(01-98)Articoli Estivo 2006
19-04-2006
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AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO
Bolivia
18/08/05 Penultimo giorno in cui è previsto il giro dell’isola in bicicletta. Non si tratta di tappone pirenaico dato
che l’isola misura 8 km.di lunghezza,800 metri di larghezza
media e un dislivello massimo di … 20 metri si e no, però qualcuno ha il coraggio di affittare una macchina elettrica al posto della due ruote. Peraltro riconosciamo anche noi ginnici che un’ammiraglia al seguito è utile perlomeno per portare l’acqua visto il gran caldo.Tra l’altro il
giro prevede lunghe soste in corrispondenza delle spiagge dell’isola. Particolarmente bella quella di Playa Garrafon, dove si può fare dell’ottimo snorkeling a pochi metri
dalla riva. Daniela, Beppe e Mary cercano di arrivare via
mare al vicino parco marino senza pagare l’ingresso ma
sono facilmente scoperti visto che nella riserva è obbligatorio il giubbetto salvagente e loro ne sono sprovvisti!
19/08/05 Abbiamo deciso di goderci fino in fondo questa
giornata finale a Isla Mujeres e,prendendo qualche rischio,
tutti concordiamo con l’idea di Elisa di partire domani mattina col primo traghetto alla volta di Cancun dove alle 9.30
abbiamo l’aereo evitando la notte in città. Molto meglio,
possiamo dedicare un giorno intero all’abbronzatura selvaggia, all’ultimo shopping e alle foto in spiaggia. Forse solo oggi ci stiamo realmente rendendo conto che la vacanza sta finendo e sembra che nessuno sia particolarmente
ansioso di tornare a casa. Alcuni nuvoloni sembrano privarci dell’ultimo tramonto sul mare ma il sole del Messico non ci fa questo torto e ci regala alcune immagini da
cartolina che non manchiamo di immortalare.
Per la serata, in cui dobbiamo registrare l’assenza di Gianluca II per ragioni….di cuccaggio (quindi assolutamente
giustificate),organizziamo cenetta in un bel ristorantino in
una terrazza del centro. Mentre mangiamo si scatena un
temporale pazzesco ma solo quando cerchiamo di scendere i gradini del locale ci accorgiamo che la via sottostante è invasa da almeno 50 cm. di acqua…. e il centro di
Isla si è tramutato in una piccola Venezia! Non dotati di
gondole né di stivaloni per acqua alta (nonostante abbia
studiato nel capoluogo veneto non avevo proprio pensato a portarli), ci cimentiamo nel guado auspicando che all’alba per la nostra partenza la situazione non sia la stessa e soprattutto che parta il traghetto!
20/08/05 Sveglia alle 5 ed è una sveglia triste stavolta.Almeno il tempo si è rimesso: non piove, nessun allagamento ed anzi si preannuncia un’alba splendida che ci godiamo dalla terrazza della barca.Hasta luego Isla Mujeres! Ce
la facciamo ampiamente con i tempi e siamo al check-in di
Cancun con congruo anticipo. Rivediamo in aereoporto i
4 amici che avevamo lasciato a Tulum e ci scambiamo esperienze e racconti.
Michela vive 10 minuti di ansia a Miami dove per un attimo incappa nei feroci controlli della security americana e
viene “sequestrata” per delle verifiche ulteriori; essendo
l’ultima del gruppo nessuno l’attende e buon per lei che il
self-control e la sua ottima conoscenza dell’inglese le permette di chiarire in fretta l’equivoco.
21/08/05 Alle ore 9.30 sbarchiamo a Linate e la vacanza
ora è proprio finita.A Francoforte avevamo già lasciato (in
tutta fretta per via delle coincidenze) gli amici “sudisti” diretti a Roma. Cerco vanamente di farmi arrestare lasciando il bagaglio a mano incustodito in aereoporto per almeno 15 minuti ma me la cavo con una meritata lavata di
capo del finanziere. Che dire: viaggio splendido, gruppo in
grande armonia composto da persone che mai, in tre settimane,hanno avuto modo di litigare.Forse le foto solo in
parte saranno in grado di rappresentare le tante immagini di questa vacanza che ci rimarranno in mente.
Le
vene
aperte
del
Testo Franco Coppoli
Foto di Cristian Santi e Renzo Fratton
bbiamo viaggiato tutta la notte su uno scassato pullman di linea che,partito con un'ora di ritardo da Tupiza -la prima città boliviana meridionale che avevamo incontrato provenendo dal nord dell'Argentina- arriva dopo ore di sterrato la mattina molto presto a Potosì.
Ci sistemiamo in albergo vicini al centro storico e alle 9
c'è il pulmino dell'agenzia che ci viene a prendere e ci scarica un paio di quadras più in là, dove cominciamo a vestirci per le miniere.Visto che in grotta la temperatura sale notevolmente, indossiamo sotto alla maglietta una tuta
impermeabile in due pezzi, gialla canarino, che copre i vestiti e proteggerà dalla polvere più che dall'umidità.Un casco con lampada, quelli vecchi col carburo, i più nuovi con
luci a batteria. Con noi c'è anche un gruppetto di ragazzi
e ragazze francesi di Marsiglia e due guide, Olga e Paco,
che prima di arrivare alla miniera ci accompagnano al mercato collocato nella parte alta della città, sulla via per il
cerro rico, per comprare foglie di coca, dinamite,fosfati,
micce, detonatori, e bevande da dare ai minatori. E' strano entrare in questi empori pieni di tutto e scegliere la dinamite che sembra una candela incartata e la cui vendita
è completamente libera.
Paco ha circa 30 anni e ha fatto il minatore, e fino ad un
paio di anni fa scendeva nei pozzi per lavorare come faceva da quando aveva iniziato, a quattordici anni. Ha dovuto smettere per la silicosi che lo stava uccidendo, come
suo padre, minatore anche lui,che è morto del male che
ti mangia e secca i polmoni a causa delle micropolveri e
dei minerali respirati, che restano a lungo in sospensione
nei cunicoli delle miniere durante e dopo i lavori di scavo
e le esplosioni.
Olga ha lavorato anche lei in miniera sfatando la leggenda
che le donne non siano ammesse nel ventre della terra,
della pacha mama. I minatori non accettano le loro donne, quasi a tutelare il nucleo familiare, mentre operaie e
bambini lavorano selezionando il prodotto estratto nelle
miniere e a volte scendono loro stesse nei cunicoli.
Ora entrambi hanno aperto un'agenzia che organizza visite in miniera per turisti.
Riprendiamo ad arrampicarci col nostro pulmino sul Cerro Rico o Sumai Orcko, come veniva chiamata dagli incas
quando, 83 anni prima dell'arrivo degli spagnoli, Huyana
Capac vietò l'attività estrattiva perché coloro che vi stavano lavorando avevano udito dalla montagna le parole
A
Potosì
Sono la ricca Potosì,
il tesoro del mondo
e l'invidia dei re
“non togliete argento da questa montagna” e “pptojsi”
(esplodere)- da cui il nome della città sottostante. Un'altra origine del nome potrebbe derivare dal quechua pptoj,
che significa “zona di tante sorgenti”, situate proprio nella città.
Finalmente siamo davanti al cancello della candelaria baja,
una delle miniere più antiche,aperta dagli spagnoli che hanno realizzato la loro fortuna e quella dell'Europa facendo
estrarre -prima dai nativi ridotti in schiavitù e poi dagli
schiavi rubati dall'Africa- tonnellate di minerali preziosi,in
prevalenza argento ma anche oro, zinco e stagno. Oggi le
vene principali sono esaurite, ma i minatori seguono le irregolari vene minori scavando la dura roccia con gli scalpelli e con la dinamite.
Paco comincia a scartare con calma un candelotto di dinamite, lo modella e ci aggiunge sali di potassio. Poi incunea al centro l'innesco che è a base di mercurio e sta all'estremità di una miccia a combustione lenta. Ripete l'operazione con un'altra carica,poi si allontana e piazza i due
esplosivi a qualche decina di metri da noi. Sembra la scena di un film di Sergio Leone. Si alzano in aria due scie di
fumo mentre Paco si allontana velocemente e dopo quasi un minuto prima vediamo i bagliori e poi sentiamo due
forti esplosioni ravvicinate che fanno schizzare pietrisco
e alzano due colonne di polvere.
Dopo aver assistito all'esplosione ci dirigiamo verso l'entrata, indossiamo i caschetti, accendiamo le lampade all'acetilene e cominciamo la discesa in miniera.
Da qualche anno lo stato boliviano ha dismesso l'attività
mineraria, privatizzandola di nuovo dopo le nazionalizzazioni degli anni '70. Questo si è tradotto in un netto peggioramento delle condizioni di lavoro e dei salari dei minatori che ora, organizzati in cooperative, di fatto lavorano a cottimo, senza limiti di orario, con scarsissime tutele sanitarie, senza assistenza sociale né paga fissa.
Ci dividiamo in due gruppi: uno resterà con Paco ai livelli
più superficiali della miniera, l'altro accompagnato da Olga scenderà fino al terzo livello.
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AVVENTURE NEL MONDO • AVVENTURE NEL MONDO
Si cammina in fila indiana, prima abbastanza agevolmente,
poi, dopo deviazioni e bivi, si cominciano a vedere cunicoli e budelli,comincia a mancare l'aria (che non è mai eccessiva, considerando che siamo ben oltre quota 4300
mt.), vediamo pozzi profondi decine di metri da cui viene
tirato su materiale da selezionare. Carrucole di legno, altre di ferro e spesse funi di canapa cui sono attaccati secchi e contenitori pieni di rocce vengono fatti salire dai livelli inferiori e poi scaricati lungo i cunicoli. Lì attendono
il materiale squadre formate da quattro a sei persone che
raccolgono i minerali e riempiono i carrelli che una volta
pieni pesano varie tonnellate e vengono spinti con la forza delle braccia lungo binari che corrono orizzontali sugli
impercettibili piani inclinati dei cunicoli. Con Simonetta e
Francesco arriviamo fino al terzo livello della miniera,
scendendo lungo artigianali scale di legno.
In fondo troviamo la scultura più antica del tio, la divinità
luciferina che protegge i minatori e le miniere. Nelle gallerie,spesso all'interno di nicchie, si trovano varie rappresentazioni del tio, scolpite durante i secoli da generazioni
di minatori, raffigurazioni di questo demonio che è anche
il protettore di chi lavora sotto la superficie della terra, in
un territorio “vietato” alle divinità celesti. Quella dove ci
portano è la più grande e antica, una statua scavata nella
roccia viva,sembra una stalagmite, nera di fumo e di cera
fusa,piena dei colori dei frammenti di tessuto e dei festoni
che i lavoratori di questo inferno sotterraneo lasciano in
omaggio. Occhi bianchi che impressionano e sembrano
guardarti, fallo eretto spropositato e bocca socchiusa per
aspirare il fumo dei sigari che,se bruciano lentamente,rappresentano un segnale positivo di buena suerte e protezione.
Il sigaro posto in bocca al tio si consuma lentamente mentre Olga ci racconta storie e leggende della miniera bagnando la statua con un fortissimo distillato di alcol puro.
Anche noi ne beviamo e nonostante sia veramente forte
(un vero torcibudella…) fa piacere lavare la gola sporca di
polvere e ricevere una scossa alcolica.
Continuiamo ad attraversare le gallerie e ogni tanto ci spostiamo velocemente al bordo dei cunicoli per far passare
gruppi di mineros che spingono i pesanti carrelli pieni di
tonnellate di pietrisco che verrà selezionato e lavorato in
superficie. Incontriamo ancora pozzi e carrucole con minatori intenti a sollevare la produzione frutto di ore di picconamenti,scavi ed esplosioni.In alcune zone le pareti sono piene di fori scalpellati lungo il perimetro delle vene
metallifere che vengono rincorse dai minatori con la lentezza e la professionalità di un lavoro pesantissimo realizzato in condizioni estreme.
Rimango incantato dalla vena scintillante incastrata tra la
roccia che irregolarmente fugge verso il buio, illuminata
dalla luce bianca dell'acetilene.
Ad un certo punto,da un'ansa parte bruscamente un tunnel che ci porta ad una cavità nella quale ci mettiamo a sedere.Si respira a fatica,lo spazio è angusto ma verso il basso, all'altezza dei nostri piedi, c'è un cunicolo orizzontale
dove può passare una sola persona alla volta che, strisciando sui gomiti una decina di metri, arriva a una curva
retta dove il budello sale in verticale, rimanendo sempre
estremamente stretto. Steso a terra con grossi problemi
di respirazione, sull'orlo di una crisi di claustrofobia, vedo
in alto un lavoratore sicuramente non più giovane, José,
che con una calma e una costanza per me incredibili batte con una mazza sullo scalpello,per praticare un altro foro nella roccia. Dal basso riesco a vedere le striature della vena d'argento e i numerosi fori che serviranno a contenere la dinamite. José mi spiega che di fori ne occorrono almeno venti, poi si armano, si mette l'innesco, la miccia a rilascio lento e ci si ritira aspettando l'esplosione.
Non riesco più a respirare,sono praticamente steso a terra supino e guardo il minatore che, mentre io faccio fatica a resistere, poco più in alto di me sta lavorando con
calma, la bocca piena di foglie di coca. Il volto di José ha
chiari tratti da indio, in testa ha il casco con la frontalina
e indossa una tuta, che un tempo lontano è stata impermeabile, piena di polvere. Si spegne la fiamma della mia
lampada a carburo e José prende un accendino e mi ridà
la luce. Ci salutiamo e gli stringo la mano. Ha cinquantadue anni.Torno indietro strisciando e quando esco dalla
galleria mi ritrovo nella piccola ansa dove mi stanno aspettando gli altri e ci metto un bel po' a riprendere la respirazione normale.
Dopo che qualcun'altro è entrato e uscito (molti non ci
riescono neanche) ricominciamo a camminare per le gallerie.Sentiamo rumori che a volte vengono da lontano,altre volte si avvertono improvvisamente dietro un'ansa o
un angolo.Incontriamo ancora gruppi di minatori con picconi e pale che riempiono i carrelli. Continuiamo percorrendo lunghi camminamenti attraversati in alto dai tubi neri che portano ossigeno e che sfiatano aria, quasi fosse il
respiro della montagna. Poi riprendiamo a salire su scale
di legno, con una grandine di pietrisco che cade continuamente sui nostri caschi.Ancora cunicoli, ricominciamo a
camminare sui binari e incontriamo sempre più spesso
carrelli pieni, spinti dai minatori cui lasciamo, per la loro
ospitalità, sacchetti di foglie di coca, candelotti di dinamite e bevande gassate. Percorriamo un ultimo tratto orizzontale lunghissimo,attenti ai colpi sul casco a causa di un
soffitto fortemente irregolare e piuttosto basso e finalmente ricominciamo a vedere una luce chiara.
Siamo usciti dal ventre della miniera, dal ventre di questo
storico monte sacro per la civiltà inca, violato dai conquistadores spagnoli che in oltre due secoli vi estrassero oltre 45 mila tonnellate di argento, in cui oltre 8 milioni di
morti inca o africani hanno celebrato con il sacrificio della
loro vita la ricchezza e lo sfruttamento da parte dell'Europa. Un abuso che continua ancora oggi, con paghe giornaliere che arrivano a 35 bolivianos (neanche 5 euro), uno
sfruttamento declinato sotto le parole della globalizzazione,delle privatizzazioni, dell'immane fatica di migliaia di minatori, ma contestato dalle proteste di un paese (composto per oltre l'80% da etnie aymara e quechua) che in massa si è opposto -cacciando ben due presidenti della repubblica e imponendo elezioni politiche per questo dicembre
'05- prima alla privatizzazione dell'acqua e poi a quella del
gas naturale, svenduti da governi corrotti a multinazionali
europee e americane.Evo Morales ed il MAS rappresentano -se sarà loro consentito dai poteri forti nazionali e stranieri- la possibilità di un'autodeterminazione politica, economica e socio culturale da troppo tempo negata.
L'altitudine, le polveri, gli angusti cunicoli, il lavoro duro,
mentre noi fatichiamo a respirare o a spingerci nei budelli dove si scavano, seguendo le vene dei minerali, i fori per
collocare l'esplosivo…tutto questo ci fa uscire sconvolti
e provati, più a livello psicologico e sociale che fisico. La
montagna che ha fatto le fortune della Spagna e dell'Europa a partire dal XVI secolo continua a mietere vittime,
sudore e sangue. La maggior parte dei minatori continua
a morire di silicosi se non è stroncata prima da incidenti,
crolli o esplosioni nei tunnel.
Usciti dalla miniera ci perdiamo nella città di Potosì, la città più alta del mondo, che a metà del 1600 aveva 36 case
da gioco, 120 scuole di danza per imparare a ballare e altrettanti bordelli, questa città dalla ricchezza leggendaria
tanto che Cervantes metterà in bocca al suo Quijote “vale un Potosì” per indicare qualcosa dal valore inestimabile.
Scarichiamo il senso di compressione e la claustrofobia
repressa tra i vicoli e le chiese barocche,la cattedrale,san
Francesco e santa Teresa, il quartiere dietro la piazza centrale, la calle Quijarro fino all'esquina de las cuatro portadas,mentre dall'ortogonale struttura viaria appare spesso come sfondo l'imponente Cerro Rico, che sovrasta la
città che è stata la capitale mondiale della plata. La giornata si conclude con la visita dell'imperdibile Casa Real de
la Moneda dove c'è la zecca, la storia della città, dell'argento boliviano, del conio e della sua lavorazione.
Bibliografia essenziale:
E. Galeano, Le vene aperte dell'America Latina, Sperling & Kupfer
A. Maspero, Bolivia, Dove leAnde incontrano l'Amazzonia, Polaris
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Le vene aperte del Potosi - Viaggi Avventure nel Mondo