Università degli Studi di Napoli
Federico II
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea Sperimentale in Fisica
Analisi delle Aneuploidie delle Cellule della Mucosa Orale in
Pazienti Sottoposti a Radioterapia
Relatore
Candidata
Chiar.mo Prof.
Carla Zambella
Giancarlo Gialanella
Matricola 07/4083
Anno Accademico 2006/07
INDICE
INTRODUZIONE
1
CAPITOLO 1 Radiosensibilità in Radioterapia
1.1 Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti e biodosimetria
4
1.1.1 Grandezze fondamentali in Biodosimetria
5
1.1.2 Interazioni RI -materia biologica
6
1.1.3 Effetti Biologici indotti da RI
8
1.1.4 Biomarcatori e Test Biodosimetrici
9
1.2 Aberrazioni Cromosomiche Radioindotte
11
1.3 Risposta dei tessuti sani all’irraggiamento terapeutico
17
1.3.1 Sopravvivenza Cellulare all’Irraggiamento
18
1.3.2 Tolleranza Cellulare all’Irraggiamento
19
1.4 Indicatori biologici della probabilità di controllo del tumore e della probabilità di
complicazioni al tessuto noemale ovvero:
TCP( Tumor Control Probability) e NTCP(Normal Tissue Complication Probability)
1.5 Esempi di Misure di Radiosensibilità per determinare i migliori Biomarcatori
21
22
CAPITOLO 2 Punto di Vista Biologico
2.1 La Cellula ed il Ciclo Cellulare
2.1.1 Ciclo Cellulare
2.2 Meccanismi di formazione delle aneuploidie
2.2.1 Aneuploidie nelle Cellule Normali o Sindromi da Aneuploidia
25
26
32
36
2.3 Aneuploidie nelle Cellule Cancerose o tumori
39
2.3.1. Percentuali di Aneuploidia nei Tumori
44
2.4 Aneuploidie come Biomarcatore
46
2.5 Tecniche di Misura delle Aneuploidie
49
2.5.1 Tecnica del bandeggio C
49
2.5.2
51
Saggio dei micronuclei (MN)
2.5.3 Ibridizzazione In Situ con Fluorescenza (FISH)
53
CAPITOLO 3 Progetto dell’Esperimento ed Acquisizione Manuale ed
Automatica delle Immagini
3.1 Descrizione dell’Esperimento
57
3.2 Aneuploidie Radioindotte (origine fisica delle aneuploidie)
60
3.2.1
Aneuploidie Radioindotte in vitro in Linfociti e Fibroblasti Umani
61
3.2.2
Analisi delle Aneuploidie nelle BMC in Pazienti radiotrattati
64
3.2.2.1 Analisi delle BMC in pazienti sottoposti a radioterapia esterna
65
3.2.2.2 Analisi delle BMC per pazienti sottoposti ad isotopoterapia interna
65
3.3 Tumori Testa–Collo
3.3.1
Radioterapia convenzionale dei tumori testa-collo
65
67
3.3.1.1 Radioterapia presso il Policlinico
68
3.3.1.2 Piani di Trattamento per la Regione Testa–Collo
70
3.4 Cellule della Mucosa Orale
74
3.4.1
Istologia delle Cellule Buccali
74
3.4.2
Tecnica di Prelievo delle Cellule Buccali
77
3.4.3
Preparazione dei Vetrini
78
3.4.4
Trattamento Enzimatico del Campione
78
3.4.5
FISH Centromerica
79
3.5. Microscopio a Fluorescenza
82
3.6. Analisi Manuale dei Vetrini
84
3.7. Analisi Automatica dei Vetrini
88
3.7.1 R.A.I.C. (Riconoscitore Automatico di Immagini Cromosomiche)
89
3.7.2 Modulo MetaCyte per Ricerca ed Analisi dei nuclei in interfase
92
3.7.3 Foglio Excel
94
3.7.4 Protocollo per l’Inserimento dei Dati ovvero Criteri di Classificazione delle
2
Cellule
95
CAPITOLO 4 Risultati
4.1 Soggetti di Controllo
4.1.1 Risultati sul gruppo di controllo
4.1.2 Risultati Preliminari con Analisi Manuale sui pazienti
4.2 Risultati completi sui pazienti
97
98
102
104
4.3 Risultati dell’Analisi Automatica elaborati dal foglio Excel applicando la FISH
bicromatica alle guance sane dei pazienti di radioterapia
107
4.3.1 Caratteristiche dei pazienti
107
4.3.1.1 Effetti della chemioterapia
108
4.3.2 Analisi dei singoli pazienti
111
4.4 Confronti
122
4.4.1 Confronto tra Analisi Manuale ed Automatica
122
4.4.2 Confronto dati di FISH monocromatica e FISH bicromatica
123
4.5 Discussione dei risultati
142
CONCLUSIONI
145
APPENDICE A
148
APPENDICE B
166
APPENDICE C
175
APPENDICE D
191
APPENDICE E
197
BIBLIOGRAFIA
202
3
INTRODUZIONE
La radioterapia è una delle metodiche più usate per la cura dei tumori. Per raggiungere lo
scopo di distruggere il più alto numero di cellule cancerose preservando il più possibile le
cellule sane, si conforma la distribuzione di dose al volume tumorale.
La dose impartita che deve essere massima al tumore per distruggerlo e minima al tessuto
sano circostante per non danneggiarlo. Infatti il danno radioindotto può essere: deterministico,
direttamente proporzionale alla dose ricevuta ed a soglia, o stocastico, indipendente dalla
dose, senza soglia.
Il danno provocato al tessuto sano varia da paziente a paziente, la radiosensibilità è
individuale tanto che lo stesso trattamento può provocare gravi danni in alcuni pazienti,
mentre è trascurabile in altri spingendo ad aumentare la dose se necessario per la
radioresistenza del tumore.
Gli studi di radiobiologia mirano a sviluppare test biologici che monitorano il trattamento
per stimare la radiosensibilità individuale e giungere a piani di trattamento personalizzati. Il
campione biologico analizzato deve essere rappresentativo del tessuto interessato dalle
radiazioni per poterne registrare ogni variazione in funzione della dose usandolo come
biomarcatore.
Gli studi più frequenti sono stati svolti su linfociti e fibroblasti, riconosciuti biomarcatori
ideali per valutare i danni genotossici mettendo in relazione le aberrazioni cromosomiche con
entrambi gli effetti. Anche sulle cellule epiteliali sono stati fatti studi indagando il danno
radioindotto e le sue possibili correlazioni con gli effetti acuti e tardivi di post-trattamento
radioterapeutico: aneuploidia precoce e tardiva.
In quest’ottica si colloca questo lavoro di tesi per dimostrare come le aneuploidie delle
cellule buccali possano essere un buon biomarcatore del danno radioindotto al fine di
ottimizzare i piani di trattamento individuali.
Il progetto di esperimento prevede l’analisi delle aneuploidie nelle cellule buccali di
pazienti affetti da patologie tumorali nella regione testa-collo sottoposti a radioterapia presso
1
le strutture ospedaliere: Policlinico dell’Università di Napoli Federico II e l’Istituto Nazionale
per la cura dei tumori Fondazione G. Pascale.
Come campione biologico sono state scelte le cellule buccali perché le loro aneuploidie
risultano un biomarcatore del danno radioindotto essendo presenti nelle trasformazioni
neoplastiche e preneoplastiche. Infatti molti tumori sono associati a mutazioni cromosomiche
strutturali e numeriche, le aneuploidie.
Inoltre possono essere prelevate facilmente non inducendo al paziente alcun trauma poiché
si adopera un semplice spazzolino da denti. Sono adatte a rivelare i danni genotossici poiché
originano negli strati profondi dell’epitelio buccale per poi migrare in quelli superficiali e
circa il 90% dei tumori si manifesta nei tessuti epiteliali che sono quelli più esposti
all’ambiente esterno.
Le cellule buccali devono essere studiate in interfase perché non possono essere coltivate.
Infatti nella migrazione si differenziano e perdono la capacità di dividersi, ciò le rende cellule
esfoliate non vitali analizzabili con la FISH centromerica, tecnica applicabile anche a cellule
non in mitosi.
L’analisi preliminare svolta in due lavori precedenti ha riguardato dapprima soggetti sani,
gruppo di controllo, per valutare la variazione inter-individuale ed intra-individuale delle
frequenze del numero dei centromeri marcati con la FISH. Sono stati successivamente
analizzati tre pazienti con neoplasie nella regione testa-collo radiotrattati, di cui uno anche
sottoposto a chemioterapia, iniziando a notare le variazioni delle aneuploidie al crescere della
dose. Successivamente si è iniziato lo studio dei sette pazienti suddetti apportando ulteriori
modifiche ai protocolli da applicare.
La tesi è strutturata in quattro capitoli divisi come indicato.
Nel primo capitolo sono definite le grandezze utilizzate in radioterapia per esprimere il
danno radioindotto al tessuto sano ed al tessuto tumorale, nonché le relative capacità di
controllo su entrambi per avere le informazioni necessarie sulla qualità del trattamento
radioterapeutico.
Nel secondo capitolo è presentato l’aspetto biologico delle aneuploidie per chiarire i
meccanismi di formazione, le tecniche di rivelazione, il diverso manifestarsi in cellule sane e
cellule tumorali, nonché il loro ruolo nello sviluppo di patologie neoplastiche e
preneoplastiche.
Nel terzo capitolo è stato esposto il progetto di esperimento descrivendo i protocolli
ottimizzati utilizzati sia per il trattamento che per l’analisi insieme alla radioterapia nella
regione testa-collo e sul campione specifico.
2
Nel quarto capitolo sono stati analizzati i dati ottenuti confrontandoli per quanto possibile
con quelli ottenuti precedentemente con protocolli leggermente diversi i cui effetti sono
discussi.
Nelle appendici sono riportati i seguenti approfondimenti.
L’appendice A comprende gli approfondimenti sul calcolo delle grandezze indicatori
biologici della probabilità di controllo del tumore e della probabilità di complicazioni al
tessuto normale: TCP( Tumor Control Probability) e NTCP(Normal Tissue Complication
Probability) ed i modelli teorici utilizzati per calcolarli individualizzando i piani di
trattamento completi di analisi dei dati
L’appendice B contiene figure e dettagli cellulari uniti ad approfondimenti sulla
classificazione dei cromosomi, composizione e morfologia dei centromeri nelle diverse fasi
del ciclo cellulare, nonché l’identificazione bande cromosomiche-basi azotate.
Nell’appendice C è riportata la caratterizzazione clinica con stadiazione e dettagli sulle
cause dei tumori testa-collo e le varie possibili opzioni terapeutiche approfondendo i vari tipi
di radioterapia disponibili.
L’appendice D comprende i dettagli della tossicologia delle cellule buccali.
L’appendice E contiene i vari protocolli necessari alla realizzazione dell’analisi delle
immagini dalla preparazione dei vetrini all’acquisizione delle immagini con il R.A.I.C.
3
CAPITOLO 1
RADIOSENSIBILITA' IN RADIOTERAPIA
La radioterapia è molto usata in oncologia per la cura dei tumori poiché le radiazioni
ionizzanti (fotoni: X e , elettroni, protoni) incidendo sui tessuti neoplastici distruggono le
cellule tumorali.
Il danno provocato al tessuto sano dall’esposizione alle radiazioni è da sempre il maggior
limite all’applicazione della radioterapia perchè la risposta alle dosi di radiazioni cui è
sottoposto il paziente varia da individuo ad individuo. Infatti, mentre in alcuni casi gli effetti
collaterali sono trascurabili da consentire un aumento di dose senza che ciò induca un danno
apprezzabile, in altri casi i pazienti subiscono danni notevoli già a basse dosi.
Risposte così diverse rappresentano il problema della radiosensibilità individuale.
Attualmente gli studi di radiobiologia sono indirizzati allo sviluppo di test biologici per
monitorare il trattamento praticato al paziente al fine di definire la radiosensibilità individuale
e, conseguentemente, ottimizzare i piani di trattamento personalizzati.
1.1 Effetti Biologici delle Radiazioni Ionizzanti e Biodosimetria
Dopo la scoperta dei raggi X nel 1895 e della radioattività naturale nel 1896, ci si accorse
solo 7 anni dopo che l’interazione delle radiazioni con il tessuto vivente causava effetti
dannosi. Infatti nel 1897 si constatò che l’esposizione acuta a radiazioni poteva anche
uccidere un essere umano; ciò nonostante il primo trattamento di radioterapia oncologica
risale al 1899! Nel 1902 venne riconosciuto per la prima volta un cancro radioindotto.
Dopo circa 30 anni, nel 1928, nacque il primo organismo internazionale con lo scopo di
elaborare e divulgare indicazioni e raccomandazioni finalizzate alla protezione dell’uomo
contro le radiazioni ionizzanti (radioprotezione): ICRP (International Commission for
Radiological Protection).
4
Lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti (RI) sulla materia vivente è compito della
radiobiologia. La dosimetria fisica è la misura della dose rilasciata da una radiazione
attraverso i processi di interazione con l’ambiente.
La biodosimetria o dosimetria biologica è la valutazione del danno biologico indotto dalla
radiazione attraverso gli eventi da essa causati. Da anni si lavora per realizzare metodi che
consentano una più affidabile correlazione misurabile tra dose assorbita ed eventi biologi
radioindotti. Le due dosimetrie si completano dando informazioni correlate al rischio.
I risultati permettono una stima della radiosensibilità individuale necessaria per la stesura
dei protocolli di radioterapia dove bisogna adattare la dose necessaria per combattere il tumore
alla risposta individuale a quel dosaggio.
Il biomarcatore è un qualunque fenomeno clinico, immunologico, biochimico, geneticomutazionale correlabile alla dose. Se tale relazione è esprimibile quantitativamente, si può
utilizzare tale effetto per stimare la dose che l’ha provocato.
Il biodosimetro è un biomarcatore sensibile alle radiazioni ionizzanti caratterizzato da una
curva dose-effetto che fornisce la relazione tra la dose depositata dalla radiazione e l’entità
dell’effetto biologico radioindotto. La dose depositata dalla radiazione ionizzante nel tessuto
dipende da: tipo, energia e carica della radiazione e dalla composizione chimica del bersaglio.
1.1.1 Grandezze fondamentali in Biodosimetria
Lo scopo della biodosimetria è stimare il danno biologico causato dall’esposizione
(esterna o interna) ai diversi tipi di radiazioni ionizzanti. Il danno biologico è legato alla dose,
cioè alla quantità di energia ceduta dalla radiazione in un bersaglio per unità di massa ed è
quindi espressa in Joule dissipati in un chilogrammo di tessuto biologico (J/Kg).
È necessario distinguere tra energia: depositata ed assorbita perché non tutta l’energia
scambiata durante l’interazione tra radiazione e mezzo è assorbita in loco. Infatti la radiazione
e/o gli elettroni secondari rilasciati allontanandosi dal sito di interazione trasportano come
propria energia cinetica parte dell’energia ceduta.
Secondo le dimensioni del bersaglio tali prodotti secondari continueranno ad interagire
con esso rilasciando ulteriore energia (frazione dell’energia iniziale) o ne fuoriusciranno
portando via una parte dell’energia ceduta. Quindi sarà depositata solo una parte dell’energia
incidente.
5
Il LET (Trasferimento Lineare di Energia), anche detto qualità della radiazione,
rappresenta l’energia trasferita dalla radiazione nell’unità di percorso di acqua. È
generalmente misurato in keV/ m
L=
dE  keV 
dx  µ m 
Indica la capacità della radiazione di provocare ionizzazione, essendo legato alla densità
lineare di eventi di ionizzazione secondari che sono i veri responsabili del danno cellulare.
1.1.2 Interazioni RI -materia biologica
Il rilascio di energia da parte delle RI alle bio-molecole causa il “danno biologico” indotto
dalle radiazioni. La radiobiologia cellulare si occupa di interpretare i fenomeni che si
manifestano nei tessuti ed anche gli effetti a distanza dall’irradiazione.
Poiché la cellula è assimilabile ad una soluzione acquosa, gli effetti dipendono da:
• azione diretta sulle molecole del soluto;
• azione indiretta dei prodotti derivati dalla radiolisi dell’acqua con le molecole del soluto.
I radicali liberi formatisi hanno vita breve (10-5s) e per lo squilibrio elettrolitico nella loro
struttura causano lesioni a carico: delle membrane cellulari (rilascio enzimi, alterazioni della
permeabilità) e degli “organuli” citoplasmatici (mitocondri, ribosomi). Interagiscono con le
molecole della cellula finchè non riacquistano una configurazione elettronica stabile.
Le lesioni cellulari sono distribuite casualmente all’interno della cellula; quelle importanti
biologicamente sono localizzate principalmente nel nucleo dove possono essere colpite le
molecole indispensabili per la sopravvivenza (DNA) causando lesioni che interferiscono con
il processo di replicazione e di traduzione del DNA.
I danni da RI al DNA possono riguardare:
• desossiribosio e/o acido fosforico provocando rotture della:
1) singola elica SSB (Single Strand Break),
2) doppia elica DSB (Double Strand Break);
• basi (A, T, G, C) provocando:
1) alterazioni con o senza rottura dei legami idrogeno;
2) distacco della base alterata: inserzioni e delezioni di basi;
3) legami anomali tra basi adiacenti e/o contrapposte: cross-link inter/intramolecolari.
6
Tutte le cellule possiedono meccanismi enzimatici di riparazione del DNA che possono
essere diversi nella cellula a riposo e in quella in mitosi:
Cellula a riposo:
• riparazione diretta di legami anomali tra basi adiacenti (fotoattivazione);
• rimozione e sostituzione diretta di una base danneggiata;
• rimozione di intero tratto della catena danneggiata e sostituzione usando sequenza di
enzimi.
Cellula in mitosi:
• riparazione per ricombinazione: il tratto danneggiato è “saltato” durante la duplicazione.
L’interruzione della catena figlia è riparata utilizzando il corrispondente tratto di DNA non
danneggiato dell’altra catena figlia.
• riparazione SOS: quando le lesioni sono numerose sono attivate procedure biochimiche per
far procedere la replicazione nella zona lesionata anche in assenza di un valido modello sulla
catena parentale. Quindi è possibile che siano inserite delle basi sbagliate (mutazioni).
Concludendo i danni da RI al DNA potranno essere:
• lesioni cromosomiche uniche;
• lesioni cromosomiche strutturali se il danno è prodotto prima della replicazione del DNA;
• lesioni cromatidiche se danno è prodotto dopo la replicazione solo su uno dei due
cromatidi.
Le cellule non proliferanti possono mantenere le aberrazioni cromosomiche (CA) allo
stato latente anche per lungo tempo (es. linfociti). Le mutazioni sono qualitativamente uguali
alle spontanee, ma aumentano. La trasformazione è data dalla presenza di caratteristiche
simili alle tumorali. La trasformazione neoplastica è causata da una complessa sequenza di
eventi.
FASI dei PROCESSI di INTERAZIONE: RADIAZIONE – TESSUTI BIOLOGICI
FASE
TEMPO
EFFETTO
Fisica
10-13 secondi
ionizzazione-eccitazione
Fisico-chimica
(10-9-10-6) secondi
formazione di radicali liberi
Biochimica
frazioni di secondisettimane
Biologica
giorni- mesi-anni
inattivazione enzimi e
organuli cellulari
inattivazione, riparazione,
morte cellulare e tissutale
Clinica
giorni- mesi- anni
manifestazioni cliniche
7
1.1.3 Effetti Biologici indotti da RI
L’importanza e la permanenza dei danni biologici sono direttamente collegati alla
deposizione locale di energia lungo la traccia della particella. Più alto è il LET, più alto è il
fattore di qualità Q1 nel determinare la dose equivalente.
La radiosensibilità cellulare è direttamente proporzionale alla capacità di riprodursi,
inversamente proporzionale al grado di differenziazione. Difatti le cellule più sensibili si
riproducono più rapidamente; mentre quelle in formazione possono essere danneggiate più
facilmente di quelle già formate. Le conseguenze possono essere diverse. La cellula può:
morire, riparare la biomolecola danneggiata neutralizzando il danno o continuare a vivere ed a
riprodursi con un’alterazione che può essere determinante per la sorte dell’individuo.
Nell’ultimo caso la cellula può cominciare a riprodursi ad una velocità superiore ai valori
normali fino a dar luogo, dopo un periodo di latenza di durata variabile, ad un tumore se è
una cellula somatica. Se la cellula modificata è germinale, cioè coinvolta nel processo
riproduttivo, l’alterazione può ripercuotersi sulla progenie. Entrambi sono danni stocastici.
Si parla di danni somatici quando riguardano solo l’individuo irraggiato, genetici quando
interessano anche le generazioni future.
Se il numero di cellule morte è abbastanza elevato può essere compromessa la funzione di
un tessuto o organo in modo grave clinicamente apprezzabile come effetto deterministico.
I danni deterministici (dose-dipendenti) si manifestano solo se è superato un dato valore
di dose D2 colpendo tutti gli individui esposti a dosi superiori alla soglia, salvo minime
differenze individuali. Si parla di effetti deterministici perché si può individuare un nesso
causale tra la dose assorbita D molto alta, almeno qualche Gy, e l’effetto.
La gravità è proporzionale alla dose con relazione lineare dose-effetto: all’aumentare di D,
aumenta la gravità. Gli effetti compaiono dopo un periodo di latenza inversamente
proporzionale alla D e dipendono dal tipo di irradiazione: globale o parziale. La dose letale
media per l’uomo è di (4–5) Gy all’intero corpo. Quando la D ricevuta da un organo o tessuto
è talmente alta che le cellule non sono più in grado di riparare i danni, si verifica la morte di
una frazione importante delle cellule di quel determinato organo o tessuto.
I danni stocastici (dose-indipendenti) sono rappresentati da una combinazione di tumori
letali, non letali ed effetti ereditari gravi quali:leucemie, tumori cutanei e solidi. La relazione
1
La capacità della radiazione di generare effetti biologici nei tessuti in rapporto all’energia ceduta ed al tipo di radiazione.
Q=1 per X, , .
2
È l’energia media dE ceduta in un elemento di massa dm D = dE  Gy = J  Quando un fascio incide su un paziente, la

d m 
Kg 
dose assorbita varia con la profondità e dipende da: tipo ed energia della radiazione, nonché dal mezzo attraversato.
8
dose-risposta è lineare: all’aumentare di D, aumenta il numero dei soggetti della popolazione
irradiata in cui compare l’effetto. Il periodo di latenza è indipendente dalla dose.
Esiste una mancanza di azione sinergica nell’esposizione di vari organi. La reazione alla
radiazione di una parte del corpo non è influenzata dall’irradiazione di altre parti. Il rischio di
effetti tardivi per irradiazione totale è la somma dei rischi dovuti all’irradiazione dei singoli
organi e tessuti. Sulla base di studi epidemiologici condotti su gruppi di esposti nelle aree di
Hiroshima e Nagasaki, è stata derivata la relazione statistica tra la dose efficace (DE3) e la
probabilità di insorgenza di tali effetti sommando le dosi medie ricevute da una dozzina di
organi/tessuti con fattori di qualità che sono funzione della probabilità di insorgenza di tumore
in quel dato organo/tessuto con esito fatale.
La distribuzione temporale della dose assorbita è irrilevante. Una certa dose comporta una
determinata probabilità di comparsa dell’effetto, sia che venga somministrata in una sola
volta, sia che venga suddivisa in più volte. Esiste ancora necessità di conferme.
La distribuzione spaziale della dose somministrata è irrilevante. Per dosi locali di alcuni
Gy, il rischio di effetti tardivi è correlato alla dose media all’organo e non alla distribuzione
della dose ricevuta zona per zona nell’organo sensibile.
1.1.4 Biomarcatori e Test Biodosimetrici
Il danno biologico radioindotto dipende da: energia assorbita, radiosensibilità dei tessuti e
fattore di qualità Q della radiazione incidente che evidenzia la diversa efficacia delle
radiazioni poiché dipende dal LET. Poiché il DNA è il bersaglio principale delle radiazioni, il
danno primario può essere rimosso tramite gli enzimi o riparato. Il danno residuo, per riparo
insufficiente o sbagliato, determina gli effetti che evidenziati, come biomarcatori citogenetici,
permettono una misura della dose biologicamente rilevante.
Il biomarcatore citogenetico più studiato è la frequenza di aberrazioni cromosomiche sia
strutturali che numeriche ormai in uso da anni per valutare i rischi delle esposizioni non solo a
radiazioni, ma anche a sostanze chimiche entrambi capaci di alterare direttamente o
indirettamente la struttura del DNA provocando la rottura e successivo riarrangiamento di
interi cromosomi in forme abnormi. Le aneuploidie nelle cellule buccali possono essere
biomarcatore non solo di danno chimico, ma anche di danno radioindotto.
3
È la probabilità che un organo irradiato possa subire un effetto stocastico rispetto al corpo intero DE = H·wT (Sv)
9
Un test biodosimetrico permette una stima della dose equivalente H4e del rischio scelto da
monitorare sia diretta che indiretta purché siano note le curve di calibrazione relative alla
radiazione in esame ( Fig. 1.4). Stimata la dose D, attraverso il fattore di qualità Q si risale
alla dose equivalente H; da questa si risale al rischio attraverso un fattore di rischio Q’ stimato
in base a dati epidemiologici. Se sono note le curve di calibrazione adatte, entrambi i fattori
sono ottenuti empiricamente con un certo grado di indeterminazione.
Fig. 1.4 Possibili risultati di un test biodosimetrico sulla frequenza di aberrazioni cromosomiche per
stimare la dose, la dose equivalente o il rischio dalle curve di calibrazione disponibili.
Effetti causati dalla non riparazione delle lesioni radioindotte al DNA tipo: aberrazioni,
trasformazioni neoplastiche, morte clonogenica; sono validi esempi. Un test biodosimetrico è
la curva dose-effetto relativa alla frequenza di cromosomi dicentrici per cellula presenti in
Cromosomi
dicentrici/cellula
linfociti umani irraggiati con radiazioni diverse (Fig. 1.5).
0.3
0.2
0.1
0
0
1
2
3
Dose/Gy
Fig. 1.5 Curva D−Effetto (%cromosomi dicentrici/cellula) in linfociti umani irraggiati con:
α prodotte da 241Am, n di 0,7MeV e 14,7MeV entrambi con relazioni lineari,
X da 250kV, γ prodotti da 60Co entrambi con relazioni lineari quadratiche tipo:X = αD+βD2
4
È una grandezza convenzionale ottenuta moltiplicando la dose assorbita D per un fattore di qualità (Q). H = D Q (Sv)
10
In radiobiologia è fondamentale conoscere l’induzione tumorale radioindotta sia per
l’analisi dei rischi che per la conoscenza dei meccanismi della trasformazione di una cellula
sana in neoplastica. Le linee cellulari più usate sono le staminali coltivate e poi irraggiate
confrontando i danni da radiazioni diverse si comprendono i meccanismi(Fig. 1.6).
Trasformazioni/cellula
10-3
10-4
10-5
0
4
8
12
Dose/Gy
Fig. 1.6 Trasformazioni indotte in cellule staminali di mammifero esposte a raggi X e neutroni
L’inattivazione cellulare o morte clonogenica è evidenziata irraggiando campioni di
cellule che poi sono contate e piastrate per farle replicare.
Fig. 1.7 Tipiche curve di sopravvivenza di cellule di mammifero esposte a:
radiazioni densamente ionizzanti corrispondono ad esponenziale decrescente
radiazioni sparsamente ionizzanti danno spalla esponenziale
S = e −α D ,
S = e − (α D + β D
2
)
.
1.2 Aberrazioni Cromosomiche Radioindotte
Tali aberrazioni possono essere raggruppate in strutturali e numeriche:
11
a
strutturali sono tutte le alterazioni causate da rotture cromosomiche e sono responsabili
dei cambiamenti cromosomici conformazionali e strutturali:
12
Se un cromosoma si rompe in un unico punto, le estremità del punto di rottura sono
riunite da un enzima di riparazione. In questo caso si ha delezione terminale.
L’assenza di un telomero funzionale produce instabilità ed il cromosoma viene degradato.
Se un cromosoma si rompe in due punti: gli enzimi di riparazione hanno difficoltà a
riconoscere le diverse estremità danneggiate ed è possibile che si verifichino:
inversione, cromosoma ad anello, delezione interstiziale.
13
Se due cromosomi si rompono in due punti gli enzimi di riparazione hanno difficoltà,
maggiori del caso precedente, a riconoscere le diverse estremità danneggiate e si può
verificare una traslocazione: reciproca, Robertsoniana, bilanciata, sbilanciata.
Traslocazione Bilanciata: non c’è acquisizione o perdita netta di parti cromosomiche.
Traslocazione Sbilanciata: se c’è acquisizione o perdita netta di parti cromosomiche.
Traslocazione Reciproca o Bilanciata: è uno scambio bilanciato di frammenti acentrici
che può interessare qualsiasi braccio cromosomico dando origine ad aneuploidie parziali.
Un portatore di Traslocazione Bilanciata, con cariotipo apparentemente normale di 46
cromosomi, ha il 50% di probabilità di generare individui affetti da trisomia parziale e/o
monosomia parziale. Con la meiosi c’è il 50 % di probabilità di avere gameti non bilanciati;
questi, se fertilizzati con gameti normali, daranno zigoti con trisomia parziale e/o
monosomia parziale per regioni cromosomiche definite:
14
Traslocazione Robertsoniana interessa i bracci lunghi dei cromosomi acrocentrici, il
braccio corto di ogni cromosoma coinvolto viene perso dando origine ad aneuploidie.
Infatti i portatori hanno un cariotipo con soli 45 cromosomi perché i due bracci corti
acentrici non possono congiungersi a formare un cromosoma. Rappresenta il riarrangiamento
cromosomico più frequente (1su 1000).
Un portatore di Traslocazione Robertsoniana Bilanciata, di cariotipo di 45 cromosomi,
ha i 5/6 di probabilità di generare individui affetti da monosomie e/o trisomie totali.
Con la meiosi si hanno in 4 casi sui 6 possibili, gameti non bilanciati che, se sono fertilizzati
da gameti normali, daranno zigoti con trisomia e/o monosomia; in un altro caso si hanno
gameti bilanciati che, se fertilizzati con gameti normali, ridaranno zigoti con cariotipo
aneuploide come iniziale. Nell’ultimo caso si hanno gameti normali con zigoti normali.
Traslocazione Robertsoniana Bilanciata 14/21:
15
b
numeriche, note come aneuploidie, sono tutti i diversi tipi di cambiamenti numerici
indotti da eventi di non-disgiunzione o ritardo anafasico senza provocare rotture nei
cromosomi.
o Poliploidie: sono presenti n copie dell’intero cariotipo. Le più comuni sono:
1 Triploidia (n =3) dovuta a: fecondazione di un singolo ovulo da parte di 2 spermatozoi
(dispermia) o alla fecondazione che coinvolge un gamete diploide anomalo.
2 Tetraploidia (n =4) dovuta al non completamento della prima divisione zigotica.
3 Poliploidia Costituzionale:è una forma rara, ma le cellule del fegato o dei tessuti di
rigenerazione sono tetraploidi a causa della reduplicazione del DNA della mitosi.
I megacariociti, cellule del midollo osseo con nuclei molto grandi: 8-16 volte il numero
aploide di cromosomi, sono precursori delle piastrine. Queste ed altre cellule completamente
differenziate (es. eritrociti o cellule epiteliali squamose) sono nulliploidi (prive di nucleo).
16
o Aneuploidie si ha guadagno o perdita di alcuni cromosomi possono essere bilanciate o
sbilanciate. Le più note sono:
• Monosomie si perde una copia di un cromosoma. Il cariotipo è di 45 cromosomi.
• Trisomie si guadagna una copia di un cromosoma. Il cariotipo è di 47 cromosomi.
Le possibili cause più note sono:
1
NON−DISGIUNZIONE può essere dovuta all’incapacità di:
a) cromosomi separati di appaiarsi durante la prima divisione meiotica,
b) cromatidi fratelli appaiati di separarsi nella seconda divisione meiotica.
I due cromosomi o cromatidi congiunti migrano ad un polo e vengono inclusi in una sola
cellula figlia aumentandone il materiale genetico, mentre l’altra ne avrà in meno.
2
RITARDO ANAFASICO: ritardata migrazione del cromosoma durante l’anafase
con perdita del cromosoma per mancata incorporazione nel nucleo di una delle cellule
figlie.
La frequenza delle anomalie cromosomiche alla nascita è 0.65% così ripartite:
aneuploidie
cromosomi
frequenze %
n° casi sui nati
Trisomie
21
0.12
1 su 833
18
0.013
13
0.004
bilanciate
0.2
sbilanciate
0.05
Monosomie
45,X
1 su 500
0.024
1.3 Risposta dei Tessuti Sani all’Irraggiamento Terapeutico
Il grande limite della radioterapia è rappresentato dalle reazioni del tessuto sano alle
radiazioni ionizzanti utilizzate in oncologia. Pazienti affetti dalla stessa patologia tumorale e
sottoposti allo stesso trattamento radioterapico, otterranno risultati diversi riportando lesioni
diverse al tessuto sano in virtù della radiosensibilità individuale. Ciò sembrerebbe scoraggiare
qualsiasi possibilità di monitoraggio di rapporto causa−effetto da poter poi sfruttare per la
preparazione dei piani di trattamento.
In realtà per spiegare le variazioni inter−individuali non basta focalizzare l’attenzione solo
sui fattori esterni come variazione di dose o del volume irraggiato, ma anche sui fattori
17
intrinseci: la radiosensibilità cellulare. Infatti in radioterapia sono fondamentali le differenze
inter-individuali nella radiosensibilità intrinseca del tessuto sano e tumorale poiché potrebbero
influenzare la tolleranza del paziente al trattamento radioterapico e la possibilità di curare la
sua patologia tumorale (Guirado et al.,2003).
Ciò implica la necessità di monitorare la sopravvivenza al trattamento di entrambi i tessuti
poiché la sopravvivenza del tessuto sano corrisponde alla tolleranza della dose, mentre la
sopravvivenza del tessuto tumorale equivale ad un fallimento parziale o totale della terapia.
1.3.1 Sopravvivenza Cellulare all’Irraggiamento
In biologia è importante la capacità di ogni cellula di clonarsi studiata in vitro contando le
colonie con n° cellule = 2
t
T
t =tempo trascorso dal piastramento e T = tempo di
duplicazione cellulare.
In radiobiologia è altrettanto importante che la cellula conservi la stessa capacità dopo
essere stata sottoposta ad un irraggiamento per monitorarne l’effetto. Infatti più la cellula si
clona, più sopravvive e meno è inattivata da radiazione; invece meno la cellula si clona, meno
sopravvive e più è inattivata dalla radiazione ricevuta.
Il grafico delle frazioni cellulari sopravvissute in funzione della dose assorbita è chiamato
curva di sopravvivenza l’andamento è stato descritto formulando modelli matematici diversi.
La radiosensibilità cellulare dipende non solo dalle caratteristiche cellulari proprie come i
processi di: riparazione del danno e ciclo cellulare, ma anche dall’ambiente circostante e tipo
di radiazione identificata attraverso RBE.
L’inattivazione cellulare o morte clonogenica può avere diverse cause poiché le alterazioni
radioindotte sul DNA sono di cinque tipi (vedi pag. 6).
Le DSB rappresentano il danno principale; ma vanno distinte le cause:
• un singolo evento di ionizzazione;
• interazione di due SSB indipendenti tra loro ma vicini.
Se tali danni non sono riparati, si ha aberrazione strutturale distinguibile tra: cromosomica e
cromatidica. L’aberrazione cromosomica è un’alterazione dell’intero cromosoma apparsa in
mitosi dopo la duplicazione in fase S della DSB causata dal danno avvenuto in fase prereplicativa. L’aberrazione cromatidica è limitata al singolo cromatide causata da un danno
avvenuto in fase G2 o dopo la replicazione del DNA genomico.
• Se una singola ionizzazione ha prodotto eventi letali, la frequenza di morte cellulare è
direttamente proporzionale alla dose:
F(D) = α D
18
dove D = n d =dose totale ricevuta con n=n° frazioni di D e d = frazione di D.
La relativa curva di sopravvivenza, è una retta con andamento esponenziale decrescente in
funzione della dose: SF = e −α D .
• Se due ionizzazioni diverse hanno prodotto accumulo di eventi sub−letali, la morte cellulare
avrà frequenza proporzionale al quadrato della dose:
F(D) = βD2 = β(nd)2
Quando si osservano le cellule irraggiate con radiazioni sparsamente ionizzanti, la loro
sopravvivenza cellulare SF (Kulik, 2002) rispecchia il verificarsi di entrambi i fenomeni causa
della morte cellulare: unico evento letale prodotto da 1 singola ionizzazione; danno
sub−letale dovuto all’interazione di due ionizzazioni indipendenti.
Giacché i 2 meccanismi sono indipendenti tra loro, la curva di sopravvivenza è data dalla
frequenza con cui si verificano descritta dalla funzione lineare quadratica:
S = e − (α D + β D
2
)
Il rapporto α indica la suscettibilità relativa delle cellule ad uno dei due eventi.
β
Il modello lineare quadratico può anche comprendere i processi cellulari di: riproduzione,
riossigenazione, riparazione. Lo si può usare per monitorare entrambi i tessuti. Nelle formule
è riportato D = nd poiché la probabilità di sopravvivenza aumenta col frazionamento della
dose che permette alla cellula di riparare il danno nonché rigenerarsi.
Esiste la seguente relazione tra dosi frazionate D e Dl che sortiscono gli stessi effetti,
perciò dette biologicamente isoeffettive, e producono la stessa frequenza di sopravvivenza SF
= SFl :
α

β +d
D

= 
Dl  α
l 
β +d 


l = indica il valore della frazione di dose
Solitamente in radioterapia il frazionamento standard corrisponde a d=2Gy somministrato
al paziente n=5 giorni a settimana per un ciclo di 3 settimane ottenendo in una settimana la
l =2
dose totale =10 Gy = D
= nd l =2 . Di conseguenza la relativa frequenza di sopravvivenza è
SF2 = radiosensibilità di un individuo.
1.3.2
Tolleranza Cellulare all’Irraggiamento
Il frazionamento standard è frutto di studi continui ed approfonditi per valutare i danni
letali per le cellule tumorali e non letali per le cellule sane circostanti la zona tumorale indotti
dalle dosi frazionate ricevute. In pratica si monitora come tali dosi siano tollerate da entrambi
19
i tessuti interessati dalla radioterapia volendo garantire al paziente la più bassa probabilità di
danno radioindotto senza inficiare il risultato finale dell’eliminazione della massa tumorale.
Rubin e Cassarett svilupparono nel 1968 un lavoro divenuto fondamentale per lo studio
della dose tollerata dai vari organi trattati e delle molteplici patologie radioindotte. Lo
dimostra il fatto che tuttora sono utilizzati i parametri, da loro introdotti, per esprimere la
tolleranza dei tessuti sani alla radioterapia: TD5 5 e TD50 5 (Emami et al., 1991):
TD5/5 = dose tollerata dalle cellule con il 5% di probabilità di sviluppare danno radioindotto
in 5 anni dalla fine del trattamento.
TD50/5 = dose tollerata dalle cellule con il 50% di probabilità di sviluppare danno radioindotto
in 5 anni di tempo trascorso dalla fine del trattamento
Entrambi sono importanti poiché tracciano dei limiti essenziali per raggiungere l’obiettivo
della radioterapia:
minimizzare la dose al tessuto/ organo sano e massimizzarla al tessuto tumorale.
Tuttavia il loro calcolo va raffinato grazie ai miglioramenti tecnologici apportati nel tempo
che consentono un miglior controllo sugli organi coinvolti nell’irraggiamento. Inizialmente il
monitoraggio avveniva con CT scan ( Tomografia Computerizzata) nei piani di trattamento
bidimensionali. L’introduzione del trattamento tridimensionale più preciso è una miglioria.
Emami ed i suoi collaboratori nel 1991 si sono prefissi l’obiettivo di conoscere più
dettagliatamente possibile la tolleranza dei tessuti sani all’irraggiamento sfruttando i dati
disponibili in letteratura e quelli da loro prodotti. Hanno così raggiunto un risultato importante
osservando che il danno radioindotto al tessuto sano dipendeva dal volume irraggiato.
Hanno frazionato il volume degli organi studiati ed assegnato, ove possibile, una dose di
tolleranza considerando i danni più gravi che potevano esservi provocati. Ciascun volume è
stato frazionato in: 1/3, 2/3, 3/3; per ciascuno di questi volumi parziali sono stati indicati TD5/5
e TD50/5 utilizzando dosi calcolate basandosi sui: dati clinici e sperimentali, esperienza degli
esperti coinvolti, calcoli per interpolazione dei dati sull’intero organo.
All’atto della tabulazione si è dovuto tener conto dei vari parametri che hanno influenzato
il risultato: diversità degli organi studiati, complicazioni radioindotte sviluppabili in ogni
organo (ulcerazioni), diverse combinazioni di parametri in gioco (frazioni di dose, volume
20
interessato, tempo totale di irraggiamento), stato fisiologico degli organi in fase pretrattamento
ed anamnesi del paziente (malattia, stili di vita, età).
È ovvio che la sola quantificazione delle dosi di tolleranza non basta per determinare la
radiosensibilità individuale intrinseca. È risultato sperimentale che la radiosensibilità dei
tessuti ha due componenti distinte:la genetica e l’epigenetica sconosciuta(Brock et al., 1995).
Su questa base si ipotizza:
la radiosensibilità cellulare, dimostrata da una linea cellulare in coltura, riflette la
radiosensibilità genetica dell’individuo donatore;
individui con ipersensibilità in una linea cellulare potrebbero mostrarla anche in altri linee
cellulari normali se risulta radiosensibilità diversa in uno o più linee (fibroblasti, linfociti,
cellule epiteliali) e se è causata da una differenza genetica.
La conoscenza della distribuzione della radiosensibilità nei campioni prelevati ai pazienti
potrebbe consentire l’uso dei test di radiosensibilità sulle linee cellulari sovra indicate per
stimare il guadagno terapeutico. Inoltre la stima della radiosensibilità del paziente potrebbe
consentire l’uso dei suddetti test per individualizzare i piani di trattamento (Guirado- par. 1.5).
1.4
Indicatori Biologici della Probabilità di Controllo del Tumore e
della Probabilità di Complicazioni al Tessuto Normale
Il guadagno terapeutico si ottiene assicurando al paziente il miglior indice terapeutico con
un piano di trattamento che consenta altissima probabilità di controllo del focolaio tumorale
(TCP) e bassissima probabilità di complicazioni al tessuto normale (NTCP) circostante.
L’indice terapeutico è il rapporto di queste due quantità poiché l’obiettivo è il controllo
non solo del focolaio tumorale, ma anche delle complicazioni che possono sorgere nel tessuto
sano a seguito del trattamento radioterapico.
Inoltre per esercitare i controlli, non basta stimare al meglio il volume interessato dalla
patologia tumorale ottimizzando l’estensione del bersaglio con diagnostica per immagini
sempre più raffinata e dosimetria tridimensionale, ma bisogna anche stimare la giusta dose
necessaria allo scopo. Quindi gli indicatori biologici adatti sono fondamentali per il successo
della cura.
Il controllo del focolaio tumorale va inteso come blocco non solo della crescita del tumore,
ma anche della proliferazione tumorale in organi adiacenti o in vie di comunicazione con altri
organi importanti. Per valutare bene la dose bisogna ricorrere ai modelli costruiti con le
21
informazioni sullo sviluppo tumorale e sulla radiosensibilità cellulare ad i vari tipi di
trattamento.
Il limite maggiore imposto all’uso di entrambi le grandezze esaminate è rappresentato dalla
mancanza di dati clinici organizzati completi di follow-up sui quali si possano ottimizzare i
parametri richiesti dalle formule: TD50, m, n, , , No. Le curve dose-effetto per TCP e NTCP
in funzione della dose somministrata D sono in Fig. 1.8
Fig. 1.8: CTP e NTCP in funzione della dose.D0 è la dose prevista per il trattamento; le linee verticali indicano
i cambiamenti nella risposta dovuti a piccoli cambiamenti della dose (Williams JR et Thwaites DI, 1994).
Per raggiungere l’obiettivo della radioterapia le due curve devono risultare separate come
in figura. Più la curva TCP si trova a sinistra della curva NTCP, più la patologia può essere
trattata con successo risultando il tessuto tumorale più radiosensibile del tessuto sano.
Per separare le due curve si possono adottare i seguenti metodi:
1 tecniche di irraggiamento più selettivo dei bersagli:
fasci multipli convergenti, intensità modulata dei fasci, filtri e collimatori;
2 uso di radiosensibilizzanti per i tessuti tumorali e/o radioprotettori per i tessuti sani;
3 frazionamento della dose.
Approfondimenti sul calcolo delle grandezze ed i modelli teorici utilizzati per calcolarli
individualizzando i piani di trattamento sono in appendice A.
1.5 Esempi di Misure di Radiosensibilità per determinare i migliori
Biomarcatori
Le dosi radioterapiche sono limitate dalla tolleranza dei tessuti normali. Analisi esatte
preventive genetiche e/o basate sulla sopravvivenza cellulare per studiare la radiosensibilità
tumorale e del tessuto sano, permetterebbero l'ottimizzazione della radioterapia e la previsione
delle reazioni, con un consenso più informato al trattamento (Brame, 2001).
22
Da anni si conducono studi su diversi tipi di cellule per conoscere l’entità del danno
radioindotto. Le ricerche nei primi anni 2000, ed altre meno recenti (Neubauer et al., 1997),
evidenziano come si possa riconoscere l’ipersensibilità individuale alle RI misurando le CA.
Il limite sta nel non essere riusciti a dimostrare l’esistenza di una relazione tra il danno
radioindotto e la risposta individuale misurata acuta (immediata) o tardiva, all’irraggiamento.
Test recenti sui fibroblasti hanno dimostrato lo stesso limite non consentendo di
determinare alcuna relazione certa tra la radiosensibilità e le complicazioni post trattamento
(Brock , 1995; Rudat et al., 1997; Peacock et al., Dikomeny et al., Carlomagno et al., 2000).
Nel 2002 pazienti operati di HNC (Cancro nella regione Testa-Collo) sono stati oggetto di
studio per trovare un’eventuale relazione tra gli effetti tardivi manifestatisi nei tessuti sani
dopo la radioterapia e le radiosensibilità con i seguenti test:
sopravvivenza cellulare dei fibroblasti del derma;
capacità di riparo della doppia elica di DNA nei fibroblasti del derma;
aberrazioni cromosomiche CA nei linfociti.
Confrontando i risultati, le risposte dei fibroblasti non sono relazionabili alle
complicazioni più o meno gravi manifestatesi post trattamento. Invece la risposta dei linfociti
è differenziata secondo la gravità delle reazioni tardive. Quindi i linfociti potrebbero essere un
biomarcatore migliore dei fibroblasti nella previsione dei danni radioindotti ai tessuti sani
(Borgmann, 2002).
Risultato opposto era stato raggiunto da uno studio precedente svolto su pazienti operati di
cancro alla mammella e poi radiotrattati. La radiosensibilità dei linfociti era stata misurata
come frequenza dei micronuclei risultando inadatta a predire la risposta dei tessuti sani
sebbene risultasse maggiore nei pazienti radiotrattati (Barber et al., 2000).
Analogo risultato è stato ottenuto da una ricerca svolta sulle CA radioindotte in PBL
(Linfociti del Sangue Periferico) in 22 pazienti affette da cancro alla mammella e radiotrattati
di cui 9 sono state sottoposte anche a chemioterapia. Per monitorare l’evoluzione del danno
sono stati effettuati tre prelievi a: inizio, metà e fine trattamento.
Se il danno nei PBL fosse relazionabile alla radiosensibilità individuale, le CA potrebbero
funzionare da biomarcatore predicendo danno del tessuto sano. In realtà confrontando i
risultati tra inizio e fine trattamento le CA sono aumentate, ma non è stato possibile
individuare alcuna relazione certa tra il grado di tossicità acuta e le frequenze maggiori
(D’Alesio et al., 2003).
È stato svolto uno studio retrospettivo per scoprire eventuale nesso tra radiosensibilità e
sviluppo di fibrosi post trattamento negli anni su 86 pazienti operati di cancro alla mammella e
23
radiotrattati. La fibrosi è aumento di tessuto connettivo di organo causato da processo
morboso in atto. Il test di radiosensibilità ha analizzato le CA in linfociti irraggiati in vitro con
6Gy.
Per condurre al meglio l’analisi, i pazienti sono stati divisi in due gruppi:
1
pazienti con frequenza di CA
2
pazienti con frequenza di CA > 6.18 sono molto radiosensibili.
6.18 sono poco o mediamente radiosensibili;
Tasso annuale di sviluppo di fibrosi in 2 è maggiore di 2.3 volte tasso di 1. Le probabilità
di non sviluppare fibrosi diminuiscono esponenzialmente col tempo alla fine del trattamento
per entrambi. I pazienti sono stati divisi in base ai parametri dei test di radiosensibilità per
evidenziare possibilità di prevederne risposta. Il risultato è stato alta radiosensibilità cellulare
individuale, frequenza di CA, associata a maggiore tasso annuale di sviluppo di fibrosi.
24
CAPITOLO 2
PUNTO DI VISTA BIOLOGICO
Le varie specie viventi, così diverse tra loro, hanno in comune gli stessi meccanismi per
regolare le funzioni alla base dello sviluppo e sopravvivenza di ogni specie: riproduzione,
metabolismo e sintesi proteica.
Le cellule, veicolo dell’informazione ereditaria che definisce la specie, hanno un doppio
ruolo poiché contengono non solo l’informazione ereditaria necessaria alla sopravvivenza, ma
anche il complesso sistema essenziale per raccogliere materiali dall’ambiente esterno e
costruire una nuova cellula completa di informazione ereditaria.
2.1 La Cellula ed il Ciclo Cellulare
Il termine cellula fu coniato per la prima volta nel 1665 da Robert Hooke osservando al
microscopio composto una fettina di sughero molto sottile che appariva tutta traforata e
formata da tanti comparti separati da pareti “piccole stanze” che chiamò cellule.
La distinzione principale è tra: procariote ed eucariote.
Le cellule procariote (prive del nucleo) sono composte da un unico compartimento cellulare
con unico cromosoma contenuto nel nucleoide (Fig. 1 in appendice B1). Si riproducono per
fissione binaria ogni 20 min. Comprendono gli organismi unicellulari: lieviti, batteri.
Le cellule eucariote (con un nucleo ben formato) contengono un nucleo rivestito da
membrana per separarlo dal citoplasma dove avvengono le reazioni metaboliche necessarie
alla vita cellulare (Fig. 2 in appendice B1). Comprendono: vegetali ed organismi superiori.
L’informazione genetica ereditaria è conservata nel DNA, molecola a doppio filamento
costituita da lunghe catene di polimeri formate dagli stessi 4 monomeri:A, T, C, G accoppiati
tra loro da legami idrogeno. La sua lunghezza si misura in coppie di basi. Trasporta le
informazioni genetiche per tutte le proteine e gli acidi nucleici sintetizzabili dalla cellula.
Le due funzioni di ciascun cromosoma sono controllate da tre tipi di sequenze specializzate
a cui si legano proteine specifiche per guidare in modo efficiente la replica e segregazione dei
25
cromosomi: (una o più) origini di replicazione per velocizzarne la replica, il centromero per
attaccarsi al fuso mitotico, i telomeri per indicarne le estremità (Fig. 2.1).
Fig. 2.1 Struttura dei cromosomi e compattamento del DNA ivi contenuto. (Alberts, 2004)
Il compattamento del DNA eucariota è dovuto alle proteine non istoniche ed istoni. La
loro unione con il DNA, cromatina, ha come unità fondamentale il nucleosoma, perlina di
istoni, intorno cui si avvolge un tratto della doppia elica (Fig. 3 e Fig. 4 in appendice B1).
La morfologia dei cromosomi dipende dalle fasi del ciclo. Il cromosoma mitotico appare in
metafase con le due molecole figlie di DNA, frutto della replicazione del DNA in interfase,
compattate separatamente per produrre i cromatidi fratelli uniti nel centromero ricoperti da
molte molecole compresi i complessi DNA-proteine.
2.1.1 Ciclo Cellulare
Il ciclo inizia con la replicazione del DNA e sintesi delle proteine associate in fase S
(sintesi), gli altri componenti sono duplicati durante intera interfase. In fase M, i cromosomi
replicati sono segregati in nuclei distinti (mitosi) e la cellula si divide in 2 (citocinesi) (Fig.
2.2.a).
26
Le due fasi sono separate da fasi Gap: G1 e G2 (Fig. 2.2.b) perchè la maggioranza delle
cellule richiede più tempo per raddoppiare la propria massa di proteine ed organelli che per
replicare il DNA e dividersi. L’interfase umana dura 23 ore delle 24 dell’intero ciclo.
Fig. 2.2a) La fase M è di 5 fasi; b) Mitosi M dura ~1 ora(~15%), Interfase ~23 ore, Sintesi S ~12 ore (~ 40%).
Altro scopo delle fasi gap è controllare l’ambiente esterno ed interno alla cellula affinché
le condizioni siano adatte e le preparazioni completate prima di proseguire nel ciclo (Fig. 2.3).
Fig. 2.3 Ciclo Cellulare con tre Punti di Controllo le cui posizioni sono evidenziate in rosso.(Alberts)
27
Nella fase G1 (PRE–SINTESI) si sintetizzano le molecole essenziali per l’accrescimento
cellulare: proteine, lipidi e carboidrati. In condizioni favorevoli le cellule superano il punto di
restrizione entrando in fase S per replicare il DNA anche se cessano i segnali esterni
favorevoli. In condizioni sfavorevoli vanno in uno stato di riposo specializzato, G0, in cui
possono rimanere per giorni, settimane o anni prima di riprendere a proliferare.
Nella fase G2 (POST-SINTESI) si sintetizzano particolari proteine che hanno il compito di
regolare lo svolgimento delle varie fasi mitotiche, la cellula si prepara alla divisione cellulare:
le è impedito l’ingresso in mitosi se la replicazione del DNA non è stata completata.
Le sole cellule sessuali si riproducono per meiosi, tutte le altre cellule somatiche si
replicano per mitosi.
La produzione delle cellule aploidi, i gameti (spermatozoi e cellule uovo), avviene per
meiosi solo nelle cellule germinali delle gonadi (testicoli ed ovaie). È una singola fase di
replicazione del DNA seguita da due divisioni cellulari: dà quattro cellule aploidi
geneticamente diverse dalla cellula iniziale (Fig. 2.4).
Invece ogni cellula somatica diploide, replicandosi per mitosi, produce due cellule diploidi
geneticamente identiche (Fig. 5 in appendice B1).
Nella mitosi i cromatidi fratelli si allineano all’equatore del fuso mitotico con i cinetocori
ed i microtubuli, ad essi attaccati, che puntano verso poli opposti. In anafase si separano e
diventano cromosomi singoli. Ogni nuova cellula erediterà una copia di ciascun cromosoma.
Fig. 2.4 La Meiosi è divisa in Meiosi I (I divisione meiotica)e Meiosi II (II divisione meiotica) (Alberts)
28
Nella meiosi un gamete aploide, prodotto da una cellula diploide, deve contenere metà del
numero originale di cromosomi. Al posto di ciascuna coppia omologa di cromosomi, deve
contenere solo un cromosoma: copia materna o paterna di ciascun gene, ma non di entrambi.
E’ necessario che gli omologhi si riconoscano tra loro e si uniscano per tutta la lunghezza
prima di allinearsi sul fuso,ma prima ciascun cromosoma si replica producendo due cromatidi
fratelli, come in mitosi. La meiosi è evidente solo dopo la completa replicazione del DNA.
Occasionalmente i cromosomi non riescono a separarsi correttamente nelle quattro cellule
aploidi (non disgiunzione meiotica) dando cellule aploidi con errato numero di cromosomi
(aneuploidia). Questi gameti formeranno embrioni anomali la maggior parte dei quali muore.
Solo alcuni sopravvivono e raggiungono l’età adulta: sindrome di Down (trisomia 21)
dovuta ad una non disgiunzione in meiosi femminile la cui frequenza di errore è in aumento
con l’età materna. Possibile causa dell’alta frequenza di aborti spontanei ad inizio gravidanza
è la frequenza di segregazione errata negli oociti umani notevolmente alta ~10% delle meiosi.
La struttura cromosomica deve essere dinamica per permettere alla cellula di accedere al
DNA facilitando l’assemblaggio di altre proteine che legano i centromeri e formano il
cinetocore che, a sua volta, attacca il centromero al fuso mitotico.
Alcune regioni si condensano e decondensano quando le cellule devono accedere a
sequenze specifiche per: esprimere geni, riparare e replicare il DNA.
PROFASE
Inizia con la condensazione dei cromosomi: replicati in interfase, consistono ognuno di due
cromatidi fratelli associati strettamente dalle coesine (proteine), cui se ne attaccano altre, le
condensine, che li compattano ulteriormente usando l’energia di idrolisi dell’ATP. Conclusa
la condensazione, sui cromosomi compare il cinetocore. L’involucro nucleare resta intatto.
Fuori dal nucleo si forma il fuso mitotico assemblandosi dai microtubuli ed altre proteine
tra i due centrosomi, precedentemente duplicati ed ora separati. I microtubuli si dispongono a
raggiera intorno ad ogni centrosoma, tracciando con le fibre allungate, dei meridiani lungo la
cellula (1ª e 2ª immagine di Fig. 2.2.a e Fig. 2.5)
I centrioli, già duplicati, migrano ai poli opposti della cellula uniti dal fascio di microtubuli
che si allungano progressivamente per l’aggiunta di subunità di tubulina. Quando la profase
continua, i cromosomi si condensano e si accorciano ed i nucleoli scompaiono. La scomparsa
della membrana nucleare segna la fine della profase.
29
Fig. 2.5 Cambiamento della morfologia dei cromosomi da interfasici a mitotici
METAFASE
Scomparso l’involucro nucleare, il fuso mitotico si muove nell’area nucleare ed i
cromosomi duplicati si attaccano, tramite il cinetocore, ad un altro gruppo di microtubuli del
fuso, i microtubuli del cinetocore. Di conseguenza i cromosomi si dispongono all’equatore
del fuso, piastra equatoriale o piastra della metafase (Fig. 2.6 e Fig. 2.7).
Fig. 2.6.(a) Riproduzione esemplificativa di 2.7. (b).Immagine reale della 3ª immagine di Fig. 2.2.a (Alberts)
Fig. 2.7 Immagine reale della Fig. 2.6.a dove si distingue la piastra interna del cinetocore ed i microtubuli
dello stesso che poi traineranno i cromosomi verso i poli. (Alberts)
30
ANAFASE
Si separa il centromero. Il fuso mitotico si allunga per l’addizione di tubulina, i centrioli si
dividono, ciascun cromatide è tirato dai microtubuli del cinetocore lentamente verso il polo
del fuso che lo fronteggia: i centromeri si dirigono verso i poli, mentre i bracci distali sono
diretti verso l’interno finchè i due gruppi si ammassano ai poli opposti (Fig. 2.8).
Nel frattempo i microtubuli del cinetocore si accorciano ed anche i poli del fuso si
spostano verso l’esterno. Entrambi i processi contribuiscono alla separazione dei cromosomi e
progressiva disgregazione del fuso.
Fig. 2.8 Particolari dell’anafase. (Alberts)
TELOFASE
Le 2 serie di cromosomi figli arrivano ai poli del fuso e si decondensano. Intorno a
ciascuna serie si riassembla un nuovo involucro nucleare unendo i frammenti di quello
demolito. In tal modo si completa la formazione di 2 nuclei e finisce la mitosi. Nel frattempo i
microtubuli si sovrappongono.
Solo ora si inizia a delineare una sorta di strozzatura nella cellula di forma sempre più
allungata. Tale strozzatura è evidenziata dalla progressiva formazione di un anello contrattile
di filamenti di actina e miosina. Inizia la divisione del citoplasma.
31
CITOCHINESI
Formatisi i nuovi 2 nuclei, i cromosomi contenuti si decondensano riportandosi all’aspetto
interfasico. Si riforma anche la schiera di microtubuli interfasici nucleati dal centrosoma.
Finalmente il citoplasma è diviso nettamente in 2 dall’anello che stringe la cellula e la divide
in 2 per formare 2 cellule figlie complete.
2.2 Meccanismi di Formazione delle Aneuploidie
Una cellula di definisce euploide quando il suo cariotipo contiene il numero esatto di copie
di ogni cromosoma. Le variazioni numeriche caratterizzano il cariotipo aneuploide:
Tipi di aneuploidie
n° copie cromosoma
nullisomia
0
monosomia
1
trisomia
3
tetrasomia
4
pentasomia
5
Il cariotipo è il corredo cromosomico tipico di ogni specie cellulare. Homo sapiens: 22
autosomi e 2 cromosomi sessuali; cariotipo diploide: 46 cromosomi totali e, dopo la virgola, il
tipo dei cromosomi del sesso; donna: 46,XX; uomo: 46,XY (Fig. 2.9). La differenza genetica
osservata tra uomo e donna è solo a livello dei cromosomi del sesso che si suppone
contengano le informazioni necessarie: Y è più piccolo di X e contiene pochi geni.
Fig. 2.9 Cariotipo maschile: i cromosomi omologhi vicini sono disposti, a coppie, in ordine decrescente.
Alla parola aneuploidia corrispondono molte patologie: alcune molto diffuse con altro
nome, altre quasi sconosciute. Quindi è importante approfondirne lo studio rivelatosi molto
utile nella diagnosi prenatale e non solo come risulterà in seguito.
I meccanismi di formazione delle aneuploidie sono comuni alle tre possibili cause diverse:
32
origine biologica–casuale ossia un naturale cambiamento casuale;
origine chimica da inquinamento di: metalli pesanti, pesticidi, PHA, chemioterapia;
origine fisica dovuta a radiazioni: terapeutiche, naturali, belliche.
origine biologica-casuale
Il patrimonio genetico della specie umana subisce continue mutazioni per adattarsi
all’ambiente, ma alcune causano le malattie genetiche principale causa di mortalità infantile.
Almeno 1/5 della popolazione adulta è colpita da patologie croniche su base genetica:
• cromosomiche causate da alterazioni del numero o della struttura dei cromosomi (cap. 1);
• monogeniche causate da alterazioni di un singolo gene;
• multifattoriali dovute al concorrere di più geni insieme a fattori ambientali.
La loro prevalenza alla nascita è così suddivisa: malattie cromosomiche 0,6%–0,9%;
malattie monogeniche 0,5%–1,25%; difetti congeniti 2%–5%. Ai fini di questo lavoro di
tesi, si parlerà solo delle cromosomiche facendo un cenno alle multifattoriali ove necessario.
Le malattie cromosomiche numeriche sono di due tipi:
Poliploidia
Il numero di cromosomi nel cariotipo è un multiplo esatto di n (numero aploide =23),
superiore a 2n (diploide): triploidia=3n (69 cromosomi), tetraploidia=4n (92 cromosomi). E'
aberrazione letale nell'uomo, ma molto rara.
I meccanismi di formazione sono anomalie della fecondazione riferibili a:
1) fenomeni di endoreduplicazione cromosomica nelle cellule somatiche, caratterizzata dal
susseguirsi di due cicli mitotici nella stessa cellula;
2) mancata riduzione a metà del numero dei cromosomi alla I divisione meiotica germinale.
Alcuni tipi cellulari umani presentano normali cariotipi multipli: alcuni epatociti (cellule
del fegato) sono binucleati, megacariociti (cellule del midollo osseo con 2000–4000 piastrine
in pochi giorni) sono multinucleati per ripetute mitosi non seguite da citocinesi, le fibre
muscolari sono multinucleate in stessa membrana per fusione da cellule con nuclei singoli.
Aneuploidia
Nel cariotipo sono presenti copie in eccesso o in difetto di uno o più cromosomi:
monosomia, trisomia, trisomia parziale (solo un braccio distale del cromosoma).
33
I meccanismi di formazione sono errori in meiosi e/o in mitosi:
1 Perdita di un cromosoma per ritardo in anafase (mitosi): un cromosoma migra troppo
lentamente e non è incorporato nel nucleo che risulterà monosomico in quel cromosoma.
2 Non-disgiunzione dei due cromosomi omologhi dicromatidici di un bivalente durante
Meiosi 1 materna o paterna.
3 Non-disgiunzione dei due cromatidi di un cromosoma durante Meiosi 2 materna o paterna.
4 Non-disgiunzione dei cromosomi mitotici nell'embrione causa errori in mitosi nelle cellule
somatiche embrionali, alterando così il numero di cromosomi inizialmente normale nello
zigote. Il nuovo individuo potrà avere alcune cellule normali, altre aneuploidi: mosaicismo
cromosomico, corredi cromosomici diversi coesistenti nello stesso individuo in linee
cellulari derivate da un singolo zigote.
Il mosaicismo va distinto dal chimerismo fenomeno per cui un organismo comprende
cellule derivate da più zigoti diversi detto "chimera" e può avere origini naturali, o artificiali.
Il meccanismo principale della non-disgiunzione (mancata separazione dei cromosomi
omologhi o dei cromatidi durante l’anafase), può verificarsi durante la meiosi o la mitosi
dopo la formazione dello zigote (mosaicismo). Una non-disgiunzione meiotica può avvenire
sia nella prima che nella seconda divisione meiotica ed eccezionalmente in tutte due.
Se la non-disgiunzione avviene alla Meiosi 1, si formeranno il 100% di gameti anomali
di cui il 50% avrà un cromosoma in più dando zigoti trisomici (cellula generata dalla I
divisione aneuploide con 24 cromosomi), l’altro 50% avrà un cromosoma in meno dando
zigoti monosomici (cellula frutto della I divisione aneuploide con 22 cromosomi) (Fig. 2.10).
Fig. 2.10 Rappresentazione schematica della non-disgiunzione alla prima divisione meiotica (caso 2).
Se la non-disgiunzione avviene alla Meiosi 2, si formeranno il 50% di gameti normali
(frutto di II divisione euploide 23) ed il 50% di gameti anomali, di cui il 25% avrà un
cromosoma in più dando zigoti trisomici (aneuploide 24 Fig. 2.10), l’altro 25% avrà un
cromosoma in meno dando zigoti monosomici (aneuploide 22 Fig. 2.10) (Fig. 2.11).
34
Fig. 2.11 Rappresentazione schematica della non-disgiunzione alla seconda divisione meiotica (caso 3).
5 Noncongiunzione potrebbe causare un mancato appaiamento dei cromosomi omologhi.
6 Divisione centromerica difettosa potrebbe dare scorretta separazione dei cromatidi fratelli.
7 Errore nella replicazione cromosomica potrebbe causare extra replicazione cromosomica.
Le malattie cromosomiche strutturali intervengono durante la meiosi o le prime fasi di
divisione dello zigote, o sono ereditate da uno dei due genitori in forma bilanciata. Sono:
quantitative, aumento o riduzione del materiale cromosomico, duplicazioni e delezioni,
qualitative, diversa disposizione genetica interna al cromosoma, traslocazioni ed inversioni.
Le delezioni terminali e le interstiziali danno fenotipi con quadri clinici più o meno gravi
per i geni assenti. Le inversioni, rotazione di 180° delle sequenze, non causano malattie.
Il portatore di traslocazione bilanciata, con fenotipo normale, può avere gametogenesi
alterata: si possono formare gameti sbilanciati che potranno dare zigoti non vitali o patologici.
• Traslocazione robertsoniana, fusi due cromosomi acrocentrici, si ha nuovo cromosoma,
metacentrico o sub-metacentrico (append. B2). È un’anomalia strutturale e numerica (cap. 1).
• Traslocazione reciproca, se bilanciata, non ha conseguenze cliniche, ma può perturbare la
gametogenesi dando gameti e quindi zigoti sbilanciati.
La diagnosi genetica di preimpianto (PGD) ha fornito il risultato delle I e II divisioni
meiotiche: più della metà degli oociti di ultra 35enni ha anomalie per errori in meiosi I o II, o
entrambi: 41.9% erano aneuploidi dopo la meiosi I, 37.3% dopo la meiosi II, 29.1%
presentavano errori sia di meiosi I che di meiosi II.
Quindi 1/3 degli oociti, normali dopo la meiosi I, contenevano errori di meiosi II e 2/3
di quelli, con errori di meiosi II, erano già anomali dopo la meiosi I. Predominano gli errori
di meiosi I su distribuzione casuale di cromatidi supplementari e/o mancanti dopo meiosi II.
Circa 1/3 degli oociti aneuploidi per errori nella meiosi I e II ha mostrato un cariotipo
equilibrato per possibile “salvataggio di aneuploidia„ durante meiosi II. La maggioranza degli
35
embrioni, anomala per stesso cromosoma o differenti o mosaico, suggerisce predisposizione
di embrioni ad ulteriori errori mitotici. Gli embrioni mosaici possono provenire da oociti
anomali per il “salvataggio della trisomia„ durante le I divisioni mitotiche (Kuliev, 2004).
In generale l'effetto più evidente è l'aborto spontaneo. Si verifica nel 2,7% di gravidanze,
in metà dei casi (1,3%) dovuto ad aneuploidie. Queste ultime sono il 96% delle alterazioni
cromosomiche descritte nelle analisi citologiche del feto abortito.
La maggioranza degli embrioni con doppia trisomia abortisce spontaneamente: sono state
osservate doppie trisomie per tutti i cromosomi tranne 1 e 19 (Reddy, 1997).
Se le aneuploidie si sviluppano in una sola linea cellulare, portano al cancro; se si
sviluppano in tutte le linee cellulari dell’organismo, causano sindromi.
2.2.1 Aneuploidie nelle Cellule Normali o Sindromi da Aneuploidia
Nell’uomo si hanno i seguenti tipi:
a) monosomie autosomiche rare forse perchè gli embrioni monosomici non si sviluppano
e sono persi in gravidanza in alcuni casi per geni letali recessivi.
b) trisomie autosomiche frequenti, ma rare nei nati vivi, perché causano circa la metà
delle aberrazioni che portano alla morte fetale nonché determinano una morte precoce nella
maggioranza dei pochi nati vivi. L’unica che arriva all’età adulta è la trisomia 21.
Esiste anche la trisomia parziale, presenza in eccesso di parte di un cromosoma di solito
un braccio distale. Esempio: trisomia terziaria dovuta a “traslocazione Robertsoniana” non
reciproca con cariotipo normale, ma con tre copie del braccio lungo di un cromosoma.
Ne risultano i bracci lunghi di due cromosomi acrocentrici non omologhi attaccati ad un
solo centromero, mentre i bracci corti si uniscono formando il reciproco senza geni essenziali
quindi eliminabile in poche divisioni cellulari. Unico esempio di entrambi è:
SINDROME DI DOWN (TRISOMIA 21 totale e terziaria)
Prende il nome dal medico inglese che la descrisse nel 1866 semplicemente osservandola.
Nel 1958 un genetista francese dimostrò la correlazione tra la presenza della sindrome e la
presenza di tre copie del cromosoma 21 dimostrando per la prima volta nella storia della
Medicina il legame specifico tra una sindrome e una variazione genetica.
Si riscontra in tutte le regioni geografiche e tutti i gruppi etnici con la stessa frequenza:
1/400 concepiti, 1/700 nati vivi, poiché spesso si ha aborto spontaneo. I meccanismi sono:
1 nel 95% la totale per errori in meiosi verificatisi in ovogenesi o spermatogenesi non
prevedibili sulla base della costituzione genetica dei due genitori. L’alta frequenza di errori
36
nella I divisione meiotica materna è dovuta forse all’età materna: da 1/1400 concepimenti tra
20–24 anni, a 1/25 oltre i 44 anni. Con l'età non aumentano le meiosi anomale, ma un difetto
nel selezionare gli embrioni aneuploidi.
2 nel 4%–5% la terziaria se un genitore è portatore di traslocazione robertsoniana che
unisce il braccio lungo del 21 al 14 formando parte dei gameti sbilanciati. Anche se il fenotipo
è normale, il rischio è elevato per la progenie.
3 il mosaico di cellule normali e trisomia 21 per anomalie della mitosi nell'embrione è raro.
I sintomi possono essere attenuati in proporzione al numero di cellule normali. Forse derivano
dall’eccesso di proteine codificate dai geni del cromosoma 21.
La sensibilità dei test diagnostici è intorno 85% con 15% falsi negativi (aneuploidia
presente ma test negativo), 5% falsi positivi (aneuploidia assente ma test positivo).
SINDROME di PATAU (TRISOMIA 13 totale) e di EDWARDS (TRISOMIA 18 totale)
Si osservano in 2/10000 nati vivi, ma 80% muore nei primi 6 mesi forse per il maggior
numero di geni essenziali contenuti nei cromosomi entrambi più lunghi di 21.
Sindrome di Roberts
È una malattia rara che, oltre alla morte prenatale, può causare: deformazioni focomeliche,
ritardo mentale e labbro leporino. Il gene responsabile, ESCO2, è sul cromosoma 8 ha un
ruolo fondamentale nel momento della replicazione cellulare. I portatori di una mutazione del
gene sviluppano la sindrome poiché le coppie di cromosomi duplicati non riescono ad
allinearsi prima della separazione delle due cellule figlie. Quindi il gene mutato rallenta o
blocca la divisione cellulare.
Trisomia 12p
È una patologia cromosomica estremamente rara (circa trenta casi), caratterizzata da
dismorfismi cranio-facciali, ritardo della crescita postnatale, ritardo psicomotorio, ipotonia
generalizzata, mani corte e larghe.
Delezione 8p (Monosomia 8p terminale)
La scoperta di una delezione parziale del braccio corto 8p è microdelezione. I segni clinici
non fanno parte dei criteri diagnostici perché aspecifici e variano in rapporto ai punti di
rottura. La monosomia 8p origina de novo. E' comunque indispensabile eseguire il cariotipo
dei genitori per verificare un eventuale rischio di malsegregazione di un'anomalia di struttura
bilanciata in un genitore. Il ritardo mentale costante può giustificare una diagnosi prenatale
nel caso di anomalia segregante in famiglia (Faivre, 2002).
37
Trisomia 8 Costituzionale CT8M
Può discendere spesso dalla non disgiunzione mitotica in una cellula embrionale confusa
con trisomia 8 acquisita, ma è CT8M. Le trisomie 8 costituzionali fungerebbero da prima
mutazione patogeneticamente importante nella carcinogenesi a più gradi. Ogni volta che la
trisomia 8 è trovata nei tumori, si dovrebbe escludere la CT8M ed i pazienti di CT8M
dovrebbero essere controllati per lo sviluppo possibile dei tumori.
c) tetrasomie autosomiche non consentono di vivere.
Tetrasomia 12p (12p soprannumerario) o sindrome di Pallister-Killian
La tetrasomia 12p associa dismorfismi, pigmentazione anomala e malformazioni viscerali,
ritardo mentale grave con epilessia e presenza nei fibroblasti di un cromosoma
soprannumerario, isocromosoma del braccio corto 12p.
Nonostante sia la più frequente tra le tetrasomie autosomiche, l'incidenza è bassa, inferiore
a 1/10.000 nati, ma aumenta con l'età materna. È possibile effettuare la diagnosi prenatale.
Origina de novo. Il cariotipo dei genitori è normale e la consulenza genetica, in caso di
successiva gravidanza, può essere molto rassicurante (Congenital Anomalies, 2005).
d) anomalie dei cromosomi sessuali
Le più frequenti sono le trisomie XXX, XXY, XYY e la monosomia X0 (0 indica
l’assenza dell’omologo del cromosoma X). Nei mammiferi le aneuploidie sessuali sono più
frequenti perché gli X in eccesso sono inattivati dal meccanismo di compensazione di dose.
Il quadro clinico comprende: ritardo mentale, problemi psichiatrici, disturbi circolatori,
diversi tipi di malformazioni fisiche oltre ai problemi di infertilità (Russel, 1998).
SINDROME DI TURNER o Monosomia X0 (45, X)
Si ha nell'1% dei concepiti con incidenza 1/8000 femmine nate vive, ma è stata riscontrata
in molti feti di aborti spontanei. Non vi è un rischio maggiore che ricorra in un altro figlio.
Trisomia XYY (47, XYY)
L’incidenza è 1/950 maschi nati. I portatori, oltre a superare 180 cm di statura di media,
non manifestano sintomi particolari. Per l’alta frequenza nelle carceri fu sospettata negli anni
60 di causare comportamenti violenti, ma studi approfonditi successivi smentirono.
Trisomia XXX (47, XXX)
L’incidenza è 1/950 neonate femmine. Le portatrici sono quasi normali sul piano fisico e
riproduttivo, ma manifestano, spesso, consistenti ritardi mentali.
SINDROME DI KLINEFELTER o Trisomia XXY (47, XXY)
38
L’incidenza è 1/1000 maschi nati vivi per non disgiunzione dei cromosomi X alla
produzione dell’ovulo. Il fattore di rischio è l'aumento dell'età materna.
Pentasomie sessuali sono presenti solo in soggetti con aneuploidie del cromosoma X
dovute a due successive non disgiunzioni meiotiche: un evento di nondisgiunzione alla I
divisione meiotica seguito da un altro alla II ottenendo un cariotipo di 49 cromosomi.
La diagnosi prenatale delle aneuploidie può essere eseguita su diversi tessuti fetali in
epoche diverse di gestazione e con metodiche varie. Alcune tecniche di biologia molecolare
ora si affiancano alle citogenetiche tradizionali come ausilio diagnostico rapido e mirato.
L’amplificazione enzimatica in vitro del DNA (PCR) è una tecnica proposta da poco per
rivelare aneuploidie cromosomiche (13, 18, 21, X, Y) in tempi estremamente rapidi (entro 24h
dal prelievo) partendo da DNA estratto da materiale cellulare non coltivato.
2.3 Aneuploidie nelle Cellule Cancerose o tumori
Le cellule cancerose invadono gli altri tessuti e ne distruggono la funzione perché i loro
geni mutati accelerano la mitosi ed inibiscono l’apoptosi; la crescita diventa incontrollata.
Lo sviluppo tumorale comprende: eventi epigenetici, mutazione genica, riorganizzazione
cromosomica e numero alterato dei cromosomi. Le tante mutazioni critiche accumulate nelle
cellule cancerose non hanno un’unica spiegazione; è stato proposto che quelle, che causano
l’eccessiva mutabilità cellulare, siano essenziali allo sviluppo tumorale (Li; Duesberg, 2000).
Sebbene sia acclarato che la maggior parte dei carcinomi, il 90%dei tumori solidi, origini
da un’accumulazione progressiva di cambi genetici (Hahn and Weinberg, 2002), la loro
natura e successione temporale è poco chiara. I cancri in generale, il carcinoma in particolare,
mostrano modifiche estese nella composizione del genoma che spaziano da piccole mutazioni
puntuali all’aneuploidia, grandi guadagni o perdite di materiale genetico (Pihan, 2003).
È difficile stabilire chi ha il ruolo scatenante tra mutazioni ed aneuploidie perchè entrambi
sono necessari e sufficienti per lo sviluppo tumorale (Hahn, 2002; Li et al., 2000).
È stata dimostrata la collaborazione tra le mutazioni intrageniche puntuali e l’aneuploidia
nella genesi tumorale. La plasticità del genoma unita all’aneuploidia potrebbero far emergere i
cambiamenti di dosi geniche favorevoli allo sviluppo tumorale ed accelerare l'accumulazione
di oncogeni e la perdita di geni oncosoppressori. (Pihan, 2003).
I geni più comuni implicati nel cancro sono: i geni gatekeeper che controllano lo sviluppo
e la morte cellulare ed i geni caretaker che assicurano l’integrità del genoma (Kinzler, 1997).
39
Ad un’altra classe appartengono: gli oncogeni (OG), che favoriscono lo sviluppo tumorale
quando sono attivati da una mutazione guadagnando una funzione (ras) e gli
oncosoppressori (TSG), che lo inibiscono quando sono inattivati perdendola (p53
“guardiano del genoma”) (Weinberg, 1994) (appendice B3).
I TSG sono identificati per le mutazioni della linea germinale nel retinoblastoma (Boland).
Non ci sono oncogeni o geni oncosoppressori attivati o cancellati da tutti i cancri.
Formulata da Boveri un secolo fa, la teoria dell’aneuploidia all'origine del cancro è poi
stata abbandonata perchè la mutazione genica guida la genesi tumorale (Balmain, 2001) ed
identifica alcuni geni frequentemente mutati nel cancro: ras, p53.
Dai tempi di Hansemann e Boveri, l’aneuploidia continua ad essere l’anormalità genetica
più comune e voluminosa dei cancri solidi. Si è dimostrato che anche i centrosomi, a cui si
legano i cromosomi di tutti i cancri testati, sono strutturalmente e numericamente alterati.
Ovvero alla fine dell’interfase, il numero totale di copie dei cromosomi può essere corretto,
ma il numero dei centrosomi no perché o non correttamente duplicato o per alterazioni
strutturali. Di conseguenza il fuso mitotico non si creerà correttamente poiché i microtubuli
avranno difficoltà ad attecchire ai centrosomi difettosi (Fig. 2.12) Quindi i cromosomi
potranno essere trascinati in numero sbagliato nelle cellule figlie non perché presenti in
numero errato di copie, ma per errata segregazione al fuso difettoso(Fig. 2.12).
La trasformazione cellulare sembra più in relazione all’induzione di aneuploidie che alle
mutazioni puntuali.
Di solito le aneuploidie nelle cellule di uno stesso tumore sono molto diverse per le
continue perdite ed aumenti durante la mitosi (Fig. 2.12) (Jallepalli, 2001). Sono anche
presenti mutamenti strutturali continui su grande scala ed apparentemente stocastici:
traslocazioni non reciproche, inversioni, delezioni, inserzioni.
Queste forme numeriche e strutturali di plasticità del genoma, dette instabilità del
cromosoma (CIN), conducono al genoma rimescolante. Contrariamente ai carcinomi, le
leucemie ed i linfomi esibiscono pochi CIN (Heim e Mitelman, 1995).
Le dsb o i telomeri corrosi riparati possono generare cromosomi dicentrici o ad anello
che iniziano i cicli BFB (breakage-fusion-bridge=fusione-rottura del ponte) (fig. 2.12). Ciò
può condurre ad un vasto genoma rimodellante e rimescolante tipico dei carcinomi e causare
traslocazioni non reciproche comunissime nel carcinoma (Gisselsson, 2003; Lengauer, 2001).
Sin dalla prima mitosi visualizzata da von Hansemann nel 1890, le mitosi atipiche
garantiscono il responso maligno. Le mitosi cancerose possono fornire due contributi chiave:
40
1) perpetuano cicli di rottura casuale durante i cicli BFB creando genoma rimescolante diffuso
che fa emergere i cambiamenti di dosaggio definito del gene;
2) inducono frequente segregazione errata del cromosoma, producendo CIN e cambiamenti di
dosaggio genico (Fig. 2.12).
Benché la segregazione errata del cromosoma nei carcinomi sia nota, i meccanismi base
restano poco chiari; possibili: la disfunzione del centrosoma, il mal funzionamento del punto
di controllo in anafase ed il guasto della citochinesi (Fig. 2.12) (Jallepalli, 2001;Pihan, 1999).
La maggior parte dei cambiamenti di dosaggio si presentano tramite le trasposizioni del
cromosoma catalizzate dai cicli BFB cromosomici accoppiati all’errata segregazione mitotica
del cromosoma. La plasticità del genoma generata da questi meccanismi può facilitare non
solo lo sviluppo iniziale, ma anche l’evoluzione tumorale, la perdita dei meccanismi normali
di apoptosi e la resistenza alla terapia (Pihan, 2003).
Inoltre è stato accertato che l'amplificazione del centrosoma è un evento iniziale nella
formazione del tumore anche se va ancora chiarito il collegamento fra il ciclo di duplicazione
del centrosoma ed il ciclo mitotico (Brinkley, 2001; Kra¨mer et al., 2002).
Quindi la condizione del centrosoma è diventata utile per il controllo della progressione
neoplastica e per valutare la prognosi per alcuni tipi tumorali (Pihan, 1998; Gisselsson, 2002).
La conoscenza attuale dei CIN nel cancro orale implica la discussione della rilevanza
clinica dei fattori associati ai CIN collegati alla prognosi e terapia (Reshmi et Gollin, 2005).
Si ignora quante mutazioni critiche siano richieste per convertire una cellula normale in
maligna. Il modello di genesi tumorale con il cancro è il seguente processo a più stadi.
Ogni giorno le cellule umane passano attraverso mutazioni causate dall’esposizione agli
agenti cancerogeni o all’ordinaria “usura-rottura” che altera le sequenze. Gli errori si
presentano durante la sintesi del nuovo DNA e la separazione cromosomica in mitosi. La
maggior parte sarebbero sia irrilevanti per la durata della vita cellulare che deleteri per la
perdita di un gene critico per la sopravvivenza.
41
Fig. 2.12. Percorsi che portano a CIN numerici (A) e strutturali (B) (Pihan, 2003)
42
Un’alterazione occasionale potrebbe migliorare la moltiplicazione di una cellula o
riducendone l’apoptosi o aumentandone la proliferazione causando l'espansione clonale di
quella linea cellulare. Indi potrebbe avvenire una seconda alterazione casuale del genoma nel
clone in espansione che avrà un ulteriore vantaggio di sviluppo con la relativa progenie.
Quindi le cellule del clone invaderebbero le cellule vicine generando ancora un altro clone
d'espansione. Questo piano si ripeterebbe per ogni nuova mutazione che fornisce un vantaggio
supplementare di sviluppo. L'accumulazione di queste mutazioni promotrici di sviluppo è la
base della carcinogenesi a più stadi.
Mutazione n°1
Mutazione n°2
Crescita selettiva
del clone con
mutazione n°1
Tumore
maligno
Mutazione n°3
Crescita selettiva
del clone con
mutazioni 1+2
Evoluzione continua
per selezione naturale
L’induzione tumorale causata dall’aneuploidia invece prevede una carcinogenesi a due
stadi:
a)
b)
(Duesberg et al., 20001)
Nel primo stadio un carcinogeno inizia la carcinogenesi generando un’aneuploidia
preneoplastica esempio i PHA (Idrocarburi Policiclici Aromatici) che si legano a proteine
inibendone l’azione. Il secondo stadio vede la propagazione dell’aneuploidia destabilizzando
il cariotipo con la propagazione degli errori (Duesberg et Rasnick, 2000).
43
2.3.1. Percentuali di Aneuploidia nei Tumori
Quindi è evidente che l’aneuploidia nelle cellule somatiche giochi un ruolo importante
nella genesi tumorale. Infatti l’aneuploidia e la perdita di eterozigosità per interi cromosomi
(perdita del cromosoma materno e duplicazione del paterno) sono presenti comunemente in
cellule tumorali suggerendo che i difetti nella segregazione dei cromosomi alla mitosi giocano
un ruolo critico nello sviluppo e nella progressione tumorale.
Fusi mitotici multipolari, anomalie nella forma e nella dimensione, fosforilazione aberrante
di proteine del centrosoma sono stati identificati in tumori della prostata, colon, cervello e
seno. Tutto ciò ha riportato in auge la teoria di Boveri sull’aneuploidia quale causa del cancro.
Aneuploidie estese sono state riscontrate nelle maggioranza dei campioni tumorali, di
solito caratterizzate più dal guadagno di una copia che dalla perdita. (Ai et al.,1999)
•
Carcinoma renale ereditario:
trisomia 7, 17
•
Nefromi mesoblastici:
trisomia 18
•
Tumori colonrettali:
25–50% allelotipo aberrante
•
Lesioni premaligne dei tumori del colon
•
Carcinoma a cellule squamose della cavità orale
Sono stati studiati i carcinomi perché i tumori sviluppati nei tessuti epiteliali sono più del
90% delle patologie studiate essendo i tessuti epiteliali equidistribuiti nell’organismo.
Vi sono i seguenti tipi di carcinomi:
tumori testa-collo, mucosa orale, esofagei, gastrici, polmonari, vescica, mammella.
Tumori testa-collo sono il 2%–3 % dei carcinomi umani.
Sono stati analizzati specifici cromosomi acquisendo conoscenze interessanti sulle diverse
aneuploidie presenti in quelle cellule:
1, 2, 3, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 17.
Sono risultati tutti aneuploidi secondo le seguenti percentuali:
2, 3, 6, 9, 15 sono aneuploidi in 80% dei tumori,
1, 8, 10, 11, 12, 17
aneuploidi in 50%–70% dei tumori;
ognuno di essi ha la seguente tendenza:
1, 2, 3, 7, 9, 10, 12 ad acquisire copie del cromosoma, trisomie;
6, 8, 11 a perdere copie, monosomie.
Il 3 è risultato non bilanciato nel 30% dei casi , mentre 12 e 15 tendevano a ridurre il
fenomeno per il 20% (Ai et al., 1999).
44
Mucosa orale e vescica
In quasi tutti i tumori analizzati sono state registrate: trisomia 7, monosomia 9, in altri
cromosomi sono state osservate variazioni non-casuali con maggiore variabilità.
Nei carcinomi della vescica si concorda sulla presenza di aneuploidia del cromosoma 9
potendo giungere ad usarlo come biomarcatore. Infatti il monitoraggio dei cromosomi: 9, 17,
Y ha dato: trisomia 17, monosomia 9 totale, parziale solo nelle regioni contenenti geni
responsabili dell’espressione di tre proteine coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare.
Entrambi sono stati analizzati in corrispondenza di esiti negativi o incerti di analisi
citologiche precedenti:
monosomia 9 nel 50% dei casi, trisomia 17 solo nel 25% del precedente 50%.
Per esiti positivi delle analisi citologiche, la monosomia 9 è presente nel 60% dei casi.
Quindi non c’è molta differenza tra i casi di esiti citologici diversi.
Per rafforzare la scelta, si è considerato t il lasso di tempo intercorso tra insorgenza di
tumore e data di analisi citologica ottenendo i seguenti risultati:
t uguale a 12 mesi esito positivo con monosomia 9,
t maggiore dei 12 mesi esito positivo senza monosomia 9,
t quasi o poco più di 12 mesi esito negativo o incerto con solo monosomia 9 o trisomia 17,
t inferiore a 12mesi % più elevata con monosomia 9 che senza.
Quindi si potrebbe concludere che la monosomia 9 sia necessaria all’insorgenza del
tumore precoce e valido biomarcatore per neoplasie precoci (Tsukamoto et al., 2002).
Esofageo e gastrico
Per testare la validità dell’ipotesi aneuploidia buon biomarcatore, è stato sviluppato uno
studio che ha prima identificato e poi monitorato le aneuploidie ed eventuale relativa
variazione durante l’evoluzione tumorale in tre diversi tipi di carcinomi esofagei e gastrici.
Sono risultate percentuali di aneuploidie molto simili tra tutti e tre i tipi; nello specifico
sono stati monitorati i cromosomi: 7, 8, 11, 17, Y risultati:
7, 8, 11, 17 aneuploidi al 60% in due tipi ed al 75% nel terzo;
Y aneuploide, nello specifico monosomico, nel 60% dei tre.
Tra le aneuploidie autosomiche si ha: trisomia più frequente, tetrasomia e monosomia
meno perché presentano entrambi variazioni tra 0% e 22%–25% (Beuzen et al., 2000).
Comunque le frequenze risultate dall’intera analisi supportano l’idea della compatibilità
delle aneuploidie col fenotipo canceroso nonché la loro adeguatezza come biomarcatore.
45
Polmonari
Lo studio è stato prevalentemente incentrato sulle forti variazioni del cariotipo normale
analizzando con sonde centromero specifiche i seguenti cromosomi in cloni cellulari ottenuti
da 10 carcinomi polmonari: 1, 11, 12, 17. Tutti presentavano aneuploidia diffusa.
Bisogna ricordare l’ipotesi dell’origine dell’aneuploidia dalla mutazione genetica. Ciò ha
giustificato molte analisi in moltissimi tipi di carcinomi. I risultati delle analisi hanno
supportato l’ipotesi dell’origine dell’aneuploidia in cellule sane che poi diventano tumorali
perché hanno subito danni alle fibre del fuso mitotico in tutti i carcinomi tranne nel polmonare
(Haruki et al., 2001).
2.4 Aneuploidie come Biomarcatore
L’aneuploidia preneoplastica nelle biopsie umane è stata studiata come biomarcatore
poiché in alcuni studi è risultata precedente alla trasformazione chimica in vivo, in vitro, ed
alla trasformazione spontanea in vitro.
A sostegno di tale scelta vi è l’ipotesi recente che guidi la progressione tumorale generando
mutazioni negli oncogeni e nei geni oncosoppressori, ma non è ancora chiaro il come.
Per l’epidemiologia del cancro lo studio dei biomarcatori dei danni genetici è l’unica
valida alternativa alla scoperta tardiva della patologia poiché non è pratico realizzare studi
epidemiologici in prospettiva dati i lunghi periodi di latenza dello sviluppo tumorale.
I biomarcatori più in uso per studiare le cellule umane in vivo o in vitro sono (tabella 1):
Tabella 1 I biomarcatori più usati del danno al DNA (Fenech, 2002)
In teoria ci si aspetterebbe che il monitoraggio dei biomarcatori sia la forma più probabile
di prevenzione. Non si sa se un generico anticipatore di instabilità del genoma che porta
46
all’ipermutazione, sia importante quanto un evento comune nelle cellule cancerose:
inattivazione del p53 o apoptosi perchè il cancro implica mutazioni molteplici.
Negli studi sui vari tipi di cancri umani, i biomarcatori hanno un limite molto importante:
l’accessibilità del tessuto e/o organo dal quale si prelevano. La validità di un biomarcatore
richiede:
1) protocolli standardizzati per acquisire e trattare il campione considerando il tempo di
espressione del danno;
2) conoscere dettagliatamente lo stile di vita e le variabili demografiche e genetiche;
3) la prova nel contenitore-controllo e negli studi in prospettiva sulla sensibilità e specificità
dei biomarcatori nel predire il rischio di cancro in generale e nello specifico.
L'unico biomarcatore citogenetico che ha superato la maggior parte delle fasi descritte, è la
tecnica di analisi classica in metafase per misurare le CA nei linfociti umani. I risultati hanno
indicato negli individui con alto livello di CA un aumento significativo di rischio cancro da
2.3–2.6 volte in più rispetto agli individui con basso livello di CA. Inoltre il rischio maggiore
era evidente senza riguardo all’esposizione agli agenti cancerogeni noti.
Le CA nei linfociti predicono il cancro umano indipendentemente dall’esposizione ai
carcinogeni (Bonassi, 2000). L’aumento casuale della percentuale di danno è un fattore di
rischio per il cancro. Se lo sviluppo canceroso è rifornito dalla mutazione, è ragionevole che
l’aumento del tasso di mutazione e del numero di cellule ipermutabili, provochi un
incremento nel rischio.
L’induzione di aneuploidia, sia per agente chimico che per anormalità nella segregazione
cromosomica, può causare alterazione di dosi di oncogeni e geni oncosoppressori (Duesberg;
Ai, 2000). Quest’ipotesi prevede la destabilizzazione del cariotipo innescandone uno sviluppo
autocatalitico che genera cellule preneoplastiche indi cancerose (Fig. 2.13).
Anche la formazione di un cromosoma dicentrico è problematica per una cellula in
divisione perché in anafase i due centromeri sono tirati verso i poli opposti formando il
ponticello nucleoplasmatico che si dissolve con la rottura disuguale del dicentrico (Fig. 2.13).
Ne risulta l'amplificazione del gene (GA) ed altri cicli BBF quindi uno stato ipermutabile.
Le GA possono portare ad un dosaggio alterato di oncogeni con un maggiore rischio di cancro
ed anche spiegare l’evoluzione rapida del fenotipo resistente alla terapia spesso osservato.
47
Fig. 2.13 Stato ipermutabile indotto dai cicli: BBF ed aneuploidia favorisce l’evoluzione del fenotipo canceroso.
(Fenech, 2002)
I MN sono stati studiati nei carcinomi orali squamosi per indagare i difetti di segregazione
cromosomica nelle colture cellulari di OSCC.
In queste cellule sono frequenti cromosomi in ritardo in metafase ed anafase suggerendo
difetti nell’apparato mitotico o nel cinetocore; invece i ponti dicentrici di cromatina in anafase
ed i cromosomi alterati strutturalmente con consistenti braccia lunghe e braccia corte variabili,
così come la presenza di GA, suggeriscono i cicli BFB.
Alcuni ponti in anafase sono stati osservati anche in telofase con successiva esclusione del
cromosoma dal nucleo che si stava riformando e formazione dei MN. I fusi multipolari sono
stati trovati a vari gradi nelle linee cellulari di OSCC. I poli hanno dimostrato livelli differenti
di cattura ed allineamento cromosomico, indicando differenze funzionali tra loro: alcuni con
prematuro splitting di materiale cromosomico, precursore della separazione totale del
microtubuli che organizza i centri. Questi risultati indicano che alcuni CIN osservati nelle
cellule cancerose potrebbero essere il risultato dei difetti del citoscheletro e cicli BFB
(Saunders et al.,2000)
Fig. 2.14 Alterazioni del fuso mitotico in cellule squamose di carcinoma orale (Saunders et al.,2000)
48
Fig. 2.15 Ponti di anafase contenenti centromeri e cromosoma 11 (Saunders et al.,2000).
2.5 Tecniche di Misura delle Aneuploidie
In citogenetica le tecniche maggiormente in uso per misurare le aberrazioni cromosomiche
consistono nell’osservare le cellule in metafase e contarne le aberrazioni. Sebbene garantisca
un’analisi approfondita resta comunque un metodo complesso da realizzare. Monitorando
tutto il cariotipo, è più facile sottostimare o sovrastimare una determinata aberrazione.
Quindi è stato necessario mettere a punto tecniche più efficienti e meno dispersive in
termini di tempo, risorse umane ed economiche, ma diverse a seconda dei casi specifici:
2.5.1 Tecnica del bandeggio C
Si applicano colorazioni artificiali che permettono di evidenziare differenze più fini tra i
cromosomi e stabilire inequivocabilmente la coppia di appartenenza per ciascun cromosoma.
Questi coloranti tipicamente tingono solo alcune regioni del cromosoma, lasciando le altre
chiare, generando così un assetto "a fasce" caratteristico di ciascuna coppia.
Queste "fasce" vengono chiamate bande e l'operazione di colorazione che ha il fine di
ottenerle si chiama bandeggio. Il bandeggio cromosomico riflette l’organizzazione strutturale
e funzionale del genoma dei mammiferi (isocore).
La chinacrina genera bande scure dette Q (Quinacrine), il colorante Giemsa evidenzia
bande dette "G". In questo caso le regioni scure sono ricche di basi azotate A e T, mentre le
zone ricche di G e C rimangono chiare. Esistono anche coloranti con azione contraria che
permettono l'osservazione di bande "R" (reverse) evidenziando G e C. L’associazione colore
delle bande – tipo di base azotata è riportata in appendice B3.
49
Le bande chiare con Giemsa corrispondono a regioni caratterizzate da una generale attività
trascrizionale, replicazione precoce, poco DNA ripetuto e sensibilità alla DNAsi I. Il livello
organizzativo cromatinico osservabile con questa colorazione è alquanto grossolano, una
banda citogenetica ha una dimensione media di circa 10Mb (milioni di basi).
Come riferimento, si possono consultare schemi di bande presenti in ciascun cromosoma,
approvati a livello internazionale. Con tre tipi di tecniche diverse, si possono ottenere
rispettivamente nell'intero cariotipo umano 400, 550 o 850 bande.
Gli "ideogrammi" rappresentano schematicamente il bandeggio di ciascun cromosoma
ottenibile con ciascun metodo. La rappresentazione del corredo cromosomico come serie di
cromosomi a bande è detta cariogramma (Fig. 2.16).
Lo scopo è poter trarre le informazioni desiderate dallo stesso tipo di colorazione ottenuto
seguendo sempre lo stesso protocollo esaminando la stessa specie. Infatti così risaltano di più
le differenze imputabili ad eventi vari noti dai questionari compilati in fase di allestimento
dell’esperimento. Se non dovessero risultare eventi nuovi o abitudinari, che comunque fanno
la differenza, allora l’evento destabilizzante sarà un particolare processo biologico o naturale.
La tecnica consiste in: iniziale denaturazione del DNA, successiva ibridizzazione con
sonde di DNA-satellite, colorazione finale con Giemsa. Nel caso delle aneuploidie, è stata
usata per studiare i meccanismi fondamentali che ne regolano la comparsa nelle cellule del
carcinoma orale (Saunders, 2000).
Il pregio è che consente di evidenziare grosse regioni nei cromosomi metafasici, nello
specifico il centromero. Il difetto è l’uso possibile unicamente in cellule in metafase
escludendo tutti i tipi cellulari che non possono essere coltivati in vitro. Da ciò la necessità di
elaborare altre tecniche più sensibili, rapide e precise utilizzabili anche per cellule in interfase
limitando il bandeggio C ad alcuni casi specifici.
Fig. 2.16 Cariotipo aploide normale ottenuto con bandeggio G
50
2.5.2 Saggio dei micronuclei (MN)
Misura la frequenza di perdita dei cromosomi o dei loro frammenti durante la divisione
cellulare evidenziando il danno subito perché i MN si formano dalla condensazione o di
piccoli frammenti generati da rottura cromosomica o di cromosomi interi persi in mitosi.
Lungo il ciclo cellulare si possono verificare degli imprevisti in metafase e/o anafase appena
prima della migrazione verso i poli della cellula iniziale. Tali eventi possono essere di 2 tipi:
a) non permettono la corretta segregazione al fuso mitotico;
b) comportano errata divisione cromosomica dando o frammenti acentrici o cromosomi interi.
Il verificarsi di entrambi porta ai MN. Le cellule che hanno subito l’evento b), in anafase
subiscono l’evento a) e non sono trascinate dalle fibre del fuso nelle cellule in formazione. Di
conseguenza non apparteranno ai due nuovi nuclei che si vanno a formare, bensì costituiranno
un’entità a parte, micronuclei, osservabili alla fine della telofase quando appaiono dei
corpuscoli all’interno del citoplasma di forma tondeggiante, macchie simili a cellule in
interfase, ma di dimensioni: 1/3 o 1/6 del nucleo principale.
Nel caso delle aneuploidie si monitorano i MN derivanti da cromosomi interi resi
identificabili da sonde centromeriche fluorescenti così da distinguere l’evento che ha generato
ogni singolo MN, classificarlo, e finalmente stimare il grado di aneuploidia.
Nel caso dei MN costituiti da frammenti cromosomici si segue il protocollo classico:
si fissano le cellule sul vetrino e per renderle analizzabili si usa una sostanza fluorescente
colorante scelta opportunamente tra i vari coloranti disponibili:
DAPI per le cellule epiteliali, GIEMSA per i linfociti (Pastor, 2002).
Invece nel caso dei MN costituiti da cromosomi interi, è necessario variare il protocollo
per realizzare il saggio dei MN in fluorescenza con una sonda centromerica specifica che non
evidenzierà il centromero per risalire al danno, ma anche lo marcherà per distinguere tra:
1) MN C. positivi o MN +C che contengono il centromero;
2) MN C. negativi o MN –C che non contengono il centromero.
Da qui l’uso per studiare le aneuploidie essendo più facile distinguere i singoli eventi che
causano i MN e le conseguenti aneuploidie se si registra perdita o guadagno di centromeri.
Sono state apportate molte modifiche al test iniziale.
Inizialmente è stato applicato agli eritrociti che si comportano come tutti gli eritroblasti
espellendo il nucleo dopo l’ultima mitosi, ma non i MN così facilmente osservabili. Infatti
risultano distinguibili nel citoplasma per il loro colore e li si può facilmente stimare.
51
Una modifica successiva è stata causata dall’uso per conoscere gli effetti genotossici delle
sostanze mutagene nei linfociti del sangue periferico in coltura per le seguenti difficoltà:
• MN è visibile in una cellula con DNA danneggiato se è terminato un ciclo mitotico dopo
l’avvenuta contaminazione;
• la frequenza dei MN diminuisce se la cellula porta a termine molte mitosi dopo il contatto
con la sostanza mutagena.
Era difficile confrontare le frequenze osservate in popolazioni cellulari diverse i cui cicli
erano noti solo parzialmente. L’unica soluzione era confrontarle dopo una sola mitosi, ma i
tempi di divisione erano diversi tra le cellule in vitro ed in vivo sia per fattori fisiologici che
per condizioni di nutrimento.
Fenech risolse nel 1985 esponendo le cellule ad una sostanza che inibisce la citochinesi,
ma non la mitosi. Lo scopo era rendere distinguibili le cellule che hanno concluso una sola
mitosi da quelle che non l’hanno ancora iniziata o che si sono divise più volte.
L'analisi dei micronuclei nei linfociti umani è uno dei metodi più usati per misurare i danni
al DNA perché è relativamente più facile notare i MN che le CAs. Il metodo prevede il blocco
della citocinesi (CBMN) in linfociti coltivati in vivo con citocalasina B; tra le cellule divise si
riconoscono le binucleate ed è possibile notare i ponti di nucleoplasma che provengono dai
cromosomi dicentrici (Fenech, 2000).
Con un’analisi più completa si possono notare: necrosi, apoptosi e gemmazioni nucleari
successive ai GA perché sono il meccanismo di eliminazione cellulare del DNA amplificato.
Questa metodologia è unica perché permette la misura selettiva delle molteplici vie di
instabilità genomica nelle cellule somatiche umane e della capacità di eliminare le cellule
mutate con apoptosi o necrosi (Fig. 2.17).
Fig. 2.17 I vari biomarcatori di morte cellulare e danni al DNA che possono essere notati con l'analisi CBMN
(Fenech, 2002).
52
I pregi sono evidenti: semplice e rapida applicazione nonché stima possibile di diversi
parametri potendo monitorare: indice di divisione cellulare e CA (rottura, perdita e non
disgiunzione). Il difetto maggiore è l’inapplicabilità a cellule che non siano in mitosi.
Risulta evidente l’uso per le cellule della: mucosa orale ed esofagea, cervice uterina,
vescica oltre i già citati linfociti (Fenech,2002).
2.5.3 Ibridizzazione In Situ con Fluorescenza (FISH)
Lo scopo è consentire lo studio di interi cromosomi o solo parti di essi, centromeri e
telomeri, rendendo osservabili le aberrazioni cromosomiche indotte in vitro ed in vivo da
agenti fisici o chimici. Da qui l’uso massiccio in citogenetica e radiobiologia.
La FISH fu ideata da Pinkel nel 1986 per risolvere il problema di rendere osservabili le
parti di DNA da studiare al microscopio. L’idea era usare delle sonde che si legassero al DNA
e lo rendessero visibile, ma non esistevano sostanze che fossero direttamente fluorescenti.
Quindi bisognava costruire le sonde. Sfruttò la capacità della molecola di biotina di legarsi
al DNA, poi la marcò con una sostanza, avidina, a cui si poteva legare la sostanza fluorescente
sfruttando la capacità degli anticorpi anti-avidina, marcati con fluorocromi, di riconoscerla e
legarvisi. I tempi erano molto lunghi e facili gli errori.
Lo stesso Pinkel apportò una miglioria: il Pinkel sandwich in cui l’avidina ,che doveva
riconoscere e legarsi alla biotina, era processata con molte molecole fluorescenti. Quindi si
accorciavano molto i tempi e si aumentava l’intensità luminosa del segnale.
Attualmente il processo è velocizzato dall’uso di sonde fluorescenti già pronte: il DNA è
sintetizzato automaticamente con speciali dispositivi, sintetizzatori di oligonucleotidi, poi
marcate con fluorocromi, molecole che si eccitano assorbendo la luce ad una determinata
lunghezza d’onda e si diseccitano emettendola ad una diversa lunghezza.
La tecnica, basata sulle possibilità di denaturazione e rinaturazione proprie del DNA e
complementarietà tra la sequenza della sonda e del DNA in studio, può marcare più
cromosomi contemporaneamente utilizzando per ognuno una sonda specifica.
Il principio base è che la denaturazione e rinaturazione possono avvenire tra due catene
qualsiasi di acidi nucleici purché le loro sequenze siano complementari.
La denaturazione è la separazione dei due filamenti della doppia elica di DNA quando una
soluzione di DNA è riscaldata ad una temperatura ed un PH molto elevato. I legami tra le
coppie di basi complementari che uniscono i due filamenti della doppia elica si rompono.
53
La rinaturazione è la riformazione della doppia elica quando i filamenti separati sono
tenuti ad una temperatura più bassa.
Le due fasi principali sono: la denaturazione della sonda e del campione e l’ibridizzazione
dei singoli filamenti della sonda con le sequenze complementari del campione.
Le regioni ibridizzate appaiono come segnali luminosi su fondo scuro usando un filtro
opportuno poiché, contemporaneamente alla sonda fluorescente si usa un contro–colorante
nucleare, una molecola che si lega alla cromatina, che fa visualizzare il nucleo e discriminare
gli spot al suo interno.
La FISH implica la preparazione di sequenze corte di DNA a singola elica, dette sonde,
complementari alle sequenze di DNA oggetto di studio: le sequenze scelte sono marcate con
colorante fluorescente che ne permetta la successiva identificazione. Quindi ibridizzano, o si
legano, al DNA complementare precedentemente denaturato per riscaldamento (Fig. 2.18).
Fig. 2.18 Procedura di ibridizzazione nella tecnica FISH
Il pregio maggiore è la sua alta versatilità poiché può essere usata anche per le cellule in
interfase diversamente dalla maggioranza delle altre tecniche. I dettagli sulla diversa
morfologia dei cromosomi nelle fasi del ciclo sono in appendice B2.
Negli anni sono state usate diverse sonde e strategie di bandeggio per caratterizzare le varie
alterazioni cromosomiche da studiare. Vi sono tre tipi diversi di sonde:
le sonde specifiche di locus ibridizzano una regione particolare di un cromosoma.
Si usano per m-banding: isolata una piccola regione (sottobanda) di un gene, si vuole
determinare su quale cromosoma sia localizzato il gene. All’uopo dalla porzione di gene si
prepara una sonda e si osserva quale cromosoma ibridizza.
54
Le sonde alfoidi o di ripetizione centromeriche servono ad evidenziare il numero di
centromeri contenuti nel nucleo in esame per valutare l’eventuale aneuploidia. Infatti sono
formate da sequenze molto ripetitive di DNA, DNA alfoide o
satellite, che sono presenti nel
centromero di ciascun cromosoma.
Il DNA alfoide è una sequenza monomerica delle basi A e T ripetuta in tandem (171bp)
quasi senza interruzione formando dei blocchi che arrivano al 3–5% del DNA totale di
ciascun cromosoma e fino al 10% del DNA genomico totale. Ulteriori dettagli sulla
composizione del centromero sono in appendice B2.
Tali sonde sono state usate anche per identificare scambi e rotture cromosomiali indotti da
agenti mutageni in metafase ed interfase. Infatti si possono osservare i campioni in interfase
che si dividono raramente o non si dividono e quindi non crescono in coltura.
Quindi ciò rende le stime di aneuploidie non influenzate dalle condizioni di coltura
cellulare e molto rappresentative della frequenza di aneuploidie in vivo (Eastmond et al.,
1995).
Inoltre si può trattare un numero elevato di cellule aumentando sia la sensibilità che la
potenza statistica della tecnica bilanciando così i limiti intrinseci della stessa. Infatti la
frequenza di ibridizzazione con relativi risultati dipendono non solo dal tipo di sonda
utilizzato, ma anche dalle soluzioni di sciacquo, trattamento chimico e permeabilità della
membrana cellulare.
Confrontando la frequenza di aneuploidia accertata con le tecniche citologiche classiche e
quella ottenuta con la FISH si può stimare quanto questa tecnica sia specifica per l’analisi
delle stesse in interfase. Inoltre diverse ricerche hanno dato risultati compatibili
dimostrandone la validità per le cellule umane. In particolare la rapidità della tecnica rende il
suo contributo significativo alla diagnosi di alcune patologie legate alle aneuploidie.
Usando sonde centromeriche si può anche analizzare non disgiunzioni ed aneuploidie di
cromosomi specifici importanti nel cancro (7 e 8) o nell’Alzheimer (21). Di recente è stata
scoperta nei linfociti di individui che sviluppano Alzheimer, una predisposizione molto alta a
malsegregare il 21 causando frequenze elevate di triploidia 21 (Migliore et Al, 1999).
Quest’ultimo sostiene l'ipotesi che forse il mosaicismo 21 potrebbe condurre ad un
invecchiamento accelerato di porzioni selezionate dei tessuti specifici nel corpo (il cervello).
Un altro successo è evidenziare l’alta sensibilità ai danni radioindotti in individui con
cancro al seno e parenti (Scott, 1998) con difetto nel riparo del dsb (Rothfus, 2000).
55
Tutto ciò unitamente alla possibilità di marcare ogni centromero con un colore diverso
spiega perché sono le sonde usate per l’esperimento di questa tesi descritte in dettaglio nel
capitolo 3.
Le sonde del cromosoma intero sono raccolte di sonde più piccole, ciascuna delle quali
ibridizza una sequenza diversa disposta lungo lo stesso cromosoma.
Usando queste librerie di sonde, si può colorare un intero cromosoma e generare un
cariotipo a colori di tutti i cromosomi che consenta di distinguerli, al posto del chiaro-scuro
tipico nel cariotipo tradizionale in bianco e nero.
Le sonde del cromosoma intero sono particolarmente utili per esaminare anomalie
cromosomiche, tipo: traslocazioni, delezioni ed i dicentrici avvenuti tra i cromosomi non
omologhi nelle cellule in metafase.
56
CAPITOLO 3
PROGETTO DELL’ESPERIMENTO ED ACQUISIZIONE
MANUALE ED AUTOMATICA DELLE IMMAGINI
3.1 Descrizione dell’Esperimento
L’obiettivo dell’esperimento di tesi è verificare se l’analisi delle aneuploidie in cellule
della mucosa orale permetta di monitorare la dose assorbita in caso di radioterapia della
regione testa-collo dal tessuto sano rivelandosi un buon biomarcatore del danno radioindotto.
Si è studiato l’andamento delle aneuploidie dei cromosomi 8 e 12 con la dose ed il tempo
di irraggiamento per valutare il danno radioindotto nelle cellule della mucosa orale (di
pazienti, affetti da tumori della regione testa-collo sottoposti a trattamento radioterapeutico,)
in funzione del tempo di migrazione delle cellule buccali dalla lamina basale agli strati
superficiali.
Per definire un intervallo di frequenze normali è stata valutata la variazione interindividuale e la variazione intra-individuale delle aneuploidie effettuando un unico prelievo
di campioni di cellule ai controlli, cinque donatori sani, per la variazione inter-individuale e
tre prelievi allo stesso donatore a distanza di 15 giorni l’uno dall’altro per la variazione intraindividuale.
Per determinare l’effetto delle radiazioni, il danno radioindotto, sono stati prelevati
campioni di cellule da entrambe le guance dei pazienti affetti da neoplasie della regione testacollo sottoposti a radioterapia.
Per evidenziare la variazione della risposta individuale alla dose della radiazione,
radiosensibilità individuale, in funzione del tempo di migrazione delle cellule buccali dalla
lamina basale agli strati superficiali sono stati intensificati i prelievi ai pazienti durante il
trattamento radioterapeutico riducendo l’intervallo di tempo, quindi di dose, tra un prelievo ed
il successivo con la cadenza indicata nello schema seguente:
1° prelievo: prima dell’inizio del trattamento a 0Gy;
2° prelievo: a distanza di due settimane da effettuare dopo la seduta di radioterapia a 14Gy;
57
3° prelievo: a distanza di una settimana da effettuare dopo la seduta di radioterapia a 24Gy;
4°prelievo: a distanza di una settimana da effettuare dopo la seduta di radioterapia a 34Gy;
5° prelievo: a distanza di una settimana da effettuare dopo la seduta di radioterapia a 44Gy;
fine ciclo: l’ultimo giorno di terapia in corrispondenza della dose massima (50÷70)Gy;
follow-up: dopo 30,60,90 giorni dalla fine del trattamento radioterapeutico.
Il numero dei prelievi e le rispettive dosi possono variare secondo i piani di trattamento.
I tumori testa-collo sono circa il 2–3% dei carcinomi umani, la più comune neoplasia tipica
dei tessuti epiteliali. Dall’analisi delle aneuploidie nei carcinomi è risultato che i cromosomi:
1,8,10,11,12,17 sono aneuploidi nel 50–70% di questi tumori. Nello specifico: 1,10,12
mostrano un’acquisizione cromosomica; 8, 11 presentano 1 o più perdite (Ai, 1999).
Inoltre le aneuploidie dei cromosomi 8 e 12 caratterizzano anche altre patologie tumorali
quali le leucemie: mielogena, mieloide acuta e linfocitica cronica, il tumore radioindotto più
frequente.
Infine entrambi i cromosomi appartengono al gruppo C dei cromosomi:6÷12, di lunghezza
media detti sub-metacentrici. Ciò giustifica tale scelta.
Le cellule buccali sono state scelte per provare che sono un biomarcatore sensibile alle
radiazioni ionizzanti. Infatti il campione biologico da analizzare deve essere rappresentativo
del tessuto interessato dalle radiazioni e, quindi, ideale per monitorare il rischio cioè il danno
indotto dalle radiazioni al tessuto sano circostante la zona tumorale.
Inoltre sono facilmente reperibili non essendo necessario alcun intervento invasivo poiché
la tecnica di prelievo è semplice, poco invasiva ed economica.
Infine le stime delle loro aneuploidie sono perfette per rappresentare la frequenza di
aneuploidia in vivo poiché le cellule non sono influenzate da condizioni di coltura o agenti
stimolanti della crescita essendo morte.
Quindi l’analisi delle aneuploidie nelle cellule buccali sane di pazienti sottoposti a
radioterapia può costituire un test biologico di monitoraggio del trattamento radioterapico per:
a) definire la radiosensibilità individuale;
b) giungere a piani di trattamento individuali che limitino al massimo il danno indotto dalla
radioterapia al tessuto sano circostante la zona tumorale.
Nei lavori precedenti sono stati messi a punto protocolli per il trattamento dei campioni
biologici e successiva analisi delle aneuploidie studiando: 5 controlli sani per stimare la
variazione inter-individuale e 3 prelievi, dallo stesso campione a distanza di 15 giorni, per la
variazione intra-individuale come discusso nel capitolo 4.
58
Di seguito sono stati analizzati 3 pazienti affetti da tumori testa-collo, ma di diversi: età,
organo colpito, stadio tumorale; quindi sottoposti a protocolli diversi.
Tali campioni sono stati tutti analizzati con:
1) un protocollo per il trattamento dei campioni biologici che comprende:
il prelievo delle cellule con uno spazzolino da denti in modo da risultare indolore, semplice,
non traumatico ed economico; il fissaggio delle cellule sul vetrino; il trattamento enzimatico
preparatorio per la FISH;
2) n°3 prelievi effettuati ad: inizio,metà e fine trattamento per i 3 pazienti radiotrattati;
3) l’ uso della tecnica Fish centromerica monocromatica;
4) l’analisi manuale mediante l’uso del microscopio a fluorescenza.
Successivamente sono stati analizzati campioni prelevati agli stessi pazienti apportando, in
tempi diversi, le seguenti modifiche:
1)maggior numero di prelievi riducendo l’intervallo tra un prelievo ed il successivo per
valutare il danno radioindotto in funzione del tempo di migrazione delle cellule buccali dalla
lamina basale agli strati superficiali dove vengono prelevate.
2)l’uso del sistema RAIC con annesso modulo MetaCyte specifico per l’analisi di cellule
interfasiche e conteggio degli spot (centromeri) contenuti rendendo l’immagine visibile in
ogni momento, poiché memorizzata su CD, con i seguenti vantaggi:
a)la sicurezza di non analizzare due volte la stessa cellula poiché la scansione del vetrino è
automatica e progressiva secondo l’apposito programma per il modulo MetaCyte;
b)il perdurare dell’informazione, contenuta nelle sonde fluorescenti incorporate nei
centromeri dei 2 cromosomi, fondamentale per il conteggio del numero di spot presenti in
ogni cellula. Infatti il decadimento delle sonde impedirebbe l’osservazione successiva dei
vetrini, per controllo o acquisizione, come accadeva col microscopio a fluorescenza;
c)la possibilità di confrontare e rivedere l’immagine anche contemporaneamente ad altri
operatori poiché scompare il vincolo degli oculari del microscopio a fluorescenza.
Miglioramenti Apportati nel Presente Lavoro
1) Fish centromerica a 2 colori:
sonda Verde per il cromosoma 12 e sonda rossa per il cromosoma 8.
L’ introduzione di tale tecnica è molto utile per il corretto monitoraggio delle aneuploidie
altrimenti sottostimate usando la stessa sonda per entrambi i cromosomi. Infatti ora sono
presenti nuovi dati, il più importante riguarda cellule aberrate anche con 4spot risultanti
dalle 4 combinazioni seguenti: 0–4, 1–3, 3–1, 4–0. (le cellule normali hanno 2–2).
59
2) un foglio Excel per analisi automatica dei dati
Fornisce automaticamente l’analisi statistica, successiva all’inserimento dati, con i relativi
istogrammi che riportano sia l’andamento globale delle frequenze del numero totale di cellule
aberrate e cellule normali al variare delle dosi somministrate e successivi Follow Up, che
l’andamento globale delle singole aneuploidie.
Infatti completata l’analisi, il foglio fornisce tabelle diverse contenenti:
tab.1 il risultato totale dell’analisi; tab.2 i totali delle singole combinazioni dei 2 cromosomi
in esame per seguirne l’andamento al variare della dose evidenziando così i possibili danni;
tab.successive gli andamenti delle singole aneuploidie e delle cellule normali ed aberrate in
genere per dare un quadro generale completo del paziente analizzato.
In questo modo si sono ottenuti i seguenti miglioramenti:
a)più veloce rispetto all’analisi dell’intero cariotipo per poter parlare di organismi aneuploidi;
b)più preciso dell’analisi manuale nonché della FISH monocromatica;
c)più ricco di ulteriori approfondimenti se si sfruttano tutte le informazioni del foglio.
Si sono evidenziati due andamenti importanti, anche se in piccole percentuali, quali:
• lo sviluppo e la persistenza di aneuploidie non presenti all’inizio del trattamento
radioterapeutico al crescere della dose somministrata al paziente;
• il non tornare ai valori iniziali di altre aneuploidie presenti all’inizio del trattamento.
Tale comportamento potrebbe suggerire che esse siano un danno radioindotto che non
rientra almeno fino al momento in cui è stato possibile seguire il paziente nei Follow-Up. In
tal senso va considerata la necessità di un monitoraggio della trisomia8 ed eventuale suo
successivo sviluppo in tetrasomia per alcune patologie tumorali essendo presenti entrambi.
Tali protocolli sono stati applicati ai pazienti: P1 e P2; per i successivi si è pensato di
apportare unica modifica: riportare il numero di prelievi a tre da effettuarsi a:
1) inizio dose il giorno della centratura del fascio;
2) massima dose subito dopo l’ultima frazione di dose giornaliera per raggiungere la dose
massima prevista dal protocollo personalizzato;
3) ultimo Follow Up il giorno dell’ultimo controllo nella fase post-trattamento radioterapico.
3.2 Aneuploidie Radioindotte (origine fisica delle aneuploidie)
Le aneuploidie possono essere indotte da agenti mutageni, le radiazioni ionizzanti, la cui
attività aneugenica (induzione di aneuploidie) è stata molto studiata poiché da subito
l’esposizione accidentale è risultata una concausa di aborti di feti triploidi (Alberman, 1972).
60
Gli effetti aneugenici possono comparire sia nelle prime generazioni dopo l’irraggiamento,
aneuploidia precoce, che nella prole dopo 10–20 cicli di duplicazione, aneuploidia tardiva.
I meccanismi principali di formazione sono distinti a seconda dei due casi:
a) danneggiamento del meccanismo di disgiunzione dei cromatidi: un errore nella
separazione dei cromatidi fratelli fa sì che, a mitosi conclusa, ci sia un nucleo con un
cromosoma mancante o in sovrannumero (aneuploidia precoce);
b) induzione di perdita di un cromosoma: durante l’anafase il cromosoma resta attaccato al
fuso mitotico e non è presente nella cellula figlia (aneuploidia precoce) (Kirsch-Volders et
al., 2000);
c) instabilità genomica radioindotta possibile causa o conseguenza dell’aneuploidia
(Duesberg, 2000, 2003): acquisizione crescente di alterazioni genomiche in cicli successivi ad
esposizione genotossica quali: aberrazioni cromosomiche, formazione di MN, mutazioni
geniche, morte clonogenica ritardata, trasformazione cellulare (aneuploidia tardiva).
Gli studi sono stati condotti principalmente su linfociti, fibroblasti, e le cellule della
mucosa orale. In tale contesto va inquadrato questo lavoro di tesi che vuole nello specifico
dimostrare che le cellule buccali sane sono un buon biomarcatore del danno radioindotto
perché le aneuploidie aumentano al crescere della dose e poi non regrediscono del tutto.
L’esperienza dei clinici oncologi, i dati in letteratura e studi sempre più mirati e precisi
potranno confermare o meno la pericolosità di quella piccola percentuale finale.
3.2.1 Aneuploidie Radioindotte in vitro in Linfociti e Fibroblasti Umani
Diversi studi sono stati condotti su linfociti umani irraggiati in vitro per individuare quale
dei due meccanismi di induzione di aneuploidia precoce prevalga sull’altro:
• l’induzione di aneuploidie da raggi X è stata esaminata contemporaneamente da tre
laboratori (Kirsch-Volders et al., 1996); dal confronto è risultata la non-disgiunzione il
responsabile maggiore delle aneuploidie spontanee e radioindotte.
• Per discriminare l’effetto clastogenico (genera aberrazioni cromosomiche) dall’aneugenico,
è stata applicata la MN/FISH dopo irraggiamento
da 60Co con E =(1170, 1330) keV (Touil
et al., 2000) ottenendo, dopo 3 cicli di duplicazione, l’aumento della frequenza dei MN con
centromeri (MNCen+) al crescere della dose (Fig.3.1).
Inoltre per evidenziare eventuali variazioni inter-individuali dei due meccanismi, sono stati
studiati i cromosomi 1 e 17 con una tecnica diversa. Confrontando le curve dose-risposta dei 5
61
donatori, la non-disgiunzione è risultata ancora prevalente. Infatti varia dall’8% a 0Gy al
32% a 2Gy per il donatore1 (Fig.3.2).
Fig. 3.1: Andamenti dei MNCen+ nei cinque donatori dopo 72 ore dall’esposizione a raggi γ (Touil et al., 2000).
Fig. 3.2: La non-disgiunzione prevale sulla perdita del cromosoma nel donatore dopo 72 ore (Touil et al., 2000).
• Per misurare la frequenza di MN ed aberrazioni strutturali e numeriche sono stati studiati
solo due donatori sempre irraggiati
da 60Co a diverse dosi (Ponsa et al., 2001). L’analisi di
1000 cellule per dose: (0,1,2,4)Gy condotta con la FISH centromerica ai cromosomi: 4,7,18 e
l’ipotesi che i MN non marcati ospitino frammenti acentrici, mentre i marcati positivamente
contengano l’intero cromosoma, ha dato i seguenti risultati:
la frequenza di aneuploidia è minore dei MN, ma entrambe aumentano con la dose;
le sonde centromeriche fanno osservare e discriminare tra effetti aneugenici e clastogenici.
Infatti la perdita del cromosoma si evidenzia solo a 1.5Gy, invece la non-disgiunzione lo è
già a 0.5Gy dimostrando ancora la sua prevalenza e soprattutto la capacità di rivelare gli
62
effetti della radiazione a dosi più basse (Fig. 3.3). Inoltre la frequenza di MN ha una crescita
lineare quadratica in funzione della dose.
Fig. 3.3: Andamenti di: MN ( ), non-disgiunzione genomica (♦), perdita del cromosoma (▲) al crescere della
dose in linfociti umani irraggiati ed osservati 72 ore dopo l’irraggiamento (Ponsa et al., 2001).
• Tali andamenti sono in parte confermati dal seguente studio condotto su fibroblasti umani
irraggiati in vitro per individuare il meccanismo predominante dell’aneuploidia precoce ed
indagare l’origine dei MN.
È stata applicata una tecnica basata sull’utilizzo combinato di FISH centromerica con un
anticorpo anti-cinetocore (CREST) per analizzare l’integrità del cinetocore e strutture dei
centromeri per poi stabilirne il ruolo nell’induzione di aneuploidie (Sgura et al., 2001).
Distinguendo tra: protoni di Ep=(5.03, 0.84)MeV e LETp =(7.7, 28.5)keV/m e X di dose
diverse con EXmax=7MeV, sono state registrate le frequenze di MN e dei singoli:
CREST¯ /FISH¯ (mancano cinetocore e centromero), CREST¯ /FISH+(manca cinetocore),
CREST+/FISH¯ (manca centromero), CREST+/FISH+(sono contenuti entrambi Fig. 3.4b).
Sono quindi stati ottenuti i seguenti risultati (tabella 1):
la presenza di MN dipende da LET e dose della radiazione incidente.
Il massimo corrisponde ai p di alto LET aumentando del 70% al raddoppiare della dose.
Stesso incremento si registra per p di basso LET.
il 90% dei MN è CREST¯ /FISH¯ (Fig. 3.4a) poiché nascono dai frammenti ad ulteriore
conferma dell’azione clastogenica delle radiazioni;
la frequenza dell’aneuploidia dipende dalla dose:
più è alta la dose più la non-disgiunzione prevale sulla perdita di un cromosoma per p e X
superando i MN: aumenta del 60% per i p e del 50 % per gli X al raddoppiare della dose
63
Fig. 3.4 MN radioindotti X rivelati con CREST e FISH nelle cellule binucleate.
+
+
+
+
a: CREST¯ /FISH¯ b: 2 CREST /FISH c: CREST /FISH¯ d: CREST¯ /FISH (Sgura, 2001).
Tabella1 Percentuali di: non-disgiunzione, perdita del cromosoma, induzione di MN al variare della dose delle
diverse radiazioni utilizzate per irraggiare in vitro fibroblasti umani (Sgura, 2001).
Si può ipotizzare che i p inducano la perdita del cromosoma danneggiando cinetocore o
DNA centromerico. Invece gli X potrebbero causare danni a meccanismi specifici durante la
disgiunzione, fibre del fuso, con aberrazione nella segregazione cromosomica successiva.
Dalle informazioni sperimentali in vitro attualmente disponibili si può riassumere:
• la non-disgiunzione è il meccanismo prevalente nell’induzione delle aneuploidie;
• dalle curve dose-risposta è evidente l’aumento della frequenza di aneuploidie in funzione
della dose per i diversi tipi e le diverse energie di radiazione ionizzante;
• l’aneuploidia può essere causata da danni a: cinetocore, DNA centromerico e/o fibre del
fuso mitotico come descritto nel cap.2.
3.2.2 Analisi delle Aneuploidie nelle BMC in Pazienti radiotrattati
Nell’affrontare lo studio delle cellule della mucosa buccale (BMC) si è operata una prima
distinzione tra effetti dovuti a radiazione esterna e da radiazione interna.
64
3.2.2.1 Analisi delle BMC in pazienti sottoposti a radioterapia esterna
È stata studiata la variazione di MN in otto pazienti con tumore naso-faringeo sottoposti a
trattamento radioterapeutico (Cao et al., 2002) analizzando linfociti e cellule buccali poiché i
linfociti sono usati da anni come biomarcatori sia in vitro che in vivo.
Per ogni campione di linfociti sono state analizzate 500 cellule a 72 ore dall’irraggiamento
ottenendo in media 5 MN a 0Gy fino a 80 MN a 68 Gy. Infatti tra (0÷10)Gy c’è aumento
rapido a cui segue una crescita lineare in funzione della dose totale (Fig. 3.5).
Fig. 3.5: MN presenti nei linfociti degli 8 pazienti osservati dopo tre cicli di duplicazione (Cao et al., 2002).
Un andamento simile è risultato nelle BMC con in media 2 MN a 0Gy fino a 7 MN a 68Gy
analizzando per ogni campione 1000 cellule subito dopo irraggiamento.
3.2.2.2 Analisi delle BMC per pazienti sottoposti ad isotopoterapia interna
Per analizzare la variazione di aneuploidie in 29 pazienti sottoposti a isotopoterapia interna
con 131I è stato studiato il cromosoma 17 applicando la FISH centromerica alle cellule buccali
esfoliate (Ramirez et al., 2000).
Le dosi terapeutiche utilizzate equivalgono a (155÷1110) MBq per pazienti affetti da
ipertiroidismo e (3700÷4440) MBq per pazienti con cancro alla tiroide. Sono stati prelevati 2
campioni per paziente: prima del trattamento e 3–4 settimane dopo la fine del trattamento.
Nei pazienti affetti da ipertiroidismo si è riscontrato un aumento della frequenza di
aneuploidie a fine trattamento pari a 2,2 volte la frequenza iniziale pretrattamento. Invece nei
pazienti con cancro alla tiroide non si è riscontrato alcun aumento significativo.
3.3 Tumori Testa–Collo
Il carcinoma dell’epidermide o da cellula squamosa è il cancro umano più comune perchè
può iniziare in molte più sedi anatomiche di qualunque altro carcinoma: pelle, labbro, cavità
65
orale, faringe, laringe, bronchi, esofago, ano, vulva, vagina, cervice uterina, uretra, pene,
bacino renale e vescica; raramente in altri organi.
Un suo sottinsieme molto diffuso è il Carcinoma da Cellula Squamosa della regione
Testa Collo (HNSCC) di cui sono affetti i pazienti sui quali è stato sviluppato questo lavoro
di tesi. Gli HNSCC comprendono il cancro di: labbro e cavo orale, ghiandole salivari, laringe,
seno paranasale e cavità nasale, rinofaringe, ipofaringe ed orofaringe.
Il loro sviluppo multifocale fu confermato da un’analisi condotta su 783 pazienti affetti da
tumori del labbro, cavità orale e faringe. Tuttavia l'origine multicentrica di tale carcinoma
epidermico non è diffusamente accettata, anche se generalmente riconosciuta a livello
dermico e confermata dagli studi sul carcinoma in situ della cervice uterina (Slaughter, 1953).
Negli anni sono stati studiati i cancri orali (OSCC), sottinsieme degli HNSCC, per
conoscerne le origini e la diffusione poiché sono la fonte più facilmente reperibile del
carcinoma da cellula squamosa.
Attualmente gli HNSCC sono un problema mondiale con più di 500.000 nuovi casi ogni
anno circa il 90% di tutti i cancri testa–collo. Il rapporto di incidenza uomo–donna è maggiore
di 2:1 con il 10% negli uomini e 4% nelle donne. Ad esempio il carcinoma laringeo era 4–5
volte più comune negli uomini, ma l’attuale maggior numero di fumatrici ha quasi colmato
questa differenza con un picco tra i 50–60 anni.
Le percentuali di incidenza e mortalità degli HNSCC variano da nazione a nazione poiché
è noto l'effetto cancerogeno di: trauma termico, luce solare, raggi X e
, esposizione
ambientale a: esalazioni di vernici, prodotti plastici, polvere di legno, gas di scarico, amianto;
esposizione industriale agli idrocarburi, ingestione dell’arsenico nonché fumo ed alcool
dimostrando l’origine chimica delle aneuploidie delle cellule buccali (appendice D).
Gli ultimi due fattori uniti portano ad un rischio 15 volte maggiore rispetto ai non fumatori
astemi come provano le mutazioni del gene p53 correlate alle abitudini al fumo ed alcool.
66
L’alta frequenza di cancri multipli nei carcinomi della regione testa-collo complica la
distinzione tra cancri radioindotti e recidive postume. Alcuni tumori sono causati dall’uso
eccessivo di tabacco ed alcool con alto rischio di recidiva anche dopo aver smesso di fumare.
Il rischio di un cancro radioindotto aumenta con il tempo e la dose di radiazione, ma il
periodo di latenza della recidiva è diverso secondo l’organo interessato. Un follow up a lungo
termine in 292 pazienti di tumore benigno testa-collo ha rivelato 10 cancri primari dopo 7
anni 8 dei quali diagnosticati SCC. Quindi sarebbero consigliabili Follow up ad 8 anni
(Uchida, 1984)
La morfologia degli HNSCC è variabile potendo apparire a: placche, noduli, verruche che
possono essere squamose o ulcerate, bianche, rosse o marroni. Il carcinoma verrucoso ha una
prognosi più favorevole per le rare metastasi distanti e nodali.
Più comuni sono le lesioni superficiali con eritemi e leggero sollevamento, eritroplasia; le
lesioni iniziali rosse sono asintomatiche, ma si può trattare di carcinoma in situ o invasivo.
Le notizie di carattere generale sono in appendice C1, gli approfondimenti sulla
stadiazione e le diverse terapie possibili sono in appendice C2.
3.3.1 Radioterapia convenzionale dei tumori testa-collo
Per neoplasie estese, molto infiltranti e/o contigue all’osso, si preferisce usare solo fasci
esterni di fotoni ad alta energia (ERT), ma è possibile l’uso combinato di BRT e ERT. Le
radiazioni più usate sono: X di Emax = (6÷8)MV, γ da
60
Co, e- di Ee- =(3÷4) MeV ed Ee-
=(20÷30) MeV. Va spiegata la scelta.
Il percorso massimo degli elettroni nel tessuto è direttamente proporzionale alla loro
energia iniziale ceduta uniformemente nei centimetri iniziali del bersaglio con un successivo
rilascio minimo di dose negli strati più profondi (Fig. 3.6). Quindi sono adatti per focolai
superficiali e semiprofondi.
Fig. 3.6: Curve dose-profondità in acqua per fasci di elettroni con energie Ee-=(4.5÷21) MeV.
67
L’assorbimento esponenziale dei raggi X segue una dose massima rilasciata nei primi cm
di tessuto in corrispondenza del range estrapolato degli elettroni secondari prodotti dai fotoni
primari negli strati più superficiali. La conseguenza di questo build-up per fotoni ad alta
energia è una dose relativamente bassa rilasciata alla cute.
Ad energia iniziale maggiore corrisponde maggior rilascio di dose in profondità
consentendo brevi tempi di esposizione (Fig. 3.7). Quindi sono adatti per focolai profondi.
Fig. 3.7: Curve dose- profondità in acqua per fasci di fotoni con energie massime Eγmax=(6÷25) MeV.
Le sorgenti di entrambe le radiazioni per la moderna terapia con fasci collimati sono gli
acceleratori lineari di elettroni in grado di produrre sia i fasci di elettroni monoenergetici che i
fasci di fotoni con spettro energetico continuo ed energia massima corrispondente all’energia
degli elettroni ottenuti irraggiando con gli elettroni accelerati un bersaglio spesso.
3.3.3.1 Radioterapia presso il Policlinico
L’acceleratore lineare (LINAC) utilizzato nel reparto di Radioterapia dell’Università
Federico II è un SATURNE 43 (Fig. 3.8).
Gli elettroni, prodotti per effetto termoionico da un conduttore sufficientemente riscaldato,
sono iniettati nella sezione acceleratrice a vuoto spinto da un iniettore di elettroni. Indi sono
accelerati da un campo elettrico alternato prodotto da valvole termoioniche tipo Klystron che
fungono da sorgente a radiofrequenza operante alla frequenza di 3 GHz.
Poiché il campo è alternativamente negativo o positivo, se gli elettroni incontrano il campo
negativo, sono respinti all’indietro; se incontrano il positivo, sono attirati lungo l’asse. Qui gli
elettrodi acceleratori creano un campo elettrico acceleratore che porta gli elettroni all’energia
richiesta dal trattamento. Il fascio accelerato può essere indirizzato o direttamente sul focolaio
neoplastico o su una lamina di tungsteno (bersaglio) per produrre i raggi X se sono richiesti.
68
Per regolare la dimensione e la forma il fascio in uscita deve passare nella testata attraverso
un campo magnetico deviante (deflettore magnetico) di 90° o 270° verso il bersaglio.
L’unità eroga fasci di elettroni con 8 livelli di energia differenti: (4.5÷21)MeV, e fasci di
fotoni con tre livelli di energia massima: (6, 10, 20) MV.
Per controllare in tempo reale la quantità di radiazione inviata al paziente, si usa una
camera a ionizzazione detta “Camera Monitor” interna alla testa radiante tarata in modo da
contare una UM (Unità Monitor) quando assorbe una dose 1 cGy (centiGray).
Per gli elettroni il rateo di dose disponibile è 300 UM/min, mentre per i raggi X si hanno
(50, 200, 1000) UM/min per Eγmax 6 MV, per valori più alti si ha in più 400 UM/min.
Fig. 3.8: Schema del SATURNE 43 e del lettino per il posizionamento del paziente.
La coppia di collimatori serve anche per ridurre la “penombra” legata alle dimensioni della
sorgente di radiazioni che producono fasci dai bordi non netti. Nel sistema di limitazione del
fascio è presente anche un filtro a cuneo integrato e motorizzato che permette di variare la
pendenza delle curve di isodose da 0° a 60° (Fig. 3.9).
Una curva di isodose indica i punti dove è assorbita la stessa dose. I diversi livelli di dose
si esprimono come valori percentuali rispetto alla dose massima indicata con il 100%.
La testata dell’acceleratore deve poter ruotare intorno al lettino su cui giace il paziente. Il
SATURNE 43 è inoltre dotato di un dispositivo di centratura ottico (centratore luminoso) per
visualizzare sul paziente la dimensione del fascio, la morfologia ed il centro.
69
Fig. 3.9: Distribuzione delle curve isodose per un fascio di raggi X da 6 MV senza e con filtro a cuneo a 45°.
Il sistema di registrazione e verifica dei dati di un paziente è incorporato nella stessa
console di comando dell’acceleratore e permette di svolgere le seguenti funzioni:
• prima di iniziare l’irraggiamento verificare che l’assetto dell’acceleratore e del tavolo di
comando coincida con la prescrizione digitata. La visualizzazione a colori fa risaltare
qualsiasi discrepanza verificabile fra la prescrizione e i valori impostati;
• durante l’irraggiamento controllare le intensità di dose e verificare che le posizioni assunte
da tutti i parametri geometrici rimangano uguali a quelle selezionate all’inizio della sessione
interrompendo l’irraggiamento se si verificano delle incongruenze;
• memorizzare le prescrizioni per ogni paziente così da poterle utilizzare nelle sedute
successive verificandole sempre opportunamente ed eventualmente modificandole nelle fasi.
3.3.3.2 Piani di Trattamento per la Regione Testa–Collo
Il trattamento dei tumori testa-collo prevede dosi totali dell'ordine dei (50÷70)Gy con un
frazionamento della dose in frazioni di 2 Gy al giorno, per cinque giorni alla settimana.
La fase iniziale del trattamento si effettua con l’impiego di fasci di raggi X sul PTV
(Planning Target Volume) fino a 44 Gy. Successivamente si prevede una riduzione del campo
combinata all’utilizzo di elettroni allo scopo di salvaguardare il midollo spinale. È infatti noto
che una dose superiore a 45Gy aumenta significativamente la probabilità di danni irreversibili
al midollo spinale con conseguente paralisi.
Normalmente si applicano 3 campi: due laterali contrapposti per la parte del collo alto e un
campo antero-posteriore per la parte del collo basso. In pratica si tratta di: laterale destro (Fig.
3.10), laterale sinistro (Fig. 3.11), collaretto(Fig. 3.12).
70
Nella Radiografia Digitale Ricostruita (DRR) da TAC (Fig. 3.10) è mostrato in blu il PTV
di un paziente affetto da tumore nella regione testa-collo e sono evidenziate anche le regioni
linfonodali (Fig. 3.13) normalmente incluse nel piano di trattamento.
Per irradiare i linfonodi che non sono sicuramente sede di malattia, ma che potrebbero
esserlo, si usa una tecnica denominata: Shrinking Fields (campi che si restringono). Si
comincia con un campo grande fino a 46 Gy che è la dose di tolleranza per il midollo
spinale,dopo di che si stringe il campo fino al raggiungimento di 70 Gy circa.
Fig. 3.10: Applicazione del fascio laterale destro (area in celeste) durante trattamento radioterapeutico alla
regione testa-collo con localizzazione dei distretti anatomici sottoposti a trattamento, il PTV (area in blu).
Fig. 3.11: Visualizzazione tridimensionale dei fasci laterale destro e laterale sinistro con PTV localizzato.
71
Fig. 3.12 Applicazione del collaretto (area in celeste nella regione bassa del collo) al PTV.
Fig. 3.13 Localizzazione dei linfonodi nella regione testa-collo
Per valutare ed ottimizzare un piano di trattamento si osservano le curve isodose 2D e 3D
rappresentando graficamente la distribuzione di dose nel volume dei tessuti sani e nel PTV.
In Fig. 3.14 è celeste la curva isodose al 95%; la variazione di dose nel PTV, con bordi
blu, dovrebbe essere 95%÷107% della dose prescritta (Report 50, ICRU, 1993). Nel PTV
sinistro sono in rosso la dose massima globale ed in fucsia la locale.
Fig. 3.14: Visualizzazione dell’isodose al 95% durante applicazione di fasci laterale destro e sinistro.
72
In Fig. 3.15 è chiarita la posizione anatomica degli organi riportati nelle altre figure.
Fig. 3.15. Organi importanti nel piano omettendo PTV54 per visualizzare bene le altre (Ploquin, 2005).
Per chiarire eventuali confusioni sui termini usati, va evidenziato che: PTV (Planning
Target Volume) è il volume bersaglio pianificato, GTV (Gross Tumor Volume) il volume
tumorale macroscopico, CTV (Clinical Target Volume) il volume del bersaglio clinico cioè il
volume oncologicamente rilevante (Fig. 3.16 e Fig. 3.17).
Fig. 3.16. Vista assiale CT del piano con i bersagli delineati: CTV66, PTV66 e PTV54 (Ploquin, 2005)
Fig. 3.17. La distribuzione di dose al CTV66 con hot spot laterale ed esterno al CTV per P1 (Ploquin, 2005).
73
3.4 Cellule della Mucosa Orale
Il corpo umano è composto da 100 mila miliardi di cellule (1014) di oltre 200 tipi diversi,
organizzate in tessuti, gruppi di cellule che adempiono ad una medesima funzione. Diversi tipi
di tessuti, uniti strutturalmente e coordinati nelle loro attività, formano gli organi.
Al tessuto epiteliale appartengono le cellule buccali. Consta di strati continui di cellule che
formano un rivestimento protettivo su tutto il corpo e contengono terminazioni nervose
sensoriali avvolgendo ogni organo interno e costituendo anche le membrane di rivestimento di
cavità e canali. Inoltre l’epitelio è molto importante nel regolare il movimento di entrata ed
uscita dal corpo di molecole e ioni.
Le cellule epiteliali ricoprono: l’intera epidermide, tutte le superfici esterne delle cavità
interne del corpo e delle cavità comunicanti con l’esterno, tipo apparato buccale, poiché
derivano dal più esterno dei foglietti embrionali, l’ectoderma.
3.4.1 Istologia delle Cellule Buccali
L’epitelio della mucosa della cavità orale è pavimentoso pluristratificato (Fig. 3.18) come
la pelle, ma solitamente non cheratinizza completamente. È composto da tre strati con numero
variabile di piani cellulari: strato profondo (germinativo basale) le cui cellule cubiche o
cilindriche sono in divisione attiva, strato intermedio (malpighiano) le cui cellule poligonali
si appiattiscono verso la superficie, strato esterno (lamellare superficiale) le cui cellule
appiattite diventano pavimentose in superficie (Fig. 3.18 e Fig. 3.19). Quindi la struttura
istologica della mucosa orale non è uniforme, ma varia secondo le funzioni dei singoli tratti.
74
Fig. 3.18: Sezione di tessuto epiteliale della mucosa orale al microscopio ottico con ingrandimento 400x.
Lo strato profondo, tessuto germinativo (Valletta, 1977), aderisce al tessuto connettivo
poggiando sulla lamina basale (Fig. 3.19) formata da collagene, le sue cellule cubiche, tutte
di uguale forma e grandezza perpendicolari al derma, hanno corti prolungamenti che le
uniscono al tessuto connettivo.
Cellule pavimentose
Cellule cubiche
Lamina basale
Tessuto connettivo
Fig. 3.19: Struttura di tessuto epiteliale di tipo pavimentoso pluristratificato
Le cellule epiteliali sono poco differenziate perciò si dividono facilmente sempre nei vari
piani dello strato profondo ciò ne permette il continuo rinnovo nell’epitelio buccale. Ultimata
la divisione sono spinte verso la superficie, ma poiché si differenziano nell’ascesa, perdono la
capacità di dividersi e tendono a distaccarsi dagli strati inferiori diventando cellule senescenti
desquamanti gradualmente eliminate e sostituite dalle nuove proliferanti.
Ne è testimonianza la loro morfologia molto variabile al punto da coinvolgere anche la
morfologia nucleare. Infatti il nucleo si presenta: appiattito nelle pavimentose (Fig. 3.20),
discoidale nelle affusolate, sferico nelle cubiche, ovoidale nelle cilindriche.
Anche il volume nucleare dipende dal grado di differenziazione cellulare risultando più
voluminoso e ricco di cromatina nelle cellule dello strato profondo di quanto sia nelle cellule
più superficiali a dimostrazione della finale incapacità a duplicarsi.
75
Il nucleo è localizzato quasi sempre nel centro geometrico cellulare, a volte spostato verso
il polo basale e distale secondo i processi cellulari di assorbimento o secrezione. Invece il
citoplasma è di solito poco denso, molto idratato e contenente molti condriosomi.
Cellule pavimentose
Fig. 3.20: Cellule epiteliali superficiali e la caratteristica forma del loro nucleo
Poiché alcuni studi hanno evidenziato dimensioni e morfologia nucleari alterate nelle
cellule cancerose (Gisselson et al., 2001), in un lavoro precedente è stata misurata l’area
nucleare delle cellule buccali sane per meglio caratterizzarle (Bertucci, 2003).
Le cellule superficiali desquamano molto arrivando a contenere in alcune zone del cavo
orale granuli di cheratoialina; le cellule immediatamente sottostanti spesso presentano anche
glicogeno. Le cellule dello strato intermedio sono ulteriormente specializzate per la resistenza
meccanica dovuta alle tonofibrille presenti.
Il nutrimento delle cellule epiteliali avviene attraverso una fitta rete capillare distribuita
lungo il tessuto connettivo in modo che i capillari non possano mai raggiungere l’epitelio. Il
loro compito è garantire il passaggio delle sostanze nutritizie alla linfa interstiziale così da
raggiungere gli strati cellulari più superficiali per capillarità attraverso sottili interstizi linfatici
ubicati tra cellula e cellula.
La mucosa orale è molto sensibile contenendo anche molte terminazioni nervose dei rami
sensitivi del trigemino. In genere sotto il tessuto connettivo della cavità buccale, ma
soprattutto nel palato molle e guancia, è localizzata la sottomucosa lassa contenente grasso.
Va specificato che la mucosa orale contiene anche altri tipi di cellule tra cui: mucose,
sierose e miste, le tre componenti delle numerose ghiandole salivari ivi localizzate la cui
classificazione dipende unicamente dalla composizione.
Le ghiandole contenenti solo cellule mucose secernono liquido viscido che comprime i
nuclei cellulari, di forma poligonale, situandoli alla base delle cellule mucose, di forma cubica
irregolare, disposte in unico strato sulla lamina basale.
Le ghiandole contenenti solo cellule sierose secernono un liquido acquoso privo di muco,
ma contenente: sali, proteine e ptialina (enzima). I suoi granuli sono immersi nel citoplasma
76
omogeneo accumulati tra il nucleo e la superficie libera tanto che nelle cellule piene di secreto
il nucleo è piccolo e sferico. Le cellule, di forma cubica, circondano un piccolo lume tubulare.
Le ghiandole miste contenenti cellule mucose e sierose secernono un liquido viscido,
contenente: sali, mucina e ptialina.
I dotti escretori della cavità orale sono collegati dalle cellule basali che, frontalmente,
mostrano un corpo cellulare stellato con prolungamenti di fibrille presunti contrattili per poter
facilitare lo scorrimento del secreto nelle ghiandole salivari (Bloom, 1968; Leghissa, 1970).
Ciò premesso nei paragrafi successivi saranno spiegate le tecniche con i relativi protocolli
seguiti per prelevare il campione, trattarlo, ed analizzarlo potendo infine osservarlo sia
manualmente che automaticamente al R.A.I.C.
3.4.2 Tecnica di Prelievo delle Cellule Buccali
Le cellule buccali garantiscono un’alternativa valida al prelievo ematico e garantiscono la
possibilità di diagnosticare gli errori metabolici dell’organismo (Suzuki et al., 1997).
Infatti di solito si usano i linfociti perché vi sono più tecniche di analisi disponibile e sono
più facilmente reperibili dei tessuti che prevedono biopsie sempre abbastanza invasive.
Qualora non sia possibile ottenere sangue in quantità sufficiente a garantire l’adeguata fonte
di DNA, le cellule buccali sono adatte a tale scopo (Parad, 1998).
Oltre alla diffusa paura delle siringhe, spesso c’è la difficoltà oggettiva a prendere la vena
per motivi fisiologici o meno. Infatti alcuni pazienti sono già molto provati dalla malattia,
terapie e quant’altro da non riuscire a sostenere un ulteriore prelievo ematico.
La tecnica di prelievo è semplice, rapida, quasi sempre indolore, molto meno invasiva di
un prelievo ematico e soprattutto economica grazie alla scarsa strumentazione necessaria:
“cell-scraper” in alternativa allo spazzolino da denti.
Entrambi i metodi consentono di raccogliere una quantità sufficiente di campioni, ma la
scelta è guidata dalla sensibilità del paziente. Infatti i malati di HNSCC hanno la mucosa orale
già molto irritata (Fig. 3.21) e mal tollerano l’uso del cell-scraper, spatola di plastica con
un’estremità fornita di dentelli arrotondati per raschiare la mucosa buccale.
Alcune analisi hanno dimostrato la sua inadeguatezza risultando i prelievi numericamente
insufficienti e ricchi di aggregati cellulari non eliminabili (Bertucci, 2003). Per i prelievi su
bambini o neonati si usano i più delicati tamponcini di cotone (Babovic-Vuksanovic, 1999).
77
Fig. 3.21 Carcinoma squamoso della mucosa buccale di paziente maschile di 73 anni con lesioni alla bocca
sottoposto a resezione della mucosa buccale. Dimensioni del tumore: 3.0x2.5x1.7 cm: ulcerato, emorragico e
tan-red lesion. (FBS, Frontiers in Bioscence)
Quindi è stato utilizzato il semplice spazzolino da denti risultato molto più adatto perché le
numerose setole consentono di raccogliere un numero elevato di cellule evitando la
disgregazione degli aggregati cellulari, altrimenti non eliminabili, nonché di dover ripetere il
prelievo per raggiungere il numero necessario di cellule.
Inoltre si può ampliare la regione del prelievo raggiungendo regioni delle guance
inaccessibili al cell-scraper per forma e dimensione completamente diverse dallo spazzolino.
Il campione è stato portato ai laboratori di Biofisica di Scienze Fisiche dell’Università
Federico II di Napoli e trattato secondo il protocollo E1 riportato in appendice.
Prima di fissare le cellule, se ne è misurata la concentrazione nella soluzione di PBS per
poter ottenere una concentrazione di ~12000 cell/(0,15–0,2)ml di PBS tale da garantire il
piastramento di ~2000 cellule/vetrino per un certo numero di vetrini così da poterne scegliere
i migliori per l’analisi. Quindi si pone una goccia di 0,15ml sul vetrino e si effettua la conta
diretta del numero di cellule del campione liquido con la camera di Burker.
3.4.3 Preparazione dei Vetrini
L’allestimento dei vetrini è adattato all’efficienza di piastramento richiesta per ottenere
2000 cellule a vetrino. É importante avere molta cura nello strisciare lo spazzolino sul vetrino
in modo da non danneggiare le cellule e soprattutto i nuclei che sono l’elemento essenziale su
cui svolgere il progetto. I dettagli sono contenuti nel protocollo riportato in appendice E1.
3.4.4 Trattamento Enzimatico del Campione
Per analizzare le aneuploidie nelle cellule buccali, si applica la FISH centromerica (cap.2)
altrimenti sarebbe difficile stimare le singole aberrazioni cromosomiche osservando i nuclei
semplicemente colorati in Giemsa al microscopio ottico con ingrandimento 63X (Fig. 3.22).
78
Il Giemsa è un colorante ottenuto miscelando: blu di metilene, azzurro: A, B, C e tionina
per formare una molecola di tiazina. Le tiazine hanno carica positiva quindi reagiscono con le
molecole cariche negativamente, quali il DNA (polianione). Infatti il Giemsa si lega al DNA
formando legami laterali o intercalari di tipo elettrostatico e rende i nuclei di colore viola.
Fig. 3.22: Cellula buccale colorata in Giemsa per evidenziare il nucleo circondato dal citoplasma.
Poiché le cellule buccali hanno una membrana cheratinizzata spessa che le rende
impermeabili, per far penetrare le sonde nel nucleo è necessario il trattamento enzimatico con
la pepsina, enzima digestivo con picco di attività a pH acido e temperatura ambiente (37°C).
Quindi la pepsina destabilizza l’architettura del doppio strato fosfolipidico della membrana
agendo direttamente sulle proteine di membrana e creando delle aperture attraverso cui le
sonde possono penetrare senza danneggiare le strutture dei singoli cromosomi.
Per evitare che l’eccesso di pepsina rovini irrimediabilmente i nuclei, si sciacquano i
vetrini nel PBS (sale). Gli stessi sciacqui si ripetono dopo il trattamento con formaldeide
(sostanza tossica) usata per fissare i nuclei.
Per eliminare l’eccesso di acqua assorbita tra gli sciacqui e le soluzioni, si usa l’etanolo
deidratando le cellule senza danneggiare i nuclei favorendo così l’asciugatura dei vetrini. I
tempi di immersione nelle varie sostanze sono inversamente proporzionali alla loro
pericolosità come risulta nel relativo protocollo riportato in appendice E2.
3.4.5 FISH Centromerica
La FISH e’ la tecnica più diffusa per analizzare aneuploidie interfasiche basata sulle
denaturazione e rinaturazione del DNA e complementarietà tra le sequenze di DNA sonda e
DNA cromosomico.
Si possono marcare contemporaneamente più cromosomi usando per ognuno la sonda
specifica che, in opportune condizioni di umidità e temperatura, si lega al centromero per cui
79
presenta omologia, ed eccitata da lampade che emettono luce a diverse lunghezze d’onda,
emette un segnale fluorescente, osservabile al microscopio a fluorescenza, di colore diverso
per ciascun centromero (Fig. 3.23).
I fluorocromi delle sonde (Vysis) assorbono a
1
ed emettono a
2 superiore
a
1:
CEP 8 spectrum red ha 1= ass=560nm e 2= em=680nm (assorbe nel verde ed emette nel
rosso); CEP 12 spectrum green ha 1= ass=490nm e 2= em=520nm (assorbe nel blu ed emette
nel verde).
Fig. 3.23 Schematizzazione dell’ibridizzazione del DNA cromosomico durante la FISH
La denaturazione del DNA cromosomico e del DNA delle sonde avviene rompendo i
legami H tra le coppie di basi complementari che uniscono i due filamenti alla temperatura di
73°C in 1min. Invece l’ibridizzazione dei singoli filamenti delle sonde con le sequenze
complementari del DNA cellulare richiede la temperatura di 42°C per 3h (ore).
La FISH può essere condotta manualmente, ma per una migliore standardizzazione si
adopera la piattaforma di controllo Hybrite prodotta dalla Vysis (Fig. 3.24) che realizza le
condizioni ottimali mantenendo il controllo della temperatura e dell’umidità.
Infatti può essere programmato per portare i vetrini alle due diverse temperature essendo in
grado di fornire temperature diverse per tempi diversi come da programma impostato.
Inoltre consente la denaturazione contemporanea del campione e della sonda velocizzando
l’intera procedura ed ottimizzandone i risultati da cui la scelta. In più si possono ibridizzare
fino a 12 vetrini alla volta consentendo ulteriore risparmio di tempo.
80
le 12 postazioni dei
vetrini
pannello per impostare
i programmi
Figura 3.24: Hybrite (Vysis) per l'ibridizzazione in situ in fluorescenza.
Ultimata l’incubazione, si usa il SSC, sale con uguale funzione del PBS, per eliminare
l’eccesso di sonda che non si è legata al campione ed inficerebbe il risultato dell’analisi. I
vetrini vanno asciugati al buio per non far disattivare le sonde.
Per evidenziare il numero di centromeri contenuti nel nucleo non bastano le due sonde
centromeriche che danno gli spot richiesti, ma bisogna usare anche un contro-colorante
nucleare per evidenziare il nucleo in esame (272 in Fig. 3.26 e 1209 in Fig. 3.25), rendere più
fluorescenti le sonde e soprattutto distinguere quali sono gli spot interni al nucleo e quali i
segnali di sonde residue(423 in Fig.3.25).
Il colorante scelto è una molecola fluorescente : DAPI II. Applicato sul vetrino asciutto si
lega in modo specifico alla cromatina conferendo al nucleo un colore blu chiaro quasi
azzurrognolo poiché ha 1= ass=365nm e 2= em=450nm (assorbe negli UV ed emette nel blu).
Poiché il segnale decade rapidamente, l’analisi deve essere condotta in circa 30min (vita
media di decadimento del segnale) rendendo difficile un’analisi successiva per confronti.
Fig. 3.25 Immagini normali del paziente P6 a 60Gy con i soli centromeri disposti nella loro lunghezza (verdi in
1181, verde e rosso in 1216), sovrapposti (1verde e 1rosso in 423), spot semplici(1209, 1verde e1rosso in 1216).
Fig. 3.26 Immagini del paziente P6 al II FUp con i centromeri a spot (272), allungati e con link (2 rossi in 34).
81
Gli errori dovuti a falsi positivi o falsi negativi possono raggiungere il 7% causati forse da:
colorazione di fondo, sovrapposizione dei segnali, segnali diffusi “splittati”, perdita del
nucleo, o parte di esso, durante il fissaggio.
I dettagli dell’ibridizzazione condotta sono descritti nel protocollo in appendice E3.
3.5. Microscopio a Fluorescenza
Per analizzare i campioni ibridizzati è necessario eccitare i fluorocromi utilizzando un
microscopio a fluorescenza, l’unico che monta i due filtri necessari (Fig. 3.27):
filtro di eccitazione seleziona la lunghezza d’onda opportuna per eccitare il fluorocromo,
ass;
filtro di emissione trasmette all’oculare solo la luce di fluorescenza con lunghezza d’onda
emessa da campione,
em.
3: filtro di
emissione
Sorgente Luminosa
2:specchio
dicroico
1: filtro di
eccitazione
Figura 3.27: Schema del principio di funzionamento di un microscopio a fluorescenza.
Le sostanze fluorescenti assorbono la radiazione a lunghezza d’onda
ad un’altra
2= em
1= ass
e la emettono
maggiore di 1 (Fig. 3.28). Quindi il fluorocromo, illuminato alla ass ed
osservato con un filtro che lascia passare solo la radiazione con em , brilla su fondo scuro.
82
Fig. 3.28: I fluorocromi assorbono a
λ1 (ultravioletto) ed emettono a λ2
(visibile).
La sorgente luminosa può essere una lampada al vapore di mercurio (Hg) (Fig. 3.29) che
emette in uno spettro molto ampio dall’ultravioletto all’infrarosso o una lampada al vapore di
Xenon che emette principalmente nell’ultravioletto.
Figura 3.29: Spettro di emissione della lampada a mercurio.
Lo specchio dicroico riflette la luce di eccitazione verso il campione, blocca quella riflessa
dal campione, che altrimenti raggiungerebbe l’oculare, lasciando passare solo la lunghezza
d’onda emessa dal campione (fluorocromo eccitato),
em,
maggiore di quella dio eccitazione.
È chiaro che il dispositivo filtrante: filtro di eccitazione, filtro di emissione e specchio
dicroico, determina il percorso dei raggi di eccitazione ed emissione ed è selezionato per uno
specifico fluorocromo avendo bande passanti ad hoc.
Tenendo presente che il massimo potere risolutivo di un microscopio ottico è 0.2 m, cioè
la minima distanza tra due punti tale da percepirli come separati, l’uso dei due tipi di lampade
come dell’obiettivo ad immersione, è dovuto alla necessità di migliorare la risoluzione del
83
microscopio. Ciò si può raggiungere in due modi: aumentare l’apertura numerica con la
microscopia ad immersione, ridurre la lunghezza d’onda della luce utilizzata.
L’ultravioletto va dai (0.4÷0.18) m consentendo di raddoppiare il potere risolutivo, ma il
nostro occhio non vede l’ultravioletto. Tale microscopio ha il vantaggio unico di localizzare e
distinguere sostanze che assorbono nell’ultravioletto e riemettono nel visibile, sostanze
fluorescenti. I bulbi alogeni al tungsteno hanno intensità molto bassa nell’ultravioletto e
vanno quindi sostituiti con bulbi al mercurio o xenon.
Utilizzando un obiettivo ad immersione si può raggiungere l’apertura numerica di 1.4 che
dà il limite invalicabile della risoluzione ottenibile al microscopio ottico, 0.2 m, purché si
lavori con un filtro che seleziona lo spettro a frequenza maggiore.
Infatti l’indice di rifrazione dell’olio è uguale a quello del vetro, per cui i raggi luminosi
non sono deflessi passando dal vetrino all’obiettivo. L’ingrandimento dell’obiettivo ad
immersione è inversamente proporzionale alla distanza focale della lente. L’ultimo obiettivo
adoperabile in aria è il 60X con distanza di lavoro 0.15mm; per ulteriori ingrandimenti
bisogna lavorare in olio dove con opportune operazioni si può aderire al campione senza
danneggiarlo.
3.6. Analisi Manuale dei Vetrini
Ibridizzati i campioni, è stata effettuata l’analisi manuale utilizzando il microscopio a
fluorescenza Axioskop della Zeiss e i filtri: DAPI, rosso e verde. Per individuare i nuclei è
stato impiegato un obiettivo ad immersione 40X, per i casi incerti il 63X, con il filtro DAPI
per valutare così la distribuzione e concentrazione del campione.
Quindi si è proceduto all’osservazione dei segnali luminosi per classificare le cellule in
base al numero di centromeri ibridizzati e fluorescenti ivi contenuti. All’uopo è stato usato il
filtro triplo quando le intensità o le posizioni dei segnali erano incerte per individuare al
meglio la membrana nucleare e definire se il segnale era interno al nucleo o meno.
Nell’analisi sono stati seguiti i suggerimenti della casa fornitrice delle sonde (Vysis)
riassunti nella tabella seguente (Tabella 3):
84
Tab. 3: Suggerimenti per contare i segnali luminosi delle sonde CEP 8 e CEP 12 ”Spectrum Orange”
(Vysis).
Le difficoltà incontrate nell’analisi sono essenzialmente dovute alla presenza di nuclei:
danneggiati, sovrapposti, privi di segnale ed aggregati cellulari; nonché alla disposizione
tridimensionale dei centromeri. Ciascuna situazione è stata valutata tenendo presente la
possibile causa e le conclusioni a cui può portare l’esperienza maturata osservando un numero
maggiore di cellule.
Ciò ha portato volta per volta a distaccarsi dai suggerimenti riportati in tabella 3
regolandosi sulla luminosità, localizzazione e dimensione degli spot escludendo dall’analisi
solo alcuni casi.
In presenza di nuclei danneggiati sono stati analizzati quelli dove si era chiaramente
verificata una non corretta penetrazione del DAPI rendendo comunque possibile definire con
certezza la localizzazione e presenza dei segnali luminosi all’interno dei nuclei.
L’analisi degli aggregati cellulari, dovuti alle procedure di preparazione del campione,
dipende dalla situazione osservata. Infatti non sempre determinano la presenza di nuclei
85
sovrapposti, il che complicherebbe l’analisi, ma spesso si tratta solo di foglietti costituiti da
cellule giustapposte che riflettono la morfologia delle cellule buccali risultando analizzabili.
I nuclei privi di segnale creano una situazione più difficile poiché inizialmente hanno
spinto ad alcune ipotesi: incapacità della sonda di penetrare la membrana nucleare, grado di
aneuploidia troppo alto, protocollo inadeguato. Solo l’osservazione di molti campioni fa
distinguere tra trattamento enzimatico poco efficiente e/o penetrazione disomogenea della
sonda nel campione e l’eventuale caso di nullisomia.
Quest’ultima possibilità è stata tendenzialmente scartata dalla Vysis e dai lavori precedenti
(Bertucci, Buono, Treno) poiché in letteratura si tende a considerare solo le prime due ipotesi
indicate. D’altronde quando si esegue l’analisi manuale non si può rivedere il vetrino con
l’accuratezza necessaria per accertarsi che i nuclei privi di segnale siano sporadici, molto
distanziati. La qualcosa lascerebbe intendere che si possa trattare di reale nullisomia e non
protocolli inefficienti sia per scelta delle sonde che per trattamento enzimatico.
Questo è il motivo per cui nell’analisi automatica eseguita nel presente lavoro si è
verificato se i nuclei privi di segnale erano raccolti in piccole aree ben sparpagliate lungo il
vetrino a dimostrare l’efficiente trattamento enzimatico.
Comunque i tre casi sono stati classificati come nullisomia e non nucleo rotto, come si
faceva per l’analisi manuale, tenendone opportunamente conto nell’analisi dei dati nel cap. 4.
Stessa differenza di valutazione c’è stata per i nuclei sovrapposti poiché, sebbene con
l’analisi manuale si abbia l’idea corretta della disposizione e morfologia dei nuclei in natura,
non si ha il tempo sufficiente prima che le sonde si disattivino di valutare correttamente le
intensità dei segnali per stabilirne correttamente il nucleo di appartenenza.
Invece con l’analisi automatica si possono tranquillamente rivedere i segnali, valutarne le
intensità e conseguentemente i nuclei di appartenenza escludendo però dall’analisi come
nuclei sovrapposti i casi in cui è praticamente impossibile accertarla.
Ulteriore problema è l’accertarsi di aver analizzato l’intero vetrino e non aver tralasciato
alcuna cellula. All’uopo è stato adottato il criterio della scansione verticale (per righe) come
meglio consentito dal metodo manuale partendo sempre dall’angolo in alto a sinistra.
Il problema principale è comunque rappresentato dalla disposizione dei cromosomi nel
nucleo poiché le cellule buccali sono esfoliate e quindi in interfase per cui non possono
mantenere l’allineamento tipico della metafase come risulta nelle Fig. 3.30 e Fig. 3.31.
86
Fig. 3.30 Diversa disposizione dei cromosomi in linfociti umani irraggiati con 1Gy di Fe+ analizzati con mFISH:
aggrovigliati in interfase (nucleo sferico in alto a destra) e compattati, distinti in metafase (al centro).
Fig. 3.31 Ingrandimento dei linfociti interfasici precedenti dimostra l’impossibilità di distinguerli singolarmente.
Di conseguenza i centromeri potranno porsi in un qualunque orientamento tridimensionale
poiché nei cromosomi interfasici molto raramente sono al centro anzi spesso spostati verso un
telomero forse per la diversa lunghezza dei bracci distali. Invece nei mitotici sono quasi al
centro tra i due cromatidi fratelli per tenere uniti i cromosomi duplicati ed attaccarli al fuso
mitotico, tramite il cinetocore, per permetterne la separazione in mitosi (Fig. 3.32 e Fig. 3.33).
Fig. 3.32 Cromosomi interfasici raggruppati secondo la forma e grandezza
87
Fig. 3.33 Cromosomi mitotici raggruppati secondo la forma e grandezza
Di conseguenza l’analisi deve essere svolta considerando diversi piani focali. Infatti è
molto frequente che variando il piano focale cambia il risultato dell’analisi di una stessa
cellula. Infatti la disposizione centromerica tridimensionale complica l’analisi nel caso di due
segnali distinti ravvicinati poiché bisogna valutarne correttamente l’intensità di fluorescenza,
le dimensioni e la distanza per poter distinguere tra un singolo segnale disteso lungo i piani da
sembrare doppio e due segnali distinti situati su un piano ed il successivo.
Non sempre si è in grado di risolvere i casi dubbi non solo per l’impossibilità tecnica, ma
anche soprattutto per il tempo disponibile insufficiente per confrontare i risultati variando i
piani fino ad identificare quello corretto senza che la sonda si disecciti.
Tale metodo ha comunque consentito l’analisi dei soggetti di controllo per stabilire la
variazione inter–individuale ed intra-individuale delle aneuploidie i soggetti sani descritte nel
capitolo 4.
3.7. Analisi Automatica dei Vetrini
Oltre ai vantaggi descritti nel paragrafo 3.1, vi è la rilocalizzazione automatica sul vetrino
dei casi dubbi selezionando l’immagine in questione. Inoltre si riducono i tempi di analisi
consentendo l’analisi di un numero più elevato di nuclei per ottenere dati statisticamente
significativi per le basse frequenze attese prima della radioterapia. Tuttavia il vantaggio più
88
difficile da raggiungere è l’indipendenza dell’analisi dall’operatore poiché il sistema è in
grado di contare i segnali in ogni cellula acquisendone l’immagine.
Finora l’operatore è sempre stato essenziale per verificare sia il conteggio degli spot che la
successiva analisi.
3.7.1 R.A.I.C. (Riconoscitore Automatico di Immagini Cromosomiche)
Il software specifico per la ricerca automatica, acquisizione ed analisi di nuclei in interfase,
Metafer 4, è installato sul R.A.I.C. composto da: microscopio a fluorescenza Zeiss Axioplan2
MOT completamente motorizzato e controllabile tramite PC, carrello portavetrini Marzhauser
motorizzato, telecamera b/n ad alta risoluzione CV/M1 della JAI e PC munito del software
specifico prodotto dalla Metasystems ulteriormente implementato (Fig. 3.34).
Fig. 3.34: Il sistema automatico RAIC
Il microscopio (Fig. 3.35) consente sia un’analisi di fluorescenza che in campo chiaro (luce
diretta) essendo dotato di lampada a vapori di mercurio, HBO 100 (1), e di lampada alogena
al tungsteno, HAL 100 (2), che emette nel visibile e l’obiettivo raccoglie la luce trasmessa
attraverso il campione. Il passaggio da una modalità all’altra è consentito dall’interruttore (4).
L’immagine può essere visualizzata direttamente agli oculari (8) o sul PC collegato con
una telecamere CCD posta in alloggiamento (10). Sono disponibili quattro obiettivi (9): 10X a
secco e 40X, 63X, 100X ad immersione. Il carrello portavetrini (6) può essere spostato con
l’ausilio di un trackball e consente il posizionamento di otto vetrini contemporaneamente.
89
Inoltre vi sono: un otturatore per interrompere il fascio luminoso per esporre la sonda alla
luce ultravioletta per il minor tempo possibile limitandone il decadimento e due collimatori
che possono ridurre l’intensità luminosa che raggiunge il campione, utile nella messa a fuoco
del vetrino, mentre in fase di acquisizione i collimatori devono essere completamente aperti.
Fig. 3.35: Microscopio Axioplan 2 Imaging MOT Zeiss. 1: lampada a fluorescenza; 2: lampada alogena; 3:
tasto di accensione; 4: pulsante per cambiare modalità; 5: manopola del fuoco; 6: carrello per l’alloggiamento
dei vetrini; 7: filtri; 8: oculari; 9: obiettivi; 10: alloggiamento della telecamera CCD.
Le funzioni motorizzate integrate includono: revolver porta obiettivi, torretta portafiltri,
carrello portavetrini con movimento micrometrico lungo assi x e y, con risoluzione di 1 µm e
velocità massima di spostamento 70 mm/s, lungo asse z con risoluzione di 25 nm (Fig. 3.36).
Il movimento lungo z è utilizzato per la messa a fuoco automatica dell’immagine e ogni
volta sia necessario allontanare il campione dall’obiettivo per aggiungere l’olio quando si
utilizza un obiettivo ad alto ingrandimento, rimuovere il vetrino etc..
90
Fig. 3.36: Direzioni dei movimenti motorizzati del carrello portavetrini.
La torretta portafiltri motorizzata (7) consente di selezionare il set di filtri da utilizzare. Per
i fluorocromi utilizzati sono stati scelti i seguenti filtri: Zeiss 10 per la fluoresceina che emette
fluorescenza verde se eccitata con luce blu, Zeiss 15 per la rodamina che emette fluorescenza
rosso cupo se eccitata con luce giallo-verde (Fig. 3.37), Zeiss 01 per il DAPI (Fig. 3.38).
Gli ultimi due filtri sono passa alto poiché selezionano le lunghezze d’onda superiori ad
una data soglia; invece i filtri di eccitazione sono passa banda dando immagini più nitide con
poco rumore di fondo.
Inoltre sono presenti: filtro triplo FITC per la visione contemporanea delle tre sonde il più
utilizzato nell’analisi e filtro opaco che interrompe il fascio luminoso per esporre il campione
alla luce UV il meno possibile.
Figura 3.37: Spettro di eccitazione e di emissione per la rodamina.
91
Figura 3.38: Spettro di eccitazione ed emissione per il DAPI.
Tutte le funzioni possono essere eseguite sia manualmente che attraverso il Metafer 4 che
presenta moduli diversi implementati per scopi diversi: ricerca ed acquisizione.
I moduli disponibili per la ricerca di metafasi sono: MSearch-TL in campo chiaro (luce
trasmessa) e MSearch-FL in fluorescenza; sempre con obiettivo a basso ingrandimento, 10X.
I moduli disponibili per l’acquisizione automatica sono: AutoCapt in campo chiaro e
MCyte in fluorescenza per la rilocalizzazione ed acquisizione delle immagini in metafase,
precedentemente trovate con MSearch-FL, con obiettivo ad ingrandimento maggiore, 63X.
Si sta ottimizzando il modulo MetaCyte per la scansione dei vetrini con nuclei in interfase
per garantirne la ricerca e l’analisi corretta.
3.7.2 Modulo MetaCyte per Ricerca ed Analisi dei nuclei in interfase
Il modulo MetaCyte può svolgere molteplici funzioni:
• ricerca dei nuclei in interfase e conteggio automatico dei segnali luminosi (spot) contenuti;
• misura automatica di specifiche caratteristiche dei nuclei e spot: area, concavità, posizione.
L’interfaccia utenti (Fig. 3.39) mostra: tutto il campo osservato dalla telecamera (1), una
galleria delle immagini trovate (2), il piano focale (3), la sistemazione sul vetrino della
regione sulla quale è stata effettuata la ricerca (4), un’immagine con la posizione degli oggetti
trovati sull’area analizzata (5), l’istogramma delle frequenze relative delle cellule osservate
(asse y) in funzione del numero di segnali luminosi in esse osservato (asse x) (6).
92
1
2
5
6
4
3
Fig. 3.39: L’interfaccia utenti del modulo MetaCyte
Il piano focale è determinato per interpolazione dopo la messa a fuoco in un numero di
posizioni distribuite regolarmente sull’area del vetrino. Per la ricerca del fuoco il carrello
motorizzato si muove lungo l’asse z ed il sistema analizza ogni volta la qualità del fuoco in
base a criteri di contrasto locale di luminosità. L’analisi è eseguita in 11 posizioni diverse
lungo z in circa 2s.
La combinazione dei filtri di processamento delle immagini è stata variata in modo da
aumentare il contrasto e la nitidezza delle immagini e diminuire il fondo permettendo di
analizzare anche vetrini di qualità più bassa dovuta alla presenza di: elevato fondo (vetrini
preparati con campioni dei pazienti) o segnali deboli da analizzare.
Il modulo acquisisce ed analizza i nuclei tridimensionali a differenza delle metafasi che
sono “schiacciate sul vetrino”. Le immagini nei vari piani focali, numero e distanza tra i piani
focali può variare opportunamente, sono combinate utilizzando un algoritmo che trasferisce
nell’immagine finale solo le regioni che sono a fuoco (piano focale esteso).
93
Il numero dei piani focali in cui è acquisita l’immagine è stato modificato considerando
che l’intervallo sia almeno uguale all’estensione della cellula lungo asse z e la distanza non
superi la profondità focale dell’obiettivo.
La selezione dei nuclei adatti all’analisi avviene in base alle condizioni impostate nella
compilazione del file d’istruzione: dimensioni regolari dei nuclei, specifiche caratteristiche
dei segnali luminosi.
Ciascuna cellula analizzata può essere controllata sullo schermo o al microscopio con
aggiornamento automatico dei file dati relativi alle caratteristiche delle immagini acquisite. I
casi incerti possono essere rivisitati ed i dati corretti manualmente ove necessario potendo
selezionare o rigettare immagini dalla galleria.
Tutti i dati ottenuti automaticamente durante la scansione sono registrati nella galleria delle
immagini ed esportati, raccolti in cartella elettronica, per essere analizzati al PC ed analizzati
statisticamente da software esterni.
Comunque tutte le funzioni del modulo richiedono l’implementazione del file di istruzione,
Classifier, inserendo i criteri di selezione degli oggetti interessanti da fornire al sistema per la
scansione del vetrino. La compilazione corretta garantisce il buon esito della ricerca.
Il primo Classifier per la ricerca ed analisi di nuclei in interfase, Aneuploidie-40, è stato
ottenuto classificando i nuclei da analizzare ed indicando per ognuno il numero di spot tra
oltre 300 immagini di un’area di ricerca predefinita acquisite dal sistema (Buono, 2004).
Si è raggiunto il seguente risultato: 80% cellule analizzate correttamente automaticamente,
6,7% analizzate correttamente controllando le immagini sul monitor e 13,3% da rianalizzare
agli oculari con la rilocalizzazione automatica delle cellule da controllare.
La versione successiva ottimizzata è Aneuploidie-40 bis ottenuta aggiungendo nuovi
parametri selettivi che tenessero conto sia dell’area minima e massima che deve avere un
nucleo di singola cellula per essere accettato ed analizzato, nonché della profondità di
concavità massima per discriminare le singole cellule dai clusters cellulari (Treno, 2005).
Tali modifiche non hanno comunque permesso di eliminare completamente i falsi negativi
e falsi positivi dovuti essenzialmente alla presenza di nuclei al bordo del campo
dell’immagine ed immagini poco pulite di alcuni campioni tumorali.
Pertanto sono stati scelti vetrini con nuclei ben distanziati dai bordi ed il pipettaggio della
FISH è stato ben distribuito coprendo l’area ma evitando le bordature e sbavature di sonde. La
procedura per l’analisi automatica di ogni vetrino e l’eventuale modifica del classifier è
descritta nel protocollo in appendice E4.
94
3.7.3 Foglio Excel
Fornisce automaticamente l’analisi statistica, successiva all’inserimento dati, con i relativi
istogrammi che riportano sia l’andamento globale delle frequenze del numero totale di cellule
aberrate e cellule normali al variare delle dosi somministrate e successivi Follow Up, che
l’andamento globale delle singole aneuploidie.
Infatti completata l’analisi, il foglio fornisce tabelle diverse contenenti (Fig. 3.40):
tab.1 il risultato totale dell’analisi; tab.2 i totali delle singole combinazioni dei 2 cromosomi
in esame per seguirne l’andamento al variare della dose evidenziando così i possibili danni;
tab.successive gli andamenti delle singole aneuploidie e delle cellule normali ed aberrate in
genere per dare un quadro generale completo del paziente analizzato.
Quindi il presente lavoro di tesi risulta:
a)più veloce rispetto all’analisi dell’intero cariotipo per poter parlare di organismi aneuploidi;
b)più preciso dell’analisi manuale nonché della FISH monocromatica;
c)più ricco di ulteriori approfondimenti se si sfruttano tutte le informazioni del foglio.
Infatti ora risaltano due andamenti importanti, anche se in piccole percentuali, quali:
• lo sviluppo e la persistenza di aneuploidie non presenti all’inizio del trattamento al
crescere della dose somministrata al paziente;
• il non riportarsi ai valori iniziali di altre aneuploidie presenti all’inizio del trattamento.
Tale comportamento potrebbe suggerire che esse siano un danno radioindotto che non
rientra almeno fino al momento in cui è stato possibile seguire il paziente nei Follow-Up. In
tal senso va considerata la necessità di un monitoraggio della trisomia, tetrasomia, mnosomia
di entrambi i cromosomi.
3.7.4 Protocollo per l’Inserimento dei Dati ovvero Criteri di Classificazione
delle Cellule
Nell’analisi si continua a parlare di cellule, ma si analizzano nuclei poiché i protocolli sono
stati migliorati per eliminare il citoplasma era inutile per l’analisi inficiandone i risultati.
Quindi per l’inserimento dei dati si è seguito il seguente schema:
cellule acquisite sono le cellule osservate su ogni vetrino caratterizzate singolarmente
dalla sigla Px (il n° di paziente corrispondente) seguita dalla dose a cui è stato effettuato il
prelievo ed il n° progressivo di acquisizione della singola immagine al RAIC. Es: P1 0 Gy 1.
Ogni cellula è stata classificata seguendo il seguente schema:
95
cellule analizzabili, adatte all’analisi, sono divise in: normali ed aberrate.
Cellule normali sono le cellule con 2 spot verdi e 2 spot rossi, numero corretto.
Cellule aberrate presentano n° spot verdi e/o rossi diverso da 2.
cellule non analizzabili, non adatte all’analisi, : nucleo rotto e nuclei sovrapposti.
Cellule con nucleo rotto hanno il nucleo con contorni mancanti, parti mancanti, sbrindellato.
Quindi vanno scartate non permettendo una corretta analisi del numero di spot contenuti.
Cellule con nuclei sovrapposti sono cellule che appaiono con più nuclei i cui contorni non
sono ben definiti, quindi non distinguibili per identificare il numero corretto di spot contenuto
in ognuno. Quindi vanno scartate, come nel caso precedente.
cellule in sospeso : cellule con spot vicini con link e con spot vicini senza link.
Sono le rimanenti cellule adatte all’analisi, ma di difficile classificazione immediata per la
disposizione particolare dei centromeri in parte dovuta alla disposizione aggrovigliata e
casuale dei cromosomi in interfase. Infatti gli spot non si presentano come gli altri, ma troppo
vicini tra loro per essere separati, e di grandezza, sebbene maggiore degli altri, non sufficiente
per esserne la somma.
Cellule con spot vicini con link presentano spot uniti da link visibili o intuibili se li si
paragona agli altri già analizzati del paziente in questione.
Cellule con spot vicini senza link hanno spot separati, ma troppo vicini per essere distinti
sebbene il link sia difficilmente intuibile.
La modifica rispetto al protocollo adottato per l’analisi manuale è rappresentata dallo
sdoppiamento delle immagini per i nuclei parzialmente sovrapposti, chiaramente distinguibili,
presenti nella stessa immagine acquisita al RAIC.
96
Figura 3.40 Foglio Excel con relative tabelle per P1 0Gy
97
CAPITOLO 4
RISULTATI
4.1 Soggetti di Controllo
Per discutere i risultati dell’analisi condotta sui 7 pazienti oggetto di questo lavoro di tesi,
è necessario mostrare prima i risultati ottenuti analizzando sia il gruppo di controllo che i
campioni tumorali di tre pazienti applicando la FISH monocromatica e l’analisi manuale
(Bertucci, 2003; Buono, 2004).
Tale analisi ha molteplici scopi: stabilire la variazione intra-individuale e la variazione
inter-individuale di controllo per poterle confrontare con le variazioni interindividuali ed
intraindividuali dei soggetti tumorali nonché chiarire i tempi di manifestazione in superficie
delle cellule buccali attraverso l’analisi del danno radioindotto. Infine il mettere a punto
un’analisi precisa per stimare al meglio la radiosensibilità individuale attraverso il danno
radioindotto così da ottimizzare i protocolli individuali.
Ovviamente il confronto con il gruppo di controllo è possibile mantenendo lo stesso tipo
di analisi, numero totale spot per cellula, prescindendo dal diverso colore delle sonde
utilizzate, mentre è complesso il confronto con i risultati di questo lavoro che sono più
specifici per l’uso di due sonde di diverso colore.
Tuttavia a 0Gy il confronto è possibile sia per l’andamento delle singole aneuploidie in
ognuno dei due cromosomi monitorati, come dimostra il test di Fisher, sia perché i due
metodi d’analisi variano poco in funzione dell’operatore come discusso in un lavoro
precedente (Treno, 2005).
Infatti sono mostrati anche i risultati ottenuti dall’unica analisi condotta applicando sia la
FISH bicromatica che l’analisi automatica su campioni tumorali del paziente P2. Trattandosi
del campione tumorale il confronto con i prelievi delle guance sane qui analizzati, è relativo
ed influenzato da molti fattori come sarà discusso in seguito.
Invece l’unico confronto col controllo per i primi prelievi successivi all’inizio della
terapia, potrebbe riguardare la variazione intra-individuale, sebbene fortemente influenzata
dalla radiosensibilità individuale la cui stima è lo scopo di questa tesi.
98
4.1.1 Risultati sul gruppo di controllo
I protocolli di trattamento ottimizzati (Bertucci, 2003) sono stati applicati ai campioni di
BMC prelevati ai cinque donatori sani denominati gruppo di controllo scelti dello stesso
range di età: 23÷29 anni, di entrambi i sessi, non fumatori per quattro di loro, il quinto M è
l’unico fumatore maschio e di età superiore (Tab. 4.1).
Campione
Sesso
D
F
25
No
M
M
38
Si
S
F
23
No
F
M
29
No
R
F
28
No
Età
Fumatore
Tabella 4.1: Caratteristiche generali dei 5 campioni del gruppo di controllo.
Per valutare la variazione inter-individuale delle cellule normali ed aberrate è stato
effettuato un unico prelievo ad ognuno a cui è stata applicata la FISH centromerica
monocromatica marcando in rosso entrambi i cromosomi 8 e12. Per l’analisi degli spot sono
stati applicati i criteri riportati nel cap. 3 utilizzando il microscopio a fluorescenza con
obiettivo 40X e nei casi incerti: 63X e100X.
I risultati dell’analisi sono riportati in tabella 4.2 mostrando le frequenze % delle cellule
con 1, 2, 3, 4, 5 e 6 spot, nonché il numero di cellule: acquisite, analizzate N e le non
analizzabili N.A. per ciascun donatore. Il relativo istogramma è in Figura 4.1.
Frequenze %
Campione
D
M
S
F
R
spot=1
0,02±0,02
0,0±0,0
0,06±0,03
0,02±0,02
0,06±0,04
spot=2
2,3±0,2
1,0±0,2
1,1±0,2
1,7±0,2
1,2±0,2
spot=3
4,2±0,3
3,4±0,4
3,7±0,3
3,8±0,3
3,6±0,3
spot=4
93,1±0,3
95,5±0,5
94,6±0,3
94,0±0,3
94,8±0,3
spot=5
0,4±0,1
0,2±0,1
0,5±0,1
0,5±0,1
0,4±0,1
spot=6
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
n° totale cell. acquisite
6920
2102
5436
5678
5867
n° tot cell. analizzate N
6086
1888
5117
5236
5431
n° totale cellule N.A.
834
214
319
442
436
Tabella 4.2:Frequenze % di cellule aneuploidi (n° spot/cel=1,2,3,5,6) e normali (4 spot) nei 5 controlli.
99
g ra fic o g lo ba le n ° tota le s p o t/c e llula n e i 5 c o n tro lli a 0 G y
100,0
90,0
frequenze % n° totale spot/cellula
80,0
70,0
60,0
D
M
S
F
R
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 to ta li
5
6
n ° tota le s p o t/c e llu la
Fig. 4.1 Istogramma relativo ai dati della tabella 4.2
Si è supposto che la distribuzione delle frequenze segua una distribuzione binomiale
poichè sono possibili solo due tipi di eventi indipendenti: successo, cellule normali,
insuccesso, cellule aneuploidi; assumendo come errore la deviazioni standard.
Per la distribuzione delle frequenze delle cellule aneuploidi risulta ν << 1 e quindi la
distribuzione binomiale tende alla poissoniana. Pertanto ν i rappresenta il numero medio di
aneuploidie dell’i-esimo tipo riscontrabili per cellula dove i=1,2,3,5,6 =n° totale spot.
In tabella 4.3 sono riportati i valori medi delle frequenze percentuali per tutti i casi
possibili calcolati effettuando la media dei risultati per ogni donatore ed assumendo come
errore la deviazioni standard della media. Il relativo istogramma è in Figura 4.2.
Tutti i casi possibili
Frequenze%(Media±errore)
n° tot spot /cell= 1
0,03±0,03
n° tot spot /cell= 2
1,4±0,5
n° tot spot /cell= 3
3,7±0,3
n° tot spot /cell=4totali
94,4±0,9
n° tot spot /cell= 5
0,4±0,1
Tabella 4.3 valore medio ed errore delle frequenze % per tutti i casi possibili
Da questi valori è stato possibile definire un intervallo di frequenze per i vari casi; in
particolare l’attenzione è stata ristretta al caso delle cellule normali, 4spot, calcolandone non
solo la media, la deviazione standard, ma anche la varianza utile per il confronto tra la
variazione inter-individuale ed intra-individuale in seguito.
I valori in rosso dei 4 spot sono consistenti con il dato 95,2 ± 0,4(Ai et al., 1999).
100
frequenze % valori medi di tutti i casi possibili
100,0
94,4
90,0
80,0
frequenze %
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
3,7
1,4
0,03
0,4
0,0
1
2
3
4 totali
5
n°totale spot per cellula
Fig. 4.2 Istogramma relativo ai dati della tabella 4.3
Poiché in seguito l’analisi dei campioni si riferisce inizialmente al confronto tra numero
totale cellule normali e cellule aberrate per mostrarne subito l’andamento diverso, il
seguente istogramma introduce questo criterio per evidenziare la variazione interindividuale non solo delle cellule normali, ma anche delle cellule aberrate totali nel gruppo
di controllo (Fig. 4.3).
variazione interindividuale cellule normali ed aberrate
100,0
95,5
93,1
94,6
94,8
94,0
90,0
80,0
frequenze % totali cellule
70,0
60,0
tot cellule normali
50,0
tot cellule aberrate
40,0
30,0
20,0
10,0
6,9
6,0
5,4
4,5
5,2
0,0
D
M
S
F
R
donatori sani
Fig. 4.3 Istogramma della variazione inter-individuale riassuntivo della tabella 4.2
101
Per la variazione intra-individuale sono stati effettuati tre prelievi allo stesso donatore F a
distanza di 15 giorni indicati con F1, F2, F3. I risultati sono riportati in tabella 4.4 con lo
stesso criterio adottato in tab. 4.1. ed il relativo istogramma è in Fig. 4.4.
Frequenze %
Campione
F1
F2
F3
spot=1
0,02±0,02
0,03±0,03
0,06±0,03
spot=2
1,7±0,2
1,5±0,2
1,2±0,1
spot=3
3,8±0,3
3,4±0,3
3,6±0,3
spot=4
94,0±0,3
94,6±0,4
94,8±0,3
spot=5
0,5±0,1
0,5±0,1
0,4±0,1
spot=6
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
n° totale cell. acquisite
5678
4277
5867
n° tot cell. analizzate N
5236
3921
5431
n° totale cellule N.A.
442
356
436
Tab. 4.4:Frequenze % di cellule aneuploidi (n° spot=1,2,3,5,6) e normali (4 spot) nei 3 prelievi al donatore F.
grafico globale n° totale spot/ cellula nei 3 preli evi a distanza di 15 giorni al donatore sano F
100,0
94,0 94,6 94,8
90,0
frequenze % n° totale spot/cellula
80,0
70,0
60,0
F1
F2
50,0
F3
40,0
30,0
20,0
10,0
0,02 0,03 0,06
1,7 1,5 1,2
1
2
4,0 3,4 3,6
0,5 0,5 0,4
0
0
0
0,0
3
4 totali
5
6
n° totale spot/cellula
Fig. 4.4 Istogramma della variazione intra-individuale dei controlli relativo ai dati della tabella 4.4
Seguendo lo stesso criterio sono state calcolate la media e deviazione standard. Per il
caso 4 spot è risultato 94,4±0,4 di nuovo compatibile col dato in letteratura. Quindi è
102
riportato l’istogramma relativo alla variazione intra-individuale delle cellule normali e delle
aberrate totali (Fig. 4.5).
variazione intraindividuale cellule normali ed aberrate
100,0
94,8
94,6
94,0
90,0
80,0
frequenze % cellule totali
70,0
60,0
tot cellule normali
tot cellule aberrate
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
6,1
5,4
5,2
0,0
F1
F2
F3
prelievi allo stesso campione F
Fig. 4.5 Istogramma della variazione intra-individuale dei controlli riassuntivo della tabella 4.4
Alle varianze delle due distribuzioni è stato applicato il test F di Fisher verificando che i
due insiemi di dati: variazione inter-individuale e variazione intra-individuale non sono
statisticamente differenti. Quindi il metodo di misura può rappresentare un buon test di
biomonitoraggio delle aneuploidie nelle cellule della mucosa orale.
4.1.2 Risultati Preliminari con Analisi Manuale sui pazienti
Sono stati analizzati i campioni di tre pazienti con tumore nella regione testa-collo,
trattati presso il Dipartimento di Radioterapia del Policlinico dell’Università Federico II di
Napoli seguendo i protocolli riportati in tabella 4.6 insieme alle caratteristiche di ognuno.
Paziente
Età
Sesso Fumatore
P1AC
41
M
SI
P2CG
70
M
NO
P3DB
65
M
SI
Tumore Operato
Chemiotera Radioterapia
pia
NO
2 cicli
effettuati tra
08/09/03 e
21/10/03
Laringe
SI
NO
Metastasi
Linfonodi
Cervicali
NO
Tonsilla
Dx
NO
3 campi frazioni
di 2Gy per 25
sedute su collo
intero
3 campi frazioni
di 2Gy per 25 su
collo intero
3 campi frazioni
di 2Gy per 25 su
collo intero
Tabella 4.6: Caratteristiche dei tre pazienti trattati presso il reparto di radioterapia del II Policlinico.
103
Per P1 si distingue tra il prelievo prima della chemioterapia (no chemio) e quello dopo
(0Gy) perché i risultati dimostrano l’effetto aneuploidizzante della chemio e manca il
prelievo corrispondente alla dose massima.
Subito dopo il prelievo, i campioni sono stati trattati come in precedenza e poi analizzati
al microscopio a fluorescenza, effettuando una scansione ordinata per righe. I vetrini in
alcuni casi sono caratterizzati da una più bassa densità cellulare rispetto ai vetrini dei
controlli. Comunque sono state analizzate circa 1000 cellule per campione i cui risultati
sono riportati in tab. 4.7 seguendo lo schema adottato per i controlli.
Paziente
P1ACsx
P2CGsx
P3DBdx
Dose
1 spot
2 spot
3 spot
4 spot
5 spot
6 spot
N.A.
N
no
chemio
21 ± 3
111 ± 7
154 ± 8
694 ± 9
19 ± 3
0.4 ± 0.4
546
2513
0Gy
0
8±3
21 ± 5
680 ± 50
16 ± 13
16 ± 13
14
77
30Gy
21 ± 5
132 ± 12
281 ± 18
487 ± 17
65 ± 8
13 ± 4
179
910
0Gy
0.9 ± 0.9
13 ± 3
102 ± 9
850 ± 10
32 ± 5
17 ± 12
97
1176
26Gy
8±3
54 ± 7
173 ± 13
732 ± 27
28 ± 5
5±2
116
970
50Gy
8±3
92 ± 10
261 ± 17
610 ± 26
24 ± 5
5±2
82
872
0Gy
4.7 ± 1.9
42 ± 6
176 ± 12
736 ± 12
33 ± 6
8±3
182
1290
26Gy
1±1
39 ± 6
228 ± 15
651 ± 15
72 ± 9
8±3
83
968
50Gy
6±2
74 ± 8
248 ± 15
565 ± 15
95 ± 9
12 ± 3
71
1054
Tab. 4.7 Risultati dell’analisi dove manca il prelievo a max dose per P1
Risalta la diminuzione delle cellule normali in funzione della dose tra inizio e fine
trattamento del 21% per P1AC, 24% per P2CG, 17% per P3BD; contemporaneamente
aumentano le cellule a 3 e 5 spot al crescere della dose (Figg. 4.7, 4.8, 4.9)(Buono, 2004).
Frequenza Aneuploidie
0,60
30
0,50
50
50
0,40
28
0
0
0,30
P1ACsx
P2CGsx
26
P3DBdx
0,20
0
0,10
0,00
-10
0
10
20
30
40
50
60
Dose (Gy)
Figura 4.7: Frequenze totali aneuploidie in funzione della dose.
104
Frequenza Cellule 3 Spot
0,35
0,30
30
0,25
50
50
28
0,20
0
0,15
P1ACsx
26
P2CGsx
P3DBdx
0
0,10
0,05
0,00
-10
0
0
10
20
30
40
50
60
Dose (Gy)
Figura 4.8: Frequenze cellule a 3 spot in funzione della dose.
Frequenza Cellule 5 Spot
0,12
0,10
50
0,08
P1ACsx
28
30
0,06
P2CGsx
P3DBdx
0,04
0
0,02
26
50
0
0,00
-10
0
10
20
30
40
50
60
Dose (Gy)
Figura 4.9: Frequenze cellule a 5 spot in funzione della dose.
Non è stato evidenziato perché il numero di cellule normali non cambia nel paziente P1
tra prima e dopo la chemioterapia. Un motivo potrebbe essere la limitata statistica.
4.2 Risultati completi sui pazienti
Tra i sette partecipanti a questo progetto sono stati analizzati i primi due pazienti: P1 e
P2 in cura presso l’Istituto Nazionale per la cura dei tumori Fondazione G. Pascale
effettuando tutti i prelievi per entrambe le guance (Tab. 4.8).
Per l’analisi è stata applicata: la FISH monocromatica a P1 per tutti i campioni della
guancia destra interessata dal tumore ed ad alcuni campioni della guancia sana e la FISH
bicromatica a P2 per tutti i campioni della guancia sinistra interessata dal tumore. I relativi
istogrammi sono nelle figure 4.10 e 4.11.
105
N° paziente
data
prelievo
P1
P2
P3
P5
P6
P7
P9
15/07/04 02/09/04 27/12/04 10/01/05 26/01/05 08/04/05 01/06/05
inizio dose
data
prelievo
dose
data
prelievo
dose
data
prelievo
dose
data
prelievo
dose
data
prelievo
0 Gy
0 Gy
0 Gy
0 Gy
0 Gy
0 Gy
0 Gy
27/07/04 09/09/04
14 Gy
12 Gy
02/08/04 17/09/04
22 Gy
24 Gy
11/08/04 24/09/04
34 Gy
34 Gy
17/08/04 01/10/04
42 Gy
44 Gy
23/08/04 12/10/04 25/02/05 02/03/05 23/03/05 18/05/05 25/07/05
max dose
50 Gy
58 Gy
68 Gy
60 Gy
60 Gy
52 Gy
70 Gy
Data
28/09/04 15/11/04
07/04/05
16/09/05 31/08/05
prelievo
I Follow Up
sì
sì
ultimo
ultimo
Ultimo
data
27/10/04 15/12/04 13/07/05
20/09/05
prelievo
II Follow
sì
sì
ultimo
ultimo
Up
data
30/11/04 10/01/05
prelievo
III Follow
ultimo
ultimo
Up
Tabella 4.8 Resoconto Prelievi:P= Pascale P= Policlinico
I risultati delle analisi dei soli quattro prelievi effettuati alla guancia sinistra (sana) di
P1: 0Gy,14Gy,22Gy,IIIFUp applicando la FISH monocromatica rossa su (2000±10%)
cellule sono indicati nella Tabella 4.9 ed relativo istogramma in Figura. 4.12 (Treno, 2005).
dose
P1 0Gy
P1 14Gy
P1 22Gy
P1 IIIFUp
0,3±0,1
0,9±0,2
1,8±0,3
0,4±0,1
2±0,3
4,1±0,4
4,8±0,5
2,4±0,3
8,2±0,6
10,6±0,7
13,1±0,8
9,4±0,7
86,7±1,8
81,9±1,9
76,7±2
85,4±2,1
2,8±0,3
2,5±0,3
3,1±0,4
2,3±0,3
0,1±0,1
0,1±0,1
0,4±0,1
0,1±0,1
2598
2192
1858
2014
Tabella 4.9 Risultati dei 4 prelievi a P1 sono indicati in frequenze % ed errore %.
1spot
2spot
3spot
4spot
5spot
6spot
N tot
106
frequenze %
andamento guancia sin (sana) P1
90,0
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
P1 0Gy
P1 14Gy
P1 22Gy
P1 IIIFUp
1spot
2spot
3spot
4spot
5spot
6spot
n°totale spot/cellula
Figura 4.12 Istogramma delle frequenze % di n° totale spot /cellula nei 4 prelievi di P1
Dal confronto fatto per le sole cellule normali, risalta la differenza dei valori nella
variabilità statistica dei risultati senza variazioni significative che potrebbero giustificare una
differenza tra le guance (Treno, 2005).
Invece se si confrontano i risultati relativi alle cellule aberrate (Tabella 4.11), si nota
come per tutti i casi tranne quello dei 6spot / cellula, si noti una differenza dal 1% al 2% in
alcuni casi già nei primi due prelievi che sono all’inizio della radioterapia culminando nel
4% per il caso dei 3spot a 22Gy.
Quindi considerando le differenze di: tecnica, operatore, radiosensibilità delle cellule
tumorali e di quelle sane, il confronto con i dati del presente lavoro di tesi darà risultati
diversi.
Successivamente per l’analisi di P2 è stata applicata la FISH bicromatica aumentando la
sensibilità della tecnica modificando: i tempi dell’Hybrite (protocollo in app.E3) per
ottimizzare l’ibridizzazione della sonda verde adottata per il cromosoma 12 e gli sciacqui
con concentrazione maggiore di SSC necessaria per migliorare il fondo eliminando i residui
di sonda per ottenere vetrini più puliti possibile.
I risultati portano a concludere che l’andamento di P1 è analogo ai campioni P1AC,
P2CG, P3BD presentando una diminuzione di cellule normali del 24% tra 0÷50Gy. Invece
per P2 non risulta alcuna differenza nelle cellule normali anzi a 58Gy il valore ottenuto di
93,3±2,2 è confrontabile con il valore del controllo 94,5±1,0 (Treno, 2005).
Infine nella tabella seguente (Tab. 4.13) è riportata la frequenza % di aneuploidie totali
per P1 e P2 con i relativi grafici di andamento in Figure 4.13, 4.14, 4.15).
107
4.3 Risultati dell’Analisi Automatica elaborati dal foglio Excel applicando
la FISH bicromatica alle guance sane dei pazienti di radioterapia
Al presente lavoro di tesi hanno partecipato sette pazienti affetti da patologie tumorali
nella regione testa-collo in cura presso l’Istituto Nazionale per la cura dei tumori
Fondazione G. Pascale ed il Dipartimento di Radioterapia del Policlinico dell’Università
Federico II di Napoli (Tab.4.10).
I campioni sono stati prelevati secondo lo schema di tabella 4.8 e per l’analisi dei vetrini
acquisiti al RAIC dopo la FISH bicromatica è stato usato il seguente foglio con relativo
protocollo di classificazione.
4.3.1 Caratteristiche dei pazienti
Le cartelle cliniche, allegate nel pieno rispetto della privacy identificando ognuno con la
sigla P, sono importanti per l’analisi delle differenze nei due principali sottogruppi divisi in
base alla diagnosi: P1,P2,P5 e P3,P6 mentre P7 e P9 non sono confrontabili né tra loro né
con gli altri.
I pazienti del primo sottogruppo sono in cura presso la stessa struttura quindi seguono
piani di trattamento analoghi ricevendo quasi la stessa dose massima. Inoltre hanno: stesso
sesso, stessa diagnosi, ma stadiazione diversa, età confrontabile per P2 e P5, interventi
chirurgici quasi uguali, ma abitudine al fumo protratta per tempi diversi.
I pazienti P3 e P6, in cura presso la stessa struttura, hanno patologie che interessano lo
stesso organo, ma di diversa stadiazione ed entrambi sono stati sottoposti a trattamenti
chemioterapici: 2 cicli a P3 e 3 a P6 di cui è noto solo il 3° fatto al Policlinico. P3 è un ex
fumatore, mentre P6 non ha mai fumato e poi sono di sesso diverso, ma età confrontabile.
Infine P3 non è stato operato, ma è stato sottoposto a boost di 12Gy con e- di 9MeV, mentre
P6 è stato operato e non ha ricevuto il boost, ma sono stati ridotti i campi.
Le due chemioterapie sono diverse non solo nel numero, ma anche nella miscela: P3 ha
ricevuto il 1° ciclo il 7/8/2004 a base di 175mg di Cis, il 2° ciclo il 7/9/2004 a base di
1750mg di 5-FU; P6 ha ricevuto il 3° ciclo il 17/11/2004 a base di CDDP e 5-FU di cui si
ignorano le dosi così come non si hanno notizie dei due cicli precedenti in altra struttura
sanitaria (par 4.3.1.1). La tossicologia delle cellule buccali dovuta agli agenti chimici è in
appendice.
108
Bisogna anche ricordare che i pazienti P4 e P8 hanno dovuto sospendere il trattamento,
ma è stata mantenuta l’originaria numerazione per non confondere l’identificazione delle
cartelle cliniche ed il successivo confronto con i risultati delle analisi svolte.
Si può anche accumunare i 7 pazienti in due sottogruppi diversi dai precedenti basandosi
sulle diverse dosi massime irradiate nelle due strutture: P1,P2,P5,P7; P3,P6,P9.
I pazienti del primo gruppo hanno ricevuto 2 campi laterali contrapposti finchè non si è
ridotto il tumore e poi il boost di e-di 6MeV per P1 e P2, mentre P5 e P7 hanno ricevuto 3
campi e poi 2 laterali ridotti P5, invece P7 solo 3 campi obliqui fino alla fine senza boost.
I pazienti del secondo gruppo hanno ricevuto tutti 3 campi: 2 laterali contrapposti ed il
collaretto per i primi 50Gy, poi il boost ed infine 2 campi laterali ridotti sia P3 che P9,
mentre P6 ha avuto solo i 2 campi ridotti.
Ciò può spiegare le differenze nei risultati tra i vari pazienti sebbene tutti seguano gli
andamenti attesi: diminuzione delle cellule normali al crescere della dose con aumento delle
cellule aberrate dove le singole aneuploidie sono dovute alle radiosensibilità individuali.
Infine bisogna tener presente che regioni della bocca distanti e clinicamente sane hanno
mostrato aneuploidie in 7 pazienti su 10 rafforzando l’ipotesi di una cancerosità diffusa a
livello dell’intera regione interessata dal HNSCC (Ai et al.,1999).
Questa è una prova abbastanza recente di quanto era stato dimostrato 50 anni fa riguardo
l’estensione in lunghezza e non in profondità della maggioranza dei cancri delle cellule
squamose orali (Slaughter, 1953).
4.3.1.1 Effetti della chemioterapia
Le sostanze più usate sono la cisplatina (CDDP) ed il 5-fluorouracile (5-FU) entrambi
somministrati a P1AC e P3 e P6 in cicli separati secondo specifici protocolli.
Il CDDP è un citostatico non organico a base di platino il cui effetto antitumorale è noto
da anni. Il meccanismo d’azione esula da questo lavoro, molto probabilmente si esplica
inibendo selettivamente la sintesi di RNA e proteine, nonché producendo lesioni al DNA e
formando legami crociati intramolecolari o tipo DNA-proteine (Harder et al., 1970).
Il 5-FU è un farmaco antitumorale usato da solo o insieme ad altri farmaci per trattare
molte neoplasie, in particolare i tumori: testa-collo, colon-retto e mammari (Punt, 1998). È
un antimetabolita analogo alle pirimidine contenute nel DNA, agisce da citotossico dopo le
trasformazioni avvenute all’interno della cellula seguendo le vie dell’uracile (Bertucci,
2003).
109
Gli effetti di entrambi i farmaci sul conteggio delle aneuploidie sono stati monitorati in
uno studio su pazienti affetti da OSCC rivelando che quelli, trattati con entrambi,
mostravano una diminuzione delle cellule aneuploidi per il 92% dei casi. Inoltre nel 50% dei
casi scomparivano del tutto le linee cellulari aberranti a fine trattamento (Hemmer et al.,
1994).
I risultati ottenuti con l’analisi manuale dei prelievi effettuati a P1AC a 0Gy prima e dopo
la che mio rispecchiano tale andamento, mentre quelli dell’analisi automatica se ne
discostano anche se risultano molto diversi gli andamenti di P3 e P6 forse per la mancanza
di dati riguardo i primi 2 cicli di chemioterapia somministrati a P6 al Policlinico Umberto I
di Roma.
110
Paziente
Età
Sesso
Fumatore
P1
P2
P3
P5
P6
P7
P9
58
73
65
74
64
50
70
M
Ex
M
????
M
ex
M
si
Carcinoma del
rinofaringe
(T2 N2)
Carcinoma
esteso alla base
della lingua;
Metastasi
linfonodali
(T4N3M0G3)
Svuotamento
laterocervicale
Emibase
lingua destra;
Tipo di tumore
Metastasi
con stadiazione linfonodale
(T2N1M0)
Base lingua
sinistra;
Metastasi
linfonodali sx
(T3N1M0G2)
Operato
si;
glossectomia
parziale
si;
glossectomia
parziale +
svuotamento
collo Sx
no
Chemioterapia
No
no
2 cicli CHT 3
mesi prima di
RT
Radioterapia
(post op)
(Gy totali)
54 Gy
60 Gy
70 Gy
Fasci X da
6MV
Boost di e-
2 campi
laterali
contrapposti
F
F
no
no
Ispessimento
del rinofaringe;
densità
Carcinoma alla
disomogenea
parotide Dx
in sede latero(T3NXM0)
cervicale Dx
(T1N1M0)
Asportazione Parotidectomia
linfonodi
totale con
laterocervicale preservazione
Dx
del facciale
9MeV da 48 a
60 Gy
Carcinoma
laringeo
sovraglottico
(T4 N2)
no
3° ciclo CHT 2
mesi prima di
RT
64 Gy
70 Gy
3 campi: 2
3 campi: 2
3 campi: 2
laterali opposti laterali opposti + laterali opposti
2 campi laterali + collaretto fino collaretto fino a
+ collaretto
a 48Gy; 2
50 Gy; 2 laterali fino a 50 Gy; 2
contrapposti
laterali ridotti
ridotti da 54 a
laterali ridotti
da 60 a 70 Gy
64 Gy
fino a 70 Gy
6MeV da 44 a 6MeV da 50 a
50 Gy
60 Gy
M
?????
no
no
60 Gy
3 campi: 2
obliqui
posteriori
opposti + 1
obliquo
anteriore Dx
no
70 Gy
3 campi: 2
laterali opposti
+ collaretto
fino a 50 Gy;
2 laterali
ridotti da 54 a
70 Gy
9MeV da 42 a
52 Gy
Tabella 4. 10 Cartelle cliniche aggiornate dei 7 pazienti sottoposti a radioterapia
111
4.3.2 Analisi dei singoli pazienti
Ora seguono i risultati dell’analisi dei singoli pazienti con una visione totale a 0Gy senza
tentare nessun confronto. Infatti è improponibile alcun discorso statistico per entrambe le
classificazioni in sottogruppi per le suddette differenze e l’esiguità del numero dei campioni a
disposizione, ma tutto va visto nell’ottica della messa a punto di un sistema di analisi
attendibile per stimare la radiosensibilità individuale.
I risultati delle analisi sono riportate seguendo lo schema precedente riportando ogni volta
il numero di cellule acquisite, le analizzabili N, le frequenze % con errore delle relative
misure applicando il protocollo di classificazione suddetto.
Va ricordato che sono stati effettuati tutti i prelievi indicati in tabella per P1 e P2.
Inizialmente per P1 è riportata il numero di cellule normali ed aberrate (Tab 4.14 e grafico in
figura 4.16) indicando una prima stima della variazione intraindividuale, raffinata nell’analisi
dei singoli casi nella tabella 4.15 e relativa figura 4.17.
Va evidenziatolo il dato 4aberrate di cui si è già parlato e qui introdotto sebbene a volte sia
confrontabile con errore, ma spesso lo supera introducendo un elemento in più importante per
l’analisi cpme risulterà da tabella in paragrafo successivo dove sono riportate tute le
combinazioni che contribuiscono al risultato finale.
Le singole aneuploidie sono riportate in paragrafo successivo.
freq.% cell.
cellule
cellule analizzabili cellule
Dose
acquisite analizzabi ± errore
normali
freq.% cell
normali ±
errore
cellule
aberrate
freq.%
cellule
aberrate ±
errore
0Gy
1642
1582
96,3±0,5
1330
84,1±0,9
252
15,9±0,9
14Gy
1565
1521
97,2±0,4
1274
83,8±0,9
247
16,2±0,9
22Gy
1599
1520
95,1±0,5
1158
76,2±1,1
362
23,8±1,1
34Gy
1093
1069
97,8±0,4
617
57,7±1,5
452
42,3±1,5
50Gy
1207
1172
97,1±0,5
801
68,3±1,4
371
31,7±1,4
IFUp
1945
1872
96,2±0,4
1437
76,8±1,0
435
23,2±1,0
IIFUp
1562
1539
98,5±0,3
1140
74,1±1,1
399
25,9±1,1
IIIFUp
641
616
96,1±0,8
461
74,8±1,7
155
25,2±1,7
Tabella 4.14: Dati relativi ad analisi paziente P1 durante la radioterapia e nei successivi Follow Up.
112
andamento globale n° totale cellule normali e cellu le aberrate
90,00
80,00
frequenze relative %
70,00
60,00
50,00
cell.normali
cell.aberrate
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
0 Gy
14 Gy
22 Gy
34 Gy
50 Gy
I F Up
II F Up
III F Up
prelievi
Figura 4.16 Variazione intraindividuale di P1 normali ed aberrate al variare della dose
andamento globale n° totale spot / cell
90,00
80,00
0
14
22
34
50
frequenza relativa %
70,00
60,00
Gy
Gy
Gy
Gy
Gy
I F Up
II F Up
50,00
III F Up
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n° totale spot / cell
Figura 4.17 Variazione intraindividuale totale in funzione della dose in P1
Dose
0Gy
14Gy
22Gy
34Gy
50Gy
I F Up
IIFUp
IIIFUp
n°=1
0,4±0,2
0,4±0,2
1,4±0,3
2,5±0,5
2,9±0,5
0,5±0,2
1,6±0,3
2,8±0,7
n°=2
1,0±0,3
2,0±0,4
3,5±0,5
9,6±0,9
6,7±0,7
4,6±0,5
5,3±0,6
5,0±0,9
n°=3
5,2±0,6
7,0±0,7
10,8±0,8
19,3±1,2
12,0±1,0
11,9±0,7
9,2±0,7
8,0±1,1
n°=4 n
84,1±0,9
83,8±0,9
76,2±1,1
57,7±1,5
68,3±1,4
76,8±1,0
74,1±1,1
74,8±1,7
n°=4 a
0,2±0,1
0,7±0,2
1,3±0,3
2,2±0,4
0,5±0,2
1,6±0,3
1,4±0,3
1,0±0,4
n°=5
5,9±0,6
4,7±0,5
4,6±0,5
4,9±0,7
7,3±0,8
3,6±0,4
7,0±0,7
6,3±1,0
n°=6
2,8±0,4
1,2±0,3
1,7±0,3
2,8±0,5
1,4±0,3
0,8±0,2
1,0±0,3
2,1±0,6
n°=7
0,3±0,1
0,1±0,1
0,3±0,1
0,6±0,2
0,4±0,2
0,2±0,1
0,1±0,1
0,0±0,0
n°=8
0,1±0,1
0,0±0,0
0,1±0,1
0,3±0,2
0,3±0,2
0,1±0,1
0,0±0,0
0,0±0,0
n°=9
0,0±0,0
0,0±0,0
0,1±0,1
0,1±0,1
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
Tabella 4.15 Frequenze % di n°totale spot/cellula al variare della dose e per i seguenti in P1
113
andamento degli spot totali in funzione del tempo
90,0
80,0
frequenze % n°totale spot
70,0
1
2
60,0
3
4normali
50,0
4aberrate
40,0
5
6
30,0
7
8
20,0
10,0
0,0
0
12
18
27
39
75
104
138
intervalli temporali tra i prelievi (giorni)
Figura 4.17bis Variazione intraindividuale totale in funzione del tempo in P1
cellule
acquisite
cellule
anal.N
freq.% cell.
analizz ±
errore
0Gy
1861
1739
93,4±0,6
1165
67,0±1,1
574
33,0±1,1
12Gy
1671
1589
95,1±0,5
1076
67,7±1,2
513
32,3±1,2
24Gy
788
756
95,9±0,7
534
70,6±1,7
222
29,4±1,7
34Gy
1021
947
92,8±0,8
466
49,2±1,6
481
50,8±1,6
44Gy
1774
1670
94,1±0,6
857
51,3±1,2
813
48,7±1,2
58Gy
2252
2235
99,2±0,2
978
43,8±1,0
1257
56,2±1,0
I FUp
2019
1854
91,8±0,6
944
50,9±1,2
910
49,1±1,2
II FUp
2113
1970
93,2±0,5
1039
52,7±1,1
931
47,3±1,1
IIIFUp
2197
2042
92,9±0,5
1321
64,7±1,1
721
35,3±1,1
Dose
cellule
normali
freq.%
cell nor±
errore
cellule
aberrate
freq.%
cell. aberr
± errore
Tabella 4.16: Dati relativi ad analisi paziente P2 durante la radioterapia e nei successivi Follow Up
114
andamento globale n° totale cellule normali e cellu le aberrate
80,00
70,00
frequenze relative %
60,00
50,00
cell.normali
cell.aberrate
40,00
30,00
20,00
10,00
0,00
0 Gy
12 Gy
24 Gy
34 Gy
44 Gy
58 Gy
I F Up
II F Up
III F Up
prelievi
Figura 4.18 Variazione intraindividuale di P2 normali ed aberrate al variare della dose
andamento globale delle frequenze di n° totale sp ot / cell
80,00
70,00
frequenza relativa %
60,00
50,00
0 Gy
12 Gy
40,00
24 Gy
34 Gy
44 Gy
30,00
58 Gy
I F Up
II F Up
III F Up
20,00
10,00
0,00
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n ° totale spot / cell
Figura 4.19 Variazione intraindividuale totale in funzione della dose in P2
andamento delle requenze% degli spot totali in funzione del tempo in P2
80,0
70,0
1
frequenze %
60,0
2
50,0
3
4 normali
40,0
4 aberrate
30,0
5
6
20,0
7
10,0
0,0
0
12
18
27
39
75
104
138
tempo (giorni)
Figura 4.20 Variazione intraindividuale totale in funzione del tempo in P2
115
Dose
0Gy
12Gy
24Gy
34Gy
44Gy
58Gy
IFUp
IIFUp
IIIFUp
n°=1
2,0±0,3
1,2±0,3
1,1±0,4
5,9±0,8
4,7±0,5
2,9±0,4
2,0±0,3
4,7±0,5
4,7±0,5
n°=2
7,0±0,6
7,2±0,6
3,3±0,7
16,5±1,2
22,1±1,0
14,2±0,7
17,4±0,9
17,7±0,9
14,4±0,8
n°=3
7,8±0,6
13,1±0,8
7,3±0,9
18,3±1,3
15,5±0,9
20,1±0,8
14,7±0,8
11,9±0,7
8,2±0,6
n°=4n
67,0±1,1
67,7±1,2
70,6±1,7
49,2 ±1,6
51,3±1,2
41,9±1,0
50,4±1,2
52,7±1,1
64,7±1,1
n°=4a
1,0±0,2
1,3±0,3
1,6±0,5
3,0±0,6
1,7±0,3
2,4±0,3
3,5±0,4
0,4±0,1
0,9±0,2
n°=5
8,9±0,7
6,7±0,6
9,8±1,1
3,6±0,6
4,3±0,5
8,5±0,6
6,5±0,6
7,0±0,6
3,5±0,4
n°=6
4,8±0,5
2,0±0,3
4,2±0,7
2,2±0,5
0,5±0,2
0,8±0,2
4,5±0,5
3,0±0,4
1,5±0,3
n°=7
1,0±0,2
0,3±0,1
1,3±0,4
0,6±0,3
0,0±0,0
0,0±0,0
0,4±0,1
0,7±0,2
0,1±0,1
n°=8
0,5±0,2
0,3±0,1
0,5±0,3
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,4±0,1
0,4±0,1
0,0±0,0
n°=9
0,0±0,0
0,1±0,1
0,1±0,1
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
n°=10
0,0±0,0
0,0±0,0
0,1±0,1
0,0±0,0
0,0±0,0
0,0±0,0
0,2±0,1
0,1±0,1
0,0±0,0
Tabella 4.17 Frequenze % di n°totale spot/cellula al variare della dose e per i successivi follow up in P2
Le differenze tra i due sono imputabili ai tanti motivi elencati prima, comunque il
confronto con i risultato ottenuti nel lavoro precedente sono riportati in paragrafo successivo.
Ai successivi pazienti sono stati effettuati tre prelievi ad: inizio trattamento, prima
dell’ultima frazione di dose ed in corrispondenza dell’ultimo Follow Up considerando i
momenti in cui le variazioni sarebbero state più significative.
dose
cellule
acquisite
cellule freq.%cellule
N
analizz.±errore
cellule freq.%cellule
cellule
normali norm.±errore aberrate
freq.%cellule
aberr±errore
1723
1700
98,7±0,3
298
17,5±0,9
1402
82,5±0,9
0Gy
1210
1202
99,3±0,2
335
27,9±1,3
867
72,1±1,3
68Gy
2111
2054
97,3±0,4
1182
57,5±1,1
872
42,5±1,1
IIFUp
Tabella 4.18: Dati relativi ad analisi paziente P3 durante la radioterapia e nell’ ultimo Follow Up.
andamento globale di frequenze di n° totale cellule normali e cellule aberrate
90,0
80,0
frequenze relative %
70,0
60,0
50,0
cell.normali
cell.aberrate
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
0 Gy
68 Gy
II F Up
prelievi
Figura 4.20 Variazione intraindividuale di P3 normali ed aberrate al variare della dose
116
Dose
0Gy
68Gy
IIFUp
n°=4nor n°=4abe
n°=5
n°=7
n°=8
4,2±0,5 49,2±1,2
n°=1
n°=2
27,2±1,1
N°=3
17,5±0,9
0,9±0,2
1,0±0,2 0,1±0,1
n°=6
0,0±0,0
0,0±0,0
6,3±0,7 30,4±1,3
28,0±1,3
27,9±1,3
2,6±0,5
3,7±0,5 0,8±0,3
0,2±0,1
0,0±0,0
6,2±0,5 13,5±0,8
10,8±0,7
57,5±1,1
1,2±0,2
5,3±0,5 3,1±0,4
0,5±0,2
0,2±0,1
Tabella 4.19 Frequenze % di n°totale spot/cellula al variare della dose e successivo follow up in P3
andamento globale di frequenze %di n° totale spot /cellula in P3
70,0
50,0
40,0
0 Gy
68 Gy
II F Up
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n° totale spot /cellula
andamento del n°totale spot/cellula al variare dei
prelievi in P3
frequenze % n°totale
spot
frequenze relative %
60,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
0 Gy
14 Gy
68 Gy
prelievi
II F Up
7
8
Figura 4.21 Variazione intraindividuale totale per i singoli casi in P3
117
cellule
acquisite
cellule
analizz.
freq.%cell.
analiz.±err
cellule
normali
freq.%cell.
norm.±err
cellule
aberrate
freq.%cell
aber.±err
0Gy
2572
2567
99,8±0,1
1855
72,3±0,9
712
27,7±0,9
60Gy
1773
1758
99,2±0,2
1129
64,2±1,1
629
35,8±1,1
Dose
IFUp
2520
2384
94,6±0,5
1461
61,3±1,0
923
38,7±1,0
Tabella 4.20: Dati relativi ad analisi paziente P5 durante la radioterapia ed ultimo Follow Up.
andamento globale n° totale cellule normali e cellu le aberrate
80,00
70,00
frequenze relative %
60,00
50,00
cell.normali
40,00
cell.aberrate
30,00
20,00
10,00
0,00
0 Gy
60 Gy
I F Up
prelievi
Figura 4.22 Variazione intraindividuale di P5 normali ed aberrate al variare della dose
Dose
n°=1
n°=2
n°=3
n°=4no
n°=4ab
n°=5
n°=6
n°=7
n°=8
0Gy
0,4±0,1
5,7±0,5
14,1±0,7
72,3±0,9
0,5±0,1
6,5±0,5
0,4±0,1
0,0±0,0
0,0±0,0
60Gy
0,9±0,2
4,4±0,5
15,2±0,9
64,2±1,1
1,4±0,3
13,3±0,8
0,3±0,1
0,1±0,1
0,0±0,0
6,6±0,5
3,3±0,4
0,8±0,2
0,6±0,2
4,8±0,4
12,6±0,7
7,1±0,5
61,3±1,0
1,0±0,2
IFUp
Tabella 4.21 Frequenze % di n°totale spot/cellula al variare della dose e per i seguenti in P5
118
andamento globale di frequenze % di n° totale spo t / cellula
80,0
70,0
50,0
0 Gy
40,0
60 Gy
I F Up
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n° totale spot / cellula
Figura 4.19 Variazione intraindividuale totale per i singoli casi in P5
andamento delle frequenze % n°totale spot/cellula i n P6 al variare della
dose
70,0
60,0
50,0
frequenze %
frequenze relative %
60,0
40,0
0 Gy
60 Gy
II F Up
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 norm
4 aberr
5
6
7
8
9
n°totale spot/cellula
Figura 4.19 Variazione intraindividuale totale per i singoli casi in P6
119
frequenze % cellule totali
andamenti globali cellule normali ed aberrate in P6
70,0
60,0
50,0
40,0
normali
30,0
aberrate
20,0
10,0
0,0
0 Gy
60 Gy
II F Up
dosi dei preliev i
andamento globale di frequenze % di n° totale spo t / cellula in P7
100,0
90,0
80,0
frequenze relative %
70,0
60,0
0 Gy
50,0
52 Gy
I FUp
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n° totale spot / cellula
120
andamento globale n° totale cellule normali e cellul e aberrate in P7
100,0
90,0
80,0
60,0
cell.normali
50,0
cell.aberrate
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
0 Gy
52 Gy
I FUp
prelievi
andamento globale n° totale cellule normali e cellu le aberrate in P9
100,0
90,0
80,0
70,0
frequenze relative %
frequenze relative %
70,0
60,0
cell.normali
50,0
cell.aberrate
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
0 Gy
70 Gy
I FUp
prelievi
121
andamento globale di frequenze % di n° totale spo t / cellula in P9
100,0
90,0
80,0
frequenze relative %
70,0
60,0
0 Gy
70 Gy
I FUp
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
10
n° totale spot / cellula
A conclusione dei 7 pazienti come accenno di confronto
frequenze % del numero di cellule normali ed aberrate nelle guance sane dei 7 pazienti a 0Gy e dei
valori della variazione inter-individuale del controllo
100,0
90,0
94,4
86,3
84,0
88,7
82,5
80,0
frequenze % totali cellule
72,3
67,0
70,0
59,3
60,0
tot cellule normali
50,0
tot cellule aberrate
40,7
40,0
33,0
27,7
30,0
20,0
17,5
16,0
13,7
11,3
10,0
5,6
0,0
P1
P2
P3
P5
P6
P7
P9
controllo
guance sane dei pazienti
122
ripartizione degli spot nelle guance sane dei 7 pazienti a 0Gy
e valori medi del controllo
100% 0,3
1,0
2,9
5,9
0,2
1,0
4,8
8,9
0,1
0,9
6,4
0,4
0,3
2,2
17,5
0,1 3,9
0,2 6,1
6,1
0,8
0,5
0,7
0,4
0,1
1,0
80%
n° tot spot = 8
frequenze %
n° tot spot = 7
27,2
n° tot spot = 6
59,3
60%
n° tot spot = 5
72,3
67,0
84,0
88,7
86,3
94,4
n° tot spot =4aber
n°tot spot =4norm
n°tot spot = 3
40%
n°tot spot = 2
n°tot spot = 1
49,2
12,5
20%
14,1
7,8
0%
1,0
5,2
P1
7,0
0,4
2,0
4,2
5,6
P2
P3
P5
12,9
0,4
5,0
0,9
P6
5,7
0,1
P7
6,7
1,4 3,7 0,03
P9
controllo
0,5
pazienti e controllo
Si nota che a 0Gy la percentuale di cellule normali va da 88,7% di P9 al 67% di P2, mentre
per P3 si ha il minimo valore di 17,5%. Invece P1 ha 84% molto simile al valore di P9,
sebbene le loro caratteristiche siano molto diverse. Ciò prova un dato ampiamente dimostrato
in letteratura, la grande differenza di cellule normali tra pazienti tumorali, soprattutto se
fumatori, ed i controlli non fumatori.
Anche la percentuale dei segnali a 1,2,3 sembra simile tra 6 pazienti, mentre P3 ha valori
abbastanza diversi anche da P6: la frequenza di 1spot è 4,2% in P3, in P6 è il 6%, ma la
differenza forte si ha per le frequenze di 2spot altissime in P3. Invece in P6 sono confrontabili
con le frequenze di 3 spot, entrambi al 12,5%, dato molto alto rispetto gli altri che hanno 3,7%
ed il 7,8% eccetto P5 che arriva al 14%.
Tali anomalie si mantengono durante la radioterapia oscillando e riportandosi ai valori
iniziali per P6, mentre in P3 si registra un aumento delle cellule normali in contrasto con P6 e
P5. Sicuramente l’effetto maggiore si vede nei pazienti che hanno fatto il boost rispetto a
quelli che hanno ricevuto sempre la stessa dose frazionata per tutto il trattamento. Infatti il
ricevere, a seconda dei protocolli seguiti, una dose maggiore della frazione giornaliera di 2Gy
ha fatto notare le conseguenze nel prelievo successivo spesso del Followup. In questo caso il
tempo intercorso tra i due preliebi è stato superiore al tempo di manifestazione in superficie
delle cellule, tipicamente due settimane. Quindi se all’inizio del trattamento la variazione
intraindividuale non sembrava evidente, alla massima dose l’effetto cumulatosi nello strato
123
basale è divenuto evidente. Infatti in corrispondenza dei Followup c’è stata la variazione
intraindividuali attesa pe il recupero del danno.
Le discrepanze osservate rispetto a quanto detto per i soli P1 e P2 sono semplicemente
dovute a motivi statistici, numero di cellule acquisite, numero di analizzate, oltre la
radiosensibilità individuale che è fondamentale in tutto l’esperimento.
grafico globale n° totale spot/cellula nelle guance sane dei miei pazienti a 0Gy
100,0
90,0
frequenze % n° totale spot/cellula
80,0
70,0
P1
P2
P3
P5
P6
P7
P9
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
1
2
3
4 normali
4 aberrate
5
6
7
8
9
n° totale spot/cellula
P1
P2
P3
P5
P6
P7
P9
100
Frequenze % Spot/Cellula
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
1
2
3
4normali 4aberrate
5
6
7
8
Numero totale Spot/Cellula
4.4 Discussione dei Risultati
124
4.4.1 Confronto tra Analisi Manuale ed Automatica
Si fa un primo confronto tra P1 42Gy analizzato al microscopio a fluorescenza e FISH
monocromatica e P1 42Gy analizzato al R.A.I.C. con FISH bicromatica i dati sono in tabella
con confronto in figura
P1 42Gy RAIC
P1 42Gy MANUALE
N =696
N =2742
n°spot
n°cellule
freq % ± err.freq.% n°cellule freq % ± err.freq.%
1
0
0±0
37
1,3±0,2
2
32
4,6±0,8
145
5,3±0,4
3
127
18,2±1,6
577
21,0±0,9
4
485
69,7±3,2
1875
68,4±1,6
5
48
6,9±1
93
3,4±0,4
6
4
0,6±0,3
15
0,5±0,1
Tabella 4. Confronto dello stesso campione P1 42Gy analizzato al RAIC e manuale
CONFRONTO
PRELIEVI
frequenze %
confronto analisi manuale e al RAIC di P1 42Gy
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
P1 42Gy RAIC
P1 42Gy MANUALE
1
2
3
4
5
6
n° totale spot/cellula
Da questa analisi condotta per validare l’analisi automatica risulta che i due tipi di analisi
risultano confrontabili per il numero di spot osservati su uno stesso campione (Treno, 2005).
4.4.2 Confronto dati di FISH monocromatica e FISH bicromatica
125
confronto P1: 0Gy, 14Gy, 22Gy,IIIFUp analizzati con FISH
monocromatica e FISH bicromatica
100,0
frequenze %
90,0
80,0
0Gy mono
70,0
0Gy bicro
14Gy mono
60,0
14Gy bicro
50,0
22Gy mono
40,0
22Gy bicro
30,0
IIIFUp mono
20,0
IIIFUp bicro
10,0
0,0
1spot
2spot
3spot
4spot
5spot
6spot
n°totale spot
Figura 4.12 Istogramma confronto dati FISH monocromatica e FISH bicromatica
CONFRONTO P1 0Gy, 14Gy, P1 22Gy, P1 IIIFUp con FISH Monocromatica e Bicromatica
Dose
1spot
2spot
3spot
4spot
5spot
6spot
7spot
8spot
N
0Gy
mono
0Gy
bicro
14Gy
mono
14Gy
bicro
22Gy
mono
22Gy
bicro
IIIFUp
mono
IIIFUp
bicro
0,3±0,1
2,0±0,3
0,4±0,2
1,0±0,3
0,9±0,2
4,1±0,7
0,4±0,2
2,0±0,4
1,8±0,1
4,8±0,3
1,4±0,3
3,5±0,5
0,4±0,1
2,4±0,3
2,8±0,7
5,0±0,9
8,2±0,6
86,7±1,8
5,2±0,6
84,2±0,9
10,6±0,7
81,9±1,9
7,0±0,7
84,5±0,9
13,1±0,7
76,7±2,1
10,8±0,8
77,5±1,1
9,4±0,7
85,4±2,1
8,0±1,1
75,8±1,7
2,8±0,3
5,9±0,6
2,5±0,3
4,7±0,5
3,1±0,3
4,6±0,5
2,3±0,3
6,3±1,0
0,1±0,1
2,8±0,4
0,3±0,1
0,1±0,1
1,2±0,3
0,1±0,1
0,4±0,1
1,7±0,3
0,3±0,1
0,1±0,1
2,1±0,6
0,0±0,0
0,1±0,1
2598
0,0±0,0
0,1±0,1
1582
1521
1520
2192
1858
Tabella 4.12 Confronto delle due tecniche in frequenze %
0,0±0,0
2014
616
Dal confronto risalta che la differenza dei valori delle cellule normali rientrano nell’errore
tranne per il prelievo del III Follow Up effettuato con la FISH bicromatica dove le cellule
analizzabili sono 616 contro le 2014 analizzabili della FISH monocromatica. Comunque i
valori ottenuti con entrambe le tecniche a 0Gy sono ben lontani dal valore del controllo:
94,5±1,0.
Invece per le cellule aneuploidi i valori della bicromatica a 0Gy sono confrontabili
sempre con il controllo solo per: 1, 2, 3spot, negli altri casi le differenze aumentano ben oltre
126
l’errore. D’altronde il controllo è stato acquisito con FISH monocromatica ed analisi manuale.
Per gli altri prelievi le differenze tra le due tecniche sono comunque marcate tranne per il
caso: 1spot non solo per il diverso operatore, ma anche per l’uso della FISH bicromatica più
sensibile e gli accorgimenti adottati ottimizzando il modulo Metacyte (cap.3).
Comunque non è possibile confrontare le variazioni temporali dei prelievi in corso di
radioterapia con i valori della variazione intra-individuale non solo per le tecniche diverse, ma
sostanzialmente perché entra in gioco la radiosensibilità individuale.
ripartizione degli spot nelle guance sane dei 7 pazienti a 0Gy
e valori medi del controllo
100% 0,3
1,0
2,9
5,9
0,2
1,0
4,8
8,9
0,1
0,9
6,4
0,4
0,3
2,2
17,5
0,2
6,1
0,8
0,1 3,9
6,1
0,5
0,4
0,1
0,7
1,0
80%
n°tot spot = 8
frequenze %
n°tot spot = 7
27,2
n°tot spot = 6
59,3
60%
n°tot spot = 5
72,3
67,0
84,0
88,7
86,3
94,4
n°tot spot =4aber
n°tot spot =4norm
n°tot spot = 3
40%
n°tot spot = 2
n°tot spot = 1
49,2
12,5
20%
14,1
7,8
0%
1,0
5,2
P1
7,0
0,4
2,0
4,2
P2
P3
5,6
12,9
0,4
P5
5,0
0,9
P6
5,7
0,1
P7
6,7
1,4 3,7 0,03
P9
controllo
0,5
pazienti e controllo
Per il conteggio del totale spot/cellula su ogni vetrino si hanno le seguenti combinazioni
dei due cromosomi. Più aumenta il n° di cromosomi, più le combinazioni si complicano e la
sensibilità del metodo diminuisce se non si adegua opportunamente in n° di sonde.
casi aneuploidie
1
2
3
combinazioni centrom.
3 vv - 2 rr
2 vv - 3 rr
2 vv - 1 rr
1 vv - 2 rr
2 vv - 0 rr
2 vv - 4 rr
1 vv - 1 rr
1 vv - 3 rr
3 vv - 1 rr
3 vv - 3 rr
0 vv - 2 rr
4 vv - 2 rr
5 vv - 2 rr
4 vv - 1 rr
4 vv - 3 rr
3 vv - 0 rr
casi n° tot
spot/cellula
1
2
3
4aberrate
5
combinazioni centrom.
1 vv - 0 rr
0 vv - 1 rr
2 vv - 0 rr
1 vv - 1 rr
0 vv - 2 rr
3 vv - 0 rr
2 vv - 1 rr
1 vv - 2 rr
0 vv - 3 rr
0 vv - 4 rr
1 vv - 3 rr
3 vv - 1 rr
4 vv - 0 rr
5 vv - 0 rr
4 vv - 1 rr
3 vv - 2 rr
127
4
5
6
7
8
3 vv - 4 rr
2 vv - 5 rr
1 vv - 4 rr
1 vv - 0 rr
0 vv - 1 rr
0 vv - 3 rr
6 vv - 2 rr
5 vv - 3 rr
5 vv - 1 rr
4 vv - 4 rr
4 vv - 0 rr
3 vv - 5 rr
2 vv - 6 rr
1 vv - 5 rr
0 vv - 4 rr
0 vv - 0 rr
6 vv - 3 rr
6 vv - 1 rr
5 vv - 4 rr
5 vv - 0 rr
4 vv - 5 rr
3 vv - 6 rr
1 vv - 6 rr
0 vv - 5 rr
6 vv - 4 rr
6 vv - 0 rr
5 vv - 5 rr
4 vv - 6 rr
0 vv - 6 rr
6 vv - 5 rr
5 vv - 6 rr
6 vv - 6 rr
6
7
8
9
10
2 vv - 3 rr
1 vv - 4 rr
0 vv - 5 rr
0 vv - 6 rr
1 vv - 5 rr
2 vv - 4 rr
3 vv - 3 rr
4 vv - 2 rr
5 vv - 1 rr
6 vv - 0 rr
1 vv - 6 rr
2 vv - 5 rr
3 vv - 4 rr
4 vv - 3 rr
5 vv - 2 rr
6 vv - 1 rr
2 vv - 6 rr
3 vv - 5 rr
4 vv - 4 rr
5 vv - 3 rr
6 vv - 2 rr
3 vv - 6 rr
4 vv - 5 rr
5 vv - 4 rr
6 vv - 3 rr
4 vv - 6 rr
5 vv - 5 rr
6 vv - 4 rr
Quindi è vero che l’informazione più immediata e disponibile quando si analizza un
vetrino è il n° totale spot/ cellula, ma in tale modo non si può avere le informazioni necessarie
per stabilire l’esatto grado di aneuploidia che ha interessato i cromosomi monitorati.
Va da sé che la situazione ideale è il monitoraggio di 1 unico cromosoma dove però
bisogna comunque fare attenzione e sommare le informazioni opportune per non perdere la
sensibilità del metodo richiesta perché esistono le seguenti uguaglianze:
1 anuploidia totale= monosomia+trisomia
2 aneuploidie totali=nullisomia+tetrasomia
Quindi sebbene sembri più semplice comunque dipende da quale grado di informazione si
cerca: il n°totale spot=singola aneuploidia solo e soltanto per 1cromosoma monitorato, ma se
si vuole stimare il totale di aneuploidie bisogna sommare come su indicato.
Quindi ho ricavato le seguenti informazioni per ogni paziente:
128
frequenze % monosomia
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P1
60,0
50,0
40,0
monosomia
30,0
zz
monosomia
20,0
10,0
0,0
0Gy
14Gy 22Gy 34Gy 50Gy
IFUp
IIFUp IIIFUp
prelievi
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P1
frequenze % trisomia
35,0
30,0
25,0
20,0
trisomia
15,0
trisomia
10,0
5,0
0,0
0Gy
14Gy
22Gy
34Gy
50Gy
IFUp
IIFUp IIIFUp
prelievi
frequenze % tetrasomie
confronto andamenti tetrasomie 8 e 12 in P1
9,0
8,0
7,0
6,0
5,0
4,0
tetrasomia
tetrasomia
3,0
2,0
1,0
0,0
0Gy
14Gy
22Gy
34Gy
50Gy
IFUp
IIFUp
IIIFUp
prelievi
129
andamenti nel tempo delle singole aneuploidie dei cromosomi
8 e 12
frequenze % singole aneuploidie
60,0
50,0
nullisom ia
nullisom ia
40,0
m onosom ia
m onosom ia
30,0
trisomia
trisomia
20,0
tetrasomia
tetrasomia
10,0
0,0
0
12
18
27
39
75
104
138
tempo (giorni)
andamento aneuploidie totali in P1 al variare della dose
frequenze % di aneuploidie totali
80,0
70,0
60,0
1aneuploidia tot
50,0
2aneuploidie tot
3aneuploidie tot
40,0
4aneuploidie tot
30,0
5aneuploidie tot
20,0
10,0
0,0
0Gy
14 Gy
22 Gy
34Gy
50Gy
I F Up
II F Up
III FUp
prelievi
130
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P2
frequenze % monosomia
60,0
50,0
40,0
monosomia verde
30,0
monosomia rossa
20,0
10,0
0,0
0Gy
12Gy
24Gy
34Gy
44Gy
58Gy
IFUp
IIFUp
IIIFUp
prelievi
confronto andamenti tetrasomia 8 e 12 in P2
frequenze % tetrasomie
10,0
9,0
8,0
7,0
6,0
tetrasomia
5,0
tetrasomia
4,0
3,0
2,0
1,0
0,0
0Gy
12Gy
24Gy
34Gy
44Gy
58Gy
IFUp
IIFUp IIIFUp
prelievi
131
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P2
40,0
frequenze % trisomia
35,0
30,0
25,0
trisomia verde
20,0
trisomia rossa
15,0
10,0
5,0
0,0
0Gy
12Gy
24Gy
34Gy
44Gy
58Gy
IFUp
IIFUp
IIIFUp
prelievi
andamento aneuploidie totali in P2 al variare dei prelievi
frequenze % di aneuploidie totali
70,0
60,0
50,0
1aneuploidia tot
2aneuploidie tot
40,0
3aneuploidie tot
4aneuploidie tot
30,0
5aneuploidie tot
6aneuploidie tot
20,0
10,0
0,0
0Gy
12Gy
24Gy
34Gy
44Gy
58Gy
IFUp
IIFUp
IIIFUp
prelievi
132
frequenze % aneuploidie totali
andamento delle aneuploidie totali in P3 al variare della
dose
70,0
60,0
50,0
1aneuploidia tot
40,0
2aneuploidie tot
30,0
3aneuploidie tot
4aneuploidie tot
20,0
10,0
0,0
0 Gy
14 Gy
68 Gy
II F Up
prelievi
andamenti delle singole aneuploidie dei
cromosomi 8 e 12 in P3 in funzione del tempo
frequenze %
70,0
60,0
nullisomia
50,0
nullisomia
40,0
monosomia
30,0
monosomia
20,0
trisomia
10,0
trisomia
0,0
tetrasomia
0giorni
23giorni
37giorni
138giorni
tetrasomia
intervalle temporali tra i prelievi
133
andamento globale di diversi tipi di aneuploidie del cromosoma 12 in P3
70,0
60,0
frequenze relative %
50,0
40,0
0 Gy
68 Gy
Ii F Up
30,0
20,0
10,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
tipi di aneuploidie
Dose
f%n°spot=0
nullisomia
f%n°spot=1
monosomia
f%n°spot=3
trisomia
f%n°spot=4
tetrasomia
f%n°spot=5
pentasomia
0Gy
65,2±1,3
33,5±1,3
0,8±0,2
0,0±0,0
0,0±0,0
68Gy
48,7±1,7
43,8±1,7
4,0±0,7
0,5±0,2
0,1±0,1
IIFUp
21,6±1,4
42,4±1,7
12,4±1,1
1,3±0,4
0,0±0,0
differenza
-43,6
8,9
11,6
1,3
risultato
perdita
guadagno
guadagno
guadagno
Tabella di cromosoma 12 in P3
andamento globale di tipi di aneuploidie del cromosoma 8 in P3
35,0
30,0
frequenze relative %
25,0
20,0
0 Gy
68 Gy
II F Up
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
tipi di aneuploidie
134
Dose
f%n°spot=0
nullisomia
f%n°spot=1
monosomia
f%n°spot=3
trisomia
f%n°spot=4
tetrasomia
f%n°spot=5
pentasomia
0Gy
0,1±0,1
6,9±0,7
3,6±0,5
0,2±0,1
0,0±0,0
68Gy
0,2±0,2
12,6±1,1
6,3±0,8
0,6±0,3
0,0±0,0
II F Up
18,7±1,3
31,0±1,6
13,6±1,2
3,9±0,7
0,0±0,0
differenza
18,6
24,0
10,0
3,7
risultato
guadagno
guadagno
guadagno
guadagno
Tabella del cromosoma 8 in P3
frequenze % tetrasomie
confronto tetrasomie 8 e 12 in P3 al variare della
dose
5
4
3
tetrasomia
2
tetrasomia
1
0
0Gy
14Gy
68Gy
II FUp
dosi dei prelievi
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P3
frequenze % trisomie
25,0
20,0
15,0
trisomia verde
10,0
trisomia rossa
5,0
0,0
0Gy
14Gy
68Gy
II FUp
dose dei prelievi
135
confronto andamenti nullisomia 8 e 12 in P3
frequenze % nullisomia
70,0
60,0
50,0
40,0
nullisomia verde
30,0
nullisomia rossa
20,0
10,0
0,0
0Gy
14Gy
68Gy
II FUp
dose dei prelievi
frequenze % monosomia
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P3
60,0
50,0
40,0
monosomia verde
30,0
monosomia rossa
20,0
10,0
0,0
0Gy
14Gy
68Gy
II FUp
dosi dei prelievi
aneuploidie
P3 0 Gy
P3 14 Gy
P3 68 Gy
P3 II F Up
tetrasomia
tetrasomia
trisomia
trisomia
monosomia
monosomia
nullisomia
nullisomia
0,0±0,0
0,2±0,1
0,8±0,2
3,6±0,5
33,5±1,3
6,9±0,7
65,2±1,3
0,1±0,1
3,1±0,7
1,0±0,4
21,1±1,7
9,2±1,2
20,6±1,7
48,2±2,1
8,9±1,2
20,2±1,7
0,5±0,2
0,6±0,3
4,0±0,7
6,3±0,8
43,8±1,7
12,6±1,1
48,7±1,7
0,2±0,2
1,3±0,4
3,9±0,7
12,4±1,1
13,6±1,2
42,4±1,7
31,0±1,6
21,6±1,4
18,7±1,3
differenze tra II FUp e
0Gy
Guadagno
1,3
Guadagno
3,7
Guadagno
11,6
Guadagno
10,0
Guadagno
9,0
Guadagno
24,0
Perdita
-43,6
Guadagno
18,6
136
andamento delle singole aneuploidie dei
cromosomi 8 e 12 in funzione del tempo in P5
frequenze % singole
aneuploidie
60,0
nullisomia
50,0
nullisomia
40,0
monosomia
30,0
monosomia
20,0
trisomia
10,0
trisomia
0,0
tetrasomia
0giorni
51giorni
36giorni
tetrasomia
intervalli temporali tra i prelievi
confronto andamenti trisomie 8 e 12 in P5
frequenze % trisomie
30,0
25,0
20,0
trisomia
15,0
trisomia
10,0
5,0
0,0
0Gy
60Gy
I F Up
dosi dei prelievi
frequenze % monosomia
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P5
60,0
50,0
40,0
monosomia
30,0
monosomia
20,0
10,0
0,0
0Gy
60Gy
I FUp
dosi di prelievi
137
frequenze % tetrasomie
andamento delle tetrasomie dei cromosomi 8 e 12
in P5
6,0
5,0
4,0
tetrasomia
3,0
tetrasomia
2,0
1,0
0,0
0Gy
60Gy
I FUp
dosi dei pelievi
andamento delle singole aneuploidie dei cromosomi 8 e 12
in P6 in funzione del tempo
frequenze % delle singole
aneuploidie
50,0
45,0
nullisomia
40,0
nullisomia
35,0
monosomia
monosomia
30,0
trisomia
25,0
trisomia
20,0
tetrasomia
15,0
tetrasomia
10,0
pentasomia
5,0
pentasomia
0,0
0giorni
56giorni
181giorni
intervalli temporali tra i prelievi
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P6
frequenze % trisomie
30,0
25,0
20,0
trisomia
15,0
trisomia
10,0
5,0
0,0
0 Gy
60 Gy
II F Up
dosi dei prelievi
138
frequenze % monosomie
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P6
50,0
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
monosomia
monosomia
0 Gy
60 Gy
II F Up
dosi dei prelievi
confronto andamenti tetrasomie 8 e 12 in P6
frequenze % tetrasomie
12,0
10,0
8,0
tetrasomia
6,0
tetrasomia
4,0
2,0
0,0
0 Gy
60 Gy
II F Up
dosi dei prelievi
confronto andamenti pentasomie 8 e 12 in P6
frequenze % pentasomie
1,6
1,4
1,2
1,0
pentasomia
0,8
pentasomia
0,6
0,4
0,2
0,0
0 Gy
60 Gy
II F Up
dosi dei prelievi
139
andamento globale delle aneuploidie del cromosoma 8 in P7
50,0
45,0
40,0
frequenze relative %
35,0
30,0
0 Gy
52 Gy
I FUp
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
diversi tipi di aneuploidie
andamento globale delle aneuploidie del cromosoma 12 in P7
45,0
40,0
frequenze relative %
35,0
30,0
25,0
0 Gy
52 Gy
I FUp
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
diversi tipi di aneuploidie
140
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P7
frequenze% trisomie
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
trisomia
20,0
trisomia
15,0
10,0
5,0
0,0
0 Gy
52 Gy
I FUp
dosi dei prelievi
frequenze % monosomie
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P7
50,0
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
monosomia
monosomia
0 Gy
52 Gy
I FUp
dosi dei prelievi
frequenze % tetrasomie
confronto andamenti tetrasomie 8 e 12 in P7
2,5
2,0
1,5
tetrasomia
tetrasomia
1,0
0,5
0,0
0 Gy
52 Gy
I FUp
dosi dei prelievi
141
frequenze % singole
aneuploidie
andamenti delle singole aneuploidie dei cromosomi 8 e
12 in P7 in funzione del tempo
50,0
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
nullisomia
monosomia
monosomia
trisomia
trisomia
tetrasomia
tetrasomia
0giorni
40giorni
121giorni
intervalli temporali tra i prelievi
andamento globale delle singole aneuploidie del cromosoma 8 in P9
45,0
40,0
frequenze relative %
35,0
30,0
25,0
0 Gy
70 Gy
I FUp
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
diversi tipi di aneuploidie
142
andamento globale delle singole aneuploidie del cromosoma 12 in P9
45,0
40,0
30,0
25,0
0 Gy
70 Gy
I F Up
20,0
15,0
10,0
5,0
0,0
nullisomia
monosomia
trisomia
tetrasomia
pentasomia
diversi tipi di aneuploidie
andamento delle singole aneuploidie dei
cromosomi 8 e 12 in P9 in funzione del tempo
frequenze % delle singole
aneuploidie
frequenze relative %
35,0
50,0
nullisomia
40,0
nullisomia
30,0
monosomia
20,0
monosomia
trisomia
10,0
trisomia
0,0
0giorni
54giorni
37giorni
intervalli temporali tra i prelievi
143
confronto andamenti trisomia 8 e 12 in P9
frequenze % trisomie
40,0
35,0
30,0
25,0
trisomia
20,0
trisomia
15,0
10,0
5,0
0,0
0 Gy
70 Gy
I FUp
dosi dei prelievi
frequenze % monosomie
confronto andamenti monosomia 8 e 12 in P9
45,0
40,0
35,0
30,0
25,0
monosomia
20,0
monosomia
15,0
10,0
5,0
0,0
0 Gy
70 Gy
I FUp
dosi dei prelievi
Ciò dimostra che la frequenza di aneuploidie di ogni cromosoma tende ad aumentare con la
stadiazione, il grado di differenziazione, le metastasi linfonodali, mentre l’organo colpito non
sembra influire. In letteratura è stato ampiamente dimostrato la trisomia 8 nei carcinomi orali,
laringei e faringei. Quindi è una prova che il test delle buccali qui presentato è un buon
biomarcatore sia della patologia tumorale che dell’eventuale danno radioindotto.
Le percentuali variano sia per la radiosensibilità che per i numeri delle cellule acquisite ed
analizzate. Comunque in tutti i pazienti si registra un aumento di trisomia 8 e 12.
4.5 Discussione dei risultati
Regioni della bocca distanti tra loro e clinicamente sane, hanno mostrato aneuploidie in 7
pazienti su 10 rafforzando l’ipotesi di una cancerosità diffusa a livello dell’intera regione
144
interessata dalle cellule di carcinoma squamoso alla regione testa-collo. Gli HNSCC sono
spesso associati ad alterazioni sparpagliate epiteliali e sono molto probabili recidive nel tratto
superiore aerodigestivo anche quando il tumore primario è stato sconfitto (Ai et al.,1999).
Le differenze misurate tra le due guance esistono anche se non sono molto marcate. Nelle
guance sane si nota che a 0Gy sono bilanciate, mentre al crescere della dose le frequenze nelle
combinazioni cambiano anche se prevalgono sempre gli stessi tipi.
Ciò conferma l’ipotesi della cancrenizzazione di campo dimostrata nei pazienti HNSCC.
Quasi la metà dei tumori primari recidivanti si sviluppa lontano dal luogo della resezione
iniziale e l’instabilità genomica in una parte del campo interessato dal tumore aumenta il
rischio per la restante parte (Hittelman et al., 1996).
Quindi il rilevare ogni forma di instabilità cromosomica in una qualsiasi regione del tratto
superiore respiratorio potrebbe aumentare l’informazione necessaria sul rischio a cui è
sottoposto l’intera area. Ciò conferma la scelta di prelevare le cellule con lo spazzolino da
denti su un’area più vasta possibile per misurare le aberrazioni cromosomiche negli individui
a rischio.
La scelta di analizzare i campioni applicando la FISH è obbligata poiché le buccali non
possono essere osservate in metafase come tutte le altre cellule. Inoltre è una tecnica molto
sensibile come risulta dal confronto con altri metodi citogenetici classici che spesso non
hanno rivelato piccole percentuali di aberrazioni presenti. Tuttavia è necessario un controllo
per stabilire un’adeguata specificità sia per le sonde che per le cellule (Tibiletti, 2004).
Per evitare i problemi della penetrazione delle sonde nei nuclei e della controcolorazione
del nucleo necessaria per identificare il numero corretto di spot da analizzare, sono stati
ottimizzati i protocolli preparatori in modo che il trattamento enzimatico fosse adatto a far
penetrare le sonde all’interno dei nuclei, la quantità di DAPI non fosse eccessiva e la
concentrazione di pepsina adatta ad eliminare ogni eccesso di sonda.
Comunque le sonde da usare devono avere un’alta efficienza di ibridizzazione per rilevare
i segnali dei nuclei normali ed un’alta sensibilità per rilevare correttamente le aneuploidie in
ogni tipo di tumore.
Ciò ha portato alla scelta dei cromosomi 8 e 12 tra il gruppo di quattro cromosomi
dimostratisi i migliori tra i 14 ibridizzati con sonde specifiche per testarne l’efficienza
nell’identificare foci iniziali di cellule aberrate in individui al alto rischio per i tumori testacollo (Ai et al., 1999).
Il cromosoma 8 ha dimostrato di essere un buon biomarcatore dell’efficacia della terapia
ormonale nel tumore alla prostata poiché la trisomia, presente prima del trattamento, è
145
diminuita durante il trattamento come i valori del PSA, il più noto marcatore della prostata
(Karashima, 2000).
Inoltre le aneuploidie dei cromosomi 8 e 12 sono molto diffuse nelle leucemie mielogena e
linfocitica cronica, il tumore radioindotto più frequente, soprattutto la tetrasomia 8, una forma
molto rara, è associata con la trisomia 8 che risulta più comune nella leucemia mieloide acuta.
Ciò dimostra che due singole non-disgiunzioni consecutive sono la causa più probabile
rispetto una doppia non-disgiunzione contemporanea (Kameoka , 2001).
La non-disgiunzione è la causa maggiore della perdita del cromosoma nelle aneuploidie
radioindotte da raggi X a basse dosi (Kirsch-Volders et al., 1996).
Questo lavoro di tesi ha dimostrato tre cose:
1) Le aneuploidie delle buccali sono un buon biomarcatore del danno radioindotto nella
fatti specie in caso di radioterapia. Il che permette di accertare se si tratti di danno permanente
o temporaneo. Inoltre le buccali sono alimentate dai vasi linfatici e sono molto irrorate di vasi
sanguigni. Inoltre le variazioni permanenti possono corrispondere a tumori secondari
radioindotti nel qual caso va sempre controllato se coincidono con le tipiche del tumore
primario. Quindi possono essere usate per stabilire la radiosensibilità individuale dei pazienti,
sia in trattamento che alla fine, alla pari delle dsb nei linfociti.
2) Le stesse aneuploidie sono un biomarcatore di un processo di metastasizzazione in loco
poiché permettono di rivelare le alterazioni tipiche di alcuni processi tumorali. Quindi se si
sviluppano nel corso del trattamento ed alla fine non regrediscono ma restano di una % simile
alle tumorali, o quanto meno molto diversa dall’iniziale, possono significare un tumore
secondario radioindotto o più frequentemente: un tumore primario secondario, data l’origine
multifocale degli HNSCC; una recidiva delocalizzata. Comunque possono essere il mezzo più
immediato e sicuro per accertare un danno esistente prima delle verifiche di routine, in fase di
follow-up, o contestuali o in alternativa a queste, data la minima invasività del procedimento.
In tal modo le tecniche diagnostiche accreditate potrebbero essere ridotte all’essenziale
quando necessarie o semplicemente affiancate tenendo presente comunque il problema dei
falsi positivi e falsi negativi.
3) La capacità di riparo del tessuto epiteliale nonché il suo manifestarsi in superficie solo in
interfase, essendo senescenti poiché completamente concluso il proprio ciclo riproduttivo. In
tal caso la memoria del danno aumenta perché non tutte le cellule sono differenziate e quelle
in salita verso l’esterno possono essere danneggiate anche in tempi successivi. Quindi
giustificherebbe l’incremento dei danni alla max dose quando si segue il trattamento
146
frazionato classico con dosi giornaliere di 2Gy. Lo scenario cambia in presenza del boost che
implica una dose massiccia per evitare recidive quando le dimensioni tumorali sono diminuite
al punto da consentire un irraggiamento più massiccio cautelativo che però può indurre danni
maggiori come dimostrano le aneuploidie aumentate nei prelievi del I Follow-Up.
Per tutto ciò, bisogna migliorare: la risoluzione dell’acquisizione delle immagini al R.A.I.C.
nonché la tecnica di prelievo tentando di mantenere sempre la stessa origine del campione
così da monitorare effettivamente la stessa zona e non un’altra vicina che potrebbe avere
condizioni migliori di sviluppo.
Infine vanno aumentati i campioni così da avere più dati a disposizione per l’analisi statistica
potendo dare dei risultati statisticamente validi. Ovviamente va affrontato il discorso dei costibenefici nel caso si volesse approfondire l’analisi usando la CREST-FISH.
147
CONCLUSIONI
La radioterapia è molto diffusa in oncologia, ma il suo limite è il danno al tessuto sano
circostante la zona tumorale. Ciò rende necessario la messa a punto di test per identificare
buoni biomarcatori del danno radioindotto al tessuto sano così da definire la radiosensibilità
individuale e personalizzare i piani di trattamento per limitare i danni al tessuto sano.
La carcinogenesi è un processo a più stadi guidato dall’accumularsi di danni genetici che
portano alla deregolazione dei meccanismi di controllo della crescita, differenziazione e morte
cellulare. Quindi i potenziali biomarcatori comprendono gli indicatori del grado di modifiche
genetiche specifiche e della deregolazione cellulare nel tessuto a rischio di sviluppo tumorale.
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è mettere a punto un metodo di analisi delle
aneuploidie dei cromosomi 8 e 12 nelle cellule della mucosa orale prelevate a 7 pazienti con
patologie tumorali nella regione testa-collo sottoposti a radioterapia presso due strutture
ospedaliere con diversi piani di trattamento.
L’aneuploidia è un’aberrazione cromosomica numerica presente con diverse percentuali
nella maggioranza dei tumori caratterizzate più dal guadagno di una copia che dalla perdita.
Nella fatti specie cellule di coltura a breve termine, derivate da tumori testa-collo, sono
caratterizzate da perdita e guadagno di sequenze in numerose regioni del cromosoma.
I tumori testa-collo sono circa il 2-3% dei carcinomi umani, la neoplasia più comune tipica
dei tessuti epiteliali, raggiungendo il 90% delle patologie studiate poichè i tessuti epiteliali
sono equidistribuiti nell’organismo.
Dall’ analisi delle aneuploidie nei carcinomi è risultato che i cromosomi: 1,8,10,11,12,17
sono aneuploidi nel 50-70% dei tumori testa-collo: 1,10,12 tendono all’acquisizione
cromosomica mostrando trisomie; 8 e 11 presentano monosomie o nullisomie perché tendono
alla perdita di 1 o più copie.
Inoltre le aneuploidie dei cromosomi 8 e 12 interessano anche altre patologie tumorali
quali: leucemia mielogena e leucemia linfocitica cronica, il tumore radioindotto più frequente.
Il rischio maggiore connesso con la radioterapia è la recidiva radioindotta, nonché le
aneuploidie precoci e tardive causate dalle radiazioni ionizzanti. D’altronde è stato dimostrato
che i tumori testa-collo recidivano in intervalli di 8 anni ed in questo lasso di tempo tumori
secondari radioindotti sono stati molto limitati a dimostrazione che la radioterapia è efficace,
ma bisogna conoscere bene i meccanismi di interazione di ogni radiazione con il tessuto.
148
Le cellule buccali sono state scelte perché sono un biomarcatore sensibile alle radiazioni
ionizzanti. Infatti le loro aneuploidie sono presenti nelle trasformazioni neoplastiche e
preneoplastiche. Inoltre il loro prelievo è indolore, non invasivo ed economico.
Per analizzare i cromosomi è stata adottata la tecnica FISH centromerica marcandoli con
sonde fluorescenti atte ad individuarli col microscopio a fluorescenza in analisi manuale e in
analisi automatica con annesso modulo.
Il progetto riguarda sette pazienti a cui sono stati fatti prelievi settimanali (ogni 12Gy)
durante il trattamento, oltre a quello iniziale, a cui vanno aggiunti i prelievi dei FollowUp ad
intervalli di uno,due e tre mesi dal termine del trattamento radioterapeutico.
Nei lavori precedenti sono stati misurati gli intervalli di variazione inter-individuale ed
intra-individuale analizzando un gruppo di controllo di cinque donatori sani ai quali sono stati
fatti un unico prelievo per stabilire la variazione interindividuale e tre prelievi ad un solo
soggetto giovane, non fumatore alla distanza di 15 giorni l’uno dall’altro per stabilire la
variazione intra-individuale.
Tali valori sono serviti da riferimento per il confronto con quelli risultanti dal prelievo a
0Gy effettuato ad ogni paziente. Si nota che nessuno dei pazienti rientra nell’intervallo delle
cellule normali stabilito con i controlli (94,4±0,9)%.
Tale analisi è stata condotta applicando la FISH centromerica monocromatica e l’analisi
manuale al microscopio a fluorescenza. La FISH è la tecnica più adatta per analizzare le
buccali perché sono cellule senescenti quindi non si possono applicare le altre tecniche che
sfruttano la mitosi per evidenziare il numero corretto di cromosomi o la formazione di
micronuclei.
Le sonde utilizzate contengono sequenze omologhe alle centromeriche che devono
ibridizzare così da legarsi e grazie ai fluorocromi marcare i cromosomi e renderli visibili al
microscopio altrimenti sarebbe impossibile analizzarli.
Infatti le cellule buccali sono prevalentemente in interfase ed i cromosomi in interfase
hanno una disposizione caotica nel nucleo, aggrovigliandosi tra loro, il che ne complica
l’analisi. Inoltre le cellule buccali sono pavimentose, stratificate il che significa che i foglietti
in superficie sono costituiti da cellule prevalentemente sovrapposte.
Il prelievo con lo spazzolino da denti tenta di danneggiarle il meno possibile coprendo la
maggior area di prelievo utile ai fini dell’analisi, ma resta il problema degli aggregati cellulari
e nuclei sovrapposti. Un vetrino al microscopio prima dei protocolli messi a punto per
l’analisi appare come tante isole di cellule con altri aggregati cellulari che disturberebbero
l’analisi.
149
Quindi è stato importante ottimizzare i protocolli di trattamento enzimatico e FISH per
poter ottenere vetrini più adatti all’analisi. Quindi è stata adottata l’analisi automatica per
velocizzare l’analisi, poter riosservare le immagini acquisite al RAIC (Riconoscitore
Automatico di Immagini Cromosomiche), poter confrontare i risultati dell’analisi tra più
operatori senza il problema del decadimento delle sonde.
Per differenziare correttamente gli spot e poter così stimare le singole aneuploidie di ogni
cromosoma nei singoli pazienti, si è usata la FISH bicromatica applicando la sonda rossa al
cromosoma 8 e la sonda verde al cromosoma 12.
Si sa che i prelievi delle buccali in trattamento radioterapeutico hanno una doppia
dipendenza :temporale e dalla dose. Quindi il poter stimare in modo attendibile, nei limiti
della tecnica applicata e dell’operatore che fa l’analisi, come le aneuploidie cambino al
variare dei giorni e della dose è un buon risultato.
L’analisi ha mostrato la tendenza delle cellule normali a diminuire al crescere della dose
mentre le aberrate aumentano rispetto al prelievo iniziale. Ciò è vero per tutti i pazienti tranne
uno che ha un andamento anomalo forse perché è stato sottoposto a chemioterapia.
In definitiva l’analisi delle aneuploidie ha mostrato per tutti una predominanza delle
monosomie, trisomie e tetrasomie 8 e 12 come era atteso dai dati in letteratura. Le percentuali
sono diverse e per la radiosensibilità individuale e per le cartelle cliniche molto diverse e
complesse anche se specialmente per la trisomia 8 nei carcinomi testa-collo sembra sia
ininfluente la localizzazione del tumore primario.
150
APPENDICE A
MODELLI RADIOTERAPEUTICI
A1 Indicatore Biologico della Probabilità di Controllo del Tumore (TCP)
Il controllo del focolaio tumorale va inteso come blocco non solo della crescita del tumore,
ma anche della proliferazione tumorale in organi adiacenti o in vie di comunicazione con altri
organi importanti; es.: linfociti che attraverso il sangue vanno nei linfonodi. Ciò rappresenta il
rischio di propagazione tumorale più difficile da controllare per evitarla è necessario un
irraggiamento di frontiera perfetto.
Nel caso del controllo tumorale per valutare bene la dose bisogna ricorrere ai modelli
costruiti con le informazioni sullo sviluppo tumorale e sulla radiosensibilità cellulare ad i vari
tipi di trattamento. Noto l’andamento della sopravvivenza cellulare al trattamento previsto, si
può modificarne i parametri e raggiungere i risultati.
L’idea base per calcolare TCP ipotizza un andamento lineare-quadratico per la
sopravvivenza cellulare S in risposta alla dose D ricevuta, vedi paragrafo 1.3.1, ottenendo:
S = e − (α
D +β D
2
)
Il modello specifico per il calcolo di TCP si fonda sui seguenti principi:
1 ogni tumore consiste di No cellule clonogeniche ovvero capaci di creare cloni cellulari;
2 la morte cellulare è casuale così come la sopravvivenza; TCP segue la statistica di Poisson
per popolazione uniforme di cellule radiotrattata uniformemente;
3 TCP è massimo quando tutte le suddette cellule sono morte dopo irradiazione.
In formule:
N (D ) = N 0S
TCP = e − kN
dove
= numero medio di cellule sopravvissute a fine trattamento essendo
No = numero iniziale di cellule e S = probabilità di sopravvivenza;
K = fattore di proporzionalità che considera l’eventualità di avere un numero minimo di
cellule al di sotto delle quali non si sviluppa la recidiva per ragioni ambientali.
Nel par. 1.3.1 è stata definita SF2 per cui per dose frazionata si ha:
N ( D ) = N 0 S n con
n = n° di frazioni di dosi; ottenendo:
− n (α
T C P = e x p  − k N 0 e

D + β D
2
)

(2)
151
la probabilità di controllo tumorale su No cloni irraggiati con dose n volte D.
A2 Indicatore Biologico della Probabilità di Complicazioni al Tessuto
Normale (NTCP)
Il modello più diffuso per il calcolo di NTCP è quello ideato da Lyman-Burman-Kutcher
(Emami et al., 1991) adatto agli irraggiamenti parziali uniformi poiché definisce una funzione
che utilizza 4 parametri correlati da 2 variabili importanti come indicato dall’equazione:
NTCP =
1
2π
t
∫e
−
t2
2
dt
−∞
con
t=
dove
D − TD 50 ( v )
m ⋅ TD 50 ( v )
T D 5 0 (1) = T D 5 0 ( v ) ⋅ v n
v =
v to t
v ref
Le due variabili sono:
D =dose somministrata, = volume parziale dell’organo irradiato uniformemente con D
I quattro parametri del modello:
νref , TD50, n, m
corrispondono a
νref = volume di riferimento per il calcolo della dose tollerata dall’organo;
νtot = volume intero dell’organo in questione;
TD50(1) = dose tollerata dal volume intero normalizzato ad 1 con probabilità di complicazioni
del 50% dopo irraggiamento uniforme;
TD50 (ν) = dose tollerata dal tessuto sano con probabilità di complicazioni del 50% dopo
irraggiamento uniforme di un volume parziale ν;
m = pendenza della curva dose-risposta;
n determina la dipendenza della dose TD50 dalla frazione di volume irradiato ν.
Le TD50 qui utilizzate, si riferiscono ad un frazionamento standard della dose: frazioni di
2Gy per 5 giorni alla settimana per un periodo di 5 settimane, come previsto dai protocolli
seguiti dai pazienti sui quali si è svolto questo lavoro di tesi. Qualora sia adottato un diverso
frazionamento, si possono usare termini correttivi per adattare le formule ai nuovi protocolli.
Il limite maggiore imposto all’uso di entrambi le grandezze esaminate è rappresentato
dalla mancanza di dati clinici organizzati completi di follow-up sui quali si possano
ottimizzare i parametri richiesti dalle formule: TD50, m, n, , , No.
Le curve dose-effetto per TCP e NTCP in funzione della dose somministrata sono in Fig. 1.8
152
Fig. 1.8: CTP e NTCP in funzione della dose.
D0 è la dose prevista per il trattamento; le linee verticali indicano i cambiamenti nella risposta dovuti a piccoli
cambiamenti della dose (Williams JR et Thwaites DI, 1994).
Per raggiungere l’obiettivo della radioterapia le due curve devono risultare separate come
in figura. Più la curva TCP si trova a sinistra della curva NTCP, più la patologia può essere
trattata con successo risultando il tessuto tumorale più radiosensibile del tessuto sano.
Così la dose necessaria per bloccare il tumore è molto inferiore alla dose che induce
complicazioni nel tessuto sano tranne i tumori meno radiosensibili del tessuto sano
es:stomaco.
Per separare le due curve si possono adottare i seguenti metodi:
4 tecniche di irraggiamento più selettivo dei bersagli:
fasci multipli convergenti, intensità modulata dei fasci, filtri e collimatori;
5 uso di radiosensibilizzanti per i tessuti tumorali e/o radioprotettori per i tessuti sani;
6 frazionamento della dose.
Il primo metodo consente di inviare al tumore dosi maggiori circa uguali alla D necessaria
per distruggerlo, aumentando TCP, mantenendo il più possibile basse le dosi al tessuto sano.
Stesso risultato può essere raggiunto col secondo metodo che implica entrambi gli aumenti.
L’ultimo metodo ha il vantaggio di poter recuperare il danno indotto dalla frazione di dose
precedente prima che sia ricevuta la frazione successiva, ma ciò vale per entrambi i tessuti.
Quindi se da un lato consente di indurre un danno minore al tessuto sano, dall’altro rende
necessario iterare l’irraggiamento finchè non sia raggiunta la dose prevista al tumore.
Ciò indica come sia indispensabile valutare insieme entrambi gli indicatori biologici.
I modelli adatti al calcolo devono avere riscontri nei dati clinici ottenuti registrando
accuratamente tutti i dati disponibili sugli organi a rischio sia basandosi sul volume irraggiato
che acquisendo, il più sistematicamente possibile, i parametri radiobiologici dei tumori trattati:
SF2, coefficiente di clonaggio (Kulik et al., 2002).
153
Si è accennato che la dosimetria biologica si debba integrare con quella fisica per poter
valutare correttamente i dati utili per la radioprotezione. Dapprima è necessario registrare
l’effetto clinico indotto nel paziente radiotrattato cioè la morbidità del trattamento. Ciò
consente di valutare in retrospettiva lo stesso trattamento con la dose fisica rilasciata usando la
dosimetria tridimensionale. Senza questa valutazione non sarebbero affidabili la raccolta dei
dati e l’uso degli stessi negli ambiti: clinico, biologico e fisico, nonché in radioterapia.
A3
Modelli Teorici per Individualizzare i Piani di Trattamento
Negli ultimi decenni il maggior numero di dati clinici disponibili ha permesso una
migliore personalizzazione dei trattamenti con modelli teorici più accurati per: TCP e NTCP.
A tale scopo è necessaria la conoscenza dettagliata non solo dei parametri richiesti, ma anche
della radiosensibilità individuale misurata con analisi semplici.
Di seguito sono citati due modelli per ottimizzare TCP:
1) di Guirado nota la distribuzione di radiosensibilità dsb in pazienti di tumori al seno;
2)di Levin-Plotnik in tumori eterogenei es:testa-collo trattati con radioterapia frazionata.
A3.1 Modello di Guirado su tumori al seno nota la distribuzione di dsb
Lo scopo del lavoro era esaminare il guadagno terapeutico ( TCP) ricavabile se fosse nota
con precisione la distribuzione dei valori di radiosensibilità dsb in un campione di pazienti. In
pratica è stato valutato l’aumento di TCP dopo un trattamento individualizzato basato sulla
risposta finale dei tessuti sani alla radiazione rispetto a TCP di trattamento standard.
L’ipotesi di base era l’assenza di correlazione fra la radiosensibilità dei tessuti sani e
quella delle cellule tumorali (Guirado et al.,2003). Inoltre si ipotizzava lo stretto collegamento
tra le dsb valutate da saggi in vitro e la risposta del tessuto normale alla radioterapia.
I pazienti sottoposti a trattamenti simili possono avvertire danni variabili al tessuto sano
non spiegati dai fattori estrinseci: variazioni nella dose somministrata o cambiamenti nel
volume di trattamento.
Quindi sono state considerate le differenze intrinseche nella radiosensibilità cellulare.
Tutte le differenze inter-paziente nella radiosensibilità intrinseca di entrambi i tessuti
sarebbero rispetto la radioterapia perché possono essere collegate alla tolleranza al
trattamento.
154
Per ottenere un buon test di radiosensibilità si sceglievano i linfociti perchè più
promettenti dei fibroblasti per predire la risposta del tessuto sano alla radioterapia (Borgmann
et al., 2002).
Sebbene la relazione tra il danno al DNA e l’effetto sul tessuto sano non sia ancora
provata, la forma della distribuzione del danno può indicare la distribuzione della
radiosensibilità.
È risultato che R, numero di dsb radioindotte, aumenta linearmente con la dose, d:
R = xd . La pendenza x della retta è considerata una stima della radiosensibilità di particolari
cellule.
Il trattamento prevedeva dose totale dt in frazioni da 2Gy per 5giorni a settimana.
Ipotizzando il saggio perfetto solo per x =xr si ha Rr, livello di tolleranza del danno al tessuto
sano, corrispondente a dt (Fig. 1.9). Per x < xr si ha stesso Rr, aumentando TCP, se aumenta dt
x

∆d = d T  r − 1 
 x

di:
(2)
Fig. 1.9: Danno radioindotto nei linfociti in funzione della dose.
Il numero di dsb è mediato per unità di DNA 200Mbp (Milioni di coppie di basi) (Ruiz de Almodovar, 1994) ed
indicato in funzione dei Gy della RI a basso LET. Retta orizzontale è livello di riferimento del danno Rr
(Guirado et al.,2003).
Stimata la radiosensibilità individuale, serviva la distribuzione. Era già noto l’andamento
lognormale teorico della densità di probabilità per valori di radiosensibilità, P(x) (Koch,
1969).
La distribuzione lognormale sperimentale era stata ottenuta analizzando la distribuzione di
radiosensibilità, dsb, in 226 donne affette da cancro al seno radiotrattate (R. Almodovar,
2002).
L’idea base era che l'effetto di irradiazione sul tessuto normale fosse dovuto ad una
cascata di eventi coincidenti o successivi al danno iniziale. I meccanismi differenti che
intervengono includono: riparo, recupero e/o uccisione delle cellule, apoptosi, necrosi,
ripopolazione del tessuto, migrazione delle cellule, infiammazione. La loro importanza
155
relativa è responsabile della grande variabilità inter-paziente nel grado di danno indotto al
tessuto normale.
Quindi la risposta di ogni paziente può essere separata in un certo numero di step: xj è la
quantità di danno subita dopo j step. La distribuzione (Fig. 1.10) è asimmetrica la coda si
estende verso i valori alti di x perchè sono pazienti molto radiosensibili:
Fig. 1.10: La distribuzione log-normale usata per ottenere il parametro di radiosensibilità x.
A, B, C sono le tre regioni adatte all’individualizzazione della radiosensibilità definite da xr e xm
(Guirado,2003).
(A) Per x ≥ xm, va considerato il rischio di reazione grave del tessuto sano. Se, prima del
trattamento, il saggio in vitro prediceva la risposta del tessuto sano, si potrebbe o monitorare i
pazienti durante il trattamento anche con follow-up o suggerire l’uso di un metodo alternativo.
(B) Per xr ≤ x ≤ xm, non è necessario alcun cambiamento nel trattamento.
(C) Per i pazienti con x < xr si potrebbe considerare aumento di dose d (2). Sono compresi i
pazienti con effetti minimi al trattamento e quelli con reazioni limitate nei tessuti normali.
Per evitare in casi particolari aumento di dose eccessivo, si è raggiunto massimo di 60 Gy.
A3.1.1 Metodi di analisi dei dati
Nota la distribuzione dei valori di radiosensibilità in un campione dei pazienti, è stato
valutato l’aumento di TCP dopo trattamento individualizzato rispetto a TCP di trattamento
standard. Il programma proposto di individualizzazione è basato su un aumento della dose ai
pazienti che mostrano un comportamento radioresistente (bassa xr: regione C), e sull'adozione
di programmi alternativi o un controllo continuo di quei pazienti in cui è prevista una reazione
eccessiva( alta xm: regione A).
Per misurare i risultati del programma sono stati variati i parametri opportunamente e
casualmente con due diversi metodi: procedura analitica e simulazione Monte Carlo.
A3.1.1.a
PROCEDURA ANALITICA
156
Assumendo che la curva TCP segua lo stesso andamento per tutti i pazienti, per valutare
TCP dopo trattamento individualizzato con rilascio di dt si deve calcolare il valor medio per
tale dose TCP(dt ) . A tale scopo Guirado ha usato il modello logistico:
dove
D50 = dose totale necessaria per realizzare il 50% del controllo del tumore
γ = pendenza massima di dose-risposta normalizzata; entrambi parametri noti (Kallman,
1992).
I vari modelli disponibili possono includere funzioni: eterogeneità della distribuzione di
dose, popolazioni cellulari tumorali e effetti di frazionamento. Invece il modello scelto non
teneva conto dei fattori biologici così i risultati potevano essere considerati principalmente
una conseguenza dell'effetto delle distribuzioni di dose evitando l’accumularsi dei fattori che
avrebbe impedito un’analisi corretta dei risultati.
Inoltre il modello empirico logistico considera indirettamente la somma di tutti i fattori
che influenzano la risposta del paziente perché la curva TCP, ottenuta da una selezione
casuale dei parametri, può ben rappresentare la risposta di paziente con specifica sensibilità
tumorale irradiato con distribuzione eterogenea di dose. È la semplice idea alla base di questo
lavoro.
Per calcolare TCP ( d t ) è stato introdotto xl < xr per il quale è consentito ∆d = 0.2 dt.
Quindi d= 20% dt per i pazienti con 0<x < xl ; d è data da eq.(2) per pazienti con xl<x < xr;
è invariata per xr<x < xm. I pazienti con x > xm sono stati esclusi da ogni eventuale aumento di
dose perché molto radiosensibili.
Fissati i parametri, bisognava individuarne i valori ragionevoli. Per xr si poteva scegliere il
valore medio della distribuzione, ma per incertezza del valore e seguire criterio conservativo,
si ha xr =x −3σx = 1.56 dsb/Gy/200 Mbp. Il corrispondente xl è da (2) xl =1.3 dsb/Gy/200
Mbp. Non è noto il valore di xm oltre il quale i pazienti sono considerati particolarmente
sensibili.
Quindi si esaminavano quattro casi in cui si escludeva il 5, 10, 15% dei pazienti con x più
alti pensando a sviluppo di effetti importanti dopo trattamento ottenendo: xm= 3.6, 2.96, 2.6
(dsb/Gy/200 Mbp) e xm→ +∞ per non escludere alcun paziente sebbene molto radiosensibile.
Individuati i valori e calcolata TC P per la nuova dt, si calcolava TCP applicando la:
157
variazione assoluta della probabilità di controllo dopo trattamento individuale TCP ( d t )
rispetto valore del trattamento standard TCP ( d t ) .
Per studiare come il variare dei parametri D50 e γ interessasse i risultati caratterizzando la
curva dose-risposta individuale, si sceglievano:
γ =0 – 6, D50=40, 45, 50 (Gy), xm = 2.6 dsb/Gy/200 Mbp (escludendo il 15% dei pazienti),
3.6 dsb/Gy/200 Mbp(escludendo il 5% dei pazienti) infine xm→+∞ (per non escludere
pazienti).
Quindi per ogni D50 si avevano tre curve
TCP con andamenti diversi per ogni γ (fig.
1.11)
Fig. 1.11: TCP al variare di γ dopo trattamento individualizzato con dt = 50 Gy fisso e D50 = 50 Gy(——),
D50= 45 Gy(– –), D50= 40 Gy(- -). Per ogni D50 vi sono tre curve TCP corrispondenti ai tre diversi xm: 2.6
(linea superiore), 3.6 (linea centrale) e +∞(dsb/Gy/200 Mbp) (linea inferiore). (Guirado et al.,2003).
Le differenze fra le curve mostrano
TCP maggiore quando si esclude dal programma
una percentuale maggiore di pazienti. La curva inferiore significa non escludere alcun
paziente.
L'eterogeneità delle cellule tumorali determina i valori clinici adatti di γ = 2 – 5 (Kallman
et al., 1992); in quest’intervallo, ∆TCP varia da 0.6% (D50=40 Gy) al 26.4% (D50=50 Gy).
È importante notare che il valore di D50 rispetto a dt è responsabile del comportamento
osservato di ∆TCP. Per dt >D50 ( D50 = 40, 45 Gy), la dose standard (dt = 50 Gy) dà un grande
TCP e lo scaling della dose totale per i pazienti inclusi ha scarso effetto. Il valore massimo di
∆TCP è raggiunto per bassi . D'altronde per dt D50, il ∆TCP aumenta continuamente con .
Questi risultati mostrano l'importanza dei due parametri nei risultati del trattamento. Per
studiare come la loro variazione influenzi i risultati si è proceduto col metodo Monte Carlo.
A3.1.1.b
SIMULAZIONE col METODO MONTECARLO
La procedura analitica non tiene conto che i parametri specifici, che descrivono la
funzione dose-risposta per ogni paziente, sono generalmente sconosciuti. L’informazione
158
disponibile include il valore medio e gli intervalli corrispondenti di incertezza sia per D50 che
per .
Per studiare come le differenze inter-paziente influenzino TCP, il metodo Monte Carlo è
adatto perché genera a caso per ogni paziente: un valore x ed i valori per D50 e . Il valore x è
ottenuto secondo la distribuzione log-normale fittata ai valori sperimentali (Fig. 1.10). I valori
di D50 e sono ottenuti in conformità con le distribuzioni normali corrispondenti.
Fissato il parametro x, da (2) si ricava la nuova dose totale: d =dt + d per valutare nuova
TCP. Il risultato si paragona a TCP del trattamento standard. La simulazione è stata realizzata
per 10 serie di 5000 casi ciascuna per valutare l'incertezza della procedura.
Il risultato della percentuale dei pazienti per i quali si ha alto guadagno TCP (Fig. 1.12)
dipende fortemente dalla combinazione dei parametri usati nella simulazione.
Fig. 1.12: Percentuale di pazienti al variare di guadagno TCP raggiunto con trattamento
individualizzato. I valori di D50 e seguono le rispettive distribuzioni con valore medio e scarto quadratico
medio:
= 5±1, D50= 40±5 Gy ( ); = 3±1, D50= 40±5 Gy (●); = 5±1, D50= 50±5 Gy (□); = 3±1, D50= 50±5 Gy (■).
Le incertezze non sono visibili perché più piccole del simbolo corrispondente corrispondono ad un livello di
confidenza del 95% (Guirado et al.,2003).
Sebbene le informazioni dei due metodi siano simili, gli ultimi risultati sono più certi
perché la variabilità nei parametri riflette a pieno la variabilità attesa in una popolazione reale.
In più la simulazione fornisce le informazioni su ogni paziente e non solo sul valore medio
del guadagno dopo individualizzazione. Ciò è importante perché è consistente con lo scopo
del trattamento individuale.
È stata proposta una relazione lineare tra radiosensibilità ed effetto finale:(2) che potrebbe
permettere di progettare il trattamento individualizzato dalla radiosensibilità del tessuto sano.
Quindi è necessario cercare metodi più potenti di analisi della radiosensibilità del tumore e
del tessuto sano o identificare quelle combinazioni di analisi che possono rivelare i fattori
determinanti molecolari o genetici della morbidità acuta e ritardata della radiazione. In tal
159
modo si aumentano le prospettive di una previsione migliore del risultato applicando le terapie
dose-intensità biologicamente modulate di alta qualità.
A3.2 Modello di Levin-Plotnik con radioterapia frazionata in tumori eterogenei
Questo studio vuole individuare le distribuzioni di dose che ottimizzano TCP in tumori
eterogenei trattati con radioterapia frazionata permettendo ai parametri tumorali:
radiosensibilità (α), tasso di proliferazione (γ) e densità clonogenica cellulare (ρ) di
variare continuamente nello spazio e nel tempo come accade fra una frazione e la successiva.
Nella radioterapia con fasci esterni le dosi trasportate al tumore dovrebbero essere
omogenee poiché si ipotizza che il tumore sia un complesso omogeneo di cellule identiche.
Molti studi hanno provato matematicamente che, se tumore è omogeneo, la distribuzione
spaziale di dose che dà TCP ottimale è omogenea (Brahme, 1987, Ebert, 1996, Stavreva,
1996, Webb, 1993,1994). Inoltre hanno studiato le distribuzioni ottimali di dose per densità
clonogenica tumorale eterogenea, cioè la distribuzione spaziale non è costante omettendo il
caso clinico più comune della radioterapia frazionata.
Quando la dose totale è ripartita in 20 o più frazioni, gli effetti di proliferazione diventano
importanti, particolarmente nei tumori aggressivi quali i testa collo (HNC) o il cancro della
cervice dell’utero (Chappell et al.,1995; Petereit et al.,1995; Roberts et al.,1999, Wyatt et
al.,2003). La ripopolazione significativa fra le frazioni tipica di questi tumori va ricordata nel
considerare la distribuzione ottimale di dose per frazione.
Quest’ipotesi di base si articola in due: è probabile che i tassi di proliferazione e la
radiosensibilità cellulare non siano uniformi lungo il tumore, o fra le frazioni.
Per quanto concerne la dipendenza spaziale, è noto che lo sviluppo tumorale è tale che
frequentemente al centro del tumore esistano condizioni di ipossia o persino anossia.
Le cellule ipossiche sono fortemente radioresistenti richiedendo una dose maggiore se
le si vuole uccidere in una singola frazione. Inoltre sono quiescenti non proliferando
velocemente come le cellule bene-ossigenate. Quindi richiederebbero una dose totale minore
in più frazioni.
Per quanto concerne la dipendenza temporale, l’irraggiamento uccide molte cellule
garantendo migliore ossigenazione alle rimanenti. Quindi i tassi di crescita aumentano così
come, forse, la radiosensibilità (Tarnawski et al.,2002; Wyatt et al.,2003).
Queste informazioni metaboliche sono disponibili con la nuova diagnostica per immagini:
PET (tomografia con emissione di positroni) (Chao, 2001) e MRSI (immagine spettroscopica
con risonanza magnetica) (Zaider, 2000) mentre IMRT (radioterapia ad intensità modulata)
160
migliora TCP con trattamenti di tossicità ridotte ai tessuti sani circostanti tentando di
trasportare dosi deliberatamente non omogenee al tumore.
Perciò si è studiato il comportamento delle distribuzioni ottimizzate di dose in funzione
della dipendenza spaziale dei parametri tumorali e poi paragonate alle distribuzioni cliniche.
Trovata la distribuzione di dose che massimizza TCP per una frazione di dose media
fissata da inviare al tumore, è stato scelto un volume tumorale eterogeneo con risposta alla
radiazione secondo il modello lineare quadratico, caratterizzata da radiosensibilità eterogenea
e tasso di ripopolazione variabile nel tempo.
Così del modello lineare quadratico (LQ) si è usato solo il termine lineare per controllare il
tumore ed è stato incluso un termine per la proliferazione cellulare tumorale per elaborare un
modello per radioterapia frazionata.
È stata scelta la radioterapia frazionata poiché la maggior parte dei protocolli somministra
le frazioni ad intervalli di 24 ore. Da tale momento i processi cellulari di riparazione sono
completi, quindi si ignorano tutti i termini di riparazione. Si usano le seguenti notazioni:
r
• ρ0(r) : densità cellulare tumorale a t0, quando è acquisita l’immagine diagnostica;
• ti: istante di rilascio della frazione i-ma. Si suppone tasso di dose abbastanza alto da
trasportare la dose istantaneamente;
r
• ρi (r) : densità cellulare tumorale all’istante appena precedente ti;
r
• xi (r) : frazione di dose i-ma;
r
• αi (r) : radiosensibilità cellulare a ti; può cambiare col tempo quindi porta l'indice i;
r
r
• ∆ti = ti − ti −1 : intervallo di tempo fra il rilascio delle due frazioni consecutive xi−1(r) e xi (r) ;
r
• γi (r) : tasso di ripopolazione tumorale in ∆ti legata al tempo potenziale di raddoppiamento
tumorale (Tpot) secondo la ln 2 Tpot ;
• TCPi: probabilità di controllo del tumore dopo il rilascio della frazione i-ma calcolata
usando il modello di Poisson:
dove
r r
r
αi (r) xi (r) = morte cellulare; γi (r) ti+1 = proliferazione cellulare;
r
ρi+1(r) = evoluzione della densità cellulare tumorale con le frazioni di dose.
r
Lo scopo è trovare la distribuzione di dose xi (r) che massimizzi TCPi con ‹xi›=valor medio
generalizzato dell’i-ma frazione di dose inviata al tumore costante.
161
Il vincolo è:
dove
Di =dose media inviata al tumore con l’i-ma frazione; V = volume tumorale.
Ultimo vincolo:
Questo vincolo coincide perfettamente con la situazione reale di trattamento progettato
per dare una dose fissa uniforme per frazione al tumore.
Per una soluzione generale del problema delle (2) (4) e (5), si è applicato il calcolo
variazionale dimostrando così la dipendenza spaziale della distribuzione ottimale di dose con
la valutazione della soluzione per le diverse forme funzionali delle proprietà tumorali.
Per radiosensibilità e tasso di accrescimento omogenei, la distribuzione di dose che
massimizza TCP è omogenea quando la densità clonogenica cellulare è omogenea. Qualora
risulti eterogenea, la prima frazione di dose sarà non omogenea, ma renderà omogenea la
densità clonogenica. Di conseguenza le frazioni successive risulteranno omogenee.
Quando le proprietà tumorali dipendono esplicitamente dallo spazio, la variazione spaziale
della distribuzione ottimizzata di dose sarà insensibile alla forma funzionale. Tuttavia
distribuzione di dose e densità clonogenica tumorale sono sensibili al tasso di ripopolazione.
La distribuzione ottimizzata di dose rende TCP maggiore della distribuzione clinica tipica
o della distribuzione omogenea.
A3.2.1 Metodo di analisi dei risultati del modello
r
r
r
r
1 α(r), γ (r) , ρ0(r) sono costanti (indipendenti da r ) si ha:
La soluzione riconferma che per densità clonogenica cellulare omogenea, la distribuzione di
dose che massimizza TCP, è omogenea (Stavreva, 1996, Webb and Nahum 1993, Webb 1994).
r
r
r
r
2 α(r) e γ (r) costanti, solo ρ0(r) conserva dipendenza da r :
TCP ottimale è ottenuta con frazione iniziale di dose che omogeneizza il tumore, inizialmente
r
disomogeneo poiché 0 dipende da r ,e frazioni successive omogenee secondo la soluzione 1.
r
r
r
3 α(r) e γ (r) dipendono da r
Poiché TCP aumenta all'aumentare delle frazioni se Ai+1 < Ai poiché risulta Ai = −ln(TCPi),
ciò accade se
r
r
Ciò equivale ad affermare TCP aumenta se ρi+1(r) < ρi (r) per
r
tutti i valori di r cioè se la densità clonogenica cellulare diminuisce ovunque TCP aumenta.
Per ottenere espressioni esatte bisogna conoscere la dipendenza spaziale dei parametri
basandosi sulla conoscenza fisiologica dei tumori. I tumori sono più ipossici al centro delle
162
periferie (Hall, 2000). Quindi si è supposto che la proliferazione cellulare diminuisca verso
centro del tumore. Inoltre si sa che le cellule ipossiche sono più radioresistenti delle beneossigenate ed α è stato scelto per riflettere questa condizione.
r
r
r
3.a α(r) e γ (r) dipendono linearmente da r con simmetria sferica
r
r
Fig. 1.13. Distribuzioni di dose ottimizzate per la dipendenza lineare di α(r) e γ (r) .
(a) Prima frazione x1. (b) frazione i-ma di dose.D=2Gy R = 4.25cm α0 =0.25Gy-1 α1 =0.35Gy-1 γ0 =0.05d-1 γ1 =0.2d1
ρ0 =107cell/cm3 omogenea.
La prima frazione (fig. 1.13.a) non dipende dal tempo e da γ; (fig. 1.13.b) le frazioni
successive rappresentano sia gli effetti di morte cellulare che di proliferazione, per cui i
rispettivi valori di α e γ determineranno la distribuzione spaziale.
All'aumentare del numero di frazioni la densità cellulare tumorale tende a valore
omogeneo (fig. 1.14).
Fig. 1.14 Evoluzione della densità clonogenica cellulare tumorale al crescere del numero di frazioni per la
soluzione ottimizzata. 0 =107cell/cm3 = densità cellulare iniziale costante al momento della diagnosi. Anche
se 0 è costante, γ (costante di proliferazione) non è costante nello spazio e così le cellule del tumore proliferano
a tassi diversi, arrivando a 1 dipendente dallo spazio 1 =densità prima inizio del trattamento; 2 =densità dopo
prima frazione; 4=densità dopo terza frazione; 6 =densità dopo quinta frazione.
163
È da notare la correlazione fra distribuzione di dose (fig.1.13) e densità cellulare
(fig.1.14).
La prima frazione trasporta più dose alla periferia del tumore dove la densità clonogenica è
più alta. Tuttavia le frazioni successive trasportano più dose al centro del tumore e questo è
compatibile con una più alta densità cellulare al centro del tumore.
Effetto del tasso di proliferazione
Le caratteristiche tumorali sono tali che α e γ hanno effetti opposti sulla distribuzione di
dose. Se le cellule al centro del tumore sono ipossiche, sono meno radiosensibili (α minore),
richiedendo al centro dose maggiore della periferia.
D’altronde, le ipossiche non proliferano rapidamente(γ minore) come le ben ossigenate,
richiedendo dosi maggiori in periferia dove le cellule proliferano attivamente. Non è chiaro
quale effetto prevalga; ma entrambi possono avere pesi diversi per tumori diversi.
Fig. 1.15. Distribuzione spaziale ottimizzata di dose per la frazione i-ma (i>1) per valori differenti di
-1
-1
1. Fissati 0= 0.25Gy , 1= 0.35Gy si ha:
-1
-1
linea continua:
effetto α è maggiore di γ;
0= 0.05d e 1= 0.2d
-1
-1
linea tratto-punto:
effetto α equivale a ;
0= 0.25d e 1= 0.5d
-1
linea tratteggiata:
e 1= 0.3d-1 effetto α minore di a .
0= 0.1d
0
e
Si nota che n° frazioni n, tali da TCP=1, aumenta al crescere di 0 e 1 e per γ > α (fig.1.16)
Fig. 1.16. Grafico di TCP in funzione del numero di frazioni n per dipendenza spaziale lineare di e .
Linea continua: 0= 0.05d-1 e 1= 0.2d-1 bassi,Tpot maggiore, si ha
TCP→1 per n→30 essendo α>γ;
linea tratteggiata: 0= 0.25d-1 e 1= 0.5d-1 intermedi,
TCP→1 per n→40 essendo α< ;
linea tratto-punto: 0= 0.1d-1 e 1= 0.3d-1 alti D=2Gy appena sufficiente per TCP≠0 per n>30 e α~ .
164
I risultati di questo lavoro evidenziano una dipendenza molto significativa delle
distribuzioni di dose e del TCP dai tassi di ripopolazione tumorale.
Dal punto di vista clinico è più utile considerare l'effetto del tasso di proliferazione sul
controllo del tumore calcolando la dose richiesta per realizzare un determinato TCP.
Essendo noti TCP1 e TCPi+1/TCPi, si può calcolare TCPi per ogni i e determinare a quale
dose è realizzato il controllo sufficiente del tumore, dove il “sufficiente” è determinato
clinicamente dal medico. È stato scelto TCP= 0.999 (fig. 1.17)
Fig. 1.17. Diagramma di superficie della dose necessaria per avere TCP= 0.999 in funzione di
Per grandi
0
e
1 ,
0
e 1.
la dose necessaria per il controllo sufficiente è troppo alta per essere
somministrabile al paziente, malgrado che per 2 Gy (valore della frazione di dose), risulti
sempre Ai+1/Ai < 1. È da notare come la dose di controllo non sembri dipendere da 0.
Ci sono potenzialmente tumori che non possono essere controllati anche se è
somministrata la distribuzione ottimale di dose perché la loro proliferazione è così veloce che
la dose richiesta per il controllo può essere troppo grande per essere somministrata in modo
sicuro.
Ciò riconferma la necessità di ottenere quante più informazioni metaboliche e fisiologiche
sul tumore è possibile. Per i tumori che proliferano velocemente, con una prognosi per TCP
scarso, può essere interessante considerare altri metodi del trattamento al più concomitanti.
È importante ricordare che TCP crescente con il numero di frazioni è una condizione
necessaria, ma non sufficiente, per assicurare il controllo del tumore. Lo dimostra chiaramente
la linea tratto-punto (fig. 1.16) poiché TCP aumenta dopo 50 frazioni, ma è ancora scarso.
Un’ulteriore ricerca ha trovato TCP prossimo a 0.999 solo dopo 70 frazioni o 140 Gy.
È altamente improbabile che tale dose possa essere somministrata al tumore nel modo
ottimale o al contrario, senza causare danni significativi ai tessuti normali nelle vicinanze del
tumore. Forse in questi casi è necessario adottare un regime iperfrazionato.
165
Una conoscenza più dettagliata dei parametri tumorali permetterà di valutare i benefici
relativi del trasporto della distribuzione ottimale di dose.
Confronto tra le distribuzioni di dose ottimale e clinica
Le distribuzioni di dose in medicina sono solitamente omogenee, ma molto spesso sono
irrealizzabili ciò e si osserva una certa eterogeneità: generalmente il “punto caldo” è al centro
del tumore e la distribuzione di dose diminuisce radialmente.
Quindi sono state confrontate le densità cellulari tumorali dopo la somministrazione di 25
frazioni di tre distribuzioni differenti di dose: ottimale D1 ; linearmente decrescente verso
l’esterno D2 ed omogenea, 2Gy, D3 (fig. 1.18).
Per D2 sono stati scelti: x0= 2.2Gy =dose al centro del tumore; x1= 1.9 Gy = dose alla
periferia; R = 4.25cm =raggio del tumore (a simmetria sferica per semplicità).
Ciò corrisponde ad una frazione di dose prescritta di 2 Gy con 10% al punto caldo al
centro del tumore e 5% a regione fredda intorno alla periferia del tumore.
Fig. 1.18. Confronto di densità di sopravvivenza clonogeniche di cellule tumorali di lenta proliferazione
sottoposte a 25 frazioni di tre distribuzioni differenti di dose. 0=107cell/cm3= densità cloni cellulari iniziale
Linea continua=D1 =dose ottimale; Linea tratto-punto=D3 =dose omogenea;
Linea tratteggiata=D2= dose linearmente decrescente dal centro al bordo del tumore.
Le differenze fra le tre distribuzioni della dose non sembrano essere molto grandi.
È stata studiata solo la dipendenza spaziale e supposto che né il tasso di ripopolazione né la
radiosensibilità varino nel tempo. Inoltre la distribuzione di dose e TCP non sono molto
sensibili alle forme funzionali dei parametri tumorali poiché danno gli stessi risultati sia per
forme esponenziali che lineari abbondantemente discusse.
Tuttavia, quando i tassi di proliferazione del tumore aumentano, (fig. 1.19) le differenze
fra le diverse distribuzioni aumentano in modo significativo.
166
Fig. 1.19. Confronto di densità clonogeniche di cellule tumorali per tre distribuzioni diverse di dose e due
valori diversi di 0 e 1. (a) 0= 0.1d-1 e 1= 0.3d-1; (b) 0= 0.25d-1 e 1= 0.5d-1.
Linea continua=D1 =ottimale; linea tratto-punto=D3 =omogenea; linea tratteggiata=D2=linear.
decrescente.
In (a) la dose ottimale D1 al centro del tumore appare discostarsi di poco dalla omogenea
D3 con un andamento quasi costante. Invece D2 ha andamento esponenziale crescente che
culmina in un valore finale in corrispondenza del raggio tumorale all’incirca sei volte il valore
iniziale nel centro.
In (b) per valori di
0
e
1
maggiori di un decimo dei precedenti, si hanno due ordini di
grandezza di differenza nei valori della densità anche se resta invariato l’andamento di D1,
sebbene la tendenza sia invertita, mentre D2 e D3 assumono forme leggermente più ripide
Unica nota intorno alla distanza di 3cm dal centro del tumore le tre curve si incrociano in
entrambi i casi modificando ognuna il proprio andamento iniziale.
Parametri tumorali costanti
La soluzione ottenuta quando la densità iniziale è non omogenea nello spazio è la prima
frazione non omogenea nello spazio serve a rendere il tumore omogeneo (fig. 1.13 e 1.14).
Ciò risolve il problema di individuare la distribuzione di dose che minimizza la dose
media trasportata al tumore per un trattamento di singola frazione con il vincolo che TCP
totale sia un valore fisso perché è matematicamente equivalente a minimizzare il TCP tenendo
costante il valor medio della dose come qui. Una volta che il tumore è reso omogeneo,
essendo α e γ costanti, tutte le frazioni successive sono omogenee.
Dal modello LQ N s = N 0 e − α D per N0 maggiori, più clonogeni, è richiesta una dose
maggiore per ottenere lo stesso valore di TCP. È intuitivo supporre che le parti in cui vi è una
più alta densità cellulare richiedano maggiore dose per raggiungere un dato livello di TCP.
Dipendenza spaziale dei parametri tumorali
167
Sembra che la prima frazione rappresenti l'eterogeneità clonogenica iniziale poi basta solo
conoscere
r
r
α(r) e γ (r) per definire le successive. Non sorprende poiché la densità cellulare è
completamente definita dai parametri tumorali e distribuzione di dose misurata subito prima
del trattamento.
La tendenza (fig. 1.14 e 1.18) è consistente con la soluzione α e γ costanti: più frazioni
sono trasportate, più omogenea risulta la distribuzione di dose restante, ma non lo è mai.
Anche se la densità cellulare è omogeneizzata dopo una data frazione, vi è proliferazione
non omogenea durante l'intervallo inter-frazione, di modo che ancora una volta è richiesta una
dose non omogenea per omogeneizzare la densità.
Per concludere, non sono stati studiati casi dove α e γ variavano col tempo; resta da
r
studiare le soluzioni quando i parametri variano fra le frazioni, cioè αi (r) ≠ αi+1(rr) così per
r
γ(r).
Infatti questo è il probabile scenario clinico dove i processi tipo la riossigenazione si
presentano lungo il corso del trattamento ed alterano sia la radiosensibilità che il tasso di
proliferazione delle cellule.
Inoltre è stato scelto l'intervallo inter-frazione di 24 ore, seguendo il protocollo clinico
ampiamente accettato di una frazione al giorno. Tuttavia attualmente sono usati pure altri tipi
di terapia che prevedono la somministrazione di due frazioni al giorno, o persino tre.
168
APPENDICE B
MODELLI BIOLOGICI
B1 Figure e Dettagli Cellulari
Fig. 1 Escherichia Coli, il procariota più studiato. Il DNA è nella zona chiara al centro di ogni cellula. Le due
cellule centrali, ultimata la divisione, non sono ancora completamente separate.
Fig. 2 Cellula eucariota: il nucleo è separato dal citoplasma che contiene il necessario per lo sviluppo cellulare
169
Fig. 3 La condensazione dei cromosomi mitotici rappresenta il livello finale di compattamento
Fig. 4 Un gene è composto da: esoni ed introni
Il genoma umano contiene 3,2·109 coppie di nucleotidi divisi tra 22 autosomi diversi e 2
cromosomi sessuali. I 4 monomeri suddetti sono raggruppati a 3 alla volta in triplette, dette
170
codoni, attaccate insieme in lunga sequenza lineare che codifica l’informazione genetica.
Infatti solo una % di questo DNA codifica per proteine o RNA strutturali o catalitici. Questo è
il ruolo degli esoni contenuti nei geni. Il gene è una sequenza nucleotidica della molecola di
DNA che agisce come unità funzionale per produrre: proteine, RNA strutturale , RNA
catalitico. Quindi ogni cromosoma è formato da 1 singola molecola di DNA enormemente
lunga che contiene molti geni in schiera lineare.
Un gene può essere definito come regione di DNA che controlla una caratteristica
ereditaria. Corrisponde solitamente ad una sequenza usata nella produzione di una proteina o
di un RNA specifico. Un gene trasporta le informazioni biologiche in una forma che deve
essere copiata e trasmessa da ogni cellula a tutta la relativa progenie. Ciò include l'intera unità
funzionale: sequenze del DNA codificanti, sequenze del DNA regolatrici non codificanti ed
introni. La lunghezza dei geni può andare da 1000 a diverse centinaia di migliaia di coppie di
basi. Un unico gene può persino essere trasportato da più di un cromosoma. Il numero di geni
negli esseri umani è valutato, a partire dal 2001, fra 30.000 e 40.000.
Fig. 5 Confronto tra Meiosi e Mitosi
171
2 sequenze che discendono dalla stessa sequenza antenata sono omologhe;
2 sequenze omologhe in specie diverse sono ortologhe;
2 geni in specie differenti con antenato comune sono ortologhi;
+ coppie di geni ortologhi nella stessa regione genomica sono regione sintenica;
Regioni sinteniche sono regioni genomiche di diverse specie che + o – contengono gli
stessi geni = blocchi conservati che l’evoluzione non ha spezzato.
B2 Classificazione e Dettagli Strutturali e Morfologici dei Cromosomi
I cromosomi si suddividono secondo le seguenti caratteristiche (Figura 3.A e 3.B):
Olocentrico: cromosoma con un centromero diffuso. Il punto di attacco per formazione
del fuso mitotico può avvenire in qualunque parte del cromosoma.
M-chromosome: il centromero non è centrale ma è localizzato nella regione mediana.
m-chromosome: il centromero è esattamente centrale (situazione molto rara in natura).
Monocentrico:
Telocentrico:
cromosoma con un singolo e ben definito centromero;
cromosoma monocentrico con un centromero ad una estremità
Atelocentrico:
cromosoma monocentrico che può essere ulteriormente classificato in:
Metacentrico:
centromero centrale
Submetacentrico:
centromero posto nella regione sub-mediana.
Subacrocentrico:
centromero localizzato nella regione sub-terminale.
Acrocentrico:
centromero posto nella regione terminale.
La maggior parte dei cromosomi telomerici sono in realtà dei cromosomi acrocentrici.
172
Si rilevano differenze di forma dovute alla diversa posizione del centromero. Ogni
cromatide è idealmente diviso in due parti dal centromero. La regione più corta è detta
"braccio corto" o "p" (dal francese "petit", piccolo), e la regione più lunga è detta "braccio
lungo". Ciascun cromosoma, essendo composto di due cromatidi, presenta quattro braccia,
due corte uguali tra loro e due lunghe uguali tra loro.
L'indice centromerico si usa per definire la posizione del centromero ed è il rapporto fra
la lunghezza del braccio corto e la lunghezza totale del cromosoma (Ic = p/p+q).
Nei cromosomi "metacentrici" il centromero si trova all'incirca a metà della lunghezza dei
cromatidi; mentre nei "submetacentrici" è leggermente spostato verso una estremità. I
cromosomi telocentrici (con centromero in posizione terminale) non si osservano nell'uomo.
Infine in alcuni cromosomi il centromero è posto vicino ad una delle due estremità del
cromosoma stesso; questi cromosomi, cioè le coppie 13-14-15 (gruppo D), 21-22 (gruppo G),
e il cromosoma Y, sono detti "acrocentrici" (dal greco "acros" sommità), e assomigliano più
a una "Y" che a una "X".
Ovviamente la differenza di lunghezza delle due braccia del cromatide è particolarmente
evidente nei cromosomi acrocentrici, in cui il braccio p si estende per molto poco al di là del
centromero. La maggior parte dei cromosomi telomerici sono in realtà acrocentrici.
Si noti che un difetto su un braccio di un cromatide di un cromosoma, è presente anche sul
braccio corrispondente dell'altro cromatide, che ne è la copia. Una banda può contenere
decine o centinaia di geni; la posizione del gene sul cromosoma si chiama locus (loci).
Il cromosoma interfasico, per mitosi a brevi intervalli, avrà poco tempo per ricompattarsi
assumendo forma rilassata rispetto al Rabl indotto dal movimento mitotico. Nelle stesse
cellule in stadi di sviluppo successivi con interfasi molto più lunghe, i cromosomi avranno il
tempo sufficiente per riaggrovigliarsi.
Il cromosoma avrà: forma estesa se l’interfase è breve, forma aggrovigliata se l’interfase
è lunga perché mitosi corrisponde ad applicare una forza: forma estesa, l’interfase no.
173
I diversi cromosomi non sono sempre intrecciati, in alcuni casi occupano territori distinti.
Ciò potrebbe spiegare perché in alcune immagini delle buccali i centromeri appaiono ben
distanziati. Da ciò nasce il problema delle cellule in sospeso, da me indicate con link e senza
link per evidenziare i lunghi filamenti parzialmente visibili come spot vicini.
Un dispositivo per organizzare i cromosomi nel nucleo può essere l’attacco di alcune
porzioni all’involucro nucleare, come in molte cellule dove i telomeri si presentano così.
Comunque un cromosoma non ha posizione assegnata: nello stesso tessuto due cellule,
apparentemente identiche, hanno cromosomi diversi affiancati.
Alcuni citobiologi ipotizzano l’esistenza di una struttura intranucleare, analoga al
citoscheletro, sulla quale sono organizzati i cromosomi ed altri componenti: matrice nucleare.
Alcune proteine che la costituiscono, legano sequenze specifiche di DNA generando regioni
base delle anse cromosomiche o che attaccano i cromosomi all’involucro nucleare ed altre
strutture. Tramite tali siti di attacco, la matrice potrebbe collaborare per: organizzare i
cromosomi, localizzare e regolare l’espressione genica, regolare la replicazione del DNA.
Può capitare che due regioni diverse dello stesso cromosoma interfasico siano attaccate
all’involucro nucleare, mentre altre regioni risultino molto distanti. Resta il dubbio se la
matrice sia presente nelle cellule intatte.
La condensazione dei cromosomi interfasici in mitotici avviene in fase M grazie ad una
classe di proteine, condensine, che usano l’energia di idrolisi dell’ATP. Ciò spiegherebbe
come sia possibile mantenere il DNA in uno stato altamente organizzato durante la fase M.
2) eterocromatina, altamente condensata, inattiva durante l’interfase ai fini della
trascrizione poiché inaccessibile, si raggruppa alla periferia nucleare. Può essere suddivisa
ulteriormente:
•
Eterocromatina costitutiva: condensata in tutti i tipi cellulari, contiene regioni
implicate nella strutturazione dei cromosomi metafasici perciò si concentra nei telomeri e
centromeri.
•
Eterocromatina facoltativa: parte di cromatina tenuta nello stato condensato solo in
particolari tipi cellulari. Solitamente è implicata nei fenomeni di differenziamento cellulare.
Nei mammiferi circa il 10% del genoma è compattato in eterocromatina; la maggioranza
non contiene geni, i pochi esistenti sono resistenti all’espressione. Ciò non significa che siano
inutili poiché regioni di eterocromatina regolano il funzionamento corretto dei telomeri e
centromeri proteggendo il genoma dall’essere sopraffatto dal DNA parassita mobile.
174
Ai fini di questo lavoro di tesi va approfondita la struttura del centromero e la conoscenza
delle proteine coinvolte nel ciclo cellulare per guidare la replica e segregazione dei
cromosomi legandosi alle sequenze specializzate (Fig. 2.3).
I telomeri contengono sequenze ripetute per una replicazione efficiente. Unite a sequenze
in regioni adiacenti, formano strutture a protezione delle estremità dei cromosomi che
potrebbero essere confuse col DNA interrotto che necessita riparo. Le sequenze dei telomeri
eucarioti sono abbastanza semplici e brevi, le altre sono molto più lunghe.
I centromeri umani contengono fino a 105coppie di nucleotidi. Si è ipotizzato che non
richiedano una sequenza specifica, ma creino una grande struttura, ripetuta regolarmente, di
proteine e DNA. Tali proteine addizionali li attaccano ai microtubuli del fuso che forniscono
segnali per assicurare che l’attacco sia completo prima che la mitosi possa procedere.
Il centromero permette ad ogni copia di ciascun cromosoma, duplicato e condensato, di
essere tirata in una nuova cellula quando quella iniziale si divide. A dispetto del nome, nei
cromosomi interfasici molto raramente appare al centro del cromosoma. Anzi spesso è
spostato verso un telomero forse per la diversa lunghezza dei bracci distali.
Nei mitotici è visibile quasi al centro tra i due cromatidi fratelli col duplice compito di
tenere uniti i cromosomi duplicati finché non sono pronti ad essere separati e, tramite il
cinetocore, attaccarli al fuso mitotico per permetterne la separazione in mitosi (qui o 3 + fig?).
In molti organismi complessi il centromero sembra immerso in un tratto molto grande di
eterocromatina per tutta l’interfase, anche se fa movimento attivo solo in mitosi.
L’eterocromatina centromerica silenzia l’espressione dei geni posti al suo interno
sperimentalmente e contiene molte altre proteine strutturali per compattare la disposizione
dei nucleosomi. È l’unione di una parte, formata su DNA α-satellite, l’altra, fiancheggiante il
centromero, contiene sequenze ripetute. Le sequenze di DNA α-satellite, ricche di A e T,
sono ripetute molte migliaia di volte con piccole variazioni. Vi si lega il cinetocore.
Il cinetocore è una struttura complessa creata sul cromosoma mitotico da proteine cui si
attaccano i microtubuli ed ha un ruolo attivo nel movimento dei cromosomi verso i poli. Si
forma sul centromero e consiste di una piastra interna e una piastra esterna.
La piastra interna è formata dalle proteine del cinetocore attaccate al DNA α-satellite. La
piastra esterna è formata da proteine speciali cui attecchiscono in fase M i microtubuli,
filamenti cavi di tubulina (proteina) propri del citoscheletro (filamenti proteici sparsi nel
citoplasma eucariota che dà alla cellula la forma e la capacità di movimento direzionale.
Formata la piastra interna, si assemblano altre proteine che formano la piastra esterna.
Ecco perché sembra che i centromeri siano definiti dall’assemblaggio di proteine piuttosto che
175
da sequenze specifiche ripetute. Inoltre la struttura sembra sia ereditata direttamente sul DNA
come parte di ciclo di replicazione del cromosoma.
In alcune regioni del cromosoma vi sono sequenze DNA -satellite non funzionanti che
sembrano identiche alle centromeriche sulla cui origine sono state fatte varie ipotesi:
a) cromosoma instabile dicentrico, nato dall’unione di due cromosomi, inizialmente ha
due centromeri di cui uno risulterà inattivo. Di solito non si propaga perchè si attacca al fuso
in modo irregolare e si spezza in mitosi. Nei sopravvissuti è inattivato un centromero anche se
contiene tutte sequenze necessarie alla sopravvivenza. Il cromosoma si propaga regolarmente.
b) neocentromero, formazione spontanea molto insolita, di nuovi centromeri su
cromosomi frammentati originariamente eucromatici e completamente privi di DNA αsatellite. Alcuni fra i cromosomi extra nella prole, 1/2000 nascite nell’uomo, sono formati da
un evento di rottura. Sebbene privi di DNA α-satellite, si sono formati dal DNA eucromatico.
Una possibile spiegazione è che formare de novo un centromero richieda un inserimento
iniziale, tipo la formazione di una struttura centromerica nucleoproteica, che si verifica più
facilmente sul DNA α-satellite di altre sequenze nell’uomo. Sarebbe duplicata quando il
cromosoma si divide, poiché si attacca ai microtubuli, ed il centromero funzionerebbe nella
divisione cellulare successiva. Molto raramente si può verificare la sua inattivazione
spontanea: tale marcatura è persa nella replicazione successiva. In tal caso risulterebbe molto
difficile ristabilirla.
La plasticità centromerica può fornire un vantaggio evolutivo importante. Evolvono per
eventi di rottura e successiva riunione spesso producendo cromosomi dicentrici o frammenti
acentrici. Sebbene avvenga di rado, può accadere che l’inattivazione e successiva riattivazione
possa permettere, ai neonati, di essere mantenuti stabilmente facilitandone così l’evoluzione.
Per comprendere come avviene la divisione centromerica bisogna differenziare:
DNA eterocromatico, brevi sequenze ripetute spesso non codificanti, (eterocromatina
centromerica umana); DNA eucromatico ricco di geni e sequenze di DNA a singola copia.
Ciò suggerisce che alcune ripetizioni di DNA possano segnalare l’eterocromatina, sebbene
alcune sequenze ripetute esistano nell’eucromatina così come alcuni geni nell’eterocromatina.
Il silenziamento indotto dalle ripetizioni può essere un meccanismo cellulare per
proteggere i genomi dalla sopraffazione da parte di geni mobili che si possono moltiplicare ed
inserire in tutto il genoma. Il DNA che li contiene verrebbe compattato in eterocromatina per
impedirne l’ulteriore proliferazione. Lo stesso meccanismo potrebbe formare grandi regioni di
eterocromatina con molte sequenze semplici ripetute (centromeri).
La morfologia dei cromosomi dipende dalle fasi del ciclo:
176
o
interfasici sono singoli cromosomi indistinguibili tra loro perché estesi quando cellula
è in interfase. Infatti molta della loro cromatina è sotto forma di lunghi filamenti sottili ed
aggrovigliati che si estendono nel nucleo (Fig. 2. );
metafasici sono i più facili da visualizzare perché molto condensati nella famosa forma ad
X quando la cellula è in mitosi. Lo stato condensato è importante affinché i cromosomi
duplicati siano separati dal fuso mitotico durante la divisione cellulare.
B3 Passaggio dalla Mappa Genetica alla Mappa Fisica delle sequenze di
coppie di basi
Fig. 6: Diverse convenzioni per tracciare le mappe delle sequenze di coppie di basi su un cromosoma
•
Mappe Genetiche sono le rappresentazioni delle caratteristiche: fisiologiche,di una malattia, o dei geni
casuali assegnati ai cromosomi particolari e tracciati riguardanti un altro. Questo modello di mappa genetica
mostra la posizione di 8 indicatori (denominati qui A-H) lungo il cromosoma. Il triangolo traccia una piccola
parte del cromosoma più nei particolari, può essere necessario per un partizione intensivamente studiata. Le
distanze nelle mappe genetiche sono misurate in centimorgans (centimetro, circa 1 milione di coppie di basi).
•
Mappe fisiche non sono rappresentazioni ma sovrapposizioni di collezioni di frammenti del DNA. Il
DNA è tagliuzzato nei frammenti dall'azione degli enzimi di restrizione, quindi è clonato ed immagazzinato in
una varietà di forme quali i plasmidi nei batteri. Questi frammenti molto piccoli (misurati in chilobasi, Kb)
possono quindi essere analizzati attraverso i vari mezzi per scoprire la sequenza base-base del DNA.
177
APPENDICE C
RADIOTERAPIA NEI TUMORI TESTA-COLLO
C1 Tumori Testa–Collo
Il carcinoma dell’epidermide o da cellula squamosa è il cancro umano più comune perchè
può iniziare in molte più sedi anatomiche di qualunque altro carcinoma: pelle, labbro, cavità
orale, faringe, laringe, bronchi, esofago, ano, vulva, vagina, cervice uterina, uretra, pene,
bacino renale e vescica; raramente in altri organi.
Un suo sottinsieme molto diffuso è il Carcinoma da Cellula Squamosa della regione
Testa Collo (HNSCC) di cui sono affetti i pazienti sui quali è stato sviluppato questo lavoro
di tesi. Gli HNSCC comprendono il cancro di: labbro e cavo orale, ghiandole salivari, laringe,
seno paranasale e cavità nasale, rinofaringe, ipofaringe ed orofaringe.
Il loro sviluppo multifocale fu confermato da un’analisi condotta su 783 pazienti affetti da
tumori del labbro, cavità orale e faringe. Tuttavia l'origine multicentrica di tale carcinoma
epidermico non è diffusamente accettata, anche se generalmente riconosciuta a livello
dermico e confermata dagli studi sul carcinoma in situ della cervice uterina (Slaughter, 1953).
Negli anni sono stati studiati i cancri orali (OSCC), sottinsieme degli HNSCC, per
conoscerne le origini e la diffusione poiché sono la fonte più facilmente reperibile del
carcinoma da cellula squamosa.
Le prime testimonianze di HNSCC sono state rinvenute da Leakey in un fossile in Africa
Orientale datato circa 500.000 anni: il più antico tumore conosciuto. Secondo alcuni storici
l’alta diffusione del cancro nasofaringeo presso alcune popolazioni antiche è imputabile
all’inalazione del fumo da legna in capanne scarsamente ventilate.
Ippocrate nel 400 a.C. descrisse un’ulcera cronica sul bordo della lingua che attribuì allo
sfregamento di denti appuntiti contro la lingua. L’antico medico indiano, Sushruta, descrisse
una rimozione tumorale e la sua conseguente esperienza da chirurgo plastico.
La medicina occidentale, basata sugli scritti antichi, migliorò la cura dei tumori testa–collo
ricorrendo alle allora innovative: anestesia ed escissione chirurgica già nel XI secolo. Al 1893
risale una diagnosi famosa di carcinoma da cellula squamosa del palato duro fatta al
Presidente USA Grover Cleveland accanito fumatore di sigaro e noto bevitore.
178
Attualmente gli HNSCC sono un problema mondiale con più di 500.000 nuovi casi ogni
anno circa il 90% di tutti i cancri testa–collo. Il rapporto di incidenza uomo–donna è maggiore
di 2:1 con il 10% negli uomini e 4% nelle donne. Ad esempio il carcinoma laringeo era 4–5
volte più comune negli uomini, ma l’attuale maggior numero di fumatrici ha quasi colmato
questa differenza con un picco tra i 50–60 anni.
Le percentuali di incidenza e mortalità degli HNSCC variano da nazione a nazione poiché
è noto l'effetto cancerogeno di: trauma termico, luce solare, raggi X e γ, esposizione
ambientale a: esalazioni di vernici, prodotti plastici, polvere di legno, gas di scarico, amianto;
esposizione industriale agli idrocarburi, ingestione dell’arsenico nonché fumo ed alcool
dimostrando l’origine chimica delle aneuploidie delle cellule buccali (appendice D).
Gli ultimi due fattori uniti portano ad un rischio 15 volte maggiore rispetto ai non fumatori
astemi come provano le mutazioni del gene p53 correlate alle abitudini al fumo ed alcool.
In alcune zone dell’India e Sud–Est Asiatico l’abitudine di masticare il tabacco coltivato
con le noci di betel è stata associato ai tumori testa–collo. Si stima che più di 200 milioni di
persone nel mondo abbiano quest’abitudine con un aumento del rischio di 2,8 volte che può
diventare 10 quando si aggiunge l’abitudine del fumo.
In Brasile ed in altri Paesi in via di sviluppo il cancro testa-collo rappresenta il 35% di tutti
i tumori, mentre negli Stati Uniti gli HNSCC sono circa il 4% dei tumori totali.
Invece il carcinoma epidermico della vescica è causato dalla tintura con anilina ed alcuni
studi indicano persino la noncirconcisione del maschio come fattore di rischio nel cancro della
cervice. Determinati rischi industriali causano il carcinoma epidermico del polmone.
Il carcinoma cellulare squamoso si pensa provenga dalle cellule epiteliali malpighiane
(cheratinizzanti) poiché nei campioni istologici è presente cheratina dovuta ai desmosomi e
fasci intracitoplasmatici di tonofilamenti di cheratina.
Il desmosoma è una struttura cellulare specializzata nell’adesione intercellulare: giunzione
che unisce le superfici laterali delle membrane plasmatiche resistendo alle forze di taglio
perciò è presente nell’epitelio semplice squamoso stratificato e muscoli (Fig. 1 e Fig. 2).
La morfologia degli HNSCC è variabile potendo apparire a: placche, noduli, verruche che
possono essere squamose o ulcerate, bianche, rosse o marroni. Il carcinoma verrucoso ha una
prognosi più favorevole per le rare metastasi distanti e nodali.
Più comuni sono le lesioni superficiali con eritemi e leggero sollevamento, eritroplasia; le
lesioni iniziali rosse sono asintomatiche, ma si può trattare di carcinoma in situ o invasivo.
179
a
Fig. 1 Ingrandimento delle giunzioni della fascia grigia in a
Fig. 2 Meccanismo dei desmosomi di Fig. 1
Un terzo delle lesioni sono bianco puro, leucoplachia, ma solo il 10% sono carcinomi. Le
lesioni morbide, dolorose indicano invasioni perineurali; divenute masse palpabili, si
accompagnano a vago mal di gola persistente o infezione all’orecchio.
Nei casi più avanzati è comune la diffusione di nodi omolaterali submandibolari e
giugulodigastrici ed il paziente può avere una massa nel collo. Quando linfonodi o metastasi
ossee remote o ad organi sono associati ad una lesione orale primaria precoce, spesso il
responsabile delle metastasi è un secondo cancro primario più avanzato nel tratto superiore
aerodigestivo o ai polmoni.
C2 Stadiazione e Trattamento dei Tumori Testa-Collo
Pur non essendo frequenti come i tumori del polmone o del retto e con scarsa propensione
alla metastatizzazione sistemica, i tumori testa-collo hanno grossa capacità invasiva a livello
locale e loco-regionale. L’approccio terapeutico è di solito mutidisciplinare associato a
chemioterapia, radioterapia e chirurgia.
Per la chirurgia si stanno diffondendo interventi radicali, ma che comportino implicazioni
estetiche quanto più limitate possibili. Fino a 15-20 anni fa per alcuni casi si prevedevano
interventi che determinavano l’asportazione di intere porzioni vascolari del collo, della
mandibola e dell’emifaccia, con risultati assolutamente invalidanti per il paziente.
Il problema di questo tipo di cancro è dunque il distretto anatomico, gli interventi invasivi
possono essere causa di vari gradi di deficit anatomici e/o funzionali, con conseguente
compromissione della vita del paziente dal punto di vista di: benessere, autostima, relazioni
sociali (famiglia, lavoro, etc).
180
I fattori che influenzano la scelta ed il tipo di trattamento sono la localizzazione e lo stadio
del tumore primario nonché l’anamnesi. La premessa di base è che i cancri più piccoli senza
complicazioni nodali hanno una prognosi migliore delle lesioni più estese con nodi nel collo.
Quindi per confrontare i risultati ottenuti, valutare la prognosi e decidere il trattamento più
appropriato c’è bisogno di un sistema internazionale di unità di misura che dia un quadro
completo della malattia: sistema clinico di stadiazione TNM dove T è la dimensione del
tumore nella localizzazione primaria, N lo stato della catena cervicale dei linfonodi, M la
presenza o assenza di metastasi distanti.
Le singole sigle contenute nello schema seguente sono riportate in appendice:
Stadio I: T1 N0 M0, il tumore ha diametro massimo 2cm e non è esteso ai linfonodi;
Stadio II: T2 N0 M0, il diametro è compreso tra (2÷4)cm, e non è diffuso ai linfonodi;
Stadio III: T3 N0 N1 M0, il tumore ha invaso un solo linfonodo omolaterale inferiore a 3cm;
Stadio IV: T1−T4 N1 M0, T1−T4 N0 N1 M0, T1−T4 N2 N3 M0, N1−N3 M1, il tumore è:
diffuso ai tessuti circostanti ed i linfonodi possono essere indenni o compromessi; o esteso ad
altri organi; o invaso più di un linfonodo di uno o entrambi i lati del collo, o un linfonodo di
diametro maggiore di 6cm.
Il sistema clinico di stadiazione TNM per gli HNSCC permette di confrontare i risultati
ottenuti, valutare la prognosi e decidere il trattamento più appropriato secondo lo schema
seguente:
T indica la dimensione del tumore nella localizzazione primaria con:
T0 nessuna evidenza di tumore primario,
T1 diametro del tumore minore o uguale a 2cm,
T2 diametro maggiore di 2cm, ma minore di 4cm,
T3 diametro maggiore di 4cm,
T4 tumore esteso alle ossa, muscoli, pelle, collo, cavità.
Tx minimo necessario per assicurare che non si può incontrare tumore primario;
N indica lo stato della catena cervicale dei linfonodi con:
N0 nessuna evidenza di coinvolgimento dei linfonodi regionali,
N1 evidenza di coinvolgimento dei linfonodi regionali omolaterali mobili,
N2 evidenza di coinvolgimento dei linfonodi regionali controlaterali o bilaterali mobili,
N3 evidenza di coinvolgimento dei linfonodi regionali fissi,
Nx minimo necessario per assicurare che non si possono incontrare linfonodi regionali;
M indica la presenza o assenza di metastasi distanti con:
M0 nessuna evidenza di metastasi distanti,
181
M1 evidenza di metastasi distanti,
Mx minimo necessario per assicurare che non si possono incontrare metastasi;
Stadiazione:
Stadio I: T1 N0 M0, il tumore ha diametro massimo 2cm e non è esteso ai linfonodi;
Stadio II: T2 N0 M0, il diametro è compreso tra (2÷4)cm, e non è diffuso ai linfonodi;
Stadio III: T3 N0 N1 M0, il tumore ha invaso un solo linfonodo omolaterale inferiore a 3cm;
Stadio IV: T1-T4 N1 M0, T1-T4 N0 N1 M0, T1-T4 N2 N3 M0, N1-N3 M1, il tumore si è
diffuso ai tessuti circostanti ed i linfonodi possono essere indenni o compromessi; o si è
esteso ad altri organi; o ha invaso più di un linfonodo di uno o entrambi i lati del collo, o un
linfonodo di diametro maggiore di 6cm.
G grado di differenziazione cellulare o velocità di crescita: G1 lieve anaplasia, G2
moderata anaplasia, G3 grave anaplasia, G4 completamente indifferenziato (spesso non è
possibile identificare il tessuto di origine)
Per alcuni tumori, ghiandole salivari, è importante anche G il grado di differenziazione
cellulare o velocità di crescita delle cellule tumorali secondo il loro aspetto al microscopio. I
tumori di grado basso, crescono più lentamente di quelli di grado alto.
Le ghiandole maggiori sono sotto la lingua ai lati del volto davanti alle orecchie e sotto la
mascella, le minori lungo la parte superiore del canale alimentare.
La profondità di infiltrazione influisce sulla prognosi poiché al suo aumentare, aumenta il
rischio di metastasi nodali e diminuisce la sopravvivenza. Le localizzazioni più comuni sono:
piano della bocca, lingua, palato morbido, tonsilla anteriore, trigono retromolare. Il tumore
alle labbra è il più comune nella cavità orale, il 12% di tutti i cancri testa–collo. Quasi il 98%
degli HNSCC coinvolge il labbro inferiore per l’esposizione ai raggi solari. Il cancro del
labbro è più comune tra gli uomini e sono più a rischio le persone di carnagione chiara che
hanno trascorso molto tempo al sole. Il tumore del cavo orale è più frequente in coloro che
masticano tabacco o fumano la pipa.
Gli altri posti più comuni sono: lingua, piano della bocca, gengiva mandibolare, mucosa
buccale, palato duro e gengiva mascellare (de la Torre, 2006).
Infatti il cavo orale comprende: i due terzi anteriori della lingua, le gengive superiore e
inferiore, la superficie interna della guancia e delle labbra (mucosa orale), la parte inferiore
della bocca sotto la lingua (pavimento orale), l’estremità superiore ossea della bocca (palato
duro) e la piccola zona oltre i denti del giudizio (trigono retromolare).
182
I tumori della laringe, i più frequenti, se di piccole dimensioni e senza linfoadenopatie,
possono essere curati ugualmente sia con la radioterapia che con la chirurgia dando risultati
equivalenti come controllo locale e sopravvivenza.
In pratica sono piccoli tumori delle corde vocali che, potrebbero essere sicuramente ben
curati con la chirurgia, ma questa presuppone l'asportazione delle corde vocali, determinando
il deficit della parola. Invece la radioterapia permette la preservazione della voce, mentre la
chirurgia può essere impiegata se fallisce la radioterapia o per recidiva dopo la radioterapia.
Infatti per la scelta del trattamento è importante se il tumore è recidivante, cioè se si
ripresenta dopo il trattamento nella stessa sede o in altro organo.
Tutti i pazienti possono essere sottoposti alle seguenti opzioni terapeutiche:
chirurgica, la più comune, asporta il tumore con parte di tessuto sano circostante. In alcuni
casi si esegue una dissezione linfonodale asportando anche i linfonodi del collo.
radioterapica distrugge le cellule tumorali e riduce le dimensioni del tumore. Si può
scegliere tra: radioterapia esterna, radioterapia interna o intracavitaria.
chemioterapia distrugge le cellule tumorali attraverso la somministrazione di farmaci o per
via endovenosa o intramuscolare. La si definisce trattamento sistemico perché il farmaco
entrando nella circolazione sanguigna, si diffonde nell’organismo potendo così raggiungere e
distruggere le cellule tumorali diffuse a distanza.
La scelta della terapia dipende dal tipo e dallo stadio del tumore, nonché dall’età e dalle
condizioni generali del paziente. Può essere preso in considerazione il trattamento standard o
un nuovo studio clinico poiché la terapia standard non funziona sempre per tutti i pazienti.
Molte neoplasie non si diffondono ad altri tessuti né sono maligne, ma benigne, perciò
sottoposte a trattamento diverso secondo: localizzazione, stadiazione, istologia, prognosi.
Per tutti i quattro stadi il trattamento varia in funzione della localizzazione del tumore,
mentre per i soli III e IV può essere scelta la radioterapia del collo con o senza dissezione
linfonodale. Comunque solo se non vi sia un grosso interessamento linfonodale.
Sono in corso studi per valutare l’efficacia dell’ipertermia che riduce il diametro del
tumore innalzando la temperatura corporea per distruggere le cellule tumorali spesso più
sensibili al calore delle cellule normali.
Qualora sia stato asportato l’intero tumore visibile, si può essere sottoposti a chemioterapia
postoperatoria adiuvante per distruggere eventuali cellule tumorali residue; la chemioterapia
preoperatoria, neoadiuvante, riduce le dimensioni del tumore favorendone l’asportazione.
183
La chemioterapia presenta il problema dell’adeguamento dei chemioterapici tradizionali
alle somministrazioni locali e regionali previste dai trattamenti per raggiungere concentrazioni
locali più alte evitando che i farmaci diventino tossici.
La cisplatina è un chemioterapico di elezione per i tumori testa-collo, ma, usato alle
concentrazioni necessarie per una cura efficace, è molto tossico per le cellule e gli organi sani.
È stata usata con il laser interstiziale poiché è noto che l’ipertermia dovuta al laser aumenta
gli effetti citotossici sia della radioterapia che di alcuni chemioterapici grazie alle temperature
superiori ai 38°C che ne migliorano gli effetti.
La chirurgia resta il trattamento standard più comune garantendo la migliore gestione di
tutte le metastasi nonché la dissezione linfonodale se i linfonodi del collo sono compromessi.
Molti tumori del collo N0 o N1 radiotrattati raggiungono risultati equivalenti alla chirurgia.
Poiché i pazienti testa-collo spesso sono già radiotrattati, il tessuto da trasferire, la cui unità è
chiamata busta (flap), deve avere un’adeguata scorta di sangue proprio.
La metastasi linfatica è il meccanismo più importante nella diffusione degli HNSCC. Il suo
tasso riflette forse l’aggressività del tumore primario, mentre è fondamentale nella prognosi.
Indipendentemente dal sito del tumore primario, la presenza nel collo di un unico linfonodo
omolaterale o controlaterale riduce il tasso di sopravvivenza quinquennale del 50%.
Infatti nel collo sono presenti circa 200 linfonodi divisi nelle regioni: sottomento,
sottomandibola, giugulari: alti, medi, bassi; retrospinali, prelaringei, pre e para-tracheali,
paraesofagei e ricorrenziali (Fig. 3.13).
In passato il trattamento di metastasi ai linfonodi consisteva nel togliere, oltre alla massa
tumorale, anche tutti i linfonodi del lato interessato con i vasi per rendere l'intervento più
radicale possibile. Col tempo è stata messo a punto un intervento più selettivo.
La dissezione del collo modificata è concepita per preservare un nervo ed un muscolo
importanti oltre a vena giugulare e ghiandola submandibolare. Inoltre può dare risultati ottimi
rimuovere selettivamente solo i linfonodi che rischiano di essere coinvolti da metastasi.
La dissezione selettiva prevede la rimozione di livelli diversi a seconda se laterale o
anteriore entrambi oncologicamente pari alla radicale per N0 nel collo. Tuttavia la presenza di
un nodo positivo aumenta significativamente il rischio di un altro in una posizione inaspettata.
Quindi la si usa solo per pazienti senza linfonodi coinvolti sul lato della dissezione.
La dissezione radicale classica fu descritta da Crile nel 1901 ed include la rimozione di
tutti e 5 i livelli di linfonodi cervicali in blocco fino alla fascia muscolare profonda. Resta la
migliore per un controllo definitivo del tumore al collo. Può essere combinata con la resezione
del tumore primario e radioterapia postoperatoria.
184
Tuttavia può presentare delle controindicazioni avendo una morbilità significativa dovuta
alla resezione del nervo e vene interne giugulari nella bilaterale che causano la paralisi del
trapezio (muscolo) circa nel 70% dei pazienti. Di conseguenza la spalla perde il sostegno,
ruota in avanti abbassandosi ed il paziente ha dolore e difficoltà nel sollevare il braccio.
Nella regione testa-collo la sopravvivenza quinquennale raggiunge in media il 50%.
Infatti il trattamento della prima diffusione linfatica e l’uso delle terapie multiple hanno
migliorato la sopravvivenza nei siti selezionati con la seguente tabella:
profondità di lesione % di sopravvivenza
<2 mm
95%
(2÷9) mm
80%
> 9 mm
65%
Il 75% dei pazienti con stadio precoce sopravvive a 5 anni, ma solo il 35% per le fasi
avanzate. Inoltre l’incidenza di forme primarie multiple rappresenta il 40% dei superstiti a
lungo termine; pertanto, l'individuazione precoce della patologia e la cessazione dell’uso di
alcool e tabacco è essenziale per migliorare la prognosi (de la Torre, 2006).
C2.1 Irradiazione della testa e del collo
Le modalità più diffuse di applicazione dei raggi X a scopo terapeutico sono due:
• radioterapia esterna (a fasci esterni o transcutanea) irradiando la zona interessata
dall’esterno, utilizzando l’acceleratore lineare;
• brachiterapia (terapia da vicino dal greco brachýs, corto): la sorgente radioattiva sigillata è
introdotta direttamente nel tessuto neoplastico o nei suoi pressi. Se ne distinguono due tipi:
o brachiterapia interna (o endocavitaria) dove le sorgenti radioattive (cesio, iridio) sono
inserite in organi cavi (cervice uterina, esofago, trachea e bronchi) erogando un’alta dose di
radiazione direttamente sul tumore con danno minimo ai tessuti sani. La sorgente più usata è
Cs (cesio). Si usa principalmente per il carcinoma della cervice uterina.
o brachiterapia interstiziale (BRT) si impiantano piccole sorgenti radioattive (cesio,
iridio, iodio, palladio) nel tessuto tumorale mediante tecniche chirurgiche poco invasive con
aghi o tubi sottilissimi e semi. Si usa per tumori della prostata, tumori della mammella già
operati e piccole neoplasie del distretto testa-collo: lingua, cavo orale, labbra; i radionuclidi
sono adatti per la tiroide ed i linfomi. L’inserimento degli aghi in bocca può essere fastidioso
e rendere difficile mangiare e bere.
185
Misure di sicurezza da adottare in corso di brachiterapia
Poiché personale ospedaliero, familiari, amici sono a rischio esposizione, si adottano
misure di sicurezza finchè la sorgente è in situ o dopo l’assunzione del radioisotopo liquido
cioè a seconda del trattamento per qualche giorno o solo per qualche minuto.
Si tratta di: collocare schermi di piombo ai lati del letto per assorbire eventuali radiazioni;
le visite sono limitate nel numero e nella durata, ma si può comunicare con un citofono; non
sono ammessi bambini e donne incinta; il personale medico ed infermieristico è presente nella
stanza lo stretto necessario.
Dopo il trattamento si possono ricevere visite anche se alcuni pazienti si preoccupano di
rimanere radioattivi anche dopo. Se è stata inserita sorgente radioattiva, con la sua rimozione
scompare ogni traccia di radioattività. Se è stata somministrata sostanza radioattiva liquida,
gradatamente la radioattività si smaltisce. Il paziente ed i suoi effetti personali sono controllati
alle dimissioni consigliando precauzioni per qualche giorno.
Tutto ciò può indurre un senso di isolamento, oltre la paura del trattamento. A tale scopo le
camere sono state attrezzate per la lettura di libri e riviste, l’ascolto di radio e televisione.
Finalità della radioterapia
Indipendentemente dal tipo utilizzato, la radioterapia può essere a scopo:
• radicale per curare alcuni tumori sostituendo l’intervento chirurgico: da sola (neoplasia
della prostata in fase iniziale) o unita alla chemioterapia (neoplasie dell’ano);
• preoperatorio (radioterapia neoadiuvante) per ridurre al minimo le dimensioni del tumore
consentendo l’intervento chirurgico (neoplasie dell’apice polmonare e retto);
• preventivo (radioterapia adiuvante) per ridurre la possibilità che il tumore recidivi dopo
l’intervento chirurgico (neoplasie della mammella) o dopo la chemioterapia (linfomi);
• palliativo o sintomatico per ridurre la sintomatologia dolorosa (metastasi ossee) o altri
sintomi legati alla patologia neoplastica.
Quest’ultima può essere fatta con la tecnica dei radionuclidi o a fasci esterni: la prima ha
una valenza solamente antalgica, mentre la seconda si usa per la prevenzione di fratture. Lo
schema più comune prevede 10 frazioni da 3 Gy (2 settimane), ma è suscettibile a variazioni a
seconda della condizione e dell’aspettativa di vita del paziente.
L’irradiazione corporea totale (total body irradation o TBI) è meno diffusa, ma è adatta
spesso a pazienti da trapianto di midollo osseo o cellule staminali (leucemie o linfomi).
Lo scopo è distruggere le cellule del midollo osseo per rimuovere ogni cellula neoplastica.
La dose può essere somministrata in un'unica seduta o frazionata in sei-otto dosi più basse. Il
midollo da trapiantare può provenire da donatore o dal malato stesso prima della radioterapia.
186
Si associa anche la chemioterapia a dosi molto elevate per preparare il paziente al trapianto
del nuovo midollo per sostituire quello distrutto dai trattamenti antitumorali.
C2.2 Radioterapia esterna (o a fasci esterni o transcutanea)
Si usano i raggi X ad alta energia prodotti dall’acceleratore lineare, partono dalla testata
della macchina (gantry) e rilasciano la dose prestabilita all’interno della zona da irradiare.
Il principio è sostanzialmente identico alla radiografia, quindi indolore. La dose totale da
somministrare è suddivisa in sedute giornaliere di breve durata (frazioni) per danneggiare il
meno possibile le cellule normali riducendo gli effetti collaterali.
Il frazionamento convenzionale prevede una seduta al giorno per cinque giorni a settimana
con pausa nel fine settimana, ma sono anche possibili: ipofrazionamento, una dose giornaliera
più elevata somministrata a distanza di più giorni; iperfrazionamento, 2-3 dosi giornaliere
meno elevate somministrate ad almeno 6 ore di distanza, riducendone la durata complessiva.
Il tipo di frazionamento e la durata del trattamento variano a seconda della patologia ed il
radioterapista valuta la necessità di un frazionamento diverso dal convenzionale.
Le dosi variano tra (50÷70) Gy; generalmente con frazionamento convenzionale, ma si
possono usare altri frazionamenti per tumori con riploriferazione veloce dopo la frazione. In
tal caso si possono eseguire anche due sedute giornaliere con frazioni di (1.2–1.3)Gy.
Centratura e pianificazione del trattamento
La prima seduta del trattamento è dedicata alla pianificazione. Quindi bisogna innanzitutto
operare la centratura, fase molto importante perché individua con estrema precisione la zona
da irradiare (target o bersaglio) per proteggere gli organi a rischio definendo le dimensioni e
l’orientamento dei campi di terapia.
Durante la centratura si è sottoposti a TC o PET–TC, così il radioterapista disegna l’area da
irradiare ed il fisico sanitario decide come dirigere il fascio per colpire il bersaglio
risparmiando gli organi a rischio.
Per evidenziare meglio la zona da irradiare, potrebbe essere necessario iniettare un liquido
di contrasto visualizzabile con la radiografia per tumori dell’apparato intestinale o urinario.
Stabilito definitivamente il bersaglio, il campo dovrà essere delimitato sulla cute in modo
da essere facilmente individuabile per tutta la durata del trattamento. Quindi potrebbero essere
eseguiti due-tre tatuaggi puntiformi permanenti che consentano la doccia o il bagno.
Sistemi di immobilizzazione
Per ottenere la maggior precisione possibile, è necessario mantenere per tutte le sedute la
stessa posizione rimanendo perfettamente immobili.
187
Per irradiazione della testa e del collo si è immobilizzati attraverso una maschera. Il calco
si ottiene immergendo in acqua calda un sottile foglio di materiale plastico con appositi fori
per occhi, naso e bocca. Il foglio, reso morbido e malleabile, è steso sul viso per prenderne la
forma. La maschera è agganciata lateralmente al lettino di terapia prima di ogni seduta.
Per il trattamento della regione pelvica, le gambe e il bacino possono essere immobilizzati
attraverso un particolare guscio, ottenuto adagiando gli arti su appositi contenitori riempiti
con schiuma speciale che si solidifica a contatto con l’aria prendendo la forma richiesta.
La seduta di trattamento
Va assunta la posizione prestabilita rimanendo perfettamente fermi; solo dopo il radiologo
azionerà la testata dell’acceleratore che, ruotando intorno al lettino, raggiungerà la posizione
corretta per dirigere i raggi X sull’area da trattare. Una seduta dura da una decina di minuti
fino ad un’ora e mezzo per l’irradiazione corporea totale, l’erogazione vera e propria del
fascio dura solo pochi secondi: è più lungo il tempo necessario per posizionarsi correttamente.
Durante la terapia è opportuno rilassarsi il più possibile. Si resta soli per pochi minuti.
Sebbene tutti i centri siano dotati di citofono, basta parlare o alzare la mano per richiamare
l’attenzione dei tecnici.
Durante la seduta potrebbe essere necessario che il tecnico entri nella stanza per correggere
la posizione o per aggiungere alla testata dell’acceleratore apposite schermature necessarie
quando si modifica il campo d’ingresso delle radiazioni per risparmiare gli organi sani.
Follow-Up
Gli effetti positivi della radioterapia richiedono tempo per essere evidenti. Quindi, a
trattamento concluso, si fissano le visite periodiche di controllo (follow-up) da effettuare
presso il centro di radioterapia o l’ospedale. La loro frequenza varia da ospedale a ospedale,
oltre a dipendere dal tipo di tumore, ma l’intervallo tra un controllo e successivo si dilata con
il progredire della guarigione.
Alcuni consigli generali per la radioterapia
Il grado di reazione varia da soggetto a soggetto e dipende anche dall’area irradiata nonché
dal tipo di cute. Occasionalmente se la reazione cutanea è grave, può essere necessario
differire il trattamento per un breve periodo in modo da consentire alla zona di recuperare.
Indipendentemente dal tipo di trattamento, è importante seguire una dieta sana e bere molti
liquidi preferendo piccoli spuntini lungo la giornata. Non è anomalo perdere peso.
Alcuni pazienti sviluppano in circa un mese reazioni cutanee tipo eritema solare: la cute si
può desquamare, ma dovrebbe guarire in due-quattro settimane dalla fine del trattamento.
188
Le direttive variano da ospedale a ospedale: alcuni consigliano di non lavare la zona per
tutto il trattamento, altri di lavarla solo con acqua tiepida ed asciugarla senza strofinare.
Comunque vanno evitati saponi, deodoranti, lozioni, profumi; ma questi limiti valgono solo
per l’area da irradiare, la restante cute è normale.
Nello specifico per l’irradiazione testa-collo è preferibile che gli uomini usino il rasoio
elettrico ed aboliscano camicie con collo stretto e cravatte; similmente le donne stiano attente
alla biancheria intima possibile fonte di irritazione per sfregamento.
Va sfatato il pregiudizio che i pazienti affetti da tumore non possano andare al mare o
prendere il sole, ma l’area irradiata è particolarmente sensibile. Pertanto è necessario sia
evitare l’esposizione nelle ore più critiche della giornata che coprire la zona irradiata con
indumenti di cotone per almeno un anno anche a trattamento concluso.
Anche dopo questo periodo la cute sarà più delicata, quindi vanno adottate tutte le
precauzioni. Di solito nel giro di un mese si può fare il bagno appena la reazione è passata.
Potenziali effetti collaterali del trattamento
Gli effetti collaterali possono svilupparsi dopo due-tre settimane di radioterapia. Poiché le
reazioni variano da soggetto a soggetto, è difficile prevedere esattamente come ognuno possa
reagire: alcuni accusano solo effetti lievi, altri effetti più severi. Comunque la maggior parte
scomparirà gradatamente alla conclusione del trattamento.
Per quanto concerne la stanchezza, è avvertita dalla maggioranza dei pazienti sia durante
che dopo; mentre altri si sentono in grado di guidare nonché di continuare a lavorare.
A volte si possono registrare modificazioni dei parametri ematici perché la radioterapia
può influire sul midollo osseo che produce i diversi tipi di cellule ematiche. Quindi durante il
trattamento periodicamente si controlla l’emocromo (numero di cellule del sangue): se risulta
basso, il paziente si sente stanco, ‘svuotato’; se molto basso (molto improbabile), può essere
necessario sospendere la terapia in modo da ripristinare i valori normali.
Può verificarsi la caduta dei denti; ciò rende necessari controlli odontoiatrici frequenti.
Poiché il fluoruro può svolgere azione protettiva, spesso si consigliano dentifrici al fluoruro.
Può presentarsi la dolorabilità del cavo orale poiché le cellule che lo rivestono sono
radiosensibili. Inoltre anche le ghiandole salivari possono diminuire la secrezione di saliva,
arrivando in alcuni casi a non secernerne più rendendo fastidioso masticare o ingoiare.
La radioterapia può anche facilitare l’insorgenza di infezioni del cavo orale, come la
stomatite rendendo importante la cura dell’igiene orale.
189
Anche le papille gustative possono risentirne alterando il sapore dei cibi: alcuni pazienti lo
dicono ‘metallico’, altri lamentano che tutti i cibi hanno lo stesso sapore. La secchezza delle
fauci può protrarsi per diversi mesi dopo la fine del trattamento ed anche divenire permanente.
Gradatamente tutto ritorna alla normalità, ma può trascorrere anche un anno prima che il
senso del gusto ritorni. Alcool (soprattutto i superalcolici) e tabacco possono irritare la
mucosa del cavo orale anche per alcune settimane dalla conclusione.
Si possono verificare: perdita dell’appetito e calo ponderale. A volte se fa male la gola ed
è doloroso mangiare e bere, un’alternativa estrema può essere un catetere direttamente nello
stomaco poiché l’alimentarsi è spesso l’unico modo per poter finire il trattamento.
Se si è sottoposti a radioterapia della laringe, si può modificare la voce che diventa rauca o
scompare totalmente, ma solo temporaneamente, ritornando normale dopo qualche settimana.
La caduta dei capelli si ha solo nei limiti dell’area radiotrattata, ma può succedere tanto
nella zona di uscita del fascio (regione posteriore del collo) quanto nella zona di entrata. Di
solito i capelli cominciano a cadere dopo due-tre settimane. Nella maggioranza dei casi si
tratta di un fenomeno temporaneo e i capelli ricrescono dopo due-tre mesi, a volte di colore e
struttura leggermente diversi ed anche non così folti come prima.
I bambini e la radioterapia
La radioterapia può essere un’esperienza terrificante sia per i bambini che per i genitori.
Poiché il bambino non può né mangiare né bere per almeno quattro ore prima della terapia, la
seduta è fissata preferibilmente di mattina.
I bambini di età inferiore a tre anni, possono essere trattati in anestesia generale lieve. Si
può rimanere finché non si addormentano e seguirli attraverso vetro o monitor non essendo
consentito rimanere nella stessa sala del trattamento. Gli infermieri assistono il bambino fino
al risveglio, di solito in 20–60 minuti, dopodiché può ritornare a casa se non è ricoverato.
Per i bambini più grandi è più difficile abituarsi alle dimensioni e al rumore degli
apparecchi, ma più l’ambiente è confortevole ed il personale affettuoso, più la cura è efficace.
Sebbene sia in alcuni casi inevitabile, si preferisce avvalersi principalmente di chemio e
chirurgia per i problemi frequenti e gravi. Alcuni tumori infantili, il medulloblastoma,
prevedono comunque l’utilizzo della radioterapia associata alle altre metodiche terapeutiche.
Infatti è necessaria l’rradiazione di tutto il capo e la colonna, con rischi di danni neurologici
e/o crescita ossea, soprattutto se l’età è inferiore ai 3 anni.
190
C2.3 Varie modalità di radioterapia esterna
Le ricerche più avanzate hanno consentito diverse modalità di radioterapia per assicurare
un migliore controllo della malattia e ridurre il rischio di effetti collaterali a lungo termine.
Nel distretto testa-collo, le modalità radioterapiche sono: convenzionale, conformazionale,
ad intensità modulata (IMRT), adroterapia (specialmente ioni carbonio.
Radioterapia conformazionale
Si effettua sempre con l’acceleratore lineare, collocando, però, alcuni blocchetti metallici
lungo la traiettoria del fascio per conformarlo quanto più possibile alla forma dell’area da
irradiare. In questo modo è possibile orientare sul tumore una dose più elevata di radiazioni e
di conseguenza, esporre le cellule sane circostanti ed organi adiacenti a dosi più basse
riducendo in tal modo la possibilità di effetti collaterali.
Una recente evoluzione prevede la sostituzione dei blocchetti metallici con collimatori
multilamellari, serie di lamelle metalliche fissate alla testata dell’acceleratore. Ogni lamella
può essere regolata in modo da conformare il fascio all’area da trattare.
Il corretto posizionamento dell’acceleratore è molto importante per il successo della terapia
e il trattamento può essere preceduto all’inizio di ogni seduta da scansione con un’apposita
macchina per verificare la posizione della zona da irradiare rispetto agli organi interni.
Radioterapia con fasci ad intensità modulata (IMRT)
Anche questa prevede l’uso di collimatori multilamellari. Durante l’erogazione del fascio
le lamelle si muovono sull’area da irradiare con una sequenza stabilita e controllata da un
computer. In tal modo è possibile conformare la fluenza del fascio all’area da irradiare con
una maggiore precisione rispetto alla precedente.
Radiochirugia stereotassica con acceleratore lineare
Questa tecnica è nata per il trattamento dei tumori cerebrali, ma esistono diversi studi
anche per le neoplasie polmonari ed alcune patologie addominali maligne. Il trattamento
prevede un’immobilizzazione ancora più accurata ricorrendo a sistemi di posizionamento:
casco per stereotassi e maschere termoplastiche per il corpo e la somministrazione di una o
più dosi convenzionali. Quindi è disponibile solo presso centri di alta specializzazione.
Gamma-knife (bisturi a raggi gamma)
È indicata nei tumori cerebrali ed alcune patologie benigne di natura vascolare del cervello.
È sufficiente una sola seduta di radioterapia che può durare da quattro a cinque ore.
Il trattamento consiste in un fascio di raggi gamma orientato in modo molto preciso ed
emesso da centinaia di angoli diversi perciò la testa dovrà restare perfettamente ferma,
immobilizzata con un enorme casco con centinaia di fori attraverso cui far penetrare le
191
radiazioni. Quindi sono necessarie diverse radiografie per stabilire esattamente l’area da
irradiare. Il trattamento è disponibile solo presso centri di alta specializzazione e non è
indicato per tutti i pazienti affetti da tumori cerebrali.
Tomoterapia
È la tecnica più moderna e sofisticata così chiamata perché unisce la tecnologia dell’IMRT
con la tecnica della tomografia computerizzata (TAC) spirale.
Il sistema, sviluppato dall’Università di Madison (Wisconsin, USA), è in uso in Canada e
Stati Uniti. L’apparecchiatura installata alla fine del 2004 presso l’Ospedale San Raffaele di
Milano è l’unica in Europa e la prima al di fuori di Canada e Stati Uniti. È costituita da un
rilevatore TC accoppiato ad un acceleratore lineare. Durante il trattamento la fonte radiogena
ruota in sincronia con i movimenti longitudinali continui del lettino, creando un fascio ad
intensità modulata con andamento spirale conformato tramite un collimatore multilamellare.
La stessa macchina si utilizza prima di ogni trattamento per acquisire le immagini
necessarie per elaborare il piano di trattamento, permettendo così di verificare con precisione
la posizione del tumore e degli organi a rischio e, se necessario, aggiustare automaticamente
la posizione del paziente per ottimizzare l’irraggiamento.
Rispetto ai trattamenti convenzionali (conformazionale o IMRT), permette un’irradiazione
molto più selettiva del tumore ed elevato risparmio dei tessuti sani con la possibilità di
erogare dosi più elevate in un numero ridotto di frazioni (da 1 a 15 a seconda del trattamento).
Quando il piano di trattamento è preparato sulle immagini ottenute dalla “fusione” delle
immagini della TAC con quelle della PET, si parla di tomoterapia a guida metabolica. La
combinazione PET/TAC e tomoterapia potenzia complessivamente il successo del trattamento
radiante in quanto consente, da un lato, il riconoscimento accurato e precoce dell’estensione
tumorale e, dall’altro, l’esatto controllo del posizionamento, permettendo così di erogare una
dose elevata con aumentata probabilità di controllare la malattia.
Le procedure per il trattamento sono quelle convenzionali. La tomoterapia è teoricamente
applicabile a gran parte dei tumori solidi, anche se si è ancora in una fase sperimentale per cui
sono stati attivati solo trattamenti da protocolli clinici.
Adroterapia
Tale tecnica consiste nell’utilizzo di radiazioni prodotte da ioni pesanti in grado di mirare
con estrema precisione l’area da irradiare con rapida diminuzione della dose nelle aree
circostanti. Il rischio di una terapia troppo conformata alla zona bersaglio è che le cellule
tumorali ai margini potrebbero non ricevere la dose necessaria ad impedirne la ricrescita con
192
conseguente aumento della possibilità di recidiva. Sono necessari studi per conferma o
smentita. L’adroterapia non è attualmente disponibile in Italia.
Il diverso impatto sul tessuto sano delle varie radiazioni disponibili per la radioterapia è
racchiuso nel diverso posizionarsi dei rispettivi picchi di Bragg (Fig. 3.6):
Fig. 3.6 Distribuzione della dose in profondità delle varie radiazioni adoperate in radioterapia
193
APPENDICE D
Tossicologia delle Cellule Buccali -Origine Chimica delle
Aneuploidie
Le cause chimiche all’origine delle aneuploidie nelle cellule buccali vanno distinte tra i
trattamenti chemioterapici e le sostanze tossiche diffuse nell’ambiente i cui effetti sono
evidenti negli organi interfaccia con l’esterno ed in quelli con funzioni vitali.
D Effetti Tossici nelle Cellule Buccali
Studi recenti hanno dimostrato, almeno in parte, il rapporto causa-effetto tra gli inquinanti
e l’insorgenza di patologie tumorali. Ecco le sostanze più diffuse con effetti noti sulla salute.
1) Idrocarburi policiclici aromatici (PHA)
Il loro potere cancerogeno si manifesta in genere con l’induzione di aneuploidie e CAs. Lo
sviluppo tumorale è causato dai processi innescati dalla molecola (benzo[a]pirene) attivata
dagli enzimi quando attraversa la membrana cellulare. I prodotti intermedi creati, radicali
liberi, generati in vivo da enzimi attivi nel reticolo endoplasmatico liscio nella maggioranza
dei tessuti successivamente si legano alla guanina con configurazioni stabili. Inoltre il sistema
di riparazione del DNA, solitamente efficiente, può risultare deficitario determinando
l’insorgenza della patologia tumorale (Luch, 2002).
Poiché in studi recenti sono state usate le cellule buccali per valutare il rischio oncogeno
connesso con il petrolio ed i suoi derivati, il metodo di analisi messo a punto nel presente
lavoro di tesi, potrebbe trovare utile applicazione anche in questo campo.
In uno studio sono state prelevate cellule buccali da due gruppi, esposti (operai di stazioni
petrolifere) e controllo, suddivisi tra fumatori e non fumatori considerando: frequenza dei
MN, frequenza di cellule binucleate, frequenza di cariolisi (rottura della membrana nucleare).
Per i MN, c’è una differenza significativa tra i due gruppi. Solo per il gruppo degli esposti
sia per le cellule binucleate che per la cariolisi, la differenza è notevole tra i fumatori e non
fumatori. Quindi questo studio ha avuto una duplice funzione importante:
1) conferma dell’alto rischio cancerogeno per gli operai delle stazioni petrolifere;
194
2) dimostrazione della validità dell’uso delle cellule buccali come biomarcatore di esposizione
ad agenti genotossici (Celik, 2003).
La molecola base dei PHA è il benzene che, contenuto in quantità modeste nel greggio, si
forma durante la raffinazione del petrolio o in caso di combustione incompleta di sostanze
organiche. Le emissioni sono ora circa dimezzate, ma il rischio leucemia è circa 20 volte
superiore al livello di protezione.
Il benzene in aria è presente ovunque, nei centri urbani oltre il 90% di cui il traffico
veicolare da solo per circa 80%. Secondo un’indagine di Legambiente al centro di Napoli si è
soliti respirare in media circa 23µg/m3 di aria ben oltre i consentiti 10µg/m3 di aria=obiettivo
qualità stabilito dal D.M. dell’Ambiente del 1994.
Quindi se si potesse applicare il test sulle buccali alla popolazione, si potrebbe monitorare
gli eventuali danni alle prime vie respiratorie senza aspettare le manifestazioni di patologie.
L’esposizione prolungata a bassi livelli è correlata ad un aumento nella frequenza di
insorgenza del cancro. Infatti nelle popolazioni rurali la concentrazione di benzene nel sangue
risulta significativamente più bassa di quella dei residenti in città.
Un combustibile alternativo potrebbe essere il metanolo per due motivi fondamentali:
1) rilascio lento di ozono (O3) quindi limitato inquinamento atmosferico;
2) non sembra avere effetto tossico su lieviti, batteri, topi esposti.
Infatti era contenuto in due diversi tipi di carburante alternativo alla benzina introdotti
negli anni ’90: MEG, miscela di metanolo, etanolo, e solo 7% benzina; M85, miscela diversa,
incolpata di alterazioni nel sangue dei topi.
Da qui l’idea di un test per determinare rapporti causa-effetto tra l’uso del metanolo e
l’insorgenza di danni genetici utilizzando le cellule buccali per il test dei MN tra i “benzinai”
ed il controllo. I risultati hanno fugato ogni dubbio sulla genotossicità del metanolo rivelando
un incremento dei MN e relativi danni genetici nei campioni analizzati dopo l’uso del MEG
(Gattas et al., 2001).
Meno noto è il rischio del personale aeroportuale esposto a diversi PHA dovuti ai vapori
del combustibile per aerei ed ai prodotti di combustione di motori diesel e benzina dei mezzi
operanti sulle piste per carico-scarico bagagli.
Nel 2004 sono stati studiati i MN nelle cellule orali per valutare gli effetti precoci tossici
ed ossidativi nell’esposizione inalatoria di miscele complesse a basse dosi su lavoratori
aeroportuali addetti a: manutenzione degli aerei, carico-scarico bagagli e un gruppo di
controllo calcolando la frequenza di MN spontanei su almeno 2000 cellule esfoliate..
195
I risultati hanno evidenziato negli esposti 8% e nei controlli 7.1% suggerendo l’elevata
sensibilità delle cellule esfoliate nell’evidenziare danni di tipo genotossico: induzione di MN
e danno sia diretto che ossidativo al DNA indotti da sostanze presenti nella miscela di PHA.
Tali risultati mostrano che i test utilizzati sono buoni biomarcatori di danno precoce e
potrebbero dare utili indicazioni per prevenzione e gestione del rischio nell’esposizione
professionale a miscele di sostanze potenzialmente cancerogene (articolo su aerei).
Il fumo di tabacco rappresenta la maggiore fonte individuale per la popolazione non
esposta professionalmente. Nel fumo di una sigaretta la concentrazione media è piuttosto
rilevante a seconda del tipo di tabacco. Chi fuma 20 sigarette/giorno inala una quantità molto
più elevata anche rispetto a chi è esposto in strade molto trafficate per diverse ore al giorno.
Nelle abitazioni dei fumatori la concentrazione è 30%–35% superiore alle case dei non
fumatori. Nel sangue dei fumatori sono state individuate, inoltre, concentrazioni quasi doppie
di quelle dei non fumatori.
Gli effetti tossici sono diversi e colpiscono organi diversi essendo proporzionali alla durata
dell’esposizione differenziando tra gli acuti, dovuti a brevi esposizioni a dosi elevate, ed i
cronici, dovuti a lunghe esposizioni a basse dosi, potenziali cancerogeni sul sangue. Perciò i
linfociti sembrano essere i biomarcatori migliori e l'epitelio orale un tessuto alternativo
Poiché la frequenza di MN nelle buccali può aumentare per esposizione cancerogena, le
buccali ed i linfociti possono complementarsi nel rilevare molti effetti genotossici biologici.
2) Metalli Pesanti
Sono molto tossici perchè si combinano con i gruppi –SH, siti di attacco di alcuni enzimi,
inattivando gli enzimi poichè i loro siti diventano indisponibili. Sono: arsenico presente nelle
falde acquifere ed in alcune leghe; piombo nelle vernici.
ARSENICO (As)
Le fonti ambientali comprendono anche il suo rilascio durante l'estrazione di oro e piombo
e la combustione del carbone di cui è un inquinante. Le maggiori fonti industriali sono:
centrali elettriche a carbone, fonderie, lavorazione del vetro e molte leghe metalliche.
Nel 600 e 700 si estraeva per usarlo nella composizione di creme e contro la sifilide, nel
XIX secolo come colorante per dolciumi. Nel 900 è stato usato come fitofarmaco nella
frutticoltura fino agli anni 70, poi proibito perché nocivo.
È il metallo pesante più diffuso nelle falde acquifere, il più monitorato per i suoi effetti.
L'arsenico inorganico viene ben assorbito dal gastroenterico, a livello polmonare oltre il
50% della dose assunta. Può passare la placenta e determinare un danno fetale. Si considera
cancerogeno per: polmoni, cute, reni e fegato soprattutto nell'intossicazione cronica.
196
I composti organici sono
generalmente considerati poco
assorbibili in
base
all’idrosolubilità. Se assorbiti, sono facilmente escreti; pertanto sono meno tossici.
L’As è rilasciato dai sedimenti nelle acque di falda per le condizioni anossiche del
sottosuolo, contaminando forse il terreno superficiale e non le rocce delle falde sottostanti. Si
ignora come si separi dai minerali sotterranei e raggiunga le falde.
Secondo uno studio della Dartmouth Medical School, bere acqua con piccole quantità di
arsenico potrebbe causare l'inibizione dei geni addetti alla riparazione del DNA danneggiato.
Hanno voluto identificare i meccanismi con cui provoca tumori avvalorando l'ipotesi che
agisca come co-carcinogeno consentendo ad altre sostanze: UV e fumo da tabacco, di causare
mutazioni più marcate.
I ricercatori di Stanford hanno ipotizzato che le alluvioni stagionali, ricche di carbonio
proveniente da materiali organici, inneschino reazioni chimiche che liberano arsenico da
questi sedimenti e lo trasportano alle falde. Durante la stagione secca, i contaminanti si
riassocerebbero con i solidi ripetendo il ciclo ogni stagione. Inoltre il ricambio delle acque,
accelerato dal pompaggio per l’irrigazione, non eliminerebbe la contaminazione.
La concentrazione massima ammissibile nell’acqua potabile è 10µg/l poiché l'ingestione di
arsenico introduce altro fattore di rischio per il tumore al polmone. Uno studio ha dimostrato
la relazione diretta fra l'esposizione all'arsenico e il rischio di sviluppare tale patologia a
Taiwan dove hanno bevuto acqua contaminata fino agli anni '90.
I risultati mostrano un effetto significativo dose-risposta soprattutto tra i fumatori: rischio
dieci volte maggiore per gli esposti al fumo ed arsenico rispetto ai non fumatori poco esposti.
Il preciso meccanismo di azione dell’As come cancerogeno rimane sconosciuto: non può
danneggiare direttamente il DNA, ma può fungere da agente cancerogeno inibendone i
meccanismi di riparo conducendo a mutazioni poi aumentate da successivi danni.
Recenti studi hanno applicato il test dei MN per confrontare il danno in individui che fanno
uso quotidiano di acqua con concentrazione di As basse (~ 4.4 µg/L) ed il danno osservato
nelle popolazioni che quotidianamente devono usare acque con concentrazioni 130 volte
maggiori (~ 527.5 µg/L).
Nei consumatori esposti alle concentrazioni massime è risultata una frequenza di MN 3-4
volte maggiore di quella nei consumatori di acque con concentrazioni basse.(Burgaz, 2002).
PIOMBO (Pb)
La sua pericolosità è dovuta all’uso indiscriminato di prodotti dove la sua presenza è
ignorata: le vernici per gli operai dei colorifici, gli imbianchini o nel “fai da te”.
197
Il test dei MN è stato applicato a soggetti esposti confermando il Pb responsabile diretto
nell’indurre danni genetici, sebbene sia risultato un numero di MN maggiore in quei soggetti
dove era presente anche la senescenza cellulare oltre la tossicità del Pb (Pinto, 2000).
Le tubature di Pb, usate nell’edilizia prima del 1930, come le saldature a Pb nelle
abitazioni moderne, lo rilasciano nell’acqua nei primi anni dopo l’installazione.
È uno dei metalli contaminanti più tossici perché è trattenuto nel sistema nervoso centrale,
ossa, cervello, ghiandole, peli e capelli. Le analisi del sangue possono dare valori normali
anche in presenza di intossicazione cronica accertata perché si accumula principalmente nelle
ossa (sostituendo il calcio), reni, fegato, cuore e sistema nervoso.
Poiché non resta a lungo nel circolo sanguigno, al massimo 1–2 mesi, l’unico modo certo
per diagnosticare una contaminazione, resta l’esame del capello. In ogni caso esistono persone
sensibili, ed altre meno che inspiegabilmente non lo accumulano nelle ossa. L’esposizione
prolungata, anche se contenuta, può generare con gli anni un’intossicazione cronica con danni
al sistema nervoso periferico, reni, cervello, provocando anemie ed ipertensione arteriosa.
I bambini ne assimilano quantità maggiori degli adulti con tempo medio di eliminazione
circa 2–3 anni. Potendo passare dalla madre al feto ed essere presente anche nel latte materno,
sono state vietate le esposizione per tutto il periodo della gestazione e fino a 7 mesi dopo il
parto. Il sistema nervoso del feto e del bambino è più danneggiabile di quello dell’adulto
anche a basse dosi.
3) FORMALDEIDE
In soluzione acquosa reagisce con l'aria ossidandosi ad acido formico. È un potente
battericida perciò le sue soluzioni sono impiegate come disinfettanti. Tra gli additivi
alimentari è identificata dalla sigla E 240.
L’uso massiccio è la produzione di polimeri e di altri composti chimici. Per reazione con il
fenolo polimerizza dando la bachelite, resina termo-indurente; analoga reazione è alla base di
alcune resine usate per laminati plastici, adesivi e schiume isolanti.
Sono a rischio di esposizioni brevi, ma intense, gli addetti a produzione di: formaldeide,
resine, trattamento dei materiali. I livelli sono più bassi nella manifattura di fibre vetrose
artificiali, abrasivi, gomma. Gli addetti ai laboratori di biologia, patologia, anatomia sono
consci, ma gli operai dei calzaturifici non ne sono informati.
Si ritiene che i suoi prodotti tendano a rilasciare nel tempo molecole di formaldeide
nell'ambiente perciò è uno dei più diffusi inquinanti di interni. Le concentrazioni in aria
superiori a 0,1ppm, possono irritare per inalazione mucose ed occhi. L'ingestione o
l'esposizione a quantità elevate sono potenzialmente letali.
198
L’assorbimento può essere anche epidermico. La breve esposizione intensa può risultare
mortale, ma di solito l'irritazione quasi istantanea lo evita. L'esposizione prolungata a bassi
livelli può causare difficoltà respiratorie e comparsa di eczemi.
In Italia ne è stato ridotto l’uso e l’esposizione dei lavoratori nel 1996, ma è ancora
insostituibile sebbene classificata di classe 1 sulla base di nuovi studi dove causa tumori
naso-faringei nell’uomo, neoplasia piuttosto rara nei paesi sviluppati. I dati disponibili hanno
inoltre permesso di stabilire che esiste una limitata associazione che la rende responsabile dei
tumori polmonari e nasali, leucemia e tumori a livello cerebrale.
La sua cancerogenicità è stata accertata sui roditori, dove provoca un tasso di cancro al
naso ed alla gola superiori al normale poiché è in grado di interferire con i legami tra DNA e
proteine. Si ritiene che le concentrazioni normalmente riscontrate negli edifici non siano
sufficientemente elevate da rappresentare un pericolo in tal senso.
In uno studio del National Cancer Institute sono stati esaminati oltre 25000 lavoratori
addetti alla produzione di formaldeide prima del 1966. Il follow-up è durato fino al 1994.
Negli esposti ad alti livelli, il rischio di leucemia era 3,5 volte maggiore degli esposti a bassi
livelli; 69 sono morti di leucemia. L'esposizione può causare leucemia specialmente mieloide.
Per conoscere il ruolo della formaldeide e degli altri solventi organici nell’induzione di
tumori nel cavo orale e nasofaringeo nei soggetti esposti si è usato il test dei MN che ha
confermato 2 dati molto importanti: azione cancerogena dei solventi organici e la validità
dell’uso delle buccali come biomarcatore dell’esposizione ai solventi organici (Burgaz, 2002).
4) PESTICIDI
Negli ultimi decenni si è fatto un uso massiccio di molte sostanze utili ed indispensabili per
l’agricoltura: insetticidi, erbicidi, battericidi, fungicidi. Poiché l’uso è misto, è difficile
stabilire quale sostanza sia da evitare perché produce gli effetti più tossici. Inoltre le
concentrazioni sono diverse, complicando la determinazione del quantitativo più pericoloso.
Nei vari studi condotti sono state usate molte tecniche; il risultato del test dei MN è stato il
più interessante non avendo rivelato alcuna induzione significativa di danno genetico. Tale
assenza può essere unicamente dovuta alle misure protettive molto efficienti adottate dagli
agricoltori. È l’unica soluzione plausibile per l’esposizione elevata (Lucero, 2000).
E’ stato condotto uno studio simile su un altro gruppo di agricoltori esposti ad una miscela
di 30 pesticidi: 9 non tossici, 8 moderatamente tossici, 4 altamente tossici, i restanti non
classificati. L’unica spiegazione plausibile all’assenza di danni genetici nelle cellule buccali
sono le misure protettive regolarmente adottate dagli agricoltori (Pastor, 2001).
199
Recentemente è stato dimostrato che la frequenza dei MN nelle cellule buccali di esposti a
pesticidi aumenta molto con l’età e se si tratta di fumatori, senza differenza tra esposti e
controlli, ma da imputarsi ad abitudini errate: abuso di alcool e/o di fumo (Pastor, 2002).
200
APPENDICE E
FISH Centromerica nelle Cellule Buccali
Materiali
-PBS 1X: diluire 20 ml di PBS 10x in 180 ml di acqua distillata. Conservare a temperatura
ambiente.
-Soluzione di pepsina: preparare la pepsina al 10% mescolando 1 g di pepsina in polvere in
10 ml di acqua distillata preriscaldata a 37°C. Suddividere la soluzione in aliquote di 35 µl in
tubi Eppendorf e conservare a –20°C. Preparare la soluzione di lavoro (concentrazione pari a
300 µg/ml) mescolando 35 µl di pepsina al 10% in 69,3 µl di acqua distillata, 700µl di HCl al
37% preriscaldato a 37°C in una Coplin jar. Preparare fresco ogni giorno.
-Soluzione di Formaldeide per il fissaggio: mescolare insieme 57,6 ml di acqua distillata,
3.5 ml di MgCl2 1M (9.5 g di polvere in 100 ml di acqua), 7 ml di PBS 10x e 1.9 ml di
formaldeide al 37%. Mescolare bene. Porre in una Coplin jar. Preparare fresca ogni giorno.
-Soluzione di Etanolo per la deidratazione: preparare soluzioni di etanolo puro al 70%,
85% e 100% v/v in acqua. Conservare a temperatura ambiente in un contenitore
ermeticamente chiuso. Versare in una Coplin jar prima dell’uso.
-Soluzione di sciacquo 0.4x SSC: aggiungere 10 ml di 20x SSC a 490 ml di acqua distillata.
Aggiustare il pH a 7.0-7.5 con NaOH concentrato. Conservare a temperatura ambiente in una
bottiglia ermeticamente chiusa.
-Soluzione di sciacquo 0.1% NP40/2x SSC: mescolare 100ml di 20x SSC, 849 ml di acqua
distillata e 1 ml di NP40. Aggiungere acqua bidistillata fino a raggiungere il volume finale di
1L. Aggiustare il pH a 7.0-7.5 con NaOH concentrato. Conservare a temperatura ambiente.
-Soluzione di Metanolo 80% per il fissaggio: mescolare 80 ml di metanolo puro e 20 ml di
acqua distillata.
201
E1 Protocollo di allestimento dei campioni
1. Invitare il donatore a sciacquare bene la bocca ed eventualmente lavarsi i denti.
2. Preparare un tubo da centrifuga (Falcon) da 50 ml inserendoci 20 ml di PBS.
3. Sciacquare lo spazzolino nel tubo contenente PBS ed effettuare il prelievo delle cellule
raschiando delicatamente entrambe le guance del donatore.
4. Trasferire nuovamente lo spazzolino nel tubo e mescolare delicatamente.
5. Centrifugare per 5 min a 1500 rpm = 226g.
6. Eliminare il sopranatante.
7. Risospendere il pellet in 20 ml di PBS e ripetere #5.
8. Eliminare il sopranatante in eccesso e fare il bubble.
9. Misurare la densità cellulare utilizzando una camera Burker. Una concentrazione ottimale è
quella pari a ~70000 cellule/ml. Porre ~0,15 ml di sospensione cellulare su ciascun vetrino
preriscaldato a 45-55 °C per avere su ciascun vetrino un numero di cellule pari a ~10000.
10. Lasciare asciugare per 15 min alla stessa temperatura.
11. Lasciare i vetrini 1 h a temperatura ambiente.
12. Fissare in metanolo 80% a 0 °C per 30 min.
13. Lasciare asciugare bene a temperatura ambiente.
14. Conservare i vetrini a – 20 °C.
E2 Trattamento enzimatico
1.Preriscaldare la soluzione contenente pepsina in Coplin jar in bagnetto termico a 37°C.
2.Immergere i vetrini nella soluzione per 30 min sempre a 37°C.
3.Effettuare due sciacqui dei vetrini in PBS per 5 min ognuno per togliere eccesso di pepsina.
4.Immergere i vetrini nella soluzione di fissaggio (formaldeide 37%) per 2 min a temperatura
ambiente.
5.Effettuare due sciacqui dei vetrini in PBS per 5 min ognuno per eccesso di formaldeide.
6.Deidratare i vetrini immergendoli in soluzioni di etanolo a concentrazione crescente: 70%,
85% e 100% per 1 min ogni volta. Rispettare sempre l’ordine.
7.Lasciare asciugare i vetrini per una notte o porli sullo slide warmer a 65°C per 30 min.
8.Conservare i vetrini a –20°C o procedere all’ibridizzazione.
202
E3 FISH centromerica Bicromatica
1.Accendere l’Hybrite.
2.Asciugarne la superficie con un panno pulito.
3.Impostare il programma per l’ibridizzazione della sonda in uso: 73°C per 1 min per
denaturare il DNA e 42°C per 3h per l’ibridizzazione.
4.Riscaldare la sonda centromerica a temperatura ambiente.
5.Agitare la sonda con il vortex.
6.Centrifugare la sonda.
7.Applicare 10 µl di sonda sull’area da ibridizzare *.
8.Coprire l’area utilizzando un coprivetrino 22x22 mm, facendo attenzione a distribuire
uniformemente la sonda senza strisciarla.
9.Sigillare i bordi del coprivetrino con del rubber cement (colla).
10. Posizionare il vetrino all’interno dell’Hybrite con la parte molata rivolta verso l’esterno
della piattaforma riscaldante.
11. Se l’ibridizzazione si effettua su un numero di vetrini < 12, occupare le restanti postazioni
dell’HyBrite con dei vetrini vuoti.
12. Terminata l’ibridizzazione, rimuovere i vetrini dall’Hybrite.
13. Preriscaldare a 73°C una soluzione 0.4x SSC per sciacquare eccesso di sonda.
14. Rimuovere il rubber cement ed il coprivetrino ed immergere immediatamente i vetrini
nella soluzione di sciacquo agitando per 1-3s.
15. Lasciare incubare per 2 min.
16. Rimuovere i vetrini ed immergerli in una coplin jar contenente 4x SSC/0.1% NP40 a
temperatura ambiente.
17. Lasciare i vetrini in soluzione per 1 min, agitando per 1-3s.
18. Lasciare asciugare i vetrini al buio per non disattivare la sonda.
19. Applicare 10 µl di DAPI II sull’area ibridizzata e apporre un coprivetrino 24x24 mm.
20. Conservare i vetrini a -20°C al buio fino al loro utilizzo.
*Per la FISH centromerica monocromatica vi sono le seguenti due differenze:
• si è usata una sola sonda la Spectrum Orange per i cromosomi 8 e 12 che emette nel rosso,
• al punto 16 la concentrazione di SSC è 2x SSC/0,1% NP40.
Per la FISH centromerica bicromatica sono state usate due sonde di diverso colore la
CEP Spectrum Red per il cromosoma 8 e la CEP Spectrum Green per il cromosoma 12 che
emette nel verde. Quindi la miscela di 10 µl è fatta di 3µl di CEP 8 e 7 µl di CEP 12 che va
diluita secondo lo schema in tabella, mentre la CEP 8 è già fornita diluita.
203
10µ
µl
CEP 12
Metasystem
7µ
µl
7µ
µl
7µl
Buffer
1µl
Sonda
2µl
Acqua bidistillata
4,9µl
Buffer
0,7µl
Sonda
1,4µl
Acqua bidistillata
3,5µl
Buffer
0,5µl
Sonda
11µl
Acqua bidistillata
E4 Protocollo RAIC per misure di aneuploidie nelle cellule della mucosa
orale:
1. Accendere la lampada, il microscopio ed aprire il programma Metafer.
2. Inserire il vetrino in uno qualsiasi degli otto alloggiamenti.
3. Porre una goccia di olio per fluorescenza sul coprivetrino.
4. Posizionare l’obiettivo 40X.
5. Selezionare dal comando Mode la modalità Metacyte.
6. Andare su Setup, si aprirà una schermata in cui si inseriscono i seguenti dati:
l’alloggiamento in cui è posto il vetrino in analisi;
il codice del vetrino esempio:P1 0Gy (A);
il classifier da utilizzare: impostare ANEUPLOIDIA-40_Bis;
Search Window: impostare Manual. A questo punto vanno inserite le coordinate
dell’area da analizzare. Tale procedura si esegue spostandosi lungo il vetrino
utilizzando il TrackBall.
7. Andare su Metacyte>Parameter Setup e controllare se è selezionato il classifier giusto.
8. Premere Search.
9. Il sistema richiede di mettere a fuoco un oggetto di riferimento ed avvia automaticamente la
procedura di ricerca.
E5 Compilazione di un Nuovo Classifier
1. Selezionare dal menù della finestra principale del Metafer la voce: Mode>Metacyte.
2. Selezionare dalla finestra del Metacyte il comando Metacyte/Parameter Setup.
204
3. Selezionare New, si apre la finestra Metacyte>New Classifier.
4. Specificare il nome del nuovo classifier e selezionare un classifier già esistente dal quale
leggere le impostazioni iniziali. Selezionare ok.
5. Le impostazioni del nuovo classifier sono mostrate nella finestra Metacyte>Parameter
Setup.
6. Controllare i parametri del classifier. Verificare se :
•
è selezionato il classifier giusto;
•
è selezionato il corretto file di definizione dei parametri per il fuoco (FL-40);
•
i canali per i colori sono definiti correttamente;
•
è selezionato il corretto ingrandimento per l’obiettivo utilizzato;
•
le impostazioni per l’obiettivo selezionato sono corrette, selezionando Other.
Gli altri parametri potranno essere cambiati anche successivamente.
7. Se tutto è a posto, selezionare ok.
205
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tesi CARLA ZAMBELLA