necessita di
ulteriori accertamenti.
Aspetti patologici US
in ecografia: anomalie
Anomalie dei dotti mulleriani
Classificazione
dell’American Fertility Society, 1988
Le ragazze con anomalie dei dotti mulleriani,
possono presentare un ampio range di sintomi. In questi casi sono di comune riscontro
ciclici dolori pelvici e amenorrea primaria (2).
L’ecografia transaddominale è il principale
metodo di valutazione dell’estensione e del
coinvolgimento.
L’isterosalpingografia e l’ecografia transvagi-
Scripta
MEDICA
Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale
73
Tabella 1.
Morfologia
ovarica
nelle diverse età.
Età 6-7 anni
Morfologia ovarica omogenea con assenza di strutture cistiche, correlata con lo sviluppo allo stadio I
e con valori molto bassi di FSH, LH ed estradiolo
Età dai 7 anni sino all’età di 10-12 anni
Le ovaie presentano un tipico aspetto microcistico, con alcune cisti più grandi (5-9 mm).
Si accompagna allo sviluppo della mammella allo stadio II e con un significativo aumento di FSH,
LH ed estradiolo. Queste modificazioni segnano la fase iniziale della pubertà,
ma anche la fase premenarcale
Età tra 10 e i 12,5 anni
Le ovaie si presentano macrocistiche con alcune cisti che possono superare i 9 mm di diametro.
Il numero medio di follicoli è generalmente > 5 e la componente dello stroma appare ridotta
nale permettono un’accurata valutazione,
con maggiore invasività. La RMN permette
una maggiore risoluzione nella valutazione
delle anomalie del tratto superiore particolarmente utile quando si devono acquisire
informazioni prima di sottoporre il soggetto
a correzione chirurgica.
È nota la forte correlazione con le anomalie dei
reni che devono essere esaminati durante l’esame ecografico associando, eventualmente, in
fase pre-chirurgica, un’urografia endovenosa.
Anomalie del tratto genitale inferiore
Agenesia della vagina e dell’utero
(S. di Rokitanski-Kunster-Mayer)
L’associazione di amenorrea primaria con
normali caratteri sessuali secondari e il
riscontro di una vagina a fondo cieco e di
una vulva altrimenti normale è la principale
presentazione clinica di questa malformazione. L’ecografia pelvica può valutare le caratteristiche dei rudimenti mulleriani e se sono
cavi o meno (funzionale), la presenza di
ovaie normali, l’estensione dell’agenesia
vaginale, la presenza di un utero rudimentale o di corde fibromuscolari, o piccoli corni
uterini rudimentali sul muro pelvico laterale.
Deve essere ricercata l’eventuale presenza di
anomalie del tratto urinario (presenti nel
10% dei casi) e dell’apparato scheletrico
(emivertebre, spina bifida, scoliosi, lussazione dell’anca, malformazioni del radio, dell’omero o sindattilia).
Imene imperforato
L’ecografia transaddominale è il metodo d’imaging di scelta nelle adolescenti che presentano criptomenorrea e normale sviluppo
dei caratteri sessuali secondari. Prima dell’esecuzione dell’incisione chirurgica che permette la fuoriuscita del fluido mestruale ritenuto, si dovrà eseguire l’esame US che evidenzierà una vagina dilatata con aspetto di
formazione ovalare contenente liquido strutturato con livello fluido-fluido, con un normale aspetto della cervice che si proietta
dentro il grosso ematocolpo. Spesso la cavità
uterina appare ripiena di fluido, che comunica con la cavità vaginale a causa di una
endocervice allargata (ematometra).
Anomalie del tratto genitale superiore
L’esame ecografico dovrebbe essere effettuato nella seconda metà del ciclo. L’estensione
delle anomalie di fusione devono essere
valutate per mezzo di un attento esame sia
sagittale che trasversale che permetterà di
evidenziare l’eventuale presenza di 2 canali
vaginali, 2 cervici e configurazioni uterine,
in particolare la cavità endometriale ecogena
per stabilire se è cavitaria.
Un utero unicorno con corno rudimentale
non comunicante potrà essere visualizzato
come una cavità a forma di banana. L’esame
del fondo dell’utero nei piani trasversi deve
essere eseguito con vescica semipiena; questo potrà rivelare la conformazione della
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
74
cavità endometriale e determinare un ispessimento miometriale. Uteri bicorni e didelfi
sono differenziati da uteri parzialmente e
completamente settati dalla presenza di
un’intaccatura profonda più di 10 mm. Nei
casi dubbi, specialmente quando deve essere
considerata l’opzione chirurgica, l’RMN può
(deve) essere impiegata per la sua maggiore
risoluzione e accuratezza diagnostica. Anche
in questo caso deve essere ricercata l’eventuale presenza di anomalie dell’apparato urinario e scheletrico.
Valutazione ecografica
dei disordini della pubertà
Il monitoraggio ecografico delle misure uterine e ovariche e delle variazioni morfologiche è parte integrante del management dei
disordini della pubertà. Tale tecnica costituisce un rigido e non invasivo indicatore delle
variazioni puberali dei genitali interni.
Questa, insieme ai parametri endocrini e alla
valutazione dell’età ossea, può indirizzare
verso la causa e, quindi, suggerire il tipo di
trattamento. Nella pubertà precoce vera
(prima degli 8 anni), dove si ha un’attivazione anticipata dell’asse ipotalamo-ipofisario,
si ha una prematura follicologenesi ovarica;
le ovaie appaiono aumentate di volume e il
loro aspetto varierà da quello con stroma
omogeneo e solido, a quello multicistico.
Inoltre si potrà osservare una variazione del
profilo uterino e delle dimensioni. L’età ossea
risulta essere avanzata rispetto all’età cronologica. Il monitoraggio ecografico delle ovaie
e dell’utero, in corso di terapia, ci indicherà
se la terapia è adeguata. Infatti il trattamento
con gli analoghi del GnRH, dovrebbe portare alla regressione dello sviluppo degli organi pelvici.
Nel telarca prematuro e nell’adrenarca prematuro, l’età ossea, la morfologia e le dimensioni delle ovaie e dell’utero è rapportata
all’età cronologica. L’osservazione a livello
delle ovaie di cisti sono suggestive per
Sindrome di McCune-Albright o di cisti ovariche autonome.
La pubertà ritardata è caratterizzata dall’assenza dei caratteri sessuali secondari all’età
di 14 anni; può trovare la sua origine in
cause organiche come ipogonadismo ipogonadotropo o ipergonadotropo, oppure può
essere secondaria a ritardo costituzionale di
sviluppo. Le donne ipogonadiche hanno
caratteristicamente utero e ovaie infantili e
un marcato ritardo dell’età ossea.
Il ritardo costituzionale è quasi sempre una
diagnosi d’esclusione; un attento esame clinico permetterà di osservare la comparsa di
caratteri sessuali secondari. L’età ossea
mostra tipicamente un ritardo di maturazione ossea >2 o più DS. L’ecografia pelvica
può evidenziare le trasformazioni perimenarcali degli organi pelvici (ovaie multicistiche, ingrandimento dell’utero con rapporto
utero/cervice >1). Per confermare la diagnosi è comunque necessario un breve periodo
di follow-up.
Disfunzioni mestruali
nelle adolescenti
In molti casi le disfunzioni mestruali nelle
adolescenti sono di breve durata e generalmente possono essere gestite con l’impiego
di semplici trattamenti medici. L’ecografia
pelvica, eccetto nel monitoraggio dell’aspetto e dello spessore dell’endometrio, ha un
piccolo ruolo nel trattamento di questo
gruppo di pazienti.
In uno studio eseguito su una popolazione
di 1200 adolescenti che presentavano
disturbi mestruali nel 25.6% dei casi fu
riconosciuta una Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS); ciò indica che questa sindrome
ricorre molto più frequentemente e piuttosto precocemente, più di quanto una volta
si ritenesse. Nella pratica clinica, l’ecografia
ha sostituito la valutazione laparoscopica
che in passato veniva eseguita nelle ovaie
policistiche.
Con l’avvento dell’ecografia transvaginale, è
stato possibile visualizzare non solo la misura e la forma delle ovaie, ma anche la loro
struttura interna, vale a dire i follicoli e lo
stroma. Oggi è possibile ottenere delle
immagini che hanno una definizione vicina
al taglio anatomico. Nella Tabella 2 vengono
riportate le caratteristiche istologiche della
Scripta
MEDICA
Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale
75
Tabella 2.
Caratteristiche
istologiche dell’ovaio policistico.
Ipertrofia generalizzata dell’ovaio
Capsula spessa (> 100 micron)
Aumentato numero
delle cisti follicolari subcapsulari
Scarsità del corpo luteo e dell’albicans
Iperplasia e fibrosi dello stroma ovarico
Diminuito spessore
dello strato della granulosa
Pattern atresico
dello strato della granulosa
Aumento dello spessore
della teca interna
Prematura luteinizzazione
delle cellule della teca
Tabella 3.
Criteri ecografici
impiegati
per la diagnosi
di PCOS
Segni morfologici esterni
Aumento dell’area o del volume delle
ovaie
Aumento dell’indice di rotondità
(larghezza ovarica/lunghezza ovarica)
Diminuzione del rapporto larghezza
uterina/lunghezza ovarica (U/O)
Segni morfologici interni
Numero per ovaio delle piccole zone
con minore ecogenicità,
con dimensioni < 10 mm (microcisti)
Ripartizione periferica delle microcisti
Aumento dell’ecogenicità dello stroma
ovarico
Aumentata superficie dello stroma
ovarico nella sezione angolare
(per mezzo di misure computerizzate)
PCOS; il volume è spesso molto aumentato e
le ovaie tendono ad avere una conformazione sferica anziché ovoidale. Ciò è dovuto
all’incremento dello spessore della corteccia,
dello stroma iperplastico e fibrotico e dal
numero eccessivo dei follicoli i (2-6 mm di
diametro).
Le caratteristiche ecografiche tipiche della
PCOS, sono un ingrandimento bilaterale
delle ovaie (volume >6 ml), conformazione
sferica, capsule ispessite, numerose cisti sottocapsulari e stroma centrale iperecogeno
(3). Queste caratteristiche US si correlano
molto strettamente con gli esami ormonali,
come l’aumentato rapporto LH/FSH e l’aumento dei livelli di testosterone. Interessante
è l’osservazione secondo la quale le caratteristiche ecografiche sono maggiormente rilevate a carico dell’ovaio destro rispetto a quello di sinistro.
Sono state valutate 150 adolescenti affette da
PCOS: nel 60% dei casi il volume dell’ovaio
di destro era tra 8 e 14 ml; nel 16% vi era un
volume di 6-8 ml; nel 24% fu ritrovato un
volume >14 ml.
Più favorevoli, invece, erano le caratteristiche dell’ovaio di sinistro: <8 ml nel 31.4%;
8-14 ml nel 50%, mentre nel 18.6% si evidenziava un volume superiore. L’esame ecografico riveste un ruolo di estrema importanza, non solo nella diagnosi, ma anche nel follow-up della risposta al trattamento. Il monitoraggio ecografico può evidenziare delle
modificazioni morfologiche nel corso della
terapia; nella maggior parte dei casi le ovaie
assumono caratteristiche multicistiche, mentre in una piccola percentuale può aversi una
totale reversibilità delle anomalie tipiche
della PCOS.
Questa totale reversibilità delle ovaie policistiche può essere osservata con maggiore frequenza in quelle gonadi che presentano un
importante incremento del volume.
Nel follow-up delle adolescenti con PCOS,
oltre alla sintomatologia clinica, gli US possono essere un parametro sufficiente per evidenziare una progressione o regressione dei
sintomi, quindi fornisce utili indicazioni per
la condotta terapeutica (durata del trattamento o necessità di ripeterlo).
Il primo approccio all’esame ecografico della
pelvi deve avvenire per via transaddominale,
e potrà evidenziare ovaie multifollicolari
(MFO in differenti situazioni fisiologiche e
patologiche, come nella normale mediatarda pubertà, nella pubertà precoce centrale, nella anovulazione ipotalamica, nell’iperprolattinemia e, la più importante, la norma-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
76
le precoce fase follicolare nelle donne adulte,
prima che il follicolo diventi dominante.
Questi rappresentano un’importante diagnosi differenziale per la PCOS (Adams, et al.
1985).
Teoricamente la PCOS differisce dalle ovaie
normali e dalle MFO per essere più larghe,
per avere più follicoli e per avere una ipetrofia dello stroma (4)
Il pattern polifollicolare (eccessivo numero
di piccole cisti con diametro <10 mm) è fortemente suggestivo (in accordo con la definizione della sindrome policistica).
Nella PCOS, la distribuzione dei follicoli è
predominante a livello periferico, con la
tipica distribuzione della struttura ipoecogena (inizialmente descritta da Adams, et al.
1985). In alcuni studi (Battaglia, et al.
1998), le pazienti più giovani mostravano
questa distribuzione periferica più frequentemente, mentre un pattern più generalizzato, con piccole cisti nella zona centrale dell’ovaio, era osservato nelle donne
più vecchie. Per definizione, il pattern
polifollicolare è anche osservato nelle
MFO. Perciò vi è un significativo rischio di
un risultato falso falso-positivo quando
viene preso in considerazione solo il pattern polifollicolare. Teoricamente, il pattern polifollicolare è differente nella PCOS
e nella MFO.
Nel primo, il numero dei follicoli per ogni
sezione ovarica era più elevato. Ma vi è una
considerevole controversia intorno al valore
cut-off tra MFO e PCO (>5 ?, >10 ?, >15 ?).
Nella MFO i follicoli sembrano essere irregolarmente disseminati in tutte le ovaie.
Tuttavia, quest’analisi è puramente qualitativa. In molti casi, la stima del pattern follicolare è confusa e questo non permette una
chiara differenziazione tra MFO e PCOS.
L’aumento dello stroma aiuta a differenziare
la PCOS dalla MFO. L’ipertrofia dello stroma
è caratterizzata da un aumento della componente della zona centrale dell’ovaio, che è
piuttosto iperecogena.
Nell’opinione di molti autori, l’ipertrofia
dello stroma e l’iperecogenicità sono il più
attendibile segno ecografico che distingue la
PCOS dalla MFO, in quanto queste caratteristiche sono specifiche per la prima.
Masse pelviche
Generalmente le masse pelviche nelle bambine non causano sintomi fino a quando non
raggiungono grosse dimensioni tanto da
essere valutate con la palpazione addominale o retto addominale.
Nelle adolescenti la pelvi è abbastanza grande, tanto da contenere un tumore di grosse
dimensioni senza produrre distorsioni del
profilo addominale. L’ecografia pelvica è
indispensabile per apprezzare la presenza di
masse pelviche e nello stabilire la loro origine anatomica e le loro caratteristiche sonografiche, indispensabili per la diagnosi differenziale. Mappe di flusso colore e la valutazione del flusso con Doppler sono di ausilio
nello stabilire la natura delle masse. Nelle
neonate, la più comune massa pelvica è la
cisti funzionale dell’ovaio, secondaria allo
stimolo in utero da parte delle gonadotropine materne. Nel feto, le ovaie anomale possono essere osservate nel corso del 3° trimestre e, alla nascita, come struttura ipoecogena nella pelvi. Le cisti ovariche neonatali
sono di misure variabili ed evolvono verso
una spontanea risoluzione nei mesi successivi alla nascita; comunque dovrà essere posta
particolare attenzione al verificarsi di una
possibile torsione dell’ovaio interessato.
Nelle bambine più grandi e nelle adolescenti,
le cisti ovariche costituiscono le più comuni
masse pelviche riscontrabili. La maggior
parte di queste cisti sono cisti funzionali,
mentre le altre sono cisti follicolari o del
corpo luteo. Generalmente sono asintomatiche e il ritrovamento di cisti con diametro di
Figura 1.
Cisti ovarica
semplice.
Scripta
MEDICA
Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale
77
Figura 2.
Teratoma.
3-6 cm può essere occasionale; altre volte si
possono avere complicazioni come dolori
pelvici da emorragia, rotture o torsioni.
L’indagine ecografica viene eseguita per via
sovrapubica, mentre in caso di adolescenti
sessualmente attive l’esame può anche essere
eseguito per via transvaginale.
Particolare attenzione dovrà essere posta in
quelle ovaie che presentano un volume
superiore a quello medio per età e sviluppo
puberale e in ovaie dai contorni irregolari.
Le cisti follicolari o funzionali generalmente
presentano delle dimensioni che quasi mai
superano i 5 cm di diametro; è possibile evidenziare il parenchima ovarico da cui originano e generalmente regrediscono con la
fase mestruale del ciclo. Nelle cisti con
dimensioni più voluminose si dovrà prendere in considerazione un trattamento terapeutico ed, eventualmente, un’agoaspirazione
(Figura 1).
Altre cisti sono le paraovariche (con caratteristiche sovrapponibili alle precedenti, ma
insensibili all’attività ormonale e/o farmacologica) e cisti sierose (possono raggiungere
grosse dimensioni e non è quasi mai possibile evidenziare l’ovaio di origine).
Le cisti luteali possono raggiungere i 5 cm di
diametro e presentano delle pareti più spesse, spesso vascolarizzate; il contenuto è un
liquido corpuscolato e possono essere presenti dei sepimenti.
È quasi sempre riconoscibile il tessuto ovarico d’origine. Queste formazioni cistiche possono sparire nella fase mestruale e la loro rottura può essere causa di emoperitoneo; in tal
caso dovrà essere ricercata la presenza di
liquido nello scavo del Douglas e, se il sanguinamento è cospicuo, si potrà riscontrare
liquido tra le anse intestinali in sede periepatica e peri-splenica.
Le cisti endometriosiche possono essere di
dimensioni variabili (10-20 mm); anch’esse
presentano pareti ispessite a volte vascolarizzate; il contenuto può essere liquido, più frequentemente corpuscolato. A volte può essere osservata una sorta di demarcazione tra la
fase liquida e la corpuscolata.
Possono essere presenti più formazioni cistiche a carico di entrambe le ovaie. Le cisti
disontogenetiche presentano caratteristicamente, nel loro contesto, tessuti di varia ecogenicità (abbozzi dentari, adiposi) (Figura
2); le dimensioni sono variabili, sono scarsamente vascolarizzate, quindi lo studio con
colorDoppler risulta essere silente.
Il distoma presenta delle pareti spesse e
all’interno è possibile osservare del liquido
attraversato dalla componente solida che
forma dei grossolani tralci endoluminali che
manifestano un’attività vascolare con le
caratteristiche della neoangiogenesi neoplastica.
Ecografia scrotale
Negli ultimi dieci anni l’ecografia ha compiuto importanti progressi nell’imaging della
patologia del sacco scrotale. Il suo progressivo sviluppo non solo ha contribuito a
migliorare l’accuratezza diagnostica, ma ha
anche significativamente semplificato l’approccio clinico alle varie problematiche e di
altre patologie mascheranti neoplasie.
Grazie a tale tecnica si è avuto un aumento di
quei casi diagnosticati precocemente e contemporaneamente anche le diagnosi delle
patologie testicolari benigne (cisti semplici,
cisti dermoidi, granulomi, ecc.).
La tecnica B-mode è stata implementata dall’utilizzo del colorDoppler e del flowDoppler direzionale.
Tali tecnologie sono oggi di uso comune in
quasi tutte le patologie scrotali dal momento
che offrono un contributo fondamentale
nello studio della vascolarizzazione (5).
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
78
Tecnica e anatomia
1. Il paziente deve essere posto in posizione
supina e il pene viene rovesciato in alto
sulla parete addominale. Lo scroto viene
sollevato da una fascia che lo solleva, contemporaneamente fissandolo alle estremità con le mani dello stesso paziente. La
sonda utilizzata per l’ esame deve essere di
almeno 7.5 MHz di frequenza con tecnica
real-time lineare. Vengono effettuate scansioni nei piani trasversali e longitudinale,
avendo cura di mantenere in tensione lo
scroto. Quando si adopera l’accessorio
color-flow Doppler è da rammentare l’uso
di bassi valori di amplificazione, necessari
per percepire appieno la vascolarizzazione
didimaria che ha bassi flussi.
2. Il testicolo normale ha aspetto ecografico
omogeneo con ecogenicità medio-bassa, di
forma ovoidale con misure pari a 3-5 cm di
ø longitudinale e 2-3 cm di ø trasversale. Il
mediastinum testis viene identificato come
banda iperecogena parallela all’epididimo
che attraversa il didimo dalla periferia al
centro. Le arterie capsulare e testicolare
decorrono in periferia nella tunica vasculosa, con la capsulare che decorre nel mediastinum testis. L’indice di resistività può essere campionato con valori medi di 0.62
cm/sec nelle aa. intratesticolari e 0.84
cm/sec nelle sopratesticolari. Inoltre con il
color-flow Doppler si campiona il flusso nel
plesso pampiniforme per lo studio elettivo
nella diagnosi di varicocele.
Figura 3.
A. Localizzazione
leucemica.
B. Seminoma.
C. Carcinoma.
A
B
C
Patologia scrotale
Infiammazione
L’epididimo è normalmente coinvolto nei
pazienti con flogosi del sacco scrotale.
L’imaging ecografico in B-mode documenta:
ipoecogenicità diffusa dell’epididimo, idrocele, ispessimento scrotale.
Con il colorDoppler si evidenzia lo stato di
iperemia, con incremento netto del flusso
diastolico. Il coinvolgimento del testicolo
avviene solo nel 20% dei casi, il cui pattern
dimostra un incremento di flusso in aree di
ipoecogenicità.
Torsione testicolare
La torsione testicolare esprime un incidente
meccanico vascolare legato ad anomalie congenite della fissazione epididimo-testicolare.
Incide in particolar modo in età puberale
(occasionalmente in età neonatale nella
varietà extravaginale). Nella più frequente
forma intravaginale, la torsione è legata a
un’eccessiva lunghezza del funicolo. La diagnosi deve essere la più precoce possibile per
avere reali possibilità di salvataggio del tessuto didimario.
Scripta
MEDICA
Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale
79
Figura 4.
Microlitasi
testicolare.
L’ecografia con color-flow Doppler (ECD) è
oggi ritenuta la metodica più efficace in tale
diagnostica, riportandosi valori di sensibilità
in letteratura tra l’85% ed il 100% e di specificità del 100% (6) .
L’imaging è diverso a seconda dell’epoca di
insorgenza della sintomatologia:
a 4 ore: congestione delle arterie ed ischemia testicolare: assenza di flusso rilevabile
ECD;
a 5-24 ore: incremento della congestione
ed edema; incremento del flusso ECD a
livello delle borse scrotali;
oltre 24 ore: ipervascolarizzazione peritesticolare con costante assenza di flusso
testicolare.
La diagnosi differenziale deve essere posta
con l’epididimite acuta.
Neoplasie
Le neoplasie testicolari rappresentano l’1% di
tutti i tumori maligni nei soggetti di sesso
maschile e sono da 20 a 50 volte più frequenti nei testicoli criptorchidi o già ritenuti.
Circa il 95% delle neoplasie primitive testicolari origina dal tessuto germinale.
I seminomi rappresentano la frazione più
numerosa, seguiti dai carcinomi embrionali,
dai teratomi e dai coriocarcinomi.
Per quanto riguarda l’età i seminomi sono
rarissimi prima dei sedici anni.
Il pattern ecografico è abbastanza diverso nei
seminomi rispetto ai non-seminomi, essendo
questi ultimi notevolmente piu disomogenei,maggiormente ecogeni e sempre irregolari nei contorni (Figura 3).
È da sottolineare oggi anche l’importanza
dell’ecografia nel rivelare la presenza di
microlitiasi testicolare, oggi accettata quale
indice di predisposizione alla neoplasia
(Figura 4).
Varicocele
Il varicocele insorge secondariamente ad
un’incompetenza valvolare delle vene testicolari causando dilatazione delle vene del
plesso pampiniforme. Nell’85-90% dei casi
interessa il lato sinistro, nel restante dei casi
è bilaterale. Le varici possono essere viste
anche in B-mode, avendo il tipico aspetto
“vermiforme” anecogeno (Figura 5a e b).
Esistono varie classificazioni di varicocele
mediante l’impiego di eco color-Doppler
basandosi essenzialmente sulla durata del
reflusso in relazione alla manovra di Valsalva
(inspirazione a glottide chiusa) e sulla tipo-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
80
logia dell’onda di reflusso (Figura 6).
L’esame dovrà essere condotto sia in clinostatismo che ortostatismo.
Possiamo schematizzare il reflusso in tre tipi:
reflusso breve (<1 sec) fisiologico;
reflusso intermedio (<2 sec) terminando
prima della conclusione della manovra di
Valsalva;
reflusso permanente (>2 sec) con aspetto a
plateau;
Non è correlato con il diametro della vena
spermatica.
L’eco color-Doppler, oltre a una valutazione
emodinamica, permette un valutazione
morfologica: una vena spermatica con diametro >3 mm può avere una continenza normale, una vena spermatica con diametro <2
mm è raramente incontinente.
L’importanza della diagnosi di varicocele nei
ragazzi è testimoniata del dato che il testicolo
dal lato interessato mostra una riduzione di
volume e consistenza in circa il 70% dei casi.
Anche se questo danno non pare determinare
un’alterazione della qualità dello sperma,
comunque la restitutio ad integrum del didimo è documentata facendo assumere all’intervento correttivo un valore profilattico.
Criptorchidismo
Il criptorchidismo è stato trovato in circa lo
0,2-0,8%.
Le cause meccaniche di maggior importanza
sono:
corda spermatica corta;
canale inguinale stretto;
inadeguato sviluppo del gubernaculum
testis;
fibrosi o adesività sulle vie di discesa.
La diagnosi di criptorchidismo è basata
essenzialmente sull’esame obiettivo e, poi,
dall’ecografia.
Il ruolo dell’imaging è ancora in discussione,
dal momento che molti chirurghi preferiscono effettuare diagnosi e trattamento nello
stesso tempo chirurgico. L’esame ecografico
riesce molto frequentemente a dimostrare
una gonade sfuggita alla valutazione clinica.
La dimostrazione di una massa ipoecogena
nel canale inguinale, con caratteri del didimo
originario è praticamente diagnosi di certezza. La ricerca deve essere effettuata nello
Figura 5.
Varicocele di
III grado
A e B = B-mode;
C = color
flow-doppler:
evidenza
del reflusso.
A
B
C
scroto, nel perineo, nel canale inguinale e va
estesa all’area soprainguinale e anche all’apparato urinario ricercando eventuali anomalie concomitanti (1-2%). L’ecografia è di
grande utilità sia nella fase diagnostica del
criptorchidismo sia nel follow-up della terapia medica o chirurgica. In caso di ritenzione all’anello inguinale interno o nell’addome, la Risonanza Magnetica oggi riveste
senz’altro un ruolo di primaria importanza.
Conclusioni
L’ecografia è oggi un metodo accurato, rapido e sicuro nell’imaging dei disturbi dello
scroto nell’età adolescenziale ed in generale.
Scripta
MEDICA
Attualità in tema di ecografia gonadica in età adolescenziale
81
L’incremento nella risoluzione, grazie all’ausilio del color flow Doppler consente di
migliorare notevolmente la diagnostica differenziale sia nelle patologie vascolari che neoplastiche, dando al Clinico Pediatra informazioni irrinunciabili, sia per l’approccio terapeutico che per il follow-up.
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
83
L’influenza dei polli
Guglielmo Gargani
La peste aviaria
La peste aviaria, oggi meglio indicata come
“influenza aviaria” o anche HPAI (Higly Pathogenic Avian Influenza) fu descritta per la prima
volta da E. Perroncito nel 1878, in Italia, come
una malattia dei polli a decorso acuto o iperacuto: dopo 3-7 giorni di incubazione l’animale ha piumaggio arruffato, inappetenza, diarrea acquosa, temperatura elevata, cianosi della
cresta; non produce uova o se le produce queste sono prive di guscio. La morte interviene
24-48 ore dall’inizio dei sintomi; solo raramente la malattia si prolunga per una settimana ed eccezionalmente si evolve a guarigione.
La diffusione epidemica suggeriva l’esistenza
di un agente infettivo e nel 1901 Centanni e
Savonuzzi dimostrarono, mediante prove di
filtrazione, la presenza nelle escrezioni (principalmente feci) di un virus, che nel 1955 fu
identificato come un Orthomixovirus del tipo
A. In tal modo fu ben differenziata la peste
dalla pseudopeste aviaria o malattia di
Newcastle, descritta nel 1927 da Doyle, che è
provocata da un Paramixovirus.
Gli Orthomixovirus
Il termine Orthomixovirus è utilizzato esclusivamente per i virus dell’influenza, precedentemente riuniti con altri, come quelli della parotite, del morbillo, della malattia di Newcastle,
nel gruppo Mixovirus, che è caratterizzato
dalla presenza di RNA a singola elica con polarità negativa e dalla affinità per le mucose degli
animali a sangue caldo.
Nei virus influenzali si distinguono tre “tipi”,
A, B, C, in realtà più che “tipi” virus diversi per
Professore Emerito di Microbiologia, Università di Firenze
caratteristiche molto importanti sia intrinseche
sia estrinseche: Solo il tipo A ha un genoma
segmentato, dal quale dipende una notevole
variabilità antigene, determinante per i ben
noti aspetti epidemiologici di questo tipo di
influenza.
I virioni hanno un certo pleomorfismo da sferoidali ad allungati con diametro da 80 a 100
mµ, sono avvolti da una membrana lipidica,
appoggiata su una struttura proteica, dalla
quale sporgono spine di due diversi aspetti:
bastoncini triangolari, dotati in vitro di attività
agglutinante sui globuli rossi, detti H, da
Haemoagglutinine e bastoncini sottili che portano all’estremità un corpo oblungo, dotati di
attività enzimatica che provoca in vitro il
distacco del virione dal globulo rosso, detti N
da Neuraminidasis.
È dimostrato che i bastoncini H determinano
in natura la adesione del virione alla cellula
sensibile, prima fase dell’infezione, e quindi la
adattabilità di ospite (host-range) del virus.
D’altra parte gli anticorpi anti-H, bloccando
l’adesione alle cellule sensibili proteggono dall’infezione e la loro ricerca è alla base delle
indagini epidemiologiche volte a ricostruire il
percorso dei vari virus sul globo terracqueo.
Nei virioni A troviamo un RNA formato da 8
segmenti diversi, a riproduzione indipendente, ciascuno dei quali governa una particolare
funzione (Tabella 1). Due geni governano
rispettivamente le emoagglutinine (H) e le
neuraminidasi (N), un gene governa la proteina associata all’acido nucleico, uno le due proteine Matrix, che formano lo strato profondo
della membrana pericapsidica, tre geni governano le RNA polimerasi per la riproduzione
dei virioni, due geni governano proteine non
strutturali, che non si ritrovano nei virioni
maturi, di cui ignoriamo la funzione.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
84
Tutte queste proteine hanno attività antigene, ben note sono le
H, le N e le NP. Quest’ultima differenzia i tre “tipi”, mentre nel
tipo A e non negli altri due possono essere presenti 15 diversi
antigeni H e 9 diversi antigeni N
(Tabella 2); la cui combinazione
determina i numerosi sottotipi .
La classificazione e la denominazione dei virus influenzali vengono dai seguenti criteri: tipo
(A, B, C), animale luogo e data
di isolamento, antigene H ed
antigene N (Tabella 3). Dei vari
sottotipi sono stati finora trovati
nell’uomo e nei maiali H1N1,
H2N2, H3N2, e recentemente
H1N2, nel maiale in Cina
H9N2, in Canada H4N6 (che è
comunque limitato ad un singolo allevamento), gli altri in vari
uccelli ed occasionalmente in
qualche mammifero (cavallo,
foca, balena, visone) (Tabella 4).
Gli Orthomixovirus hanno moderata resistenza ai fattori ambientali, sopravvivono 4 giorni
in acqua 22°C e oltre 30 giorni
a 0°C.
Sono però inattivati dal trattamento con il calore dopo 3h a
56°C, dopo 30min a 60°C; dal
pH acido, da agenti ossidanti,
da formalina e da composti
di iodio. Sopravvivono forse
per lunghi periodi in tessuti:
H5N1 è stato isolato da carne
di anatra (1).
I virus degli uccelli
Gene
Funzione
Gene HA
Emoagglutinine (15 diverse)
Gene NA
Neuraminidasi (9 diverse)
Gene NP
Nucleoproteina associata
ad RNA diversa per ciascun tipo A, B, C
Gene M
Le due proteine Matrix strato
profondo del pericapside
Gene NS1
Proteina non strutturale 1 a funzione ignota
Gene NS2
Proteina non strutturale 2 a funzione ignota
Gene PA
Polimerasi
Gene PB1
Polimerasi
Gene PB2
Polimerasi
Denominazione
e situazione nel virione
Specificità
Nucleocapside NP
A, B, C identificano i tipi
Emoagglutinina H
15 diversi in combinazione
con N identificano i sottotipi
Neuraminidasi N
9 diversi in combinazione
con H identificano i sottotipi
1. Tipo (A, B, C)
2. Animale di isolamento (se diverso dall’uomo)
3. Luogo di isolamento
4. Numero assegnato dal centro mondiale
5. Anno di isolamento
6. Antigene H, N (fra parentesi)
Esempio
A/Hong Kong/156/97 (H5, N1) il virus dai casi umani
mortali di Hong Kong nel 1997
A/Goose/Guandong /1/96 (H5, N1) il virus dall’oca nel
Guandong nel 1996
Questo termine non ha alcun
significato tassonomico, probabilmente tutti i virus A possono
trovarsi negli uccelli, ma viene
utilizzato comunemente ad indicare gli stipiti virali isolati per la prima volta da
questi.
È ormai opinione comune che varie specie di
uccelli selvatici, soprattutto acquatici, costituiscano il principale deposito di virus A, che è
un loro ospite abituale e produce infezioni
Tabella 1.
I geni
dell’“Influenza A”.
Tabella 2.
Antigeni
dei virus
influenzali.
Tabella 3.
Nomenclatura
dei virus
influenzali.
Scripta
MEDICA
L’influenza dei polli
85
Tabella 4.
Ospiti non umani
del virus A.
Ospite
Sottotipi
Evoluzione dell’infezione
Maiale
H1N1, H1N2, H9N2
Grave
Cavallo
H7N7, H3N8
Benigna
Foca
H7N7, H4N5
Grave
Balena
H13N2, H13N9
Benigna
Visone
H10N
Grave
Gabbiano e altri uccelli marini
H5N1
Asintomatica
Anatra selvatica
Vari
Asintomatica
Quaglia
Vari
Asintomatica
H7N1, H7N2, H7N3, H7N7, H5N1, H6N1
Grave
H7N7, H5N1, H1N2
Grave
Polli
Tacchini
Nota: L’infezione si trova anche in molte specie aviarie selvagge di solito con evoluzione benigna ed in
alcune altre domestiche con evoluzione grave.
asintomatiche o paucisintomatiche. Molte di
queste specie hanno abitudini migratorie e nei
loro voli, spesso transoceanici, diffondono a
distanza il virus.
Altre specie di uccelli terrestri, prevalentemente domestiche (soprattutto polli e tacchini)
possono ospitare occasionalmente i medesimi
sottotipi di virus. alcuni dei quali provocano
una infezione a decorso rapido spesso con
esito letale: la peste aviaria (influenza aviaria).
Dagli uccelli domestici questi virus possono
passare al maiale e da questo all’uomo, come è
stato possibile ricostruire a posteriori per la
grande pandemia del 1918 che prese origine
dai maiali del “Middle West”, si propagò per
contagio interumano in U.S.A. nella primavera, e nell’estate con i soldati americani che
venivano a combattere nella “Grande Guerra”
passò in Europa, dove fra la fine dell’estate e
l’autunno esplose la pandemia che si diffuse in
tutto il mondo.
Dagli uccelli domestici A (H7N7) e forse dai
anche dai selvaggi A (H3N8) l’infezione passa
al cavallo, nel quale ha andamento epidemico
con evoluzione benigna e nessun passaggio
all’uomo o ad altra specie.
Dagli uccelli selvatici l’infezione passa alle
foche (2), nelle quali decorre in modo acuto,
spesso con esito letale, ma non si diffonde ad
altre specie, alle balene (3) e a qualche altro
mammifero marino nell’Oceano Artico, nei
quali l’infezione è benigna e autolimitante, ed
infine al visone, nel quale provoca polmonite
che si diffonde in modo epidemico negli allevamenti, con grave danno economico (4).
Da queste quattro specie non risulta contagio
all’uomo.
La trasmissione diretta dagli uccelli all’uomo si
è osservata occasionalmente, negli ultimi mesi
con notevole impatto mediatico in Asia orientale e sud orientale, e la possibilità di qualche
caso di trasmissione secondaria interumana
non è da escludersi (vedi oltre).
L’influenza dei polli
I sottotipi di virus A che infettano il pollame
domestico hanno, con poche eccezioni, antigeni H5 ed H7, dall’antigene H dipende infatti la adattabilità di ospite, e antigeni N variabili. Sulla base di criteri epidemiologici, poi confermati da prove di virulenza sperimentale (5)
e dall’esame dei profili genetici, questi stipiti
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
86
sono stati distinti, indipendentemente dalla
classificazione antigene, fra HPAI (High
Pathogenic Avian Influenza) e LPAI (Low
Pathogenic Avian Influenza) (6).
Gli animali che hanno superato una infezione
benigna da LPAI sono protetti da una successiva con HPAI. È d’altra parte possibile che una
epidemia di HPAI avvenga in seguito a mutazione e successiva selezione da virus LPAI già
circolante nel territorio, come è avvento nel
1999-2000 in nord Italia (7).
I virus eliminati con le feci e in minor misura
per via respiratoria, sopravvivono nell’ambiente, così che il contagio avviene per contaminazione degli alimenti, inclusa l’acqua, mentre
quello per via aerogena è possibile solo se gli
animali sono molto vicini e vi è movimento
dell’aria. In un focolaio in Pennsylvania si è
dimostrato che certe mosche, catturate negli
immediati dintorni degli animali infetti, erano
fonte di virus.
Focolai di HPAI sono stati descritti in
Australia, Inghilterra, Sud Africa, Scozia,
Irlanda, Olanda, Messico, Pakistan, U.S.A,
Italia, Olanda, Cina, Viet-Nam, Giappone
Tailandia, Indonesia.
Le perdite economiche più gravi si verificano
negli allevamenti di tacchini. In U.S.A. nei
mercati di polli vivi oltre ad H7N2 furono isolati H7N3, H7N7. Nel 1999 in Missouri fu isolato da tacchini H1N2. Questo sembra un riassortimento abbastanza complesso di geni da
virus suini, umani e aviari ed è simile ai recenti isolati dal suino nel Midwest (8).
In Italia il primo focolaio fu identificato in allevamenti domestici e semi industriali nel 1997
(7); attribuito a H5N2, di moderata virulenza,
fu rapidamente bloccato, senza eccessive perdite economiche, dalle misure profilattiche.
Il secondo episodio fra il 1999 ed il 2000, da
virus H7N1, fu invece di notevole gravità. Dal
primo focolaio in un allevamento di tacchini
(con 100% di mortalità), si diffuse rapidamente negli allevamenti industriali di Veneto e
Lombardia con 413 focolai (colpiti polli tacchini, quaglie, fagiani, anatre e struzzi).
Indagini sierologiche con esito negativo furono
eseguite su 249 individui fra gli addetti agli
allevamenti, come negative furono quelle culturali su 6 tamponi faringei dalla medesima
popolazione (9).
Nel 2002 fu isolato in Italia da polli con modesta sintomatologia respiratoria un virus umano
H3N2 (10), che riprodusse la sintomatologia
in polli infettati sperimentalmente.
I virus aviari e l’uomo
La prima sporadica segnalazione di infezione
umana da virus aviari risulta, per quanto a mia
conoscenza, una congiuntivite da H7N1 in
Gran Bretagna nel 1995, posta in relazione con
un focolaio epidemico nelle anatre.
Due anni più tardi nel maggio 1997 a Hong
Kong, mentre era in corso una epizoologia
ad elevata letalità nei polli del mercato, fu
coltivato da una bambina, affetta da morbo
di Reye, deceduta con sintomatologia respiratoria ad evoluzione letale, un virus identificato come A (H5N1).
Questa morte, benché probabilmente dovuta alla patologia di base, ricevette maggiore
attenzione della congiuntivite di due anni
prima in Gran Bretagna e provocò una
accurata sorveglianza delle malattie respiratorie umane, così che entro la fine del 1997
si identificarono altri 18 casi di malattia
respiratoria, 6 dei quali ad evoluzione fatale, attribuiti al medesimo virus. Non si riuscì a precisare la modalità del contagio, pur
escludendo quello interumano, ma i pazienti erano stati tutti a stretto contatto con
i polli del mercato e di conseguenza si provvide alla eliminazione di tutti i capi sospetti (un milione e mezzo), bloccando ogni
ulteriore diffusione della infezione.
Le ricerche ambientali nei mercati dimostrarono sia nel materiale proveniente da
polli o altri volatili, sia in quello dalle gabbie, la presenza, nel 20% dei campioni, del
virus A (H5N1) e, nel 5%, di un altro virus
A (H9N2) con qualche caso di coinfezione.
Indagini sierologiche parallele negli addetti
a questi mercati rilevarono una discreta frequenza di anticorpi anti H5 ed H9, dimostrando il passaggio dell’infezione dai polli
all’uomo, fortunatamente senza evoluzione
in malattia (11).
Il passaggio del virus A (H9N2) all’uomo fu
osservato nel 1998 in Cina (Guangdong) con
l’isolamento da 5 casi di sintomatologia simil-
Scripta
MEDICA
L’influenza dei polli
87
influenzale, in concomitanza con la presenza
negli allevamenti suini, e successivamente nel
marzo 1999, quando fu isolato da due bambine rispettivamente di 4 anni e di 13 mesi ricoverate con sintomi influenzali ad evoluzione
favorevole in due diversi ospedali del territorio
di Hong Kong (Kowloon e Isola).
L’analisi molecolare dimostrò una notevole
vicinanza degli stipiti dalle bambine con quelli del 1997 da una quaglia (considerato stipite
tipo) e da polli del mercato di Hong Kong.
La presenza poi dei sei geni delle proteine non
di superficie molto simili a quelli di H5N1
dimostrerebbe una ricombinazione genetica,
già suggerita dai pochi casi di coinfezione rilevati nei polli nel 1997. I due casi del 1999 sono
da considerare la continuazione della epidemia
del 1997, mentre non hanno nulla a che vedere con i 5 casi del Guangdong del 1998.
Nel febbraio del 2003 è comparsa in Olanda
una grave epizoozia in allevamenti di polli
da virus A (H7N7), alla quale sono associati
casi umani nelle persone addette e relative
famiglie. Al 25 aprile erano stati confermati
83 casi, prevalentemente di congiuntivite,
sporadicamente associata a sintomi similinfluenzali, tutti ad evoluzione favorevole tranne in un veterinario di 57 anni nel quale una
grave sintomatologia respiratoria ebbe invece evoluzione letale L’interesse di questo
focolaio è soprattutto la trasmissione da due
pazienti a tre famigliari della congiuntivite,
in un caso accompagnata da sintomatologia
similinfluenzale.
Quasi contemporaneamente nel febbraio 2003
due casi da virus A (H5N1) furono diagnosticati in una singola famiglia di Hong Kong: un
bambino ed il padre, il primo con evoluzione
benigna, il secondo con evoluzione letale. Tutti
i quattro membri della famiglia presentavano
sintomatologia respiratoria ed avevano viaggiato nella provincia cinese di Fujian, dove
una figlia era morta. Non ci fu alcun elemento
per verificare se tutta la famiglia si era infettata
da una singola fonte comune o se c’era stato
contagio interumano
Nel 2003 epizoozie di influenza aviaria da
virus A (H5N1) comparvero nell’Asia orientale e sud-orientale, Cina, Corea del Sud,
Giappone e Viet-Nam, più tardi Tailandia, infine Indonesia. In concomitanza con queste,
furono registrati, a partire dal 23 ottobre, in
Viet-Nam, dapprima nelle provincie settentrionali poi in quelle meridionali, 16 casi di
sindrome similinfluenzale ad evoluzione
grave: dei 7 dai quali fu coltivato A (H5N1) 6
(5 bambini ed una donna di 30 anni) morirono. Successivamente nel gennaio fu individuato un focolaio familiare di 4 persone, con tre
morti, per due di questi non si è accertato contatto con polli infetti e si pone quindi l’ipotesi
di un contagio interumano.
Nella seconda metà di gennaio comparvero in
Tailandia casi simili e da tre, di cui uno ad evoluzione letale, fu coltivato il medesimo virus e
al 2 febbraio un successivo caso. Nello stesso
paese fu segnalata una possibile trasmissione
interumana in una famiglia. Tre nuovi casi
furono infine confermati in Viet-Nam il 3 febbraio con un decesso (12)
La Cina comunicò il 29 gennaio che la malattia si era diffusa nei polli nelle provincie di
Hunan e Hebec ed era stata segnalata in un
allevamento di anatre nel Guaxi fin dal 27; e il
2 febbraio l’estensione ad altre regioni.
Comunque nessun caso nell’uomo.
Percorso epidemico dei virus A
(H5N1) e A (H9N2)
Il virus A (H5N1) fu isolato per la prima volta
nel 1961 in sud Africa da un gabbiano, negli
anni successivi da varie specie di uccelli selvatici, e da anatre e polli domestici, solo in questi ultimi il decorso dell’infezione è grave e la
letalità elevata, sopra tutto in Asia orientale
dove ha acquistato un notevole grado di virulenza (fino al 100% dei polli colpiti).
Il sequenziamento degli stipiti dai casi umani
ha dimostrato diversità da quelli precedenti
isolati in Asia orientale ma la presenza dei soli
aviari. Almeno per gli stipiti di Hong Kong (il
sequenziamento per quelli di Hanoi è ancora
incompleto) fu rilevata inoltre tendenza alla
sostituzione di amino acidi delle proteine
interne. Questa tendenza e la possibilità
accertata per i virus aviari di doppia infezione
della medesima cellula potrebbero portare a
ricombinazioni con geni umani.
Il virus A (H9N2) fu isolato la prima volta in
Nord America nel tacchino, poi nella quaglia
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
88
e nei polli, associato a modesta
Paese
sintomatologia respiratoria,
quindi fra il 1975 e il 1985 cirKorea
colò in Asia esclusivamente
nell’anatra, senza apparente
Vier Nam
sintomatologia, e a partire dai
Giappone
primi anni ’90 nei polli,
accompagnato da eventi patoTailandia
logici, in Cina ed in Corea. La
ricombinazione con A (H5N1)
Cambogia
è dimostrata negli stipiti isolati
Cina
nei casi umani di Hong Kong
che contengono i geni per le
Laos
proteine non di superficie di
questo. I casi umani segnalati
Indonesia
sono comunque sporadici.
Candidato a divenire agente di
pandemia è per il momento
solo il virus A (H5N1), che si è diffuso rapidamente fra gli uccelli domestici in Asia
orientale e sud-orientale ed è l’unico ad aver
dato un certo numero di casi di influenza
nell’uomo (Tabella 5) ad alta letalità per contagio diretto mentre rimane dubbio, ma non
da escludere, per gli ultimi casi descritti il
contagio interumano, benché nei genomi
finora sequenziati siano assenti geni dei virus
dell’influenza umana.
Perché dagli sporadici casi di contagio all’uomo si possa passare ad una catena di contagi
interumani, che sfocerebbe senza alcun dubbio in una pandemia per la completa assenza di resistenze immunitarie, è necessaria
una ricombinazione con geni da sottotipi
dotati di capacità diffusive nella popolazione
umana, che potrebbe avvenire nel maiale,
come nel 1918, quando la pandemia cominciò nei maiali del Middle West (U.S.A.).
Attualmente in Cina non c’è stata dimostrazione diretta del virus nel maiale, ma anticorpi H1, H3, H4 ed H5, sono stati identificati (13) in campioni di siero raccolti fra il
1977 e il 1988 e anche anticorpi H9 in campioni del 1998, quando questo virus si è diffuso nei polli.
D’altra parte lo stipite A/teal/Hong
Kong/W312/97 (H6N1) isolato in Cina da
una anatra d’acqua e poi dai polli e gli umani
H5N1 e H9N2, colpevoli dei piccoli focolai
di Hong Kong 1997 e 1999 hanno geni simili per le proteine interne: il primo potrebbe
Casi umani
No
Si
No
Si
No
No
No
No
essere quindi un altro candidato per un
nuovo virus umano (14)
La trasmissione interumana sarebbe stata
possibile in almeno tre focolai famigliari, nei
quali tuttavia non si può escludere la contaminazione da una singola fonte di infezione.
È possibile che ci sia un progressivo adattamento all’uomo con contagio per ora solo
nel caso di stretti contatti, come possono
verificarsi in ambiente famigliare.
Comunque al momento le drastiche misure
di eliminazione dei polli, unite a scopo precauzionale alla proibizione dei mercati di
pollame vivo, come già si fa in Europa,
dovrebbe essere sufficiente a bloccare l’attacco di questo virus, come ad Hong Kong nel
1997. La WHO si è comunque attivata per
ridurre la frequenza di malattia e di morte da
virus A (H5N1) fra gli uomini, e contemporaneamente abbassare le probabilità di una
nuova pandemia influenzale.
Una visione ottimistica potrebbe essere suggerita dalla nostra conoscenza delle glicoproteine di superficie dei virus candidati, dalle
quali allestire vaccini, che sarebbero già
pronti per la nuova pandemia, al contrario di
quanto avvenne nel 1957 e nel 1968 quando, al momento della esplosione su scala
mondiale dell’influenza, era ancora ignota la
struttura antigene del nuovo virus ed occorsero alcune settimane per sviluppare il vaccino ed ancora di più per produrne quantità
sufficienti.
Tabella 5.
Focolai confermati
di influenza da
H5N1 nei polli e
relativi casi umani
al 4 febbraio
2004 (WHO).
Scripta
MEDICA
L’influenza dei polli
89
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Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
91
Infezioni delle vie urinarie non complicate
Prima di tre parti
Pietro Cazzola
Introduzione
Secondo la Infectious Disease Society of America le infezioni delle
vie urinarie (IVU) devono essere
classificate come segue:
IVU acuta non complicata.
Pielonefrite acuta non complicata.
IVU complicata.
Batteriuria asintomatica.
Per definizione le IVU non complicate colpiscono soggetti con vie
urinarie strutturalmente e funzionalmente normali. Al momento della presentazione
clinica è sovente difficile distinguere tra forme non
complicate e complicate,
tuttavia il riscontro della preTabella 1.
Fattori di rischio delle infezioni
delle vie urinarie complicate.
Sesso maschile
Età avanzata
Recente ospedalizzazione
Gravidanza
Cateterismo urinario
Recente intervento urologico
Anomalie morfo-funzionali
del tratto escretore
Recente uso di antibiotici
Diabete mellito
Immunodepressione
Specialista in Anatomia e Istologia Patologica
e Tecniche di Laboratorio
senza di alcuni fattori di rischio (Tabella 1) (1) può orientare la diagnosi
che deve essere tuttavia confermata da più approfonditi accertamenti.
Nell’adulto la forma più frequente di IVU è rappresentata dalla cistite
acuta non complicata che colpisce prevalentemente i soggetti di sesso
femminile sessualmente attivi con un’incidenza dello 0,5 per
persona/anno (2).
Eziologia delle IVU non complicate
Gli studi microbiologici hanno evidenziato differenze tra i patogeni responsabili delle
IVU non complicate e quelli che causano le forme complicate.
Nonostante la rilevanza delle IVU,
mancano dati italiani sulla loro epidemiologia e sono solo disponibili i
risultati relativi a studi osservazionali ad hoc.
Uno di questi ha valutato l’epidemiologia delle IVU in 1805 pazienti afferenti
agli ambulatori specialistici diffusi su tutto il
territorio nazionale: nel 40% dei casi l’urinocoltura ha dato esito positivo ed i principali germi
riscontrati sono stati i seguenti (3):
Escherichia coli
69%
Proteus mirabilis
10,5%
Klebsiella spp
5,7%
Pseudomonas aeruginosa 4,3%
IVU non complicate:
fattori di rischio
La grande differenza di prevalenza delle IVU tra
donne e uomini sembra essere la conseguenza di
svariati fattori proteggenti il maschio come la maggior distanza tra ano e meato uretrale, l’ambiente più secco dell’area periuretrale, la maggior lunghezza dell’uretra e l’attività antibatterica del li-
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
92
Figura 1
Rischio di infezione delle vie urinarie
nella donna in relazione alla frequenza
settimanale dei rapporti sessuali (2).
10
9,0
9
8
7
Rischio relativo
quido prostatico (4).
Nel sesso femminile gli uropatogeni nella maggior parte dei casi
originano dalla flora batterica rettale e, dopo aver colonizzato la
vagina ed i tessuti periuretrali,
raggiungono la vescica attraverso
l’uretra (5).
La colonizzazione della vagina è
ritenuta un prerequisito essenziale per la diffusione dell’uropatogeno nella vescica ed i fattori che
favoriscono le IVU incrementano
il rischio facilitando l’innidamento batterico vaginale (5).
Poiché i fattori di rischio sono differenti tra uomo e donna e nelle
differenti età della vita, appare
utile distingue le seguenti tipologie di soggetti:
6,6
6
4,8
5
4
3,5
3
2,6
1,9
2
1,4
1,0
1
Donne prima della menopausa
I rapporti sessuali e l’uso di spermicidi (particolarmente se associati all’impiego del diaframma)
sono i fattori per cui esiste una
chiara dimostrazione dell’aumento del rischio di IVU nelle giovani
donne (2).
Uno studio condotto in studentesse universitarie ha dimostrato
che 3 rapporti sessuali a settimana incrementano il rischio relativo di UVI di 2,6 volte, mentre se
il rapporto sessuale è quotidiano
il rischio è di 9 volte superiore rispetto a quello di un’equivalente
popolazione di confronto in cui
non vi sono stati rapporti sessuali
in quella determinata settimana
(2) (Figura 1).
I rapporti sessuali nelle giovani
donne aumentano il rischio di
IVU attraverso il trasporto meccanico degli uropatogeni in vescica
(6) e, probabilmente, anche trami-
0
Controlli
senza rapporti
sessuali
1
2
3
4
5
6
7
Giorni della settimana con rapporti sessuali
te un effetto microtraumatico (7).
Studi sperimentali e clinici hanno
precisato il ruolo favorente le IVU
esercitato dagli spermicidi: quest’ultimi, infatti, alterando l’ecosistema vaginale (in particolare
agendo sui lattobacilli produttori
di H2O2), favoriscono la colonizzazione da parte degli uropatogeni che successivamente possono
agevolmente raggiungere la vescica (8-12).
Anche l’impiego di alcuni antibiotici, ed in particolare dei β-lattamici, può indurre dismicrobismo
vaginale a favore degli uropatogeni, con conseguente incremento
del rischio di IVU (13): quest’ulti-
mo tuttavia aumenta dopo 15-28
giorni dall’assunzione dell’antimicrobico in quanto nei giorni precedenti il paziente è protetto dalle
infezioni dall’effetto stesso.dell'antibiotico (14).
Donne dopo la menopausa
Nelle donne anziane è il basso livello estrogenico che sembra giocare un ruolo favorente l’insorgenza delle IVU (2).
In uno studio di intervento, condotto in doppio cieco, Raz e
Stamm (15) hanno dimostrato che
il trattamento topico intravaginale
con estrogeni dimezza la colonizzazione della vagina da parte di
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
93
Escherichia coli, riequilibra la flora
lattobacillare e riduce marcatamente l’incidenza delle IVU.
Molto recentemente Stern et al.
(16) hanno evidenziato che anche
nelle donne anziane, analogamente a quanto avviene negli uomini
anziani, le IVU sono correlate all’entità del residuo post-minzionale e che quest’ultimo, a sua volta, può essere migliorato dalla terapia estrogenica sostitutiva.
re associate ad alterazioni strutturali e funzionali delle vie urinarie:
questi dati indicano pertanto che
anche le IVU che compaiono negli uomini giovani non necessitano obbligatoriamente di indagini
radiologiche, endoscopiche o
urodinamiche.
Uomini giovani
Negli uomini giovani le IVU non
complicate sono rare ed i fattori
di rischio sono rappresentati dai
rapporti sessuali con donne infette e dall’omosessualità (5).
Occorre tuttavia segnalare che
nell’uomo i ceppi degli uropatogeni tendono ad essere marcatamente virulenti (17).
Le IVU sono tradizionalmente ritenute dei processi infettivi acuti,
spesso autolimitanti, causati principalmente da ceppi non invasivi
di Escherichia coli. Questo concetto, tuttavia, è stato recentemente
modificato da osservazioni che
hanno mostrato come nella cistite
acuta l’infezione sia il risultato di
una complessa serie di interazioni
tra patogeno e ospite che determinano l’invasione e la persistenza
batterica tissutale (19).
Nel caso dell’Escherichia
coli, è il diverso profilo degli antigeni
batterici di superficie O
(somatici),
H (flagellari) e K
(capsulari) a condizionare
l’organotropismo dei vari cloni
batterici.
Infatti si ritiene che il sierogruppo somatico di questo batterio sia in grado di orientare in una
sede predeterminata il processo di
colonizzazione-infezione [alcuni
sierogruppi O possiedono tipi di
Abarbanel et al. (18), in uno studio condotto su uomini con età
inferiore a 45 anni, hanno evidenziato che in questa categoria di
soggetti le IVU non sono in gene-
Fattori di virulenza
degli uropatogeni
adesine adeguate alla mucosa del
tratto urinario, altri sono forniti di
fattori per la colonizzazione (intimine)], mentre gli altri antigeni
maggiori H e K modulano la suscettibilità del ceppo alla difesa
anticorpale e macrofagica espressa
dall’ospite (20).
Tra i fattori di virulenza dei microrganismi infettanti le vie urinarie un ruolo determinante spetta
alla capacità di aderenza batterica
alle cellule uroteliali: infatti attraverso questa proprietà il batterio si
oppone al meccanismo di lavaggio
costituito dal flusso urinario.
La capacità di aderire all’urotelio
può essere mediata da fimbrie o
da adesine non fimbriali (glicocalice, capsula batterica, proteine di
membrana).
Le fimbrie P sono strutture in grado di aderire a specifici recettori
presenti sulla superficie delle cellule uroteliali (21): la più elevata
suscettibilità alle infezioni urinarie del sesso femminile è stata attribuita a alcuni Autori ad una
maggior possibilità di adesione
offerta dall’ambiente vaginale alle
fimbrie P (22, 23).
Studi recenti hanno evidenziato
che l’Escherichia coli, una volta sopraffatte le difese dell’ospite (afflusso di neutrofili ed esfoliazione
cellulare) si annida entro le cellule uroteliali formando biofilm in
cui i batteri sono immersi in una
matrice polisaccaridica circondata
da un guscio protettivo di uroplachina (24).
Questa modalità di organizzazione renderebbe i batteri meno sensibili nei confronti delle difese
dell’ospite e favorirebbe la loro
persistenza in loco.
Scripta
M E D I C A Volume 7, n. 3, 2004
94
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Marzo N° 3 - 2004 - Salute per tutti