Verso la città comunale
25-30 marzo 2011
Città, comuni, signorie
• La città come problema storiografico
• Oggi: oltre il 50% della popolazione mondiale vive in città
(66% entro il 2030)
• P. Bairoch, Storia della città, Jaca Book, Milano 1992
• L. Mumford, Le città nella storia (1955)
• M. Weber, La città (1921), e la specificità della città
occidentale
• Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, a cura di P.
Rossi, Torino 1987,
• Fine “del ciclo storico delle città”? La città “svanisce”
nello Stato”? identificare piuttosto i modelli di città
storicamente verificabili, ed
• Il prestigio delle sedi urbane era forte anche nel
medioevo:
• lo determinavano la tradizione di centralità
ereditata dal mondo antico
• la vivacità economica dei ceti urbani mercantili
e finanziari,
• il carisma delle autorità vescovili presenti nelle
città (civitas era appunto il centro abitato con un
suo vescovo).
• In città troviamo i duchi longobardi e i conti
franchi; nelle città cercavano di imperniare il loro
potere (più spesso di quanto un tempo si
pensasse) le stesse dinastie principesche e
signorili di età post-carolingia;
• L’Italia post-carolingia, a differenza del
resto dell’Europa e con l’eccezione del
Friuli e del Piemonte, e del Trentino, non
ha prodotto principati territoriali.
• Una delle cause di ciò è da cercare nel
fatto che il principato territoriale è stato
sostituito dal comune che in Italia,
diversamente dalle regioni a nord delle
Alpi, non si accontenta dell’autonomia
entro le proprie mura ma tende a
instaurare un controllo egemonico del
contado, costruisce quelle che si possono
definire «città-Stato».
• Per tutta l’Europa si può parlare di comuni, ma
solo per l’Italia e, in parte, per la Francia
meridionale si può parlare di città-Stato. I cives
di questi comuni non si accontentavano
dell’autonomia entro le proprie mura (come le
città imperiali tedesche o i grandi comuni
borghesi delle Fiandre), ma assoggettavano in
modo più o meno ampio il contado circostante,
di cui il comune diventava signore collettivo.
• Tra la fine del secolo XI e la prima metà del XII
tra i dirigenti comunali si sviluppò la coscienza
del loro essere potere pubblico e legittimo per
eccellenza.
• E a ciò contribuì la cultura: molti dei primi consoli
erano giudici e notai, che accelerarono la
valorizzazione del comune come res publica.
• In molti casi, addirittura, i comuni si appigliarono
al ricordo del comitato carolingio, rivendicando il
diritto di governarlo tutto come legittimi
governatori collettivi al posto dell’antico conte:
• i giuristi definiscono questo come «diritto di
comitatinanza».
• La stessa parola «contado» (da comitatus,
appunto), per indicare la regione condizionata
dal comune, deriva da quella concezione
pubblica del potere comunale sulle campagne.
• I grandi latifondi, le armi, il potere sulle
campagne hanno dettato le regole per quasi
tutto il medioevo: suggerendo gerarchie sociali e
fissando i modi della politica.
• Il mondo cavalleresco, la cultura cavalleresca di
origine francese è “rurale” (anche nelle sue
componenti letterarie)
• In Italia è frutto d’importazione
• Ma anche questi ceti sociali usavano sempre le
città come propri punti di riferimento: la città era
il mercato, il luogo d’inurbamento delle famiglie
aristocratiche, la sede in cui si diventava vassalli
del vescovo.
• Non si può dare una spiegazione tutta «borghesemercantile» delle origini dei comuni italiani perché
contrasterebbe con i casi, tutt’altro che rari, in cui il ceto
promotore dell’organismo comunale era stata
l’aristocrazia:
• è frequente che l’iniziativa sia dovuta alla clientela
vassallatica di vescovi potenti, una clientela quasi
sempre reclutata tra i maggiori milites del contado.
• Non si deve tuttavia operare un rovesciamento
completo, e non si deve generalizzare una teoria
«signorile» delle origini comunali: è giusto dare rilievo
agli elementi di continuità fra l’esperienza dei comuni e
le gerarchie sociali precedenti, ma si deve soprattutto
prendere atto che le origini dei diversi comuni possono
avere i caratteri più disparati, sia per i tempi e i modi di
formazione, sia per i tipi di gruppi sociali che ne furono
interpreti.
• Ciò consente di evitare inoltre il continuo errato
ricorso a scansioni nette, che postulano un
ricambio sociale anche quando non c’è: nel
delineare il passaggio dall’«età feudale» all’«età
comunale» si immaginavano accelerazioni forti
di un progresso fatale e unidirezionale (la storia
non è mai così) di cui si riconoscevano, al
massimo, possibili rallentamenti.
• In Italia il gruppo di famiglie che aveva dato
origine al comune poteva essere aristocratico o
borghese: ma in entrambi i casi aveva dato
luogo a nuclei politici di grande forza propulsiva.
• La convivenza urbana, poi, filtrava e riproiettava
all’esterno esperienze rivisitate nella convivenza entro le
mura di ceti diversi e modelli politico-sociali diversi,
anche se di antica provenienza rurale.
• L’innovazione, insomma, aveva nella città il centro
propulsore, ma quell’innovazione rielaborava materiali
che erano pur sempre quelli – decisivi per il millennio
medievale in Europa – dell’incontro latino-germanico.
• I successivi sviluppi politici dei singoli comuni erano
evidentemente condizionati dalle loro diverse origini, ma,
al tempo stesso è da notare che comuni diversi
produssero poi istituzioni simili: un bell’esempio di come
un’esperienza istituzionale uniforme possa avere per
protagonisti strati sociali differenti, indotti poi dalla
maturazione di quell’esperienza a comportamenti e a
scelte politiche assimilabili.
• L’innovazione è soprattutto “culturale”
(non si può mai distinguere e separare
l’evoluzione della mentalità da quella della
società: per spiegare le origini “culturali”
del comune cittadino dobbiamo partire
dalla storia della teologia”!)
• Impotenza della teologia e spiritualità
monastica di fronte al nuovo mondo
• Incapacità culturale da parte di persone
avvezze ad un mondo austero, stabile, di
cogliere il nuovo
• Ruperto di Deutz presenta lo sviluppo
urbano come una delle conseguenze del
peccato; le città sono il ricettacolo di infami
trafficanti e di vagabondi
• Guiberto di Nogent condanna senza
appello il mondo comunale (“comune
nomen novum et detestabile”)
• Il processo di desacralizzazione del
mondo iniziato con la riforma gregoriana
ha messo il germe dell’emancipazione
della società laica
• Paradossalmente, ciò accade nel
momento del massimo potere della chiesa
(Alessandro III, Innocenzo III)
•
•
•
•
Sul piano teologico
la scuola di Chartres (Ivo di Chartres)
1120-1140
Concetto di creazione: Dio si è “ritirato” dopo la
creazione; ha lasciato che seguisse le sue
“regole”
• La creazione come «ordinata collezione di
creature» (Bernardo di Chartres), che non è
peccato voler conoscere
• «L’universo, lungi dall’essere un semplice
riflesso degradato delle sfere celesti, possiede
una propria realtà, che può divenire oggetto di
studi e di interpretazioni. Siamo alla fine del
mondo incantato» (A. Vauchez)
• Opinioni, combattute (cfr. S. Bernardo, che
considera profanazione e presunzione
l’opera dei teologi che col solo intelletto
vogliono penetrare i misteri divini)
• creare un nuovo «equilibrio fra la natura e
la grazia» (Chenu)
• Le Goff, “Tempo della chiesa e tempo del
mercante”: una nuova idea, un nuovo
modo di concepire il tempo e lo spazio
• “L’invenzione del purgatorio”
• Salvezza individuale / mediazione
ecclesiastica
• Etica/profitto
• questioni del giusto prezzo
• prestito a interesse
• regolamentazione cristiana dei contratti
• condanna dell’usura
• Il mondo non è più una valle di lacrime
• La resistenza al male non implica più la fuga dal
mondo
• La vita monastica, in prospettiva, non è più
‘superiore’
• Conseguenze del dinamismo sociale
• alterarsi dell’omogeneità sociale del mondo
rurale
• estrema mobilità, ansia di spostamenti
• (pellegrinaggi, crociate, colonizzazioni, viaggi a
Roma....)
• la stabilitas monastica si perde
• Una nuova concezione del potere politico
nasce nel mondo urbano (italiano!)
• Quali erano le concezioni del passato?
• Richiamiamo brevemente:
• Nella versione tardoimperiale, il potere
politico istituzionale si presenta come un
apparato autonomo dal corpo della
società: legislazione, giurisdizione,
burocrazia sono tutte nelle mani
dell’imperatore da cui discende ogni
funzion statale, mentre i cittadini sono
costretti nella posizione di sudditi senza
capacità di interferire con la gestione del
potere. L’autorità imperiale è considerata
sacra, sia nell’età pagana che in quella
cristiana.
• La tradizione germanica è fondata sull’idea della
sovranità popolare, esercitata collettivamente da
tutti gli uomini liberi attraverso l’assemblea. Essi
affidavano a un re elettivo poteri di guida
essenzialmente militari, soggetti a verifica di
efficacia e a limiti di esercizio.
• Appena i regni r-b si consolidarono nel territorio
romano, il funzionamento regolare
dell’assemblea divenne difficile e praticamente
esso venne sostituito da un ristretto gruppo di
capi militari e titolari di giurisdizione, mentre i re
tendevano a imitare come potevano i caratteri
dell’autorità imperiale. Ma le intuizioni essenziali
della concezione germanica sopravvissero a
lungo nel medioevo.
• Il principio di autorità riceve un
consolidamento dall’idea biblica della
derivazione del potere da Dio (i sovrani
sono responsabili solo davanti a lui)
• Unzione, gestione simbolica del potere
• Ma ciò non scioglie imperatori e re da ogni
controllo: se la loro autorità è confermata
dalla grazia trasmessa dal sacramento ne
deriva che la chiesa deve esercitare su di
loro un controllo non solo in quanto fedeli
ma in quanto sovrani.
• Età carolingia: il controllo è esercitato non
dal corpo dello stato, ma dal clero come
entità autonoma, mediatore tra i re e i
soggetti
• Il sovrano deve esercitare il suo potere su
indicazione e sotto la guida del sacerdote.
• L’intreccio tra concezione germanica e
concezione “sacra” porta a conseguenze varie:
• - ceto laico di governo, aristocrazia che affianca i
re (fedeltà giurata) per la difesa e il governo
• è legittimo il rifiuto di fedeltà al re indegno o
infedele
• C) teorizzazioni autoritarie del XII secolo
(Federico Barbarossa, Enrico II, Ruggero II)
• Il re è soggetto alla legge che lui crea?
• Imperatore e re come lex animata. “Quod
principi placuit, legis habet vigorem”
• teorizzazioni derivanti dall’impianto feudale (ma
anche dalla rinascita della filosofia): il re è
subordinato alla legge intesa come principio
universale di equità, precedente o superiore alla
legislazione positiva
• Si recupera il concetto classico di tiranno
• Si ribadisce il diritto a rifiutare l’obbedienza al re
che si sottrae alla legalità. Ma rispetto al passato
il diritto di resistenza è esteso a tutti i sudditi (in
teoria…). John of Salisbury sostiene la legittimità
del tirannicidio
• Cosa succede nelle città comunali?
In queste società complesse e inquiete?
Con una antica tradizione alle spalle, con
gruppi sociali diversi (i vassalli del vescovo
portatori di una mentalità aristocratica, ma
anche la tradizione urbana antica, il
“senso” della civitas, e anche la presenza
di commercianti, di artigiani, ecc.)?
• La fondazione di un nuovo modo di fare
politica
• Sismondi e la Storia delle repubbliche
italiane nel medioevo
• Il mito ottocentesco della città comunale
• Max Weber e il saggio sulla “Città”
• La de-magificazione, il disincantamento
del mondo (Weber)
• "Entzauberung",
• L'uomo progressivamente conquista spazi
di dominio e di conoscenza, prima con le
attività manuali e poi con la ragione,
attraverso le tappe di un processo di
demagificazione, cioè di conquista del
mondo.
•
-
Un potere
Delegato
collegiale
Rappresentativo
A tempo (non ereditario): torna la funzione
pubblica
- “Sindacabile”
- Mediato attraverso la scrittura (tecnicità /
regolarità). La “rivoluzione documentaria”
del secolo XII
• LA DOCUMENTAZIONE
• 'Italia centro-settentrionale terra di notariato. Il che è
compiutamente vero dal secolo XII, da quando cioè alle
scritture notarili è riconosciuta la publica fides
• A quel punto si affrontano due modi di attestazione
scritta degli atti di natura e con effetti giuridici: quello
cancelleresco, emanazione diretta (tramite un ufficio ad
hoc) di un'autorità sovrana; e quello notarile, nel quale
la funzione probatoria discende dalla persona del
redattore e convalidatore (investito di tale potere
dall'autorità, il che è qui irrilevante). I due tipi ottengono
identica, cioè assoluta, capacità certificatrice, fino a
prova di falso.
• Già il pontefice Alessandro III parificava,
quanto a «firmitatis robur», gli scritti che
«per manum publicam [di un notaio] facta
fuerint ita quod appareant publica» e quelli
che «authenticum sigillum habuerint per
quod possint probari».
• Il primo Comune aveva bisogno dei notai.
Essi gli erano necessari per costituire la
propria autonomia, per legittimarsi come
soggetto pubblico. Cosicché si può
affermare, senza con ciò assimilare il
Comune consolare e protopodestarile a un
ente privato (al contrario), che esso è solo
un cliente specialissimo dei notai - notai a
loro volta un po' speciali, eminenti per
preparazione e prestigio.
DOCUMENTO CANCELLERESCO E DOCUMENTO
NOTARILE
Il discrimine tra i due tipi risiede nella persona/istituzione
che è autore del documento, cioè che provvede il
documento di pubblica fede: quella determinata autorità
nell'«atto pubblico», nel documento cancelleresco (non
importa chi materialmente lo scriva, sia anche un
notaio); quel determinato redattore nell'«atto privato»,
nel documento notarile. Infatti, per semplificare, la
formalità convalidatrice nel primo caso è il sigillo,
nell'altro è la sottoscrizione del notaio, comprensiva del
signum personale. Naturalmente poi, la tipologia
documentale si riflette anche in altri caratteri, sia testuali
sia materiali:
• , la struttura testuale tipica del documento cancelleresco
è quella epistolare, con intitulatio all'inizio, forma
soggettiva, ecc.
• ; la sua forma materiale è quella di un foglio di
pergamena con la scrittura disposta nel senso del lato
maggiore, e così via. Diversi saranno i caratteri testuali e
materiali del documento notarile.
• Ma la differenza sostanziale è che nel documento
cancelleresco l'autorità X è insieme autore dell'azione e
della documentazione (il suo nome apre il testo, e lo
chiude il suo sigillo); invece il notaio è per definizione
"terzo" rispetto ai soggetti dell'atto, è esterno all'azione; il
suo dato fisionomico più caratterizzante è l'autonomia.
• Il documento cancelleresco è “rigido”, formalizzato
• Al contrario,grande duttilità ed efficacia
dell'instrumentum, la forma documentale tipica della
prassi notarile ordinaria. Per il suo carattere probatorio e
narrativo, per la sua libertà dai formalismi che avevano
caratterizzato il regime documentale precedente,
insomma per la sua concretezza, l'instrumentum si
mostrò in grado di soddisfare, attraverso adattamento e
sperimentazioni, tutte le esigenze derivanti dall'agire
politico dei Comuni.
• La città europea come elemento di
periodizzazione (Berengo, L’Europa delle
città)
• La ripresa urbana del XI-XII secolo
• La città comunale italiana come
“laboratorio” della politica occidentale
• È un tema storiografico che diventa un
mito….
… nella cultura liberale europea dell’età
della Restaurazione (Sismondi)
… nel Risorgimento italiano (Berchet,
Manzoni, Guerrazzi…)
… che viene valorizzata nella lettura di Marx
della storia economica dell’Occidente
… Cattaneo e “le città come principio ideale
della storia d’Italia”
Città, comuni, signorie
• L’ambiguo rapporto tra “città” e “stato”: il
superamento del particolarismo cittadino
nell’unità della nazione (Francia,
Inghilterra, Spagna)
• Il ruolo della città capitale
• La città come luogo della modernità e
dell’innovazione politica ed economica
• Ma anche la città come luogo della rendita
fondiaria
• In effetti in Italia è presente anche un’altra tradizione storiografica,
per certi aspetti “anti-urbana”
• Philip Jones e il “mito della borghesia”
• il connotato specifico delle città italiane non sarebbe stato affatto il
loro carattere ‘borghese’ e mercantile, perché a suo avviso questo
era riscontrabile chiaramente anche in altre città europee
• mentre l’ethos urbano prevalente avrebbe lasciato ampio spazio ai
motivi cavallereschi e nobiliari.
• largo spazio lasciato in città appunto ai milites, alle famiglie con
tradizione militare spesso relegate nei castelli di campagna e ora,
con lo sviluppo del 1100 e 1200, attirati con le buone o con le cattive
in città e costretti a condividerne l’avventura.
Città comuni signorie
•
•
Il controverso mito del comune
Comune e “democrazia”
Comune e “italianità”
Il problema dello stato e dell’unificazione nella
storiografia italiana
• Il passato comunale, campanilistico, sembrava spiegare
la mancata unificazione nazionale e la nostra
insuperabile lontananza quindi dal modello trionfante
destinato a rimanere inavvicinabile: quello dello Stato
nazionale nel modello incarnato dalla Francia e
dall’Inghilterra.
•
Città, comuni, signorie
• A mercanti, finanzieri, imprenditori e
armatori navali, a questi sì si doveva la
magnifica crescita economica delle città
italiane dopo il Mille, ma quel che
rimaneva unico e che tanto le aveva
rafforzate conferendo loro una capacità
espansiva e aggressiva, era stato
l’apporto delle competenze militari
assicurate dai nobili di tradizione
cavalleresca
RIPRENDIAMO ORA IL FILO DELLE PREROGATIVE DEL
GOVERNO COMUNALE
COLLEGIALITA’
Le assemblee furono in vario modo espressive della
collettività tutta, e comunque con la tendenza a
presentarsi come tali, rappresentative del populus e
della civitas come lo erano i consoli. Ma il ‘popolo’
poteva esser chiamato direttamente a ‘parlamento’
(concio, arengo), ossia in piazza davanti alla cattedrale
di solito mancando per tanto tempo i palazzi ‘pubblici’,
per approvare in modo corale una nomina; ad esempio
dei consoli da parte dei predecessori, o un evento
importante come la proclamazione di una guerra ecc. Si
faceva con un sì (sic, sic, o fiat, fiat, di solito), ossia con
modalità che non davano molte garanzie né di
ponderatezza di giudizio né di reale assenso, ma che
comunque salvava il principio della titolarità popolare del
potere.
• I consoli sono di regola sottoposti non solo
a decadenza rapida secondo norme
previste in anticipo (annuale, semestrale;
ma non mancano consoli “eletti per fare
quella determinata cosa”), ma soprattutto
non consolidati nei loro uffici con
ricorrenze continue
•
• Dialettica tra “società” e “stato”
• Pregiudizio istituzionalistico della nostra
impostazione storico-culturale: pensiamo,
oggi, che “non si possa fare a meno” dello
Stato e di un potere organizzato. In realtà,
ci sono molte società che vivono “SENZA
STATO”
• Non possiamo pensare alle città con
l’organizzazione coattiva e poliziesca di
età posteriori. Le istituzioni sono in fase
incoativa: si stanno facendo e cercano
consensi sotto l’urgenza degli eventi. E
l’ottengono di regola.
Città comuni signorie
• Non è un ceto chiuso per tanta parte del secolo XII
quello che esprime i dirigenti detti consoli
• È uno strato ampio della popolazione: un 10, un 15%?
• Certo, devono essere tanti e dei notabili con un seguito
in città, con aderenti capaci di esercitare ascendente e
controllo nei vari quartieri, e capaci quindi di raccogliere
consensi e trasmettere decisioni e proposte.
• Altrimenti le adunate si trasformerebbero regolarmente
in sommosse, decretando dopo un certo tempo la fine
delle libertà cittadine, o (come a volte succede infatti)
situazioni di difficile controllo dell’ordine pubblico.
• E, soprattutto, non sarebbero state altrimenti possibili le
imprese belliche di cui si parla dai primi anni del 1000 in
poi.
Città comuni signorie
• Non c’è dubbio che per il 1100 l’impressione
offerta dalle fonti documentarie – di regola molto
rare per questo tempo in fatto di verbali o
comunque di testimonianze di deliberazioni
politiche – potrebbe essere di una vita politica
dominata da gruppi relativamente ristretti che ci
si presentano di regola con pratiche di
cooptazione negli uffici. La partecipazione della
cittadinanza sembra limitarsi appunto a quei rari
e corali fiat parlamentari.
• Di solito si parla per questo periodo di una
aristocrazia consolare, con ciò confermando o
introducendoci alla menzionata presunta
chiusura della vita politica.
• Tuttavia accertamenti recenti, come al solito su
un campione limitato ma comunque significativo,
non sembra che autorizzino a concludere per
una chiusura oligarchica del gioco politico; tale,
per intenderci, da escludere una cittadinanza
resa ‘suddita’ da scelte inattaccabili e
insindacabili prese in alto loco.
Città comuni signorie
• Eppure le disuguaglianze non dovevano tradursi
in disuguaglianza di fronte alla città, ad esempio
nell’accesso alla giustizia o nella tutela in caso
di lesione da parte di forestieri. La città che lotta
del 1100 si sente un unum corpus che sta
salvaguardando la posizione raggiunta o che si
sforza di migliorarla e in cui i vari elementi
(ordines) devono sentirsi solidali perché
cooperano verso un fine comune: la grandezza
della città come creazione comune e, quindi, il
suo onore.
Città comuni signorie
• .Questa più antica società comunale non è egualitaria
sul piano giuridico, politico e sociale ed è spesso scossa
dai conflitti di classe e da scontri tra i pochi ricchi e i tanti
‘mediocri’ (diremmo oggi medio e piccoli borghesi) o
‘poveri’.
• Tripartizione maiores, mediocres, minores
• Ma soprattutto è anche attraversata dalla fondamentale
divisione tra milites (combattenti a cavallo) e pedites
(fanti), che si traduceva in vantaggi concreti, in termini di
acquisizione di beni pubblici e di privilegi, per i primi
Città comuni signorie
• E’ animata da una tensione collettiva che si è realizzata
nonostante (o forse anche proprio grazie a) la fluidità
degli schieramenti politici interni. La solidarietà cittadina
di fronte ai problemi posti dalle contingenze esterne era
forte anche perché non esistevano i partiti come noi li
concepiamo. Non si parla ancora di guelfi e di ghibellini,
né di conflitto tra nobiltà e ‘popolo’ (fino alla fine del
1100) perché, pur con tutti gli squilibri socio-economici
presenti in città, siamo pur sempre di fronte a un ceto
dirigente aperto e a una cittadinanza fortemente coesa
dal generale successo della città, reale o auspicato, e
dall’apertura delle prospettive sociali ed economiche o
dalle esigenze della aggressione o della difesa militare
dall’esterno, da parte di altre città o dell’Impero.
Città comuni signorie
• Erano un collante forte le vittorie politiche
e i successi economici della città-Stato
che si affermava ovunque, ora contro
l’Impero e ora nonostante l’Impero, con il
suo aiuto indiretto, anche sui mercati
internazionali del grande commercio,
spesso grazie al nuovo rilievo anche
tributario del Papato rispetto alle chiese
locali.
Città comuni signorie
• I ceti dirigenti delle città, non ristretti
quantitativamente di solito, né arroccati
nella difesa delle proprie posizioni non più
di ogni élite che ritiene di bene operare,
hanno saputo garantire l’honor civitatis,
cioè gli interessi locali nel modo più
globale, e quindi interpretare l’aspirazione
diffusa entro larghi strati della cittadinanza
oltreché i propri interessi di clan.
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