XXIX CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI TRA PIANO E PROGETTO: LA PIANIFICAZIONE OPERATIVA. RISCHI ED OPPORTUNITÀ Francesco SELICATO1, Francesco ROTONDO2 1 Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Politecnico di Bari, via Orabona 4, 70125, Bari 2 Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Politecnico di Bari, via Orabona 4, 70125, Bari SOMMARIO La riforma urbanistica attuata in quasi tutte le regioni italiane, offre l’opportunità di sperimentare nuove forme di relazione tra urbanistica ed architettura. Mentre il piano strutturale (PS) appare ormai assumere forme e soluzioni condivise almeno in ambito scientifico disciplinare e nelle prime esperienze (Oliva, et alii, 2002), la pianificazione operativa appare ancora un’innovazione in corso di definizione (Colarossi, Latini, 2007). La prospettiva di riforma racchiude un potenziale di innovazione ancora poco esplorato, non solo con riguardo ai principi ma con attenzione alle tecniche e al rapporto, particolarmente interessante nel piano operativo (PO), tra piano e progetto. Alcune questioni appaiono particolarmente rilevanti: come introdurre nel Piano obiettivi monitorabili, condizioni di accessibilità, requisiti di qualità ambientale e morfologica, dotazioni di servizi richieste; come tradurre gli indirizzi in linee-guida efficaci nel momento della effettiva conformazione edificatoria del territorio; come gestire incentivi e penalizzazioni per orientare le preferenze attuative degli operatori e le scelte progettuali in modo coerente agli obiettivi programmatici della pubblica amministrazione (PA) e agli assetti spaziali delineati nel piano strutturale; come disciplinare la negoziazione tra amministrazione e promotori/proprietari, in modo da restituire trasparenza alle logiche di scambio e giustificare le richieste della PA. Nel testo, frutto di riflessioni comuni degli autori, occorre attribuire i primi due paragrafi a Francesco Selicato e gli ultimi due a Francesco Rotondo. 1 1 IL PIANO RIFORMISTA: COMPONENTE STRUTTURALE E OPERATIVA Prima di richiamare gli aspetti fondativi della componente operativa della pianificazione comunale e di evidenziarne gli elementi maggiormente innovativi di cui si propongono possibili esplorazioni ed interpretazioni, si illustrano sinteticamente i fattori maggiormente negativi delle pratiche consolidate che la nuova forma di piano, come delineata nella riforme urbanistica attuata in gran parte delle regioni italiane, cerca di affrontare e risolvere. 1.1 Le pratiche consolidate La pratica della zonizzazione ha fortemente contribuito ad alimentare un approccio progettuale (e la conseguente realizzazione) “per parti”, scarsamente (o per niente) relazionate al contesto. Occorre ricordare che nel Piano della zonizzazione di tradizione la città e il territorio venivano assimilati ad un insieme di parti di cui si definivano rigide destinazioni d’uso, affidandone a momenti successivi (variamente e pesantemente dilazionati nel tempo) la progettazione esecutiva. Le destinazioni d’uso venivano rappresentate da campiture cromatiche (retini) che configuravano assemblaggi formali attraverso i quali difficilmente si riuscivano a cogliere (e perciò a comprendere) le specificità del contesto, anche quando si ritenne necessario rappresentare i Piani su base aereofotogrammetrica1. Quasi sempre, infatti, le campiture cromatiche si sovrapponevano pesantemente ai caratteri morfologici – urbani e territoriali – che il rilievo aerefotogrammetrico avrebbe potuto rivelare e rispetto ai quali sarebbe stato possibile misurare la coerenza delle scelte progettuali. In termini più generali si può affermare che l’approccio progettuale “per parti” lo si ritrova anche al di fuori dei condizionamenti prodotti dal modello di pianificazione tradizionale (della zonizzazione funzionale). Lo si ritrova, ad esempio, nel perseguire soluzioni progettuali rigidamente ancorate ai lotti di proprietà (e perciò vincolate dalle geometrie dei confini catastali) all’interno della stessa maglia urbanistica definita come ambito di studio, rendendo pressoché impossibile una qualsivoglia unitarietà (anche all’interno delle maglia urbanistica) dell’organizzazione insediativa. Il risultato è stato quasi ovunque quello di aver prodotto agglomerati urbani, in maniera additiva e frammentata, privi di senso e di significato, carenti e dal punto di vista formale e da quello funzionale, senza alcuna relazione con i caratteri peculiari del contesto urbano e del territorio non costruito (considerazione comunque valida anche se si volesse giustificare, in questo secondo caso, la scarsa attenzione nei confronti dell’ambiente, maturata solo a partire dall’ultimo ventennio e divenuta poi centrale nel dibattito urbanistico). 1 Come noto, prima di fare questa scelta, i Piani venivano disegnati su base catastale 2 Nel territorio periurbano delle nostre città abbiamo prodotto: tipologie edilizie standardizzate e replicate ovunque allo stesso modo senza alcuna relazione col tessuto storico della città esistente, spazi residuali, abbandonati, terreni incolti in sostituzione degli spazi pubblici quasi ovunque assenti (a volte ricercati, replicati, connotati di “falsità” come accade sovente nei grandi centri commerciali, i cosiddetti “non luoghi” della contemporaneità), strade improponibili (che forse meglio bisognerebbe definire slarghi privi di senso, oppure lembi, brandelli senza continuità, oppure ancora strade “contro fibra” nei terreni acclivi). Si potrebbe continuare e citare una serie di cose mal fatte, che contraddicono le più elementari regole della manualistica del progetto urbano. 1.2 La riforma urbanistica Come ormai noto agli esperti della disciplina, la forma del nuovo piano comunale è stata introdotta in Italia, a seguito della proposta effettuata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) durante il Congresso di Bologna del 1995, dalle nuove leggi regionali che a partire dallo stesso anno hanno modificato il quadro legislativo nazionale, usufruendo delle possibilità offerte dalla riforma costituzionale che nel 2001 con la riforma del titolo V, affida alle Regioni la piena responsabilità legislativa in materia di governo del territorio e allo Stato la sola definizione dei principi generali. Lo stato non ha ancora adempiuto al suo compito, mentre la gran parte delle regioni hanno ormai definitivamente riformato la disciplina urbanistica in modo più o meno coerente con il modello proposto a Bologna. La riforma proposta dall’INU per la nuova legge urbanistica nazionale (mai approvata) articola il sistema di pianificazione nei tre noti strumenti complementari: il Piano Strutturale (PS) che delinea le scelte fondamentali e durature di assetto e tutela del territorio nel medio-lungo periodo; il Piano Operativo (PO) che predispone e governa le principali trasformazioni urbanistiche realizzabili nell’arco di cinque anni (in alcune regioni, come la Puglia, i tempi sono stati aumentati in considerazione delle reali capacità attuative di attori pubblici e privati) e assegna di conseguenza i diritti edificatori; il Regolamento Urbanistico (RU) che disciplina i cambiamenti minuti nel tessuto insediativo consolidato, generalmente privo di una scadenza temporale definita. La prima, la componente strutturale, non ha valore vincolistico e prescrittivo e, soprattutto non conforma i diritti proprietari (e queste sono le enormi differenze con il precedente modello del piano regolatore), ma solo indicativo, pertanto non detta prescrizioni, non appone vincoli (se non quelli ricognitivi derivanti da pianificazioni sovraordinate come il PUTT/P o il PAI) e non assegna edificabilità. La seconda invece, la componente operativa, è vincolistica, prescrittiva, pertanto detta prescrizioni e vincoli per il periodo di riferimento e assegna diritti, cioè è conformativa del regime d’uso dei suoli. 3 Questo nuovo modello di piano, è finalizzato ad eliminare l’inefficacia e l’inadeguatezza del vecchio modello regolativo (il Piano Regolatore Generale, PRG) totalmente prescrittivo e conformativo della proprietà, relativamente ad alcuni aspetti fondamentali: l’incapacità, assai evidente, da parte di uno strumento nato per regolare l’espansione urbana, di affrontare le problematiche, ormai prevalenti, della trasformazione e della riqualificazione urbana; l’eccessiva rigidità previsionale, che ha comportato un ricorso continuo alla pratica della “variante urbanistica” con procedure lunghe e complesse, mentre le esigenze attuali richiedono la più grande flessibilità nel passare dall’idea di piano al progetto urbanistico attuativo, per avvicinare il più possibile gli esiti alle previsioni del piano; la necessità di risolvere la questione giuridica fondamentale della disparità di trattamento tra suoli di proprietà pubblica e privata, determinata dai vincoli urbanistici finalizzati all’esproprio (che hanno, come noto, scadenza quinquennale, stabilita da legge nazionale) destinati prevalentemente all’attuazione delle politiche pubbliche, mentre i diritti edificatori, destinati prevalentemente all’attuazione della iniziativa privata, erano assegnati a tempo indeterminato, comportando, inoltre, una differenza di valori immobiliari assolutamente sproporzionata tra parte pubblica (i vincoli) e parte privata del piano (le aree edificabili in funzione dei diritti edificatori assegnati). l’attenzione agli aspetti ambientali della pianificazione comunale che diventano nel piano strutturale, gli unici elementi non negoziabili da identificare come invarianti strutturali, capaci di concretizzare ampie reti ecologiche, come mostrato in molte delle recenti esperienze. Inoltre, la crescente attenzione verso gli usi agricoli dei suoli extraurbani, tematica tradizionalmente poco affrontata nei PRG, può far auspicare una rinnovata attenzione verso l’ambiente naturale frutto di intensi processi di antropizzazione. La individuazione delle invarianti strutturali, di matrice ambientale e non solo, non deve essere finalizzata unicamente ad azioni di tutela (pur necessaria), quanto soprattutto alla definizione di scelte progettuali coerenti con gli elementi strutturanti del territorio; in altri termini, si tratta di capire in che misura e in che modo le invarianti strutturali possano orientare le scelte progettuali (un utile insegnamento ci viene dato dall’antropizzazione storica dei luoghi, dagli insediamenti isolati alle città storiche). la notevole flessibilità della parte operativa del piano, tema sul quale ci si soffermerà anche nel seguito, richiede più ampie forme di partecipazione pubblica e copianificazione tra Enti e soggetti pubblici e privati che concorrono alla formazione dello strumento urbanistico, in un modo certamente più ampio delle semplici procedure di osservazione al piano adottato, previste nel PRG. E’ evidente come un piano non vincolistico, non prescrittivo e non conformativo dei diritti proprietari non comporti la contraddizione giuridica prima evidenziata, perché i vincoli 4 urbanistici sono aboliti dalla componente strutturale e trasferiti a quella operativa, dove però sono equiparati nella durata temporale ai diritti edificatori. Mentre la modalità attuativa della perequazione urbanistica, anch’essa trattata da tutte le leggi regionali approvate negli ultimi anni e che sostituisce il vecchio modello espropriativo ormai anacronistico e impraticabile, può risolvere anche il problema dei valori, cioè della disparità di trattamento tra proprietari che si trovano nelle stesse condizioni di fatto e di diritto. Il superamento, poi, della zonizzazione funzionale, attraverso l’introduzione di comparti perequativi, caratterizzati da “mix” funzionali e da flessibili aperture verso differenti modalità organizzative della trasformazione insediativa, riporta in primo piano il ruolo della progettazione urbana nei processi di costruzione della città. Mentre le innovazioni che riguardano la parte strutturale del piano sembrano ormai consolidate nelle prassi dell’ultimo decennio, quelle riguardanti la componente operativa appaiono ancora da precisare, anche perché ancora poco praticate. Tutto ciò rappresenta, va detto con chiarezza, una grande opportunità, ma al tempo stesso una sfida che richiede capacità adeguate e una diversa cultura del progetto (che investe in primo luogo gli attori istituzionali degli Enti locali, il mondo delle professioni e molteplici fattori di tipo socio- economico). 2 LE INNOVAZIONI DA ESPLORARE NEL PIANO OPERATIVO Dopo aver richiamato i fattori maggiormente negativi delle pratiche consolidate che la nuova forma di piano, come delineata nella riforme urbanistica attuata in gran parte delle regioni italiane, cerca di affrontare e risolvere, si propongono possibili esplorazioni ed interpretazioni degli elementi maggiormente innovativi della componente operativa della pianificazione comunale, illustrandone preventivamente e sinteticamente i principali contenuti. 2.1 Alcuni cenni sui principali contenuti del piano operativo Nella proposta di riforma nazionale più volte elaborata dall’INU a partire dal 1995, e nelle successive leggi regionali che ne adottano, pur se con alcune differenze al loro interno, il Piano Operativo (PO), oltre ad assumere la valenza di strumento di programmazione dell’attuazione delle previsioni urbanistiche del PS e del RU, può assumere anche la valenza di piano urbanistico attuativo, certamente nelle situazioni dove non si prevedano interventi volti alla trasformazione o alla nuova urbanizzazione di aree di notevole estensione, senza la necessità di ulteriore rimando ai tradizionali piani attuativi. Il PO può integrare le funzioni ed ha gli effetti, se necessario, degli strumenti della programmazione complessa e negoziata e, qualora il PO approvato contenga gli elaborati necessari, esso produce gli effetti dei Piani 5 Attuativi2. Il PO può verificare e descrivere in maggior dettaglio eventuali ambiti o contesti territoriali o distretti urbani per l’adozione di politiche perequative dei regimi immobiliari così come indicati nel Piano Strutturale. Il PO, in conformità delle previsioni del PS, definisce la rete delle vie di comunicazione stradali, ferroviarie e relativi impianti, da realizzare o trasformare nel periodo di validità del Piano le aree destinate alla riorganizzazione urbana e le aree destinate all’edificazione, da sottoporre, in tale periodo, ai Piani Attuativi con indicazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona, le aree destinate a spazi pubblici o di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico, nonché le opere ed impianti di interesse collettivo e sociale, le norme per la propria attuazione. Le previsioni del Piano Operativo decadono per le specifiche sue parti se, entro il termine di validità di cinque anni, non siano state richiesti i titoli edilizi abilitativi, ovvero non siano stati approvati i progetti preliminari delle opere pubbliche o i Piani Attuativi, previsti dal Piano. In tal modo la rendita di attesa, l’attuale principale forma di rendita fondiaria urbana, viene così attribuita alle poche aree private incluse nel Piano Operativo Comunale quinquennale, ma viene anche redistribuita con la cessione gratuita di aree e diritti edificatori e ridotta dal confronto concorrenziale trasparente che deve essere applicata nel processo attuativo. Dunque, il tradizionale meccanismo espropriativo viene sostituito dalla compensazione perequativa e rimane solo per gli immobili da acquisire per il loro valore storico o naturale e per le aree necessarie alla realizzazione delle infrastrutture, oltre che per i casi nei quali l’inerzia degli operatori renda impossibile l’attuazione delle previsioni urbanistiche (INU, 2006). La gran parte delle norme regionali vigenti ricalcano il modello di piano operativo su esposto3 ed anche le proposte di nuova legge nazionale sul governo del territorio propongono discipline analoghe4. 2.2 Il ruolo del progetto urbano: come tradurre gli indirizzi in linee-guida efficaci nel momento della effettiva conformazione edificatoria del territorio I caratteri del progetto urbano contemporaneo nei sui principali elementi progettuali, iniziano ad essere consapevolmente delineati da de Solà Morales, proprio alla luce delle esperienze catalane secondo cui: “l’attenzione ai tracciati stradali come mezzo di formalizzazione architettonica, la proposta di nuovi tessuti di edifici e la reinterpretazione degli spazi pubblici, 2 non sempre e non in tutte le leggi regionali il PO ha questo ruolo. In alcune regioni come ad esempio la Puglia, la componente programmatica del Piano Urbanistico Generale non può avere gli effetti di un piano attuativo anche se ogni Piano Urbanistico Esecutivo può avere gli effetti di variante alla componente programmatica, riportandoci nel caso generale. 3 in Toscana il PO è stato sostituito nella L.R. 5/95 dai Programmi Integrati di Intervento e nella più recente L.R. 1/2005 dal piano complesso d'intervento, in alcune altre regioni il PO è sostituito da ulteriori tipologie di strumenti 4 si vedano ad esempio i disegni di legge n°1652 d’iniziativa del senatore Piglionica comunicato alla presidenza il 19 giugno 2007; la Proposta di Legge n°2319 presentata il 2 marzo 2007 da numerosi deputati o ancora la proposta di legge n°1215 d’iniziativa dei deputati Mantini, Iannuzzi, presentata il 27 giugno 2006 6 sono tre dei principali temi che, con soluzioni e approcci innovativi, accomunano i più interessanti progetti urbani contemporanei” (de Solà Morales, 1987). A tali temi progettuali occorre aggiungere l’uso del verde come materiale urbano capace di relazionare parti differenti della città (Magnaghi, 1990), la considerazione delle più numerose componenti ambientali come fattori determinanti nella strutturazione del tessuto insediativo (Maciocco, 1995), l’attenzione al piano urbanistico inteso non più come modello da perseguire, ma come processo da avviare, attuare e gestire, trovando in Italia nella nuova forma della pianificazione operativa comunale la sua veste più adatta (Oliva et al., 2002), l’attenzione alla partecipazione degli abitanti, ulteriore forma di conoscenza e valutazione del contesto territoriale e sociale del progetto (a tal proposito appaiono significative le recenti forme di concorso pubblico, con giuria mista esperta e formata da cittadini, sperimentate nelle città di Torino e Roma). Il progetto urbano diviene un processo in cui il progetto è parte di un insieme di azioni economiche, sociali e gestionali tese a precisare le strategie complessive individuate nel piano operativo, capace di definirne le forme fisiche più appropriate. Fondamentale appare il coordinamento continuo di tutto il processo, purtroppo fino ad ora scarsamente realizzato nell’attuazione del progetto urbano, nei casi migliori delegato a progettisti esterni poco relazionati con gli uffici delle amministrazioni pubbliche che promuovono il processo e che spesso non hanno le strutture idonee a seguire un tale complesso percorso. Nella consapevolezza ormai acquisita che il progetto urbano, confrontandosi con un contesto territoriale in perenne cambiamento, procede per tentativi ed errori, difficilmente può essere ingabbiato in una logica deduttiva definita dal piano generale, come accadeva nei piani attuativi tradizionali, e quindi nelle esperienze contemporanee più avanzate, si pone sempre più in evidenza il valore di strumento di ricerca del progetto, invece che continuare a controllarne la coerenza rispetto ad un insieme di regole individuate a priori. Tutto ciò assume poi un livello di maggiore complessità quando il progetto si misura con problemi di rigenerazione urbana in tessuti edificati, diffusamente presenti intorno a città grandi e piccole, ovunque omologati dalla totale assenza di qualità insediativa. Esaminando il ruolo del progetto urbano ad un maggior grado di dettaglio, si può notare che nelle esperienze più recenti ed innovative, la definizione dei nuovi parametri urbanistici sembra concedere maggiori possibilità di quante ne offriva l’impianto normativo di tipo tradizionale per coniugare quantità e qualità, aspetti numerico-dimensionali con dimensioni prestazionali. Fra i parametri e le scelte più significative delle prime esperienze di pianificazione operativa possono segnalarsi: L’indice di edificabilità espresso in mq/mq (mq di superficie edificabile in rapporto a mq di superficie fondiaria o territoriale, sempre più spesso comprensivo di una quota destinata alla residenza privata e una quota destinata alla residenza pubblica da realizzare sulla Superficie di Compensazione) 7 La Superficie di Compensazione (superficie destinata ai servizi e/o alla residenza pubblica da cedere in cambio del diritto di edificabilità da esercitare sulla parte residua. Nella prassi si sta verfiicando, in genere, che questa superficie non sia inferiore al 50% di quella totale). Mix funzionali (contesti o ambiti territoriali comprensivi di più destinazioni funzionali – stabilite ad esempio in termini percentuali – all’interno dello stesso indice di edificabilità espresso in mq/mq) Premialità (i piani recenti spesso assegnano premialità espresse in superficie edificabile conseguentemente alla realizzazione delle attrezzature per servizi pubblici e/o al perseguimento di modalità costruttive che consentano di migliorare gli standards prestazionali dell’edilizia abitativa, coerentemente con la volontà di perseguire uno sviluppo sostenibile). Flessibilità progettuale e ampiezza delle aree di intervento (indici bassi investono grandi superfici) rappresentano una grande opportunità per progettare “brani del tessuto urbano” (non più una semplice aggregazione di case per abitazione e/o di parti sconnesse), “brani” che abbiano senso e una propria identità, che traducano in concreto una “chiara idea di città”, che siano relazionati alla città esistente e ne rappresentino la continuità, che siano parte della città, che siano essi stessi la città. La maggior dimensione degli ambiti della trasformazione (il/i comparto/i) può consentire, peraltro, una più forte integrazione fra morfologie urbane e morfologie ambientali. Le scelte tipologiche e le conseguenti densità insediative, non più predefinite in maniera standardizzata e decontestualizzata, insieme alla progettazione degli spazi pubblici e delle attrezzature di servizi (tale è, in genere, il quadro operativo delineato dal comparto perequativo), possono trovare adeguato respiro progettuale nella definizione dell’organizzazione insediativa. Lo spazio pubblico, in particolare, può nuovamente diventare l’elemento ordinatore del tessuto insediativi oltre che spazio vitale di socializzazione delle comunità insediate. La viabilità (nelle sue molteplici funzioni carrabili, ciclabili, pedonali) – che occorre ricordare è lo spazio pubblico per eccellenza – può diventare nuovamente l’intelaiatura urbana intorno a cui tessere le trame dell’organizzazione insediativa. E’ evidente che per il livello di flessibilità di cui dispone la componente operativa del piano, il progetto urbano diviene lo strumento principale di articolazione del PO, spesso, come nel caso dell’Emilia Romagna e del recente PS di Bologna in particolare, attraverso procedure concorsuali per selezionare ambiti e soggetti attuatori (Gabellini, 2007). 2.3 Come disciplinare la negoziazione tra amministrazione e promotori/proprietari, in modo da restituire trasparenza alle logiche di scambio e giustificare le richieste della Pubblica Amministrazione (PA) La gestione di una molteplicità di interessi (pubblici e privati) in fase progettuale facenti capo a soggetti diversi di cui si rende necessario il coinvolgimento e il conseguente coordinamento (il mix di residenza pubblica e privata, ad esempio, comporta il coinvolgimento delle 8 cooperative edilizie e/o degli IACP; l’auspicabile progettazione delle attrezzature pubbliche contestuale alla definizione dell’organizzazione insediativa privata richiede il coinvolgimento diretto dell’amministrazione comunale), riporta in primo piano la necessità di un forte ruolo guida dell’Ente Pubblico (delle Amministrazioni Comunali, in particolare) nel governo dei processi di trasformazione del territorio. Infatti, il nuovo modello attuativo di tipo perequativo comporta, di fatto, una partecipazione determinante dei privati alla costruzione della “città pubblica”, perché le cessioni compensative sono garantite dalle attuazioni private del piano e accrescono quindi “automaticamente” il demanio comunale di aree. Per evitare che tale ingente patrimonio rischi il degrado e l’abbandono (come spesso accade nelle amministrazioni italiane anche per le poche aree rese disponibili dal tradizionale modello di piano), è opportuno promuovere, per quanto possibile, la realizzazione delle dotazioni territoriali e delle infrastrutture “a scomputo” degli oneri di urbanizzazione, garantendo così la contestuale realizzazione della “città pubblica” e della “città privata” (INU, 2007). Le modalità con cui disciplinare la negoziazione tra amministrazione e promotori/proprietari, in modo da restituire trasparenza alle logiche di scambio e giustificare le richieste della PA non sono semplici da individuare anche perchè possono variare in funzione dei contesti territoriali e delle tradizioni culturali che contraddistinguono le differenti realtà regionali italiane. Infatti, le modalità concorsuali per la selezione di ambiti e soggetti attuatori della componente operativa del piano, già utilizzate in regioni come l’Emilia Romagna, potrebbero risultare di difficile e ambigua realizzazione in realtà meridionali dove i rapporti tra enti pubblici e privati non sono ne semplici ne trasparenti, tanto che questo può essere uno dei motivi che può aver indotto la regione Campania ad usare molta cautela nell’introdurre le innovazioni disciplinari proposte. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di strutturare ipotesi di criteri da utilizzare nelle successive fasi attuative del PO proprio in sede di elaborazione dello stesso piano operativo, ovviamente quando questo non ha valore di piano attuativo o addirittura nel PS, cercando in questo secondo caso di fissare regole di carattere prevalentemente generale. Ad esempio si potrebbero prefissare valori di efficienza energetica per le costruzioni nuove o da ristrutturare, identificare valori minimi di realizzazione delle urbanizzazioni primarie e secondarie e sulle possibilità di offerta superiori a queste soglie organizzare i livelli di concorrenza, stabilire criteri di introduzione di tipologie e materiali costruttivi di bioedilizia, associando a queste indicazioni valide per tutti i contesti territoriali e le tradizioni culturali e architettoniche, prescrizioni maggiormente legate alle caratteristiche locali. Accanto ai “criteri classici” della progettazione urbana (che fanno riferimento al significato, all’identità, alla coerenza, all’accessibilità, alla multifunzionalità, ecc.) si aggiungono oggi quelli legati ad una forte attenzione per l’ambiente – costruito e non – inteso come risorsa cui relazionarsi e da cui, se mai, desumere le regole della trasformazione insediativa, così come è ormai acquisita la consapevolezza di quanto fondamentale sia l’apporto di una pluralità di idee e di visioni nella costruzione delle scelte progettuali attraverso approcci collaborativi e partecipativi. 9 2.4 Obiettivi monitorabili La recente approvazione del Codice dell’Ambiente5 ha reso obbligatoria la Valutazione Ambientale Strategica per i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale. Pur nella incertezza se i piani operativi debbano essere anch’essi sottoposti a tale valutazione (specie se non modificano gli indirizzi del PS, come dovrebbe accadere nella gran parte dei casi), rimane ormai chiaro che la valutazione degli effetti sull’ambiente delle trasformazioni territoriali è un elemento integrato al processo di pianificazione, come del resto la gran parte delle nuove leggi regionali afferma in modo più o meno chiaro. Nel caso del PO gli obiettivi che occorre monitorare in funzione dei prevalenti interessi pubblici che la pianificazione tuttora deve perseguire, sono legati alla realizzazione degli impegni assunti dai privati in fase di attuazione del PO e dei suoi eventuali piani esecutivi. Pertanto, è necessario individuare in modo chiaro le compensazioni urbanistiche e gli oneri a carico dei soggetti attuatori legandone la realizzazione alla possibilità di alienazione definitiva degli immobili eventualmente realizzati dai privati. La recente stagione dei programmi urbani complessi ha mostrato come molto spesso al momento di mettere in pratica gli impegni assunti in fase di bando, i soggetti privati abbiano rinunciato o abbiano chiesto la rinegoziazione degli oneri stabiliti, vanificando la concorrenzialità delle procedure di assegnazione delle risorse pubbliche. Infine, non appare secondaria la necessità di monitorare anche i compiti dei soggetti pubblici incaricati di realizzare parti del piano operativo o dei suoi piani esecutivi. Ci si riferisce sia ai compiti degli stessi Comuni sia ai lavori di competenza delle società di servizi e infrastrutture che spesso sono fortemente implicate nell’attuazione dei progetti urbani. 3 CONCLUSIONI E’ necessario superare una concezione limitativa della dimensione operativa della pianificazione che ha di norma fatto riferimento ad interventi parziali e settoriali, con uso di strumenti ordinari e di strumenti straordinari come nella recente stagione degli strumenti della programmazione urbana complessa e negoziata, per rilanciare strumenti che, pur riferiti ad una dimensione temporale di breve durata, abbiano la capacità di programmare gli interventi di trasformazione e nuovo impianto sul territorio, con riferimento da un lato alla valutazione degli effetti dei singoli interventi sul sistema urbano o territoriale più ampio e dall’altro alla capacità effettiva di valutare e di rispondere alle istanze ed alle domande posti dalla comunità di cittadini insediati e dagli operatori economici. Di seguito si espongono alcuni fattori di inerzia dell’attuale quadro della disciplina urbanistica italiana e alcune opportunità che la nuova forma di piano sembra offrire. 5 Decreto Legislativo 16/01/2008 n°4 10 3.1 Principali elementi di criticità del contesto italiano che possono rallentare l’affermarsi della pianificazione operativa come strumento di connessione/unione tra piano urbanistico e progetto edilizio Nelle pratiche odierne di progettazione urbana c’è ormai la comune consapevolezza che l’efficacia delle istanze di riqualificazione dipenda dunque da una molteplicità di fattori concomitanti, in cui gli aspetti del recupero fisico, del miglioramento sociale, della valorizzazione ambientale vadano affrontati tenendo anche in debita considerazione tutti gli aspetti economici coinvolti. Questa rinnovata e forse inedita attenzione all’integrazione tra diversi fattori, quale condizione spesso determinante per il buon esito della pratica progettuale, induce oggi un interesse esplicito verso le problematiche inerenti alla costruzione di una approfondita base di conoscenza, anche dinamica, di tali fattori, nonché verso i meccanismi e i ruoli connessi con la gestione dei processi di conoscenza e di implementazione del progetto. In termini operativi si tratta, da una parte, di riuscire a definire quadri cognitivi tecnico-scientifici e informali – anche con il coinvolgimento dei molteplici attori sociali – adeguati a comprendere pienamente problematiche, istanze, luoghi, potenzialità, criticità, risorse, valori locali e, dall’altra, di poter disporre di strutture tecnicoorganizzative – preposte alla gestione del percorso progettuale – all’altezza dei compiti da assolvere, all’interno di un ruolo guida di cui l’ente pubblico deve inequivocabilmente farsi carico. La praticabilità di questi percorsi operativi stenta ancora a decollare – soprattutto nel meridione del Paese – per gli enormi ritardi accumulati nel maturare un diverso tipo di approccio alla pianificazione. Proprio l’ampia sperimentazione svolta nell’ambito dei cosiddetti programmi complessi (Gerundo, 2000; Contardi e Marinelli, 2003), più volte richiamata, ha evidenziato quale rilievo abbia assunto, ad esempio, per il buon esito della pratica progettuale, lo spazio della concertazione, informazione, consultazione e dibattito, teso a coinvolgere tutti i soggetti coinvolti nel processo di riqualificazione urbana, spazio ancora troppo poco frequentato nella realtà territoriale del Meridione. Carenza di conoscenza, distorsione dell’informazione, frammentazione dei bisogni, hanno spesso, infatti, una forte ripercussione negativa su efficienza ed efficacia delle politiche di rigenerazione urbana (Forester, 1989; Amendola, 2000). Di fronte poi alla perdita di credibilità, spesso accumulata in molte amministrazioni locali nei confronti dei tanti residenti in agglomerati insediativi privi di tutto ciò che contribuisce ad assegnare senso e qualità ai luoghi urbani, laddove le stesse amministrazioni hanno deluso attese e aspettative e disatteso le promesse fatte, occorre intraprendere ancor più energicamente strategie di coinvolgimento – tese a guadagnare la fiducia delle comunità insediate – nella costruzione di spazi di vita in modo partecipato ampio e trasparente. In queste dinamiche negoziali e collaborative, infatti, le amministrazioni locali e, più in generale, le istituzioni, devono avere capacità e volontà di selezionare, in funzione della pluralità di interessi e dei valori in gioco, priorità e obiettivi di piani e progetti (Savino, 11 2003), individuando quegli elementi non negoziabili, rispetto ai quali gestire, in maniera coerente e trasparente, conflitti, mediazioni e negoziazioni. (Haley, 1997). Tutto ciò, poi, assume maggiore significatività, come già evidenziato, soprattutto nel meridione del Paese, dove molti sono ancora i Comuni legati a forme di gestione e di governo del territorio ormai inadeguate a far fronte alla complessità delle istanze con le quali interagire. Le ragioni sono da ricercare non solo negli enormi ritardi accumulati nella sperimentazione di approcci diversi rispetto a quelli praticati in altre parti del Paese, più orientati al dialogo e alla collaborazione, ma anche in resistenze endogene di vario genere manifestate dalle stesse strutture tecniche comunali, essenzialmente determinate da una scarsa propensione a modificare comportamenti e assetti organizzativi consolidati, ancora troppo dipendenti da una cultura urbanistica storicamente autoreferenziale. Può essere perciò utile riflettere sui diversi fattori che concorrono a caratterizzare la struttura organizzativa degli uffici tecnici comunali, per comprenderne appieno le criticità e poterne quindi meglio delineare percorsi evolutivi atti a favorire il buon esito delle pratiche di riqualificazione urbana. Nell’organizzazione del lavoro, dunque, la responsabilità del settore urbanistico è solitamente affidata ad una sola persona (quasi sempre si tratta di tecnici laureati, anche se sono ancora tanti gli uffici diretti da tecnici diplomati) che si avvale in genere della collaborazione di qualche altro funzionario. Il responsabile, in questi casi, identifica l’ambiente di lavoro con il proprio ufficio, che assume perciò la configurazione di un sistema chiuso (Forester, 1989), poco incline a superare i confini organizzativi e ad aprirsi all’esterno. Competenze, ruolo dell’informazione e conseguenti tipi di approccio alla soluzione di problemi si rivelano altrettanto significativi nella caratterizzazione degli ambienti organizzativi (Forester, 1989; Alexander, 1992). In ambienti di lavoro chiusi le competenze sono spesso totalmente inadeguate a cogliere la dimensione interdisciplinare degli odierni approcci alla pianificazione. I funzionari che operano in ambienti di tal genere si limitano a svolgere attività routinarie e, ritengono che l’informazione di cui sono in possesso – per quelli che sono i compiti normalmente assolti – sia completa. L’attività di pianificazione, in tale contesto, viene infatti prevalentemente limitata allo svolgimento di operazioni di verifica e controllo degli interventi di trasformazione del territorio. Essa viene svolta in maniera da “soddisfare” le esigenze primarie legate ad una corretta gestione della strumentazione urbanistica vigente. Di conseguenza si agisce al più secondo logiche di “soddisfacimento” alla Simon (1957). Di fronte a problemi di una qualche complessità l’amministrazione locale si rivolge solitamente ad expertises esterne. Manca quasi ovunque una effettiva cultura del progetto, i cui contenuti si caratterizzano sempre più per l’apporto dato dalla sua odierna dimensione interattiva e processuale. L’approccio è prevalentemente di tipo normativo (regolamenti, norme, procedure sono costante punto di riferimento per il lavoro da svolgere). L’organizzazione delle strutture tecniche comunali risente poi negativamente, quasi ovunque, di un consistente sottodimensionamento delle risorse umane. I tempi sono conseguentemente estremamente 12 limitati; bisogna prendere delle decisioni quotidiane e molto spesso non c’è tempo per fare altro. La continuità amministrativa del governo locale è inoltre largamente insoddisfacente a causa dei frequenti cambiamenti delle alleanze politiche. Ciò si ripercuote inevitabilmente, ancora una volta, sull’efficienza operativa delle strutture tecniche amministrative. In assenza di orientamento e controllo politico, infatti, gli uffici tecnici sviluppano spesso approcci autonomi e pragmatici, dominati da decisioni e azioni di routine. Tutti questi aspetti, normalmente presenti quasi ovunque nel mezzogiorno del Paese, possono dunque risultare determinanti nel condizionare gli esiti di politiche, piani e programmi avviati nel processo di riqualificazione urbana. E’ necessario allora che i Comuni e in particolare le strutture tecniche organizzative siano permanentemente dedicate alla pratica del progetto, di una progettualità cioè costruita giorno per giorno, sperimentata, collaudata e perciò pronta a far fronte ai tempi abbastanza ristretti con i quali spesso ci si deve misurare. Occorre poter disporre di competenze adeguate, avere capacità e tempestività di programmazione, ma anche, e proprio per questo, svolgere un esercizio continuativo della pratica progettuale (Selicato e Torre, 2000). Ciò significa ancora essere in grado di monitorare continuamente le diverse situazioni di degrado, di potersi dotare in particolare di strutture processuali in grado di seguire l’evolversi dei fenomeni di degrado in atto o di prevenirne il sorgere, analizzando e interpretando i diversi fattori che li descrivono, elaborando opportuni indicatori che ne consentano la valutazione. E se il coinvolgimento della popolazione, della gente interessata, degli utenti, può costituire un mezzo efficace per misurare le ricadute sociali degli interventi di progetto, è altrettanto evidente che questo coinvolgimento, ancorché espressamente ricercato quando se ne presenti la necessità, va esso stesso costruito e monitorato giorno per giorno. Occorre spostare “l'accento dallo strumento del ‘piano’ all'attività di ‘pianificazione’ significa non concepire e praticare più l'uso dei tre momenti tradizionali del ‘piano’ (ossia del disegno dell'assetto desiderato), del ‘programma’ (ossia della scelta, all'interno dell'universo delle opportunità definite del ‘piano’, di quelle da realizzare in una fase determinata), e della ’gestione’ (ossia dell'attuazione concreta, attraverso ‘progetti’ esecutivi, degli interventi previsti dal ‘programma’) come tre operazioni separate e successive, ma concepire invece, e praticare, i tre momenti suddetti come momenti logici di un'attività (la ‘pianificazione’, appunto) che si svolge con una stretta e continua interazione tra l'uno e l'altro momento” (Salzano, 2008). In questo contesto il ruolo delle strutture tecniche organizzative deve diventare allora sempre più simile a quello di vere e proprie agenzie di pianificazione, aperte al dialogo e al confronto con i numerosi interlocutori chiamati a concorrere nel processo di riqualificazione urbana, gente comune e imprenditori, associazioni, operatori economici, esperti, enti e istituzioni di varia natura. Ma perché questa condizione possa verificarsi è indispensabile che, a ciascun livello, operino strutture pubbliche tecniche dotate di tutte le competenze e le attrezzature necessarie per svolgere con efficacia le operazioni necessarie. Strutture la cui qualificazione sia tale da consentir loro di individuare i supporti di consulenza 13 necessari nelle diverse fasi del processo e in relazione ai diversi contenuti specialistici necessari, sia in termini di conoscenze esperte che di progettazione di singoli aspetti o settori od oggetti (Salzano, 2008). La nuova stagione riformista avviata in Italia con le nuove leggi regionali per la redazione dei piani comunali che consolidano la nuova forma di piano (che, se da un lato definisce le invarianti strutturali di lungo periodo, dall’altro lato si caratterizza per una maggiore flessibilità d’azione in gran parte affidata alla progettazione urbana), può costituire uno stimolo per le pubbliche amministrazioni a modificare i propri modelli organizzativi, attualmente non in grado di gestire il governo del territorio. 3.2 Opportunità Il PO previsto nelle due leggi deve necessariamente interfacciarsi e relazionarsi ad altri strumenti di pianificazione, sia di settore che strategici ed in primo luogo con il PS, e soprattutto al complesso sistema della programmazione di bilancio degli enti pubblici, con riferimento ai programmi e progetti nei diversi settori di iniziativa dell’ente pubblico, alla programmazione certamente delle opere pubbliche fino agli strumenti di gestione (i PEG) dei diversi settori amministrativi degli enti pubblici attraverso i quali, almeno in teoria, potrebbero crearsi le effettive condizioni perché piani e programmi possano attuarsi con elevate condizioni di certezza. A queste condizioni il PO può diventare, insieme ad altri strumenti, la proposta di governo di una amministrazione pubblica ed in quanto tale essere oggetto di valutazione rispetto agli esisti sia in corso d’opera che in sede di bilancio conclusivo di una esperienza ammnistrativa e quindi strumento per praticare forme reali di partecipazione democratica al governo della città e del territorio, in quanto consente ai cittadini di poter valutare e misurare gli effetti della programmazione dell’ente pubblico. Tra le valenze e ricadute del PO questa ci pare la più importante ma non a caso è quella meno praticata in molte parti del paese. In tal senso il PO può rappresentare una vera innovazione nella prassi di pianificazione della città e del territorio riproponendo la questione di fondo di un rilancio di una nuova cultura della pianificazione. L’attività progettuale va intesa come luogo di “esplorazione” in grado di orientare il processo di conoscenza verso soluzioni che attribuiscano senso e significatività ai luoghi. In tale ottica, l’attività di strutturazione della conoscenza, oltre a supportare tecnicamente le scelte progettuali, può diventare quadro di riferimento “dell’interazione tra i molteplici soggetti che animano il processo di pianificazione” (Budoni, 2008). E’ noto infatti che le procedure autorizzative delle trasformazioni territoriali stiano cambiando e che, in tale cambiamento, stiano ormai consolidandosi le conferenze di servizi; questo stesso cambiamento non può più essere visto solo in chiave di snellimento ed efficienza del processo decisionale, ma deve essere considerato soprattutto come mutazione profonda, nei termini su richiamati, del rapporto fra conoscenza e azione (Budoni, 2008). 14 4 Bibliografia Alexander E. R. (1992), Approaches to planning, Lausanne, Gordon and Breach Science Publishers Amendola G. (a cura di, 2000), Scenari della città nel futuro prossimo venturo, Laterza, Bari Camagni R., Capello R. (1995) Metodologie, Relazione presentata alla XVI Conferenza Italiana di Scienze Regionali, Siena, volume 1, 1-41. Colarossi C., Latini A. P. (a cura di) (2007) Progettazione urbana, Il Sole 24 ORE, Milano Contardi L., Marinelli A. (eds), Permanenza e sostituzione nella riabilitazione urbana. Urbanistica Dossier, n. 57, INU Edizioni, Roma de Solà Morales, M. (1987) Proyecto Urbano, UR, n°5 Forester J. (1989), Planning in the face of Power, Berkeley CA, University of California Press. Gabellini P. (2007), Un piano che ripensa Bologna e l’urbanistica, Urbanistica 135 Gerundo R. (ed, 2000), I programmi urbani complessi, Graffiti, Napoli Haley, P. (1997), Collaborative planning. Shaping Places in Fragmented Societies, Macmillan Press, London INU – Istituto Nazionale di Urbanistica (2006) “Al più presto la legge di principi per il governo del territorio”, Documento approvato dal CDN a Genova, 24 giugno 2006, http://www.inu.it INU – Istituto Nazionale di Urbanistica (2007) “Verso la legge sui principi del governo del territorio” Documento approvato dal CDN a Roma, 03 gennaio 2007, http://www.inu.it (sito visitato il 14/06/08). Maciocco G. (1995) Dominanti ambientali e progetto dello spazio urbano, Urbanistica, 104, 77-81. Magnaghi, A. (1990), Il territorio dell’abitare, Franco Angeli, Milano Oliva F., Galuzzi P., Vitillo P. (2002) Progettazione Urbanistica. Materiali e riferimenti per la costruzione del Piano Comunale, Maggioli Editore, Rimini. Salzano E. (2008) “Sull’articolazione dei piani urbanistici in due componenti”, http://www.eddyburg.it (sito visitato il 14/06/08). Savino M. 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While the first one has already founded shared solutions in the scientific and professional community (Oliva, et alii, 2002), the second one is an innovation yet to define (Colarossi, Latini, 2007). The operational component of the plan has an interesting potential specially referring to the relationship between town planning and architectural project. There are yet some questions particularly interesting to solve. How to translate the town planning address in clear directions for the architectural project? How to incentive the actors of the building process to be coherent with the structural objective of the Public Administration? How to manage the negotiation between Public Administration and private actors in a transparent and effective way? These are the principal themes of the paper that are discussed. 16