Il XII secolo e la città comunale in
Italia
.
Cartina 1
Cartina 2 (Italia 1300)
Cartina 2 bis (Italia 1300)
Cartina 3 (Italia 1450 c.)
Città, comuni, signorie
• La città come problema storiografico
• Oggi: oltre il 50% della popolazione mondiale vive in città
(66% entro il 2030)
• P. Bairoch, Storia della città, Jaca Book, Milano 1992
• L. Mumford, Le città nella storia (1955)
• M. Weber, La città (1921), e la specificità della città
occidentale
• Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P.
Rossi, Torino 1987,
• Fine “del ciclo storico delle città”? La città “svanisce”
nello Stato”? identificare piuttosto i modelli di città
storicamente verificabili, ed
.
• La città europea come elemento di
periodizzazione (Berengo, L’Europa delle
città. XII-XVIII secolo, Einaudi, Torino
1999
• La ripresa urbana del XI-XII secolo
• La città comunale italiana come
“laboratorio” della politica occidentale
• È un tema storiografico che diventa un
mito….
… nella cultura liberale europea dell’età
della Restaurazione (Jean Baptiste de
Sismondi, Histoire des républiques
italiennes)
… nel Risorgimento italiano (Berchet,
Manzoni, Guerrazzi…)
… che viene valorizzata nella lettura di Marx
della storia economica dell’Occidente
… Cattaneo e «Le città come principio
ideale della storia d’Italia»
Città, comuni, signorie
• L’ambiguo rapporto tra “città” e “stato”: il
superamento del particolarismo cittadino
nell’unità della nazione (Francia,
Inghilterra, Spagna)
• Il ruolo della città capitale
• La città come luogo della modernità e
dell’innovazione politica ed economica
• Ma anche la città come luogo della rendita
fondiaria
• In effetti in Italia è presente anche un’altra tradizione storiografica,
per certi aspetti “anti-urbana”
• Philip Jones e il “mito della borghesia”
• il connotato specifico delle città italiane non sarebbe stato affatto il
loro carattere ‘borghese’ e mercantile, perché a suo avviso questo
era riscontrabile chiaramente anche in altre città europee
• mentre l’ethos urbano prevalente avrebbe lasciato ampio spazio ai
motivi cavallereschi e nobiliari.
• largo spazio lasciato in città appunto ai milites, alle famiglie con
tradizione militare spesso relegate nei castelli di campagna e ora,
con lo sviluppo del 1100 e 1200, attirati con le buone o con le cattive
in città e costretti a condividerne l’avventura.
Città comuni signorie
•
•
Il controverso mito del comune
Comune e “democrazia”
Comune e “italianità”
Il problema dello stato e dell’unificazione nella
storiografia italiana
• Il passato comunale, campanilistico, sembrava spiegare
la mancata unificazione nazionale e la nostra
insuperabile lontananza quindi dal modello trionfante
destinato a rimanere inavvicinabile: quello dello Stato
nazionale nel modello incarnato dalla Francia e
dall’Inghilterra.
•
.
• L’Italia post-carolingia, a differenza del
resto dell’Europa e con l’eccezione del
Friuli e del Piemonte, e del Trentino, non
ha prodotto principati territoriali.
.
• «Commune»: cosa significa?
• Generale «principio associativo» che si
riscontra in tutte le articolazioni delle
società occidentali dal XI secolo in poi
- Rustici, Clero, Nobili
- Docenti, studenti: universitas
.
• Per tutta l’Europa si può parlare di comuni
cittadini,
• ma solo per l’Italia e, in parte, per la Francia
meridionale si può parlare di città-Stato. C’è una
radicale differenza di «cultura politica»
• I cives di questi comuni non si accontentavano
dell’autonomia entro le proprie mura (come le
città imperiali tedesche o i grandi comuni
borghesi delle Fiandre), ma assoggettavano in
modo più o meno ampio il contado circostante,
di cui il comune diventava signore collettivo.
.
• Tra la fine del secolo XI e la prima metà
del XII tra i dirigenti comunali si sviluppò la
coscienza del loro essere potere pubblico
e legittimo per eccellenza.
• Ma anche nell’alto e nel pieno medioevo la
città italiana aveva mantenuto una
«immagine» di sede del potere pubblico
.
prestigio delle sedi urbane era forte anche
• Il
nell’alto medioevo:
• lo determinavano la tradizione di centralità
ereditata dal mondo antico
• la vivacità economica dei ceti urbani mercantili
e finanziari,
• il carisma delle autorità vescovili presenti nelle
città (civitas era appunto il centro abitato con
un suo vescovo).
• In città troviamo i duchi longobardi e i conti
franchi; nelle città cercavano di imperniare il loro
potere (più spesso di quanto un tempo si
pensasse) le stesse dinastie principesche e
signorili di età post-carolingia;
Il ruolo decisivo della cultura cittadina e della
autocoscienza civica
• E a ciò contribuì la cultura: molti dei primi
consoli erano giudici e notai, che
accelerarono la valorizzazione del comune
come res publica.
• In molti casi, addirittura, i comuni si
appiglieranno al ricordo del comitato
carolingio, rivendicando il diritto di
governarlo tutto come legittimi governatori
collettivi al posto dell’antico conte:
.
• i giuristi definiscono questo come «diritto di
comitatinanza».
• La stessa parola «contado» (da comitatus,
appunto), per indicare la regione condizionata
dal comune, deriva da quella concezione
pubblica del potere comunale sulle campagne.
.
• Ma prima guardiamo fuori della finestra
italiana.
.Un’Europa ‘rurale’
• L’anima «rurale» dell’Europa transalpina
• I grandi latifondi, le armi, il potere sulle
campagne hanno dettato le regole per quasi
tutto il medioevo: suggerendo gerarchie sociali e
fissando i modi della politica.
• Il mondo cavalleresco, la cultura cavalleresca di
origine francese è “rurale” (anche nelle sue
componenti letterarie)
.
• In gran parte della Francia, il passaggio
dall’XI al XII secolo è segnato dalla
«dislocazione cavalleresca»: il potere
signorile assume una dimensione locale in
seguito alla frantumazione di vasti distretti
signorili – le castellanie – ad opera dello
strato inferiore dell’aristocrazia. Il processo
non è uniforme.
.
• Esso si manifesta in forme accentuate
nelle regioni meridionali (Mâconnais,
Linguadoca e Provenza), mentre nel nord
(Normandia e contea delle Fiandre)
permane una forte autorità comitale e
situazioni intermedie possono essere
ravvisate nel bacino della Loira
Diversa la situazione in Germania
.
• nei territori della Germania permane, dopo
il Mille, un gruppo ristretto di principi di
altissimo rango sociale, dei quali
l’imperatore stesso deve tener conto
nell’esercizio del suo potere.
• aristocrazia maggiore, che in epoca postcarolingia era alla guida di ducati
(Stammesherzogtum),
• dall’XI secolo sempre più si afferma il
fenomeno della promozione di individui di
condizione servile a responsabilità militari
e politiche: i ministeriales, reclutati nella
familia del signore, vengono a costituire
un’aristocrazia di rango inferiore ma di
grande importanza, che può disporre di
allodi e feudi trasmissibili ereditariamente.
.
• Il processo continua e diventa ancor più
evidente nel XII secolo: Federico I impiega
ministeriali per controllare alcune zone del
regnum teutonicum, e il figlio, Enrico VI, fa
di un ministeriale il suo rappresentante nel
regno italico
Un’Italia cittadina
•
.
Cruciale per capire le origini del comune è
comprendere il rapporto tra aristocrazia e
vescovi nelle città italiane.
• Nell’Italia padana l’aristocrazia presenta
connotazioni particolari. Tra X e XI secolo i
vescovi (vescovi-conti?) concedono in
beneficio a famiglie che per tradizione
appartenevano
• alla loro vassallità e a quella dei re, vari
diritti.
.
• , il controllo di pievi – chiese rurali, dotate
di fonte battesimale –, di fatto dei loro
patrimoni, e di decime – le quote dei
prodotti del lavoro destinate alle chiese
• Il controllo di dazi delle porte
• Castelli nel territorio
.
• Queste famiglie, rafforzate nelle basi del
loro potere, a loro volta costituiscono e
legano a sé con il vassallaggio una minore
aristocrazia, fornita di terre in ambiti
geografici ristretti.
-
• Le preminenze sociali visibili nelle
campagne si proiettano sul mondo
delle città, dove nell’XI secolo la nobiltà
possiede dimore e capacità di influenza e
consiglio presso il vescovo. Qui, tra XI e
XII secolo per questa nobiltà si creano le
condizioni per nuove forme di azione
politica. La lotta tra Chiesa e impero per il
controllo delle elezioni episcopali pone
frequentemente in crisi il potere di chi
tradizionalmente governa la città, vescovo
o ufficiale del regno.
.
• In tale contesto, in occasione di vuoti
politici o semplicemente in conseguenza di
un accresciuto prestigio sociale, uomini
che erano abituati a riunirsi nella curia del
vescovo promuovono nuovi organismi di
governo urbano.
• Il duplice significato della parola ‘curia’
• Curia vassallorum
,
• I comuni, pur presentandosi nei documenti
quale espressione della volontà e degli
interessi di tutta la collettività cittadina, per
gran parte del XII secolo sono lo
strumento con cui l’aristocrazia signorile,
dai caratteri insieme cittadini e rurali, si
garantisce l’egemonia in città in
sostituzione della precedente autorità
dell’ufficiale regio, spesso il vescovo.
.
• Solo in Italia interscambio fitto tra
campagna e città.
Anche le famiglie dell’aristocrazia rurale
usavano sempre le città come propri punti di
riferimento: la città era il mercato, il luogo
d’inurbamento delle famiglie aristocratiche,
la sede in cui si diventava vassalli del
vescovo.
•
.
• Il duplice livello della nobiltà non è
caratteristico del mondo rurale:
aristocrazia maggiore e minore si ritrovano
in città, nella curia di quel vescovo dalle
cui terre derivano gran parte delle loro
capacità di dominio. Alla fine dell’XI secolo
la divisione tra i due livelli appare chiara e
fissata in precise categorie di ceto: i
capitanei sovrastano i valvassores, mentre
entrambi i gruppi si distinguono dai rustici
nelle campagne, e dai restanti cives nelle
città.
.
• Allora è del tutto falso lo ‘schema’ del
«comune borghese», eversore della
feudalità?
•
.
Non si può dare una spiegazione tutta «borghese-
mercantile» delle origini dei comuni italiani perché
contrasterebbe con i casi, tutt’altro che rari, in cui il
ceto promotore dell’organismo comunale era stata
l’aristocrazia:
• è frequente che l’iniziativa sia dovuta alla clientela
vassallatica di vescovi potenti, una clientela quasi
sempre reclutata tra i maggiori milites del contado.
• Non si deve tuttavia operare un rovesciamento
completo, e non si deve generalizzare una teoria
«signorile» delle origini comunali: è giusto dare rilievo
agli elementi di continuità fra l’esperienza dei comuni e
le gerarchie sociali precedenti, ma si deve soprattutto
prendere atto che le origini dei diversi comuni possono
avere i caratteri più disparati, sia per i tempi e i modi di
formazione, sia per i tipi di gruppi sociali che ne furono
interpreti.
.
• Ciò consente di evitare inoltre il continuo errato
ricorso a scansioni nette, che postulano un
ricambio sociale anche quando non c’è: nel
delineare il passaggio dall’«età feudale» all’«età
comunale» si immaginavano accelerazioni forti
di un progresso fatale e unidirezionale (la storia
non è mai così) di cui si riconoscevano, al
massimo, possibili rallentamenti.
• In Italia il gruppo di famiglie che aveva dato
origine al comune poteva essere aristocratico o
borghese: ma in entrambi i casi aveva dato
luogo a nuclei politici di grande forza propulsiva.
•
.
La convivenza urbana, poi, filtrava e riproiettava
all’esterno esperienze rivisitate nella convivenza entro le
mura di ceti diversi e modelli politico-sociali diversi,
anche se di antica provenienza rurale.
• L’innovazione, insomma, aveva nella città il centro
propulsore, ma quell’innovazione rielaborava materiali
che erano pur sempre quelli – decisivi per il millennio
medievale in Europa – dell’incontro latino-germanico.
• I successivi sviluppi politici dei singoli comuni erano
evidentemente condizionati dalle loro diverse origini, ma,
al tempo stesso è da notare che comuni diversi
produssero poi istituzioni simili: un bell’esempio di come
un’esperienza istituzionale uniforme possa avere per
protagonisti strati sociali differenti, indotti poi dalla
maturazione di quell’esperienza a comportamenti e a
scelte politiche assimilabili.
.Le novità del secolo XII
• L’innovazione è soprattutto “culturale”
(non si può mai distinguere e separare
l’evoluzione della mentalità da quella della
società: per spiegare le origini “culturali”
del comune cittadino dobbiamo partire
dalla storia della teologia”!)
.
• Impotenza della teologia e spiritualità
monastica di fronte al nuovo mondo
• Incapacità culturale da parte di persone
avvezze ad un mondo austero, stabile, di
cogliere il nuovo
• Ruperto di Deutz presenta lo sviluppo
urbano come una delle conseguenze del
peccato; le città sono il ricettacolo di infami
trafficanti e di vagabondi
• Guiberto di Nogent condanna senza
appello il mondo comunale (“comune
nomen novum et detestabile”)
• Il processo di desacralizzazione del
mondo iniziato con la riforma gregoriana
ha messo il germe dell’emancipazione
della società laica
• Paradossalmente, ciò accade nel
momento del massimo potere della chiesa
(Alessandro III, Innocenzo III)
,
•
•
•
•
Sul piano teologico.
la scuola di Chartres (Ivo di Chartres)
1120-1140
Concetto di creazione: Dio si è “ritirato” dopo la
creazione; ha lasciato che seguisse le sue
“regole”
• La creazione come «ordinata collezione di
creature» (Bernardo di Chartres), che non è
peccato voler conoscere
• «L’universo, lungi dall’essere un semplice
riflesso degradato delle sfere celesti, possiede
una propria realtà, che può divenire oggetto di
studi e di interpretazioni. Siamo alla fine del
mondo incantato» (A. Vauchez)..
.
• Opinioni, combattute (cfr. S. Bernardo, che
considera profanazione e presunzione
l’opera dei teologi che col solo intelletto
vogliono penetrare i misteri divini)
• creare un nuovo «equilibrio fra la natura e
la grazia» (Chenu)
• Le Goff, “Tempo della chiesa e tempo del
mercante”: una nuova idea, un nuovo
modo di concepire il tempo e lo spazio
• “L’invenzione del purgatorio”
.
• Salvezza individuale / mediazione
ecclesiastica
• Etica/profitto
• questioni del giusto prezzo
• prestito a interesse
• regolamentazione cristiana dei contratti
• condanna dell’usura
.
• Il mondo non è più una valle di lacrime
• La resistenza al male non implica più la fuga dal
mondo
• La vita monastica, in prospettiva, non è più
‘superiore’
• Conseguenze del dinamismo sociale
• alterarsi dell’omogeneità sociale del mondo
rurale
• estrema mobilità, ansia di spostamenti
• (pellegrinaggi, crociate, colonizzazioni, viaggi a
Roma....)
• la stabilitas monastica si perde
.
• Una nuova concezione del potere politico
nasce nel mondo urbano (italiano!)
• Quali erano le concezioni del passato?
• Richiamiamo brevemente:
.
• Nella versione tardoimperiale, il potere
politico istituzionale dell’impero romano si
presenta come un apparato autonomo dal
corpo della società: legislazione,
giurisdizione, burocrazia sono tutte nelle
mani dell’imperatore da cui discende ogni
funzione statale, mentre i «cittadini» sono
costretti nella posizione di sudditi senza
capacità di interferire con la gestione del
potere. L’autorità imperiale è considerata
sacra, sia nell’età pagana che in quella
cristiana.
•
.
La tradizione germanica è fondata sull’idea della
sovranità popolare, esercitata collettivamente da
tutti gli uomini liberi attraverso l’assemblea. Essi
affidavano a un re elettivo poteri di guida
essenzialmente militari, soggetti a verifica di
efficacia e a limiti di esercizio.
• Appena i regni r-b si consolidarono nel territorio
romano, il funzionamento regolare
dell’assemblea divenne difficile e praticamente
esso venne sostituito da un ristretto gruppo di
capi militari e titolari di giurisdizione, mentre i re
tendevano a imitare come potevano i caratteri
dell’autorità imperiale. Ma le intuizioni essenziali
della concezione germanica sopravvissero a
lungo nel medioevo.
.
• Il principio di autorità riceve un
consolidamento dall’idea biblica della
derivazione del potere da Dio (i sovrani
sono responsabili solo davanti a lui)
• Unzione, gestione simbolica del potere
• Ma ciò non scioglie imperatori e re da ogni
controllo: se la loro autorità è confermata
dalla grazia trasmessa dal sacramento ne
deriva che la chiesa deve esercitare su di
loro un controllo non solo in quanto fedeli
ma in quanto sovrani.
.
• Età carolingia: il controllo è esercitato non
dal corpo dello stato, ma dal clero come
entità autonoma, mediatore tra i re e i
soggetti
• Il sovrano deve esercitare il suo potere su
indicazione e sotto la guida del sacerdote.
.
• L’intreccio tra concezione germanica e
concezione “sacra” porta a conseguenze varie:
• - ceto laico di governo, aristocrazia che affianca i
re (fedeltà giurata) per la difesa e il governo
• è legittimo il rifiuto di fedeltà al re indegno o
infedele
• C) teorizzazioni autoritarie del XII secolo
(Federico Barbarossa, Enrico II, Ruggero II)
• Il re è soggetto alla legge che lui crea?
• Imperatore e re come lex animata. “Quod
principi placuit, legis habet vigorem”
,
• teorizzazioni derivanti dall’impianto feudale (ma
anche dalla rinascita della filosofia): il re è
subordinato alla legge intesa come principio
universale di equità, precedente o superiore alla
legislazione positiva
• Si recupera il concetto classico di tiranno
• Si ribadisce il diritto a rifiutare l’obbedienza al re
che si sottrae alla legalità. Ma rispetto al passato
il diritto di resistenza è esteso a tutti i sudditi (in
teoria…). John of Salisbury sostiene la legittimità
del tirannicidio
.
• Cosa succede nelle città comunali?
In queste società complesse e inquiete?
Con una antica tradizione alle spalle, con
gruppi sociali diversi (i vassalli del vescovo
portatori di una mentalità aristocratica, ma
anche la tradizione urbana antica, il
“senso” della civitas, e anche la presenza
di commercianti, di artigiani, ecc.)?
.
• INVECE, I COMUNI…..
• La fondazione di un nuovo modo di fare
politica
• Sismondi e la Storia delle repubbliche
italiane nel medioevo
• Il mito ottocentesco della città comunale
• Max Weber e il saggio sulla “Città”
.
• La de-magificazione, il disincantamento
del mondo (Weber)
• "Entzauberung",
• L'uomo progressivamente conquista spazi
di dominio e di conoscenza, prima con le
attività manuali e poi con la ragione,
attraverso le tappe di un processo di
demagificazione, cioè di razionalizzazione,
di considerazione e valutazione razionale
del mondo.
.
• Quali sono le caratteristiche del potere politico nella
città medievale? Si tratta di un potere….
-
delegato
collegiale
Rappresentativo
A tempo (non ereditario): torna la funzione
pubblica
- “Sindacabile”
- Mediato attraverso la scrittura (tecnicità /
regolarità). La “rivoluzione documentaria”
del secolo XII
…
COLLEGIALITA’
Le assemblee furono in vario modo espressive della collettività tutta, e
comunque con la tendenza a presentarsi come tali, rappresentative
del populus e della civitas come lo erano i consoli. Ma il ‘popolo’
poteva esser chiamato direttamente a ‘parlamento’ (concio, arengo),
ossia in piazza davanti alla cattedrale di solito mancando per tanto
tempo i palazzi ‘pubblici’, per approvare in modo corale una nomina;
ad esempio dei consoli da parte dei predecessori, o un evento
importante come la proclamazione di una guerra ecc. Si faceva con
un sì (sic, sic, o fiat, fiat, di solito), ossia con modalità che non
davano molte garanzie né di ponderatezza di giudizio né di reale
assenso, ma che comunque salvava il principio della titolarità
popolare del potere.
Il consolato
• La comparsa dei consoli come «certificato
di nascita» del comune cittadino
I CONSOLI
• I consoli sono di regola sottoposti non solo a decadenza
rapida secondo norme previste in anticipo (annuale,
semestrale; ma non mancano consoli “eletti per fare
quella determinata cosa”), ma soprattutto non consolidati
nei loro uffici con ricorrenze continue
• non è esclusa la comparsa anche di homines novi, degli
‘emergenti’ ammessi al più alto vertice cittadino del
consolato una volta resisi riconoscibili per il loro stile di
vita da parte del ceto eminente – quindi anche come
milites, pronti cioè a prestare servizio militare a cavallo
per la città.
Città comunali
• Di solito si parla per questo periodo di una
aristocrazia consolare, con ciò confermando o
introducendoci alla menzionata presunta
chiusura della vita politica.
• Ma forse non c’è una chiusura oligarchica del
gioco politico; tale, per intenderci, da escludere
una cittadinanza resa ‘suddita’ da scelte
inattaccabili e insindacabili prese in alto loco.
STATU NASCENTI
PROCESSO, NON EVENTO!!
Città comunali
• Non possiamo pensare alle città comunali
applicando ad esse gli schemi rigidi di età
posteriore. Le istituzioni sono in fase
incoativa: si stanno facendo e cercano
consensi sotto l’urgenza degli eventi. E
l’ottengono di regola.
.
• Dialettica tra “società” e “stato”
• Pregiudizio istituzionalistico della nostra
impostazione storico-culturale: pensiamo,
oggi, che “non si possa fare a meno” dello
Stato e di un potere organizzato. In realtà,
ci sono molte società che vivono “SENZA
STATO”
Città comunali
• Non è un ceto chiuso per tanta parte del secolo XII
quello che esprime i dirigenti detti consoli
• È uno strato ampio della popolazione: un 10, un 15%?
• Certo, devono essere tanti e dei notabili con un seguito
in città, con aderenti capaci di esercitare ascendente e
controllo nei vari quartieri, e capaci quindi di raccogliere
consensi e trasmettere decisioni e proposte.
• Altrimenti le adunate si trasformerebbero regolarmente
in sommosse, decretando dopo un certo tempo la fine
delle libertà cittadine, o (come a volte succede infatti)
situazioni di difficile controllo dell’ordine pubblico.
• E, soprattutto, non sarebbero state altrimenti possibili le
imprese belliche di cui si parla dai primi anni del 1000 in
poi.
Città comuni signorie
• I brevi dei consoli con i loro dettagliati obblighi ci
dicono di una cultura diffidente delle deleghe. I
giuramenti richiesti ai consoli richiedono il
rispetto di normative estremamente dettagliate e
continuamente riviste, ed esprimono pertanto
un’esigenza di porre limiti alla delega politica,
che ha momenti di approvazione assembleare,
ma anche tante decisioni importanti quotidiane
che investono tutti eppure prese nel chiuso di un
palazzo tra poche persone.
Città comunali
• Non c’è dubbio che per il 1100 l’impressione
offerta dalle fonti documentarie – di regola molto
rare per questo tempo in fatto di verbali o
comunque di testimonianze di deliberazioni
politiche – potrebbe essere di una vita politica
dominata da gruppi relativamente ristretti che ci
si presentano di regola con pratiche di
cooptazione negli uffici. La partecipazione della
cittadinanza sembra limitarsi appunto a quei rari
e corali fiat parlamentari.
Città comunali
• Eppure le disuguaglianze non dovevano tradursi
in disuguaglianza di fronte alla città, ad esempio
nell’accesso alla giustizia o nella tutela in caso
di lesione da parte di forestieri. La città che lotta
del 1100 si sente un unum corpus che sta
salvaguardando la posizione raggiunta o che si
sforza di migliorarla e in cui i vari elementi
(ordines) devono sentirsi solidali perché
cooperano verso un fine comune: la grandezza
della città come creazione comune e, quindi, il
suo onore.
Città comunali
• Nel giuramento dei consoli genovesi del
1143 c’è l’impegno (poi specificato nei
dettagli per i vari campi di operatività) a
operare per il bene del Comune e della
comunità per l’onore della chiesa locale
e della città, senza ledere i diritti di alcun
cittadino e di scegliere le decisioni
illuminati dalla giustizia secondo diritto (qui
chiamato ‘ragione’, come di solito in
queste fonti) e buona fede
Città comunali
• I ceti dirigenti delle città, non ristretti
quantitativamente di solito, né arroccati
nella difesa delle proprie posizioni non più
di ogni élite che ritiene di bene operare,
hanno saputo garantire l’honor civitatis,
cioè gli interessi locali nel modo più
globale, e quindi interpretare l’aspirazione
diffusa entro larghi strati della cittadinanza
oltreché i propri interessi di clan.
Città comunali
• .Questa più antica società comunale non è egualitaria
sul piano giuridico, politico e sociale ed è spesso scossa
dai conflitti di classe e da scontri tra i pochi ricchi e i tanti
‘mediocri’ (diremmo oggi medio e piccoli borghesi) o
‘poveri’.
• Tripartizione maiores, mediocres, minores
• Ma soprattutto è anche attraversata dalla fondamentale
divisione tra milites (combattenti a cavallo) e pedites
(fanti), che si traduceva in vantaggi concreti, in termini di
acquisizione di beni pubblici e di privilegi, per i primi
Città comunali
• E’ animata da una tensione collettiva che si è realizzata
nonostante (o forse anche proprio grazie a) la fluidità
degli schieramenti politici interni. La solidarietà cittadina
di fronte ai problemi posti dalle contingenze esterne era
forte anche perché non esistevano i partiti come noi li
concepiamo.
• Non si parla ancora di guelfi e di ghibellini, né di conflitto
tra nobiltà e ‘popolo’ (fino alla fine del 1100) perché, pur
con tutti gli squilibri socio-economici presenti in città,
siamo pur sempre di fronte a un ceto dirigente aperto e a
una cittadinanza fortemente coesa dal generale
successo della città, reale o auspicato, e dall’apertura
delle prospettive sociali ed economiche o dalle esigenze
della aggressione o della difesa militare dall’esterno, da
parte di altre città o dell’Impero.
Città comuni signorie
• Erano un collante forte le vittorie politiche
e i successi economici della città-Stato
che si affermava ovunque, ora contro
l’Impero e ora nonostante l’Impero, con il
suo aiuto indiretto, anche sui mercati
internazionali del grande commercio,
spesso grazie al nuovo rilievo anche
tributario del Papato rispetto alle chiese
locali.
Città comuni signorie
• Naturalmente non è possibile giudicare di esperienze
così variegate e distribuite nell’arco dei secoli in modo
sommario. Tra un’assemblea popolare davanti alla
cattedrale del 1100 e un consiglio comunale del tempo di
Dante, tanto per individuare un punto fermo, corrono due
secoli,
• una cosa sono questi primi tempi, quelli del 1100, detti
‘consolari’ dal nome dell’ufficio politico eminente, e quelli
successivi del Due-Trecento e oltre – e ci si limita
ovviamente alle sole città in cui c’è stata una
sopravvivenza del Comune indipendente, e quindi della
forma repubblicana.
Città comuni signorie
• Eppure le disuguaglianze NELLA SOCIETA’ non
dovevano tradursi in disuguaglianza di fronte
alla città, ad esempio nell’accesso alla giustizia
o nella tutela in caso di lesione da parte di
forestieri. La città che lotta del 1100 si sente un
unum corpus che sta salvaguardando la
posizione raggiunta o che si sforza di migliorarla
e in cui i vari elementi (ordines) devono sentirsi
solidali perché cooperano verso un fine comune:
la grandezza della città come creazione
comune e, quindi, il suo onore.
Città comuni signorie
• .Questa più antica società comunale non è egualitaria
sul piano giuridico, politico e sociale ed è spesso scossa
dai conflitti di classe e da scontri tra i pochi ricchi e i tanti
‘mediocri’ (diremmo oggi medio e piccoli borghesi) o
‘poveri’.
• Tripartizione maiores, mediocres, minores
• Ma soprattutto è anche attraversata dalla fondamentale
divisione tra milites (combattenti a cavallo) e pedites
(fanti), che si traduceva in vantaggi concreti, in termini di
acquisizione di beni pubblici e di privilegi, per i primi
Città comunali
• E’ animata da una tensione collettiva che si è realizzata
nonostante (o forse anche proprio grazie a) la fluidità
degli schieramenti politici interni. La solidarietà cittadina
di fronte ai problemi posti dalle contingenze esterne era
forte anche perché non esistevano i partiti come noi li
concepiamo. Non si parla ancora di guelfi e di ghibellini,
né di conflitto tra nobiltà e ‘popolo’ (fino alla fine del
1100) perché, pur con tutti gli squilibri socio-economici
presenti in città, siamo pur sempre di fronte a un ceto
dirigente aperto e a una cittadinanza fortemente coesa
dal generale successo della città, reale o auspicato, e
dall’apertura delle prospettive sociali ed economiche o
dalle esigenze della aggressione o della difesa militare
dall’esterno, da parte di altre città o dell’Impero.
Città e comuni
• Erano un collante forte le vittorie politiche
e i successi economici della città-Stato
che si affermava ovunque, ora contro
l’Impero e ora nonostante l’Impero, con il
suo aiuto indiretto, anche sui mercati
internazionali del grande commercio,
spesso grazie al nuovo rilievo anche
tributario del Papato rispetto alle chiese
locali.
.
• I ceti dirigenti delle città, non ristretti
quantitativamente di solito, né arroccati
nella difesa delle proprie posizioni non più
di ogni élite che ritiene di bene operare,
hanno saputo garantire l’honor civitatis,
cioè gli interessi locali nel modo più
globale, e quindi interpretare l’aspirazione
diffusa entro larghi strati della cittadinanza
oltreché i propri interessi di clan.
.
• A mercanti, finanzieri, imprenditori e
armatori navali, a questi sì si doveva la
magnifica crescita economica delle città
italiane dopo il Mille, ma quel che
rimaneva unico e che tanto le aveva
rafforzate conferendo loro una capacità
espansiva e aggressiva, era stato
l’apporto delle competenze militari
assicurate dai nobili di tradizione
cavalleresca
.
• Anche altri non diversamente da Jones hanno
sottolineato
• lo sfruttamento del contado
• le chiusure oligarchiche in città (Bertelli)
• In area anglosassone: “tradizione” repubblicana:
Skinner o Pocock sostengono con Rubinstein
per rivendicare le origini italiane e medievali del
repubblicanesimo moderno
.
• LA DOCUMENTAZIONE
• 'Italia centro-settentrionale terra di notariato. Il che è
compiutamente vero dal secolo XII, da quando cioè alle
scritture notarili è riconosciuta la publica fides
• A quel punto si affrontano due modi di attestazione
scritta degli atti di natura e con effetti giuridici: quello
cancelleresco, emanazione diretta (tramite un ufficio ad
hoc) di un'autorità sovrana; e quello notarile, nel quale
la funzione probatoria discende dalla persona del
redattore e convalidatore (investito di tale potere
dall'autorità, il che è qui irrilevante). I due tipi ottengono
identica, cioè assoluta, capacità certificatrice, fino a
prova di falso.
.
• Già il pontefice Alessandro III parificava,
quanto a «firmitatis robur», gli scritti che
«per manum publicam [di un notaio] facta
fuerint ita quod appareant publica» e quelli
che «authenticum sigillum habuerint per
quod possint probari».
.
• Il primo Comune aveva bisogno dei notai.
Essi gli erano necessari per costituire la
propria autonomia, per legittimarsi come
soggetto pubblico. Cosicché si può
affermare, senza con ciò assimilare il
Comune consolare e protopodestarile a un
ente privato (al contrario), che esso è solo
un cliente specialissimo dei notai - notai a
loro volta un po' speciali, eminenti per
preparazione e prestigio.
.
DOCUMENTO CANCELLERESCO E DOCUMENTO
NOTARILE
Il discrimine tra i due tipi risiede nella persona/istituzione
che è autore del documento, cioè che provvede il
documento di pubblica fede: quella determinata autorità
nell'«atto pubblico», nel documento cancelleresco (non
importa chi materialmente lo scriva, sia anche un
notaio); quel determinato redattore nell'«atto privato»,
nel documento notarile. Infatti, per semplificare, la
formalità convalidatrice nel primo caso è il sigillo,
nell'altro è la sottoscrizione del notaio, comprensiva del
signum personale. Naturalmente poi, la tipologia
documentale si riflette anche in altri caratteri, sia testuali
sia materiali:
• , la struttura testuale tipica del documento cancelleresco
è quella epistolare, con intitulatio all'inizio, forma
soggettiva, ecc.
.
• ; la sua forma materiale è quella di un foglio di
pergamena con la scrittura disposta nel senso del lato
maggiore, e così via. Diversi saranno i caratteri testuali e
materiali del documento notarile.
• Ma la differenza sostanziale è che nel documento
cancelleresco l'autorità X è insieme autore dell'azione e
della documentazione (il suo nome apre il testo, e lo
chiude il suo sigillo); invece il notaio è per definizione
"terzo" rispetto ai soggetti dell'atto, è esterno all'azione; il
suo dato fisionomico più caratterizzante è l'autonomia.
.
• Il documento cancelleresco è “rigido”, formalizzato
• Al contrario,grande duttilità ed efficacia
dell'instrumentum, la forma documentale tipica della
prassi notarile ordinaria. Per il suo carattere probatorio e
narrativo, per la sua libertà dai formalismi che avevano
caratterizzato il regime documentale precedente,
insomma per la sua concretezza, l'instrumentum si
mostrò in grado di soddisfare, attraverso adattamento e
sperimentazioni, tutte le esigenze derivanti dall'agire
politico dei Comuni.
CHIESA E COMUNE
• Le origini della laicità? Una laicità
«quotidiana»?
LA CITTA’ E LA CHIESA
• Il livello tutto politico dello scontro portava ad isolare una
serie di interessi della città, il livello pubblico, collettivo,
che si sarebbe detto a partire dal Duecento il suo ‘bene
comune’. Erano gli interessi che si ritenevano prioritari e
che pertanto potevano anche comportare un conflitto
con la Chiesa: con la chiesa locale, (il vescovo, il
capitolo della cattedrale…) e con la chiesa o curia
romana
• Ci si abituava a lottare e a distinguere i
livelli del confronto, dando la priorità
quando necessario a interessi puramente
laici. C’era ormai una classe politica che
sapeva distinguere e all’occasione
contrapporsi al ceto ecclesiastico.
• In quell’intrico di temporale e di spirituale
che era la vita di tutti i giorni e il cui
discrimine era stato prima giudicato e
gestito sostanzialmente solo dalla Chiesa,
si cominciava a pretendere di guardare da
parte dei laici.
• La “chiesa del comune”
• La nascita di un polo urbanistico laico…
• Ciò avveniva senza teorizzazioni esplicite, ma nella
pratica di tutti i giorni, Si isolavano sfere di attività rette
da princìpi diversi: c’erano le scelte della Chiesa, ma
anche quelle con proprie ragioni ugualmente valide dei
mercanti e dei politici pronti ormai a subire persino
scomuniche ed interdetti perché consapevoli che
avevano interlocutori sensibili alla politica - a volte assai
più che alle ragioni religiose, dicevano i fedeli della
Chiesa di ogni tendenza critica alla linea temporale del
Papato e delle chiese locali.
• così come nella pratica mercantile si superavano i divieti
del prestito ad interesse con contratti sapientemente
studiati.
Città comuni signorie
• Che i preti facessero bene il loro mestiere
spirituale, che al resto avrebbero pensato i laici,
sempre pronti del resto in quel mondo con così
larga presenza della religione, nelle
preoccupazioni e nella vita quotidiana, a non
trascurare le offerte per le chiese, per le messe
e per la crociata, persino con lasciti pii nei
testamenti – eventualmente pro remedio
animae, con i quali si saldavano anche i debiti di
restituzione contratti con operazioni bancarie
vietate.
Città comuni signorie
• Si diffondeva una cultura laica, pragmatica,
fondata sulla scrittura, mentre l’ammirazione per
l’antico aveva larghissima parte, accanto più che
secondo o contro la cultura tradizionale
religiosa. E quella si diffondeva senza difficoltà
se non ci si azzardava a contestare frontalmente
la cultura della Chiesa, ma si aveva l’accortezza
di rispettarla trovando con essa compromessi
durevoli
Città comuni signorie
• Insomma, proprio in queste prospere città,
più che in altre, cominciava quella
coesistenza non sempre pacifica tra
culture di diversa ispirazione, ma
comunque capaci per lo più di incontrarsi
nell’interesse reciproco, creando
un’osmosi positiva. Anche se mai priva di
sospetti soprattutto nei confronti dei
mercanti e dei loro rapidi guadagni.
.
• L’osmosi non fu quindi omogeneizzazione. Ma
arricchimento, fermento di problemi che
riflettevano l’apertura al nuovo e la creatività di
quel mondo: chi è il buon cittadino? chi il buon
mercante? e il buon cristiano? Perciò anche è
difficile fermare i caratteri di quella cultura
urbana. Le scritture, le arti, i monumenti
esprimono aspetti di quel mondo variegato,
molto ‘moderno’ ai nostri occhi oggi, proprio
perché molto complesso, non interpretabile
soltanto con una chiave.
Città comuni signorie
• Pensiamo all’esplosione del romanico
nell’architettura civile e religiosa delle città
lombardo-emiliane - basterà citare Modena,
Cremona e Parma, ad esempio -, e la
rappresentazione straordinariamente efficace
del lavoro artigianale e dei campi che anche
nelle territorio circostante le città compare nelle
sculture delle chiese: efficacissime
rappresentazioni espressione di una cultura
fortemente legata alla vita quotidiana, al lavoro
di tutti i giorni e di tutti i ceti sociali, che stanno
facendo ricche e potenti le città.
Città comuni signorie
• Insomma nelle città si consolidava l’autonomia
culturale dei laici, come conferma l’impegno nel
sostenere le fondazioni universitarie, solo
parzialmente (e più tardi) controllate dalla
Chiesa, le scuole di notariato, fucine di una
cultura urbana tutta impegnata nel quotidiano
che furono un’altra particolarità italiana per tanto
tempo, e l’alfabetizzazione resa sempre più
necessaria dalla larga scritturazione indotta
dalla rivoluzione mercantile in atto.
.
Verso il governo dei conflitti: l’espediente
del podestà
Statuti e sindacato: la responsabilità dei
governanti
• maturità di questi governi cittadini
• ruolo dei podestà. l’unità del governo monocratico che
ad essi veniva affidato, e i collegamenti intercittadini di
cui si facevano anche per lo più portatori, non vuole
anche dire che il ceto dirigente cittadino si ritirasse in
disparte e delegasse al nuovo venuto forestiero le scelte
politiche fondamentali. Lo abbiamo già detto ricordando
il programma che gli veniva affidato con gli statuti, ma
c’era poi l’assemblea comunale sempre in funzione e le
giunte di governo che lo attorniavano e controllavano, gli
anziani o come diversamente erano chiamati.
Città comuni signorie
• Il podestà metteva freno alla lotta politica,
fungeva da arbitro con gli strumenti conferitigli
dalla città stessa, dava una regola (quando gli
riusciva) allo sfrenato pluralismo associativo
vivacissimo di questi decenni di primo Duecento.
Ma non poteva e non doveva bloccarlo.
Soprattutto quando si trattasse di quelle
organizzazioni che cominceranno a dirsi di
‘popolo’ in un modo nuovo, contrapposto ai
militari a cavallo ora sempre più spesso
qualificati come ‘nobili’.
Città comuni signorie
• Il governo dei podestà assisté al fiorire di
queste organizzazioni di ‘popolari’ che, su
base rionale, andavano unendosi per
l’esercizio delle armi e per contare
politicamente. Mentre la vicenda di
Federico II sollecitava alleanze anche
sugli ampi spazi alle famiglie aristocratiche
più intraprendenti, nelle città
l’organizzazione di popolo fece passi da
gigante in pochi decenni.
Città comuni signorie
• Il secondo Duecento dopo la morte di Federico II (1250) e in attesa
della discesa angioina in Italia (1264), vide rafforzarsi rapidamente
l’indipendenza delle città libere
• fu un continuo sperimentare nuove normazioni e nuove cautele per
premunirsi di fronte a cambiamenti di regime politici o al degenerare
tirannico dei governi in carica. I molti e variegati raggruppamenti
politici cui si è accennato si costituivano per sopravvivere e avere la
loro parte nella gestione del potere cittadino.
• Il che voleva dire pensare e ripensare agli equilibri di potere, al
bilanciamento delle istituzioni cittadine, ai rapporti tra organizzazioni
generali (Comune, Popolo, Mercanzia) e organizzazioni di quartiere
o di ceto (cavalieri) o di mestiere (arti) o di schieramenti politici,
locali e inter-statuali (Parti guelfe e ghibelline). Con tanto di nuovi
statuti e di liti anche giudiziarie per la loro dubbia interpretazione nel
rapporto con una legislazione speciale extra-statutaria (provvisioni,
deliberazioni consiliari, bandi ecc.) ormai crescente e a volte fuori
controllo.
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Secolo XII e città comunale in Italia