Cer Magazine 3 1. 1-2-3. TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI ALLA BICOCCA, MILANO. VEDUTA COMPLESSIVA DA SUD-OVEST, VEDUTA DEL FOYER DALLA BALCONATA DELLA PRIMA GALLERIA E VEDUTA COMPLESSIVA DELLA SALA DALLA PLATEA ALTA 4. TRASFORMAZIONE DELLE AREE PIRELLI IN BICOCCA, MILANO. A DESTRA, L’EDIFICIO RESIDENZIALE 1A, A SINISTRA LO SPIGOLO DEI DIPARTIMENTI SCIENTIFICI DELL’UNIVERSITÀ DI MILANO BICOCCA 4. 2. © Toni Nicolini 3. VITTORIO GREGOTTI © Gabriele Basilico © Donato Di Bello © Tomaso Macchi Cassia Incontro con VItto rIo GreGottI gdi Alessandra Coppa A rchitetto, urbanista, professore, designer, teorico e critico dell'architettura. Le opere di Vitttorio Gregotti spaziano dalla progettazione urbana e di edifici a quella di interni e ancora dal disegno industriale alla grafica. Sono il frutto di un'attenta progettazione, che si avvale delle esperienze del team del suo studio, in una sinergia che rifugge le ‘bizzarrie’ dell'architettura contemporanea, caratterizzate da un esasperato formalismo, preferendo la qualità progettuale dell’opera architettonica nel rispetto delle responsabilità della disciplina. Le polemiche in seguito all’ultima biennale di architettura di Betsky hanno evidenziato l’incertezza dei confini tra architettura e arti visive. L’identità e i compiti dell’architettura si sono confusi? Ho scritto il libro Contro la fine dell’ar- chitettura (Einaudi, le Vele, 2008) proprio in funzione di questo problema, ho cercato di fare un’analisi di cosa voglia dire teoria in architettura e di cosa significhi parlare di interdisciplinarietà, distinguendo tra quelle che sono le scienze umane e quelle cosiddette esatte, e l’interdisciplinarietà che esiste invece tra le arti. Ho cercato di spiegare come la relazione tra le arti nella nostra disciplina sia molto importante, perché ha contribuito sensibilmente alla specializzazione ovvero 5. © Donato Di Bello all’approfondimento delle diverse discipline. Ma perché questa relazione esista bisogna che le identità si conservino, altrimenti è inutile. È possibile dialogare perché esiste un dialogo tra due identità diverse. Tra arti visive e architettura c’è sempre stata una relazione molto intensa attraverso i secoli. Durante il periodo medievale architettura e scultura erano molto vicine, nel Rinascimento c’è stato un grande avvicinamento tra pittura e architettura, tuttavia questo non vuol dire che ciascuna di queste attività abbia negato la propria identità. Un architetto può fare anche il pittore, può anche interagire con altre attività, purché conservi “quando fa l’architetto” la propria centralità, “il costruire poietico”. 6. In questo senso il mio libro è centrato sull’identità dell’architettura, perché nell’attuale panorama culturale mi sembra più utile che i linguaggi discutano sulle loro differenze e sulle possibilità di influenza reciproca. La confusione interdisciplinare dunque allontana l’architettura dalla proprie responsabilità? Credo proprio di sì, perché l’abitabilità, la costruzione, il rapporto con il terreno, con il contesto, con la storia, sono tutti elementi “strutturali” della disciplina, invece per altre attività non lo sono. Gli architetti rispetto agli artisti hanno un tipo di pratica artistica “collettiva”: lavoriamo per lunghi periodi, facciamo un progetto che poi viene tradotto nella realtà costruttiva, © Donato Di Bello Storia, geografia, morfologia: materiali per la coStruzione della città 7. ci sono delle differenze, delle distanze tra progetto e il costruito. Questo tipo di complessità è proprio specifico del nostro modo di agire. La sua mi sembra una posizione ottimistica rispetto al libro di La Cecla “Contro l’architettura” che diagnostica il male dell’architettura nella sua riduzione a griffe, a strumento mediatico? La Cecla non è un architetto, è un antropologo. Doveva scrivere un libro contro gli architetti non contro l’architettura. Se l’avesse diretto contro gli architetti sarei stato d’accordo. Oggi esiste una specie di degenerazione della professione. Con l’illuminismo, alla fine del Settecento c’è stato un salto molto importante nella produzione delle arti in © Tomaso Macchi Cassia 5-6-7. GRAND THÉÂTRE DE PROVENCE, AIX-EN-PROVENCE (FRANCIA) Gregotti Associati International è stata fondata nel 1974 da Vittorio Gregotti. Dagli anni Settanta sono stati elaborati centinaia di progetti, distribuiti in oltre 20 paesi in Europa, America, Africa, Medio Oriente e Asia. Gregotti Associati International ha le proprie sedi a Milano e Venezia. Tra i principali progetti Gregotti Associati si possono ricordare le università di Palermo e Cosenza; i quartieri Zen a Palermo e di Cannaregio a Venezia; gli interventi a Aix-en-Provence, Strasburgo, Parigi, Berlino; le trasformazioni museali di Brera a Milano e dell'Accademia Carrara a Bergamo; il Centro culturale di Belém; gli stadi di Barcellona, Nîmes, Genova e in Marocco; i centri di ricerca Enea a Portici e Roma; e il Parco tecnologico e scientifico Polaris di Pula, in Sardegna. Vi sono poi i vasti progetti urbani di Cesena, Lecco, Civitanova e soprattutto dell'area Bicocca a Milano, dove si collocano rilevanti architetture, dall'università alle sedi Siemens e Pirelli, dalle residenze al Teatro degli Arcimboldi. Tra i molti lavori di pianificazione, si possono inoltre menzionare i piani regolatori di città quali Torino, Livorno, Pavia, Avellino e i più recenti piani per nuovi insediamenti e trasformazioni urbane a Shanghai. © Ferdinando Rollando generale: le arti si sono impegnate per progettare la società. Da quel momento fino alla fine delle avanguardie, alla metà del secolo scorso, questa attitudine si è sempre sviluppata. C’è sempre stato un atteggiamento critico degli architetti nei confronti dei pittori, dei letterati, degli altri architetti, nei confronti della società, arrivando alla coincidenza con il pensiero rivoluzionario. Tutto questo è avvenuto fino alla metà degli anni Cinquanta-Sessanta, dopo di ché, a causa dell’avvento del capitalismo, l’architettura ha rovesciato la propria posizione: ha perso il suo ruolo “critico”, è diventata un inno positivo all’esistente. Questo atteggiamento dai grandi paesi capitalisti dell’Europa e degli Stati Uniti si è trasferita poi nei nuovi paesi ricchi come la Cina, l’India, nei Paesi Arabi, nella stessa Russia. L’architettura è diventata molto popolare attraverso i media, l’immagine ha invaso il mondo, fino ai paradossi dei Paesi Arabi con l’esasperazione del lusso, della grande scala. Tafuri scriveva della crisi della capacità di rappresentazione dell’architettura e della distanza critica che le nuove costruzioni provocano. In che modo è possibile colmare questa distanza? Risolvere il problema è impossibile, il problema della “crisi del referente”, proprio per usare le parole di Tafuri, è 1. un problema che si apre dal Cinquecento, non esiste più una relazione diretta tra pensiero politico e pensiero in generale dell’arte, e in particolare dell’architettura. In che senso, come lei ha scritto, “il progetto deve diventare materiale per la generazione della forma”? Innanzitutto sono polemico nei confronti dell’uso troppo generalizzato della nozione di “creatività”. Credo che da questo punto di vista, e condivido Sant’Agostino anche se non sono cattolico, sia solo Dio a creare. Gli altri traggono sempre qualcosa da qualche altra cosa. Esiste sempre qualche cosa con © Giuseppe Donato CITTÀ NUOVA DI PUJIANG, SHANGHAI (RPC) SPAZI PUBBLICI NEL COMPARTO RESIDENZIALE 2. cui ci si deve inevitabilmente confrontare: la nostra storia, il passato, la condizione nella quale lavoriamo, che è la società stessa. Procediamo per modificazioni. Bisognerebbe essere più modesti da questo punto di vista, non inventiamo ogni volta il mondo, lo modifichiamo con le nostre opere, possibilmente in positivo. Come lo modifichiamo? Raccogliendo dei materiali, selezionandoli. I materiali sono quelli di cui ho già detto: la condizione politica, la storia, l’economia, il problema pratico che abbiamo di fronte, il luogo in cui lavoriamo. Tali questioni diventano dei “materiali” con cui noi lavoriamo per trasformarli in un fatto architettonico, la forma del progetto. Quello che conta è la forma architettonica che il progetto assume. In questo modo il meccanismo del progetto fissa le proprie regole. Queste regole devono essere interpretate, capite, fino al punto in cui la forma si solidifica. Si solidifica “momentaneamente” secondo le nostre intenzioni, poi in futuro potrà essere interpretata anche in modi diversi. La “tradizione”, la “storia”, la “geografia” e la “morfologia” sono dunque categorie di riferimento costanti nel suo modo di progettare… Noi costruiamo sulla terra, è importante riconoscerlo, appoggiamo contro la terra. Il “fondamento” e la “fondazione” sono 3. due concetti che hanno la stessa radice. La terra non è solo quella “naturale”, è la terra “storica”, cioè la geografia che diventa forma. In fondo tutta la natura si è fatta storia. Il terreno su cui appoggiamo non ci indica il sito dove dobbiamo progettare. Questo fatto ci lascia una grande libertà. Tuttavia la libertà non è solo l’assenza di impedimenti. La libertà è un progetto, ma la libertà assoluta è vuoto. Quest’ultima non è possibile perché abbiamo una memoria, la storia, degli amori, degli odi. Il nostro processo creativo è dunque un processo di modificazione, più che un processo di creazione. In tutto il mondo non ho mai voluto imporre una forma a priori, ho sempre cercato di aprire un dialogo con l’esistente. Questo è avvenuto anche nel caso della pianificazione della nuova città di Pujiang in Cina, credevo avesse proposto il modello della città europea? No, non ho imposto un modello europeo. Proprio riguardo a questo sto scrivendo un libro sulla città cinese che uscirà nei prossimi mesi (titolo provvisorio L’ultimo hutong. Lavorare in architettura nella nuova Cina, Skira, ndr). È molto difficile capire la civiltà cinese, importante, profonda, l’unico grande impero che è durato quattromila anni: è qualcosa di gigantesco con cui bisogna avere la modestia di trovare una relazione. L’origine di questa città che stiamo realizzando è stato un seminario organizzato per l’università intorno al rapporto tra la città cinese antica e la città greco-romana antica. Ho riscontrato alcune identità, come la geometria, il quadrato, il piano ippodameo, il sistema dei castrum romani. Le normative che riguardano le fondazioni delle città cinesi sono antichissime, precise e molto rigorose e sono state rispettate per millenni. Avevano tutte la stessa forma di base, perché sono città amministrative, non commerciali, che governano un grande territorio, che formano talvolta dei punti di forza militare. Noi abbiamo cercato di mettere in relazione questi due sistemi urbani. In seguito, ci è stato chiesto da un ministro di partecipare a un concorso per la realizzazione di una delle nove città in progetto di cento mila abitanti, non grandissime rispetto ai diciotto milioni che sono oggi le dimensioni di Shangai. Non abbiamo vinto imponendo un modello, ma proponendo delle caratteristiche per creare uno spazio sociale, uno spazio funzionale con una geometria riconoscibile. La città è situata su un terreno agricolo poco abitato e con una grande serie di canali. I canali sono un elemento di variazione, che abbiamo rispettato, sono un elemento geografico importantissimo, l’acqua per un paese agricolo come la Cina è un bene fondamentale. CITTÀ NUOVA DI PUJIANG, SHANGHAI (RPC) 1. VEDUTA DELLA STRADA S4 DI INGRESSO IN CITTÀ (MARGINE EST); IN PRIMO PIANO IL PROMOTION CENTER 2. SPAZI PUBBLICI NELL’AREA DELLE ROAD VILLAS 3. UNO DEGLI HIGH RISE BUILDINGS Quindi la combinazione dei materiali di cui parlavo prima, ovvero i principi della città europea e le esigenze particolari cinesi, oltre al rispetto della condizione geografica, hanno contribuito alla creazione di una città, senza grattacieli. Il suo ultimo progetto realizzato è il teatro in Provenza… Essendo l’ultimo figlio è quello che amo di più, anche per la mia grande passione per la musica. Ha una tipologia abbastanza speciale: oltre la grande sala da concerto, offre una serie di opportunità per spettacoli all’aperto. Si presenta come una sistemazione del terreno più che un vero e proprio edificio. Sembra un elemento tratto della geografia del luogo. Aix-en-Provence si è sviluppata su un asse che divide la città, con in fondo una piazza e il nostro teatro. Dopo un anno è diventato un elemento di riferimento della città. La città lo ha riassorbito come fosse una cosa naturale, alla quale la gente si affezionata. È la prima volta che mi capita. In generale si devono sempre subire grandi guerre. Alessandra Coppa, Area