Un inclassificabile
Intervista del 1964: Alla domanda “Quali sono gli scrittori [...]
che più hanno influito su di lei?”, risponde: “Da ragazzo ero un
lettore insaziabile. A quattordici o quindici anni avevo già letto
o riletto tutto Tolstoj in russo, tutto Shakespeare in inglese e
tutto Flaubert in francese – oltre a centinaia di altri libri. [...] ma
non credo che un autore particolare abbia avuto un influsso
preciso su di me”
Intervista del 1969, domanda simile: “Sono del tutto
indifferente nei confronti delle correnti letterarie. Mi piace un
certo numero di libri, compresi alcuni dei miei, e questo è il
mio unico rapporto con la letteratura. [...] Nei miei scritti in
russo ho fissato la mia propria tradizione. Tecnicamente non mi
sento debitore di nessuno, in russo o in inglese. In un certo
senso io ho ereditato me stesso”
Russia (1899-1919)
• 23 aprile 1899: Nasce a Pietroburgo, in una famiglia di
tendenze liberali. Avrà due fratelli e due sorelle minori
•Padre: Vladimir Dmitrievich, è un famoso
giurista e un uomo politico di spicco;
• Madre: Elena Ivanovna, proviene da una
famiglia nobile e agiata.
• Vladimir trascorre
l’infanzia tra San
Pietroburgo e la tenuta
familiare di Vyra, a circa
70 km a sud della città;
Russia (1899-1919)
• I cinque figli vengono educati da bambinaie inglesi, e all’età
di sei anni Vladimir sa già leggere e scrivere in inglese, mentre
non sa quasi una parola di russo; dalle bambinaie impara anche
il francese;
• Il padre assume un insegnante di una scuola locale perché
insegni al figlio la lingua materna;
Lui stesso si autodefinirà “un normalissimo bambino
trilingue in una famiglia con una grande biblioteca”.
 1910: Inizia a frequentare la scuola Tenishev, che è la più
prestigiosa e costosa di Pietroburgo;
 Verso i quindici anni incomincia i suoi primi tentativi
letterari, scrivendo poesie soprattutto di argomento amoroso
La Rivoluzione e l’esilio (1917-19)
• Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il padre ottiene un incarico
nel governo provvisorio, ma poi viene arrestato dai bolscevichi
e imprigionato per breve tempo;
• Dopo essere stato rilasciato, raggiunge la famiglia che nel
frattempo si è trasferita nella tenuta di un amico vicino a Yalta,
in Crimea, dove i Nabokov rimangono per un anno e mezzo;
• Aprile 1919: i bolscevichi avanzano, conquistano la Crimea, e
la famiglia Nabokov deve fuggire definitivamente dalla Russia:
si spostano a Sebastopoli, e quindi si trasferiscono in
Inghilterra.
Cambridge (1919-1922)
• La famiglia si stabilisce per un anno a Londra, mentre
Vladimir frequenta l’università a Cambridge;
• Studia letteratura russa e francese, e si laurea nel 1922;
• Nel frattempo continua a giocare a calcio, scrive poesie in
russo, e traduce in russo Alice nel paese delle meraviglie.
Berlino (1922-1937)
• 1922: Dopo la laurea, raggiunge la famiglia, che nel frattempo
si è trasferita a Berlino, una delle capitali europee (insieme a
Parigi) in cui si è concentrata l’emigrazione russa
• Nabokov vi rimane per quindici anni, frequentando quasi
esclusivamente il mondo degli esuli russi
•Il padre è direttore di una rivista
dell’emigrazione russa, “Rul’” (“Il
timone”)
• Su questa e altre riviste pubblica
poesie, articoli di critica letteraria,
traduzioni letterarie, racconti, testi
teatrali; li firma con lo pseudonimo V.
Sirin.
Berlino (1922-1937)
• 1922: Il padre viene ucciso per sbaglio durante una
manifestazione politica da due attentatori di estrema destra che
volevano sparare a Pavel Miliukov;
• La madre si trasferisce a Praga, dove ottiene una pensione
governativa e dove rimane fino alla morte (1939);
•15 aprile 1925: Sposa Véra
Slonim, figlia di un avvocato e
uomo d’affari di San Pietroburgo
conosciuta due anni prima;
• 10 maggio 1934: Nasce loro
figlio Dmitri.
Berlino (1922-1937)
• Gli anni berlinesi vedono la stesura dei primi otto romanzi di
Nabokov, scritti in russo, tra i quali:
– Mashen’ka (Maria), 1926;
– Korol', dama, valet (Re, donna, fante), 1928;
– Otchayanie (Disperazione), 1934;
– Dar (Il dono), 1937-38.
I romanzi vengono accolti bene dal pubblico, ma procurano
scarsissimi guadagni e soprattutto restano sostanzialmente
sconosciuti al di fuori della comunità russa di Berlino o di
Parigi.
Parigi (1937-1940)
• In seguito all’avanzata del nazismo, Nabokov incomincia a
fare alcuni viaggi in giro per l’Europa, durante i quali rinnova e
intensifica i suoi contatti con gli ambienti culturali
extraberlinesi;
• 1937: Si trasferisce con la famiglia in Francia, dove trascorre
tre anni;
• Qui, nel 1938-39, scrive il suo primo romanzo in inglese, The
Real Life of Sebastian Knight (La vera vita di Sebastian Knight,
pubblicato negli Usa nel 1941)
Stati Uniti (1940-1961)
• 1940 riesce a trasferirsi in America: lascia Parigi, e in maggio
sbarca a New York (diventerà cittadino americano nel 1945);
• All’inizio lavora presso il Museo di storia naturale;
• Collabora con il New Yorker e lavora a un’opera di critica
letteraria su Gogol’.
• Una delle attività principali è l’insegnamento, grazie ad alcuni
incarichi che ottiene presso alcune università prestigiose:
–Estate 1941: Tiene un corso di scrittura creativa
all’università di Stanford, dove poi ottiene un insegnamento
stabile di letteratura comparata e russo;
–Anni successivi: Insegna ad Harvard, e soprattutto a
Cornell, dove - tra il 1948 e il 1959 – tiene corsi di
letteratura russa ed europea (cfr. Lezioni di letteratura).
Stati Uniti (1940-1961)
• Continua a scrivere in inglese e pubblica altri romanzi, in
particolare:
– Lolita (1955)
– Pnin (1957)
Montreux (1961-1977)
•1961: I Nabokov si trasferiscono a Montreux, sul lago di
Ginevra
• All’inizio pensano che sia un trasferimento temporaneo e si
stabilistico al Montreux Palace Hotel, dove invece rimangono
fino alla morte (Nabokov muore il 2 luglio 1977)
• In questi anni continua a scrivere:
– Traduce in inglese i suoi libri russi,
spesso con la collaborazione del figlio;
– Pale Fire (Fuoco Pallido), 1962;
– Ada, 1969
Un “extraterritoriale”
Da un’intervista del 1965: “Avevo cominciato a scrivere in
inglese, piuttosto sporadicamente, qualche anno prima di
emigrare in America, dove arrivai nella nebbia color lilla di una
mattina di maggio, il 28 maggio 1940. Alla fine degli anni
Trenta, quando vivevo in Germania e in Francia, avevo tradotto
due dei miei libri russi in inglese e avevo scritto il mio primo
romanzo direttamente in inglese, quello su Sebastian Knight.
Poi, in America, smisi del tutto di scrivere nella mia
madrelingua, se si esclude qualche rara poesia […]. Il
passaggio definitivo dalla prosa russa alla prosa inglese è stato
quanto mai doloroso – come imparare di nuovo a maneggiare
gli oggetti dopo aver perso sette o otto dita in un’esplosione”.
Un “extraterritoriale”
Postfazione a Lolita (12 nov. 1956): “La mia tragedia privata,
che non può e non deve riguardare nessun altro, è che ho
dovuto abbandonare il mio idioma naturale, la mia lingua russa
così ricca, così libera, così infinitamente docile, per una marca
di inglese di seconda qualità, priva di tutti quegli apparati – lo
specchio ingannatore, il fondale di velluto nero, le tacite
associazioni e tradizioni – che l’illusionista indigeno, con le
code del frac svolazzanti, può magicamente usare per
trascendere a suo modo il retaggio dei padri”.
George Steiner lo ha definito uno scrittore “extraterritoriale”,
quasi un emblema dell’artista contemporaneo, “profugo e
vagabondo nella lingua”: “Eccentrico, lontano, nostalgico, [...]
Nabokov rimane, in virtù della sua extraterritorialità, uno dei
principali portavoce del nostro tempo”.
L’occhio: Storia del testo
 La prima versione russa viene scritta a Berlino nel febbraio
1930 e pubblicata a Parigi su una rivista dell’emigrazione
russa, «Sovremennye Zapiski»;
 Molti anni dopo, quando Nabokov è in Svizzera, il testo
viene tradotto in inglese con la collaborazione del figlio Dmitri
e pubblicato in tre puntate su «Playboy», nei primi mesi del
1965.
L’occhio: Il titolo
Foreword:
“The Russian title of this little novel is Soglyadatay (in
traditional transliteration), pronounced phonetically ‘Suglydart-eye’, with the accent on the penultimate. It is an ancient
military term meaning ‘spy’ or ‘watcher’, neither of which
extends as flexibly as the Russian word. After toying with
‘emissary’ and ‘gladiator’, I gave up trying to blend sound and
sense, and contented myself with matching the ‘eye’ at the end
of the long stalk”.
L’occhio: Il titolo
Foreword:
“The Russian title of this little novel is Soglyadatay (in
traditional transliteration), pronounced phonetically ‘Suglydart-eye’, with the accent on the penultimate. It is an ancient
military term meaning ‘spy’ or ‘watcher’, neither of which
extends as flexibly as the Russian word. After toying with
‘emissary’ and ‘gladiator’, I gave up trying to blend sound and
sense, and contented myself with matching the ‘eye’ at the end
of the long stalk”.
→ «Sugly-dart-eye»
Sugly ricorda ugly, per es. nella locuzione to give sb. an ugly
look [lanciare un’occhiataccia a qcno];
To dart [glance] significa lanciare, scoccare [un’occhiata]
→ Assonanza tra The Eye e The I
L’occhio
“[…] After all, in order to live happily, a man must know now
and then a few moments of perfect blankness. Yet I was always
exposed, always wide-eyed; even in sleep I did not cease to
watch over myself, understanding nothing of my existence,
growing crazy at the thought of not being able to stop being
aware of myself […]” (p. 18 ed. it. Adelphi).
L’occhio
“A wretched, shivering, vulgar little man in a bowler hat
stood in the center of the room, for some reason rubbing his
hands. That is the glimpse I caught of myself in the mirror […]”
(p. 27 ed. it. Adelphi).
Il “testo postumo”
Franz Stanzel, A Theory of Narrative, cap. intitolato «Morire
nella narrazione in prima persona»:
«Le difficoltà legate alla presentazione della morte dell’”io”
narrante non hanno impedito agli autori di scegliere la
narrazione in prima persona per la presentazione finzionale di
questa situazione estrema. In questo ambito, il romanzo
tradizionale usava soprattutto la forma epistolare, che
permetteva all’autore di condurre l’auto-presentazione intima
dei pensieri e dei sentimenti della persona morente fino alle
soglie della vita. Dopo la morte, appare di solito un narratore
autoriale nei panni del curatore, come nei Dolori del giovane
Werther, al fine di completare la storia; oppure gli altri
corrispondenti concludono la narrazione […] come in Clarissa
Harlowe. In tutti questi casi, la narrazione viene continuata da
altri narratori dopo la morte del narratore in prima persona».
Il “testo postumo”
Lubomír Doležel, Heterocosmica. Fiction e mondi possibili:
«Propongo di indicare con questo termine [“testo postumo”] i
racconti in cui il narratore in prima persona narra la propria morte.
Il romanzo breve dello scrittore Bohumil Hrabal, Treni
strettamente sorvegliati (reso celebre dall’omonimo film), è un
testo di questo tipo. Cito dalla conclusione:
E poi risuonò un’esplosione. E io che […] continuavo a star steso accanto
al soldato tedesco, allungai una mano e aprii il suo palmo che si irrigidiva
e ci misi dentro quel quadrifoglio verde che porta fortuna […], udii come
la pressione dell’aria attraversò la campagna e soffiava e fischiava contro i
rami degli alberi e dei cespugli […], ma io tossivo e da me rantolava
sangue. Fino all’ultimo momento, prima che cominciassi a perdere di vista
me stesso, mi tenni per mano con quel morto.
Si raggiungono qui i limiti del narrare. Il testo post mortem è più
che non naturale: è il prodotto di un atto fisicamente impossibile,
la scrittura postuma».
Il “testo postumo”
Roland Barthes, Analisi testuale di un racconto di Edgar Poe. Il
saggio propone un’analisi minuziosa di un racconto di E.A. Poe,
La verità sul caso di Mr Valdemar:
Narra il «caso straordinario» Mr Valdemar, che viene
ipnotizzato in punto di morte;
L’esperimento sembra funzionare, il paziente scivola in uno
stato di trance ipnotico, e quando viene interpellato («Mr
Valdemar, siete addormentato?»), risponde: «Sì, dormo… Sto
morendo»;
Finché il suo viso subisce una terribile alterazione e tutto il
corpo assume un aspetto cadaverico (sono presenti due medici che
certificano il decesso);
Ma all’improvviso, tra lo sgomento dei presenti, il morto si
mette a parlare con una voce cavernosa e dice: «Ho dormito… e
ora… ora… Sono morto».
Il “testo postumo”
Roland Barthes, Analisi testuale di un racconto di Edgar Poe:
«C’è qui [….] una messa in scena della parola impossibile in
quanto parola: sono morto». Si tratta di uno «scandalo
dell’enunciazione, il rovesciamento della metafora nella lettera. In
effetti è banale enunciare la frase “sono morto!”: lo dice la signora
che ha passato tutto il pomeriggio a far compere, che è andata dal
parrucchiere ecc. Ma il rovesciamento della metafora nella lettera,
in particolare per questa metafora, è impossibile: l’enunciazione
“sono morto”, in senso letterale, è preclusa (mentre “dormo” era
possibile in senso letterale nell’ambito del sonno ipnotico). Si
tratta dunque, se vogliamo, di uno scandalo del linguaggio. […]
Nell’insieme ideale di tutti gli enunciati possibili della lingua,
l’unione tra la prima persona (Io) e l’attributo “morto” è proprio
quella radicalmente impossibile: è il punto cieco della lingua, che
il racconto finisce per occupare».
Il “testo postumo”
Vladimir Nabokov, The Eye:
«Some time later, if one can speak here of time at all, it became clear
that after death human thought lives on by momentum. […] With
mischievous and carefree logic I progressed from the incomprehensible
sensation of tight bandages to the idea of a hospital, and, at once
obedient to my will, a spectral hospital ward materialized around me,
and I had neighbors, mummies like me, three on either side. […]
How persistently, though, and how thoroughly […] my thought went
about contriving the semblance of a hospital, and the semblance of
white-clad human forms moving among the beds, from one of which
issued the semblance of human moans. I good-naturedly yelded to these
illusions, exciting them, goading them on, until I had managed to create
a complete, natural picture, the simple case of a light wound caused by
an innaccurate bullet passing clean through the serratus; here a doctor
(whom I had created) appeared, and hastened to confirm my carefree
conjecture» (ed. it. Adelphi, p. 30).
Il “testo postumo”
Vladimir Nabokov, The Eye:
«[…] oh how cunningly, in what simple, everyday terms my
thought explained the ringing and the gurgling that had accompanied
me into nonexistence
I assumed that the posthumous momentum of my thought would
soon play itself out, but apparently, while I was still alive, my
imagination had been so fertile that enough of it remained to last for
a long time. I went on developing the theme of recovery, and pretty
soon had me discharged from the hospital. The restoration of a
Berlin street looked a great success – as I glided off along the
sidewalk, delicately trying out my still weak, pratically disembodied
fett, I thought about everyday matters […]» (ed. it. Adelphi, p. 31).
L’occhio e il punto di vista
Vladimir Nabokov, The Eye:
«I walked along remembered streets; everything greatly resembled
reality, and yet there was nothing to prove that I was not dead and
that Passauer Strasse was not a post-existent chimera. I saw myself
from the outside, treading water as it were, and was both touched
and frightened like an inexperienced ghost watching the existence of
a person whose inner lining, inner night, mouth, and taste-in-themouth, he knew as well as that person’s shape» (ed. it. Adelphi, p.
32).
L’occhio e il punto di vista
Vladimir Nabokov, The Eye:
«Ever since the shot – that shot which, in my opinion, had been
fatal – I had observed myself with curiosity instead of sympathy, and
my painful past – before the shot – was now foreign to me. This
conversation with Weinstock turned out to be the beginning of a new
life for me. In respect to myself I was now an onlooker. My belief in
the phantomatic nature of my existence entitled me to a certain
amusement» (ed. it. Adelphi, p. 36).
L’occhio e il punto di vista
Io narrante-Occhio (The Eye=The I)
osserva
Se stesso dall’esterno
Gli altri personaggi,
in particolare Smurov
(“I saw myself from the outside”;
“I had observed myself with curiosity
instead of sympathy”;
“In respect to myself
I was now an onlooker”)
(“Personally, I viewed Smurov
without emotion. A certain bias in
his favor that had existed at the
outset, had given way to simple
curiosity)
L’occhio e il punto di vista
Vladimir Nabokov, The Eye:
Foreword: «The theme of The Eye is the pursuit of an
investigation which leads the protagonist through a hell of mirrors
and ends in the merging of twin images» (ed. it. Adelphi, p. 12).
«As I pushed the door, I noticed the reflection in the side mirror: a
young man in a derby carrying a bouquet hurried toward me. That
reflection and I merged into one. I walked out into the street» (ed. it.
Adelphi, p. 95).
Il racconto metadiegetico
Cfr. L’occhio, pp. 51-54: Smurov racconta una storia. Si tratta di
un “racconto metadiegetico” (Genette):
 Cioè un racconto nel racconto, o di secondo grado;
 Un personaggio del racconto primario diventa a sua volta
narratore, e racconta una storia che può avere relazioni (e anche
funzioni) di vario tipo rispetto alla storia principale…
Il racconto metadiegetico
V. Nabokov, L’occhio:
“[…] ‘Yalta does not have a railroad station’
This was unexpected and awful. The marvelous soap bubble,
bluish, iridescent, with the curved reflection of the window on
its glossy side, grows, expands, and suddenly is no longer there,
and all that remains is a snitch of ticklish moisture that hits you
in the face.
‘Before the revolution’, said Mukhin, breaking the intolerable
silence, ‘I believe there was a project for a rail link between
Yalta and Simferopol. I know Yalta well – been there many
times. Tell me, why did you invent all that rigmarole?’”.
Il racconto metadiegetico
V. Nabokov, L’occhio:
“Oh, of course, Smurov could still have saved the situation,
still wriggled out of it with some clever new invention […]
Mukhin obviously felt ashamed for the poor, fantastic fellow
[…]”.
Gridare “al lupo!”
V. Nabokov, Nataša: Racconto che ha per protagonista il barone
Vol’f, un formidabile narratore che racconta storie meravigliose
e coinvolgenti che presenta come sue esperienze, avventure
realmente vissute:
«”C’è una cosa che devo dirle, Nataša. Vede, non sono mai
stato in Africa o in India. È tutta una menzogna. Ho quasi
trent’anni e, a parte due o tre cittadine russe e una dozzina di
villaggi, e poi questo paese sperduto, non ho visto nulla, mi
perdoni”.
Sorrise malinconicamente. D’un tratto sentì un insopportabile
rimorso per le sbrigliate fantasie di cui si era nutrito fin
dall’infanzia» (in Una bellezza russa e altri racconti, p. 33).
Gridare “al lupo!”
V. Nabokov, Nataša:
«”Come sogno, Nataša, come sogno”, disse Vol’f, agitando un
bastoncino e facendolo fischiare nell’aria. “Mento davvero
quando spaccio le mie fantasie per verità? Avevo un amico che
servì per tre anni a Bombay. Bombay? Mio Dio! La musica che
c’è nei nomi geografici! Già quella parola da sola racchiude in
sé qualche cosa di gigantesco, bombe di luce solare, tamburi.
Provi a immaginare, Nataša – quel mio amico era incapace di
raccontare alcunché, non ricordava nulla salvo i battibecchi al
lavoro, il caldo, gli attacchi febbrili, e la moglie di qualche
colonnello britannico. Quale di noi due ha veramente visitato
l’India?... Io, ovvio. Naturale che sono stato io”» (p. 35).
Gridare “al lupo!”
V. Nabokov, Lezioni di letteratura:
“La finzione è sempre finzione. L’arte è sempre inganno. Il mondo
di Flaubert, come quello di tutti i grandi scrittori, è un mondo
fantastico con una propria logica, proprie convenzioni e proprie
coincidenze” (189).
“La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al
lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran lupo
grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò
gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui. Non ha
molta importanza che il poverino, per aver mentito troppo spesso, sia
stato alla fine divorato da un lupo. L’importante è che tra il lupo del
grande prato e il lupo della grande frottola c’è un magico
intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l’arte della
letteratura. / La letteratura è invenzione. La finzione è finzione.
Definire una storia una storia vera è un insulto all’arte e alla verità.
Ogni grande scrittore è un grande imbroglione” (35).
Gridare “al lupo!”
V. Nabokov, Intervista del 1962:
«Da ragazzo facevo un po’ il prestigiatore. Mi piacevano i
trucchi semplici – trasformare l’acqua in vino, o cose del
genere; ma penso di essere in buona compagnia, perché tutta
l’arte è inganno, e la natura non è da meno; tutto è inganno in
questo bell’imbroglio, dall’insetto che imita la foglia alle ben
note lusinghe della procreazione» (Intransigenze, pp. 27-28).
Tra realtà e finzione
V. Nabokov, L’occhio:
“There follows a brief period when I stopped watching
Smurov: I grew heavy, surrendered again to the gnawing of
gravity, donned anew my former flesh, as if indeed all this life
around me was not the play of my imagination, but was real,
and I was part of it, body and soul” (ed. Adelphi, p. 71).
“Only when I finally realized that my desire was bound to
remain insatiable and that Vanya was wholly a creation of mine,
did I calm down, and grow accustomed to my own excitement,
from which I had extracted all the sweetness that a man can
possibly obtain from love” (p. 73).
Tra realtà e finzione
V. Nabokov, L’occhio:
“[…] There is no use to dissemble – all these people I met
were not live beings but only chance mirrors for Smurov […]
For me, their entire existence has been merely a shimmer on a
screen”(pp. 88 e 89).
For I do not exist: there exist but the thousands of mirrors that
reflect me. With every acquaintance I make, the population of
phantoms resembling me increases” (p. 100).
Tra realtà e finzione
V. Nabokov, L’occhio:
“Ever since I had been trying to subdue my love by telling
myself that Vanya, like all the others, existed only in my
imagination, and was a mere mirror […]” (p. 90).
“[…] With my hand pressed to my heart I gazed at the secret
mark of my bullet: it was my proof that I had really died; the
world immediately regained its reassuring insignificance – I
was strong once again, nothing could hurt me. […]” (p. 97).
Tra realtà e finzione
Marco Belpoliti, Cinque pezzi facili: Ha paragonato la scrittura
di Nabokov a un ologramma: “tutto è lì, davanti agli occhi di
chi legge, tridimensionale, ma al tempo stesso non c’è, è un
inganno, un magnifico imbroglio del linguaggio”.
Tra realtà e finzione
Nabokov, Intervista del 1964
“Non si legge il libro di un artista con il cuore (il cuore è un
lettore singolarmente stupido) e neppure con il solo cervello, ma
con il cervello e la spina dorsale. Signore e signori, è il brivido
alla spina dorsale a rivelarvi davvero ciò che l’autore provava e
voleva farvi provare” (61).
Nabokov, Lezioni di letteratura:
“Un lettore accorto legge il libro di un genio non con il cuore,
e neanche tanto con il cervello, ma con la sua spina dorsale. È lì
che si manifesta quel formicolio rivelatore, anche se leggendo
dobbiamo rimanere un po’ distanti, un po’ distaccati. Allora, con
un piacere insieme sensuale e intellettuale, guarderemo l’artista
costruire il suo castello di carte e il castello di carte diventare un
bel castello d’acciaio e di vetro” (36).
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V. Nabokov, L`occhio