IL PENSARE PEDAGOGICO ICF PER PROGETTARE E REALIZZARE L’INCLUSIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI DISABILI* (Dimensioni dell’ICF per il PEI) 1° Incontro I - PREMESSE INTRODUTTIVE a) caratteristiche, finalità e scansioni del percorso formativo - .Destinatario del percorso formativo (target) è il Personale scolastico (Dirigenti, Docenti, Operatori) responsabile dell’inclusione scolastica nella scuola di ogni ordine e grado. .E’ doveroso premettere sin da ora che l’ICF, in quanto classificazione del funzionamento umano, riguarda tutte le persone (universalità) e non solo i disabili. D’altra parte, la realtà scolastica relativa alla presenza nelle nostre classi di alunni con problemi appare sempre più variegata, complessa, difficile: alla scuola viene chiesto di rispondere a bisogni formativi sempre più diversificati. .In considerazione della rilevante concentrazione di tematiche da affrontare nei 5 incontri previsti, si punta - all’essenzialità nella presentazione degli argomenti, anche dando per conosciute e condivise le più generali tematiche sull’integrazione scolastica degli alunni disabili (es. inserimento nelle classi di scuola comune, interventi di sostegno, certificazione, valutazione, ecc.); la normativa internazionale, nazionale e regionale; le classificazioni OMS; ecc. Solo nell’introduzione si richiamano brevissimi cenni alla problematica tutta italiana relativa all’integrazione scolastica ed alle Linee guida ministeriali, poiché entrambe fanno puntuali riferimenti all’ICF (l’introduzione è anche finalizzata ad “eguagliare” in qualche modo le conoscenze dei corsisti sulle tematiche dell’integrazione scolastica). - alla operatività: per quanto consentito dal tempo a disposizione, si vorrebbe far sperimentare ai corsisti l’uso pratico almeno di alcuni codici ICF ai fini della costruzione di un documento chiamato “Profilo descrittivo di funzionamento dell’alunno” (che include la Diagnosi Funzionale ed il Profilo Dinamico Funzionale) e la redazione di un Progetto Educativo Individualizzato (PEI) secondo ICF. - L’intento non è quello di formare degli “esperti ICF”, bensì avvicinare/introdurre il Personale scolastico (in particolare tutti i Docenti, di sostegno e non) all’ICF, cioè favorire l’acquisizione per Dirigenti Scolastici e Docenti delle indispensabili conoscenze/competenze di base per: * proporre una possibile coniugazione del modello culturale che sta alla base dell’ICF con le esigenze psicopedagogiche e didattiche progettuali dell’inclusione scolastica degli alunni e trovare una sua forma applicativa nel nuovo modello del “PEI secondo ICF”; * integrare con intenzionalità educativa l’intervento del “proprium professionale docente” con quello degli altri operatori socio-sanitari che seguono l’alunno e dei suoi familiari; * qualificare, attraverso l’ICF, l’inclusione scolastica di tutti gli alunni (che siano “disabili”, “in difficoltà” o “svantaggiati”); * entrare in possesso di nuovi strumenti culturali per realizzare quella “personalizzazione / individualizzazione degli interventi e dei percorsi formativi” da tempo richiesta dalla normativa, dalla pedagogia, dall’evoluzione socioculturale, dall’era digitale. - E’ possibile che durante il corso compaia in qualche corsista una sensazione di “estraneità” per gli argomenti/linguaggi/impostazioni trattati (modelli e concetti, salute, condizioni di salute, malattie, deficit, OMS, ambiente sociale, ecc.: tematiche almeno apparentemente più adatte a medici, psicologi, assistenti sociali,…), oppure si faccia strada una percezione di“inutilità/non usufruibilità” per far scuola ogni giorno e quindi un vissuto di “frustrazione” perché tematiche complesse, non percepite come d’aiuto immediato per affrontare i già pesanti concreti problemi dei docenti. In realtà, senza minimizzare la effettiva complessità/difficoltà del modello concettuale ICF, il corso si propone di tenere sempre viva la prospettiva del costante legame/riferimento alle tematiche inclusive scolastiche. La domanda resta sempre: concetti, termini, modelli, costrutti ICF quale messaggio vogliono trasmettere alla istituzione scolastica in riferimento alle pratiche integrative sia ordinarie che straordinarie; quale impatto hanno sull’integrazione scolastica; quali cambiamenti migliorativi propongono alla scuola? PROGRAMMA del PERCORSO FORMATIVO 1° Incontro 1. PREMESSE INTRODUTTIVE: a. presentazione del percorso formativo:caratteristiche, finalità e scansioni b. cenni sulla “via italiana all’integrazione scolastica” c. sintesi della normativa relativa all’inclusione scolastica degli alunni disabili (“Le Linee guida”) 2. LA CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO, DELLA DISABILITA’ E DELLA SALUTE (ICF) L’ICF quale a. ordinatore concettuale- salute e disabilità: i modelli medico, sociale, bio-psico-sociale b. comune linguaggio condiviso c. strumento classificatorio descrittivo 2° Incontro STRUTTURA DELL’ICF e CENNI DI CODIFICA/DECODIFICA a.Le dimensioni di Funzionamento e Disabilità (Funzioni e Strutture corporee, Attività e Partecipazione) ed i Fattori contestuali (ambientali e personali) b. Qualificatori e scala di gravità c. Checklist e Profilo descrittivo di funzionamento della persona d. Codifica e decodifica e. ICF-CY 3° Incontro LA DGR n. 34/2010 ed ALLEGATI: normativa regionale per gli interventi a supporto dell’integrazione scolastica e del percorso di individuazione/certificazione/presa in carico socio-sanitaria: a. la sperimentazione ICF in Piemonte b. la Delibera Regionale: finalità ed obiettivi c. gli Allegati alla DGR n. 34/2010, con particolare attenzione al PEI -All. 1: il percorso di certificazione -All A: Modulo di consenso informato -All.B: Profilo descrittivo di funzionamento della persona e Progetto multidisciplinare -All.C: Schema di verbale UMVD-Minori -All.D:Dati per il sistema informativo NPINET -All.E:Piano Educativo Individualizzato 4° Incontro “PENSARE ICF” NELLA PEDAGOGIA DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA: focalizzazione dei tratti caratterizzanti il modello concettuale ICF per la redazione del PEI-PROGETTO DI VITA correlato alla programmazione di classe: a. le “novità operative” le “novità operative” relative al profilo descrittivo di funzionamento dell’alunno, al progetto multidisciplinare, al punto di vista dell’alunno, al Pei - Piano di vita, al coinvolgimento / integrazione degli operatori della “rete” b. le “novità”del modello culturale bio-psico-sociale assunto dall’ICF: i concetti di salute, funzionamento, disabilità, ambiente di vita,barriera/facilitatore, capacità e performance,.. c. individuare capacità, performance e performance 1 d. l’influsso dell’ambiente scolastico e riconoscimento della funzione di facilitatore/ barriera: e. la costruzione di un contesto scolastico da barriera a facilitatore: declinazioni pedagogicodidattiche per il potenziamento delle “capacità” 5° Incontro VERSO IL “PEI SECONDO ICF” a. dal PEI - 11/Sap. al “PEI secondo ICF” b. il profilo di funzionamento ed il progetto multidisciplinare: implicazioni ed applicazioni per la redazione del “PEI secondo ICF” c. il rapporto pedagogico-didattico fra PEI e programmazione di classe: collegamento fra percorso individualizzato e percorso collettivo d. la valutazione nell’ICF (costrutti di capacità, performance, performance1,…) e la valutazione del percorso individualizzato: Esami di stato e Certificazione delle competenze. N.B. Le slides proiettate durante gli incontri, verranno di volta in volta poste sul sito dell’UST, rese disponibili. E’ doveroso precisare che dette slides sono state intenzionalmente redatte con prevalente “discorsività” a scapito della spesso accattivante dimensione iconica e d’immagine. L’intento è però quello di offrire ai corsisti un materiale che favorisca la diffusione nelle scuole fra i colleghi Docenti di un approccio per quanto possibile “friendly” sia al non facile e complesso modello concettuale fatto proprio dall’ICF, sia al suo utilizzo integrato con professionalità di altri ambiti d’intervento, sia alla sua traduzione/applicazione in ambito scolastico. b) cenni sulla “via italiana all’integrazione scolastica” (àRicerca 3L:slide_rapporto_disabilità) L’Italia è tra i primi Paesi al mondo ad aver abbandonato le scuole speciali e attuato l’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi comuni. A oltre trent’anni dall’introduzione di questo modello, appare doveroso verificare se vi sia stata una reale integrazione, se la “via italiana all’integrazione scolastica” abbia davvero funzionato, quali le luci e le ombre. Una fotografia aggiornata, effettuata dall’Ass. TreeLLLe/Caritas/Fond. Agnelli e presentata nel giugno 2011, evidenzia come nell’ultimo decennio gli alunni con disabilità nella scuola italiana siano aumentati di circa il 45% e la domanda di sostegno sia in forte crescita (dai circa 140 mila alunni dell’anno scolastico 2001-02 si è passati agli oltre 200 mila del 2009-10). Il numero di insegnanti di sostegno è cresciuto fino al 2006, poi si è stabilizzato: oggi sono circa 95 mila. In media ogni docente di sostegno segue due gli alunni disabili. I dati segnalano che il modello di integrazione si basa su buoni principi, ma esso appare affatto intelligente: ad es. c’è un meccanismo troppo rigido fra certificazione sanitaria di disabilità di competenza ASL ed attribuzione del numero di ore di sostegno da parte dell’Ufficio Scolastico Territoriale, senza alcuna differenziazione delle risposte in base alle esigenze dei ragazzi; spesso le famiglie devono districarsi da sole tra i meandri della burocrazia per ottenere i certificati. In molti casi non sono coinvolte nel progetto educativo dei propri bambini e soprattutto le famiglie straniere con figli disabili vivono un forte senso di isolamento. Per molti genitori, poi, il numero di insegnanti di sostegno rimane l'unico parametro di qualità e così lamentano l'insufficienza di ore di sostegno e il forte turn-over del personale:si pensi che quasi un alunno su due cambia l’insegnante di sostegno una o più volte durante lo stesso anno scolastico, con conseguenze negative per la continuità didattica, la relazione di fiducia che si crea tra docente e allievo e la stessa efficacia del processo d’integrazione. Inoltre spesso gli insegnanti, scarsamente valorizzati e motivati, vedono il posto di sostegno come uno dei canali privilegiati per entrare più rapidamente in ruolo, con conseguente cronica assenza di personale specializzato e spreco di risorse (perché gli insegnanti vengono formati ad affrontare bisogni speciali, ma le competenze poi vanno perdute). D’altra parte non di rado i docenti sono privi di specifica formazione: una scuola del primo ciclo su tre non ha nessun insegnante con la specializzazione per il sostegno; inoltre quasi sempre gli insegnanti curricolari sono privi di formazione pedagogica speciale. Appare urgente riformare il modello italiano d’integrazione: abbandonando le rigide procedure che riducono l'integrazione a una meccanicistica attribuzione di insegnante ed ore di sostegno; assicurando la didattica individualizzata quotidiana da parte di tutti gli insegnanti, senza deleghe al collega del sostegno; assegnazione degli insegnanti di sostegno sulla base dei bisogni delle scuole, con loro graduale passaggio all’organico normale; introduzione a livello provinciale di nuovi Centri risorse per l'integrazione (Cri) che dispongano di insegnanti e personale ad alta specializzazione e, di concerto con le scuole, definiscano e coordinino le risorse finanziarie, professionali e tecnologiche per l’integrazione, svolgendo anche formazione e consulenza alle scuole, come pure una funzione di “sportello unico” per le famiglie, facilitando quella collaborazione fra scuola, famiglia, servizi sociali e sanitari, volontariato e comunità locale che oggi è carente e spesso impedisce la realizzazione di un autentico progetto di vita per l’alunno. In altri termini: il modello italiano d’integrazione scolastica degli allievi con disabilità ha anticipato -nei suoi presupposti valoriali, pedagogici e normativi- principi e orientamenti che oggi a livello internazionale costituiscono un punto di riferimento. Tuttavia a oltre trent’anni dal suo avvio, al di là di retoriche e tabù, un bilancio complessivo per cercare di comprendere se e in quale misura, a fronte delle rilevanti risorse economiche e umane dispiegate, l’integrazione degli allievi con disabilità abbia raggiunto i risultati sperati, si deve concludere che nella sua realizzazione il modello italiano è andato talora incontro a fallimenti, a dispetto dell’impegno e del lavoro di tanti: rigidità, inerzie ed inefficienze che tanto nell’assetto normativo e organizzativo quanto nel lavoro quotidiano hanno impedito alla scuola di sviluppare appieno pratiche educative davvero efficaci per l’integrazione scolastica e, in prospettiva, sociale e lavorativa degli alunni con disabilità, contribuendo insieme alle famiglie al loro ‘progetto di vita’. L’orientamento originario va ribadito e rafforzato in senso inclusivo, poiché corrisponde a una scelta di politica scolastica e di civiltà irrinunciabile, tuttavia il modello d’integrazione italiano va ripensato con coraggio, spirito innovativo e, soprattutto, maggiore attenzione alle concrete esigenze dei ragazzi e delle loro famiglie, intervenendo sul piano organizzativo, pedagogico, della formazione e allocazione delle risorse umane. Tratti caratterizzanti la “via italiana all’integrazione”: - l’Italia è stata tra i primi Paesi ad attuare l’integrazione degli alunni disabili in scuole e classi comuni; principi, orientamenti e pratiche pedagogiche del modello italiano si sono progressivamente affermati in altri sistemi scolastici - . prima degli anni 60: dall’esclusione alla medicalizzazione . da anni 60 a metà anni 70: dalla medicalizzazione all’inserimento . da metà anni 70 agli anni 90: dall’inserimento all’integrazione (1975 Relazione Falcucci; 1977 L. n.517; 1992 L. n.104) . dopo gli anni 90: dall’integrazione all’inclusione - finalità: . socializzazione, partecipazione, riconoscimento sociale . apprendimento di competenze . massima autonomia possibile, comportamentale e psicologica . identità, autostima, personalità . competenze lavorative e di partecipazione sociale estesa . arricchimento relazionale, umano e cognitivo per tutti gli alunni . collaborazione e sostegno alla famiglia dell’alunno con disabilità . sviluppo professionale delle figure che operano nella scuola e miglioramento dei processi organizzativi . crescita culturale diffusa: rispetto per le differenze - ma non tutto si gioca a scuola, poichè va rilevato un gap tra il mondo della scuola ed il resto della società (es. comunità civile e dell’impegno sociale, volontariato, ecc.) e della vita quotidiana: mentre all’interno della scuola i ragazzi disabili trovano spesso un mondo accogliente ed inclusivo, all’esterno permangono problemi e barriere limitanti l’integrazione sociale ed il soddisfacimento dei bisogni, sia personali che familiari. L’universo della disabilità è sì preso in carico dal volontariato, ma non sempre tale impegno riesce a varcare i confini della scuola perché da un lato manca collaborazione e coordinamento fra le realtà del volontariato/terzo settore dentro e fuori la scuola, dall’altro sulla stessa famiglia intervengono soggetti diversi che non dialogano fra loro - strategico appare integrare dentro e fuori la scuola: infatti gli alunni disabili sono gli stessi ragazzi che gli Enti di solidarietà (Caritas, Volontariato, ONLUS, ecc.) incontrano sul territorio, nei centri di ascolto, nelle realtà parrocchiali, nei centri di assistenza, ecc., per cui appare indispensabile la presa in carico complessiva ed integrata dei ragazzi disabili per coordinare “il tempo di scuola ed il tempo di vita”, ossia scuola ed extrascuola - l’OCSE classifica gli alunni con bisogni educativi speciali (BES/NES/Special Educational Needs) in: A) alunni con disabilità o deficit definibili in termini sanitari, derivanti da carenze organico-funzionali attribuibili a menomazioni e/o patologie organiche (es. deficit sensoriali, motori, neurologici, ecc.) certificati ex L. 104/1992 B) alunni con difficoltà emotive e comportamentali o DSA (disturbi specifici di apprendimento), scaturenti da problemi di interazione tra lo studente ed il contesto educativo C) alunni con svantaggio per problemi dovuti all’ambiente socio-economico, culturale o sociolinguistico di provenienza - per una scuola sempre più inclusiva: l’inclusione è una scelta irrinunciabile per rispondere in modo adeguato alle crescenti necessità educative speciali di una scuola per tutti e per ciascuno (disabilità, difficoltà, svantaggi). D’altra parte l’inclusione dei bisogni educativi speciali è coerente con l’affermarsi a livello internazionale del modello ICF, che guarda alla salute ed al benessere di tutti gli individui quale esito di una complessa interazione di molteplici fattori in un’ampia prospettiva bio-psico-sociale. c) sintesi della normativa relativa all’inclusione scolastica degli alunni disabili (“Le Linee guida”-2009) Non avendo questo percorso formativo/informativo finalità di specializzazione, ci si limita ad un rinvio alla normativa vigente, richiamata peraltro dalle “Linee guida” ministeriali: (àprot. 4274_09_all) Indice: Premessa I PARTE: IL NUOVO SCENARIO. IL CONTESTO COME RISORSA 1. I principi costituzionali e la legislazione italiana in materia di alunni con disabilità 1.1 Art. 3 ed Art. 34 Costituzione 1.2 Legge 118/71 e Legge 517/77 1.3 Legge 104/92 1.4 DPR 24 febbraio 1994 2. Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (à conv_onu-disabilità)(*) (*) Un brevissimo cenno merita la Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità (2006), che definisce le persone con disabilità “come coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di eguaglianza con gli altri” (art 2). Ogni norma ed azione volta ad assicurare a garantire i loro diritti deve basarsi sui seguenti principi: • il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale - compresa la libertà di compiere le proprie scelte - e l’indipendenza delle persone; • la non-discriminazione; • la piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società; • il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; • la parità di opportunità; • l’accessibilità; • la parità tra uomini e donne; • il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto per il diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità (art.3) L’impegno di tutti coloro che sono chiamati alla realizzazione di tali principi richiede la condivisione di un approccio concettuale e di un linguaggio comune sul tema. L’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) dell’Organizzazione mondiale della Sanità risponde a questi requisiti. 3. La Classificazione Internazionale del Funzionamento dell’OMS II PARTE: L’ORGANIZZAZIONE 1. Il ruolo degli Uffici Scolastici Regionali 2. Rapporti interistituzionali III PARTE: LA DIMENSIONE INCLUSIVA DELLA SCUOLA 1. Il ruolo del dirigente scolastico 1.1 Leadership educativa e cultura dell’integrazione 1.2 Programmazione 1.3 Flessibilità 1.4 Il progetto di vita 1.5 La costituzione di reti di scuole 2. La corresponsabilità educativa e formativa dei docenti 2.1 Il clima della classe 2.2 Le strategia didattiche e gli strumenti 2.3 L’apprendimento-insegnamento 2.4 La valutazione 2.5 Il docente assegnato alle attività di sostegno 3. Il personale ATA e l’assistenza di base 4. La collaborazione con le famiglie Cfr. sintesi in CRPiemonte - ottobre 2009 : In relazione alle “Linee Guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità” emanate dal Ministro della P.I. si segnalano alcuni aspetti significativi, con l’intento di potenziare gli interventi formativi ed educativi messi in atto dalle scuole. Le Linee Guida sono anche l’occasione per ricapitolare un percorso davvero eccezionale di legislazione scolastica e per richiamare la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal parlamento italiano con la Legge 18/2009. Preme ricordare alcuni elementi di particolare significatività, al fine di migliorare e uniformare sul territorio il processo di integrazione. La prima parte delle Linee Guida analizza i principi costituzionali e la legislazione italiana in materia di alunni con disabilità e integrazione scolastica, (art. 3 ed art. 34 della Costituzione, Legge 118/71 e Legge 517/1977, Legge 104/92, DPR 24 febbraio 1994), nonché i più recenti documenti di carattere internazionale cui fare riferimento (Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, Classificazione Internazionale del Funzionamento dell’OMS). L’integrazione a cui ci si riferisce, però, non dovrà ridursi ad una procedura attenta solo alla rispondenza formale alla norma, ma deve ricercare l’effettiva crescita armoniosa di ogni singola storia all’interno del proprio contesto di vita. Diventa quindi di grande rilevanza riflettere su quella che si potrebbe chiamare la capacità di germinazione del tessuto scolastico, la capacità, cioè, di sostenere e potenziare i percorsi di integrazione che, tutti i giorni e a livelli diversi, la scuola accompagna. “In questo senso si configura la norma costituzionale del diritto allo studio, interpretata alla luce della legge 59/97 e del DPR 275/99, da intendersi quindi come tutela soggettiva affinché le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia funzionale e flessibilità organizzativa, predispongano le condizioni e realizzino le attività utili al raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni”. Nelle Linee Guida si accenna anche al nuovo documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ICF, che tenta di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di una persona, con o senza disabilità. Ad ogni persona possono infatti essere associati dei qualificatori che la descrivono e che ne quantificano il funzionamento. Si parla di classificazione bio-psico-sociale e si sposta l’accento dalle cause della disabilità ai suoi effetti, alle restrizione delle attività che comporta e alla limitazione alla partecipazione sociale. L’handicap nasce dall’incontro tra l’individuo e la situazione, e il contesto può presentare barriere o facilitatori all’attività e alla partecipazione. Quindi si richiede grande attenzione “all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui vive”. La seconda parte si riferisce agli aspetti organizzativi e al ruolo degli Uffici Scolastici Regionali (pianificazione/programmazione/ ”governo” delle risorse e delle azioni a favore dell’inclusione scolastica degli alunni disabili), nonché ai rapporti interistituzionali e alle azioni di raccordo fra gli enti territoriali (Regione, USR, province, comuni), i servizi (ASL, cooperative, comunità), le istituzioni scolastiche, per la ricognizione delle esigenze e lo sviluppo della relativa offerta sul territorio. L’USR Piemonte prevede la costituzione annuale del GLIR (Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale), di cui fanno parte tutti i referenti provinciali per l’integrazione, con il compito di ricondurre le iniziative regionali ad un quadro unitario compatibile con i programmi nazionali d’istruzione e formazione e con quelli socio-sanitari. Resta fermo il ruolo dei GLIP, intesi come organismi attuativi, in sede provinciale, delle linee di indirizzo e coordinamento stabilite a livello regionale. Tra le competenze dell’USR rientrano: - l’organizzazione di attività di formazione - la costituzione di reti territoriali (in Piemonte sono attualmente operativi diversi tavoli interistituzionali, che prevedono la partecipazione di USR, reti di scuole, Associazioni, Assessorati all’Istruzione, al Welfare e alla Salute) - il potenziamento dei Centri di Documentazione e dei Centri di Supporto Territoriale istituiti dal Progetto “Centri Nuove Tecnologie e Disabilità” (CNTeD) per favorire la diffusione delle nuove tecnologie e il loro corretto impiego. Nell’ambito del Progetto CNTeD è stata istituita una rete di Centri (CTS) per gli ausili, con l’obiettivo di offrire consulenze e formazione a insegnanti, genitori e alunni, e di sostenere e orientare le scuole nell'acquisto e nell'uso efficiente delle nuove tecnologie. Sul territorio piemontese sono stati attivati otto centri, uno per ogni Provincia, che operano presso istituzioni scolastiche. Gli otto centri sono così dislocati: AL - c/o IC “Pertini”, Via Galliera, 2 -Ovada- tel. 0143.80135 AT - c/o IPSIA “Castigliano”, Via Martorelli, 1 -Asti- tel. 0141.33429 BI - c/o ITIS “Sella” Via F.lli Rosselli, 2 -Biella- 015.855681 CN - c/o IPSSCT “Grandis”, C.so IV Novembre, 16 -Cuneo- tel. 0171.692623 NO - c/o SMS Fornara-Ossola, Via Premuda, 7 -Novara- 0321.402566 CTS UTSH, Via Juvarra, 7 tel. 0321.457780 TO - c/o ITC “Arduino”, Via Figlie dei Militari, 25 -Torino- tel. 011.8197133 VCO - c/o SMS “Ranzoni”, Via Repubblica, 6 -Verbania- tel. 0323.571282, CTS del VCO, Via Massara, 8 -Verbania- tel. 0323.401047 VC -c/o IPSSAR “Soldati”, C.so Valsesia, 111 -Gattinara- tel. 0163826552 La terza parte delle Linee Guida tratta la dimensione inclusiva della scuola ed esamina il ruolo della dirigenza e la corresponsabilità educativa e formativa dei docenti, il ruolo del personale ATA e la collaborazione con le famiglie. Nell’ambito dell’autonomia organizzativa e didattica la scuola ha potere discrezionale nel determinare le priorità degli interventi e degli interessi da conseguire, può quindi adottare diverse strategie per realizzare la piena integrazione degli studenti. Nel caso che tali strategie non venissero applicate, “o non si conformassero immotivatamente all’interesse primario del diritto allo studio degli alunni in questione, potrebbero essere considerati atti caratterizzati da disparità di trattamento” per i soggetti diversamente abili. La violazione è “inquadrabile in primo luogo nella mancata partecipazione di tutte le componenti scolastiche al processo di integrazione”. È infatti essenziale raggiungere gli obiettivi “attraverso la collaborazione e il coordinamento di tutte le componenti in questione nonché dalla presenza di una pianificazione puntuale e logica degli interventi educativi, formativi, riabilitativi come previsto dal P.E.I.” Il POF di una scuola inclusiva prevede la possibilità di dare risposte precise ad esigenze educative individuali non in modo estemporaneo o improvvisato, ma attraverso l’organizzazione strutturale del sistema. Il ruolo del dirigente scolastico: un ruolo di primo piano è rivestito dal DS, garante dell’offerta formativa, che, al fine di migliorare il percorso di integrazione dei soggetti diversamente abili, promuove: - corsi di aggiornamento e formazione, - progetti scolastici, - l’istituzione di GLH di Istituto - iniziative per il coinvolgimento dei genitori e del territorio - costituzione di reti di scuole - raccordo con altre scuole al fine di assicurare continuità nella presa in carico del soggetto (prevedendo anche forme di consultazione obbligatorie fra gli insegnanti…e le figure di riferimento per l’integrazione delle scuole coinvolte) - raccordo con enti, associazioni e servizi del territorio al fine di progettare e curare il percorso post-scolastico - iniziative per individuare e rimuovere le barriere architettoniche e/o senso percettive. Obiettivo fondamentale della L. 104/92 “è lo sviluppo degli apprendimenti mediante la comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale”. Le difficoltà di apprendimento, dovute alla disabilità o generiche, non devono impedire “…l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione” (L.104/92, art.12). Nel caso la frequenza scolastica fosse impedita da specifiche condizioni di salute o da altri particolari motivi, è necessario programmare un intervento educativo e didattico rispettoso delle peculiari esigenze dell’alunno…anche nei periodi in cui non è prevista la presenza in classe. È contraria alle disposizioni della legge, invece, la costituzione di laboratori che ospitino gruppetti di alunni diversamente abili. È preferibile che l’apprendimento avvenga nella stessa classe di appartenenza e nell’ambito del programma in essa attuato, anche al fine di equilibrare gli interventi miranti all’apprendimento e quelli miranti alla socializzazione. Il DS avrà cura di istituire i Gruppi di Lavoro cui compete redigere la progettazione educativa; l’istituzione di tali Gruppi in ogni istituzione scolastica è obbligatoria, non dipendendo dalla discrezionalità dell’autonomia funzionale. A partire dalla Scuola dell’Infanzia bisogna prevedere la compilazione di un fascicolo individuale dell’alunno con disabilità, che segue l’alunno nel passaggio fra un grado e l’altro di istruzione e documenta tutto il suo percorso formativo. La documentazione relativa alla programmazione deve essere resa disponibile alle famiglie. La flessibilità organizzativa permette di individuare modalità di intervento adatte ad ogni singola situazione, è così possibile, ad es.: - avviare progetti sperimentali che permettano al docente dell’alunno diversamente abile di partecipare alle fasi di accoglienza e di integrazione nella scuola di grado successivo - ipotizzare (con estrema cautela ed attenzione) se il diritto allo studio e al successo formativo possano realizzarsi attraverso la permanenza nel sistema di istruzione e formazione fino all’età adulta (21 anni) o attraverso rallentamenti eccessivi in determinati gradi scolastici. - preparare e pianificare (progetto di vita) il passaggio al mondo del lavoro. Il progetto di vita deve essere condiviso dalla famiglia e dagli altri soggetti coinvolti nel processo di integrazione. L’orientamento dell’alunno diversamente abile (alternanza scuola-lavoro, partecipazione nell’ambito del sistema IFTS, ecc.) deve essere previsto già al momento dell’iscrizione, ed inserito nel POF. La corresponsabilità educativa e formativa dei docenti: gli insegnanti devono adottare strategie didattiche e materiali differenziati, per rispondere alle diverse esigenze e bisogni degli alunni, “La predisposizione di interventi non differenziati evidenzia immediatamente una disparità di trattamento…verso coloro che non sono compresi nelle prassi educative e didattiche concretamente realizzate.” Il Collegio Docenti inserirà nel POF le prassi didattiche che si intendono attuare (gruppi di livello eterogenei, apprendimento cooperativo, ecc). I Consigli di Classe, cui compete il coordinamento delle attività didattiche, lavoreranno su tre direzioni: - il clima della classe (attenzione ai bisogni di tutti e di ognuno, valorizzazione delle differenze, costruzione di relazioni socio-affettive positive) - le strategie didattiche - gli strumenti (adozione di strategie e metodologie adeguate, utilizzo di mediatori didattici, tecnologie informatiche, ecc.). E’ necessario che i docenti acquisiscano una buona conoscenza delle tecnologie per l’integrazione scolastica, sia per poter utilizzare i libri di testo in formato elettronico, sia per predisporre i documenti per lo studio o per i compiti a casa in formato elettronico, (indispensabile per gli alunni che utilizzano ausili e computer) l’apprendimento-insegnamento (costruzione attiva della conoscenza, apprendimento cooperativo, ecc). La valutazione: si valuta la performance, ma soprattutto si valuta il processo. La valutazione va rapportata al PEI . Gli insegnanti di sostegno partecipano a pieno titolo a tutte le operazioni di valutazione degli alunni dell’intera classe e dispongono di registri recanti i nomi di tutti gli alunni della classe in cui sono contitolari. Il docente di sostegno è assegnato alla classe (Testo Unico L. 297/94) e NON è l’unica figura cui demandare il compito dell’integrazione. L’intera comunità scolastica deve essere coinvolta nel processo, in una logica sistemica. L’insegnante di sostegno ha una funzione di coordinamento delle attività connesse all’integrazione e collabora con i colleghi affinché l’iter formativo possa continuare anche in sua assenza. Personale ATA e assistenza di base: si rimanda alla nota MIUR Prot. 339 del 30 novembre 2001, dove vengono indicate finalità dell’assistenza di base, competenze delle istituzioni scolastiche e delle ASL. Il DS assicurerà il diritto all’assistenza mediante ogni possibile forma di organizzazione del lavoro (si rammenta l’art. 47 del CCNL 2006-2009 relativo al comparto Scuola – compiti del personale ATA). Collaborazione con le famiglie: in grande rilievo viene posta la collaborazione con le famiglie, alle quali la scuola dovrebbe fornire supporto in relazione alle attività di educazione-formazione dell’alunno diversamente abile. La famiglia, riferimento essenziale per gli insegnanti, ha il diritto di partecipare alla formulazione del Profilo Dinamico Funzionale e del PEI, nonché alle loro verifiche. Di particolare importanza è l’attività rivolta ad informare la famiglia sul percorso educativo che consente all’alunno con disabilità l’acquisizione dell’attestato di frequenza piuttosto che del diploma di scuola secondaria superiore. Per quanto riguarda la problematica relativa ai DSA si rinvia alla L.n 170/2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e relativo D.M. applicativo n. 5669/2011, con in allegato le “Linee-guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi di apprendimento” Per quanto concerne la tematica relativa ai BES si rinvia alla Direttiva MIUR “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” - 27.12.2012 e allegate Linee-guida sui BES Sull’utilizzo dell’ICF in ambito scolastico il MIUR ha predisposto delle Linee-guida attualmente in corso di pubblicazione sul sito. II - LA CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO, DELLA DISABILITA’ E DELLA SALUTE (ICF) Classificare significa: - ordinare e catalogare mediante un criterio, - rappresentare cose o persone indicandone tutte le caratteristiche, in modo da darne un’idea compiuta, una piena descrizione scientifica La Classificazione è quindi il processo per cui un insieme di entità viene organizzato in un pattern in un modo tale che ogni entità rientri in uno e uno solo di questi pattern (es. Tavola periodica degli elementi, classificazione delle piante di Linneo, ecc.). Non è né misurare ( cioè quantificare una osservazione contro uno standard) né valutare (cioè determinare un valore, stimare, calcolare, stabilire in misura non approssimativa. Nella classificazione gerarchica ogni posizione ed ogni nodo può essere identificato da un unico numero di codice che si riferisce ad ogni livello, sottolivello e sotto-sottolivello della posizione; questo numero o codice agisce come un indirizzo unico per trovare ciascun singolo item della classificazione nel pattern più generale. Es. - Famiglia Aceraceae Famiglia degli Aceri - Genere Acer Aceri e gruppo dei Sambuchi - Specie Acer rubrum Acero Rosso Il 22 maggio 2001 la 54^ World Health Assembly (Assemblea Mondiale sulla Salute) ha approvato all’unanimità la seconda edizione della Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità ed Handicap (ICIDH), con il titolo di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Era la conclusione di un lavoro durato 7 anni, che aveva visto la partecipazione di esperti e persone con disabilità di ogni continente, finalizzato al superamento della discussione tra un “ modello medico” ed un “ modello sociale” della disabilità verso una prospettiva “bio-psico-sociale” che conciliasse entrambi e tenesse conto degli aspetti positivi dei due modelli. 1. L’ICF QUALE “ORDINATORE CONCETTUALE” – “salute e disabilità”: i modelli medico, sociale e bio-psico-sociale Il dibattito fra modello medico e sociale di salute e disabilità è continuato per quasi 40 anni. I due modelli differiscono in molti aspetti: - nel caratterizzare che tipo di problema sia la disabilità, - nel definire quale siano gli interventi più appropriati e chi dovrebbe attuarli, - in cosa dovrebbero cercare di cambiare tali modelli, la persona o l’ambiente della persona, - quale settore (sanitario, sociale o altro) dovrebbe essere il responsabile della lotta contro la disabilità. Se si tiene conto delle caratteristiche estreme dei due modelli, essi paiono del tutto inconciliabili: - dal punto di vista medico, la chiave per capire tutti i problemi che una persona con disabilità affronta, è la deviazione dal normale funzionamento, ad un livello corporeo, che è causata da qualche condizione di salute (malattia, disturbo, lesione). Le limitazioni nelle attività o le restrizioni nella partecipazione nelle maggiori aree di vita, sono causate dalle menomazioni che ha colpito la persona. Di conseguenza, solo gli interventi medici basati su una diagnosi ed una terapia sono appropriati ed efficaci per ottenere benefici alla persona nelle principali aree di vita. - dal punto di vista sociale, invece, la chiave per comprendere la disabilità non riguarda tanto le caratteristiche fisiche della persona, ma l’insieme delle caratteristiche fisiche, sociali, degli atteggiamenti e del contesto globale in cui il soggetto vive: l’ambiente limita la partecipazione di una persona in tutte le aree di vita, creando ostacoli o restrizioni della partecipazione. Questi limiti alla partecipazione sono i problemi che le persone con disabilità incontrano nella vita quotidiana. Come anche molti attivisti disabili insistono, è l’ambiente e non le menomazioni che li “disabilitano”. Ne consegue che gli interventi sociali che rimuovano barriere o introducano facilitatori (ad es. l’abbattimento delle barriere architettoniche) sono i soli tipi di intervento che possono migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità. Ma la disabilità non è solo menomazione intrinseca alla persona, non è solo lo svantaggio con cui i disabili si confrontano, per come il loro mondo fisico e sociale è costruito; la disabilità è entrambe queste cose: essa può e deve essere vista sia dalla prospettiva medica che da quella sociale: questa è la prospettiva bio-psico-sociale, che è la base del modello ICF. L’ICF è un modello concettuale che concepisce il funzionamento e la disabilità in relazione con l’ambiente di vita dell’interessato e fornisce modalità per descrivere l’impatto dei fattori ambientali, in termini di facilitatori o di barriere, rispetto alle attività ed alla partecipazione di quella persona con una condizione di salute. Per cui l’utilizzo dell’ICF presuppone un approccio concettuale ecologico e preclude ogni modello concettuale che ignori gli effetti dell’ambiente nella genesi e nel mantenimento della disabilità. L’OMS ritiene che, per descrivere il funzionamento, la disabilità e la salute della persona, siano sei le componenti da prendere in considerazione: 1. la presenza di una condizione di salute ( malattia, disturbo, lesione, ecc.); 2. l’integrità e/o le alterazioni della fisiologia corporea; 3. l’integrità e/o le alterazioni della anatomia corporea; 4. quello che una persona fa (in termini sia di quello che sarebbe in grado di fare teoricamente, sia in termini di quello che uno realmente fa nel suo ambiente); 5. il contesto di vita (in termini di impatto di eventuali aiuti o ostacoli); 6. i fattori individuali (età, sesso, convinzioni personali, esperienze di vita, reddito…). Queste sei componenti della salute o della disabilità non sono tra loro correlate secondo una logica lineare-causale (come il dibattito tra i due modelli sosteneva), ma secondo una modalità interattiva Condizione di salute (disturbo o malattia): l’ICF non è una classificazione delle “conseguenze delle malattie” ma delle “componenti della salute” le quali identificano gli elementi costituitivi della salute (mentre invece le “conseguenze” si focalizzano sull’impatto delle malattie o di altre condizione di salute che ne possono derivare). L’ICF assume quindi una posizione neutrale rispetto all’eziologia, permettendo ai ricercatori di fare inferenze causali utilizzando i metodi scientifici appropriati. Questo approccio è diverso anche da un approccio sulle “cause determinanti della salute” o sui “fattori di rischio”: per facilitare lo studio di questi fattori l’ICF include un elenco di fattori ambientali che descrivono il contesto in cui gli individui vivono. Ne consegue che profili di funzionamento simili possono corrispondere a diagnosi differenti e viceversa, a seconda del variare delle condizioni ambientali e dei fattori personali. L’ICF appartiene alla “famiglia” delle classificazioni internazionali sviluppate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: in esse le condizioni di salute in quanto tali (malattie, disturbi, lesioni, ecc.) vengono classificate principalmente nell’ICD-10 (acronimo di International Statistical Classification of Dieseases and Related Health Problems) che fornisce un modello di riferimento eziologico; nell’ICF, invece, vengono classificati il funzionamento e la disabilità associati alle condizioni di salute: l’ICD-10 e l’ICF sono pertanto complementari, e dovrebbero essere utilizzati insieme. L’ICD-10 fornisce una “diagnosi” delle malattie, dei disturbi o di altri stati di salute e questa informazione si arricchisce delle informazioni aggiuntive offerte dall’ICF relative al funzionamento. Quindi, l’associazione di informazioni sulla diagnosi e sul funzionamento fornisce un quadro più ampio e significativo della salute delle persone o delle popolazioni, utilizzabile quando si tratta di prendere delle decisioni. a. LA “SALUTE”: vi è ormai un generale consenso sul fatto che la sola “DIAGNOSI di malattia” non basti per descrivere lo stato di salute di una persona; per superare questo limite della diagnosi (classificata con l’ICD-10) non è nemmeno sufficiente prevedere un quadro di concetti sulle “conseguenze delle malattie” che vada oltre la stessa concatenazione di eventi legati alla logica causale lineare progressiva (cfr. classificazione ICDH): *alterazione patologica iniziale (malattia) *alterazione della struttura o delle funzioni di un organo o di un sistema (menomazione) *limitazione delle attività (disabilità) *menomazione e disabilità possono pregiudicare l’individuo, limitando od ostacolando la messa in atto dei suoi ruoli vitali (orientamento, indipendenza fisica, mobilità, occupazione, integrazione sociale, autosufficienza economica) (svantaggio sociale) *difficoltà nello svolgere i ruoli ed acquisire beni e risorse necessari(handicap). Infatti: - la compromissione dello stato di salute non deriva dalla unidirezionalità della relazione di causa-effetto che lega malattia, menomazione,disabilità, svantaggio sociale, handicap; - l’ambiente (sociale, architettonico, naturale) non può essere considerato solo per il suo impatto negativo in termini di svantaggio/discriminazione, perché può essere barriera all’inclusione ma anche risorsa facilitante i processi di socializzazione ed integrazione del disabile. Per superare il modello basato sulle “conseguenze delle malattie” e di mettere al centro il lato positivo della condizione di salute (= funzionamento) (e quindi non essere strumento solo di ciò “che non va”, “si è perso”, “non può fare” ma la descrizione più dettagliata possibile delle funzioni, abilità, capacità comunque caratterizzanti una persona, estendentesi anche alla partecipazione alla vita sociale, alla scuola, al lavoro,…), la valutazione del funzionamento deve necessariamente specificare in quale contesto viene effettuata. Ciò perché la disabilità non è affatto una caratteristica della persona, ma il risultato dell’interazione tra una certa condizione di salute ed un ambiente sfavorevole. Dunque, salute non come mera “assenza di malattia” ma “…tensione verso lo stato di completo benessere, piena armonia e sano equilibrio fisico, psichico, spirituale, mentale e sociale”; cioè, salute come stato del funzionamento umano che coinvolge l’intera persona nel suo ambiente. Per l’OMS, la salute: - riguarda la forma dell’intera persona (e non solo di alcune sue parti od organi) - è legata al funzionamento umano a tutti i livelli: fisico, psicologico, personale, familiare e sociale) - non è staccabile dall’intero contesto o ambiente in cui la persona vive. Cioè: vi sono tre aspetti molto importanti del concetto di salute che è direttamente legato all’ICF: 1. La salute non riguarda alcune parti di una persona (fegato, polmoni..) ma è uno stato di piena forma dell’intera persona. [La definizione afferma “lo stato di completo benessere… ” ma ciò è perché sta definendo la salute ideale, uno stato che ovviamente nessuno può esperire. La definizione ci permette di parlare di “buona” o di “cattiva” salute e, specialmente, “miglioramenti nella salute”, ed è ciò che è importante] 2. La salute è essenzialmente legata a tutte le dimensioni del funzionamento umano, a livello fisico, biologico, psicologico, personale, famigliare e sociale 3. La salute non può essere staccata dal completo contesto o ambiente in cui la persona vive. La salute colpisce l’ambiente e l’ambiente colpisce la salute Sin dalla sua costituzione (1947) l’OMS si lasciò dietro la vecchia nozione di salute come “assenza di malattia”, ritenendo che la salute fosse uno stato di funzionamento umano che coinvolge l’intera persona nel suo ambiente. Questa visione fu rafforzata nel 1986 dalla Carta di Ottawa per la “Promozione della Salute”, la quale sottolineò che la promozione ed il raggiungimento della salute coinvolge l’intera esperienza della persona ed il suo ambiente. Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, 1986: Promozione della salute “La promozione della salute è il processo di permettere alle persone di aumentare il controllo e migliorare la propria salute. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, una persona o un gruppo deve poter identificare e realizzare aspirazioni, soddisfare bisogni, cambiare o far fronte all’ambiente. La salute, pertanto, è vista come una risorsa per la vita di tutti i giorni, non un obiettivo di vita. La salute è un concetto positivo che enfatizza le risorse personali e sociali, così come le capacità fisiche. Pertanto, la promozione della salute non è solo responsabilità dei settori sanitari, ma va al di là degli stili di vita salutari, verso il benessere. Per promozione della salute si intende il processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo della salute e di migliorarla. Per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, l’individuo o il gruppo devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente e di adattarvisi. La salute vista, dunque come un concetto positivo, che insiste sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche. Di conseguenza, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani, per aspirare al benessere.” “Condizioni e risorse fondamentali della salute sono : la pace, un tetto, l’istruzione, il cibo, il reddito, un eco-sistema stabile, la continuità delle risorse, la giustizia e l’equità sociale. Ogni progresso sul piano della salute deve essere necessariamente e saldamente ancorato a questi requisiti” Alcuni passi per la promozione della salute: “La promozione della salute va oltre la mera assistenza sanitaria. Essa porta il problema all’attenzione dei responsabili delle scelte in tutti i settori, a tutti i livelli, invitandoli alla piena consapevolezza delle conseguenze sul piano della salute di ogni loro decisione, e a una precisa assunzione di responsabilità in merito… Le società contemporanee sono complesse e interdipendenti. La salute non può esser un obiettivo isolato. Il legame inestricabile tra l’uomo e l’ambiente costituisce la base di un approccio socio-ecologico al problema della salute… Momento centrale per stabilire priorità, prendere decisioni e progettare e realizzare strategie tese al miglioramento della salute è il potenziamento della comunità, per renderla veramente padrona e arbitra delle sue aspirazioni e del suo destino…. “ b. LA “DISABILITA’” Il dibattito su cosa sia la disabilità è annoso quanto quello sulla salute, ma l’assenza di una definizione condivisa ha prodotto risultati di distribuzione assurdamente disomogenea della presenza di soggetti disabili: ad es. alcune nazioni come l’ Australia, la Nuova Zelanda e la Norvegia lamentavano tra il 20 ed il 35% della popolazione contro l’uno per cento circa di paesi come il Bangladesh, la Siria e la Tunisia. L’Italia, con il suo 5% di disabili segnalati, si situava nel mezzo tra l’Egitto e la Cina. La fotografia di alcuni volti noti pone l’interrogativo: tutte queste persone sono disabili? Come le conosciamo? Cosa hanno in comune? Innanzitutto, ciascuna ha alcune difficoltà di funzionamento in alcune aree: ascoltare, vedere, muoversi e pensare.. (menomazioni di alcune funzioni); poi, a causa di queste difficoltà, ciascuna è limitata in qualche maniera nello svolgere attività normali: ascoltare la musica, guardare la TV, fare una passeggiata e così via. (limitazioni di attività); infine, nonostante che ciascuna di queste persone siano state “di successo” in vari aspetti di vita, le loro limitazioni potrebbero aver limitato i tipi di lavoro che avrebbero potuto fare o le relazioni che potrebbero avere con altre persone o le attività sociali a cui potrebbero aver partecipato. (difficoltà di partecipazione) Quindi: la disabilità sembra aver a che fare con molte cose differenti e coinvolge differenti dimensioni della vita umana. Per il modello medico la disabilità concerne anormalità fisiologiche e psicologiche (causate da malattie, disturbi o lesioni) che necessitano di trattamento medico. Legge 30 marzo 1971 n. 118 : “Agli effetti della presente legge, si considerano mutilati ed invalidi civili i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”. Il modello medico (o biologico) di disabilità è stato a lungo predominante, in quanto appare similare al nostro modo di vedere la disabilità: una persona ha una disabilità quando c’è “qualcosa di sbagliato” nel loro corpo o nella loro mente. Il modello medico è una versione più sofisticata di questa idea comune: le disabilità sono deficit o anormalità fisiologiche o psicologiche che emergono direttamente da qualche stato di salute avverso, come una malattia, un disturbo o una lesione. La disabilità, per così dire, risiede nella persona, benché abbia un effetto come la persona viva nel suo mondo, sulle cose che può fare e sui ruoli sociali che può ricoprire. Poiché le disabilità sono fondamentalmente caratteristiche di una persona, l’unica risposta appropriata va a colpire o cambia direttamente il corpo e la mente della persona. Interventi medici e fisioterapeutici cercano di correggere i deficit nel corpo, sia curando la condizione di salute alla base, sia modificando funzionamento della persona in modo che funzioni più normalmente. Per il modello medico-biologico la disabilità riguarda anormalità o deficit fisiologici o psicologici causati da malattie / disturbi / lesioni / traumi, richiedenti -quindi- trattamenti medici. La disabilità, cioè, risiede nella persona ed ha conseguenze su come il paziente vive il suo mondo, sulle cose che può fare, sui ruoli sociali che può ricoprire…; conseguentemente i trattamenti medici dovranno cercare di correggere per quanto possibile i deficit corporali o mentali curando la salute alla base o modificando il funzionamento abnorme della persona stessa. In altri termini: a motivo delle difficoltà di funzionamento in alcune aree (es. ascoltare, vedere, muoversi, pensare,…) comportanti menomazioni di funzioni, v’è la conseguente limitazione nello svolgere le relative attività (es. ascoltare la musica, guardare la TV, fare una passeggiata, studiare, …); tali limitazioni condizionano ad es. il tipo di lavoro che la persona voleva svolgere, le relazioni che avrebbe potuto avere con altre persone, le attività sociali a cui avrebbe potuto partecipare, ecc. La disabilità, infatti, ha a che fare con molteplici cose differenti e coinvolge numerose dimensioni della vita umana. Per il modello sociale la disabilità riguarda gli svantaggi causati dall’ambiente fisico e sociale che “crea limitazioni” alla vita delle persone con problemi di funzionamento. In altri termini: ciò che sta alla base della disabilità non è un’anormalità / deficit, ma il modo con cui la società tratta le persone con anormalità. Legge 5 febbraio 1992 n. 104: “E' persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. Quando il dibattito fra modello medico e sociale di disabilità cominciò (fine anni 70), l’OMS integrò i suoi strumenti di classificazione per mortalità è morbilità – la International Classification of Diseases and Related Health Problems, o ICD – con un’altra classificazione delle “conseguenze della malattia”. Il risultato fu la International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps, o ICIDH. Il principale principio guida dietro l’ICIDH fu che la disabilità è collegata non ad uno, ma a tre fenomeni collegati. Gli autori usarono “menomazione” per il livello biomedico, in cui vi sia una osservabile perdita o anormalità nelle funzioni e strutture del corpo. Si volsero al termine “handicap” per identificare lo svantaggio che una persona con disabilià può incontrare nell’adempimento dei ruoli sociali di base. Infine, decisero di usare il termine “disabilità” per il livello intermedio, in cui una menomazione colpisce l’abilità di una persona nel compiere attività. Per il modello OMS-ICDIH: - la menomazione è ogni perdita o anormalità di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche. - la disabilità è ogni restrizione o perdita (risultante da una menomazione) dell’abilità di eseguire un’attività nella maniera considerata normale per un essere umano. - l’Handicap è uno svantaggio derivato, per un dato individuo, risultante da una menomazione o una disabilità che limiti o prevenga l’adempimento di un ruolo che è normale (rispetto a età, sesso e fattori sociali e culturali) per l’individuo. Malattia Menomazione Disabilità Handicap Art. 3 L. n. 104/92: “E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che • • • causa difficoltà di apprendimento, relazione, integrazione lavorativa tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.” Il modello OMS - ICDH (1980) evidenzia la concatenazione fra: * la “menomazione”, che è ogni perdita o anormalità di strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche od anatomiche; * la “disabilità”, che è ogni restrizione o perdita dell’abilità di eseguire un’attività nella maniera considerata normale per una persona di quell’età, sesso, condizione sociale o culturale, ecc.; * l’ “handicap”,che è lo svantaggio derivato all’individuo dalla menomazione o disabilità che limita o non consente l’adempimento di un ruolo che sarebbe per lui normale (rispetto a età, sesso e fattori sociali e culturali,…) malattia menomazione disabilità handicap Il principio guida dell’ICIDH (“International Classification of Impairments,Disabilities and Handicaps”) è che la disabilità va collegata a tre fenomeni interdipendenti: - la “menomazione” (a connotazione biomedica) in riferimento alla presenza di una osservabile perdita o anormalità nelle funzioni e strutture del corpo; - la “disabilità” (indicante il livello intermedio) in riferimento alla menomazione che colpisce l’abilità di una persona nel compiere le attività. - l“handicap” (a connotazione sociale) in riferimento alla presenza dello svantaggio che una persona con disabilià incontra nell’adempimento dei ruoli sociali di base; N.B. Il modello concettuale OMS-ICDH, pur avendo avuto successo (cfr. L.104/92), nella pratica ebbe limitata applicazione essendo poco praticabile sul campo. Infatti l’ICDH creava confusione, perché da un lato accettava che l’handicap fosse principalmente causato dalla reazione sociale alle persone con disabilità (= prospettiva del modello sociale), dall’altra seguiva un modello lineare in cui la malattia causa menomazioni, le quali provocano disabilità e quindi handicap (suggerendo che tutti gli aspetti della disabilità partono da malattia, = prospettiva del modello medico). Tuttavia l’ICIDH rappresenta un significativo passo in avanti nel dibattito sulla disabilità, perché tale modello concettuale coglie la disabilità alla luce dell’intero ambiente di vita. Dall’ICIDH all’ICF: al di là dei miglioramenti tecnici, maggiore attenzione alle menomazioni mentali, definizioni operative, un sistema di codifica più chiaro, ecc., fu concordato che l’intero processo di revisione dovesse essere guidato dai seguenti principi concettuali: • Universalità: al pari del funzionamento umano, la disabilità deve essere vista come un aspetto universale dell’umanità, non come caratteristiche che definisce un qualche gruppo minoritario; • Ambiente: considerate le intuizioni del modello sociale, i fattori ambientali devono essere inclusi come componente fondamentale dello schema di classificazione; • Linguaggio neutrale: il nuovo ICF è principalmente una classificazione positiva dei livelli di funzionamento umano, non una classificazione dei problemi di funzionamento; • Parità: la classificazione non fa differenza fra il fisico ed il mentale, ma semplicemente classifica tutte le funzioni umane. Ciò implica che la classificazione deve essere eziologicamente neutrale: tutti i livelli di disabilità sono definiti operativamente senza riferimenti a cosa possa causare il problema; • Modello biopsicosociale: il più importante principio della revisione coinvolto nel modello sottostante di disabilità. Considerate le critiche all’ICIDH, è richiesto un nuovo modello. La 54° World Health Assembly del 22 maggio 2001, all’unanimità dei suoi 191 Stati membri approva la risoluzione ufficiale, che contiene: - la pubblicazione della seconda edizione della Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità ed Handicap (ICIDH), con il titolo di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) - la raccomandazione agli Stati membri di utilizzare in maniera appropriata l’ICF per ricerca, studi di popolazione e nei reports, tenendo conto delle situazioni specifiche degli Stati Membri e, in particolare, in vista di future revisioni; - la richiesta al Direttore Generale di fornire sostegno agli stati membri, su loro richiesta, per utilizzare l’ICF. In altre parole: per l’ICF il funzionamento e la disabilità sono correlati all’ambiente di vita del soggetto, per cui la classificazione descrive l’impatto dei fattori ambientali in termini di “facilitatori” o “barriere” rispetto alle attività ed alla partecipazione. Questo nuovo concetto di disabilità, derivante dal dibattito tra i precedenti modelli, venne dall’OMS posto alla base dell’ICF (2001) e della stessa Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità(2006). L’aspetto più importante di questo nuovo approccio resta il superamento dell’impostazione linearecausale riferito alla catena di eventi che causano la disabilità, a vantaggio di un modello sistemico di interazioni fra fattori differenti. L’ICF è un modello di classificazione bio-psico-sociale molto attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui essa vive. Con l’ICF si passa dalla prospettiva sanitaria a quella bio-psico-sociale: nel 2001, l’Assemblea Mondiale della Sanità dell’OMS ha approvato la nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health – ICF), raccomandandone l’uso negli Stati parti. L’ICF recepisce pienamente il modello sociale della disabilità, considerando la persona non soltanto dal punto di vista “sanitario”, ma promuovendone un approccio globale, attento alle potenzialità complessive, alle varie risorse del soggetto, tenendo ben presente che il contesto, personale, naturale, sociale e culturale, incide decisamente nella possibilità che tali risorse hanno di esprimersi. Fondamentale è dunque la capacità di tale classificatore di descrivere tanto le capacità possedute quanto le performance possibili intervenendo sui fattori contestuali. Nella prospettiva dell’ICF, la partecipazione alle attività sociali di una persona con disabilità è determinata dall’interazione della sua condizione di salute (a livello di strutture e di funzioni corporee) con le condizioni ambientali, culturali, sociali e personali (definite fattori contestuali) in cui essa vive. Il modello introdotto dall’ICF, bio-psico-sociale, prende dunque in considerazione i molteplici aspetti della persona, correlando la condizione di salute e il suo contesto, pervenendo così ad una definizione di “disabilità” come ad “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”. Nel modello citato assume valore prioritario il contesto, i cui molteplici elementi possono essere qualificati come “barriera” se ostacolano l’attività e la partecipazione della persona, o “facilitatori” se favoriscono tale attività e partecipazione. L’ICF sta penetrando nelle pratiche di diagnosi condotte dalle AA.SS.LL., che -sulla base di essoelaborano il Profilo di funzionamento. E’ dunque indispensabile che il personale scolastico coinvolto nel processo di integrazione sia a conoscenza del modello ICF e che si diffonda sempre più un approccio culturale all’integrazione che tenga conto del nuovo orientamento volto a considerare la disabilità interconnessa ai fattori contestuali Per il nuovo modello ONU di disabilità “Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri” (Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, art. 1) Verso una nuova classificazione: alla luce del nuovo approccio, oggi chiunque voglia parlare di salute, di funzionamento o di disabilità deve prendere in considerazione queste sei dimensioni/componenti della salute secondo l’OMS 1. la presenza di una condizione di salute (malattia, disturbo, lesione, ecc.); 2. l’integrità e/o le alterazioni della fisiologia corporea; 3. l’integrità e/o le alterazioni della anatomia; 4. quello che una persona fa (in termini sia di quello che sarebbe in grado di fare teoricamente, sia in termini di quello che uno realmente fa nel suo ambiente); 5. il contesto di vita (in termini di impatto di eventuali aiuti o ostacoli); 6. i fattori individuali (età, sesso, convinzioni personali, esperienze di vita, reddito…). Prendere in considerazione le sei dimensioni precitate vuol dire porsi queste sei fondamentali domande: 1. C’è una “condizione di salute”? 2. I sistemi corporei funzionano? 3. I sistemi corporei sono integri? 4. Cosa fa la persona (cosa sarebbe in grado di fare e cosa realmente fa)? 5. Il suo ambiente influisce su quello che fa? 6. Quali sono le caratteristiche individuali significative? Va rilevato che ad ognuna di queste domande (meglio alle prime cinque) è possibile rispondere sia in termini affermativi che negativi; inoltre ad ognuna delle domande possono essere date sia risposte positive che negative (ad esempio è evidente che a fronte di una menomazione anatomica degli arti inferiori ci sia, verosimilmente, un apparato cardiovascolare più che integro). Alla prima di queste domande è possibile rispondere utilizzando la classificazione ICD (International Classification of Diseases; in particolare, International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS-WHO). Le risposte alle domande dalla due alla cinque possono essere affrontate rispettivamente con la classificazione ICF delle funzioni corporee, con la classificazione ICF delle strutture corporee, con la classificazione ICF del dominio di attività e partecipazione e con la classificazione ICF dei fattori ambientali. Non si è ancora trovato il consenso per stilare una classificazione dei fattori personali (età, sesso,reddito, background di esperienze, convinzioni religiose ecc.) I termini Condizione di salute, funzionamento e disabilità in questa accezione sono dei termini ombrello (cfr. definizioni in manuale,p. 212). Il modello bio-psico-sociale nell’ICF s problema personale & s problema sociale s terapia medica & s integrazione sociale s trattamento individuale & s azione sociale s aiuto professionale & s responsabilità individuale e collettiva s cambiamenti a livello & s manipolazione ambientale personale s comportamento & s atteggiamento, cultura s assistenza & s diritti umani s politiche sanitarie & s politica s adattamento individuale & s cambiamento sociale Considerando le due nozioni base riguardanti l’ICF, salute e disabilità: nel caso della disabilità occorre rivedere il dibattito fra i modelli medico e sociale, allo scopo di capire la decisione dell’OMS di operazionalizzare nell’ICF un modello più flessibile e quindi utile, definito modello biopsicosociale. La lezione da imparare qui ha due parti. Innanzitutto, il fatto che sia il modello medico che quello sociale ci forniscono importanti elementi di scoperta sulla natura della disabilità, e sui metodi appropriati di intervento che sono richiesti per risolvere i problemi che le persone con disabilità incontrano nelle loro vite. Secondariamente, vediamo che sia il modello medico che quello sociale non riescono ad approcciare adeguatamente alcuni problemi e così non sono prospettive sufficienti da sole. Ciò suggerisce che un modello di disabilità che incorpori e sintetizzi sia la prospettiva sociale che quella medica avrebbe la forze di entrambe, senza le loro debolezze. Questa è l’idea di base che sta dietro l’adozione del modello biopsicosociale nell’ICF. Il modello bio-psico-sociale nell’ICF è così rappresentabile: Condizione di salute (malattia/disturbo) Funzioni e Strutture corporee (menomazioni) Attività (limitazioni) Fattori ambientali Partecipazione (restrizioni) Fattori personali L’ICF, come l’ICIDH, mantiene le tre dimensioni della disabilità, mantenendo il termine menomazione, ma usando attività e partecipazione per i due livelli successivi. Il termine Handicap è stato eliminato perché è connotato negativamente. Il modello dell’ICF incorpora le prospettive medica e sociale; la prospettiva medica è l’input nella parte superiore del diagramma, mentre quella sociale è compresa nella parte relativa all’ambiente. Le dimensioni della disabilità (menomazione, limitazioni nell’attività e restrizioni nella partecipazione) sono esiti di un’interazione fra la condizione di salute e l’ambiente complessivo. La natura dell’interazione è differente in ciascun caso: le menomazioni sono primariamente il prodotto di caratteristiche fisiche del corpo della persona, mentre le restrizioni alla partecipazione sono primariamente il risultato di barriere ambientali. Così, sia la prospettiva medica che quella sociale sono preservate in questo modello. In altre parole, la disabilità non è una caratteristica intrinseca degli individui che li rende in qualche modo differenti da altri esseri umani: infatti la Convenzione sui diritti della persona con disabilità (ONU-New York 13.12.2006) afferma: “Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.” E’ questo il senso fondamentale della Convenzione ONU 2006 e che renderà incompatibili tutte le leggi o le norme che in qualche modo precludono l’accesso ai diritti fondamentali degli esseri umani per le persone che sperimentano una disabilità. I PRINCIPI GENERALI DELLA CONVENZIONE sono: il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone la non discriminazione la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa le pari opportunità l’accessibilità la parità tra uomini e donne il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità. Non di rado di una persona vengono colti frammenti soprapposti e duplicati, spesso non comparabili e custoditi da diverse istituzioni; si tende cioè a prendere una parte della persona per spiegare il tutto, con il rischio di identificare la persona con il suo Q.I. da misurare, con la sua menomazione anatomica da compensare, con la sua difficoltà di svolgere gli atti della vita da risarcire. E’ necessario rovesciare la prospettiva: effettuare una valutazione coerente per descrivere il “volto” della persona, “zoomando” dal generale al particolare; vale a dire descrivere,classificare l’interezza della persona, storicizzarla, collegarla ad un contesto nello spazio e nel tempo… (che poi è l’unico modo per dotare di senso la valutazione di un aspetto di quella persona che si va a misurare nel dettaglio). In altre parole la disabilità non è una caratteristica intrinseca degli individui che li rende in qualche modo differenti da altri esseri umani PERCHÉ UNA CLASSIFICAZIONE INTERNAZIONALE DEL FUNZIONAMENTO: Dagli anni 70 il trend epidemiologico mostrava che, in molte parti del mondo industrializzato, i problemi di salute sarebbero stati più facilmente cronici che acuti. Si assiste infatti al passaggio da malattie infettive acute a malattie cronico-degenerative (neuropsichiatriche, tumori, diabete, obesità) Le persone vivono più a lungo ma con problemi cronici; le malattie e le lesioni che solitamente erano fatali non lo sono più. Il trend peraltro si osserva anche nei Paesi in via di sviluppo, nonostante che lì permangano ancora in maniera importante le malattie infettivo-parassitarie e acute. La buona pratica clinica aveva bisogno che le informazioni diagnostiche relative alla patologia sottostante una malattia o di un disturbo, fossero migliorate con informazioni relative alle conseguenze della condizione di salute sulla vita della persona. Queste conseguenze coinvolgono: lo stato di funzionamento della persona, comprese le funzioni fisiologiche e psicologiche a livello corporeo; le attività fisiche e cognitive di base della vita quotidiana, come camminare, raggiungere oggetti, focalizzare l’attenzione e comunicare; e le attività e i compiti più complessi a scuola, lavoro, nella famiglia o nella comunità. Mentre la classificazione delle malattie (ICD) è utile per caratterizzare le diagnosi, era necessario completarla con una classificazione parallela dello stato di funzionamento che utilizzasse un linguaggio internazionale comune per descriverlo. Un linguaggio standard fu inoltre richiesto per confrontare i dati provenienti dai diversi strumenti di assessment dello stato di funzionamento, generici o malattia-specifici, che erano comunemente utilizzati in medicina, assistenza e riabilitazione – come ad esempio l’SF-36, la Function Indipendence Measure (FIM) ecc. Allo stesso tempo, le persone con disabilità affermavano che i loro bisogni andavano molto oltre quelli a cui rispondevano gli interventi medici e riabilitativi: il loro stato funzionale, la loro disabilità era determinato più dall’ambiente in cui vivevano che dalla loro condizione di salute. In sintesi: cambiamento nella prospettiva: dalla focalizzazione della patologia alla focalizzazione delle conseguenze della patologia. cambiamento nello scenario delle Politiche Socio Sanitarie: dalle patologie acute alla malattia cronica (transizione epidemiologica). necessità di un «linguaggio comune» per descrivere il funzionamento da utilizzare a livello interdisciplinare e internazionale. risposta ai bisogni della persona con disabilità e definizione di aree e parametri della disabilità per ottimizzare gli interventi. LA DIAGNOSI DA SOLA NON È PREDITTIVA : . dei Servizi richiesti . del livello di assistenza . delle abilità scolastiche . della capacità lavorativa . dell’ntegrazione sociale Infatti le informazioni diagnostiche nulla ci dicono della sottostante condizione di salute, della patologia, della malattia e del disturbo; dalla prospettiva della salute pubblica e delle politiche sociali, alcune ricerche evidenziano che le informazioni diagnostiche da sole non possono predire gli aspetti dell’esperienza vissuta delle persone con disabilità, che sono tuttavia essenziali per sviluppare le politiche. Nello specifico, le informazioni diagnostiche da sole non possono ad esempio predire quale sarà: l’utilizzo dei servizi il livello di assistenza richiesto la ricezione di sussidi per la disabilità la capacità di lavorare il livello di integrazione sociale che può essere raggiunto Ma altri studi hanno mostrato che quando le informazioni diagnostiche sono supplementare da informazioni sullo stato di funzionamento del paziente -le sue menomazioni e le attività fisiche e cognitive che non può svolgere- sono sufficienti per predire: - che tipo di servizi sanitari sono necessari; - quali corsi di educazione e addestramento sono richiesti; - il livello e il tipo di supporto sociale o di riabilitazione che sono necessari per tornare al lavoro, aumentare la capacità lavorative e recuperare l’integrazione sociale Questo è il motivo per cui molti ricercatori sostengono che la comprensione della la salute di un individuo o di una popolazione e la pianificazione di interventi di successo richiedono dati attendibili, lungo il ciclo di vita, sugli effetti delle condizioni di salute delle persone, sulle loro abilità di effettuare attività di base e partecipare alle situazioni di vita. La classificazione del funzionamento è il primo passo per ottenere dati affidabili sullo stato di funzionamento. In altri termini: DIAGNOSI + FUNZIONAMENTO sono invece in grado di prevedere: . l’utilizzazione dei servizi sanitari . la progettazione di percorsi formativi/educativi . l’inclusione scolastica . la capacità lavorativa . l’integrazione sociale CLASSIFICAZIONE Famiglia-Genere-Specie LA CLASSIFICAZIONE GERARCHICA: l e classificazioni possono avere molti pattern. Due comuni pattern in ambito scientifico sono il pattern Famiglia – Genere - Specie, usato soprattutto nei sistemi di classificazione biologica, ed il più generale pattern Gerarchico, in cui tutti i numeri dei livelli, le branche e le radici possono essere sommati. La caratteristica chiave di queste classificazioni è che ogni posizione ed ogni nodo può essere identificato da un unico numero di codice che si riferisce ad ogni livello, sotto-livello, e sotto-sotto-livello della posizione. Questo numero o codice agisce come un indirizzo unico per trovare ciascun singolo item della classificazione nel pattern più generale. Es. - Famiglia Aceraceae Famiglia degli Aceri - Genere Acer Aceri e gruppo dei Sambuchi - Specie Acer rubrum Acero Rosso L’ICF usa un sistema di classificazione di questo tipo. c. I TERMINI “OMBRELLO” Nell’accezione del linguaggio ICF le espressioni “condizione di salute”, “funzionamento” e “disabilità” sono dei termini “ombrello”, utilizzati per indicare più significati: - “Condizione di salute” indica malattia (acuta o cronica), disturbo, lesione, trauma e può anche comprendere altre circostanze (come gravidanza, invecchiamento, stress, anomalia congenita, predisposizione genetica, ecc.) - “Funzionamento” comprende funzioni corporee, strutture corporee, attività e partecipazione; indica gli aspetti positivi dell’interazione tra un individuo con una condizione di salute ed i fattori contestuali di quell’individuo (ambientali e personali) - “Disabilità”comprende menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni alla partecipazione; indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo con una condizione di salute ed i fattori contestuali di quell’individuo (ambientali e personali). In conclusione: L’ICF come ordinatore concettuale • concepisce il funzionamento e la disabilità in relazione con l’ambiente di vita dell’individuo • fornisce modalità per descrivere l’impatto dei fattori ambientali, in termini di facilitatori o di barriere, rispetto alle attività ed alla partecipazione di quella persona con una condizione di salute. L’ICF segue un approccio concettuale “ecologico”, poiche tiene conto degli effetti dell’ambiente nella genesi e nel mantenimento della disabilità. 2) L’ICF QUALE COMUNE LINGUAGGIO CONDIVISO: lo scopo generale della classificazione ICF è quello di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento (comune) per la descrizione della salute e degli stati ad essa correlati. Essa definisce le componenti della salute e alcune componenti ad essa correlate (come l’istruzione ed il lavoro); i domini contenuti nell’ICF possono, perciò, essere visti come domini della salute e domini ad essa correlati (un dominio è un insieme pratico e significativo di funzioni fisiologiche, strutture anatomiche, azioni, compiti o aree di vita correlate). Funzionamento è un termine ombrello che comprende tutte le funzioni corporee, le attività e la partecipazione; allo stesso modo disabilità serve come termine ombrello per menomazioni, limitazioni delle attività o restrizioni della partecipazione. Le sei componenti della salute, del funzionamento e della disabilità vengono quindi “tradotte” in un linguaggio comune tramite l’utilizzo di classificazioni: - condizione di salute: ICD-10 OMS - body functions (fisiologia): categorie “b. ICF” (“funzioni corporee”) - body structures (anatomia): categorie “s. ICF” (“strutture corporee”) - domain of activities & partecipations (quello che una persona fa) : categorie “d. ICF” (“attività e partecipazione”) - enviromental factors (contesto): categorie “e. ICF” (“fattori ambientali”) - fattori personali (componente essenziale dello schema concettuale, ma non ancora descrivibili in un linguaggio condiviso, poiché al momento manca il consensus sulle modalità di classificazione) L’ICF è una classificazione gerarchica; le categorie di I° livello (o capitoli) delle quattro componenti classificabili sono: -b- FUNZIONI CORPOREE (“body functions”) b1 mentali b2 sensoriali e del dolore b3 della voce e dell’eloquio b4 dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico, e dell’ apparato respiratorio b5 dell’apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino. b6 genito-urinarie e riproduttive b7 neuro-muscolo-scheletriche e correlate al movimento b8 della cute e delle strutture correlate -s- STRUTTURE CORPOREE (“body structures”) s1 del sistema nervoso s2 occhio, orecchio e strutture correlate s3 strutture coinvolte nella voce e nell’eloquio s4 dei sistemi cardiovascolare, immunologico e dell’apparato respiratorio s5 correlate all’apparato digerente e ai sistemi metabolico ed endocrino s6 correlate ai sistemi genito-urinario e riproduttivo s7 correlate al movimento s8 cute e strutture correlate -d- ATTIVITA’ E PARTECIPAZIONE (“domain of activities & partecipations”) d1 apprendimento e applicazione delle conoscenze d2 compiti e richieste generali d3 comunicazione d4 mobilità d5 cura della propria persona d6 vita domestica d7 interazioni e relazioni interpersonali d8 aree di vita principali d9 vita sociale, civile e di comunità -e- FATTORI AMBIENTALI (“enviromental factors”) e1 prodotti e tecnologia e2 ambiente naturale e cambiamenti ambientali effettuati dall’uomo e3 relazioni e sostegno sociale e4 atteggiamenti e5 servizi, sistemi e politiche L’ICF è un linguaggio che permette di descrivere con un significato condiviso tutti i possibili cambiamenti, in termini di funzionamento o di disabilità, nelle funzioni e strutture corporee e nella attività e partecipazione, che avvengono in una persona con un problema di salute nel suo ambiente di vita. L’ICF può essere considerato un “meta-linguaggio”, nel senso che è possibile tradurre in ICF le descrizioni funzionali presenti nei vari strumenti di assessment utilizzati dalle differenti discipline mediche e sociali, eliminando “l’effetto silos” per cui ogni branca specialistica utilizza scale di funzionamento che possono andare bene solo all’interno dell’ambiente in cui tali scale sono nate. In altre parole: l’ICF intende utilizzare una terminologia comune che esprima con chiarezza, precisione, appropriatezza e senza ambiguità i concetti sottesi. Non di rado nel discorso quotidiano, orale o scritto, le parole vengono invece utilizzate attribuendo loro significati dal senso comune: ad es. menomazione, disabilità ed handicap vengono spesso usati come sinonimi, intercambiabili. - con “benessere” il linguaggio ICF intende racchiudere l’intero universo degli ambiti della vita umana, inclusi gli aspetti fisici, mentali, psichici e sociali che costituiscono una “buona vita”. I domini del benessere relativi alla salute (vedere, parlare, ricordare,...) sono un sottoinsieme di altri domini del benessere che costituiscono l’universo della vita umana (educazione, lavoro, ambiente, ecc.); - con “stato di salute” il linguaggio ICF intende il livello di funzionamento all’interno di un determinato “domìnio di salute” (cioè di un’area di vita ritenuta parte della nozione di salute); - con “stato correlato alla salute” s’intende il livello di funzionamento all’interno di un determinato domìnio correlato alla salute” (cioè di un’area del funzionamento che compete ad altri sistemi non sanitari); - la locuzione “condizione di salute” è un termine “ombrello”per indicare malattia (acuta o cronica) disturbo, lesione, trauma e può anche comprendere altre circostanze (ad es. gravidanza, invecchiamento, stress, anomalia congenita, predisposizione genetica, ecc.). Nell’ICF le “condizioni di salute” vengono codificate con la Classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'OMS-WHO denominata ICD-10 (International Classification of Diseases); -“funzionamento” è un termine “ombrello” utilizzato per indicare strutture e funzioni corporee, attività e partecipazione; si riferisce agli aspetti positivi dell’interazione tra un individuo con una condizione di salute ed i fattori contestuali di quell’individuo (ambientali e personali); - anche “disabilità” è un termine “ombrello” per menomazioni, limitazioni dell’attività e restrizioni alla partecipazione; indica gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo con una condizione di salute ed i fattori contestuali (ambientali e personali) di quell’ individuo; - con “funzioni corporee” ci si riferisce alle funzioni fisiologiche di tutti i sistemi corporei, incluse quelle psicologiche (“corporeo”riguarda l’interessa dell’organismo umano, cervello incluso; per cui le funzioni mentali o psicologiche sono incluse). Gli standard per queste funzioni fanno riferimento alle norme statistiche per gli esseri umani; - con “strutture corporee” ci si riferisce alle parti strutturali o anatomiche del corpo umano, come gli organi, gli arti e le loro componenti classificati secondo i sistemi corporei. Gli standard per queste funzioni fanno riferimento alle norme statistiche per gli esseri umani; - il termine “menomazione” fa riferimento ad una perdita o anormalità (= scostamento statisticamente significativo, ossia deviazione da una media di popolazione nell’ambito di norme standard) nella struttura del corpo o nella funzione fisiologica, comprese le funzioni mentali; - per “attività” s’intende l’esecuzione di un’azione o di un compito da parte di un individuo; essa rappresenta la prospettiva individuale del funzionamento. La locuzione “Limitazioni dell’attività” fa riferimento a difficoltà/ostacoli che un individuo può incontrare nell’eseguire delle attività; difficoltà/ostacoli che possono essere da lieve a grave, in termini sia qualitativi che quantitativi, rispetto al modo o alla misura normalmente attesi da parsone senza problemi di salute; - con“fattori contestuali” o “fattori di contesto” si riferisce ai fattori che nell’insieme costituiscono l’intero contesto di vita di un individuo (background). Due le componenti: * i “fattori ambientali” che si riferiscono a tutti gli aspetti del mondo esterno ed estrinseco che formano il contesto della vita di un individuo e, come tali, hanno un impatto sul funzionamento della persona. I fattori ambientali includono l’ambiente fisico e le sue caratteristiche, il mondo fisico creato dall’uomo, altre persone in diverse relazioni e ruoli, atteggiamenti e valori, sistemi sociali e servizi, politiche, regole e leggi; * i “fattori personali” che rimandano a quei fattori di contesto correlati a quell’individuo (es. età, sesso,classe sociale, esperienze di vita, ecc.). Per ora i fattori personali non sono classificati nell’ICF, ma gli utilizzatori possono includerli nell’applicazione della classificazione; - con “facilitatori” s’intendono quei fattori ambientali la cui assenza o presenza migliora il suo funzionamento e riduce la disabilità. (es. un ambiente fisico accessibile, la disponibilità di tecnologia d’assistenza o di ausili; gli atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità; servizi, sistemi e politiche rivolte ad incrementare il coinvolgimento delle persone con una condizione di salute nelle aree di vita). L’assenza di un fattore può anche essere facilitante (come l’assenza di stigmatizzazione o di atteggiamenti negativi, ecc.). I facilitatori possono evitare che una menomazione o una limitazione dell’attività diventi una restrizione della partecipazione quando migliorano la performance di un’azione, nonostante il problema di capacità della persona; - con “barriere” s’intendono quei fattori ambientali la cui assenza o presenza limita il suo funzionamento e crea disabilità. Ad es. un ambiente fisico inaccessibile, la mancanza di tecnologia d’assistenza o di ausili, gli atteggiamenti negativi delle persone verso la disabilità, servizi / sistemi / politiche inesistenti od ostacolanti il coinvolgimento delle persone con una condizione di salute nelle aree di vita; - con “capacità” s’intende il più alto livello probabile di funzionamento che una persona può raggiungere in un determinato momento in un dominio di “Attività e Partecipazione”. La capacità viene misurata in un ambiente considerato standard o uniforme, riflette quindi l’abilità dell’individuo adattata all’ambiente, senza l’aiuto/supporto di cose/oggetti o persone. La componente “Fattori Ambientali” può essere usata per descrivere le caratteristiche di questo ambiente uniforme o standard; - con “performance” s’intende quel che l’individuo fa nel suo ambiente attuale / reale e quindi introduce l’aspetto del coinvolgimento di una persona nelle situazioni di vita, sotto l’influenza dei fattori ambientali, riferibili a cose/oggetti o persone. Invece con “performance1” s’intende quel che un individuo fa nel suo ambiente con l’influenza dei fattori ambientali, riferibili però alle sole cose/oggetti e non alle persone. L’ambiente attuale è descritto anche utilizzando la componente “Fattori Ambientali” 3) L’ICF QUALE STRUMENTO DI CLASSIFICAZIONE - DESCRIZIONE: volto a costruire un “profilo di funzionamento” di un determinato individuo, confrontabile nel tempo (ai fini di valutare gli esiti degli interventi) e condivisibile con l’interessato od il suo rappresentante, incrementando così la sua consapevolezza e partecipazione. L’ICF permette di raccogliere elementi di conoscenza, sul funzionamento e la disabilità, attraverso un lavoro di classificazione, intesa come il lavoro di rappresentare cose o persone indicandone tutte le caratteristiche e dandone un’idea compiuta. Non è quindi uno strumento di misura o di valutazione ma fornisce le conoscenze sulla complessità dei problemi, a livello di corpo, di funzioni, di attività e di partecipazione e di ambiente, che si intersecano ed interagiscono nel definire il bisogno e la tipologia degli interventi delle persone con un problema di salute, permettendo di meglio condividere ed esercitare la responsabilità delle decisioni. L’ICF è anche uno strumento di classificazione della salute e degli stati ad essa correlati, perché serve a descrivere in termini scientifici condivisi e comuni lo stato di salute generale della persona e delle caratteristiche associate alle sue esperienze di vita; quindi per descrivere il funzionamento e la disabilità. L’ICF possiede un vocabolario completo del funzionamento umano e della disabilità ed è proprio in quanto classificazione (cioè piena descrizione scientifica) del funzionamento e della disabilità che l’ICF compie un primo passo verso la misurazione e la valutazione (cfr. il WHO-DAS dell’OMS che sviluppa strumenti di misurazione e di assessment basati sull’ICF) L’ICF non è una classificazione delle persone ma descrive le esperienze che le persone si trovano a vivere in quel determinato contesto a causa della presenza di una condizione di salute. L’ICF non è uno strumento né di misurazione, né di valutazione; ma una classificazione della salute e degli stati di salute ad essa correlati. - Classificare significa ordinare e catalogare mediante un criterio, rappresentare cose o persone indicandone tutte le caratteristiche, in modo da darne un’idea compiuta. Classificazione è il processo per cui un insieme di entità viene organizzato in un pattern in un modo tale che ogni entità rientri in uno e uno solo di questi pattern (es. Tavola periodica degli elementi, classificazione delle piante di Linneo, ecc.). -Misurare significa quantificare una osservazione contro uno standard. Misurazione è il processo per cui a differenze qualitative osservate viene assegnato un valore numerico in termini di uno standard (es. coefficiente QI, pressione atmosferica, ecc.). -Valutare vuol dire determinare un valore, stimare, calcolare, stabilire in misura non approssimativa. Valutazione (o Assessment) è il processo per cui vengono dati dei significati alla misurazione, in base agli scopi di utilizzo (es. costi economici per fornitura di beni e servizi, determinazione di livelli-soglia per i sintomi di malattia, ecc.).