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Ernst Hinrichs:
“ALLE ORIGINI DELL’ETÁ MODERNA”
PARTE PRIMA:
CARATTERI STRUTTURALI DELL’EUROPA PREINDUSTRIALE.
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Popolazione.
Nonostante l’età moderna, come la precedente età medievale, appartenga di fatto
all’area “prestatistica” della storia dell’umanità, in merito ai progressi compiuti
dalla demografia storica, è possibile disporre di una quantità di dati sostanzialmente
attendibili la cui utilità, nel tentativo di ricostruire i trends della popolazione europea
tra XI e XIX secolo, resta indubbia.
Oltretutto è fuori discussione che il graduale diffondersi di metodi statistici sia
proprio un fenomeno tipico dell’età moderna, che dal sociologo Max Weber in poi
assume la denominazione di “razionalizzazione”.
Per quanto concerne la popolazione, questi sforzi protostatistici si concentrarono
nel censimento dei fuochi (così chiamato perché libro poggiava la propria
organizzazione sulle unità abitative, i focolari) e, più tardi, in quello degli abitanti.
L’Italia a questo proposito fu senz’altro all’avanguardia; le “grandi potenze”
europee ne seguirono l’esempio.
Una rappresentazione grossolana delle fluttuazioni di lunga durata concernenti
alcune importanti popolazioni d’Europa tra 1100 e 1800, pone in evidenza, da una
parte la ripida discesa alla metà del XIV secolo, dovuta, a partire dal 1348 alla
cosiddetta “peste nera”, e dall’altra il balzo verificatosi a partire dalla metà del
XVIII secolo, e prolungatosi fino al XIX.
Degno di nota il fatto che dal 1470-80 circa fino al 1620, si registri una fase molto
lunga di incremento costante, che si fa intenso alla fine del XVI secolo, con
l’eccezione evidente della Germania, teatro principale della Guerra dei Trent’anni.
Da quando lo sviluppo demografico europeo è venuto delineandosi secondo questi
dati, gli storici-demografi non cessano di porsi degli interrogativi. Da cosa è dipeso
il fatto che le popolazioni europee, dopo la peste del ‘300, si siano avvicendante ad
un incremento così lento nonostante il favore delle condizioni interne? Perché
l’incessante aumento del “lungo XVI secolo” fu seguito da una fase di stagnazione
tanto durevole? Per quali ragioni a partire dal XVIII secolo si verificò un incremento
le cui proporzioni non avevano, fino ad allora, conosciuto eguali?
Già il noto economista e teorico della popolazione Thomas Malthus
(1766-1834) aveva cercato delle risposte ai suddetti interrogativi. Egli sostenne come
ogni popolazione tendesse ad aumentare, secondo il suo istinto di procreazione, in
progressione geometrica (2, 4, 8, 16, 32, 64…) mentre le sue disponibilità
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alimentari, viceversa, si accrescessero in progressione aritmetica (2, 4, 6, 8, 10,
12…).
Per questo motivo, una data popolazione avrebbe dovuto necessariamente giungere,
nel tempo, ai limite delle proprie risorse alimentari. Esistono tuttavia, dice Malthus,
una serie di catastrofi esterne, i cosiddetti checks “repressivi”, che, distruggendo una
parte della popolazione, ristabiliscono l’equilibrio, a meno che non siano state
precedentemente applicate determinate misure di regolamentazione preventiva che
impediscano l’avvento di tali calamità. Malthus fu contestato fin dal principio, e lo è
senz’altro ancora oggi, ma certamente non si era sbagliato sostenendo che nella
storia demografica siano esistite delle “regolarità”, una delle quali consiste nel fatto
che ogni popolazione, malgrado il suo istinto di procreazione, è in grado di adattare
il proprio sviluppo alle condizioni dell’ambiente.
A seguito di numerosi studi, condotti in primo luogo sui registri parrocchiali dei
battesimi, dei matrimoni e delle morti di molti paesi europei, si è giunti dunque
all’idea secondo la quale l’andamento demografico abbia obbedito alle regole di un
sistema correlato alle condizioni ambientali, ed in particolare ai mezzi di sussistenza
ed al grado di sviluppo della società materiale. Tale sistema di
autoregolamentazione, che di fatto ha consentito alle società europee di prevenire le
conseguenze dei checks “repressivi” malthusiani, definito da A. Wrigley “sistema del
feed-back negativo”, poggiava su una serie di elementi.
Esisteva innanzitutto una condizione ineludibile per la fondazione di una famiglia,
e dunque per la procreazione legittima: l’esistenza di un posto di lavoro che fornisse
garanzie sufficienti di sussistenza, ossia un podere od una bottega artigiana. Si tratta
di una norma alla quale era dato sottrarsi solo alle classi superiori nobili o borghesi.
Dove vigeva il diritto ereditario, che privilegiava un unico erede, accadeva che gli
altri figli dovessero procurarsi da vivere fuori dall’azienda paterna. Nelle zone in cui
valeva invece la “divisione libera” delle aziende agricole, se è vero che in caso di
successione vi fosse un margine maggiore, è altrettanto scontato che esistessero dei
limiti oltre i quali le nuove dimensioni ridotte del podere non garantivano più la
sussistenza di una famiglia contadina.
Un grafico fornito da P. Chaunu mostra come l’età da matrimonio di uomini e
donne di un piccolo villaggio normanno per un lungo periodo del XVIII secolo, sia
rimasta compresa tra i 25 e i 30 anni. Ciò pone in luce un altro aspetto
fondamentale del sistema di autoregolamentazione adottato dalle società europee
preindustriali: la prassi del “matrimonio tardivo”, nel quale certamente esse
individuarono il solo metodo efficace per mantenere l’equilibrio tra le parti nubili
della popolazione e i posti di lavoro disponibili. Emerge un importante dato
storico-sociale: le popolazioni europee rurali ed urbane praticavano di fatto una vera
e propria pianificazione familiare. Nella formula di P. Chaunu “la pratica del
matrimonio tardivo predominante nelle famiglie non eccezionalmente agiate era il mezzo
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specifico di controllo delle nascite nell’Europa dell’ancien régime”. Dupâquier ha
giustamente modificato la formula, sostituendo all’espressione “matrimonio tardivo”
quella di “celibato forzato temporaneo”, giacché non si trattava di un atto volontario
bensì di una necessità imposta da circostanze esterne.
Di fatto la prassi del matrimonio tardivo non fu applicata ovunque negli stessi
termini e nella medesima misura. Oltretutto occorre considerare che la storia
demografica dell’età moderna fu caratterizzata da veri e propri fenomeni di
mortalità cicliche. In particolare la morte assunse gli aspetti di fame, epidemia e
guerra.
Tra il 1600 e il 1750 le crisi agricole e le carestie che seguivano i cattivi raccolti
ebbero riflessi decisivi sulle popolazioni europee e, insieme al matrimonio tardivo,
dettero luogo ad un processo che rivela il carattere sistemico della storia
demografica dell’età moderna.
È a P. Goubert, maestro della demografia francese, che dobbiamo le analisi
condotte sulle mortalità cicliche caratteristiche del periodo storico in questione. Si
tratta di quelle che egli stesso denominò “crisi demografiche di vecchio tipo”, in
quanto strettamente connesse alle “crisi agrarie di vecchio tipo”.
Più
specificatamente, sostenne Goubert, ad intervalli regolari di 10, 15 o 20 anni, in
molte zone urbane e rurali d’Europa, a causa di fattori climatici quali il gelo, la
pioggia o la grandine, si verificavano cattivi raccolti e il prezzo degli alimenti di
base, in primo luogo dei grani, salivano alle stelle. In questo contesto la morte per
fame aggrediva le popolazioni e i fattori patogeni prosperavano. Insieme ai prezzi
dei grani dunque ascendevano l’indice di mortalità; il numero dei matrimoni di
contro regrediva, quello dei battesimi arretrava a sua volta.
Gli storici hanno poi riscontrato nelle popolazioni in età preindustriale, una serie di
mutamenti di ritmo diametralmente opposti una volta conclusasi la crisi: aumento
della fecondità matrimoniale, riduzione del celibato definitivo, aumento dei
matrimoni e boom delle nascite.
È lecito domandarsi per quanto tempo tale sistema di autoregolamentazione sia
stato applicato, e in particolare se lo fosse ancora quando, alla metà del XVIII
secolo, ebbe inizio in tutta Europa un incremento demografico di vastissime
proporzioni. La ricerca non ha ancora fornito risposte convincenti in proposito.
Per lungo tempo si è cercato di spiegare tale incremento come il risultato delle
migliorante condizioni alimentari ed igieniche, oltre che dell’assistenza sanitaria.
Tuttavia i progressi igienico-sanitari restarono modesti fino all’inizio del XIX
secolo. Quanto ai progressi dell’agricoltura, non c’è dubbio che nel ‘700 furono
immensi, anche se in nessun paese, salvo l’Inghilterra, assunsero proporzioni tali da
giustificare il giudizio di quegli storici che in passato vi hanno ravvisato una
“rivoluzione agraria”. Oltretutto i riscontri empirici mostrano che si trattò di una
conseguenza, e non di una causa della crescita demografica: con l’aumento della
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domanda e col rialzo dei prezzi infatti aumentarono, di riflesso, anche le iniziative
in campo agricolo: i signori fondiari rischiavano innovazioni tecniche e dissodavano
terre incolte quando il mercato prometteva introiti adeguati.
Insomma la “crisi agraria di vecchio tipo” perdura in Europa nel XVIII secolo – lo
dimostra chiaramente la grande carestia che tra 1740 e 1741 afflisse buona parte del
continente – e tuttavia i dati in nostro possesso attestano che ad essa non faceva
più seguito una mortalità di massa, come avveniva nei secoli precedenti. Come si
giunse a ciò? Si può senz’altro ammettere un’influenza delle migliorate condizioni
igienico-sanitarie, e così pure delle riforme agrarie. Alcuni storici hanno tenuto
altresì conto del clima, di qualche grado più caldo, che caratterizzò l’epoca
dell’illuminismo rispetto alla “piccola era glaciale” di Luigi XIV.
Ora non vi è dubbio che il sistema demografico preindustriale avrebbe dovuto
reagire al mutato andamento della mortalità, e dunque alla minaccia di
un’esplosione demografica, con ulteriori restrizioni della fecondità generale,
alzando ancora l’età del matrimonio. Ma la crescita costante della popolazione
mostra che ciò non avvenne. Perché?
A prescindere dai pur influenti tentativi di “politica di popolamento” intrapresi
dagli stati assolutistici, ebbe in ciò un peso determinante il processo di espansione
degli addetti all’industria domestica, la cui attività trascendeva la situazione e le
condizioni della produzione contadina.
Il lavoro a domicilio “protoindustriale”, con la sua economia familiare orientata al
guadagno monetario, esisteva già nel ‘600 ma si diffuse soprattutto nel secolo
successivo. Esso rese possibili, ed anzi presuppose necessariamente, il matrimonio
precoce e la prole numerosa.
Sembra però che anche le regioni in cui non si era verificata la suddetta
concentrazione protoindustriale, abbiano contribuito all’eliminazione del vecchio
sistema demografico. Anche tra gli strati inferiori rurali e urbani aumentarono i
matrimoni e si incrementarono le nascite: quando il salario del bracciante non era
più sufficiente e non poteva essere arrotondato con l’espediente protoindustriale, il
“piccolo contadino” si arrangiava col lavoro stagionale, si spostava da una regione
all’altra, si imbarcava.
Ovunque il ‘700 fu il secolo della crescita smisurata di questi strati inferiori rurali e
cittadini. Avendo scalzato dal basso il vecchio sistema demografico, queste fasce
della popolazione avrebbero costituito una vera e propria minaccia per l’intera
compagine sociale della vecchia Europa.
La famiglia.
Si è detto che l’elemento governante del processo di riproduzione umana in età
preindustriale consistette nell’offerta di lavoro. Solo l’effettiva possibilità di
occupazione conduceva alla fondazione di una famiglia; e solo la famiglia era
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l’elemento centrale e decisivo dello sviluppo demografico.
È certo che, sia nell’agricoltura sia nelle attività cittadine, durante l’era
preindustriale i posti di lavoro fossero “beni scarsi”. In particolare l’occupazione
agricola era limitata dalla grande proprietà demaniale – del clero, della nobiltà, della
borghesia e dei contadini agiati. A restringere l’occupazione urbana provvedevano
invece tanto la limitata domanda di manufatti quanto il rigore delle corporazioni,
che ostacolavano l’apertura di nuove aziende.
D’altro canto anche le attività agricola ed artigiana dipendevano dall’esistenza o
meno di un nucleo familiare, il quale si configurava come luogo centrale
della produzione e del lavoro.
Sicché è possibile affermare che il lavoro fosse il presupposto della famiglia e
contemporaneamente la famiglia fosse il presupposto del lavoro.
Ma cos’era la famiglia nell’Europa preindustriale e in cosa differiva dalla famiglia
attuale?
Oggi vige l’abitudine di intendere la famiglia quale sistema di rapporti di parentela
ma nel periodo considerato, era la funzione assunta da un individuo nel quadro
dell’organizzazione del lavoro a stabilirne l’appartenenza alla famiglia.
Ciò non significa che i rapporti di parentela non avessero alcun peso in ambito
familiare. Lo dimostrano ampiamente le questioni inerenti all’eredità. Nel caso del
diritto di successione della proprietà fondiaria l’erede unico godeva di una posizione
chiaramente privilegiata rispetto agli altri membri della comunità domestica. Nel
caso invece della “divisione libera” (o “reale”) della proprietà contadina, il criterio
della sistemazione di tutti i discendenti prevaleva su quello della tutela delle
dimensioni della proprietà.
In definitiva, in età preindustriale il concetto di famiglia implicava l’esistenza di una
associazione di persone capeggiata dal pater familias, che
vivevano
sotto
uno
stesso
tetto
ed
assolvevano
determinati compiti di produzione agricola od artigiana.
La pluralità di funzioni assunte da una famiglia così intesa emerge chiaramente
considerando la molteplicità dei ruolo che vi erano rappresentati.
1) Pater familias: si tratta del capofamiglia; il marito ed il padre carnale. Ma
laddove di produceva e si organizzava il lavoro egli era soprattutto signore,
capo della gestione economica. Egli detiene una posizione di potere assoluto;
è il proprietario di ogni bene mobile ed immobile; decide in merito al
matrimonio di figli e figlie. Come signore della propria casa il capofamiglia la
rappresenta anche fuori, in città nelle organizzazioni corporative, e in
campagna nella comunità contadina. La centralità del suo ruolo è attestata
dal fatto che il suo posto non poteva restare a lungo vacante: in caso di morte
infatti gli subentrava immediatamente l’erede.
2) Padrona di casa: le sue mansioni sono prevalentemente connesse
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all’allevamento dei figli carnali ma si estendono altresì alla gestione
complessiva della casa, dunque alla cura del benessere di tutti i componenti
della famiglia coinvolti nel processo produttivo. Anche il suo ruolo non
poteva restare vacante. Per questa ragione in caso di vedovanza del pater
familias faceva seguito quasi sempre un secondo matrimonio. Nel quadro della
divisione dei ruoli presso una casa contadina, la sua sorte è indubbiamente la
più dura. Al mattino è la prima ad alzarsi ed alla sera è l’ultima ad andare a
dormire; prepara i pasti per gli altri membri del nucleo e li serve senza sedersi
a tavola; sta in piedi dietro alla sedia del marito e padrone e ne attende gli
ordini.
Figli: non è sempre chiaro se tutti coloro che nel contesto di una famiglia
preindustriale risultano tali sono anche discendenti carnali del pater familias.
Due dati di fatto ne caratterizzano i ruoli: che tra loro venisse designato il
futuro capofamiglia e che essi costituissero forza-lavoro nell’ambito della
produzione. I bambini assumevano la funzione di manodopera fin dai più
teneri anni. A 7 o 8 anni erano già in grado di rendersi utili ed a 11 o 12
generalmente avevano già acquisito una certa esperienza.
Servitù: di fatto essa risulta pienamente integrata nella “casa”. Scopi
principali della vita per coloro che la costituiscono, sono il conseguimento
dell’esercizio di un lavoro autonomo e la relativa conquista di una propria
abitazione. In caso tale aspirazione fallisca, la servitù si piega al celibato
perpetuo ed alla vita presso il padrone, salvo il caso in cui lo stesso pater
familias gli consenta di metter su famiglia.
Coabitanti: si distinguono dalla servitù per il solo fatto che il padrone ha
concesso loro di dar luogo ad una propria famiglia che ha accolto sotto il suo
tetto.
Usufruttuari di un vitalizio: si tratta nella maggior parte dei casi
dei genitori e/o suoceri del pater familias, il quale a mezzo di un contratto
stabilisce accordi concernenti le prestazioni in denaro e in natura, lo spazio
abitativo e i servizi concessigli.
Quanto alle dimensioni e alle strutture caratterizzanti il nucleo familiare
preindustriale, la teoria della “grande famiglia” formulata di G. Le Play e W. H.
Riehl, è stata oggi ampiamente contraddetta: nell’Europa preindustriale non ne
esistevano i presupposti né demografici né giuridico-economico-sociali.
1 Exp. È probabile che un contadino entrasse in possesso del suo fondo di 15 o
20 ettari solo dopo la morte del padre, magari all’età di trent’anni. Solo allora
si sposava e la moglie gli partoriva dai 6 ai 10 figli. Considerata la mortalità
infantile, elevatissima in caso di crisi, è probabile che egli perdesse anzitempo
dai 2 ai 4 eredi. Ammettendo l’esistenza di un garzone ed una serva, la
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dimensione numerica della sua famiglia si attestava così tra gli 8 o 12
componenti.
Anche dal punto di vista delle generazioni che accoglieva, la famiglia allargata
preindustriale non era ampia. Era di solito un’eccezione che in essa ne convivessero
più di due. La prassi del “matrimonio tardivo” infatti comportava che il padre fosse
già avanti con gli anni quando l’erede entrava nell’età adulta.
Sull’ampiezza delle comunità domestiche preindustriali influivano infine in misura
molto considerevole i condizionamenti attinenti alla storia della proprietà fondiaria
e dell’insediamento: nei casolari isolati e distanti tra loro – come nel caso dei polder
della Germania settentrionale – le convivenze erano più estese che non nelle piccole
tenute dell’interno, le quali facevano capo al villaggio.
Quale parte prendessero i sentimenti in seno alle famiglie preindustriali è argomento
tuttora vivacemente dibattuto dagli storici. Le più recenti ricerche hanno attestato
che i primi espliciti segni di una sensibilizzazione dei rapporti interfamiliari
risalgono al XVIII secolo inoltrato. Prima di allora le relazioni affettive tra i membri
del nucleo erano in tutto determinate dall’organizzazione del lavoro: eventi quali
nozze, procreazione, parti, battesimi, erano rigorosamente subordinati alle
decorrenze lavorative.
Quanto all’ambito della riproduzione biologica in età moderna, lo storico E. Shorter
ne ha tracciato un quadro quanto mai fosco. Egli insiste sull’opprimente situazione
di ristrettezza in cui la famiglia contadina e piccolo-borghese del XVII e XVIII
secolo conduceva la propria vita. Prende inoltre le mosse dalle condizioni abitative,
che quanto più si scendeva nella scala sociale, tanto minor spazio offrivano
all’intimità familiare ed alla libertà individuale. E cosi pure è indubbio che l’uomo
comune della società europea preindustriale dovesse vivere e sopravvivere in
condizioni igieniche e sanitarie tutt’altro che rassicuranti. Non indifferenti erano poi
le problematiche inerenti all’alimentazione. Con la caduta dei salari reali, iniziata
nel XVI secolo, al modello di alimentazione carnea del tardo medioevo, si sostituì
un sistema di approvvigionamento fondato sui cereali, una vivanda troppo
unilaterale per non dar luogo, malgrado l’assuefazione, a fenomeni di carenza.
Dalle lezioni del prof. Longhitano  Esistono tre tipologie di organizzazione
familiare vigenti in Europa antecedentemente allo sviluppo industriale:

Famiglia ceppo: maggiormente diffusa in Germania. Il
capofamiglia nomina un solo erede tra i figli. Si tratta di
un’organizzazione composita poiché all’interno di una singola abitazione
si stanziano tre generazioni: il pater familias, la moglie, l’erede prescelto
con la consorte e la prole.

Famiglia nucleare: ogni figlio crea la propria famiglia.
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1. la corte d
Risposta:
La corte (o, in alcuni paesi, tribunale) dei conti è un organo dello Stato, presente in vari ordinamenti, con
funzioni giurisdizionali e amministrative di controllo in materia di entrate e spese pubbliche.La corte dei conti
è solitamente prevista dalla costituzione ed appartiene al potere giudiziario, anche se, come si è detto, è
investita tanto di funzioni giurisdizionali (giurisdizione contabile), in relazione alle quali è giudice speciale,
quanto di funzioni amministrative di controllo.
È un organo collegiale o un organo complesso costituito da una pluralità di organi collegiali (sezioni, camere
ecc.), composto da magistrati contabili con uno status differenziato rispetto ai magistrati che compongono gli
organi della giurisdizione ordinaria. In certi ordinamenti ha un pubblico ministero, che può essere interno alla
corte stessa (come i
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2. perchè H3O+ è pi
Risposta:
H3O+ è l'acido coniugato di H2O
mentre
NH4+ è la base coniugata di NH3
sappiamo che tanto più forte è una base tanto più debole è il suo acido coniugato, per cui se è vero che
H3O+ è più acido di NH4+, allora deve esser
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