Un inclassificabile
Intervista del 1964: Alla domanda “Quali sono gli scrittori [...]
che più hanno influito su di lei?”, risponde: “Da ragazzo ero un
lettore insaziabile. A quattordici o quindici anni avevo già letto
o riletto tutto Tolstoj in russo, tutto Shakespeare in inglese e
tutto Flaubert in francese – oltre a centinaia di altri libri. [...] ma
non credo che un autore particolare abbia avuto un influsso
preciso su di me”
Intervista del 1969, domanda simile: “Sono del tutto
indifferente nei confronti delle correnti letterarie. Mi piace un
certo numero di libri, compresi alcuni dei miei, e questo è il
mio unico rapporto con la letteratura. [...] Nei miei scritti in
russo ho fissato la mia propria tradizione. Tecnicamente non mi
sento debitore di nessuno, in russo o in inglese. In un certo
senso io ho ereditato me stesso”
Russia (1899-1919)
• 23 aprile 1899: Nasce a Pietroburgo, in una famiglia di
tendenze liberali. Avrà due fratelli e due sorelle minori
•Padre: Vladimir Dmitrievich, è un famoso
giurista e un uomo politico di spicco;
• Madre: Elena Ivanovna, proviene da una
famiglia nobile e agiata, donna dalla ricca
sensibilità artistica.
• Vladimir trascorre
l’infanzia tra San
Pietroburgo e la tenuta
familiare di Vyra, a circa
70 km a sud della città;
Russia (1899-1919)
• I cinque figli vengono educati da bambinaie inglesi, e all’età
di sei anni Vladimir sa già leggere e scrivere in inglese, mentre
non sa quasi una parola di russo; dalle bambinaie impara anche
il francese;
• Il padre assume un insegnante di una scuola locale perché
insegni al figlio la lingua materna;
Lui stesso si autodefinirà “un normalissimo bambino
trilingue in una famiglia con una grande biblioteca”.
 1910: Inizia a frequentare la scuola Tenishev, che è la più
prestigiosa e costosa di Pietroburgo;
 Verso i quindici anni incomincia i suoi primi tentativi
letterari, scrivendo poesie soprattutto di argomento amoroso
La Rivoluzione e l’esilio (1917-19)
• Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, il padre ottiene un incarico
nel governo provvisorio, ma poi viene arrestato dai bolscevichi
e imprigionato per breve tempo;
• Dopo essere stato rilasciato, raggiunge la famiglia che nel
frattempo si è trasferita nella tenuta di un amico vicino a Yalta,
in Crimea, dove i Nabokov rimangono per un anno e mezzo;
• Aprile 1919: i bolscevichi avanzano, conquistano la Crimea, e
la famiglia Nabokov deve fuggire definitivamente dalla Russia:
si spostano a Sebastopoli, e quindi si trasferiscono in
Inghilterra.
Cambridge (1919-1922)
• La famiglia si stabilisce per un anno a Londra, mentre
Vladimir frequenta l’università a Cambridge;
• Studia letteratura russa e francese, e si laurea nel 1922;
• Nel frattempo continua a giocare a calcio, scrive poesie in
russo, e traduce in russo Alice nel paese delle meraviglie.
Berlino (1922-1937)
• 1922: Dopo la laurea, raggiunge la famiglia, che nel frattempo
si è trasferita a Berlino, una delle capitali europee (insieme a
Parigi) in cui si è concentrata l’emigrazione russa
• Nabokov vi rimane per quindici anni, frequentando quasi
esclusivamente il mondo degli esuli russi
•Il padre è direttore di una rivista
dell’emigrazione russa, “Rul’” (“Il
timone”),
• Su questa e altre riviste pubblica
poesie, articoli di critica letteraria,
traduzioni letterarie, racconti, testi
teatrali; li firma con lo pseudonimo V.
Sirin.
Berlino (1922-1937)
• 1922: Il padre viene ucciso per sbaglio durante una
manifestazione politica da due attentatori di estrema destra che
volevano sparare a Pavel Miliukov;
• La madre si trasferisce a Praga, dove ottiene una pensione
governativa e dove rimane fino alla morte (1939);
•15 aprile 1925: Sposa Véra
Slonim, figlia di un avvocato e
uomo d’affari di San Pietroburgo
conosciuta due anni prima;
• 10 maggio 1934: Nasce loro
figlio Dmitri.
Berlino (1922-1937)
• Gli anni berlinesi vedono la stesura dei primi otto romanzi di
Nabokov, scritti in russo, tra i quali:
– Mashen’ka (Maria), 1926;
– Korol', dama, valet (Re, donna, fante), 1928;
– Otchayanie (Disperazione), 1934;
– Dar (Il dono), 1937-38.
I romanzi vengono accolti bene dal pubblico, ma procurano
scarsissimi guadagni e soprattutto restano sostanzialmente
sconosciuti al di fuori della comunità russa di Berlino o di
Parigi.
Parigi (1937-1940)
• In seguito all’avanzata del nazismo, Nabokov incomincia a
fare alcuni viaggi in giro per l’Europa, durante i quali rinnova e
intensifica i suoi contatti con gli ambienti culturali
extraberlinesi;
• 1937: Si trasferisce con la famiglia in Francia, dove trascorre
tre anni;
• Qui, nel 1938-39, scrive il suo primo romanzo in inglese, The
Real Life of Sebastian Knight (La vera vita di Sebastian Knight,
pubblicato negli Usa nel 1941)
Stati Uniti (1940-1961)
• 1940 riesce a trasferirsi in America: lascia Parigi, e in maggio
sbarca a New York (diventerà cittadino americano nel 1945);
• All’inizio lavora presso il Museo di storia naturale;
• Collabora con il New Yorker e lavora a un’opera di critica
letteraria su Gogol’.
• Una delle attività principali è l’insegnamento, grazie ad alcuni
incarichi che ottiene presso alcune università prestigiose:
–Estate 1941: Tiene un corso di scrittura creativa
all’università di Stanford, dove poi ottiene un insegnamento
stabile di letteratura comparata e russo;
–Anni successivi: Insegna ad Harvard, e soprattutto a
Cornell, dove - tra il 1948 e il 1959 – tiene corsi di
letteratura russa ed europea (cfr. Lezioni di letteratura).
Stati Uniti (1940-1961)
• Continua a scrivere in inglese e pubblica altri romanzi, in
particolare:
– Lolita (1955)
– Pnin (1957)
Montreux (1961-1977)
•1961: I Nabokov si trasferiscono a Montreux, sul lago di
Ginevra
• All’inizio pensano che sia un trasferimento temporaneo e si
stabilistico al Montreux Palace Hotel, dove invece rimangono
fino alla morte (Nabokov muore il 2 luglio 1977)
• In questi anni continua a scrivere:
– Traduce in inglese i suoi libri russi,
spesso con la collaborazione del figlio;
– Pale Fire (Fuoco Pallido), 1962;
– Ada, 1969
Un “extraterritoriale”
Da un’intervista del 1965: “Avevo cominciato a scrivere in
inglese, piuttosto sporadicamente, qualche anno prima di
emigrare in America, dove arrivai nella nebbia color lilla di una
mattina di maggio, il 28 maggio 1940. Alla fine degli anni
Trenta, quando vivevo in Germania e in Francia, avevo tradotto
due dei miei libri russi in inglese e avevo scritto il mio primo
romanzo direttamente in inglese, quello su Sebastian Knight.
Poi, in America, smisi del tutto di scrivere nella mia
madrelingua, se si esclude qualche rara poesia […]. Il
passaggio definitivo dalla prosa russa alla prosa inglese è stato
quanto mai doloroso – come imparare di nuovo a maneggiare
gli oggetti dopo aver perso sette o otto dita in un’esplosione”.
Un “extraterritoriale”
Postfazione a Lolita (12 nov. 1956): “La mia tragedia privata,
che non può e non deve riguardare nessun altro, è che ho
dovuto abbandonare il mio idioma naturale, la mia lingua russa
così ricca, così libera, così infinitamente docile, per una marca
di inglese di seconda qualità, priva di tutti quegli apparati – lo
specchio ingannatore, il fondale di velluto nero, le tacite
associazioni e tradizioni – che l’illusionista indigeno, con le
code del frac svolazzanti, può magicamente usare per
trascendere a suo modo il retaggio dei padri”.
George Steiner lo ha definito uno scrittore “extraterritoriale”,
quasi un emblema dell’artista contemporaneo, “profugo e
vagabondo nella lingua”: “Eccentrico, lontano, nostalgico, [...]
Nabokov rimane, in virtù della sua extraterritorialità, uno dei
principali portavoce del nostro tempo”.
Genesi del Sebastian Knight
• Il libro viene scritto a Parigi nel 1938
Intervista del 1967: “Scrissi Sebastian Knight a Parigi, nel 1938.
Quell’anno avevamo un incantevole appartamento in rue de
Saigon, fra l’Etoile e il Bois. Era formato da una bella stanza
spaziosa (che serviva da salotto, camera da letto e stanza del
bambino) con un cucinotto da un lato e un grande bagno luminoso
dall’altro. L’alloggio aveva fatto la gioia di qualche scapolo, ma
non era adatto a una famiglia di tre persone. Gli ospiti serali
dovevamo intrattenerli in cucina per non distrubare il sonno del
mio futuro traduttore. E la stanza da bagno si sdoppiava per
fungere da studio” .
• La stesura viene ultimata nel gennaio del 1939;
• Il romanzo viene pubblicato in America nel 1941 (casa editrice
James Laughlin)
Genesi del Sebastian Knight
Dmitri Nabokov, Introduzione all’Originale di Laura (2009):
“Trovò molto stimolante abbandonare il suo russo ‘ricco e
sciolto’ per una nuova lingua, non l’inglese domestico che
aveva condiviso con il padre anglofono, ma uno strumento
espressivo tanto arrendevole e poetico quanto la lingua materna
che egli padroneggiava così magistralmente. La vera vita di
Sebastian Knight, il suo primo romanzo in lingua inglese, gli
costò infiniti dubbi e sofferenze nel momento in cui rinunciava
all’amato russo, ‘la più morbida delle lingue’”
L’inglese di Sebastian Knight, “per quanto scorrevole e ricco di
sfumature, era pur sempre l’inglese di uno straniero” (57).
“Una lingua è una cosa viva e concreta di cui non ci si libera
tanto facilmente” (95)
La “realtà”
Lezioni di letteratura
“La realtà è sempre relativa, perché ogni realtà data, la
finestra che vedete, gli odori che percepite, i suoni che udite,
dipende non soltanto dal rozzo compromesso dei sensi, ma
anche da differenti livelli di informazione” (p. 189).
La “realtà”
Intransigenze: “La realtà è una faccenda molto soggettiva. Non
saprei come definirla, se non come una sorta di graduale
accumulo di informazioni; e come specializzazione. Se
prendiamo un giglio, per esempio, o un qualsiasi altro oggetto
naturale, un giglio è più reale per un naturalista che per una
persona comune. Ma è ancora più reale per un botanico. E si
arriva a un grado ancora più elevato di realtà se il botanico è
uno specialista di gigli. Possiamo, per così dire, avvicinarci
sempre più alla realtà; ma mai a sufficienza, perché la realtà è
una successione infinita di passi, di gradi di percezione, di
doppi fondi, ed è dunque inestinguibile, irraggiungibile. Di un
particolare oggetto possiamo sapere sempre di più, ma non
potremo mai sapere tutto: non c’è speranza. Così viviamo
circondati di oggetti più o meno illusori” (p. 27).
La verità e il gioco degli scacchi
Philippe Sollers, Vladimir Nabokov l’incantatore:
“La vera vita di Sebastian Knight, uno dei suoi capolavori, ci
mostra questa passione poco nota (ma che Don Chisciotte ha
fatto emergere alla coscienza moderna): lo sforzo costante di
non arrivare alla verità” (Riga180).
La verità e il gioco degli scacchi
Marco Belpoliti, Cinque pezzi facili:
“Per Nabokov il romanzo è una scacchiera dove, mossa dopo
mossa, la partita volge inesorabilmente verso la soluzione
finale. Così nella Vera vita di Sebastian Knight la mossa è
quella del cavallo (Knight negli scacchi è il pezzo del cavallo),
mossa laterale in cui il protagonista del racconto, lo scrittore
russo-inglese, sfugge di continuo allo scrivente” (Riga234).
La letteratura come menzogna
Lezioni di letteratura: “La finzione è sempre finzione. L’arte è
sempre inganno. Il mondo di Flaubert, come quello di tutti i grandi
scrittori, è un mondo fantastico con una propria logica, proprie
convenzioni e proprie coincidenze” (189).
“La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzo, gridando al
lupo al lupo, uscì di corsa dalla valle di Neanderthal con un gran
lupo grigio alle calcagna: è nata il giorno in cui un ragazzo arrivò
gridando al lupo al lupo, e non c’erano lupi dietro di lui. Non ha
molta importanza che il poverino, per aver mentito troppo spesso,
sia stato alla fine divorato da un lupo. L’importante è che tra il lupo
del grande prato e il lupo della grande frottola c’è un magico
intermediario: questo intermediario, questo prisma, è l’arte della
letteratura. / La letteratura è invenzione. La finzione è finzione.
Definire una storia una storia vera è un insulto all’arte e alla verità.
Ogni grande scrittore è un grande imbroglione” (35).
La letteratura come menzogna
George Steiner, Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della
traduzione (1975):
“Sono convinto che non faremo molti progressi nel
comprendere l’evoluzione del linguaggio e i rapporti tra parola e
atto umano, finché considereremo la ‘falsità’ come
fondamentalmente negativa [...]. Il linguaggio è lo strumento
principale del rifiuto dell’uomo di accettare il mondo com’è.
Senza tale rifiuto, senza l’ininterrotta generazione da parte della
mente di ‘anti-mondi’ [...] noi saremmo imprigionati per sempre
nel presente. La realtà sarebbe [...] ‘tutte le cose come stanno’ e
niente di più. Nostra è la capacità, l’esigenza, di contraddire o di
‘dis-dire’ il mondo, di immaginarlo e di parlarlo altrimenti” (p.
266).
La letteratura come menzogna
“Linguisti e psicologi (ad eccezione di Nietzsche) non hanno fatto
molto per esplorare la classe onnipresente e molteplice delle
menzogne. [...] Riusciremo a vedere più a fondo quando ci
libereremo da una classificazione puramente negativa della ‘nonverità’, quando riconosceremo l’urgenza di dire ‘la cosa che non è’
come fatto centrale del linguaggio e della mente. Dobbiamo riuscire
a cogliere che cosa intendeva Nietzsche quando affermava che ‘la
Menzogna – e non la Verità – è divina!’ (p. 270). “’Vi è un solo
mondo’, afferma Nietzsche in Volontà di potere, ‘e tale mondo è
falso, crudele, contraddittorio, ingannevole, insensato. Ci servono le
menzogne per vincere questa realtà, questa ‘verità’, ci servono le
menzogne per vivere [...]’. Tramite la non-verità, l’uomo ‘viola’ una
realtà assurda, limitante; e la sua capacità di farlo è in ogni momento
artistica, creativa. [...] Con le parole, con i sogni, ci liberiamo dalla
trappola organica. [...] L’uomo vive e progredisce in virtù della
‘Menzogna Vitale’” (p. 277).
La letteratura come menzogna
Fuoco pallido: “La “realtà” non è né il soggetto né l’oggetto
della vera arte, la quale crea la propria speciale realtà, una realtà
senza alcun rapporto con la “realtà” media percepita dall’occhio
collettivo”.
Intervista del 1971: “Da bambino, sembra che avessi delle
notevoli doti artistiche, e anzi, avevo cominciato a dipingere. Il
mio insegnante di pittura, come prima cosa, mi ha detto: ‘adesso
siediti, e disegnami una cassetta delle lettere’. Naturalmente,
avevo sempre visto cassette delle lettere, ogni giorno. Ma al
momento di disegnarne una, di rappresentarla, mi sono accorto
che non ci riuscivo: non la vedevo più. Sono uscito, e la prima
che ho visto mi sembrava tutta diversa da come la ricordavo. La
vedevo, cioè, con occhi diversi. [...] Gli occhi girano intorno alla
realtà, e praticamente sono loro che le dànno forma”.
La letteratura come menzogna
Intervista del 1962: “Non mi prefiggo scopi sociali, né messaggi
morali; non ho idee generali da sfruttare, mi piace
semplicemente comporre enigmi con soluzioni eleganti” (p. 33).
Intervista del 1964: “Un’opera d’arte non ha nessunissima
importanza per la società. È importante solo per l’individuo, e a
me importa solo il singolo lettore. Me ne infischio del gruppo,
della comunità, delle masse, e via dicendo. Anche se il motto
“l’arte per l’arte” non mi va a genio [...] non c’è dubbio che ciò
che salva un’opera di narrativa dai bachi e dalla ruggine non è la
sua importanza sociale ma la sua arte, soltanto l’arte” (pp. 5253).
Metanarrazione e romanzo autocosciente
Brian Boyd, Vladimir Nabokov:
“La vera vita di Sebastian Knight è – tra i romanzi di Nabokov
– quello che più di tutti “mette a nudo i propri artifici, come la
radiografia di un illusionista effettuata nel momento in cui egli,
con un sorriso, si esibisce nei suoi trucchi” (p. 497).
La mise en abyme
Il lavoro del narratore V. si sviluppa simultaneamente su tre
livelli:
1. Livello biografico: Racconta la storia di Sebastian Knight, in
una sequenza cronologica che va dal 31 dic. 1899 ai primi
mesi del 1936. Il protagonista è una terza persona: Sebastian
2. Livello della ricerca biografica: Racconta la storia delle sue
ricerche, su un piano temporale più recente che inizia due
mesi dopo la morte di S. Il protagonista è il narratore stesso,
che narra le sue vicende in prima persona
3. Livello della scrittura: Il narratore espone i risultati delle sue
ricerche (raccontando sia la vita di Sebastian, sia le sue
ricerche) in un libro che prende forma a poco a poco
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare. Saggio sulla mise en
abyme (1977):
[Dal Diario di André Gide] “Mi piace che in un’opera d’arte si
ritrovi così trasferito, sulla scala dei personaggi, il soggetto
stesso di quest’opera. Nulla è più atto a illuminarla e a stabilire
con maggior sicurezza tutte le proporzioni dell’insieme.
Parimenti, in certi quadri […] un piccolo specchio complesso
riflette, a sua volta, l’interno in cui si svolge la scena dipinta.
La mise en abyme
Parimenti, in certi quadri […] un piccolo specchio complesso
riflette, a sua volta, l’interno in cui si svolge la scena dipinta.
Jan Van Eyck,
Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434)
La mise en abyme
Così nel quadro delle Meninas di Velázquez (ma con una certa
differenza).
Diego Velázquez,
Las Meninas (1656)
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare: [Dal Diario di André
Gide] “Mi piace che in un’opera d’arte si ritrovi così trasferito,
sulla scala dei personaggi, il soggetto stesso di quest’opera.
Nulla è più atto a illuminarla e a stabilire con maggior sicurezza
tutte le proporzioni dell’insieme. Parimenti, in certi quadri […]
un piccolo specchio complesso riflette, a sua volta, l’interno in
cui si svolge la scena dipinta. Così nel quadro delle Meninas di
Velázquez (ma con una certa differenza). Finalmente, in
letteratura, in Amleto, la scena della commedia; e altrove, in
molte opere di teatro. Nel Wilhelm Meister, le scene di
marionette o di festa al castello. Nel Crollo della Casa Usher, la
lettura che si fa a Roderick, ecc. Nessuno di tali esempi è giusto
del tutto. Lo sarebbe molto di più […] il paragone con quel
procedimento dello stemma che consiste nel metterne, entro il
primo, un altro ‘en abyme’” (p. 11).
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare:
“1) organo di un ritorno dell’opera su se
stessa, la ‘mise en abyme’ appare come
una modalità della riflessione;
2) la sua principale caratteristica consiste
nel far risaltare l’intelligibilità e la struttura
formale dell’opera;
3) evocata attraverso esempi presi da campi
diversi, essa costituisce una realtà strutturale che non è
appannaggio né della narrazione letteraria né della sola
letteratura;
4) Essa deve la sua denominazione a un procedimento araldico
che Gide ha senza dubbio scoperto nel 1891” (p. 12).
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare:
“è ‘mise en abyme’ ogni inserto che intrattiene una relazione di
somiglianza con l’opera che lo contiene” (p. 13).
“Il termine di ‘mise en abyme’, fin dal suo apparire, designa,
in maniera univoca, quello che alcuni autori chiamano ‘l’opera
nell’opera’ o la ‘duplicazione interna’” (p. 26).
La mise en abyme
Jorge Luis Borges, Magie parziali del “Don Chisciotte” (in Altre
inquisizioni, 1960): “Codesto giuoco di strane ambiguità culmina
nella seconda parte; i protagonisti hanno letto la prima, i
protagonisti del Don Chisciotte sono, allo stesso tempo, lettori del
Don Chisciotte. Qui è inevitabile il ricordo di Shakespeare, il
quale include nello scenario di Amleto un altro scenario, dove si
rappresenta una tragedia, che è pressappoco la stessa di Amleto;
la corrispondenza imperfetta dell'opera principale e della
secondaria diminuisce l'efficacia dell'inclusione. […] Qualcosa di
simile ha operato il caso nelle Mille e una notte. […] E’ nota la
storia che dà origine alla serie: il desolato giuramento del re, che
ogni sera si sposa con una vergine che fa decapitare all’alba, e
l’ingegnosa trovata di Shahrazad, che lo distrae con racconti,
finché sui due hanno girato mille e una notti ed ella gli mostra il
figlio nato da lui.
La mise en abyme
La necessità di finire le mille e una parti obbligò i copisti a
interpolazioni d’ogni tipo. Nessuna ci turba quanto quella della
notte DCII, magica fra tutte. In quella notte il re ode dalla bocca
della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che
comprende tutte le altre, e anche – in modo mostruoso – se stessa.
[…] Le invenzioni della filosofia non sono meno fantastiche di
quelle dell’arte: Josiah Royce, nel primo volume dell’opera The
World and the Individual (1899), ha formulato la seguente:
‘Immaginiamo che una porzione del suolo d'Inghilterra sia stata
livellata perfettamente e che in essa un cartografo tracci una
mappa d'Inghilterra. L'opera è perfetta; non c'è un particolare del
suolo d'Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato
nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal
caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere
una mappa della mappa della mappa, e così all'infinito’.
La mise en abyme
Perché ci inquieta che Don Chisciotte sia lettore del Don
Chisciotte e Amleto spettatore dell'Amleto? Credo di aver trovato
la causa: tali inversioni suggeriscono che se i caratteri di una
finzione possono essere lettori e spettatori, noi, loro lettori o
spettatori, possiamo essere fittizi. Nel 1833, Carlyle osservò che
la storia universale è un infinito libro sacro che tutti gli uomini
scrivono e leggono e cercano di capire, e nel quale sono scritti
anch'essi” (pp. 50-52).
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare:
“Il termine ‘mise en abyme’ mira a raggruppare un insieme di
realtà distinte. Queste ultime […] si riducono a tre figure
essenziali che sono la duplicazione semplice (frammento che
intrattiene con l’opera che lo include un rapporto di similitudine),
la duplicazione all’infinito (frammento che intrattiene con l’opera
che lo include un rapporto di similitudine e che include anch’esso
un frammento che… e così di seguito) e la duplicazione
aporistica [o paradossale] (frammento che presumibilmente
include l’opera che lo include)” (p. 47).
La mise en abyme
Lucien Dällenbach, Il racconto speculare: Analizza le tecniche
con cui viene suggerita un’identità tra l’opera nel suo complesso e
la riproduzione speculare di essa:
“In che modo tale identità può essere postulata? Ci sembra che
due dispositivi consentano la pseudo-identificazione. Il primo
consiste nell’iniettare nella diegesi il titolo del libro stesso (a) o
un’espressione equivalente (b); il secondo, nel fare in modo che il
libro sia incluso in una sequenza riflessiva che si sostituisce a
esso (c)” (p. 149)
Il paradosso della scrittura di Nabokov
Marco Belpoliti, Cinque pezzi facili: “tutto è lì, davanti agli occhi
di chi legge, tridimensionale, ma al tempo stesso non c’è, è un
inganno, un magnifico imbroglio del linguaggio” (Riga230).
Intervista del 1964: “non si legge il libro di un artista con il cuore
(il cuore è un lettore singolarmente stupido) e neppure con il solo
cervello, ma con il cervello e la spina dorsale. Signore e signori, è
il brivido alla spina dorsale a rivelarvi davvero ciò che l’autore
provava e voleva farvi provare” (61)
Lezioni di letteratura: “Un lettore accorto legge il libro di un
genio non con il cuore, e neanche tanto con il cervello, ma con la
sua spina dorsale. È lì che si manifesta quel formicolio rivelatore,
anche se leggendo dobbiamo rimanere un po’ distanti, un po’
distaccati. Allora, con un piacere insieme sensuale e intellettuale,
guarderemo l’artista costruire il suo castello di carte e il castello
di carte diventare un bel castello d’acciaio e di vetro” (36).
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La vera vita di Sebastian Knight