APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI
Expected shortfall –
una coda in due parti
Richard Martin e Dirk Tasche dimostrano che l’expected
shortfall, se utilizzata in un framework di indipendenza
condizionata, consente un’elegante scomposizione del
rischio in componente sistematica (risk-factor-driven)
e non sistematica. La teoria è raffrontata con la nota e
analoga scomposizione della varianza
Una delle sfide
insite nella gestione del rischio e
nella negoziazione di portafogli e
di derivati su portafogli riguarda la difficoltà di individuare
l’origine dei rischi – amplificata dalla presenza di più sottostanti.
Dieci anni fa l’obiettivo della modellazione del portafoglio crediti
era di costruire una distribuzione delle perdite o dei profitti e
delle perdite, che misurasse il rischio solo a livello di portafoglio.
Più di recente, la comparsa di diversi strumenti finanziari quali i
credit default swap (CDS), i derivati e le opzioni su indici, le
tranche di CDO e i veicoli di cartolarizzazione ha reso più facile
la copertura e cartolarizzazione del rischio. La domanda di
strumenti per la gestione dei rischi di credito e di default da parte
dei gestori di CDO e di portafogli crediti ha favorito due sviluppi
tecnici: i modelli di correlazione e le tecniche analitiche per il
trattamento del rischio asimmetrico. Per quanto riguarda i primi,
i lavori hanno teso a grandi linee a convergere sul framework
dell’indipendenza condizionata (conditional independence, CI),
che consente affermazioni concrete sulla volatilità dei tassi di
default e sulle perdite potenziali ed è attualmente utilizzato tanto
nel risk management che nel pricing. Da parte loro, i lavori sulle
tecniche analitiche hanno fatto emergere la necessità di misure di
rischio diverse dalla normale media-varianza, favorendo
l’affermazione della expected shortfall (ES) quale misura del
rischio adeguata, sensibile al rischio di coda e coerente (cfr.
Artzner, et al., (1999) e Acerbi & Tasche (2002)); l’expected
shortfall è peraltro strettamente collegata al concetto di payout
delle tranche e quindi al mondo delle CDO e delle cartolarizzazioni
in generale.
Per collegare i concetti di indipendenza condizionata, ES e
“origine del rischio”, il presente articolo analizza l’applicazione
della ES a modelli a indipendenza condizionata (CI) e indica un
modo per quantificare in modo preciso la componente del rischio
insito nel (modello di) portafoglio riconducibile al rischio
38
sistematico e la componente residua. Ciò offre, come conseguenza
utile e immediata, la possibilità di capire quanto rischio può essere
ridotto con la diversificazione, e quanto può essere coperto con
strumenti di portafoglio o con strumenti ad hoc.
I concetti citati sopra sottendono anche l’assetto regolamentare
sui requisiti patrimoniali di Basilea 2 (Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria (2006) e Gordy (2003)) e, anche se ciò esula
dall’argomento di questo articolo, è comunque utile fare una rapida
precisazione al riguardo. Se possiamo ipotizzare che il mondo sia
guidato da un fattore di rischio univariato A, che la perdita attesa
del portafoglio condizionata da A E[Y | A] sia una funzione
monotona di questo fattore, e che il portafoglio sia di “granularità
infinita”, allora la perdita di portafoglio è una trasformazione uno
a uno del fattore di rischio: Y = E[Y | A]. L’assetto di Basilea 2 opta
per prescrizioni semplici, in modo da facilitare il calcolo dei quantili
di E[Y | A]. Ora, se desideriamo incorporare gli effetti del rischio
non sistematico (portafoglio finito; esposizioni grandi o abbastanza
grandi) possiamo tipizzare la perdita come Y = X + U, con
X = E[Y | A] (la perdita dell’ipotetico portafoglio a “granularità
infinita”, che non deve esistere nella realtà) e U che denota un
residuo gaussiano indipendente della varianza s2 . La differenza tra
i P-quantili superiori di X e Y è data dalla formula di correzione per
la granularità (granularity adjustment GA) (cfr. Martin & Wilde
(2002) e relativi riferimenti):
VARP [Y ] ~ VARP [ X ] −
1
d 2
σ (x) f (x)
2 f ( x ) dx
x=VAR
(1)
P
[X] dove f è la densità di X. Si noti peraltro che la shortfall-GA1 è:
S P+ [Y ] ~ S P+ [ X ] +
1 2
σ (x) f (x)
2P
x=VAR P [ X ]
risultato che appare, già a un livello superficiale, migliore di quello
del valore a rischio (VAR), ed è superiore da un punto di vista
analitico, in quanto la correzione è sempre positiva (su questo
argomento torneremo più avanti nell’articolo2). Si noti che ai fini
delle formule GA citate in precedenza non è necessario che A
abbia carattere univariato; tuttavia, in mancanza di tale
a ESF S + o S − è definita da E[Y | Y > y] o E[Y | Y < y] dove Y è la perdita (o valore) di portafoglio e
L
y è il VAR alla probabilità di coda prescelta. Se Y non ha una distribuzione continua, la definizione
della ES dovrà essere modificata (cfr. Acerbi e Tasche, 2002). La scelta dei segni >,< riflette il fatto
che Y può denotare la perdita (segno >) o il valore (segno <) di portafoglio. D’ora in avanti,
adotteremo per semplicità la convenzione secondo cui Y denota la perdita, ma chiaramente la teoria
funziona ugualmente in entrambi i casi.
2
Cfr. anche Gordy (2004).
1
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condizione, il calcolo del VAR di E[Y | A] risulta molto più
complicato. D’ora in poi, quindi, non faremo alcuna ipotesi sulla
distribuzione di A, o sulla distribuzione condizionata di Y dato A,
mantenendo più generale tutta la trattazione.
Proseguendo in base alle idee sopra espresse, cominciamo
scrivendo
Y = µY
A
(
+ Y − µY
A
)
Teoria
in cui mY|A = E[Y | A] denota la media condizionata di Y dato A
(quindi una variabile casuale). È allora naturale considerare la
seguente espressione:
E Y Y > y  = E  µ Y

A
Y > y  + residuo

In questo articolo, quindi:
n esploriamo la relazione fra questa e la nota analisi della formula
di varianza:
V [Y ] = V  µ Y A  + E  σ Y2 A 




(2)
i n cui i termini del lato destro indicano quanto rischio
proviene dalla variazione del fattore (dei fattori) di rischio
(V[mY|A]) e quanto dal rischio residuo (E[s2Y | A]). Identifichiamo
quindi il termine “residuo” in (2) come contributo del rischio
non sistematico e dimostriamo che la scomposizione sarà
essenzialmente identica per un modello di portafoglio
normale multivariato e per le distribuzioni ellittiche (come la
t di Student);
n colleghiamo tale risultato alla teoria dell’omogeneità delle
misure di rischio ed estendiamo ulteriormente l’analisi per
dimostrare che non si applica perfettamente al VAR;
n illustriamo, con un esempio, che le scomposizioni della ES e di
media-varianza producono risultati essenzialmente diversi per i
modelli del rischio di credito, che producono tipicamente
distribuzioni asimmetriche;
n infine, estendiamo ulteriormente l’analisi considerando il
concetto di ‘CI-monotonicity’, con cui intendiamo che, in un
framework di indipendenza condizionata, un incremento del
rischio sistematico o non sistematico dovrà produrre un
aumento della misura di rischio. Se ciò non accade,
l’ottimizzazione del portafoglio risulterà alquanto bizzarra,
dato che viene aumentata l’esposizione a un’attività non
correlata per “ridurre il rischio”. Si noti che non intendiamo
con questo criticare il concetto di diversificazione: ridurre il
TECH_martin&tasche_IT.indd 39
n Scomposizione sistematica della ES. Cominciamo con la
definizione della parte sistematica:
E µY

che divide la ES in due parti. In generale, la distribuzione di mY|A
non è risolvibile in “forma chiusa”. Nella pratica ciò non
rappresenta un problema dato che, una volta conclusi i calcoli,
l’operazione prosegue calcolando la media condizionata E[Y | A]
per ognuno dei molti scenari per A ottenuti; la distribuzione di
mY|A è allora approssimata dalla distribuzione empirica del
campione generato. Il primo termine si identifica come il
contributo del rischio sistematico alla ES del portafoglio (in breve
“la componente sistematica”). Va notato peraltro che ciò
rappresenta una conseguenza naturale della rappresentazione
integrale di Fourier della shortfall, utilizzata nell’approssimazione
“saddle-point” (Martin (2006)).
rischio di portafoglio aumentando, da un lato, l’esposizione a
un’attività non correlata e diminuendo, dall’altro, quella alle
altre attività, è legittimo; tuttavia la misura complessiva del
rischio non deve diminuire se l’esposizione a un’attività
aumenta senza una parallela diminuzione delle altre. Il VAR
non rispetta tale regola (e quindi non è “coerente” nel senso di
Artzner, et al.), mentre la ES sì (ed è pertanto coerente).
A
Y > y

(3)
La stessa equazione può essere scritta come la somma della
media e della covarianza della perdita attesa condizionata e della
probabilità della coda:
µY +
1
P+
V  µ Y A , P Y > y A  


(4)
con P+ = P[Y > y] e mY = E[Y]. (ciò risulta ovvio quando si
espande la covarianza all’attesa del prodotto meno il prodotto
delle attese; il secondo termine cancella la mY.) Ciò è in
collegamento con la teoria della media-varianza: la misura di
rischio pari alla “somma della media e di un dato numero di
deviazioni standard” è:
µ Y + ησ Y = µ Y +
η 
η  2 
V µ +
E σ
σY  Y A  σY  Y A 
(5)
quindi il secondo termine è la covarianza di mY|A con sé stesso
(× h/sY). Pertanto le espressioni del contributo del rischio
sistematico hanno in comune il fatto di essere la media più la
covarianza della perdita attesa condizionata con qualcosa di
ragionevolmente naturale (la probabilità condizionata della coda
in (4), la perdita attesa condizionata in (5)). Come vedremo in
seguito, quando la distribuzione congiunta dei rendimenti delle
attività in portafoglio è normale multivariata, le scomposizioni
sono di fatto identiche. Ma, prima di passare a questo punto,
intendiamo esplorare più in dettaglio il contributo del rischio
non sistematico.
n Interpretazione usando l’omogeneità. Un altro calcolo dei
contributi sistematico/non sistematico alla ES si avvale del fatto
che l’ES è una misura di rischio positivamente omogenea di
grado 1. Per una misura di rischio R che sia positivamente
omogenea di grado d (ovvero, R[qX] = qdR[X] per q > 0), si
consideri la funzione:
(
G ( u, v ) = R uµ Y
A
(
+ v Y − µY
A
))
Secondo il lemma di Eulero:
R [Y ] = G (1,1) =
1  ∂G
∂G 
+v
 u

d
∂u
∂v  u = v=1 (6)
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39
4/6/07 12:33:43
APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI
la quarta è la ES dell’intero portafoglio. Si noti che l’espressione
equivalente per la media varianza è:
1 L’aggiunta di rischio non sistematico può ridurre il
VAR
PDF
1/2
σ Y−1V  µ Y A  ≤ V  µ Y A 




D
I
E V W > w  ≤ E V V > v 
La figura indica la funzione di densità di probabilità (PDF) del
“portafoglio a granularità infinita”. Per i quantili vicini a I, il VAR
aumenta con l’aggiunta di piccole quantità di rischio non correlato,
mentre diminuisce per quelli vicini a D. L’anomalia non può
verificarsi nella ES.
Di conseguenza si è indotti a considerare d−1(∂G/∂u)u=v=1 e d−1(∂G/
∂v)u=v=1 rispettivamente, come i contributi al rischio sistematico e
non sistematico. Applicate alla ES, queste producono (d = 1):
A
 ∂G 
Y > y, 
= E Y − µ Y
  ∂v 

u = v=1
A
Y > y

il linea con (3)3. Inoltre, nel caso della media varianza abbiamo (R
= varianza, d = 2):
1  ∂G 
1  ∂G 
= V µY A  ,
= E  σ Y2 A 



 2  ∂v 


2  ∂u  u = v=1
u = v=1
come desiderato. In generale, il rapporto (fra rischio sistematico e
totale) può essere considerato come un R-quadro generalizzato
(coefficiente di regressione), in quanto ci indica che parte del
rischio totale di Y è riconducibile a mY|A , la migliore previsione nel
senso dei minimi quadrati di Y dato A.
n Il contributo non sistematico è positivo. L’argomentazione
seguente indica come la ES del “portafoglio a granularità infinita”
e quella del portafoglio reale sono collegate. Abbiamo:
E µY

A
Y > y  ≤ E µY


= E Y µ Y

A
A
µY
A
> y *

> y *  ≤ E Y Y > y 

(7)
Qui, y è il VAR del portafoglio e y* è il VAR di mY|A per la
medesima probabilità di coda. Nella (7), la prima espressione è il
contributo del rischio sistematico al rischio complessivo; la
seconda è la ES della parte sistematica considerata separatamente;
3
40
Cfr. Tasche (1999), Cor. 5.7, per il risultato sulle derivate della ES.
(8)
dove sY è la deviazione standard di Y. Mentre il risultato per la
media-varianza è chiaro dalla (2), lo stesso non si può dire per
quello della ES (7), che quindi cerchiamo di dimostrare.
Il modo più semplice per trattare nello stesso tempo entrambe
le disuguaglianze è di utilizzare questo risultato: se V, W sono
due variabili casuali e v, w sono scelte in modo che P[V > v] =
P[W > w], allora:
Perdita
 ∂G 
= E µY



∂u  u = v=1
≤ σY
Per la prova, si noti che se B denota qualsiasi variabile casuale
compresa in [0, 1] allora:
E (V − v ) ( B − 1 [V > v ])  ≤ 0
perché se V > v allora 1[V > v] = 1 e B − 1[V > v] ≤ 0, mentre se
V ≤ v allora 1[V > v] = 0 e B − 1[V > v] ≥ 0; in entrambi i casi il
prodotto è ≤ 0. Si ponga quindi B = 1[W > w]. L’eguaglianza
centrale segue dall’esame di E[Y1[mY|A > y*]: in primo luogo
condizioniamo ad A, trasformando Y in mY|A , e quindi integriamo
per A.
Dalla (7) osserviamo immediatamente che il contributo della
parte non sistematica della ES, E[Y − mY|A | Y > y], è necessariamente
positivo. Lo stesso vale per la varianza: sY − sY−1 V[mY|A] > 0. Tali
disuguaglianze possono essere considerate come conseguenze della
convessità delle misure di rischio. Di fatto, la proprietà secondo
cui i contributi del rischio non possono superare il corrispondente
rischio preso isolatamente (ovvero, (7) e (8)) dipende dalla
subadditività della misura di rischio, se positivamente omogenea
di grado uno (cfr. Tasche (2002), Proposition 2.5). Se cerchiamo
di costruire un’espressione analoga alla (7) per il VAR, essa non
avrà questa proprietà. Dalla (6), il contributo del rischio sistematico
al VAR è E[mY|A | Y = y] (la prova segue gli argomenti dati in
Gouriéroux, Laurent e Scaillet (2000)). Ma ora:
E µY

A
Y = y  </ E  µ Y


= E Y µ Y

A
A
µY
A
= y * ≡ y *

= y *  </ E Y Y = y  ≡ y

(9)
(Il simbolo ‘a </ b’ significa, in modo un po’ inusuale, ‘a può non
essere inferiore a b’, ovvero che l’affermazione a < b può essere falsa.)
Anche qui y e y* denotano il VAR di Y e di mY|A per la stessa
probabilità di coda superiore. Abbiamo visto solo esempi artificiali
in cui si viola la prima disuguaglianza, ma la seconda è più facile da
dimostrare: la formula GA (1) indica che, se la densità di E[Y | A]
aumenta nella porzione di coda in cui diminuisce il VAR (cfr. figura
1), allora l’aggiunta di piccole quantità di rischio non sistematico ha
l’effetto di ridurre il VAR. Come invece abbiamo indicato
nell’introduzione, la sensibilità della ES a piccole quantità di rischio
non sistematico gaussiano è sempre positiva; abbiamo inoltre
dimostrato nell’articolo che è positiva per qualsiasi importo di
rischio non sistematico. Pertanto tale anomalia non si verifica mai.
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n Modello normale multivariato e modello ellittico. In
precedenza abbiamo confrontato i framework relativi alla mediavarianza e alla ES ((4) e (5)). Proseguendo ulteriormente in questa
direzione, possiamo chiederci se le scomposizioni della ES e della
media varianza producono lo stesso risultato in tutti i casi
particolari. Cominciamo con portafoglio e fattore di rischio a
distribuzione normale multivariata, per cui le due misure sono
equivalenti. Sia il fattore di rischio A ~ N(0, S) e scriviamo:
Y = µ + k ′A + U
dove k è il vettore dei pesi dei fattori e U ~ N(0, s2U) è indipendente
da A e rappresenta il rischio non sistematico. Allora:
µY
A
σ Y2 A
fY
A
= µ + k ′A
( y) =
1  y − µ − k ′A 
φ

σ U 
σU
Il contributo sistematico a ES è quindi:
1

 µ + k ′A − y  
E ( µ + k ′A ) Φ 
 
σU

P


+
 µ − y  k ′ Σk  µ − y  
1 
µΦ 
+
φ

+ 
σ Y  σ Y  
 σ Y 
P 
(dato che l’integrazione su A può essere svolta in forma chiusa)
mentre il contributo non sistematico è:
1 σ2  µ − y 
E  σ U2 fY A  = + U φ 


P
P σ Y  σ Y 
1
+
dove s2Y = k′Sk + s2U è la varianza non condizionata di Y. Si noti
che P+ = Φ((m − y)/sY) il che significa che il primo termine della
componente sistematica è m, come previsto.
Per fare il confronto con il framework della media varianza, sia
la relativa misura di rischio uguale alla media più h deviazioni
standard, ovvero, mY + hsY. Le componenti sistematica e non
sistematica sono quindi rispettivamente:
µ+η
k ′ Σk
σY
e
η
σ U2
σY
Ponendo h = f(Φ−1(P+))/P+, una definizione che dipende
unicamente dalla scelta della probabilità della coda piuttosto
che dal portafoglio in questione, le scomposizioni ES e di media
varianza concordano. La componente sistematica è
proporzionale al quadrato delle correlazioni (ovvero, “k
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1
Beta = 0,3
Beta = 0,5
Beta = 0,7
0,1
0,01
0,001
0
5
10
15
Perdita
20
25
30
= σ U2
 µ + k ′A − y 
P Y > y A  = Φ 

σU

=
2 Distribuzioni delle perdite per il portafoglio ipotetico
con diverse ipotesi di correlazione
Probabilità della coda
Esempi con diversi modelli di portafoglio
quadro”) mentre quella non sistematica è inversamente
proporzionale alle dimensioni del portafoglio (non inversamente
proporzionale alla sua radice quadrata).
Poiché h è indipendente dalla media e varianza del portafoglio,
il risultato si estende automaticamente alle distribuzioni ellittiche
di varianza finita, dato che il modello ellittico è ottenuto dal
modello normale, ponendo la varianza come casuale e procedendo
per integrazione (nel caso t di Student, per esempio, la distribuzione
è gamma reciproca).
n Portafoglio prestiti. Questo esempio dimostra invece che i
risultati ottenuti per la ES e media varianza non concordano
sempre. Prendiamo come prova un portafoglio ipotetico di 50
prestiti a rischio di default. Per semplicità assumiamo che i tassi
di recupero siano uguali a zero, che le esposizioni si collochino
nell’intervallo da uno a cinque e che le probabilità medie di
default siano (a grandi linee) nell’intervallo 0,2-2%. La
correlazione è modellata con una copula gaussiana a un fattore, il
che significa che il fattore di rischio è V ~ N(0, 1) e la probabilità
di insolvenza condizionata è data dalla solita formula:
 Φ −1 ( p ) − β V 
i
i
pi V = Φ 



1 − β i2
Poiché intendiamo variare b, per semplicità attribuiamo la
stessa b a ciascuna attività, anche se ciò non è chiaramente
necessario.
La figura 2 illustra le distribuzioni delle perdite per tre diversi
valori di b – 0,3, 0,5 e 0,7 – corrispondenti, in un contesto reale,
a un grado di correlazione basso, moderato ed elevato. Come
atteso, le distribuzioni diventano più leptocurtiche con
l’aumentare della correlazione. Più significativi sono i risultati
delle scomposizioni in componenti sistematiche/non sistematiche
(illustrati nella figura 3) per la deviazione standard e la ES con
probabilità di coda superiore allo 0,5% (per rendere le due
misure più direttamente comparabili, la perdita attesa è dedotta
dal contributo sistematico alla ES). Quando la correlazione è
bassa, il rischio è principalmente non sistematico, mentre
quando è alta diventa principalmente sistematico, come atteso.
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APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI
Proporzione della componente non sistematica (%)
3 Proporzione di rischio non sistematico nel portafoglio
quale funzione della correlazione b
100
Deviazione standard
ES (per probabilità
della coda 0,5%)
90
80
70
60
50
40
Su questo fronte le due misure di rischio danno risultati per lo
più analoghi.
Ponendo b = 0.5, aumentiamo significativamente le esposizioni
a tre delle entità in portafoglio, da 5, 5 e 5 a, rispettivamente, 25,
12 e 15. L’impatto di tale cambiamento è maggiore sul rischio di
coda rispetto alla deviazione standard. Inoltre, poiché si tratta di
rischio principalmente riconducibile a esposizioni single-name,
dobbiamo attenderci che la componente non sistematica vari in
misura considerevolmente maggiore per la ES piuttosto che per
la deviazione standard – attesa che è di fatto confermata dalla
figura 4b.
Monotonia in un quadro di indipendenza condizionata
(CI-monotonicity)
30
20
10
0
0,4
0,2
0
Beta
0,6
0,8
1,0
Passiamo ora a un tema più generale, analizzando ciò che accade
con l’aggiunta di un nuovo strumento rischioso al portafoglio.
L’analisi si interessa principalmente a ciò che accade al variare
degli importi del rischio sistematico e non sistematico. Per
cominciare riscriviamo l’espressione per la ES in cui la
distribuzione condizionata di Y | A è normale:
4 Effetto dell’aggiunta di rischi di coda sotto forma di grandi
esposizioni a emittenti con elevato merito di credito
a.
Probabilità della coda
1
Caso di base
Dopo perturbazione
0,1
0,01
0,001
0
10
15
Perdita
20
25
30
fY
Deviazione standard
ES
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Caso di base
Dopo perturbazione
Il “caso di base” è la figura 2 con β = 0,5. In (a) il rischio complessivo
aumenta. In (b) la proporzione di rischio non sistematico è aumentata
e l’incremento è sostanzialmente più elevato per la ES che per la
deviazione standard
42

 µY A − y 
 µY A − y  

E
µ
Φ
+
σ
φ


  (10)
Y A
Y A 
P+ 
 σY A 
 σ Y A  

1
(cfr. anche Martin (2006)). Poiché l’espressione ottenuta nella (10)
è in forma (...)mY | A + (...)sY | A, appare ragionevole cercare di
interpretare i coefficienti come la sensibilità della ES a mY | A e sY | A .
Naturalmente, l’analisi è complicata dal fatto che anche i coefficienti
dipendono da mY | A e sY | A . Nondimeno, si tratta di una strada che
vale la pena di essere esplorata. Consideriamo un modello arbitrario
a indipendenza condizionata e chiediamoci come cambiano le
misure di rischio quando viene alterata la distribuzione delle
perdite. Nell’effettuare tale perturbazione, trattiamo il rischio
sistematico e non sistematico in modo separato.
Il modello è che, condizionatamente al fattore di rischio A, la
densità della perdita è ipotizzata uguale a:
b.
100
Proporzione della componente
non sistematica (%)
5
E Y Y > y  =
A
( y) =
1
σY
A
 y − µY A 
ψA 

 σY A 
per una data funzione di densità di probabilità ψ normalizzata a
media zero e varianza uno. Il deponente di ψA indica che la forma
della distribuzione può anche dipendere dal fattore di rischio. Il
caso che abbiamo appena considerato è che la distribuzione delle
perdite è normale condizionalmente al fattore di rischio, ovvero,
ψA(x) = f(x). La variazione di mY|A (al variare di A) costituisce il
rischio sistematico, mentre s2Y|A è il rischio non sistematico.4
Consideriamo quindi la misura di rischio R ponendo le condizioni
che sia una funzione crescente di mY|A e s2Y|A (a loro volta funzioni
di A):
∂R [Y ]
∂R [Y ]
> 0,
>0
∂µ Y A
∂σ Y A
4
on esiste un’ interpretazione immediata dei momenti condizionati di ordine superiore in termini di
N
rischio sistematico e non sistematico. Pertanto la definizione di CI-monotonia implica solo i primi due
momenti.
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4/6/07 12:34:00
Si noti che stiamo operando una differenziazione rispetto alla
media condizionata e alla deviazione standard. Se queste condizioni
sono soddisfatte, diremo che R è CI-monotona. Si noti che né la
misura tradizionale “somma della media e di un dato numero di
deviazioni standard”, né il VAR hanno tale caratteristica.
Per dimostrare che la misura di rischio mY + hsY non è CImonotona, la scriviamo per esteso come:
R [Y ] = µ Y + ησ Y
(
 
= E µY A  + η  E  µY


 
A
− µY
)
2

 2 
 + E  σ Y A  

 δµ Y

A
+
ησ Y
A
σY
 1
 y − µY A 
 y − µY A 
1
δP − = E 
ψA 
ψA 
 δy −

σY A
 σ Y A
 σY A 
 σY A 
A
σ Y2
A
A
 y − µY A 
ψA 
 δσ Y
 σY A 


A

(11)
Per trovare la sensibilità del VAR – ovvero, per trovare dy –
poniamo dP − uguale a zero. Così facendo, riscontriamo che il
coefficiente di dmY|A è positivo, ma che quello di dsY|A è negativo
quando la media condizionata mY|A supera il VAR y. Pertanto, è
possibile che un incremento del rischio non sistematico (varianza
condizionata) riduca il VAR – come indicato in figura 1 e
preannunciato dalla formula GA (1).
Tuttavia, la ES è CI-monotona, come ci accingiamo a
dimostrare. Denotando il VAR con y, abbiamo la seguente
espressione per la ES:
TECH_martin&tasche_IT.indd 43
 ⌠ ∞
 x − µY A 
 y − µY A  
1
y
+E   
ψA 
dx
+
ψ

  δµ
A
  σ
σY A 
σY A
σY A   Y


Y A
⌡
  y

(
 ⌠ ∞
y y − µY
 x − µY A 
µY A − x

+E   − 
ψA 
 dx +
2
 
σY A
σ Y2 A
 σY A 
  ⌡ y
A
A


A

)




Come con il VAR, richiediamo che la probabilità della coda
non sia influenzata dalla perturbazione, e quindi che il quantile
(y) vari mentre dP − = 0. Usando la (11) eliminiamo il differenziale
_
y considerando d(P+ S) + ydP . Otteniamo così:
(
δ P S
+
+
)
⌠ ∞
 x − µY A 
1
= E 
ψA 
 dxδµ Y
 σY A
 σY A 
 ⌡y
⌠ ∞ x − µ
Y
+E  
2

σ
Y A
 ⌡y
(qui YA(y) = ∫ y−∞ yA(x)dx). Prendendo i differenziali rispetto a mY |
, sY | A si ottiene:
A
y − µY
)
 y − µY A  
× ψA 
  δσ Y
 σ Y A  

δσ Y A 


 y − µY A  
P − = E Ψ A 


 σ Y A  
−
Prendendo i differenziali, integrando termine a termine e
ripulendo il tutto abbiamo:
(
1/2
Pertanto il coefficiente di dmY|A non è necessariamente positivo:
se la perdita media condizionata è inferiore alla media non
condizionata, il suo aumento induce una riduzione della varianza.
Il coefficiente di dsY|A però, è positivo: la sensibilità al rischio non
sistematico è “corretta”.
Per dimostrare che il VAR non è CI-monotono, cominciamo
con l’espressione per la probabilità di coda inferiore:
× δµ Y
1
 y
 y − µY A  
δ P + S + = −E 
ψA 
  δy
 σ Y A
 σ Y A  
Dobbiamo ora tenere presente che mY|A e s2Y|A sono variabili
casuali e quindi delle funzioni (definite nello spazio di valori
possibili di A e prendendo valori reali). Perturbando mY|A → mY|A +
dmY|A , ecc., e così differenziando R[Y] rispetto a queste funzioni,
troviamo che la variazione in R è:
µY A − µY

δR = E   1 + η
σY
 
⌠ ∞
 x − µY A  
x
S = + E 
ψA 
 dx 
 σY A
σY A  
P

 ⌡y

+
A
A





 x − µY A 
ψA 
 dxδσ Y A 

 σY A 

La proprietà di CI-monotonia ricercata è provata se possiamo
verificare che gli integrali nei due termini in parentesi quadra
sono positivi. Il primo lo è chiaramente dato che l’integrando è
positivo, mentre per il secondo richiede un po’ più di lavoro.
Condizionando su A: se y > mY|A l’integrando è positivo; in caso
y
contrario, scriviamo l’integrale come ∫ ∞–∞ − ∫ −∞
, in cui il primo
integrale è zero (per normalizzazione di yA) e il secondo ha un
integrando negativo.
La prova della CI-monotonia della ES dimostra che la ES non è
l’unica misura di rischio coerente che abbia tale proprietà.
Qualsiasi misura di rischio che può essere scritta come una
combinazione lineare (con coefficienti positivi che sommano a
uno) delle ES a diversi livelli P+ sarà anche CI-monotona. Il
teorema 7 in Kusuoka (2001) mostra che tutte le misure di rischio
coerenti, stimabili (law-invariant) e comonotonicamente additive
possono essere rappresentate in questo modo. Come indicato nel
teorema 3.6 di Tasche (2002), queste misure di rischio non sono
altro che le misure spettrali introdotte da Acerbi (2002).
La law-invariance di una misura di rischio significa che il valore
della misura dipende dal suo argomento solo tramite la
distribuzione di probabilità dell’argomento. Tale proprietà è
implicitamente richiesta dalla definizione di CI-monotonia.
Pertanto, non vi sono misure di rischio CI-monotone che non
riskitalia.com
43
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APPROFONDIMENTI. RISCHIO DEL PORTAFOGLIO CREDITI
siano anche law-invariant. L’addittività comonotona significa che
la misura di rischio è additiva per gli argomenti comonotoni, ossia
rispetto a variabili casuali che possono essere rappresentate come
funzioni crescenti di un fattore casuale comune. Il teorema 4 in
Kusuoka (2001) implica che, in generale, le misure di rischio
coerenti, stimabili ma non comonotonicamente additive non
saranno CI-monotone.
Analogamente, le misure di rischio CI-monotone non sono
necessariamente coerenti. Si consideri per esempio, la misura
definita come la terza potenza della ES. Questa è CI-monotona
ma non omogenea e quindi coerente.
Osservazioni conclusive
Non siamo stati molto espliciti in merito al significato pratico
del fattore di rischio A, perché tale interpretazione non è
necessaria allo sviluppo della teoria. Nei modelli del rischio di
credito a un fattore, A corrisponde allo “stato generale
dell’economia”. Portafogli più complessi richiedono modelli
multifattoriali, comunemente5 ottenuti usando i settori
industriali. In un contesto multifattoriale, la teoria consente di
operare la seguente distinzione in modo relativamente preciso.
Si considerino due portafogli, entrambi con significative
esposizioni al settore automobilistico (per esempio): l’esposizione
di A deriva dalla presenza in portafoglio di diverse controparti
operanti nel settore, mentre l’esposizione di B dipende da una
significativa esposizione a un singolo grande emittente (per
esempio, Ford). Se ci limitiamo ad aggregare i contribuiti di
rischio degli emittenti per settore, potremmo pensare che gli
scenari di A e B siano simili, ma la tecnica descritta in questo
articolo rivela che B è caratterizzato da una quantità di rischio
non sistematico significativamente superiore, e ciò consente di
concludere che la corretta copertura per il portafoglio A è una
protezione a paniere sul settore auto, laddove per B è un CDS
single-name su Ford.
Una domanda che sorge spontanea è se il rischio di portafoglio
può essere nel contempo scomposto per emittente e in “sistematico/
non sistematico”. Nel contesto dell’esempio nella figura 4, invitiamo
a concludere che la maggior parte del rischio non sistematico deriva
dalle attività per cui sono state aumentate le esposizioni, dato che si
tratta di importanti esposizioni single-name che richiedono
coperture single-name. La risposta alla domanda è positiva e questo
sarà l’argomento di prossimi lavori. n
5
Riferimenti bibliografici
Acerbi C, 2002
Spectral measures of risk: a coherent
representation of subjective risk aversion
Journal of Banking and Finance 26 (7),
pp. 1505–1518
Gouriéroux C, J-P Laurent e
O Scaillet, 2000
Sensitivity analysis of values at risk
Journal of Empirical Finance 7 (3),
pp. 225–245
Acerbi C e D Tasche, 2002
On the coherence of expected shortfall
Journal of Banking and Finance 26 (7),
pp. 1487–1503
Kusuoka S, 2001
On law invariant risk measures
Advances in Mathematical Economics
3, pp. 83–85
Artzner P, F Delbaen, J-M Eber e
D Heath, 1999
Coherent measures of risk
Mathematical Finance 9,
pp. 203–228
Martin R, 2006
The saddlepoint method and portfolio
optionalities
Risk dicembre, pp. 93–95
Basel Committee on Banking
Supervision, 2006
Basel II: international convergence
of capital measurement and capital
standards: a revised framework
– comprehensive version
Gordy M, 2003
A risk-factor model foundation for
ratings-based bank capital rules
Journal of Financial Intermediation
12 (3), pp. 199–232
Gordy M, 2004
Granularity adjustment in porfolio
credit risk management
Risk Measures for the 21st Century, a
cura di G Szegö, Wiley
Martin R e T Wilde, 2002
Unsystematic credit risk
Risk novembre, pp. 123–128
Tasche D, 1999
Risk contributions and
performance measurement
Working paper,
Technische Universität Munchen
Tasche D, 2002
Expected shortfall and beyond
Journal of Banking and Finance
26 (7), pp. 1519–1533
Richard Martin è responsabile quantitative credit strategy presso Credit
Suisse a Londra. Dirk Tasche è risk analyst presso la Deutsche Bundesbank
a Francoforte. Gli autori desiderano ringraziare due referee anonimi per gli
utili commenti a una bozza precedente dell’articolo. Le opinioni espresse
nell’articolo sono degli autori e non impegnano le istituzioni di appartenenza.
E-mail: [email protected], [email protected]
Per esempio, in PortfolioRisk+ di Credit Suisse (www.portfolioriskplus.com).
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Expected shortfall – una coda in due parti