ADDII Omaggio a EMILIO SALGARI A 100 anni dalla scomparsa (1911-2011) Inventore di mondi Il 25 aprile 1911 il rito orientale dell’harakiri – dal giapponese, letteralmente “taglio del ventre”, il rituale suicida praticato dai samurai – poneva fine alla vita di Emilio Salgari (18621911), uno dei più grandi scrittori di avventura italiani, di cui ricorre appunto quest’anno il centenario della scomparsa. Pur non avendo mai viaggiato in vita sua, se si esclude un periodo di tre mesi lungo l’Adriatico a bordo di un mercantile, Salgari seppe dar vita a personaggi indimenticabili, protagonisti di storie ambientate in luoghi esotici e lontani. Luoghi mai visti Luoghi mai visti dal loro stesso autore, che però seppe far tesoro dei resoconti e dei diari di viaggio degli esploratori che li avevano perlustrati. Il risultato finale è una vastissima produzione di libri e romanzi (circa un’ottantina) che ebbero grande successo di pubblico, i cui eroi sono rimasti per sempre nell’immaginario collettivo degli italiani, alimentando la fantasia e facendo sognare generazioni intere di lettori: Sandokan, il leggendario capo dei pirati di Mompracem, che porta il terribile nome di “Tigre della Malesia”, ed i suoi compagni: il portoghese Yanez de Gomera, con l’eterna sigaretta in bocca; Tremal-Naik, il cacciatore di tigri e serpenti della Jungla Nera; Kammamuri, il fido Maharatto; l’intrepido Sambigliong, uno dei colonnelli di Sandokan. Molti, diversi eroi Oltre a questi personaggi, che fanno parte del ciclo forse più conosciuto e letto della produzione salgariana dedicato appunto ai “Pirati della Malesia”, l’autore diede vita ad altri eroi e altre storie, ambientate di nuovo sui mari (Il Corsaro Nero, le novelle di Mastro Catrame), nelle gelide terre del Nord (I minatori dell’Alaska, I cacciatori di foche della Baia di Baffin e I naufraghi dello Spitzberg), nelle Filippine e nei più grandi deserti del mondo. Come pochi altri autori, Salgari seppe allargare gli orizzonti della narrazione spingendosi con la fantasia là dove non poteva arrivare altrimenti. La sua vita tormentata, finita nel più tragico dei modi, ha però lasciato al pubblico una preziosa eredità. Gli eroi e le storie di tanti mondi perduti, che non esistono più e forse non sono mai esistiti, vivranno per sempre nella fantasia degli appassionati. “Capitan” Salgari Nel 1878 Salgari si iscrisse al Regio Istituto Tecnico e Nautico “Paolo Sarpi” di Venezia. Non ottenne la licenza ma si fregiò ugualmente del titolo di “Capitano”. Compì alcuni periodi di addestramento a bordo di navi scuola e quindi un viaggio sulla “Italia Una”, nave mercantile che percorse l’Adriatico toccando la costa dalmata e giungendo poi fino a Brindisi. Queste le uniche esperienze vere di viaggio della sua vita. In realtà molto modeste, ma che furono sufficienti ad ispirare l’invenzione di grandi personaggi letterari. Sembra inoltre che Salgari organizzasse meticolosamente tutte le informazioni trovate su libri e giornali che parlavano di terre lontane, in modo da poter disporre di un archivio di documentazione pressoché completa sulla storia, la geografia, la fauna e la flora di paesi esotici, ove poter ambientare le gesta dei suoi personaggi. I primi racconti e il successo La carriera salgariana inizia con il racconto in quattro puntate “I selvaggi della Papuasia”. L’autore, allora solo ventenne, venne pubblicato da un settimanale milanese. Nel 1883 prende vita il personaggio più celebre e conosciuto, quello di Sandokan, sulle colonne del giornale veronese “La Nuova Arena”. Il primo libro scritto da Salgari è “La favorita del Mahdi”, con cui inizia di fatto la produzione salgariana di romanzi, impressionante per quantità e successo di pubblico. Nel 1895 viene pubblicato “I misteri della Jungla Nera”, con cui inizia il ciclo di Sandokan. Nel 1892 Salgari sposa Ida Peruzzi, e lo stesso anno nasce la primogenita Fatima, cui gli anni successivi seguiranno i fratelli Nadir, Romero e Omar. Da Verona, sua città natale, lo scrittore si trasferisce con la famiglia a Torino, dove lavora per l’editore di libri per ragazzi Speirani. Nel 1898 si trasferisce ancora, questa volta a Genova, per lavorare con l’editore Donath. Questi sono tra gli anni migliori della sua vita e della sua carriera. Nel 1900 il ritorno a Torino e l’inizio delle difficoltà. Le condizioni familiari peggiorano, nonostante il lavoro febbrile di Salgari per garantire un livello di vita soddisfacente. Cambia di nuovo editore, scrivendo per Bemporad. Raggiunge un grande successo presso il pubblico dei ragazzi, vendendo anche 100.000 copie di diversi titoli. Sua moglie, intanto, vittima di un collasso nervoso, viene ricoverata in ospedale psichiatrico. Drammi di una vita Continuamente tormentato dai problemi familiari che prosciugano anche le risorse economiche, Salgari tenta una prima volta il suicidio nel 1910. In seguito al ricovero definitivo della moglie, l’anno successivo il grande scrittore si toglie la vita. Come già aveva fatto suo padre nel 1889 e come, proseguendo la tragica catena di lutti, faranno i due figli Romero e Omar. Prima del gesto estremo scrive tre lettere: ai figli, agli editori, ai direttori dei giornali torinesi. "Ai miei editori: A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dato pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. - Emilio Salgari". ● . D Da “I misteri della jungla nera” “Era un bel tipo bengalese, sui trent’anni, dalla pelle giallastra ed estremamente lucida, unta di recente con olio di cocco… l’aspetto di quell’uomo esprimeva un’energia rara ed un coraggio straordinario… «Ah! Eccola, eccola… i suoi occhi neri mi guardano, le sue labbra sorridono. Oh! Come è divino quel sorriso! Mia celeste visione, perché rimani muta dinanzi a me? Perché mi guardi così? Non avere paura di me; sono Tremal-Naik, il cacciatore di serpenti della jungla nera»”. Da “Le tirgi di Mompracem” “Il fumo non si era ancora dissipato, che la si vide attraversare lo spazio con impeto irresistibile e rovesciare l’imprudente e maldestro ufficiale. Stava per riprendere slancio e gettarsi sui cacciatori, ma Sandokan non gliene lasciò il tempo. Impugnato solidamente il kriss si precipitò contro la belva, e prima che questa, sorpresa da tanta audacia, pensasse a difendersi, la rovesciò al suolo, serrandole la gola con tale forza da soffocarle i ruggiti. «Guardami», disse, «anch’io sono una tigre»”. Da “I solitari dell’oceano” “Erano tutti begli uomini, complessi e nerboruti, col naso sottile, avevano le labbra non molto grosse, gli occhi neri e vivaci, la pelle color del rame chiaro e bellissimi denti. Erano quasi tutti nudi, non avendo che piccoli gonnellini di fibre di cocco stretti ai fianchi. Avevano il corpo dipinto a macchie nere, specialmente le cosce, e avevano numerosi ornamenti formati da scagliette di tartaruga, da anelli d’osso, da conchiglie di madreperla e fra i capelli avevano bellissimi pettini di legno giallo, coi denti congiunti insieme da fibre vegetali”. Copertine di prime edizioni dei romanzi salgariani. Testo: Michele Mornese. Immagini tratte dalla vastissima bibliografia salgariana.