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Laicità e stupidità di partito: la Lega e le
sue beghe
By Ilaria Porro
luglio 30, 2015 08:38
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Questo è un articolo che si sarebbe potuto intitolare, molto sobriamente, “laicità e religione”. Ma quando la moderazione che ci autoimponiamo
si scontra con la scialba realtà, la compostezza cede poco cavallerescamente il posto all’improperio. Così, di fronte all’ennesima bravata
leghista – perché i politici vanno in vacanza, ma le loro degne imprese non sia mai che ci abbandonino – alla bocca sale naturalmente la parola
“stupidità”.
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Le notizie, si sa, ognuno le apprende come più gli piace e anzi, spesso ancor prima di leggere sappiamo che partito prendere. Che due consiglieri
comunali della Lega Nord (Fabrizio Ricca e Roberto Carbonero) si siano introdotti in una sala del municipio di Torino e abbiano portato via sotto
braccio il tappeto utilizzato dai fedeli musulmani per pregare, desterà quindi la chiassosa approvazione dei laici prevaricatori e l’altrettanto
chiassosa condanna dei progressisti generosi. La sala matrimoni del comune è stata adibita a luogo di culto in occasione di un convegno sulla
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moda islamica finanziato dal Dubai Islamic Economy Developement Center.
A quanto pare i due consiglieri non avevano: “nulla contro la religione musulmana, ma” – non sono
razzista, ma – “il comune è luogo laico e istituzionale“ e non uno spazio dove pregare.
Ineccepibile. Poi si guarda il video che, con zelante spirito civico, è stato postato su Facebook da
Ricca (QUI il video).
Il culmine del ridicolo si raggiunge con un coscienzioso botta e risposta tra i due leghisti:
“il tappeto a casa!” “sì… a casa nostra!”. Mancano solo le trombette e il “chi non salta musulmano
è”.
Che chi oggi combatte il tappeto musulmano come attentato alla laicità, ieri strepitasse
per mantenere il crocifisso nelle aule quale simbolo di identità, non sembra importare
troppo. Eppure, per chiunque dotato di un pizzico di spirito critico e perciò in grado di superare
l’opportunismo imperante, questo non è irrilevante. Si può combattere il tappeto musulmano
semplicemente in quanto musulmano (e non cristiano); si può sobillare la folla in vista delle
elezioni con gli argomenti di più sicura presa; o ancora, si può innescare una riflessione sulla convivenza di più spiriti religiosi all’interno di
uno Stato che si professa laico. Su un lato del ring un’intolleranza malamente mascherata da paladina dei valori tradizionali; sull’altro un cieco
trasporto romantico per il diverso. Due facce della stessa medaglia: quella del provincialismo all’italiana.
Laicità fa rima con stupidità solo nella forma. Che un crocifisso (per quanto sanguinolento) possa
turbare – è stato detto anche questo – un bambino di una diversa religione o anche ateo, ci sembra
difficile – avete idea di cosa passa in TV?. Che un’istituzione statale (e dunque laica) come la scuola si
debba fregiare di un simbolo cristiano è, d’altra parte, quantomeno discutibile. Che un professore venga
sospeso per aver tolto un crocifisso da un’aula, è abbastanza assurdo (è notizia di quest’anno e il
docente in questione è Franco Coppoli dell’Istituto per geometri Sangallo di Terni). Che facendosi scudo
della laicità si impedisca la – più che legittima – professione di fede, è odioso. Già. Ma chi stabilisce il
confine?
C’è chi, in nome della laicità (o era il risentimento dell’ateo?), non esiterebbe ad abbattere chiese. Ma
prima di abbandonarci all’ardore distruttivo dovremmo riflettere su quanto del nostro patrimonio artistico e
culturale perderemmo. Ha ragione Dacia Maraini quando dice che “siamo tutti cristiani” (invitata a
Bookcity 2013, a Milano, per promuovere il suo romanzo Chiara di Assisi: Elogio della disobbedienza,
Rizzoli, 2013). E questo senza voler far torto ad atei e agnostici. La nostra cultura è (è stata) – ci
piaccia o meno – cristiana. Che i nostri musei siano pieni zeppi di natività, di deposizioni, di sacre
conversazioni, non è un mero dettaglio. Che il padre della lingua italiana (Dante) e il padre del
romanzo italiano (Manzoni) abbiano costruito le loro grandi opere come opere cristiane, non è
qualcosa che si possa semplicemente trascurare. Per il Natale 2014 le Poste italiane hanno introdotto il francobollo laico: “Il Santo Natale 2014
– laico”. Al di là della contraddizione in termini (se è “santo” come fa a essere “laico”?) l’alberello coi regali non può reggere il confronto con la
Madonna di Agostino Carracci. E non ha senso farlo. Esiste una bella opera che – disdetta! – è di
soggetto cristiano dipinto da pittore cristiano. Dovremmo ignorare che è un prodotto (del suo tempo e
quindi) della religione? O non dovremmo nominare la Madonna? Si potrebbe per lo meno scriverla in
minuscolo, per attribuirle meno importanza. Forse sarebbe politicamente corretto censurare i simboli
che nel quadro rimandano alla religione – Carracci improvvisamente trasformato in un Malevič. O,
perché no, commissionarne una copia con i soggetti in abiti laici.
Se avessimo la presunzione di parlare di fede, forse una scorsa alle parole di un grande scrittore
svedese, non farebbe male:
“Mi manca la fede e, quindi, non potrò mai essere un uomo felice, perché un uomo felice non può
avere il timore che la propria vita sia solo una vagare insensato verso una morte certa. Non ho
ereditato il celato furore dello scettico, il gusto del deserto caro al razionalista o l’ardente innocenza
dell’ateo. Non oso, allora, gettare pietre sulla donna che crede in cose di cui io dubito” (Stig
Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione, 1952).
Invece, da buoni ambrosiani, richiameremo il più abbordabile “buon senso” delle “cose serie, cose
sode” (come diceva Massimo Bontempelli) che di questi tempi sembra più inaccessibile che mai.
Eviteremmo di ammassare tappeti altrui in casa. E chissà che sui giornali possano trovare spazio
soggetti e riflessioni meno banali.
Ilaria Porro per 9ArtCorsoComo9
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