APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI Expected shortfall – una coda in due parti Richard Martin e Dirk Tasche dimostrano che l’expected shortfall, se utilizzata in un framework di indipendenza condizionata, consente un’elegante scomposizione del rischio in componente sistematica (risk-factor-driven) e non sistematica. La teoria è raffrontata con la nota e analoga scomposizione della varianza Una delle sfide insite nella gestione del rischio e nella negoziazione di portafogli e di derivati su portafogli riguarda la difficoltà di individuare l’origine dei rischi – amplificata dalla presenza di più sottostanti. Dieci anni fa l’obiettivo della modellazione del portafoglio crediti era di costruire una distribuzione delle perdite o dei profitti e delle perdite, che misurasse il rischio solo a livello di portafoglio. Più di recente, la comparsa di diversi strumenti finanziari quali i credit default swap (CDS), i derivati e le opzioni su indici, le tranche di CDO e i veicoli di cartolarizzazione ha reso più facile la copertura e cartolarizzazione del rischio. La domanda di strumenti per la gestione dei rischi di credito e di default da parte dei gestori di CDO e di portafogli crediti ha favorito due sviluppi tecnici: i modelli di correlazione e le tecniche analitiche per il trattamento del rischio asimmetrico. Per quanto riguarda i primi, i lavori hanno teso a grandi linee a convergere sul framework dell’indipendenza condizionata (conditional independence, CI), che consente affermazioni concrete sulla volatilità dei tassi di default e sulle perdite potenziali ed è attualmente utilizzato tanto nel risk management che nel pricing. Da parte loro, i lavori sulle tecniche analitiche hanno fatto emergere la necessità di misure di rischio diverse dalla normale media-varianza, favorendo l’affermazione della expected shortfall (ES) quale misura del rischio adeguata, sensibile al rischio di coda e coerente (cfr. Artzner, et al., (1999) e Acerbi & Tasche (2002)); l’expected shortfall è peraltro strettamente collegata al concetto di payout delle tranche e quindi al mondo delle CDO e delle cartolarizzazioni in generale. Per collegare i concetti di indipendenza condizionata, ES e “origine del rischio”, il presente articolo analizza l’applicazione della ES a modelli a indipendenza condizionata (CI) e indica un modo per quantificare in modo preciso la componente del rischio insito nel (modello di) portafoglio riconducibile al rischio 38 sistematico e la componente residua. Ciò offre, come conseguenza utile e immediata, la possibilità di capire quanto rischio può essere ridotto con la diversificazione, e quanto può essere coperto con strumenti di portafoglio o con strumenti ad hoc. I concetti citati sopra sottendono anche l’assetto regolamentare sui requisiti patrimoniali di Basilea 2 (Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (2006) e Gordy (2003)) e, anche se ciò esula dall’argomento di questo articolo, è comunque utile fare una rapida precisazione al riguardo. Se possiamo ipotizzare che il mondo sia guidato da un fattore di rischio univariato A, che la perdita attesa del portafoglio condizionata da A E[Y | A] sia una funzione monotona di questo fattore, e che il portafoglio sia di “granularità infinita”, allora la perdita di portafoglio è una trasformazione uno a uno del fattore di rischio: Y = E[Y | A]. L’assetto di Basilea 2 opta per prescrizioni semplici, in modo da facilitare il calcolo dei quantili di E[Y | A]. Ora, se desideriamo incorporare gli effetti del rischio non sistematico (portafoglio finito; esposizioni grandi o abbastanza grandi) possiamo tipizzare la perdita come Y = X + U, con X = E[Y | A] (la perdita dell’ipotetico portafoglio a “granularità infinita”, che non deve esistere nella realtà) e U che denota un residuo gaussiano indipendente della varianza s2 . La differenza tra i P-quantili superiori di X e Y è data dalla formula di correzione per la granularità (granularity adjustment GA) (cfr. Martin & Wilde (2002) e relativi riferimenti): VARP [Y ] ~ VARP [ X ] − 1 d 2 σ (x) f (x) 2 f ( x ) dx x=VAR (1) P [X] dove f è la densità di X. Si noti peraltro che la shortfall-GA1 è: S P+ [Y ] ~ S P+ [ X ] + 1 2 σ (x) f (x) 2P x=VAR P [ X ] risultato che appare, già a un livello superficiale, migliore di quello del valore a rischio (VAR), ed è superiore da un punto di vista analitico, in quanto la correzione è sempre positiva (su questo argomento torneremo più avanti nell’articolo2). Si noti che ai fini delle formule GA citate in precedenza non è necessario che A abbia carattere univariato; tuttavia, in mancanza di tale a ESF S + o S − è definita da E[Y | Y > y] o E[Y | Y < y] dove Y è la perdita (o valore) di portafoglio e L y è il VAR alla probabilità di coda prescelta. Se Y non ha una distribuzione continua, la definizione della ES dovrà essere modificata (cfr. Acerbi e Tasche, 2002). La scelta dei segni >,< riflette il fatto che Y può denotare la perdita (segno >) o il valore (segno <) di portafoglio. D’ora in avanti, adotteremo per semplicità la convenzione secondo cui Y denota la perdita, ma chiaramente la teoria funziona ugualmente in entrambi i casi. 2 Cfr. anche Gordy (2004). 1 Risk Italia Primavera 2007 TECH_martin&tasche_IT.indd 38 4/6/07 12:33:38 condizione, il calcolo del VAR di E[Y | A] risulta molto più complicato. D’ora in poi, quindi, non faremo alcuna ipotesi sulla distribuzione di A, o sulla distribuzione condizionata di Y dato A, mantenendo più generale tutta la trattazione. Proseguendo in base alle idee sopra espresse, cominciamo scrivendo Y = µY A ( + Y − µY A ) Teoria in cui mY|A = E[Y | A] denota la media condizionata di Y dato A (quindi una variabile casuale). È allora naturale considerare la seguente espressione: E Y Y > y = E µ Y A Y > y + residuo In questo articolo, quindi: n esploriamo la relazione fra questa e la nota analisi della formula di varianza: V [Y ] = V µ Y A + E σ Y2 A (2) i n cui i termini del lato destro indicano quanto rischio proviene dalla variazione del fattore (dei fattori) di rischio (V[mY|A]) e quanto dal rischio residuo (E[s2Y | A]). Identifichiamo quindi il termine “residuo” in (2) come contributo del rischio non sistematico e dimostriamo che la scomposizione sarà essenzialmente identica per un modello di portafoglio normale multivariato e per le distribuzioni ellittiche (come la t di Student); n colleghiamo tale risultato alla teoria dell’omogeneità delle misure di rischio ed estendiamo ulteriormente l’analisi per dimostrare che non si applica perfettamente al VAR; n illustriamo, con un esempio, che le scomposizioni della ES e di media-varianza producono risultati essenzialmente diversi per i modelli del rischio di credito, che producono tipicamente distribuzioni asimmetriche; n infine, estendiamo ulteriormente l’analisi considerando il concetto di ‘CI-monotonicity’, con cui intendiamo che, in un framework di indipendenza condizionata, un incremento del rischio sistematico o non sistematico dovrà produrre un aumento della misura di rischio. Se ciò non accade, l’ottimizzazione del portafoglio risulterà alquanto bizzarra, dato che viene aumentata l’esposizione a un’attività non correlata per “ridurre il rischio”. Si noti che non intendiamo con questo criticare il concetto di diversificazione: ridurre il TECH_martin&tasche_IT.indd 39 n Scomposizione sistematica della ES. Cominciamo con la definizione della parte sistematica: E µY che divide la ES in due parti. In generale, la distribuzione di mY|A non è risolvibile in “forma chiusa”. Nella pratica ciò non rappresenta un problema dato che, una volta conclusi i calcoli, l’operazione prosegue calcolando la media condizionata E[Y | A] per ognuno dei molti scenari per A ottenuti; la distribuzione di mY|A è allora approssimata dalla distribuzione empirica del campione generato. Il primo termine si identifica come il contributo del rischio sistematico alla ES del portafoglio (in breve “la componente sistematica”). Va notato peraltro che ciò rappresenta una conseguenza naturale della rappresentazione integrale di Fourier della shortfall, utilizzata nell’approssimazione “saddle-point” (Martin (2006)). rischio di portafoglio aumentando, da un lato, l’esposizione a un’attività non correlata e diminuendo, dall’altro, quella alle altre attività, è legittimo; tuttavia la misura complessiva del rischio non deve diminuire se l’esposizione a un’attività aumenta senza una parallela diminuzione delle altre. Il VAR non rispetta tale regola (e quindi non è “coerente” nel senso di Artzner, et al.), mentre la ES sì (ed è pertanto coerente). A Y > y (3) La stessa equazione può essere scritta come la somma della media e della covarianza della perdita attesa condizionata e della probabilità della coda: µY + 1 P+ V µ Y A , P Y > y A (4) con P+ = P[Y > y] e mY = E[Y]. (ciò risulta ovvio quando si espande la covarianza all’attesa del prodotto meno il prodotto delle attese; il secondo termine cancella la mY.) Ciò è in collegamento con la teoria della media-varianza: la misura di rischio pari alla “somma della media e di un dato numero di deviazioni standard” è: µ Y + ησ Y = µ Y + η η 2 V µ + E σ σY Y A σY Y A (5) quindi il secondo termine è la covarianza di mY|A con sé stesso (× h/sY). Pertanto le espressioni del contributo del rischio sistematico hanno in comune il fatto di essere la media più la covarianza della perdita attesa condizionata con qualcosa di ragionevolmente naturale (la probabilità condizionata della coda in (4), la perdita attesa condizionata in (5)). Come vedremo in seguito, quando la distribuzione congiunta dei rendimenti delle attività in portafoglio è normale multivariata, le scomposizioni sono di fatto identiche. Ma, prima di passare a questo punto, intendiamo esplorare più in dettaglio il contributo del rischio non sistematico. n Interpretazione usando l’omogeneità. Un altro calcolo dei contributi sistematico/non sistematico alla ES si avvale del fatto che l’ES è una misura di rischio positivamente omogenea di grado 1. Per una misura di rischio R che sia positivamente omogenea di grado d (ovvero, R[qX] = qdR[X] per q > 0), si consideri la funzione: ( G ( u, v ) = R uµ Y A ( + v Y − µY A )) Secondo il lemma di Eulero: R [Y ] = G (1,1) = 1 ∂G ∂G +v u d ∂u ∂v u = v=1 (6) riskitalia.com 39 4/6/07 12:33:43 APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI la quarta è la ES dell’intero portafoglio. Si noti che l’espressione equivalente per la media varianza è: 1 L’aggiunta di rischio non sistematico può ridurre il VAR PDF 1/2 σ Y−1V µ Y A ≤ V µ Y A D I E V W > w ≤ E V V > v La figura indica la funzione di densità di probabilità (PDF) del “portafoglio a granularità infinita”. Per i quantili vicini a I, il VAR aumenta con l’aggiunta di piccole quantità di rischio non correlato, mentre diminuisce per quelli vicini a D. L’anomalia non può verificarsi nella ES. Di conseguenza si è indotti a considerare d−1(∂G/∂u)u=v=1 e d−1(∂G/ ∂v)u=v=1 rispettivamente, come i contributi al rischio sistematico e non sistematico. Applicate alla ES, queste producono (d = 1): A ∂G Y > y, = E Y − µ Y ∂v u = v=1 A Y > y il linea con (3)3. Inoltre, nel caso della media varianza abbiamo (R = varianza, d = 2): 1 ∂G 1 ∂G = V µY A , = E σ Y2 A 2 ∂v 2 ∂u u = v=1 u = v=1 come desiderato. In generale, il rapporto (fra rischio sistematico e totale) può essere considerato come un R-quadro generalizzato (coefficiente di regressione), in quanto ci indica che parte del rischio totale di Y è riconducibile a mY|A , la migliore previsione nel senso dei minimi quadrati di Y dato A. n Il contributo non sistematico è positivo. L’argomentazione seguente indica come la ES del “portafoglio a granularità infinita” e quella del portafoglio reale sono collegate. Abbiamo: E µY A Y > y ≤ E µY = E Y µ Y A A µY A > y * > y * ≤ E Y Y > y (7) Qui, y è il VAR del portafoglio e y* è il VAR di mY|A per la medesima probabilità di coda. Nella (7), la prima espressione è il contributo del rischio sistematico al rischio complessivo; la seconda è la ES della parte sistematica considerata separatamente; 3 40 Cfr. Tasche (1999), Cor. 5.7, per il risultato sulle derivate della ES. (8) dove sY è la deviazione standard di Y. Mentre il risultato per la media-varianza è chiaro dalla (2), lo stesso non si può dire per quello della ES (7), che quindi cerchiamo di dimostrare. Il modo più semplice per trattare nello stesso tempo entrambe le disuguaglianze è di utilizzare questo risultato: se V, W sono due variabili casuali e v, w sono scelte in modo che P[V > v] = P[W > w], allora: Perdita ∂G = E µY ∂u u = v=1 ≤ σY Per la prova, si noti che se B denota qualsiasi variabile casuale compresa in [0, 1] allora: E (V − v ) ( B − 1 [V > v ]) ≤ 0 perché se V > v allora 1[V > v] = 1 e B − 1[V > v] ≤ 0, mentre se V ≤ v allora 1[V > v] = 0 e B − 1[V > v] ≥ 0; in entrambi i casi il prodotto è ≤ 0. Si ponga quindi B = 1[W > w]. L’eguaglianza centrale segue dall’esame di E[Y1[mY|A > y*]: in primo luogo condizioniamo ad A, trasformando Y in mY|A , e quindi integriamo per A. Dalla (7) osserviamo immediatamente che il contributo della parte non sistematica della ES, E[Y − mY|A | Y > y], è necessariamente positivo. Lo stesso vale per la varianza: sY − sY−1 V[mY|A] > 0. Tali disuguaglianze possono essere considerate come conseguenze della convessità delle misure di rischio. Di fatto, la proprietà secondo cui i contributi del rischio non possono superare il corrispondente rischio preso isolatamente (ovvero, (7) e (8)) dipende dalla subadditività della misura di rischio, se positivamente omogenea di grado uno (cfr. Tasche (2002), Proposition 2.5). Se cerchiamo di costruire un’espressione analoga alla (7) per il VAR, essa non avrà questa proprietà. Dalla (6), il contributo del rischio sistematico al VAR è E[mY|A | Y = y] (la prova segue gli argomenti dati in Gouriéroux, Laurent e Scaillet (2000)). Ma ora: E µY A Y = y </ E µ Y = E Y µ Y A A µY A = y * ≡ y * = y * </ E Y Y = y ≡ y (9) (Il simbolo ‘a </ b’ significa, in modo un po’ inusuale, ‘a può non essere inferiore a b’, ovvero che l’affermazione a < b può essere falsa.) Anche qui y e y* denotano il VAR di Y e di mY|A per la stessa probabilità di coda superiore. Abbiamo visto solo esempi artificiali in cui si viola la prima disuguaglianza, ma la seconda è più facile da dimostrare: la formula GA (1) indica che, se la densità di E[Y | A] aumenta nella porzione di coda in cui diminuisce il VAR (cfr. figura 1), allora l’aggiunta di piccole quantità di rischio non sistematico ha l’effetto di ridurre il VAR. Come invece abbiamo indicato nell’introduzione, la sensibilità della ES a piccole quantità di rischio non sistematico gaussiano è sempre positiva; abbiamo inoltre dimostrato nell’articolo che è positiva per qualsiasi importo di rischio non sistematico. Pertanto tale anomalia non si verifica mai. Risk Italia Primavera 2007 TECH_martin&tasche_IT.indd 40 4/6/07 12:33:50 n Modello normale multivariato e modello ellittico. In precedenza abbiamo confrontato i framework relativi alla mediavarianza e alla ES ((4) e (5)). Proseguendo ulteriormente in questa direzione, possiamo chiederci se le scomposizioni della ES e della media varianza producono lo stesso risultato in tutti i casi particolari. Cominciamo con portafoglio e fattore di rischio a distribuzione normale multivariata, per cui le due misure sono equivalenti. Sia il fattore di rischio A ~ N(0, S) e scriviamo: Y = µ + k ′A + U dove k è il vettore dei pesi dei fattori e U ~ N(0, s2U) è indipendente da A e rappresenta il rischio non sistematico. Allora: µY A σ Y2 A fY A = µ + k ′A ( y) = 1 y − µ − k ′A φ σ U σU Il contributo sistematico a ES è quindi: 1 µ + k ′A − y E ( µ + k ′A ) Φ σU P + µ − y k ′ Σk µ − y 1 µΦ + φ + σ Y σ Y σ Y P (dato che l’integrazione su A può essere svolta in forma chiusa) mentre il contributo non sistematico è: 1 σ2 µ − y E σ U2 fY A = + U φ P P σ Y σ Y 1 + dove s2Y = k′Sk + s2U è la varianza non condizionata di Y. Si noti che P+ = Φ((m − y)/sY) il che significa che il primo termine della componente sistematica è m, come previsto. Per fare il confronto con il framework della media varianza, sia la relativa misura di rischio uguale alla media più h deviazioni standard, ovvero, mY + hsY. Le componenti sistematica e non sistematica sono quindi rispettivamente: µ+η k ′ Σk σY e η σ U2 σY Ponendo h = f(Φ−1(P+))/P+, una definizione che dipende unicamente dalla scelta della probabilità della coda piuttosto che dal portafoglio in questione, le scomposizioni ES e di media varianza concordano. La componente sistematica è proporzionale al quadrato delle correlazioni (ovvero, “k TECH_martin&tasche_IT.indd 41 1 Beta = 0,3 Beta = 0,5 Beta = 0,7 0,1 0,01 0,001 0 5 10 15 Perdita 20 25 30 = σ U2 µ + k ′A − y P Y > y A = Φ σU = 2 Distribuzioni delle perdite per il portafoglio ipotetico con diverse ipotesi di correlazione Probabilità della coda Esempi con diversi modelli di portafoglio quadro”) mentre quella non sistematica è inversamente proporzionale alle dimensioni del portafoglio (non inversamente proporzionale alla sua radice quadrata). Poiché h è indipendente dalla media e varianza del portafoglio, il risultato si estende automaticamente alle distribuzioni ellittiche di varianza finita, dato che il modello ellittico è ottenuto dal modello normale, ponendo la varianza come casuale e procedendo per integrazione (nel caso t di Student, per esempio, la distribuzione è gamma reciproca). n Portafoglio prestiti. Questo esempio dimostra invece che i risultati ottenuti per la ES e media varianza non concordano sempre. Prendiamo come prova un portafoglio ipotetico di 50 prestiti a rischio di default. Per semplicità assumiamo che i tassi di recupero siano uguali a zero, che le esposizioni si collochino nell’intervallo da uno a cinque e che le probabilità medie di default siano (a grandi linee) nell’intervallo 0,2-2%. La correlazione è modellata con una copula gaussiana a un fattore, il che significa che il fattore di rischio è V ~ N(0, 1) e la probabilità di insolvenza condizionata è data dalla solita formula: Φ −1 ( p ) − β V i i pi V = Φ 1 − β i2 Poiché intendiamo variare b, per semplicità attribuiamo la stessa b a ciascuna attività, anche se ciò non è chiaramente necessario. La figura 2 illustra le distribuzioni delle perdite per tre diversi valori di b – 0,3, 0,5 e 0,7 – corrispondenti, in un contesto reale, a un grado di correlazione basso, moderato ed elevato. Come atteso, le distribuzioni diventano più leptocurtiche con l’aumentare della correlazione. Più significativi sono i risultati delle scomposizioni in componenti sistematiche/non sistematiche (illustrati nella figura 3) per la deviazione standard e la ES con probabilità di coda superiore allo 0,5% (per rendere le due misure più direttamente comparabili, la perdita attesa è dedotta dal contributo sistematico alla ES). Quando la correlazione è bassa, il rischio è principalmente non sistematico, mentre quando è alta diventa principalmente sistematico, come atteso. riskitalia.com 41 4/6/07 12:33:55 APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI Proporzione della componente non sistematica (%) 3 Proporzione di rischio non sistematico nel portafoglio quale funzione della correlazione b 100 Deviazione standard ES (per probabilità della coda 0,5%) 90 80 70 60 50 40 Su questo fronte le due misure di rischio danno risultati per lo più analoghi. Ponendo b = 0.5, aumentiamo significativamente le esposizioni a tre delle entità in portafoglio, da 5, 5 e 5 a, rispettivamente, 25, 12 e 15. L’impatto di tale cambiamento è maggiore sul rischio di coda rispetto alla deviazione standard. Inoltre, poiché si tratta di rischio principalmente riconducibile a esposizioni single-name, dobbiamo attenderci che la componente non sistematica vari in misura considerevolmente maggiore per la ES piuttosto che per la deviazione standard – attesa che è di fatto confermata dalla figura 4b. Monotonia in un quadro di indipendenza condizionata (CI-monotonicity) 30 20 10 0 0,4 0,2 0 Beta 0,6 0,8 1,0 Passiamo ora a un tema più generale, analizzando ciò che accade con l’aggiunta di un nuovo strumento rischioso al portafoglio. L’analisi si interessa principalmente a ciò che accade al variare degli importi del rischio sistematico e non sistematico. Per cominciare riscriviamo l’espressione per la ES in cui la distribuzione condizionata di Y | A è normale: 4 Effetto dell’aggiunta di rischi di coda sotto forma di grandi esposizioni a emittenti con elevato merito di credito a. Probabilità della coda 1 Caso di base Dopo perturbazione 0,1 0,01 0,001 0 10 15 Perdita 20 25 30 fY Deviazione standard ES 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Caso di base Dopo perturbazione Il “caso di base” è la figura 2 con β = 0,5. In (a) il rischio complessivo aumenta. In (b) la proporzione di rischio non sistematico è aumentata e l’incremento è sostanzialmente più elevato per la ES che per la deviazione standard 42 µY A − y µY A − y E µ Φ + σ φ (10) Y A Y A P+ σY A σ Y A 1 (cfr. anche Martin (2006)). Poiché l’espressione ottenuta nella (10) è in forma (...)mY | A + (...)sY | A, appare ragionevole cercare di interpretare i coefficienti come la sensibilità della ES a mY | A e sY | A . Naturalmente, l’analisi è complicata dal fatto che anche i coefficienti dipendono da mY | A e sY | A . Nondimeno, si tratta di una strada che vale la pena di essere esplorata. Consideriamo un modello arbitrario a indipendenza condizionata e chiediamoci come cambiano le misure di rischio quando viene alterata la distribuzione delle perdite. Nell’effettuare tale perturbazione, trattiamo il rischio sistematico e non sistematico in modo separato. Il modello è che, condizionatamente al fattore di rischio A, la densità della perdita è ipotizzata uguale a: b. 100 Proporzione della componente non sistematica (%) 5 E Y Y > y = A ( y) = 1 σY A y − µY A ψA σY A per una data funzione di densità di probabilità ψ normalizzata a media zero e varianza uno. Il deponente di ψA indica che la forma della distribuzione può anche dipendere dal fattore di rischio. Il caso che abbiamo appena considerato è che la distribuzione delle perdite è normale condizionalmente al fattore di rischio, ovvero, ψA(x) = f(x). La variazione di mY|A (al variare di A) costituisce il rischio sistematico, mentre s2Y|A è il rischio non sistematico.4 Consideriamo quindi la misura di rischio R ponendo le condizioni che sia una funzione crescente di mY|A e s2Y|A (a loro volta funzioni di A): ∂R [Y ] ∂R [Y ] > 0, >0 ∂µ Y A ∂σ Y A 4 on esiste un’ interpretazione immediata dei momenti condizionati di ordine superiore in termini di N rischio sistematico e non sistematico. Pertanto la definizione di CI-monotonia implica solo i primi due momenti. Risk Italia Primavera 2007 TECH_martin&tasche_IT.indd 42 4/6/07 12:34:00 Si noti che stiamo operando una differenziazione rispetto alla media condizionata e alla deviazione standard. Se queste condizioni sono soddisfatte, diremo che R è CI-monotona. Si noti che né la misura tradizionale “somma della media e di un dato numero di deviazioni standard”, né il VAR hanno tale caratteristica. Per dimostrare che la misura di rischio mY + hsY non è CImonotona, la scriviamo per esteso come: R [Y ] = µ Y + ησ Y ( = E µY A + η E µY A − µY ) 2 2 + E σ Y A δµ Y A + ησ Y A σY 1 y − µY A y − µY A 1 δP − = E ψA ψA δy − σY A σ Y A σY A σY A A σ Y2 A A y − µY A ψA δσ Y σY A A (11) Per trovare la sensibilità del VAR – ovvero, per trovare dy – poniamo dP − uguale a zero. Così facendo, riscontriamo che il coefficiente di dmY|A è positivo, ma che quello di dsY|A è negativo quando la media condizionata mY|A supera il VAR y. Pertanto, è possibile che un incremento del rischio non sistematico (varianza condizionata) riduca il VAR – come indicato in figura 1 e preannunciato dalla formula GA (1). Tuttavia, la ES è CI-monotona, come ci accingiamo a dimostrare. Denotando il VAR con y, abbiamo la seguente espressione per la ES: TECH_martin&tasche_IT.indd 43 ⌠ ∞ x − µY A y − µY A 1 y +E ψA dx + ψ δµ A σ σY A σY A σY A Y Y A ⌡ y ( ⌠ ∞ y y − µY x − µY A µY A − x +E − ψA dx + 2 σY A σ Y2 A σY A ⌡ y A A A ) Come con il VAR, richiediamo che la probabilità della coda non sia influenzata dalla perturbazione, e quindi che il quantile (y) vari mentre dP − = 0. Usando la (11) eliminiamo il differenziale _ y considerando d(P+ S) + ydP . Otteniamo così: ( δ P S + + ) ⌠ ∞ x − µY A 1 = E ψA dxδµ Y σY A σY A ⌡y ⌠ ∞ x − µ Y +E 2 σ Y A ⌡y (qui YA(y) = ∫ y−∞ yA(x)dx). Prendendo i differenziali rispetto a mY | , sY | A si ottiene: A y − µY ) y − µY A × ψA δσ Y σ Y A δσ Y A y − µY A P − = E Ψ A σ Y A − Prendendo i differenziali, integrando termine a termine e ripulendo il tutto abbiamo: ( 1/2 Pertanto il coefficiente di dmY|A non è necessariamente positivo: se la perdita media condizionata è inferiore alla media non condizionata, il suo aumento induce una riduzione della varianza. Il coefficiente di dsY|A però, è positivo: la sensibilità al rischio non sistematico è “corretta”. Per dimostrare che il VAR non è CI-monotono, cominciamo con l’espressione per la probabilità di coda inferiore: × δµ Y 1 y y − µY A δ P + S + = −E ψA δy σ Y A σ Y A Dobbiamo ora tenere presente che mY|A e s2Y|A sono variabili casuali e quindi delle funzioni (definite nello spazio di valori possibili di A e prendendo valori reali). Perturbando mY|A → mY|A + dmY|A , ecc., e così differenziando R[Y] rispetto a queste funzioni, troviamo che la variazione in R è: µY A − µY δR = E 1 + η σY ⌠ ∞ x − µY A x S = + E ψA dx σY A σY A P ⌡y + A A x − µY A ψA dxδσ Y A σY A La proprietà di CI-monotonia ricercata è provata se possiamo verificare che gli integrali nei due termini in parentesi quadra sono positivi. Il primo lo è chiaramente dato che l’integrando è positivo, mentre per il secondo richiede un po’ più di lavoro. Condizionando su A: se y > mY|A l’integrando è positivo; in caso y contrario, scriviamo l’integrale come ∫ ∞–∞ − ∫ −∞ , in cui il primo integrale è zero (per normalizzazione di yA) e il secondo ha un integrando negativo. La prova della CI-monotonia della ES dimostra che la ES non è l’unica misura di rischio coerente che abbia tale proprietà. Qualsiasi misura di rischio che può essere scritta come una combinazione lineare (con coefficienti positivi che sommano a uno) delle ES a diversi livelli P+ sarà anche CI-monotona. Il teorema 7 in Kusuoka (2001) mostra che tutte le misure di rischio coerenti, stimabili (law-invariant) e comonotonicamente additive possono essere rappresentate in questo modo. Come indicato nel teorema 3.6 di Tasche (2002), queste misure di rischio non sono altro che le misure spettrali introdotte da Acerbi (2002). La law-invariance di una misura di rischio significa che il valore della misura dipende dal suo argomento solo tramite la distribuzione di probabilità dell’argomento. Tale proprietà è implicitamente richiesta dalla definizione di CI-monotonia. Pertanto, non vi sono misure di rischio CI-monotone che non riskitalia.com 43 4/6/07 12:34:06 APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI siano anche law-invariant. L’addittività comonotona significa che la misura di rischio è additiva per gli argomenti comonotoni, ossia rispetto a variabili casuali che possono essere rappresentate come funzioni crescenti di un fattore casuale comune. Il teorema 4 in Kusuoka (2001) implica che, in generale, le misure di rischio coerenti, stimabili ma non comonotonicamente additive non saranno CI-monotone. Analogamente, le misure di rischio CI-monotone non sono necessariamente coerenti. Si consideri per esempio, la misura definita come la terza potenza della ES. Questa è CI-monotona ma non omogenea e quindi coerente. Osservazioni conclusive Non siamo stati molto espliciti in merito al significato pratico del fattore di rischio A, perché tale interpretazione non è necessaria allo sviluppo della teoria. Nei modelli del rischio di credito a un fattore, A corrisponde allo “stato generale dell’economia”. Portafogli più complessi richiedono modelli multifattoriali, comunemente5 ottenuti usando i settori industriali. In un contesto multifattoriale, la teoria consente di operare la seguente distinzione in modo relativamente preciso. Si considerino due portafogli, entrambi con significative esposizioni al settore automobilistico (per esempio): l’esposizione di A deriva dalla presenza in portafoglio di diverse controparti operanti nel settore, mentre l’esposizione di B dipende da una significativa esposizione a un singolo grande emittente (per esempio, Ford). Se ci limitiamo ad aggregare i contribuiti di rischio degli emittenti per settore, potremmo pensare che gli scenari di A e B siano simili, ma la tecnica descritta in questo articolo rivela che B è caratterizzato da una quantità di rischio non sistematico significativamente superiore, e ciò consente di concludere che la corretta copertura per il portafoglio A è una protezione a paniere sul settore auto, laddove per B è un CDS single-name su Ford. Una domanda che sorge spontanea è se il rischio di portafoglio può essere nel contempo scomposto per emittente e in “sistematico/ non sistematico”. Nel contesto dell’esempio nella figura 4, invitiamo a concludere che la maggior parte del rischio non sistematico deriva dalle attività per cui sono state aumentate le esposizioni, dato che si tratta di importanti esposizioni single-name che richiedono coperture single-name. La risposta alla domanda è positiva e questo sarà l’argomento di prossimi lavori. n 5 Riferimenti bibliografici Acerbi C, 2002 Spectral measures of risk: a coherent representation of subjective risk aversion Journal of Banking and Finance 26 (7), pp. 1505–1518 Gouriéroux C, J-P Laurent e O Scaillet, 2000 Sensitivity analysis of values at risk Journal of Empirical Finance 7 (3), pp. 225–245 Acerbi C e D Tasche, 2002 On the coherence of expected shortfall Journal of Banking and Finance 26 (7), pp. 1487–1503 Kusuoka S, 2001 On law invariant risk measures Advances in Mathematical Economics 3, pp. 83–85 Artzner P, F Delbaen, J-M Eber e D Heath, 1999 Coherent measures of risk Mathematical Finance 9, pp. 203–228 Martin R, 2006 The saddlepoint method and portfolio optionalities Risk dicembre, pp. 93–95 Basel Committee on Banking Supervision, 2006 Basel II: international convergence of capital measurement and capital standards: a revised framework – comprehensive version Gordy M, 2003 A risk-factor model foundation for ratings-based bank capital rules Journal of Financial Intermediation 12 (3), pp. 199–232 Gordy M, 2004 Granularity adjustment in porfolio credit risk management Risk Measures for the 21st Century, a cura di G Szegö, Wiley Martin R e T Wilde, 2002 Unsystematic credit risk Risk novembre, pp. 123–128 Tasche D, 1999 Risk contributions and performance measurement Working paper, Technische Universität Munchen Tasche D, 2002 Expected shortfall and beyond Journal of Banking and Finance 26 (7), pp. 1519–1533 Richard Martin è responsabile quantitative credit strategy presso Credit Suisse a Londra. Dirk Tasche è risk analyst presso la Deutsche Bundesbank a Francoforte. Gli autori desiderano ringraziare due referee anonimi per gli utili commenti a una bozza precedente dell’articolo. Le opinioni espresse nell’articolo sono degli autori e non impegnano le istituzioni di appartenenza. E-mail: [email protected], [email protected] Per esempio, in PortfolioRisk+ di Credit Suisse (www.portfolioriskplus.com). Forte impatto Basso costo incisivemedia.com IMREP_ADRiskIT_198x65.indd 1 44 La ristampa di articoli di Risk Italia rappresenta uno strumento promozionale di elevato impatto e di notevole efficacia, ad un prezzo interessante Le ristampe sono personalizzabili con il logo, l’immagine aziendale e le comunicazioni pubblicitarie dei singoli inserzionisti. 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