Torture di cui non ha raccontato i
particolari nemmeno ai suoi commilitoni. Lomax non sembra essere in
grado di affrontare la situazione e
superare il fardello che si porta
appresso (…). La pellicola, basata
su una storia vera e diretta da
Jonathan Teplitzky, si avvale di un
cast straordinario che, oltre il
protagonista premio Oscar per “Il
discorso del re”, vede nei panni della
consorte di Lomax Nicole Kidman e
in quelli dell’amico Finlay l’attore
svedese Stellan Skarsgård. A
prestare il suo volto alla versione
giovane di Eric è invece Jeremy
Irvine, già visto in “Grandi speranze“
e “War Horse“. La parte migliore del
film è proprio l’interpretazione di Firth,
anche se molto lontana dai suoi
massimi livelli, che riesce a dare al
suo personaggio un’aria tormentata
e malinconica, in lotta con se stesso
e con i suoi ricordi, chiuso al mondo
esterno e incline a sfoghi di rabbia
inespressa. Infatti, il suo è l’unico
personaggio di spessore e approfondito che incontriamo durante il film. E
questa è una delle pecche peggiori
della pellicola, il non aver approfondito e curato meglio la caratterizzazione dei personaggi, con una Nicole
Kidman che da vita ad una donna di
contorno, la cui apparizione è
fugace, sfocata, ai margini e potenzialmente ininfluente, anche se,
come si intuisce dalle parole dei
protagonisti, è proprio l’amore per lei
quello che spinge Lomax alla
reazione. Lo stesso avviene per il
personaggio di Finlay, le cui azioni
sono fondamentali al fine del
svolgersi della vicenda, ma di cui il
motivo è solamente intuibile, visto il
poco approfondimento dedicato alla
sua figura. Un altro problema del film
è il non volersi sbilanciare e non
regalare emozioni se non quelle
scaturite dalla naturale empatia
personale con il dolore altrui.
Insomma, una pellicola che avrebbe
potuto osare di più per toccare
maggiormente le corde più sensibili
degli spettatori e far riflettere e
discutere su un periodo così buio
della nostra storia, ma che invece ha
preferito tenersi su posizioni comode
e dal sapore diplomatico. Teplitzky
alla regia svolge il suo compito
raggiungendo la sufficienza, ma
senza guizzi di fantasia e con poco
pathos.
www.filmup.com
Mercoledì19novembre,ore16.30-19.00-21.15
Giovedì 20 novembre, ore 19.00 - 21.15
Un film di Brian Percival,
con Geoffrey Rush e Emily Watson
Nella Germania della Seconda Guerra
Mondiale, Liesel, una vivace e
coraggiosa ragazzina viene affidata
dalla madre ad Hans Hubermann, un
uomo buono e gentile, e alla sua
irritabile moglie Rosa. Con l’aiuto del
papà adottivo, Liesel imparerà a leggere
e, grazie all’amicizia con un ebreo di
nome Max nascosto nello scantinato, il
suo amore per la lettura diventerà
incontenibile, trasformandola in una
incallita ladruncola di libri.
MERCOLEDI 12 NOVEMBRE 2014, ORE 16.30-19.00-21.15
GIOVEDI 13 NOVEMBRE 2014, ORE 19.00-21.15
Il cast tecnico.
Regia:
Jonathan
Teplitzky.
Soggetto:
Eric
Lomax.
Sceneggiatura: Frank Cottrell
Boyce Andy Paterson. Direttore
della fotografia: Garry Phillips.
Montaggio:
Martin
Connor.
Scenografia: Steven Jones-Evans.
Costumi: Lizzy Gardiner. Musiche:
David Hirschfelder.
Origine: Australia-Gran Bretagna, 2013.
Gli interpreti. Colin Firth (Eric
Lomax), Nicole Kidman (Patti),
Jeremy Irvine (Eric da giovane),
Stellan
Skarsgård
(Finlay),
Hiroyuki Sanada (Nagase), Sam
Reid (Finlay da giovane), Tanroh
Ishida (Nagase da giovane), Tom
Hobbs (Thorlby), James Fraser
(Duncan).
Durata: 1h56.
La trama. Inghilterra, 1980. Eric
incontra in treno la bella Patti. È
amore a prima vista, e matrimonio.
Ma la prima notte di nozze Eric è
in preda agli incubi e rifiuta di
raccontarne a Patti il contenuto.
Patti spingerà Eric a ricollegare i fili
spezzati del proprio passato, con
esiti
del
tutto
imprevisti,
immergendo anche gli spettatori
nell'atmosfera allucinata vissuta
dai prigionieri di guerra durante il
conflitto mondiale nella Thailandia
occupata dai giapponesi.
Le due vie del destino è basato sul
romanzo autobiografico The Railway
Man scritto dallo stesso Eric Lomax e
diventato un best seller internazionale. Colin Firth si cala con totale
partecipazione emotiva nel ruolo del
protagonista, mettendo a buon frutto
la scorta di umanità che caratterizza
da sempre la sua recitazione, e
Nicole Kidman mette la sua professionalità (ma poco di più) al servizio del
suo cammeo nel ruolo della moglie
Patti. Il film procede secondo una
narrazione classica da grande
cinema di guerra, alternando gli anni
Ottanta agli anni Quaranta e immergendoci profondamente nell'atmosfera allucinata vissuta dai prigionieri di
guerra durante il conflitto mondiale. I
punti di riferimento cinematografici
sono Il ponte sul fiume Kwai di David
Lean - per difetto, perché quello
raccontava una favoletta consolatoria,
eludendo la realtà terribile del conflitto
- e Furyo di Nagisa Oshima, assai
simile invece nel raccontare il rapporto fra prigionieri inglesi e soldati
giapponesi, nonché la crudeltà della
detenzione. La posta in gioco è la
dignità umana, i temi sono il senso
dell'onore, la fedeltà al proprio ruolo,
l'orrore della guerra, il potere salvifico
dell'amore. E la storia è raccontata in
toni melodrammatici sottesi da una
grande tensione morale e dotati di
una forte capacità evocativa - della
paura e dell'umiliazione - nella
costruzione delle immagini di
prigionia. Le scene di tortura sono
quasi insopportabili, non in quanto
eccessivamente esplicite, ma in
quanto emotivamente dirompenti.
Alla narrazione contribuisce in modo
significativo
l'accompagnamento
sonoro, uno dei migliori visti nel
cinema recente: mix suggestivo di
rumori, silenzi, respiri, musiche, graffi
radiofonici, fischi, sussurri e grida in
lingue straniere, terrorizzanti nella
loro indecifrabilità. Girato in gran
parte nei luoghi in cui si è svolta la
storia, e che trasudano ancora orrore
e sofferenza, Le due vie del destino
è una denuncia esplicita dell'inutilità
crudele delle guerre e una parabola
edificante (detto in senso non
denigratorio) sulla capacità umana di
resistere all'irresistibile e sulla volontà
di rompere il silenzio su ciò di cui
"nessuno parla”.
Paola Casella
www.mymovies.it
C'era una volta, nel lontano 1942,
nell'afosa giungla thailandese, una
linea ferroviaria alla cui costruzione
lavoravano prigionieri alleati e asiatici
e che avrebbe dovuto unire la
Thailandia alla Birmania. La chiamavano “la Ferrovia della morte” perché
per il troppo sforzo, le punizioni
corporali dei giapponesi e la scarsa
quantità di cibo giornaliero, molti di
quelli che vi lavoravano persero
orribilmente la vita.... Un momento!
Ma noi questa storia l'abbiamo già
sentita, anzi l'abbiamo vista nel
celeberrimo Ponte sul fiume Kwai,
film da sette statuette diretto, nel
1958, da David Lean! E' vero, ma
non c'è niente di male a ripercorrere
uno degli episodi più devastanti della
Seconda Guerra Mondiale, soprattutto se a farlo è un filmmaker che
rende dichiaratamente omaggio al
regista inglese, ricordandone perfino
il delicato breve incontro. La citazione di quest'ultimo, che è un film
incentrato su un amore nato fra treni
e binari, non è casuale, visto che il
protagonista del nostro film è un
uomo che se ne intende di rotaie,
vagoni e orari, e che proprio in uno
scompartimento incontra la donna
dei suoi sogni. A differenza del
medico nato dalla fantasia di Noël
Coward, stavolta il protagonista
viene ostacolato non da due
matrimoni, ma dai fantasmi del
passato, che lo precipitano nella
classica sindrome post-traumatica
da stress. A Jonathan Teplitzky
importa fino a un certo punto che
questo reduce – di nome Eric
Lomax – sia esistito per davvero e
abbia scritto della sua disavventura
in un'autobiografia. A solleticare la
creatività del regista australiano è
piuttosto la morale della storia, il suo
messaggio, che potremmo riassumere così: la guerra è stupida, la vita
va rispettata e il perdono, per quanto
difficile, guarisce più della vendetta.
Ora, questa lezione, importante
anche se un po' scontata, arriva
sfortunatamente solo nelle bellissime scene finali, e questo perché,
pur traendo vantaggio da un'ottima
fotografia che rende le scene presso
lo scavo di Konyu Cutting di grande
potenza visiva, Le due vie del
destino non sa decidersi se essere
una love story con tanto di salvatrice
in stile Florence Nightingale, un
dramma bellico, una survivor story,
un melò, un racconto epico. Il mix di
generi in sé non sarebbe sbagliato,
se soltanto a ogni affresco fosse
stata data qualche pennellata in più.
Invece, alcune sequenze non sono
abbastanza incisive, e se proprio
dobbiamo scegliere fra il grigio
presente di Mr. e Mrs. Lomax e il
passato di quest'ultimo, la nostra
preferenza va al secondo, emotivamente più coinvolgente. Quanto al
primo, sembra devolvere la sua
efficacia e il suo pathos interamente
all'abilità del nostro amato Colin Firth
di lavorare di sottrazione, puntando
sugli sguardi e sul non detto.
L'attore, capace come pochi di
incarnare l'irrequietezza malinconica di un animo umano segnato dal
dolore o dal senso di inadeguatezza, sembra qui in difficoltà di fronte
alla rappresentazione di scontrosità, rabbia repressa e ansia di
risarcimento, e il coltello che a un
certo punto afferra per farsi
giustizia non riesce a togliergli
quell'aria così per bene che lo
rende perfetto per commedie
traboccanti di humour britannico,
film intimisti, storie di re e regine.
Più a suo agio è Nicole Kidman,
che ben padroneggia tenerezza,
amore incondizionato e pietà
cristiana. E' da vedere Le due vie
del destino? Certo che è da
vedere, meglio se in versione
originale. Lo consigliamo a chi ama
gli amori quieti ma difficili, le catarsi
e le romantiche vicende old
fashion, e a chi è curioso di scoprire
se fra i due premi Oscar ci sia la
necessaria
e
imprescindibile
“chimica”.
Carlotta Proto
www.comingsoon.it
10 Settembre 2014
Si possono dimenticare gli orrori della
guerra e le torture e andare avanti
con la propria vita come se niente
fosse? A vedere quello che succede
al protagonista de “Le Due Vie del
Destino - The Railway Man” la
risposta
sembrerebbe
essere
negativa. Infatti, la vita dell’ex soldato
Eric Lomax, interpretato dal bravissimo Colin Firth, scorre monotona e
triste nel ricordo del periodo in cui fu
prigioniero durante la guerra e portato
in Tailandia sul sito di quella che viene
conosciuta come “La ferrovia della
morte”. Frequenta un gruppo di ex
veterani come lui, molti dei quali
furono fatti prigionieri nel suo stesso
posto e periodo. La sua esistenza ha
una svolta quando conosce Patti e se
ne innamora. Sembra andare tutto
bene, ma dopo il matrimonio l’uomo
ha un crollo emotivo ed è perseguitato dai ricordi di quel tremendo
periodo. Si chiude in se stesso, ha
spesso reazioni violente ingiustificabili
e non dialoga con la moglie, allontanandola ed escludendola dal problema. La donna, però, non si arrende e
decide di parlare con un caro amico
del marito, prigioniero dello stesso
campo, perché vuole capire cosa sta
succedendo. Scopre così che Lomax
è stato sottoposto a torture inumane
dopo che fu trovata una radio che lui
e i suoi compagni avevano costruito.
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Le due vie del destino - Cinema Teatro Primavera