Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi a 20 | numero 24 | 18 giugno 2014 | 2,00 EDITORIALE La Repubblica del guardia e ladri Corrotti e anticorrotti fanno lo stesso gioco in un paese sull’orlo della Ddr D ai Promessi Sposi: «Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori… Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l’impotenza de’ loro autori; o, se producevano qualche effetto immediato, era principalmente d’aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da’ perturbatori, e d’accrescer le violenze e l’astuzia di questi». Ecco, se ci fosse in giro un solo grande Manzoni invece che un’infinità di mediocri Scalfari, l’Italia che da vent’anni affonda negli scandali e non riesce a masticare altro che guano, riconoscerebbe i suoi Renzo e Lucia. Li racconterebbe e, finalmente, si metterebbe in viaggio. Invece siamo sempre lì, inchiodati alle grida di bacchette magiche per rendere gli uomini onesti per Legge e commissariamenti della società per mano dei magistrati. I quali, come si è visto al Mose, non sono afCome ha ricordato Nordio, fatto immuni dalla corruzione. procuratore dell’inchiesta Lo stesso Carlo Nordio, procuratore sul Mose, «non occorrono capo delle inchieste sulle ruberie venenuove leggi, Le leggi ci sono. ziane, ha citato Tacito a Radio Radicale E non servono i commissari» per rammentarci un’evidenza solare: «Corruptissima re publica, plurimae leges. Più la repubblica è corrotta, più promulga nuove leggi». Il consiglio di Nordio? «Se dovessi dare un suggerimento a Renzi gli direi di lasciar stare le nuove leggi. Le leggi ci sono». Piuttosto «è necessario che il Parlamento riduca le leggi, le semplifichi, le renda più chiare e trasparenti». Perciò, «la nomina di un commissario straordinario conta molto poco nella lotta concreta contro la corruzione». Solo nell’anno in corso e solo l’operatore Vodafone ha ricevuto dalle autorità italiane più di 605 mila richieste di informazioni sulla localizzazione di cellulari, orari, data delle chiamate, persone che comunicano. Dalla Francia, Vodafone ha ricevuto solo 3, dicasi tre, richieste. Dal Belgio 2 e dal resto del mondo poche centinaia. Dunque, siamo il popolo più spiato del mondo. Probabilmente, se si includono le intercettazioni, non c’è italiano che svolga una professione “a rischio” che non sia sotto controllo. Sarà un caso che, somigliando ormai alla famigerata ex Germania Est, condividiamo con quel tipo di società comunista anche il profluvio di apparati statali e di leggi ideologicamente perfette, perciò buone solo a far sprofondare la società nella corruzione e nel fallimento? Questo è il punto: bisogna rifondare la Repubblica e riformare lo Stato. Occorre liberare la società dai commissari del popolo e dalla enfasi totalizzante ogni dimensione della vita pubblica che il circuito mediatico-giudiziario dà ai fenomeni di corruzione: non più informazione, ma ideologia. E ideologia come alibi per giustificare l’oppressione e la grassazione dello Stato nei confronti dei cittadini. MINUTI Quell’estraneo in ascensore L a portineria di un palazzo borghese, di quelli in cui si ignora il cognome del signore della porta di fronte. Due condomini aspettano l’ascensore, che arriva con calma, gravato come è da molti anni di servizio. Naturalmente nessuno dei due ricorda a che piano sta l’altro. Il dito sulla tastiera esita, «quarto, grazie». (È strano, come le persone che incontriamo nella portineria di casa ci risultino spesso come invisibili). L’ascensore parte con un ovattato scatto metallico. Ecco, è questo il momento in cui due umani cadono in un profondo imbarazzo: siamo così vicini, e nulla, proprio nulla da dirci. L’altro inquilino fissa ostinatamente attraverso i vetri della cabina il muro che scorre. Io leggo con passione il cartello che recita: portata massima 320 chilogrammi. Bisognerebbe scrivere qualche frase più interessante sugli ascensori, mi dico. Ma questo vecchio scatolone è davvero lento. A ogni piano singhiozza come protestasse: devo salire ancora? Al terzo, il coinquilino non regge il silenzio: «Ma ha visto che tempo? Non si sa più cosa mettersi, al mattino…». E io con sollievo e quasi entusiasmo replico che sì, davvero, al mattino è così umido, e poi viene caldo, «un tempo proprio strano». E finalmente scendo. Sorridendo fra me: noi uomini proprio non ce la facciamo a stare vicini senza dirci una parola. Alla peggio, parliamo del tempo. Che profondo, tenace bisogno dell’altro, abbiamo. Come una legge, scritta sulla pelle. Marina Corradi | | 18 giugno 2014 | 3 SOMMARIO 08 PRIMALINEA PERCHÉ UN UOMO DEDICA LA VITA A CRISTO? | BOFFI NUMERO 20 | numero 24 | 18 giugno 2014 | 2,00 in vendita abbinata obbligatoria con il giornale settimanale diretto da luigi a 24 Nulla sembra favorire la fioritura di una vocazione cristiana in questa nostra società post-cristiana. Eppure… LA SETTIMANA 14 SOCIETÀ VIAGGIO NELLE PERIFERIE. ROMA | MONDO 18 CHI È CHI LA MATURITÀ DI MADONNA | BORSELLI Minuti Marina Corradi............................3 Foglietto Alfredo Mantovano...........7 Capriole cosmiche Dante e Chesterton..... 27 Presa d’aria Paolo Togni..................................... 38 Mamma Oca Annalena Valenti............... 39 Acta Martyrum Leone Grotti................................ 44 Sport über alles Fred Perri.......................................... 46 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano.................. 47 Mischia ordinata Annalisa Teggi........................50 RUBRICHE 20 ESTERI REPORTAGE DA PANAMA | CASADEI 28 SPORT I MONDIALI TODA BELEZA | PERRI L’Italia che lavora............... 34 Stili di vita........................................... 38 Per Piacere.........................................41 Motorpedia........................................42 Lettere al direttore.......... 46 Taz&Bao................................................48 Foto: Itl, Getty Images, Rodolfo Casadei, AP/LaPresse Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 – N. 24 dal 12 al 18 giugno 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto Fotogramma PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori 15 – 37131 Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. 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Giusto per capire se, al di là delle intenzioni, avanzare la linea delle nostre unità navali nel Mediterraneo, in modo da raccogliere i migranti in prossimità delle acque territoriali della Libia, abbia fatto raggiungere gli obiettivi dichiarati. Raccontano i testimoni oculari, fra i quali non pochi giornalisti, che finora l’operazione ha prodotto questi effetti: a) le tariffe per salire su una imbarcazione, a causa del minor numero di miglia mariPROVIAMO A TIRARE UN PRIMO BILANCIO ne da percorrere, sono DOPO ALCUNI MESI DALL’INIZIO DELLE diminuite all’incirca a OPERAZIONI: più morti, più violenze, 800 euro a testa; b) chi più congestione, più sfruttamento. giunge sulla costa non possiede quella somma: E L’EUROPA? Dà SOLO RISPOSTE IRRIDENTI partendo dal Mali e o altre aree meridionali, porta con sé il mini- ne; e) che in Italia si arrivi con più facilità mo, per non essere depredato. Questo vuol ha moltiplicato gli affari dei trafficanti di dire che, prima di affrontare il Mediterra- uomini; f) sulla gestione all’arrivo è inutile neo, è costretto a mesi di lavoro in condi- aggiungere qualcosa rispetto al collasso dei zioni di schiavitù (10 euro al giorno) per re- centri e al caos di cui informano i media: si alizzare il costo del biglietto; c) le giovani ha a che fare con un numeri decuplicato ridonne sono sistematicamente violentate spetto a un anno fa; g) da tutto ciò Bruxelda soldati e miliziani; d) la riduzione del ti- les non è nemmeno sfiorata. Non menziono i costi: se ci fossero mecket, la distanza inferiore da coprire e l’affidamento sulle navi italiane fanno sì che no vittime non sarebbe neppure da comle imbarcazioni degli scafisti siano anco- parare il maggiore esborso con la salvezza ra più precarie: il che aumenta la concre- di una vita. Ma non va così: come ogni falta possibilità che si rovescino poco dopo la limento, di soldi se ne perdono tanti. Vopartenza. Dei morti in mare si hanno ag- gliamo continuare nell’ipocrisia? Con un giornamenti costanti e sarebbe onesto sti- cinismo che non sorprende, dall’Unione marne il numero dall’avvio dell’operazio- Europea sono arrivate risposte irridenti: fai avevano detto teci delle richieste e noi provvederemo; ci sarebbe stato da recarsi a Bruxelles e notificare di persona le proprie istanze fino a quando non fossero state accolte, ma non risulta che sia stato fatto! Visti i risultati, è di buon senso fermare Mare nostrum e sottoporre alla Commissione che si formerà a breve un piano d’azione sulle coste libiche, che collochi in quel territorio centri di accoglienza e commissioni con targa europea per valutare lo status di rifugiati, trasferendo poi in condizioni di sicurezza coloro a cui viene riconosciuto fra gli Stati dell’Unione, in modo proporzionato. È difficile? È impossibile se non lo si prospetta: siamo all’inizio del semestre italiano di presidenza, quale migliore occasione? Nelle more, emergenza per emergenza, si approvi una ordinanza di riconoscimento della protezione umanitaria a tutti coloro che arrivano; giuridicamente è meno della qualifica di profughi, ma permette di ricevere subito un permesso temporaneo, senza attendere i tempi delle commissioni asilo, e quindi di recarsi in altre Nazioni europee. Se l’Unione Europea non concorda di principio sul border sharing, glielo si può far sperimentare nei fatti. Proposte azzardate? Allora si dichiari senza tentennamenti che il bilancio di Mare nostrum – più morti, più sfruttamento, più violenze, più congestione – è soddisfacente. Ma si cambi il nome: è più adeguato decoctio (fallimento) nostrum. | | 18 giugno 2014 | 7 8 | 18 giugno 2014 | | Foto: Itl ordinazioni È Chiesa La diocesi di Milano festeggia i suoi nuovi sacerdoti. Ma perché lo hanno fatto? Cosa spinge oggi un uomo a dedicare la sua vita a Cristo? Nulla sembra favorire la fioritura di una vocazione cristiana in questa nostra società post-cristiana. Eppure… | DI emanuele boffi | | 18 giugno 2014 | 9 10 | 18 giugno 2014 | | rebbe. È martire, pur non avendo nulla di eroico. Tanto che a un certo punto, quasi snervato da questa caparbia fedeltà di Dio alla sua vocazione, arriverà ad esclamare: «Sono un prete. Non dipende da me». Con questa frase in mente, sabato mi sono recato a Milano all’ordinazione di un mio amico, Alberto. E pensavo: c’è davvero di che tremare a compiere un simile passo, a fidarsi di un Dio testardo, che nemmeno si abbatte e ci lascia stare, oltre ogni nostra umana incoerenza. Ci tampina. È un Dio geloso, dice la Bibbia. Il cardinale Angelo Scola ha detto nell’omelia che la scelta di Alberto e degli altri ventiquattro (più un religioso dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi) è stata una scelta lungamente meditata e verificata. Credo abbia ragione. O si presume che questi ventisei uomini siano tutti degli stolti e che siano diventati sacerdoti incon- sapevolmente, per un moto dell’animo, per un desiderio etereo e senza ponderazione, oppure dobbiamo ammettere che quei 26 uomini abbiamo scelto di fare del rapporto con l’Altissimo il loro vincolo perpetuo. La domanda è dunque questa: perché lo hanno fatto? La violenza di suor Cristina Lasciatemela prendere alla larga, poi arrivo al punto. Come avrete visto tutti, suor Cristina Scuccia ha vinto il talent show The voice of Italy. Non interessa qui discutere se la ragazza abbia una bella voce o meno, se fosse opportuna una sua partecipazione al programma tv o meno, se quello sia un modo adeguato o meno di trasmettere la gioia della fede. Quel che qui si vuole segnalare è un commento trovato su un sito dopo che la ragazza, al termine della premiazione, ha recitato il Foto: Itl I n uno dei più bei romanzi di Graham Greene, Il potere e la gloria, si narra l’affannosa fuga di un prete dalla persecuzione anticristiana in Messico negli anni Quaranta. Si tratta di un sacerdote indegno, un prete spugna, un ubriacone, un fornicatore con una figlia, nata da un amore clandestino: «Non avevano messa amore nel concepirla, soltanto la paura e la disperazione e mezza bottiglia di acquavite». Quest’uomo, così incapace, così meschino, così poco all’altezza del compito cui è stato chiamato, è come “perseguitato” da Dio. Tutto il romanzo è un succedersi di errori e tradimenti eppur anche di fatti che costringono il pusillanime a rimanere prete, anche se lui non vuole, anche se lui se ne vergogna, anche se cerca di fuggire. Un uomo che è segno di Cristo, anche se non lo vor- ordinazioni PRIMALINEA Sabato 7 giugno nel Duomo di Milano sono stati ordinati 25 sacerdoti più un religioso dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi il cardinale ha detto che quest’anno nella diocesi milanese sono deceduti una cinquantina di sacerdoti. Se 26 sono le nuove ordinazioni, fate un po’ voi i conti Foto: Itl peggiore. E questo glielo lasciamo fare, e gliene siamo grati. Il problema è quando qualcuno di loro richiama il motivo per cui fanno quelle cose: Gesù Cristo. Allora, appunto, diventa un problema, diventano «violenti». Quei 26 novelli sacerdoti ordinati sabato, forse che non sono consapevoli di tutto ciò? E, allora, di nuovo: perché lo hanno fatto? Padre nostro. Ha scritto un utente: «È stato un momento di una violenza incredibile». È un’osservazione su cui val la pena di riflettere e, non per ultima, dovrebbe farlo Cristina stessa. Finché tu, suora, vestita da religiosa, ti dimeni su un palco con un microfono, sei accettata, applaudita, indicata come fenomeno globale. Appena, però, esci dal personaggio e fai quello che tutti si aspetterebbero da una suora (recitare una preghiera), diventi «violenta». Esempio minimo di una percezione che abbiamo tutti. I sacerdoti e le suore godono di un generale rispetto nella nostra società. Più o meno tutti riconoscono loro una funzione sociale importante: si prodigano per gli indigenti, assistono gli anziani, badano ai bambini negli oratori. Opere straordinarie di carità sono nate e vengono gestite da religiosi: senza di loro, l’Italia sarebbe un posto Le isole dell’amore Lasciate che vi tedii con un altro esempio un po’ balzano. Tempo fa, padre Piero Gheddo, sacerdote del Pime, ha pubblicato una lettera di un suo confratello missionario in Papua Nuova Guinea, padre Giuseppe Filandia. Il sacerdote ha raccontato la situazione sociale dell’arcipelago delle Trobriand, che gli etnologi chiamano «le isole dell’amore». Perché lì avviene quello che i più maliziosi tra voi hanno già intuito: «L’assenza di ogni regola morale nel rapporto uomo-donna si è quasi istituzionalizzata». I bambini praticano attività sessuali sin dai sette anni, anche tra fratelli. Alcune bambine, schifate da tali pratiche, «sentendo una naturale ripugnanza ad essere oggetto di piacere per i loro fratelli o per il loro padre, si suicidano gettandosi giù dall’alto di una palma da cocco». Le donne sono per lo più trattate come oggetti, gli uomini non avvertono alcuna responsabilità verso i figli che, anzi, si presume nascano non da rapporti sessuali ma da spiriti che si impadroniscono dei pensieri delle madri. Questa situazione di promiscuità e nomadismo sessuale è aggravata dai turisti occidentali che, come racconta padre Filandia, confermano agli indigeni che «in tutto il mondo si fa così». In una situazione del genere, «si può capire – scrive il missionario – com’è difficile fare discorsi sulla purezza, la castità, sulla preparazione ad un matrimonio cristiano». Qualche piccolo-grande risultato lo si ottiene, ma il dato statisticamen- te più rilevante è l’insuccesso: «Tentiamo di organizzare corsi di formazione familiare per tutti, ma pochissimi rispondono al nostro appello. Cinquant’anni di cattolicesimo sono ancora pochi per cambiare la cultura tradizionale. Noi seminiamo senza la soddisfazione di vederne il risultato. Voi che avete la gioia di vivere in una famiglia cristiana, abbiate un pensiero e una preghiera per questo nostro popolo della Papua Nuova Guinea. Cari amici lettori, questa è una cultura non cristiana, non nelle cartoline turistiche, nei romanzi e documentari televisivi, ma nella concretezza della vita quotidiana di un popolo che ancora non conosce il Vangelo. E il nostro popolo italiano, che ha ricevuto il Vangelo da duemila anni, quanto è lontano da queste miserie “pagane”?». L’Italia non è la Papua Nuova Guinea, è chiaro. Ma la domanda di padre Filandia è provocatoriamente interessante. Forse che anche ai 26 non potrà capitare di «seminare senza vedere il risultato»? D’altronde, anche i nostri 26 novelli sacerdoti sono coscienti di vivere oggi in una società che ha perso ogni fondamento cristiano, di cui la questione affettiva è solo l’epifenomeno più evidente. E quindi di nuovo e ancora: perché lo hanno fatto? La stanchezza dell’Occidente Al termine della funzione, il cardinale Scola ha detto che quest’anno nella diocesi milanese sono deceduti una cinquantina di sacerdoti. Se ventisei sono le nuove ordinazioni, fate un po’ voi i conti. Certo, come ha spiegato l’arcivescovo, «pochi o tanti, sono quelli che Dio ci dà», ma non è un mistero che, soprattutto nei paesi occidentali, di pari passo al calo delle vocazioni, si alza l’età media dei sacerdoti. I numeri confermano che è soprattutto nei paesi occidentali che la Chiesa sente maggiormente il problema, al contrario di altre zone del pianeta. Secondo l’ultimo annuario della Chiesa cattolica | | 18 giugno 2014 | 11 PRIMALINEA ordinazioni (dati 2005-2012), il numero dei cattolici e dei sacerdoti cresce in tutti i continenti, ma è relativamente stagnate in Europa. Se poi si vanno a guardare i numeri dei seminaristi, il dato diventa ancor più macroscopico. Se la cifra complessiva è aumentato del 4,9 per cento, passando dai 114.439 del 2005 ai 120.051 del 2012, questo lo si deve soprattutto grazie alla crescita asiatica (più 18 per cento), africana (più 17,6), dell’Oceania (più 14,2). Per farvi capire: in America si registra un calo del 2,8 per cento e nel Vecchio Continente del 13,2. Un po’, insomma, viene da pensare che possa essere solo negativa la risposta al quesito che Fedor Dostoevskij annotò sui taccuini di preparazione del suo romanzo I demoni: «Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?». Segregati in seno al popolo di Dio Eppure. Fatte tutte queste abborracciate premesse (e molte altre se ne potrebbero aggiungere) resta comunque, se non ancor maggiormente acuito, il dilemma: cosa ha spinto questi uomini a diventare sacerdoti? Scorrendo le loro biografie emerge un dato abbastanza sorprendente: si tratta per lo più di vocazioni adulte. Solo uno 12 | 18 giugno 2014 | | fra di loro, l’unico di 25 anni, è entrato in seminario dopo la maturità. Gli altri sono tutti trentenni o quarantenni e due oltre i cinquanta anni. Prima, hanno fatto altro: chi l’operaio, chi il grafico, chi l’ortopedico, chi il ferroviere, chi il bancario, chi l’avvocato, chi l’ingegnere aerospaziale. Uno, persino, è stato assessore nel suo paese. Dunque, a chi fosse capitato di assistere alla Messa di ordinazione in Duomo sabato 7 giugno avrebbe avuto se non una risposta almeno un suggerimento alla domanda posta sulla decisione dei ventisei. Innanzitutto il luogo, la cattedrale, costruita nel corso di secoli grazie all’opera e alle offerte di un popolo, segno di una tradizione in cui queste vocazioni sono fiorite. Poi la celebrazione, segno che queste vite sono state formate, guidate e plasmate dentro un percorso che ha fornito parole e coscienza alla loro intuizione. Intuizione di cosa? L’ha detto Scola: «Se c’è una cosa che ci tieni uniti, che brucia di colpo ogni distanza, qualunque sia la nostra età, la nostra cultura, la nostra professione e condizione sociale, è il bisogno che Qualcuno si prenda stabilmente cura di noi». Infine l’assemblea, tanto silenziosa, ordinata e attenta durante la funzione, quanto rumorosa, allegra e spensierata fuori dalle mura del Duomo nel momen- to di festa. Urla, cori, pacche sulle spalle, sorrisi, abbracci, per oltre un’ora sotto un sole pomeridiano che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non quella gente riunita un sabato mattina d’estate per festeggiare i suoi preti. Allora queste ventisei ordinazioni non sono altro che la stella alpina cresciuta sul ciglio del burrone, su un terreno scosceso. Eppure. Eppure ci deve essere ancora qualcosa di vivo (e, forse, al di là di ogni analisi, di robusto) se fra noi qualcuno ha deciso di risalire la corrente. Con una avvertenza, come ha spiegato sempre Scola: «Non sarete mai soli. Ogni cristiano non è mai solo: i presbiteri sono segregati in seno al popolo di Dio. Tutta la vostra vita si svolgerà in seno al popolo di Dio fratelli tra fratelli. E tutti i fedeli che sono qui si assumono oggi questa responsabilità di una compagnia santa alla vocazione santa del presbitero». Ecco, ci siamo, e si torna all’inizio. Come scrive Graham Greene, non c’è altro scopo nella vita se non «diventare santi». Ma non si può diventare santi da soli. Vale per il sacerdote come per il laico. Queste ventisei vite dedicate sono come l’avvertimento di un compito che spetta a tutti e a ciascuno. Sono poche o sono tante ventisei ordinazioni? Sono ventisei. L’anno prossimo in seminario entrano in ventisette. n Foto: Itl chi l’operaio, chi il grafico, chi l’ortopedico, chi il ferroviere, chi il bancario, chi l’avvocato. Uno, persino, è stato assessore nel suo paese società periferie/2 Il curriculum di un borgataro È il regno del degrado, dove i posti si chiamano tutti Primaqualcosa o Tor di qualcos’altro. Finché un progetto per avvicinare i giovani al mondo del lavoro non scoperchia un tesoro prezioso. Fatto di ragazzi che facendo lo slalom tra monnezza e cemento si sono scoperti uomini | 14 DI monica mondo | 18 giugno 2014 | | Foto: Agf | | 18 giugno 2014 | 15 società periferie/2 16 | 18 giugno 2014 | | in viaggio Seguendo l’invito di papa Francesco Continua il nostro viaggio nelle periferie esistenziali, secondo l’espressione coniata da papa Francesco. Nel numero scorso l’inviato di Tempi Rodolfo Casadei ha raccontato la vita della tribù africana dei tupurì. ne. «Lei si sente più un leader o un follower?». Non si può cominciare così, ma sulle altre domande si può lavorare. «Come la considerano i suoi amici? Cosa vorrebbe cambiare di sé? Cosa ti porti da questi anni di scuola?». Bisogna passare al tu, stabilire un legame. L’autocoscienza, i sogni, si va sul personale, per sgretolare la scorza, il menefreghismo apparente. Sarà durissima. La scuola che ti fa lavorare prima Invece, i ragazzi rispondono. Educati, seri, gentili. Sgranano gli occhi, lasciano cadere le maschere, le difese, e raccontano, mangiandosi le unghie laccate di verde, tormentandosi il cappellino che si sono levati all’entrata, cercando la postura migliore, per nascondere l’imbarazzo e il chewing gum masticato che non sanno dove mettere. Ma raccontano, cominciando proprio dalla scuola, che non era la preferita, ma permetteva di trovare subito un lavoro, credevano i genitori. E dove hanno imparato «a stare insieme, a rispettare gli insegnanti, che si danno un sacco da fare, li rispetti per quel che sono, non per paura». Guardandola bene, questa scuola di periferia, dall’interno, non è affatto male: luce, corridoi larghi, perfino un giardi- no coperto e un bar, la palestra grande, la biblioteca e i laboratori, decine di fotografie alle pareti, e disegni, acquerelli. Passa in corridoio un ragazzo in carrozzina, accanto l’insegnante di sostegno. Le disabilità trovano posto, qui, e aiuto. Tanti stranieri, sembrerebbe. «Io sono italiano», dice Issa, un ragazzone scuro scuro, famiglia del Camerun, che ha fatto le olimpiadi di matematica, perché «ci sono portato, mi piacciono i numeri, vorrei continuare all’università». La metà non ha voglia di studiare, l’altra metà sì, e rimpiange di non aver fatto il liceo. «Perché? Spesso il liceo è un parcheggio dove si studia meno e con la strafottenza di chi si posteggerà in un altro parcheggio, dopo». Ti guardano stupiti, increduli, non ci hanno mai pensato, che loro non valgono meno. Loro, che hanno già provato a lavorare, al supermercato o al Caf, dallo zio meccanico o dall’amica parrucchiera, «perché è inconcepibile, a diciott’anni, non essere almeno un po’ indipendenti, non pesare a casa». La famiglia è un punto di riferimento, di forza, anche quando non c’è più. E si commuovono, o gridano con lacrime silenziose la separazione dei genitori, un lutto. Loro, che ce l’hanno fatta col sei a Foto: Agf Q Roma sembra finire, dopo l’ennesimo colle, dopo distese di prati, dopo le pecore al pascolo, tornano grumi di case, sempre più fitte, a formare borgate infinite. Altri paesi, altri mondi, nomi che evocano memorie pasoliniane o scenari più cupi, quando i quartieri diventavano famosi per gli attentati, i roghi e destra e sinistra erano categorie inconciliabili, tagliavano la realtà in due, e non sempre l’una era la parte dei poveri, dimenticati, e l’atra quella dei ricchi. In borgata, accadeva l’opposto. Si chiamano tutte Primaqualcosa e Tor di Qualcos’altro, periferie, cui accosti d’impulso quell’aggettivo, “esistenziali”, usato spesso da un papa, che rende così bene un mix di abbandono, ignoranza, solitudine, giardini spelacchiati, case garage e centri commerciali, vie di spaccio e annoiato bullismo adolescenziale. Si sta ai margini anche della vita, in posti così, ne sei sicuro. Dove arriva soltanto un autobus e le fermate sono ai bordi dello stradone con le erbacce e i baracchini dei nomadi, o dei venditori di fragole e fave. La scuola è l’ultimo presidio, il fortino dove la socialità è controllata, dove si tenta un rapporto con gli adulti, dove si impara a guardare il mondo, oltre i reticolati, i campi e gli sfasciacarrozze. Forse per questo l’Istituto tecnico sembra un bunker, un block da architettura sovietica. Grigio, squadrato, simmetrico, soffocante, in mezzo al nulla, a un chilometro dall’imbocco dell’autostrada. I ragazzi dell’ultimo anno partecipano a un progetto che li mette in contatto con la realtà del lavoro, devono imparare a scrivere un curriculum, a comunicare chi sono, prepararsi a un colloquio. Un’ora ciascuno, un’ora a tu per tu con diciottenni sconosciuti, strafottenti e svogliati, sospettosi, con in mano solo il prontuario del selezionatore di professiouando Foto: Agf metà rimpiange di non aver fatto il liceo. «Perché? Spesso il liceo è un parcheggio». Ti guardano stupiti. non ci hanno mai pensato che loro non valgono meno stento, qualche anno coi debiti, ma «poi mi sono impegnato, i prof mi hanno aiutato molto». «Va bene, non ti va di studiare, ma giochi nella primavera del calcio, ti alleni tre ore al giorno, sei stato un grande ad arrivare alla maturità». Mira ha rifatto l’anno, è lo scacco più grande della sua giovane vita, pensa di aver perso tutto il tempo a disposizione. «Ma se lavori tutti i sabati e le domeniche, e ogni giorno di vacanza, e devi star dietro ai fratelli, preparare il pranzo e la cena, non chiedere troppo a te stessa, ce l’hai fatta comunque, questo conta». Loro, che vorrebbero fare economia o lingue, ma non possono permetterselo, non hanno le basi e i soldi. «Basi ne avete eccome, studiate economia, diritto, fate bene due lingue straniere, un sacco di ragazzi studiano e lavorano allo stesso tempo». Coraggio, è la parola che devi ripetere più spesso. È un delitto rubare la speranza, costringere alla disillusione, alla rassegnazione ragazzi così. «La crisi, la disoccupazione, si lavora solo in nero…». I vostri nonni, ve ne hanno parlato? Sono usciti da una guerra, dalla mise- ria, erano semianalfabeti. E ce l’hanno fatta. Pensate di stare peggio di loro? Fanno cenno di no, è vero, questa crisi bisogna imparare a conoscerla, anche quando la esagerano, e sfidarla. Mediazione culturale e diplomazia Janaan sa l’arabo come l’italiano, Stella il filippino, e tutt’e due parlano inglese alla perfezione: mediazione culturale, diplomazia, ci sono opportunità concrete. Antonio vorrebbe fare il vigile del fuoco, ma è troppo timido, non lo prenderanno mai. Poi scopri che sta nei boy scout da dieci anni, che nel tempo libero fa giocare i ragazzini dell’oratorio. «Questo è curriculum, fa punti, ne terranno conto, vedrai». Mattia non ha più il papà, e quattro fratellini, vorrebbe entrare nell’esercito. «Tu sei capace di sacrificare spazi e tempo per gli altri, sei diventato responsabile e maturo per forza, secondo me sei perfetto per la vita militare». Luana vorrebbe fare l’estetista, ma anche architettura. Soprattutto architettura, confessa quasi in colpa, ma la sorella è estetista, ha un negozio. «Aiuta tua sorella e prova a studiare». Si convincono poco a poco, ed è un torrente di storie, di amicizie, di amori, di fatica. Periferie. Sono ragazzi puliti, curiosi, si commuovono se ti scappa un «devi volerti bene, sei una bella persona, vali tantissimo». Ti consegnano la vita e tu pensi ai liceali che conosci, così cinici e presuntuosi, così benestanti da non desiderare altro che la serata del prossimo sabato. Qui non hanno macchinette o moto, al massimo qualche cinquantino strausato. Le magliette firmate sono tarocche, e indulgono parecchio alle mèches biondo platino, anche i maschi, ai piercing, ai top fluo. «Leggi?». Pare un’offesa. «Mi hai detto che non riesci a esprimerti bene, che ti blocchi se devi discutere. Leggi e scrivi per essere più libero e sicuro, per avere sogni più grandi. Non importa cosa, sei della Roma? Allora va bene il libro di Rudi Garcia, perfetto. Leggi qualunque cosa». Cosa desideri di più, come ti vedi, tra dieci anni? «Una famiglia». Spiazzata un’altra volta, crollano tutte le usuali analisi sociologiche, i consuntivi statistici, gli indicatori di tendenza giovanili. Una famiglia, cioè? «Sposarsi ed avere dei figli, niente di più bello al mondo, la cosa più grande che puoi fare». Insomma, «coi miei ci litigo», oppure «loro litigano sempre», si sono pure lasciati, ma che c’entra, «è bello comunque, anche se uno non ci riesce, mica è così per tutti, no? Bisogna provarci, crederci». È la prima risposta, per tutti. Sembra impossibile. Tutto dice l’opposto, e lo dice di voi! Capite perché dovete leggere, almeno i giornali, ascoltare i tiggì? Per non farvi usare, per capire se «qualcuno vi si fila, ma sul serio». Periferie. Ieri mattina, uscendo da scuola, ho visto i papaveri. Proprio in mezzo alle erbacce, dove sgommano le macchine, sul bordo della strada. Decine di papaveri rossi, bellissimi, sotto il sole di maggio, allargavano il cuore. n | | 18 giugno 2014 | 17 chi è chi ridateci le canzonette Madonna La maturità più dura per una popstar è quella dei contenuti, dove ci si sente in dovere di sconfiggere i mali del mondo | DI laura borselli palestre, ultima filiazione del longevo e redditizio marketing del proprio brand, Madonna descrive se stessa e sprona il prossimo, come s’addice alla diva lavoratrice infaticabile che ai propri adepti chiede lo stesso impegno che pretende da se stessa. Data per morta numerose volte, risorta, liscia, riccia, bionda, mora, muscolosa, spirituale, materialista, madre modello, sposa, single. Il secondo marito, il regista inglese Guy Ritchie, fece di lei qualcosa di molto simile a una signora britannica innamorata del tartan e della campagna. È durato quel che è durato. E che fosse giusto così lo abbiamo pensato un paio d’anni fa, quando al tradizionale ballo del Met a tema punk, l’ormai ultracin- non importa quanto puoi avere ragione, quantenne si è presentata in calze a rete, a un certo punto gli appelli e le buone stiletto, shorts e giacca in tartan e parrucca nera modello Kill Bill. Lì abbiamo pen- cause fanno di te una signora sato che era quella la Madonna giusta. Lo benestante dedita al volontariato abbiamo pensato fino alla trasformazione successiva. Perché forse è questo il suo Madonna il tema lo vive a modo suo, non sti da combattere. Quelli le hanno rispotalento più genuino: farti pensare che disdegnando il ruolo di mentore delle sto dandole della nonna di Lady Gaga, l’ultima evoluzione è quella che stavi da giovani generazioni. Dal bacio lesbo con con riferimento cafone, ma non del tutBritney Spears qualche anno fa, fino al to peregrino, all’età. Come ogni star che sempre aspettando senza saperlo. «Madonna è come una dea bendata duetto con la regina della provocazione si rispetti, Madonna non ha mai lesinae le nuove generazioni del pop, da Lady di basso livello Miley Cirus. to sull’impegno sociale; siano le opere Gaga a Rihanna, sono una sua emanabenefiche per un paese africano (ha adotzione. Anzi sono i segni della stessa cul- I consigli a Katy Perry tato due bimbi dal Malawi) o, più recentura in movimento. Madonna non ha Non più tardi di qualche settimana fa temente, i progetti culturali contro ogni età. È divina. Eterna. Come i Rolling Sto- elargiva perle di saggezza a un’altra gio- forma di discriminazione. Ed è qui, in nes». Parola di Anna Dello Russo, fashion vincella del pop come Katy Perry, prota- questa selva di impegni con l’hashtag director di Vogue Giappone e fan di pro- gonista insieme a lei di un servizio foto- giusto e i retweet a spreco, che un dubvata fede, come gli amici stilisti Stefano grafico tutto pelle e tacchi a spillo su bio affiora. Che la maturità più pericoloDolce e Domenico Gabbana che con lady V Magazine dove la cantante “anziana” sa sia quella dei contenuti sociali. Perché Ciccone hanno anche un proficuo rap- regalava consigli tratti da aneddoti fami- non importa quanto puoi avere ragioporto di lavoro. E per un fan che la pro- liari: «Gli dico sempre: papà sono un’ar- ne, non importa quanto puoi essere dalclama immortale c’è sempre un detrat- tista, devo esprimermi. Non capisci. For- la parte giusta della storia, a un certo tore che l’accusa di essere il passato, but- se ora l’ha accettato. Ci sono voluti 30 punto gli appelli e le buone cause fantando sale su una ferita sempre aperta anni. Lui mi chiede: ma devi proprio no di te una signora benestante dediper una popstar del suo livello: il tem- simulare una masturbazione a letto? Sì ta al volontariato. E i riferimenti cultupo che passa. Perché se invecchiare è un papà, devo». rali che ne derivano (dalla Brigitte Barproblema per tutti, per chi ha vissuto tra Generosa con le “colleghe”, inflessi- dot animalista in giù) rendono più diverreggiseni a cono, frustini e crocifissioni bile con chi disprezza soprattutto poli- tente una cinquantenne che fa twerking sul palco la vicenda è ancora più com- ticamente. Dopo la vittoria del Front (saranno 56 il prossimo 16 agosto per la plicata e gravida di implicazioni cultura- National alle elezioni europee ha bolla- Divina Madonna) a una che inizia a legli che chiunque è pronto a scandagliare. to il partito di Marine Le Pen come fasci- gere i giornali. 18 | 18 giugno 2014 | | Foto: Getty Images «Y ou can always change». Nel motto della sua catena di Foto: Getty Images | | 18 giugno 2014 | 19 ESTERI tra terra e acqua Il mondo in un Canale Viaggio a Panama, dentro un’opera colossale e decisiva come lo fu quella che accorciò la distanza tra i due oceani cento anni fa. L’ampliamento coinvolge le imprese e le menti ingegneristiche di ogni dove. Italia in testa | Da panama rodolfo casadei Con l’ampliamento delle chiuse potranno passare dal canale navi lunghe 366 metri e larghe fino a 55 e con un pescaggio di 18,3 metri. Vorrà dire passare, per esempio, da portacontainer caricate con 4.400 unità di trasporto a portacontainer stipate con 13-14 mila container ESTERI tra terra e acqua C mai l’ampliamento del Canale di Panama si comincia a capirlo quando il fuoristrada imbocca il declivio che porta al sito di costruzione delle nuove chiuse del Pacifico, e ci si ritrova su quello che sarà il pavimento della nuova struttura. È una strada tutta sobbalzi e pozzanghere larga 55 metri, che si inoltra in un canyon artificiale per adesso lungo poco più di un chilometro. Due pareti di cemento armato a destra e a sinistra vi guardano e vi tolgono il fiato con la loro imponenza biblica. Pareti grigie, perfettamente allineate, cinquanta metri di strapiombo che fanno di ogni essere umano nei paraggi il parente di un insetto, ma per niente monotone. Ponteggi e armature le ricoprono in molte aree, vani e perforazioni di varia dimensione ma sempre geometricamente disposti ne percorrono la superficie, incisioni longitudinali e latitudinali fanno pensare a grandi lastre giustapposte. Le gru volteggiano come fenicotteri sul pantano della stagione delle piogge, che vuol dire acquazzoni a ripetizione e una permanente pellicola di umidità, 93 per cento per tutta la giornata di lavoro, turno diurno e turno notturno di dieci ore ciascuno, mai meno di 26 gradi di temperatura, spesso più di 30. E in mezzo a tutto questo, loro: gli operai, i tecnici, i muratori, i manovratori, gli autisti. Sospesi nel vuoto a far cantare i martelli pneumatici, arrampicati su impalcature che sembrano spingersi fino in cielo, intenti ad alimentare le betoniere e sorvegliare i nastri che portano il cemento, pilotanti caterpillar grandi come dieci automobili che sciamano avanti e indietro nel letto della futura chiusa, abbordando con prudenza i saliscendi del cantiere. «Le dimensioni contano. Questa è una delle opere più complesse che mi sia toccato dirigere in vita mia. Complessità della logistica, della produzione, complessità della parte elettromeccanica dell’opera, che è fuori dal comune. Un sistema così non è mai stato realizzato prima». Da sei settimane Giuseppe Quarta, ingegnere di Salini Impregilo, è direttore dei lavori, responsabile del progetto e del cantiere. I lavori di ampliamento del Canale di Panama sono una faccenda da 5,25 miliardi di dollari, che probabilmente alla fine aumenteranno a 6 o 7 a causa di costi aggiuntivi. Di questi 5 e passa miliardi la fetta più grossa, una commessa da 3 miliardi e 356 milioni di dollari, riguarda i lavori per il nuovo complesso di chiuse del canale. Chiamiamolo, per capirci, la “terza corsia” del canale. Il progetto è sta- 22 he razza di opera sia | 18 giugno 2014 | | to assegnato, nell’agosto 2009, a un con- Nella pagina sorzio internazionale che si chiama Gupc accanto, Giuseppe (Grupo unidos por el canal) formato dalla Quarta, l’ingegnere di Salini Impregilo spagnola Sacyr (48 per cento), dall’italiana direttore dei lavori Salini Impregilo (38 per cento), dalla belga e responsabile Jan De Nul e dalla panamense Constructo- del cantiere ra Urbana. Gli altri lavori di ampliamento di ampliamento riguardano l’alveo di 6 chilometri che con- del Canale di Panama, un progetto da oltre netterà le nuove chiuse del Pacifico al Cor- sei miliardi di dollari. te Culebra, la sezione del tragitto (la più Sotto, uno scorcio stretta degli 82 chilometri che si percor- dalla città vecchia e, rono per andare da un oceano all’altro) in a destra, il cantiere cui le vecchie e la nuova corsia del canale si ricongiungeranno, e opere di dragaggio sul lato dell’Atlantico come su quello del Pacifico, nel Corte Culebra e nel Gatun, il lago artificiale di 425 chilometri quadrati subito dopo l’inIl canale è attraversato gresso sul lato atlantico. ogni giorno da 38-42 navi. L’ingegnere italiano Quarta ha diretto per anni la “terza corsia” ne farà lavori in tutto il mondo –perpassare altre 10-14, ché gli italiani hanno costruito e continuano a costruire di dimensioni maggiori. in mezzo mondo, alla faccia di cinesi, francesi, spagnoli, ogni passaggio costa fra sudcoreani, eccetera – dall’Ar- i 50 e i 200 mila dollari gentina alla Cina, dagli Stati Uniti al Brasile, e quindi non si spaventa. Ma la complessità, dovuta alle misure e ai problemi logistici, è grande come lascia subito immaginare il canyon di calcestruzzo a pochi chilometri dal ponte delle Americhe. Si tratta di produrre centomila metri cubi di calcestruzzo al mese per questo sito e altrettanti per le chiuse dell’Atlantico, distribuirlo lungo la linea dell’opera qui sul Pacifico e trasportare l’aggregato con cui produrre calcestruzzo a 80 km da qui sull’altro oceano per via d’acqua, perché di là il basalto giusto non c’è; si tratta di dirigere 7.300 uomini nei due cantieri; si tratta di installare paratoie altre 30-35 metri, larghe 57, pesanti 3.300-3.700 tonnella- la anche italiano. Il progetto ingegneristite. Dopo avere costruito i loro vani su di co completo e dettagliato dell’opera è staun lato dei due nuovi canali – gigante- to steso fra Stati Uniti, Olanda, Argentina sche nicchie dove potrebbe nascondersi e Italia. Italia vuol dire Selex-Elsag, ovviaGodzilla –, perché diversamente da quel- mente Cimolai, Sc Sembenelli, Gamma le vecchie e in funzione da un secolo nel- Geotecnica, Tecnic, Lorenzon, ecc. E parle corsie attuali del canale, ad apertura la un po’ tutte le lingue del mondo perobliqua, queste sono paratoie scorrevoli, ché le cruciali componenti elettromeccache si muovono su binari. Sedici bestio- niche chiamano in causa, oltre a quelle itani, otto dei quali hanno già attraversato liane, imprese di Stati Uniti, Canada, Mesl’Atlantico, gli ultimi quattro proprio l’11 sico, Costa Rica, Panama, Colombia, Spagiugno. Made in Pordenone, negli stabi- gna, Olanda, Germania, Cina e Corea del limenti della Cimolai: una commessa da Sud. I pezzi più grossi sono le 16 paratoie 400 milioni di dollari, di cui almeno 50 se imbarcate nel porto di Trieste e le 156 valne andranno nei costi del trasporto (effet- vole che le faranno funzionare (non tragtuato dalla nave speciale semi-sommergi- ga in inganno la parola, sono aggeggi che pesano fra le 12 e le 31 tonnellate, a seconbile Sun Rise) e dell’assicurazione. Eh, sì, il nuovo canale di Panama par- da che siano grandi 4,5 metri per 4 oppu- Foto: AP/LaPresse; Rodolfo Casadei; nelle pagine precedenti: Rodolfo Casadei L’OPERA REALIZZATA fra il 1904 e il 1914 impose lo scavo di 152,9 milioni di metri cubi di terra: per caricarli ci sarebbe voluto un treno lungo quattro volte l’equatore. Stavolta i milioni di metri cubi scavati saranno 126 re 7 metri per 4,3), prodotte dalla sudcoreana Hyundai. Ci vuole tutto il mondo per realizzare un’opera che alla fine sarà paragonabile, dal punto di vista meramente materiale, al canale eroicamente scavato e attrezzato fra il 1904 e il 1914. Quello impose lo scavo di 152,9 milioni di metri cubi di terra e roccia: se si fosse caricato il materiale sulle normali piattaforme di un treno, sarebbe stato un treno lungo quattro volte la lunghezza dell’equatore. Spazio per navi più grandi Stavolta i milioni di metri cubi scavati saranno 126, che è poco meno. Si costruiranno sei nuove camere di chiuse, come sei erano, disposte diversamente lungo il percorso, quelle delle due vecchie corsie. Ma più grandi in altezza, larghezza e profondità, e qui sta tutto il senso della faccenda. Spiega Ilya De Marotta, vicepresidente dell’Autorità del Canale di Panama (Acp) responsabile per il programma di ampliamento: «Sin dal 2000, subito dopo che la gestione del canale era passata dagli Stati Uniti a Panama, ci siamo accorti che la struttura era arrivata alla sua capacità massima, e che si stava sviluppando un mercato del trasporto marittimo dal quale noi saremmo stati tagliati fuori: quello delle navi post-Panamax, cioè imbarcazioni che per le loro dimensioni non avrebbero potuto attraversare le nostre chiuse. La tendenza mondiale è a costruire navi da trasporto sempre più grandi. Così abbiamo deciso il progetto di allargamento». Panamax è la misura massima delle navi che possono attraversare il canale attuale: 294,1 metri di lunghezza per 33,5 metri di larghezza, con un pescaggio massimo di 12,8 metri. Quando una di queste navi attraversa le chiuse di Miraflores sul Pacifico, per esempio, i bordi distano dal molo a volte appena 30 centimetri: visto con i nostri occhi. Attraverso le nuove chiuse invece potranno passare, quando saranno pronte, navi lunghe 366 metri e larghe fino a 55 e con un pescaggio di 18,3 metri. Detto così, non sembra una grandissima differenza. Nella realtà vorrà dire passare, per esempio, da portacontainer caricate con 4.400 unità di trasporto a portacontainer stipate con 13-14 mila container. Quotidianamente il canale di Panama viene | | 18 giugno 2014 | 23 esteri tra terra e acqua attraversato da 38-42 navi a seconda dei periodi; la “terza corsia” farà passare altre 10-14 navi al giorno, di dimensioni maggiori di quelle che continueranno a transitare dalle vecchie chiuse. Sono parecchi soldi in più, perché ogni passaggio costa fra i 50 e i 200 mila dollari, a seconda della stazza e del tipo della nave, e a seconda che abbia prenotato oppure no. Ogni giorno vengono messi all’asta fino a 25 coupon per avere la priorità di transito. Chi ha prenotato ci mette 8 ore ad attraversare il canale, chi non lo fa ce ne mette, fra attesa e attraversamento, da 16 a 20. Il transi- della regione», spiega la De Marotta. «Non si tratta solo di far passare più navi e versare più soldi allo Stato, ma di far crescere tutto il comparto marittimo, cioè tutti i servizi relativi al traffico di navi: le attività portuali, il movimento dei carghi attraverso la ferrovia, le forniture di combustibile, le attività di manutenzione e riparazione, il mercato rappresentato da equipaggi e viaggiatori». Un toccasana per il Pil di Panama Le attività amministrate dall’Acp incidono sul Pil di Panama per una percentua- I pezzi più grossi sono le 16 paratoie imbarcate A Trieste e le 156 valvole che le MUOVERANNO. TUTTO IL MONDO è COINVOLTO to più costoso che si ricordi risale al 2010, quando la lussuosa nave da crociera Norwegian Pearl sborsò 375 mila e 600 dollari per avere la precedenza su tutti. Gli effetti sul bilancio dello Stato saranno benefici: attualmente l’Acp versa quasi 1 miliardo di dollari all’anno nelle casse del Tesoro nazionale. Nei 14 anni di gestione panamense lo Stato ha incassato qualcosa come 8,5 miliardi di dollari. Nei precedenti 85 anni di amministrazione nordamericana la Compagnia del Canale prima e l’agenzia governativa statunitense poi incaricate di gestire l’attività hanno versato allo stato panamense sotto forma di affitti e imposte non più di 1,83 miliardi di dollari, pare. L’Acp punta a quasi raddoppiare il tonnellaggio di merci in transito attraverso Panama (dagli attuali 312-330 milioni di quintali all’anno a 581) fra il momento dell’entrata in funzione delle nuove chiuse e il 2025, e a triplicare i profitti versati al Tesoro pubblico nello stesso arco di tempo. Ma questa non è la sua unica preoccupazione. «Il nostro obiettivo è mantenere Panama come il principale centro logistico 24 | 18 giugno 2014 | | le variamente stimata fra il 6 e il 10 per cento; l’autorità impiega direttamente 10 mila unità di personale, ma molte di più se si calcola l’indotto. Considerando il fatto che decine di porti atlantici dell’America del Nord e del Sud si stanno attrezzando per poter far attraccare navi postPanamax, e che di qui a pochi anni gli Stati Uniti cominceranno a esportare verso l’Asia il loro Gpl derivato dal gas di scisto, la scommessa panamense sembra poggiare su solide basi. Lo dimostra anche il fatto che ai cinesi pare sia venuto in mente un progetto da extraterrestri, che farebbe della Repubblica popolare un gigante del trasporto marittimo: creare un secondo canale fra Atlantico e Pacifico nell’America centrale, da realizzare in Nicaragua sfruttando l’esistenza di un grande lago. L’opera si svilupperebbe lungo un percorso di 288 chilometri e costerebbe la bazzecola di 50 miliardi di dollari. È anche per la minaccia potenziale del megaprogetto sino-nicaraguense che Panama vuole accelerare i tempi del suo progetto di ampliamento. Che un po’ di ritardo lo ha accumulato. Secondo il contratto firmato i lavori di ampliamento dovevano essere conclusi nell’ottobre 2014, data del centenario del canale, quindi si sono spostati i termini al giugno 2015 e finalmente al dicembre 2015. Attualmente l’intera opera è a uno stadio di realizzazione del 75,2 per cento (fonte Acp). A causare ritardi sono stati soprattutto due fatti: una controversia fra il Gupc e l’Acp all’inizio di quest’anno relativa a costi aggiuntivi dell’opera e alla loro copertura che ha prima rallentato i lavori e poi li ha completamente bloccati, fra il 5 e il 20 febbraio scorsi. Altri quindici giorni si sono persi fra aprile e maggio a causa di uno sciopero del Suntracs, il principale sindacato dei lavoratori dell’edilizia. Per quanto riguarda la controversia sui costi aggiuntivi, le parti hanno concordato di risolverla attraverso un arbitrato internazionale che avrà la sua prima sessione a settembre e che non dovrà protrarsi oltre il 2018. Questo, assieme a un bond da 400 milioni di dollari emesso dall’assicuratrice Zurich che garantisce analoga somma versata dal consorzio, ha permesso di sbloccare i lavori. Il sindacato, per parte sua, ha ottenuto aumenti salariali del 9 per cento su quattro anni per tutti i lavoratori del settore e dell’11 per cento per quelli del Gupc. Una cosa però va detta: la costruzione del canale cent’anni fa costò un’ecatombe, 22 mila persone persero la vita per incidenti legati all’uso degli esplosivi, ai crolli e soprattutto per la malaria e altre malattie. Sette anni di lavoro del progetto di ampliamento (le prime opere sono del 2007) hanno finora causato la morte di sei persone. Nei cantieri del Gupc non può succedere di vedere un’immagine come quella in bianco e nero che si incontra nel museo del Canale alle chiuse di Miraflores: un afroamericano che lavora in giacca e cravatta, la testa scoperta senza protezioni e i piedi perfettamente scalzi. n Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t Tempi Leggi il settimanale sul tuo tablet AT&T Aggiorna Beppe Grillo e Casaleggio? Meluzzi: «Il M5S è una setta messianica e millenarista» di Francesco Amicone Tempi.it Il quotidiano online di Tempi Tempi Mobile di Luigi Amicone Le notizie di Tempi.it sul tuo smartphone Bergomi e Spagna ’82: «La forza era il gruppo. Come nella Nazionale di quest’anno» di Luigi Amicone di Luigi Amicone Nazionale di quest’anno» era il gruppo. Come nella Bergomi e Spagna ’82: «La forza di Luigi Amicone per la famiglia» le magnifiche giornate milanesi Papa: «Come ho vissuto di Carlo Candiani Seguici su «Una follia anche economica» Bologna, referundum anti-paritarie. di Antonio Simone del nuovo compagno di cella Simone: Il segreto (rivoluzionario) TUTTI GLI ARTICOLI di Oscar Giannino di religione spread, ormai è una guerra Giannino: Altro che debiti e CULTURA UN INCIDENTE SORPRENDENTE Pubblichiamo alcuni stralci dell’introduzione di Capriole cosmiche (Lindau), in libreria da questa settimana. I sarebbe incline ad accettare di buon grado la norma urbanistica, sempre più dilagante, che dissemina rotonde ovunque. Non lo nego, gli incroci mi spaventano, soprattutto quando vanno attraversati. Però devo ammettere che grazie a un incrocio imprevisto è giunta sulla mia via una svolta provvidenziale. Finito il liceo, ho imboccato la strada della mia passione per Dante: laurea e dottorato li ho dedicati alla Divina commedia. Si sa, una volta chiusa la porta di Lettere non si apre il portone di un contratto a tempo indeterminato, piuttosto si entra nel tunnel di un precariato indeterminato. Nel mio caso questo periodo è coinciso con il matrimoniale e la maternità. Le statistiche mi avrebbero relegato nel ripostiglio dei disoccupati a vita: la cultura non garantisce un reddito e la famiglia è un’obiezione al lavoro. Falso, ma vero. È falso che la formazione umanistica e la costruzione di una famiglia siano obiezioni alla presenza operativa e creativa di una persona dentro la società. Eppure ho sentito un grande attrito attorno a me, un messaggio chiarissimo, anche quando implicito, sul fatto che chi scommette sulla poesia e sui figli non è una risorsa. (…) l mio carattere timido IL LIBRO DI ANNALISA TEGGI Guardare il mondo a testa in giù Rileggere Dante con gli occhi di Chesterton. E correre il salutare rischio di vivere una giornata storta. In cui l’alba parla di fatica, il pomeriggio di avventure e il tramonto di una gioia inaspettata Mi si presentava un’opportunità concreta, ma dovevo abbandonare la strada vecchia per una nuova. Sapevo cosa lasciavo e ignoravo in chi stavo per imbattermi. Il signor Chesterton non è un uomo garbato, se prende qualcuno per mano come minimo lo strattona. Ma non è violenza, è entusiasmo. Il suo pensiero è ospitale: la sua è un’identità che si fa chiara abitando nella fucina del dibattito col mondo. E lo stesso si può dire di Dante, che ci ha lasciato un poema in cui il protagonista riconquista la propria «diritta via» immedesimandosi nell’esperienza di numerosissimi uomini e donne, incontrandoli nel profondo del loro dolore tanIN LIBRERIA to quanto al sommo della gioia. L’impressione di una similitudine radicale tra questi autori si è fatta strada nella mia testa con intensità crescente. Col tempo mi sono resa conto che non c’era una strada vecchia e una nuova, bensì un percorso unitario. (…) Non esistono fatti neutri Non esistono fatti neutri, ogni evento incide il nostro vissuto; letteralmente, tutto quel che capita è un incidente e un’occasione. Gl’incidenti di norma s’impongono in modo brusco, ma anche un’occasione somiglia a un agguato, ha un’irruenza pari a quella di una strada che ne taParadossali capriole glia perpendicolarmente un’altra. In un caso e nell’altro lo spa- CAPRIOLE In compagnia di Chesterton è COSMICHE zio della vita cambia e si allarga, Annalisa Teggi facile che la vista su certi luoperché lì dove due linee s’incon- Lindau ghi comuni si ribalti. Mettersi a trano si apre un angolo. A un 16 euro guardare le cose da una prospetcerto punto sulla linea retta deltiva inusuale è proficuo, e tecnila mia vita si è intromesso qualcosa, inci- camente Chesterton ci riusciva usando il dente e occasione insieme. Sulla mia scri- paradosso, che è come fare le capriole. A tevania, piena di appunti e progetti dedicati sta in giù non si vedono cose diverse, ma a Dante, è precipitata un’altra imponente si vedono diversamente le stesse cose; è anfigura umana. La scelta del verbo “precipi- che la posizione più adatta per capire cotare” è voluta. In barba a i miei bellissimi sa sta veramente in piedi. (…) Forse l’abitue astratti progetti danteschi, la prima ve- dine al paradosso mi ha preso la mano; di ra proposta lavorativa che ho ricevuto con- certo le capriole in compagnia di Chestersisteva nel tradurre un poema epico dello ton mi hanno fatto riprendere in mano il scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton. poema dantesco guardandolo in modo ca- povolto. Ci si può azzardare a dire che la Divina commedia sta in piedi perché è a testa in giù. Tentare di mettere a fuoco quest’idea è il cammino che mi propongo di fare in queste pagine. A volte sono gli eventi a buttarci gambe all’aria, a volte è la bellezza a farci fare salti acrobatici, a volte è qualcuno a spingerci su un’altalena. In tutti questi casi l’effetto fondamentale è che le cose attorno ruotano fino a capovolgersi e tutto diventa strano, non importa se in positivo o negativo. Strano, questo è l’importante. (…). Anticipare il lieto fine all’inizio, oltre che apparire come un nonsenso, equivarrebbe a negare ogni possibilità di evoluzione e di interesse per la trama… ma forse un bravo narratore può sorprenderci e smentire tutto ciò. E Dante ci riesce perfettamente. So che si è diffusa l’idea che la Divina commedia cominci con un uomo che si è smarrito in una selva, ma quello che accade davvero non è la storia di qualcuno che si è perduto, ma di qualcuno che è stato trovato. (…) Siamo soliti dire di un giorno in cui le cose non sono andate bene: «Ho avuto una giornata storta». Anche Dante potrebbe dire la stessa cosa del suo viaggio: si è risvegliato smarrito e niente di ciò che gli è accaduto dopo ha seguito i suoi progetti. Tutto, alla fine, è andato per il meglio, ma non nel modo in cui il protagonista se lo immaginava. (…) Essere costretti a seguire una strada non preventivata può essere la salvezza. Una giornata così, storta e capovolta, è un incidente sorprendente e una straordinaria occasione: un uomo può svegliarsi sentendosi al tramonto della vita e andare avanti fino ad assistere a un’alba inaspettata quando è sera inoltrata. | | 18 giugno 2014 | 27 SPORT GUIDA ALLA COMPETIZIONE È solo toda joia e toda beleza A me il mito del Brasile non convince. Nessuno mi comprende. Ci sono i ritardi, l’élite degli snob e il solito dilemma della copula in ritiro. Però il Mondiale è iniziato. Quindi compagni, amici e bastardi, forza Italia. Sempre e comunque | 28 DI FRED PERRI | 18 giugno 2014 | | Foto: AP/LaPresse | | 18 giugno 2014 | 29 SPORT GUIDA ALLA COMPETIZIONE Brasile. I miei amici di Sky lo chiamano il Mondiale dei Mondiali. Mi viene da ridere. Cosa vorreste dire, compagni satellitari, che è più importante degli altri perché si gioca in Brasile o pais do futebol? Vi viene da ridere anche a voi, però comprendo e tengo pure io una famiglia numerosa. C’è da vendere un prodotto e se avessi da proporre un pacchetto di 64 partite mi adeguerei di corsa. Da cosa si capisce che sta arrivando il Mondiale? In tv scorrono le immagini del passato, dal gol di Tardelli a quello di Grosso. Una pubblicità racconta di un tale che ha abbracciato suo padre al gol di Tardelli e suo figlio a quello di Grosso. In mezzo, da Madrid 1982 (santo beato Paolo Rossi) a Berlino 2006 (santo beato Fabio Grosso), tra una sconfitta e l’altra, invece, ha mandato a cagare sua madre e menato sua moglie. Un altro segno sono i libri a sfondo calcistico. Di ogni segno, di ogni argomento. Spesso pertinente, spesso no. Meglio la seconda. Comunque quando leggerete queste poche, sporche, ciniche, bare e inutili righe, il Mondiale sarà appena cominciato. Forse. In Brasile stanno ancora finendo di saldare pezzi di ferro e di piantare chiodi, i sindacati usano i Mondiali per strappare concessioni al governo, a San Paolo la metropolitana è in tilt e la polizia spara i lacrimogeni. C’è un ritardo pazzesco. Certo, noi è meglio che stiamo zitti. Siamo specialisti nell’arrivare con l’acqua alla gola, poi però, in quel mese siamo perfetti. Mi ricordo ancora, giovinastri, che nel 1990 passavano delle gnoccolone in tribuna con vassoi straboccanti di scaglie di parmigiano o con piccoli frigoriferi da cui estraevano cornetti cuore di panna che ti veniva in mente di mollare l’inutile partita e chiedere all’hostess topesca di fare uno spot. Sarà tutto meraviglioso anche qui, una volta comin- 30 | 18 giugno 2014 | | ciato? Mah. Il problema è che quando si accetta di organizzare una manifestazione come Mondiale o Olimpiade, ritardi e sforamenti del budget li devi mettere in conto. Quando il Brasile ha avuto i Mondiali il real (posso dire che il cruzeiro mi intrigava di più) scorreva quasi a fiumi, adesso invece è missing in action. Non c’è più uno sgheo. La vigilia di Mondiale è stata tutta uno sciopero, una dimostrazione, un modo per ottenere un aumento o fare casino contro il governo della senhora Dilma che in autunno avrà una verifica elettorale. Mentre mi leggete la palla ha cominciato a rotolare e probabilmente tutto si sarà risolto. O forse no. Piccola guida per non farvi cogliere impreparati. Il (falso) mito del Brasile. Quando dico che vado in Brasile le reazioni sono due: gli uomini tirano fuori la lingua alla Fan- tozzi, citano Pelè e i tanga di Copacabana; le donne cominciano a spappolarmi con il turismo, il mare, i misteri di Salvador de Bahia e la chirurgia estetica. Nessuno comprende la mia riluttanza a coinvolgermi nell’entusiasmo che il Brasile suscita universalmente. Il Brasile è grande e diversissimo anche nel carattere della gente che lo abita. A me, per certi versi, ricorda un po’ la Russia, solo più simpatica, più toda joia e toda beleza, però con lo stesso atteggiamento nei confronti del resto del mondo: un misto di superiorità diffusa e di sospetto latente. E non è neanche vero che qui giochino a pallone a ogni angolo di strada. Finora ho visto solo una biciclettata e gente che va in skate. Ad esempio, a Manaus, in mezzo alla Foresta amazzonica, non c’è una squadra di futebol degna di questo nome; però hanno costruito uno stadio dove dopo il Mondia- Foto: AP/LaPresse A h, il Dopo un pre Mondiale sottotono (due pareggi con Lussemburgo e Irlanda, una vittoria con Fluminense), l’Italia esordirà sabato 14 giugno alle ore 24 contro l’Inghilterra Mondiale di calcio o Olimpiade che sia. E pianificano la fuga. Ci sono anche qua. In molti sono partiti o stanno partendo per l’estero o per una delle Capalbio locali, tipo Angra dos Reis. Sdraio, ombrellone, quintalata di libri “giusti”, nessun collegamento con radio, tv o, peggio, siti specializzati. Il Mondiale? Una faccenda da buzzurri. La mia compagna di viaggio, sull’aereo, che ho odiato subito perché ha dormito nove ore filate salvo svegliarsi con tempismo perfetto per pranzo e spuntino, alla parola Mondiale mi ha guardato schifata. E poi ti raccontano che i brasiliani non pensano ad altro. Foto: AP/LaPresse le si terranno i campionati dei piranha (c’è un ospedale apposta che cura chi si è “incontrato” con i simpatici pescetti) e delle pantegane che girano in mezzo alla strada tranquille. Una cosa però è positiva. Il carro del vincitore qui non è mai affollato. Al limite c’è un assalto nell’immediato del successo, ma se l’allenatore sta lì, dopo, la discesa è altrettanto immediata. Insomma, non cambiano la loro idea di calcio solo perché hanno vinto. Todos a Capalbio. Chi c’era nel 1990, notti magiche inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana (ma ai rigori vinciamo solo una volta su cinque), ricorderà quel refolo di snobismo sinistroide contro il Mondiale dei coatti (cioè di tutti quelli che non erano loro), contro le serate a birra e pizza, contro le sortite notturne in canotta unta e bandiera slabbrata, con- Una pubblicità racconta di uno che ha abbracciato il padre al gol di Tardelli e il figlio a quello di Grosso. In mezzo, tra una mazzata e l’altra, avrà mandato a cagare sua madre e menato la moglie tro la vita pubblica (e anche privata) invasa da gol e cross, assist e contropiedi. Nacque il grido intellettuale “tutti a Capalbio” che divenne, da allora, il luogo mitico dove il pensatore, l’intellettuale de sinistra si ritira per rinserrare le fila di un élite insidiata dalle masse. Poi, girando per il mondo, abbiamo capito che ognuno ce l’aveva, la sua Capalbio, perché non tutti, e ci mancherebbe, si sentono coinvolti dal Sesso, biliardino e rock and roll (in ritiro). Sempre ultimi arriviamo. L’arancia meccanica dell’Olanda, negli anni Settanta, si fondava sul calcio totale e sulle porte aperte alle compagne, alle mogli, a di tutto un po’, in stile olandese. Forse pure a qualche canna. Non vinsero nulla, però giocarono due finali con un calcio divertente ed estremo e, soprattutto, ci diedero dentro. Cambia qualcosa? Secondo una corrente di pensiero sì: i giocatori sono più tranquilli potendo incrociare, nella zona comune del buen retiro di Mangaratiba, il proprio figlioletto o la propria compagna con cui, dopo permesso del c.t. e soprattutto dopo una partita possibilmente vinta, copulare arzilli in modo da caricarsi. Mah. Premesso che sono sempre favorevole (alla copula) la questione è capire se veramente gioverà. Non lo sapremo mai: se Prandelli fa il miracolo diventa un genio, altrimenti avrà buttato via il Mondiale per scopiazzare gli olandesi. E, ovviamente, l’esperimento verrà bocciato. È il modo di ragionare sul calcio italiano di noi italiani, bellezza. Tifosi della domenica. Questo lo dico a ogni grande manifestazione: siamo i peggiori tifosi del mondo. A parte qualche | | 18 giugno 2014 | 31 SPORT GUIDA ALLA COMPETIZIONE CALENDARIO E CURIOSITà Per dimenticare il tragico 1950 e inscenare un carnevale fuori stagione al Maracanã piccola eccezione (ne conosco di pazzi), nessuno è disposto, come fanno gli inglesi, a programmare venti giorni di trasferta per seguire la nazionale. Non esiste il turismo per tifo. Esiste solo, per chi se lo può permettere, la toccata e fuga per una partita, ma dalla semifinale in poi. «Caro, mi trovi un biglietto?». Ecco, essendo il Brasile dall’altra parte dell’Atlantico forse ci saranno meno questuanti. Però resta il fatto che dovremmo interrogarci su cosa siamo e cosa vogliamo dal calcio. Gli inglesi e gli olandesi sono partiti in massa, all’avventura. Noi siamo tifosi della domenica, comodi, senza senso della sfida. E questo è un modo di capire perché, anche in altri aspetti della vita, arranchiamo dietro agli altri. L’Italia e le altre. Un po’ di calcio. Dopo il flop in Sudafrica, il primo step (vi autorizzo a sputarmi appena mi incontrate) è passare il primo turno. Non sarà facile visto il gironcino che, per salvare la Francia, ci hanno imbandito: Inghilterra, Costarica, Uruguay. Io dico che almeno ai quarti dobbiamo arrivare. Per storia e tradizione tra le prime otto ci dovremmo stare sempre. Poi si vedrà. È un’Italia così così, ma da quando ho visto Cristian Zaccardo e Simone Barone campioni del mondo (con tutto il rispetto per gli uomini e i professionisti), posso affermare, senza timore di essere smentito, che il Mondiale può vincerlo chiunque. Il favorito numero 1 è il Brasile, anche se ha contro la statistica: il c.t. vincente, in questo caso Felipão Scolari, non riesce mai nel bis. Ma le statistiche sono fatte per essere cambiate. C’è la solita Spagna, c’è la Germania che tra le prime quattro arriva quasi sempre, c’è l’Argentina che, però, mi sembra forte davanti ma non eccezionale dietro. Poi c’è l’incognita, la sorpresa che rende il calcio affascinante. Si attende un’africana in semifinale. Si attende dal Camerun del 1990 che ci andò vicinissimo. 32 | 18 giugno 2014 | | 1950-2014. Dopo oltre sessant’anni il Mondiale torna in Brasile per la sua ventesima edizione. Prima di scendere in campo, ecco alcuni dati e curiosità che ci aiuteranno a seguire meglio gli azzurri nella loro missione verdeoro. Ma quanto hanno speso? La stima parla di 14 miliardi di dollari (il più costoso di sempre) per la realizzazione ex novo o ristrutturazione degli stadi e la costruzione di altre infrastrutture (ferrovie, aeroporti, autostrade). Prima di oggi il record apparteneva a Germania 2006 (6 miliardi di dollari). 31 giorni di full immersion su Sky, Mediaset Premium e Rai. Qui si potranno seguire tutte le partite della nazionale azzurra. La gara inaugurale (Brasile - Croazia) si giocherà giovedì 12 giugno all’Arena di San Paolo, il nuovo stadio del Corinthians, realizzato per l’evento. La finale, il 13 luglio, al mitico Maracanã. Lo stadio di Rio De Janeito era stato inaugurato per l’edizione del 1950. Alla finale (Brasile-Uruguay 1-2) erano presenti quasi 200 mila spettatori convinti di partecipare a una festa e che invece si ritrovarono in mezzo alla tragedia. Al termine del match molti brasiliani impazziti per il dolore si suicidarono. Il giorno dopo la terribile sconfitta i giornali brasiliani titolarono Un Mondiale per uomini duri. Mai come quest’anno i giocatori sono arrivati stanchi, acciaccati, malaticci al Mondiale. Secondo Sepp Blatter (vedi punto successivo) si gioca troppo, specialmente in Europa, e la stagione è dispendiosa. Già sentito, è un serpente che si morde la coda. Si gioca troppo, si gioca a tutte le ore, perché così viaggiano i soldi di tv e sponsor. Giochi di meno, guadagni di meno. Tutto il resto è un cicaleccio inutile. Comunque, a parte quelli che sono I GIOCATORI SONO ARRIVATI STANCHI E ACCIACCATI. BLATTER DICE CHE SI GIOCA TROPPO. SOLITA SOLFA: SI GIOCA SEMPRE PERCHé COSì VIAGGIANO SOLDI E SPONSOR. GIOCHI MENO, GUADAGNI MENO. SEMPLICE rimasti a casa – ultimi a cadere Ribery e Reus – quelli arrivati qui non stanno benissimo. Da Messi e i suoi conati a Suarez e il suo ginocchio in via di guarigione, ogni squadra ha i suoi problemi. Poi ci saranno i cambi di fuso e di clima, dalla Foresta amazzonica al Rio Grande do Sul, dove certe sere ti devi mettere il piumino. Tutte le squadre si attrezzano. Vincerà chi si reggerà in piedi meglio e più a lungo. “Nunca mais”, mai più un dolore simile. Oggi i posti a sedere sono “solo” 76.800; i brasiliani sognano da tempo di mettere in scena un carnevale fuori stagione. L’Italia esordirà sabato 14 giugno alle ore 24 contro l’Inghilterra. Il secondo match è venerdì 20 alle ore 18 contro la Costa Rica. L’ultimo martedì 24, ore 18, contro l’Uruguay. In caso di passaggio del turno come prima del girone, l’Italia tornerà in campo domenica 29 alle ore 22; come seconda, sabato 28 alle ore 22. Quarti di finale il 4 e 5 luglio; l’8 e il 9 le semifinali; il 12 la finale pre il terzo posto; il 13 alle ore 21 la finalissima. L’inamovibile Sepp Blatter. Il colonnello di Visp, 78 anni, governa il calcio mondiale dal 1978. È passato attraverso scandali, inchieste, accuse, scivolate (quando fece l’imitazione di Cristiano Ronaldo in tv, inimicandosi il Real Madrid). Come diceva mio nonno: se uno non si muove da dove sta vuol dire che ci sta bene e soprattutto che a qualcuno conviene che stia lì. La Fifa, come il Cio, il comitato olimpico internazionale, muove cifre e interessi mostruosi e solo gli ingenui possono credere che chi siede in quegli scranni dorati lo faccia solo per amore dello sport. C’entrano come sempre, soldi e potere. Basta vedere dove i dignitari Fifa alloggiano, come si spostano, la vita che fanno. Sepp Blatter non vuole mollare, ma forse sono quelli che vivono alla sua ombra che non vogliono novità, non vogliono Michel Platini che vuole cambiare molte cose. Nel bene e nel male, Michel è pericoloso. E i cambiamenti, nel calcio, non sono mai ben visti. Invece Blatter è il garante del movimento lento, dell’avanti adagio. La sua fortuna e la fortuna di tutti quelli come lui è che, finché il pallone rotola, il popolo segue quello. E si disinteressa della politica. Esattamente come sta succedendo ora che il Mondale è cominciato. Quindi, fuori la canotta del 1982 e la birra del 2006, fuori la bandiera con lo stemma dei Savoia. E forza Italia, compagni, amici e bastardi. Sempre e comunque. n L’ITALIA CHE LAVORA Le meraviglie DEL VETRO Da nonno Grassi al nipote Alessandro. Una famiglia di artigiani che si è fatta conoscere grazie a opere straordinarie che decorano cattedrali e case private di tutto il mondo. E che nella bottega milanese custodisce i segreti di un mestiere millenario U Questo si scopre entrando nella bottega milanese del maestro vetraio Alessandro Grassi. Basta aprire la porticina e scendere pochi scalini per trovarsi in uno scrigno prezioso, custode di ricordi e segreti artigiani che risalgono alla fine del 1800: «L’attività di famiglia è iniziata con mio nonno Alessandro che da giovane partì alla volta della Francia per studiare alla scuola delle Belle Arti di Parigi. Un giorno decise di far visita alla famosa Cattedrale di Chartres, non molto distante dalla capitale, e lì s’innamorò delle sue vetrate, bellissime e famose in tutto il mondo. Quella visione lo folgorò». Alessandro è un ragazzo sveglio. Comincia a studiare il metodo francese per realizzare quei gioielli in vetro e la sua determinazione lo spinge a suonare il campanello di una ditta che gestiva la manutenzione delle vetrate di Chartres: «Riuscì a farsi assumere – racconta il nipote Alessandro – e quel lavoro gli cambiò la vita. Le vetrate di Chartres sono come quelle del Duomo di Milano: hanno bisogno di restauri e sopralluoghi continui. Fu proprio grazie al lavoro di manutenzione che imparò tecniche innovative e le portò in Italia». Il nonno Grassi apre una fabbrica di vetrate giovandosi dell’esperienza d’oltralpe: «Aveva lavorato con i pittori più famosi dell’epoca e conosceva alla perfezione la tecnica francese: vetro soffiato a bocca, tirato a mano e grisagliato a gran fuoco, come facevano nel periodo gotico». Alessandro insegnò l’arte al figlio Florindo che nel 1947, al termine della Seconda Guerra mondiale, riprese l’attività cominciata dal padre: «Io ho iniziato a frequentare il laboratorio quando avevo 10 anni. La mattina andavo a scuola e il pomeriggio affian- 34 | 18 giugno 2014 | | na piccola porta spesso può nascondere un tesoro. Nella foto grande, il maestro vetraio Alessandro Grassi (77 anni) al lavoro. Suo nonno Alessandro, dopo aver appreso i segreti del mestiere in Francia, lavorando alle vetrate della cattedrale di Chartres, ha aperto la sua bottega a Milano alla fine del XIX secolo cavo mio padre». Oggi Alessandro ha 77 anni e la sua intera vita l’ha trascorsa in questa bottega. A raccontare dei suoi lavori e dei suoi successi sono le pareti, colme di premi, riconoscimenti, foto che raccontano di imprese titaniche, spesso dall’altra parte del mondo: «Questo lavoro mi ha regalato le più grandi soddisfazioni che un uomo possa ricevere, dall’Ambrogino d’oro alla realizzazione delle vetrate della Cattedrale di Singapore. Se chiudo gli occhi posso ancora sentire il rumore di 4 mila persone che battono le mani il giorno dell’inaugurazione». Spiegare l’arte del maestro vetraio è tutt’altro che scontato: «Il lavoro è equamente diviso tra una forte componente artistica e una tecnica. La mia è un’arte applicata: la parte pittorica è importante per i progetti, le decorazioni, le realizzazioni; ma la parte tecnica è altrettanto indispensabile perché si tratta di scegliere il vetro colorato, assemblarlo, tagliarlo e legarlo. È un mestiere dove la manualità è fondamentale, ma se mancano testa e cuore il risultato non sarà mai perfetto». Il curriculum del signor Grassi è pressoché infinito, come lunghissima è la lista delle opere realizzate: «Ho creato le vetrate per otto cattedrali cattoliche in giro per il mondo e ho rappresentato spesso l’Italia all’estero. Noi sottovalutiamo quanto l’artigianato made in Italy sia amato nel mondo. Tutti vogliono un prodotto italiano nelle loro chiese, nelle ville, nei musei». La formazione dei ragazzi Tra le esperienze che Alessandro ricorda con maggiore trasporto c’è l’insegnamento: «L’Unione Europea mi ha chiesto di tenere un corso di vetrate artistiche della durata di sei mesi. Ho accettato molto volentieri e ho formato 18 ragazzi. È stata una bellissima esperienza. Com’è facile immaginare, per questo lavoro non esistono scuole e l’arte s’impara solo dagli artigiani». Il tono cambia improvvisamente e da allegro e vivace si fa serio, segno che si è toccato un tasto dolente: «Ormai da anni non faccio altro che ripetere ai | | 18 giugno 2014 | 35 L’ITALIA CHE LAVORA Sopra, una vetrata dell’arcivescovado di Milano. A sinistra, in alto, la vetrata della cattedrale Abidjan di San Paolo in Brasile; sotto, quella realizzata per il duomo di Singapore miei colleghi che è necessario aprire le botteghe e fare spazio ai giovani. Loro rappresentano il futuro dell’artigianato. Nel 2000 sono stato eletto presidente del comitato direttivo dell’“Artigianato in Fiera” di Milano – lo sono stato anche nel 2001, nel 2013 e lo sarò anche nel 2014 – e nei miei discorsi d’inaugurazione ho sempre parlato della necessità di tramandare la nostra arte alle nuove generazioni. Ai politici ripeto senza sosta d’incentivare la creatività dei nostri giovani e di permettere loro d’imparare un mestiere». E cioè creare le condizioni che permettano agli arti- «ho lavorato coN i detenuti di san vittore e bollate. sono riuscito a formare uno di questi. ora ha avuto il permesso di uscire e ha aperto la sua bottega. È un buon inizio» giani di formare i ragazzi e ai giovani di frequentare i laboratori: «Io non voglio niente, non voglio essere pagato ma non posso sostenere costi. Sono più che felice d’insegnare i trucchi del mestiere ai giovani che vengono qui, se sono bravi diventeranno miei dipendenti o riusciranno ad aprire una propria azienda, se non lo sono capiranno di non avere la stoffa per diventare artigiani, ma avranno comunque avuto un primo approccio con il mondo del lavoro. In Italia ci sono un milione e mezzo di artigiani, se a ognuno di noi fosse permesso di avere anche solo un dipendente da formare a costo zero toglieremmo dalla strada milioni di ragazzi disoccupati». 36 | 18 giugno 2014 | | La formazione per Alessandro è importantissima e la sua voglia di tramandare le sue conoscenze lo ha spinto sino alle porte di alcune carceri lombarde: «Ho collaborato con la casa circondariale di San Vittore e con Bollate. In quest’ultimo carcere ho conosciuto un detenuto. L’ho seguito, l’ho formato, gli ho fornito del materiale e adesso è diventato abbastanza bravo da poter fare da solo i suoi lavori. Lui ha trovato nelle vetrate artistiche una ragione per andare avanti. Adesso ha avuto il permesso di uscire e ha messo su una ditta, fa delle piccole cose, ma è felice. Questo è un buon inizio. Il mio prossimo obiettivo è iniziare una collaborazione con i detenuti di Opera, dove di recente ho restaurato alcune vetrate. Il mio approccio è semplice: proietto i miei lavori, cerco di catturare l’attenzione dei detenuti e poi gli do del materiale per poter fare dei lavoretti e incentivarli a dedicare le loro energie a questo lavoro». La quarta generazione Oggi con Alessandro lavorano circa quindici dipendenti, «e sono fortunato perché continua la tradizione familiare. C’è mia figlia Barbara e il mio genero. I nipoti sono ancora piccoli ma il gene familiare promette bene: chissà che un giorno non decidano di imparare il mestiere». Passeggiare nella bottega Grassi significa immergersi nella storia: ci sono vetrate del 1500, eredità del nonno, e lavori recenti, in bilico tra il sacro e il profano, tra il restauro e l’opera inedita. «Mettere le mani sulle vetrate antiche ti fa rendere conto della maestria di chi ti ha preceduto. Nel 1300 non c’era la chimica, non c’era la corrente elettrica eppure sono nate opere straordinarie. Bisogna prendersene cura con rispetto e amore, perché in loro sono custodite le gesta dei personaggi che le hanno create». Alessandro ha avuto la responsabilità di restaurare le vetrate del Duomo di Como e di Milano: «Il vescovo di Como si è commosso quando è salito sul ponteggio per vedere il lavoro ultimato. Prima le vetrate erano nere per il fumo delle candele e noi siamo riusciti a riportarle allo splendore iniziale. Di Milano ho ricordi bellissimi. Quando ho restaurato le sue vetrate ho avuto la fortuna di prendermi cura della storia sacra della mia città. Quando visito il Duomo con i miei nipoti sono orgoglioso di potergli raccontare di aver contribuito a preservare la bellezza di questo tesoro». Paola D’Antuono STILI DI VITA CINEMA dall’expo al mose. cambiare si può Fuori i ladri dai grandi progetti PRESA D’ARIA di Paolo Togni L e recenti vicende collegate al Mose, con la lunga catena di arresti e incrimina- zioni, sollecitano risposta all’interrogativo: è possibile realizzare grandi opere senza incorrere in reati e corruzioni? Certo vi posso dire che è stato possibile in passato, e deve essere possibile anche per quegli interventi (Expo, Mose), che sono i primi di grandezza significativa dopo oltre cinquant’anni di immobilismo delle istituzioni. Ricordo che per ritrovare gli ultimi grandi lavori occorre risalire a quelli per le Olimpiadi del 1960, che rifecero Roma e le permisero di sopportare lo sviluppo impetuoso che ha avuto fino al 2006. I lavori realizzati furono molti e importantissimi: il Villaggio Olimpico, la Via Olimpica, il viadotto di Corso Francia, il Palazzo dello Sport, il Palazzetto, i Lungotevere, il Muro Torto, il Velodromo, la sistemazione dello Stadio Olimpico e del Flaminio, la Via dei Papi, le sponde del Lago d’Albano e la funicolare; a Napoli i porticcioli, le strutture per la vela e lo Stadio San Paolo; l’aeroporto di Fiumicino. E scusate se è poco. Tutte queste attività furono svolte senza dar luogo a rilievi degli organi di controllo; solo per l’aeroporto una manovra politica interna alla Dc causò una commissione di inchiesta che si concluse con le più ampie assoluzioni. Per il Mose all’origine dei problemi sta la legge 789/84, che stabilì la concessione automatica e senza gare di tutti i lavori in laguna IL CASO DELLE OLIMPIADI DI ad un soggetto privato, il Consorzio Venezia Nuova, garante ROMA DEL 1960 DIMOSTRA CHE, Quando vogliamo, noi italiani con il suo consociativismo degli equilibri politici ed economici. facciamo cose straordinarie. Sull’operatività di questa strutIl problema SONO I delinquenti tura sarebbe interessante ascolche si infiltrano per fare tare il senatore Zanda, che ne fu presidente dal 1986 al 1995, gli affari propri quando la lasciò per andare a presiedere l’agenzia per il Giubileo, operante secondo norme straordinarie. Al di là dei confronti con le realtà attuali, varrà la pena notare che i lavori per le Olimpiadi vennero .svolti senza far ricorso a norme emergenziali; che stazione appaltante per i lavori fu sempre lo Stato, direttamente o tramite i suoi uffici od organi ordinari; che i lavori furono completati in meno di tre anni; che gran parte degli stessi sta ancora svolgendo egregiamente le proprie funzioni; che la città di Barcellona, per le Olimpiadi del 1992, colà celebrate con straordinario successo, dichiarò espressamente di volersi ispirare al “modello Roma”. Quando vogliamo, noi italiani siamo molto bravi e facciamo cose straordinarie. Il problema è costituito dai delinquenti che si infiltrano per fare gli affari propri. Non dico con la mannaia, ma bisogna trovare il modo di farli fuori. [email protected] HUMUS IN FABULA SOSTENIBILITà Cloros e Avsi in aiuto del Mozambico Cloros, società italiana specializzata in servizi alle aziende dedicati alla sostenibilità, presenta il progetto “Improvement Cooking Stoves in Maputo”, realizzato con il contributo tecnico della sua partecipata Carbon Sink, spin-off dell’Università degli Studi di Firenze. Questa importante iniziativa, resa possibile gra- 38 | 18 giugno 2014 | | zie alla collaborazione con Avsi, prevede la distribuzione di 15 mila sistemi di cottura efficienti a 7.500 famiglie che vivono in due quartieri di Maputo, capitale del Mozambico. La durata complessiva del progetto, iniziato a gennaio di quest’anno, sarà di 7 anni. Le popolazioni locali usano sistemi altamente inefficienti che bruciano carbone per la cottura dei cibi. I nuovi piani di cottura utilizzeranno la metà del carbone a parità di cibo preparato. La finalità dell’iniziativa è quella di migliorare le condizioni di vita e di salute della popolazione lo- 3 days to kill, di McG Un Kevin Costner da riscoprire A Parigi, un ex agente della Cia è diviso tra il difficile rapporto con la figlia adolescente e la caccia ai cattivi. Onesto film di genere che sbanda pericolosamente nel finale. Ha due cose molto buone: Kevin Costner, attore sfigatissimo ma capace, castigato da Hollywood che non gli ha mai perdonato il flop di Waterworld, per anni ha vivacchiato tra comparsate in pubblicità, b movie e poco altro. Qui lui funziona in un ruolo autoironico e muscolare (la con- HOME VIDEO Sotto una buona stella, di Carlo Verdone Dolce e amaro Dopo la morte della ex moglie, un uomo di mezza età si ritrova in casa i figli che non vedeva da anni. Commedia dolceamara scritta e diretta da Verdone. Fa molto ridere, specie sul finale e per i siparietti con la Cortellesi, molto in gamba. E l’idea di fondo è bella: partire dal dramma più duro per poter riscoprire le cose essenziali della vita, come i figli. Peccato solo per i soliti difetti: personaggi scritti con la mano sinistra, regia sciatta, confezione che ricorda la soap opera. cale, riducendo le emissioni di Co2 provocate dalla combustione di carbone e diminuendo al contempo le morti per avvelenamento di gas tossici e incendi, tra le prime cause di decesso per le donne nel paese. Grazie all’utilizzo di questa tecnologia sarà possibile ridurre fino al 50 per cento il consumo di biomassa usata per cucinare, eliminando l’immissione in atmosfera di circa 3 tonnellate di anidride carbonica all’anno per ogni famiglia. In termini economici, questo si traduce in circa 190 dollari di risparmio annuo per le famiglie locali nell’acquisto di carbone; ma soprattutto significa una drastica riduzione degli effetti nocivi delle inalazioni dei fumi derivanti dalla combustione del carbone e una diminuzione dei processi di deforestazione e di degradamento forestale grazie al minor bisogno di legna per la produzione di carbone. La distribuzione dei nuovi sistemi di cottura, che finora ha coinvolto circa 5 mila famiglie, è affidata ad Avsi, presente in Mozambico dal 2000 e qui impegnata nel settore dell’educazione e del sostegno ai giovani nei quartieri poveri della zona Sud della capitale. UN MIX DI DUE LIBRI trofigura ha fatto gli straordinari). E poi colpisce anche la confezione e di livello, firmata Luc Besson e la sua EuropaCorp, la casa di produzione francese che cerca di fare cinema all’americana con soldi europei. Lo spunto della vicenda è un riciclo continuo: c’è la Cia, rappresentata da quella personcina carina di Amber Heard, il tumore che fa tanto Breaking Bad, un cattivissimo inquietante e due attrici in gamba come la Steinfeld e Connie Nielsen piuttosto sottoutilizzate. visti da Simone Fortunato COMUNICANDO ZOOMARINE Se la scienza si impara al parco Il Parco zoologico di Torvajanica, in provincia di Roma, ha scelto di comunicare le sue attività attraverso una nuova formula: quella della sensibilizzazione del pubblico più giovane su temi d’interesse scientifico. In questo senso recentemente si sono tenuti nel Parco due appuntamenti che hanno visto Il coraggio di bussare Il regista McG MAMMA OCA di Annalena Valenti D ue libri che, a modo loro, sviluppano una qualità essenziale per ogni cosa che riguardi un bambino: il coraggio, cioè “ho cuore”. Due libri “striscia” da appendere; due strisciate che pretenderebbero un posto permanente vicino a te; due libri per attraversare la vita con coraggio. Mi viene un po’ da ridere a metterli insieme. Enzo Mari disegnò e costruì L’altalena nel 1961, un libro che è una striscia orizzontale ma che è anche la riduzione, a due dimensioni (e di prezzo) di uno splendido gioco di legno “Sedici animali”, progettato da Mari nel 1957. Un libro senza parole, con animali che si avventurano sull’asse d’equilibrio della vita, curve che si incontrano, spigoli che si respingono, caos che si ricompone, sempre sull’altalena, coraggio in azione, nessuno che scende. Vicino alla striscia orizzontale dell’ultimo che dichiara «sono comunista», potete appendere quella verticale del primo che dichiara coraggio in Bussando al cuore di Dio (Piccola casa editrice, 2014). Sopra la strisciata di preghiere giornaliere – niente di spiritualmente personalistico da relegare nel proprio buco intimo, ma classiche preghiere consegnate a tutti dalla tradizione millenaria – campeggia una frase di papa Francesco: «Una preghiera che non sia coraggiosa non è una vera preghiera. Ma bisogna chiedere, cercare e bussare. Sappiamo bussare al cuore di Dio?». Appesi insieme, chi ha il coraggio di bussare o di salire sull’altalena? mammaoca.com la partecipazione di oltre 4 mila bambini, “Frutta nelle scuole” e la “Giornata mondiale degli oceani”. “Frutta nelle scuole” è un programma europeo per aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei più piccoli e ad attuare iniziative che supportino corrette abitudini alimentari. Durante la giornata è stata distribuita frutta fresca a tutti i bambini delle scuole che hanno partecipato al progetto. Inoltre, l’equipe scientifica di Zoomarine (www.zoomarine.it) ha fornito ai bimbi alcune semplici, ma fondamentali, regole sulla sana e corretta alimenta- zione. Si è svolta invece domenica scorsa la giornata dedicata alla conservazione del mare e delle sue creature. La struttura zoologica ha accolto i visitatori con una serie di attività pensate per celebrare la Giornata Mondiale degli Oceani e per sensibilizzare il pubblico più giovane sulle tematiche di cui il Parco da sempre si occupa. I biologi del Dipartimento di Zoomarine si sono messi a disposizione dei piccoli visitatori con laboratori didattici sulla biologia marina rispondendo a domande e a curiosità. Giovanni Parapini | | 18 giugno 2014 | 39 PER PIACERE DA SERGIO, ROMA Una carbonara autentica e abbondantissima IN BOCCA ALL’ESPERTO AMICI MIEI LIBRI/1 «Non chiedere alla voce di mentire» Un esordio poetico Lo scrittore Claudio Magris l’ha definita una «poesia strana, imprevedibile e intensa, che colpisce a fondo. Quella luce blanda, quella prudente luna e quel vento crudo e tutto quel senso d’intrepido fissare il volto e lo sgomento della vita s’incidono fortemente. Come d’altronde quei neri meriggi e quegli inverni velieri veramente s’imprimono nella memoria». L’Estro delle maree (Interlinea edizioni, 51 pagine, 14 euro) costituisce l’esordio poetico di Alessandro Turci, nato a Sanremo il 7 ottobre 1970 ma formatosi tra Milano, Parigi e Berlino. Un assaggio di poesia «imprevedibile e intensa» lo si trova subito nei versi di “Al largo”: «Di blanda luce l’ovest si colora/ dei tanti giorni amati senza scelta/ che infrangono sui moli e negli intarsi// scavando al mio coraggio una dimora./ L’anima cede, un fuoco l’ha divelta/ e sorpresa nel gesto di privarsi». E da questi pochi versi è ben visibile quali sono state per l’autore le fonti d’ispirazioni: la Liguria, la classicità, il fascino di un certo ermetismo e, naturalmente, il mare. Accanto ai dieci sonetti notturni che compongono questa prima raccolta, Turci propone brevi prose che vogliono svelare in controluce la filigrana dei versi. Così come le dieci chine dell’artista argentino Héctor Navarrete che affiancano ogni poesie e che costituiscono un laconico e al tempo stesso evocativo controcanto. Una sola nota per chi vorrà leggere queste pagine: questi versi chiedono d’essere ascoltati con un impegno: «Non chiedere alla voce di mentire/ i suoi ricordi». di Tommaso Farina R oma. Trattoria. Carbonara. Il trinomio sembra difficilmente scindibile. E allora perché non abbandonarsi al luogo comune più romanesco che ci sia? E per giunta non lontano da Campo de’ Fiori, dal suo famoso mercato (ormai carissimo) e dal flusso inesorabile del turismo. Già in vicolo del Vento potreste osservare un’accattivante uscio aperto, che vi mostrerà un budello pieno di tavolini. Ma attenzione: non è da lì che si entra. L’ingresso è in vicolo delle Grotte, lì a sinistra. E la nostra trattoria, Da Sergio, è comunemente chiamata infatti Sergio alle Grotte. L’interno stesso sembra un po’ una grotta: ma una grotta da hobbit, ospitale e accogliente, anche se ruspante. Qui non è posto da eccessive finezze. Volete il vino? Avrete una ventina di bottiglie, indicate per vitigno, senza allusione a produttori o tantomeno annate. Volete mangiare? Nel menù, i piatti di tradizione. In questi posti non si viene certo per l’antipasto, tuttavia quello cosiddetto “all’italiana” comprende salumi, verdure, formaggio, frittatine e altro. Qui però si viene per la carbonara, di grande autenticità, impiattata con gli spaghetti, in una gran porzione: uovo giustamente cremoso ma non crudo, guanciale morbido e croccante insieme. Un suggerimento: chiedete di non mettere tanto formaggio grattugiato, come usano fare qui, e l’apprezzerete ancor di più. Se no: amatriciana, cacio e pepe, penne all’arrabbiata, tutto il repertorio “de Roma”. Di secondo, le polpette al vino bianco, semplici, popolari. Magari con un po’ di cicorietta. O una fettina di vitella, lo spezzatino, l’abbacchio a scottadito, la coratella. Per dessert, dolci vari o, incredibile, la frutta fresca, roba che un sacco di ristoratori quasi si vergognano di offrire. Conto di rara onestà, circa 35 euro, per mangiare discretamente nel cuore della Città Eterna. Servizio verace, alla mano ma assolutamente educatissimo e cordiale con tutti, ivi compresi i turisti, indirizzati da qualche guida estera che una volta tanto non sbaglia. Per informazioni Da Sergio Vicolo delle Grotte, 27 – Roma Tel. 066864293 Chiuso la domenica LIBRI/2 Storia di una famiglia dal podere nelle Marche alla città «Cari genitori, abbiamo comprato una macchina nuova. Per ora la guida solo Giovanni, ma forse imparerò a guidarla anch’io. Qui infatti anche le donne guidano e la gente va al lavoro in macchina». Quando a casa arriva la lettera della cugina Jole che vive in Australia Nino comincia a fantasticare. Gli echi di quella vita lontana e così diversa da quella che vive lui, nelle placide campa- gne marchigiane, non lo lasciano tranquillo. Quando poi la famiglia di Giovanni e Jole viene in visita al podere dei suoi genitori, nei pressi di Urbania, lui sfodera il suo inglese, si interessa, fa amicizia con la bella procugina diciottenne che parla a stento italiano. C’è, in questo episodio narrato quasi alla fine della La Pieve e la sua gente (Luoghi Interiori, 125 pagine, 13 euro), una chiave discreta ma decisiva per capire la storia raccontata da Nino Smacchia. Una storia che è la storia della famiglia di Nino, ma anche la storia di tante fa- miglie dell’Italia del Dopoguerra, quando i poderi si svuotano e le città si riempiono di giovani pieni di sogni e di aspettative. Giovani che magari hanno dato un taglio netto e improvviso alla loro vita, con quella decisione tipica della gioventù. Così fa Nino il giorno che decide di partire per Milano e quando sul treno vede il paesaggio che scorre via ripensa alla sua mamma, che ha trattato un po’ male. E al suo babbo, così testardo (ma anche eroico, lo riconoscerà molto tempo dopo) nel rimanere attaccato a una terra e a un mestiere da cui tutti intorno muoiono dalla voglia di emanciparsi. Ci sono molti ricordi in questo romanzo, molti aneddoti che faranno commuovere e sorridere chi oggi è adulto e ha vissuto situazioni simili a quelle narrate da Smacchia. È un racconto che commuove, ma senza puntare sulla nostalgia del piccolo mondo che non c’è più. E l’antidoto alla nostalgia è la memoria. Quella che Nino Smacchia nutre con una storia mite e affascinante. | | 18 giugno 2014 | 41 motorpedia WWW.RED-LIVE.IT A CURA DI DUE RUOTE IN MENO BMW Concept Roadster Sempre più protagonista con modelli ad alto impatto emotivo, Bmw ha presentato al Concorso di eleganza di Villa d’Este una concept bike che anticipa la nuova nuda sportiva con motore boxer. Il motore è lo stesso che equipaggia la R 1200 GS, ossia il bicilindrico Boxer raffreddato a liquido da 125 cv di potenza. Attorno a questa vera icona della produzione motociclistica tedesca è stata disegnata una moto essenziale ma decisamente aggressiva. Il modello che presumibilmente arriverà alla produzione di serie non potrà essere tanto estremo, ma Bmw ci ha abituato nel recente passato a una straordinaria fedeltà tra con[sc] cept e moto definitiva. 42 | 18 giugno 2014 | | CONSUMI RIDOTTI, COMFORT E TANTO SPAZIO NELL’ABITACOLO E NEL BAGAGLIAIO Con Suzuki il Suv parla la lingua del pragmatismo T anto spazio, posto di guida in posizione rialzata, bassi consumi. Suzuki ha puntato molto sulla S-Cross, modello che si è inserito di diritto tra le Suv compatte più interessanti del momento. Un segmento sempre più combattuto, dove la sfida si gioca a colpi di utilità e di consumi allettanti. Sì, parlare di consumi su un Suv o un crossover non è più un tabù, soprattutto se il crossover in questione è una Suzuki S-Cross, che abbiamo sottoposto a una prova lunga un mese intero, in cui al volante si sono alternati driver di ogni tipo, su percorsi di ogni genere. Oltre 5.000 km la percorrenza totale, per un’auto che ha dimostrato di sopportare senza troppi patemi la vita intensa di una prova di durata. Più pragmatica che lussuosa, la Suzuki S-Cross non si fa mancare nulla: l’interno è tipico delle vetture giapponesi, con tanta qualità nei materiali e un design senza troppi fronzoli. Questo non significa povertà di allestimento: la Suzuki S-Cross la S-Cross in prova, infatti, poteva non si fa mancare contare su climatizzatore bizona, nulla: l’interno cruise control, connessione Blueè tipico delle tooth con comandi al volante, divetture giapponesi, splay centrale con funzione di nacon tanta qualità vigatore, radio (anche questa con nei materiali comandi al volante) e telecamera e un design senza posteriore, oltre a presa Usb e certroppi fronzoli chi in lega. È una crossover, la S-Cross, che nella versione 2 ruote motrici si avvicina più a una stradale che a una Suv. Il comportamento dinamico è ottimo, degno di una station wagon tradizionale: rollio e beccheggio sono limitati e il motore mostra buone doti di ripresa e accelerazione anche quando viene utilizzato con marce alte. Sulle lunghe distanze il comfort è apprezzabile: dopo qualche minuto di riscaldamento, infatti, il 4 cilindri 1.6 Multijet made in Fiat non si fa sentire particolarmente nell’abitacolo; i fruscii aerodinamici, poi, sono contenuti. Con la S-Cross, in definitiva, si viaggia bene, perché alla velocità Tutor (ormai la tipica velocità autostradale) il motore non vibra, gira silenzioso e il comfort a bordo è ottimo. Da 440 a 875 litri la capacità, del vano bagagli con schienali alzati o abbassati. E il consumo? La Suzuki ci ha sorpreso, con percorrenze parziali spessissimo sopra i 20 km/litro e poco sotto questa soglia ad andatura autostradale. Il consumo cumulato dopo oltre 5.700 km è stato di 18.7 km/litro, un risultato ottenuto nonostante la prova si sia svolta su una varietà assoluta di percorsi, in differente condizioni di carico e senza attenzioni volte a limitare la richiesta di carburante. Stefano Cordara Il vano bagagliai della Suzuki va da 440 a 875 litri con schienali alzati o abbassati | | 18 giugno 2014 | 43 ACTA MARTYRUM IL QUARTO ANNIVERSARIO DELL’OMICIDIO Il sacrificio di Padovese nella terra bagnata dal sangue dei cristiani | DI LEONE GROTTI «S e oggi mi si chiedesse: sei contento di essere dove sei? Risponderei certamente di sì. Le difficoltà non hanno ridotto, ma anzi aumentato l’amore per questa Chiesa piccola ma importante. È facile amare quando tutto va bene e funziona, eppure tutti sappiamo che l’amore si misura nella prova». Sono queste le parole quasi profetiche che monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ha rivolto ai pochi fedeli della chiesa turca quattro giorni prima di essere assassinato a Iskenderun. La scorsa settimana si è celebrato il quarto anniversario della sua morte, avvenuta il 3 giugno 2010 per mano del suo autista musulmano, Murat Altun. Il vescovo è stato ucciso in casa sua: i medici che hanno effettuato l’autopsia hanno trovato coltellate su tutto il corpo, otto al cuore. Prima di morire, Padovese è riuscito a raggiungere la soglia di casa per chiedere aiuto. Poi il suo assassino lo ha sgozzato, è salito sul tetto della casa e ha gridato: «Ho ammazzato il grande satana! Allahu Akbar». Nessuno sa con precisione perché Altun l’abbia ucciso. L’autista è stato condannato a 15 anni di carcere nel 2013 e durante il processo ha addotto motivazioni diverse e contrastanti per il suo gesto: se alla polizia aveva accennato a una «rivelazione divina», ai giudici ha parlato di un rituale islamico, poi ha confessato di essere 44 | 18 giugno 2014 | | infermo mentalmente e infine ha citato un presunto rapporto omosessuale con il vescovo. Dopo la condanna ha dichiarato: «Sono pentito per avere ucciso monsignor Luigi, l’ultima persona che nella vita mi poteva fare del male. Ma in quel momento non ero padrone di me stesso». Nonostante i giudici abbiano escluso qualunque collegamento tra l’omicidio e l’appartenenza all’islam di Altun, al processo la sua famiglia l’ha continuamente incitato: «Dio è con te». Prima che pastore in terre difficili, Padovese, milanese figlio della Chiesa ambrosiana, ordinato sacerdote nel 1973 con i cappuccini, è stato un importante teologo e patrista. Dal 1982 fino al 2009/2010 ha insegnato in diverse università e realtà accademiche come la Pontificia Università Antonianum, l’Istituto Francescano di Spiritualità, la Pontificia Università Gregoriana e l’Alfonsianum. Già da ricercatore aveva conosciuto e amato la Turchia, terra che ha dato i natali a san Paolo e dove per la prima volta i seguaci di Gesù sono stati chiamati “cristiani” ad Antiochia. Quando nel 2004, a quasi 60 anni, è stato nominato vicario apostolico dell’Anatolia, ha accettato il nuovo incarico «con grande entusiasmo e fervore, spendendosi generosamente per la sua nuova missione con un impegno unanimemente riconosciuto», ha scritto il cardinale Angelo Scola, uni- «È FACILE AMARE QUANDO TUTTO VA BENE. MA L’AMORE SI MISURA NELLA PROVA». IL MOTTO EPISCOPALE SCELTO ERA “IN CARITATE VERITAS”: «SONO POCHE PAROLE MA ESPRIMONO IL MIO PROGRAMMA. RICERCARE LA VERITà NELLA STIMA E NEL RECIPROCO VOLERSI BENE» to a Padovese da un profondo legame di amicizia, nella prefazione del libro La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali di monsignor Luigi Padovese (edizioni Terra Santa, 2012). Padovese conosceva bene le difficoltà della sua nuova missione. Ai suoi fedeli scriveva nell’ottobre del 2005: «Tra tutti i paesi di antica tradizione cristiana, nessuno ha avuto tanti martiri come la Turchia. La terra che noi calpestiamo è stata lavata con il sangue di tanti martiri che Luigi Padovese è stato ordinato sacerdote nel 1973. Nel 2004, a quasi 60 anni è diventato vicario apostolico dell’Anatolia (Turchia). È stato ucciso il 3 giugno 2005 dal suo autista personale di fede islamica. Sopra, il libro La verità nell’amore. Omelie e scritti pastorali di monsignor Luigi Padovese hanno scelto di morire per Cristo». L’ultimo in ordine di tempo era sicuramente don Andrea Santoro, il sacerdote romano ucciso il 5 febbraio 2006 nella chiesa di Trabzon mentre era raccolto in preghiera. In occasione del primo anniversario della sua morte, Padovese disse: «Chi ha pensato che uccidendo un sacerdote avrebbe cancellato la presenza cristiana da questa terra, non sa che la forza del cristianesimo sono proprio i suoi martiri… Preghiamo per il suo giovane assassino. La forza del nostro perdono e della nostra preghiera lo aiuti a capire che l’amore è più forte della morte». Nel secondo anniversario della morte di don Santoro, cosciente di essere lui stesso in pericolo, Padovese disse durante una Messa: «L’assassinio di un mio sacerdote, il ferimento di un altro, le intimidazioni ricevute, l’abbandono del sacerdozio di un giovane e poi le difficoltà di gestire una realtà molto piccola ma complessa, mi hanno pesato e a volte mi tolgono la tranquillità e il sonno. C’è poi il timore che all’improvviso uno o più pazzi, come è avvenuto ultimamente a Malatya, compia qualche gesto folle. Questa situazione vincola ancora i miei movimenti perché mi rendo conto che ormai tutto è possibile». Il dialogo con le altre fedi Ma nonostante queste difficoltà non ha mai pensato di abbandonare la Turchia. Anzi, era convinto dell’importanza di essere presenti come comunità cristiana: «Il primo passo nel diventare cristiani si fonda nell’incontro di uomini che vivono da cristiani convinti. Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma rendiamoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla nostra storia in questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue». Alla testimonianza, monsignor Padovese ha sempre affiancato il dialogo, soprattutto con i fedeli musulmani. Il motivo che lo spingeva al dialogo è contenuto nel suo motto episcopale, In Caritate Veritas, che lui spiegava così: «Ispirandomi al grande figlio di Antakia e poi vescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, ho scelto come motto episcopale: In Caritate Veritas – La verità nell’amore. Sono poche parole ma esprimono il mio programma di ricercare nella stima e nel reciproco volersi bene la verità. Se è vero che chi più ama, più si avvicina a Dio, è anche vero che per questa strada ci avviciniamo al senso vero della nostra esistenza, che è un vivere per gli altri. Del resto la porta della felicità si apre solo dall’esterno. Su questa convinzione si fonda anche la mia volontà di dialogo con i fratelli ortodossi, quelli di altre confessioni cristiane e con i credenti dell’islam». La vita e la morte di Luigi Padovese hanno portato frutto. Almeno a giudicare dai suoi funerali, che si sono tenuti in una cattedrale di Iskenderun colma di persone. Ai cattolici si sono uniti non solo i fedeli e le autorità della Chiesa ortodossa, ma anche i responsabili e il popolo musulmano della zona. | | 18 giugno 2014 | 45 LETTERE AL DIRETTORE La redazione è sessuata e disposta ad assumere un vasto programma M i permetto di offrire la mia analisi di ultrasessantacinquenne che ha cominciato a interessarsi alla politica a 12 anni non ancora compiuti, in occasione delle elezioni del 1958 (in cui, precoce “populista reazionario”, tifavo per il Pmp di Lauro, per il quale mio padre Guido Guerra era candidato al Senato nel collegio di Volterra). In Italia esiste, direi da sempre, un’area, sociologica prima ancora e più che politica, definibile – con un linguaggio forse ormai abbastanza discutibile, visto che risale a Parigi 1789 – “di centrodestra”. È un’area eternamente alla ricerca d’una classe politica che la rappresenti nelle istituzioni, e che viene regolarmente tradita dai politici a cui si affida. Accadde così nel 1948, quando s’affidò, ancora maggioritaria, alla Dc di De Gasperi, e n’ebbe come risposta il “quadripartito”. Dieci anni dopo, in qualche modo ancora maggioritaria, anche se divisa in più partiti, sembrò alle soglie del potere con la formazione del governo Tambroni nel 1960; ma bastarono poche urla e sassate di quattro teppisti dell’estrema sinistra perché la Dc se la facesse nei calzoni e ci regalasse, pochi anni dopo, il primo governo di centrosinistra. Si risvegliò, in qualche modo, nel 1970, sottoscrivendo circa il triplo delle firme necessarie alla richiesta di referendum per l’abrogazione del divorzio, e dando alle elezioni di due anni dopo – elezioni anticipate indette solo per rinviare il referendum, non ci fu nessuna crisi di governo realmente motivata – la maggioranza parlamentare ai due partiti che avevano votato contro la Fortuna-Baslini. La risposta dei politici fu ancora quella di tergiversare, tirando fuori cavilli procedurali – incomprensibili per un profano del diritto come me – così da fare svolgere il referendum solo nel 1974, quando ormai i partiti divorzisti avevano saputo riprendere il controllo del proprio elettorato e, forse, dopo che molti elettori missini e democristiani avevano approfittato della legge per “lega- lizzare” le proprie situazioni familiari irregolari. In tempi più vicini a noi, dopo il “terremoto” di Tangentopoli, che aveva lasciato il vuoto nell’area della vecchia maggioranza pentapartitica, Berlusconi riuscì a riempire, in qualche modo, quel vuoto, si dice con un programma tratto da un sondaggio d’opinione, condotto col metodo del rilevamento dell’“audience” televisiva (!). Programma, in realtà, mai attuato; secondo lui, per il “boicottagdi Fred Perri COSE CHE CAPITANO ANCHE AI MIGLIORI I l caso Barbara Spinelli scuote la sinistra italiana. Il fatto è noto, bastardi, e se non è noto ve lo rammento. La Barbara animatrice di Girotondi, Popoli viola, fucsia, Libertà e giustizia e, in definitiva, maître à penser dell’antiberlusconismo militante, si era candidata con Tsipras come richiamo (per le allodole?). Insomma, catturo un pacco di voti che al Ma- 46 | 18 giugno 2014 | | rio Rossi qualsiasi non andrebbero mai e poi mi faccio da parte. Solo che al momento di cedere la cadrega, ha detto no, guardate, compagni e amici (pure lei), su spinta di altri compagni (basta, c’ho il copyright), ho deciso di andare a Bruxelles o Strasburgo o dove fischia è il coso. Apriti cielo. L’hanno attaccata in ogni modo, l’hanno accusata, pure da sinistra, vergogna, di Foto: Ansa Questa volta devo spezzare una cadrega in difesa di Barbara Spinelli (e Prandelli) [email protected] gio” dei suoi alleati di governo; ma, forse, perché era il suo programma più o meno come lui era il “primo ministro ideale” per noi, povera e residua “destra cattolica”? Chi sa risponda. Oggi siamo di nuovo nel vuoto totale; eppure quest’area – quasi certamente non più maggioritaria, perché erosa e corrotta dal degrado del costume, a cui anche le tv di Mediaset hanno dato un contributo non indifferente – esiste ancora. Va risvegliata, ricostruita, rimotivata a partire dal basso, dalle singole persone. Tempi, a mio modesto parere, potrebbe avere la capacità di “ri-coagulare” queste persone. Il centrodestra, in Italia, non è un partito, e neanche una coalizione, auspicabile più che possibile. È un’area sociologica, prima e più ancora che “politica”. La “rifondazione” d’una realtà che possa rappresentarla nelle istituzioni può avvenire solo dal basso; Tempi potrebbe proprio essere lo strumento aggregante, lasciando chiaramente i “politici di mestiere” al loro destino, in obbedienza alle parole di Nostro Signore: «Lasciate che i morti seppelliscano i morti». Giulio Dante Guerra via internet Il programma non è poi così vasto come sembrerebbe a questo punto della sua condivisibile e intelligente analisi storica. Anche per questo resistiamo in questa trincea e ci permettiamo di insistere presso amici, parenti, lettori e abbonati: o ci sostenete voi o, l’avrete capito anche voi, rimarrà in piedi solo un regimetto di nominati dalle cancellerie, presidiato dalla grande editoria corriva con un’idea di Italia serva. GRANDI GESTI E PICCOLI SEGNI DI VITALITÀ CRISTIANA Il Papa, Peres, Abu Mazen e Colui senza il quale non possiamo fare nulla CARTOLINA DAL PARADISO di Pippo Corigliano S ono passati alcuni giorni ma l’incontro del Papa con Shimon Peres e Abu Mazen non è un evento ordinario da dimenticare. Ancora una volta la logica cristiana dimostra la sua solidità rispetto alle vittorie effimere del laicismo. Il Papa ha costruito l’incontro sulla roccia solida della preghiera: senza l’aiuto di Dio non possiamo far nulla. In secondo luogo ha messo in rilievo il coraggio necessario per la pace: occorre avere la forza di superare il criterio degli interessi materiali e dello spirito di vendetta. La violenza è una debolezza. Siamo agli antipodi della mentalità dominante, nata dalla riforma protestante e dallo spirito della rivoluzione francese, che considera l’uomo fattore di se stesso e che vuole la giustizia oggi e adesso usando metodi violenti (dalla ghigliottina alle guerre del Novecento). Questa mentalità ha creato l’idea dello scontro di civiltà con il mondo musulmano (Occidente contro Islam) ma già Giovanni Paolo II si sottrasse a questa logica con l’incontro di Assisi. Ora papa Francesco prosegue quest’opera affermando lo spirito evangelico che porta frutti duraturi di pace. Qualcosa sta cambiando. Lo vediamo anche nella mentalità dominante nel nostro paese: piccoli segni di vitalità dello spirito cristiano anche nei media. Don Matteo fa incetta di ascolti in tv, una suora fa recitare il Padre Nostro in una trasmissione popolare. In politica si fa strada il desiderio di onestà e di affidabilità. Piccoli segni di una primavera che nasce dalla preghiera. Riguardo all’articolo sul Ryland, la povera “bambina trans a cinque anni”, pubblicato su tempi.it, vorrei segnalare che dovremmo smettere di parlare di “genere”, almeno noi, e cominciare a parlare di “sesso”. Altrimenti cadiamo nella loro trappola. E poi, quando si parla di una donna come la psichiatra Federica Mormando, perché non indicarla come “la Mormando” anziché con il solo cognome come si fa con gli uomini? In fondo la lingua ita- liana non la possono cambiare i dittatori del gender, alias del marxismo mascherato, questa volta, da perversione per distruggere l’uomo come volevano Marx e il suo degno succes sore del Reich… Gabriella Salerno via internet Signora, lei è molto e forse troppo severa con l’unica redazione (probabilmente in tutto l’Occidente) sessuata. Foto: Ansa SPORT ÜBER ALLES pontificare sull’Italia con domicilio a Parigi, sulla rive gauche (veramente non lo so, dove sta, ma una così per principio, a droite non ci abita certo). Ma dai, che banalità, che miseria. In fondo c’è una consolazione, in tutto questo: anche i migliori hanno il mito della cadrega, del “posto”. Guardate Prandelli, ha fatto le convocazioni in modo da non scontentare nessuno per conservare il suo. E poi chi è senza peccato scagli la prima pietra. Non certo io. Alle elezioni universitarie, un millennio fa, feci la stessa cosa. Mi misi in lizza per attirare voti, poi, quando finii primo, col cazzo che mollai lo scranno. Vai Barbara, ego te absolvo. | | 18 giugno 2014 | 47 taz&bao La Grecia è vicina «L’Italia è un paese di grande storia e civiltà che purtroppo è stato lasciato indietro dagli altri. Penso che i problemi dell’Italia siano molto simili a quelli della Grecia, cioè un’eccessiva democrazia e un welfare troppo alto che rendono meno efficienti i servizi pubblici e meno ordinata l’amministrazione politica. (…) Anche la Cina soffre molto per fatti di corruzione. Trovo che per l’Italia l’inefficienza sia un problema più grave della corruzione». Zhang Lihua direttrice del Centro di ricerca sui rapporti tra Cina ed Europa, Università di Pechino, Corriere della Sera, 10 giugno 2014 48 | 18 giugno 2014 | | Foto: Corbis MISCHIA ORDINATA TRA I SOGNI E LA DURA REALTà Chi sale, chi scende, chi resiste Giù dal trono la vita diventa lieta di Annalisa Teggi «e più e men che re era in quel caso» (Purgatorio, canto X) G ossip vuole che la bellissima Angelina Jo- lie abbia detto che farà un film in cui interpreterà Cleopatra. E ha aggiunto: «È uno di quei personaggi in cui senti di dover mettere tutta te stessa e poi senti di dover dire la parola fine. È un modo per finire in grande stile. Chi altro potrei fare dopo di lei?». Sì, se potessimo trattare la vita come un copione cinematografico chi di noi non vorrebbe un finale in grande stile. Intanto anche un re in carne e ossa ha fatto una dichiarazione importan- LA JOLIE CHIUDERà CON CLEOPATRA. CARLOS ABDICA. te: re Juan Carlos di Spagna ha ELISABETTA D’INGHILTERRA NO. Il buio più profondo abdicato. C’è chi immagina di È guardare il mondo dalle torri del proprio regno congedarsi dalle scene salendo al trono, c’è chi nella realtà si congeda scen- dell’esilio; invece, cronologicamente, l’anno dello smarrimento di Dante coincide col modendo dal trono. Poi c’è chi resta e resiste sul trono: Elisa- mento storico del suo massimo successo polibetta d’Inghilterra, la quale, proprio contem- tico: il 1300, quando ricoprì la carica di Priore. poraneamente ai progetti regali di Angelina Lui ci dice, quindi, che il suo momento «più Jolie e a quelli più realistici di re Juan Carlos, regale» fu una parentesi di nebbia; poi dalla è trionfalmente andata in carrozza alla Ca- botta violenta dell’esilio nacque la commedia mera dei Lords per fare il suo annuale Que- di sua vita, cioè si spalancò un’ipotesi di vita en’s Speech. È il discorso della Regina, even- comica perché umile e umiliata e, col tempo, to in cui la sovrana espone il programma lieta. Lieta forse anche solo perché capì (brudell’ultimo anno di governo. Il cerimoniale talmente) che solo quando si scende dal trono, prevede che la regina entri nella Camera dei si comincia a far sul serio. Il buio più pericoloLords e si sieda sul Gran Trono; poi il funzio- so non è il dolore o la sofferenza, ma l’illusionario noto come Black Rod va a chiamare i ne distorta di quando si guarda il mondo dalComuni. Ma per simboleggiare la loro indi- le torri altere del proprio regno. Un indizio è quel retrogusto amaro che pendenza dalla Corona, la porta della Camera viene tradizionalmente chiusa in faccia al tutti abbiamo sentito nei piccoli e grandi mofunzionario, fino a quando lui non bussa con menti di trionfo. Sì, per una volta ce l’hai il suo bastone. Solo allora i Comuni lo seguo- fatta. E allora? E poi? Quante volte, invece, no e vanno a disporsi sul lato opposto della «siamo stati da re» in attimi assolutamente banali – per non dire assurdi – e magari sala rispetto al trono. Ecco, se potessi trattare la vita come un conciati in modo pietoso. Come il biblico re film, preferirei mettere nei titoli di coda qual- Davide, che Dante vede nel Purgatorio ritratche momento in cui è stata sbattuta la porta to in un altorilievo, mentre danza con la vein faccia alla mia – presunta e presuntuosa – ste alzata per accompagnare la traslazione regalità. Quelle volte in cui qualcosa o qual- dell’Arca della Santa Alleanza; ed è in una cuno mi ha fatto scendere dal piedistallo. Si posa tutt’altro che regale (si agita e mostra le tende a pensare che il momento storico del- gambe), eppure – proprio allora – il poeta afla propria vita a cui Dante dà il nome di «sel- ferma che meno egli si mostrava impeccabile va oscura» corrisponda alla triste parabola più era davvero re. 50 | 18 giugno 2014 | |