Flexicurity Prof.ssa Maria Concetta Chiuri Bibliografia: Blanchard and Wolfers J (2000) “Tghe role of shocks and institutions in the rise of European 33“ Colombino U. (2006) “Riforma dell’Irpef e Reddito Minimo Garantito”presented at Famiglie in cerca di un wlfare, Collegio Carlo Alberto, Novembre 2006. European Commission (2006a) “Modernisation of Labour Law to meet the challanges of the 21st century” COM/708 European Commission (2006a) “Employment in Europe 2006” European Commission (2007a) “Strategic report on the renewed Lisbon Strategy for growth and jobs: lauching the new cycle (20082010). Keepin on the pace of change” COM/803 European Commission (2007b) “Towards common Principles of Flexicurity. More and better jobs through flexibility and security” DG DG for employment and social affairs and equal opportunities Grahl J and Teaugueb P. (1997)”Is the European social model fragmenting” New Political Economy., 2(39: 405-426. Ferrera M. (1998) “The Four Social Europes. 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I peggiori risultati sono evidenti confrontando i livelli di occupazione e disoccupazione negli ultimi 15 anni. Tasso di occupazione Tasso di disoccupazione Il “problema europa” Da cosa dipende questo divario? Negli anni ’70, quando questo divario cominciò a manifestarsi, si accusarono i molti shock avversi che si erano manifestati (Crisi petrolifere, conversione del settore dell’industria pesante, fine del sistema Bretton Woods …) A partire dagli anni ’80 si è cominciato a pensare che le rigidità del mercato del lavoro e del sistema di protezione sociale fossero le cause di persistenti disoccupazione e bassi livelli di crescita (Blanchard e Wolfers, 2000). Il “problema europeo” Negli anni ’90 si è andato diffondendo un sostanziale consenso riguardo al fatto che i cambiamenti nelle condizioni socio-economiche hanno reso obsoleto e inefficiente il cd. “modello sociale europeo” (Grahl e Treagueb, 1997). Per modello sociale europeo ci si riferisce ad un sistema sociale con alti livelli di spesa pubblica e protezione sociale (relativamente a USA o Giappone). Modello sociale europeo In realtà le differenze all’interno dell’UE sono notevoli: il sistema della Gran Bretagna prevede una facilità di licenziamento simile a quella degli USA, allo stesso modo le politiche di reddito minimo di Grecia e Italia si distaccano molto dai livelli medi europei Esiste infatti una sottoclassificazione del modello sociale europeo, che suddivide i sistemi sociale in appartenenti al: modello anglosassone, modello nordico, modello continentale e modello mediterraneo (Ferrera 1997, Boeri 2002). I 4 modelli sociali Anglosassone (Irlanda e UK): Alta flessibilità del mercato del lavoro, protezione sociale concentrata su mezzi di ultima istanza (sussistenza), definito a metà strada fra UE e USA. Nordico (Paesi scandinavi e Olanda): Alta flessibilità del lavoro, alti livelli di protezione sociale, forti politiche attive (inserimento e riqualificazione) Continentale (Francia, Germania, Austria, Belgio, Lussemburgo) Relativamente bassa flessibilità del lavoro e relativamente alta protezione sociale. Mediterraneo (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia): Alta protezione del lavoro (bassa flessibilità) alti livelli di protezione sociale basati sul principio contributivo (non universalità). Riforme degli anni ’80 La Gran Bretagna è stata forse l’unica che negli anni ’80 ha tentato una riforma radicale del mercato del lavoro e del sistema di protezione sociale (Margaret Thatcher primo ministro dal 1979 al 1990). La maggioranza degli altri stati stanno ancora cercando di ridisegnare i propri sistemi sociali per riuscire a risolvere i problemi di bassa occupazione e crescita. I motivi della crisi del sistema sociale europeo Bassa flessibilità del mercato del lavoro. Sicurezza sociale di tipo assistenziale. Bassa flessibilità del mercato del lavoro Integrazione dei mercati globali e costruzione del mercato unico europeo implicano vantaggi per l’intera società. Allo stesso tempo cogliere i vantaggi della specializzazione implica accettare una ri-allocazione dei fattori produttivi, con periodi di maggiore disoccupazione. Se il mercato del lavoro è molto flessibile, il periodo di transizione dura relativamente poco. Al contrario limiti severi al licenziamento o al cambiamento di mansioni all’interno di un’impresa possono ritardare la fine del periodo di aggiustamento. Sicurezza sociale di tipo assistenziale Lo sfruttamento dei vantaggi derivanti dal commercio internazionale implica che molti lavoratori devono cambiare lavoro. Questo è specialmente vero per lavoratori non qualificati, che soffrono di più la concorrenza della manodopera a basso costo nei paesi emergenti (delocalizzazione) Se le politiche assistenziali si limitano a pagamento di sussidi durante i periodi di disoccupazione molti lavoratori tenderanno a rimanere intrappolati nella condizione di assistiti. Progressiva segmentazione del mercato del lavoro L’incapacità di attuare riforme che riducono i diritti acquisiti dei lavoratori ha portato in molti casi, a una segmentazione del mercato del lavoro. In Italia e Spagna in misura maggiore, ma in generale nella maggior parte dei paesi UE, le riforme si sono applicate al margine, ovvero sulla base della tutela dei diritti acquisiti. Attualmente si trovano a coesistere lavoratori (anziani) fortemente protetti e lavoratori (giovani) pressoché non inclusi nei programmi di protezione sociale. Strategie possibili Studi empirici hanno mostrato che la deregolamentazione del mercato del lavoro e il ridimensionamento della spesa per protezione sociale (in stile USA) non sono l’unico modello capace di affrontare le sfide del nuovo millennio (OECD, 2004). Il modello Danese (e Olandese) ha mostrato di saper ben fronteggiare le dinamiche del mercato del lavoro (Commissione Europea , 2006). In questi due paesi sicurezza sociale e flessibilità del mercato del lavoro convivono. Il “triangolo d’oro danese” Livello di protezione dell’impiego molto basso (flessibilità per le imprese); Generoso sistema di protezione sociale di carattere universalistico Elevati investimenti nelle politiche attive per il lavoro (riqualificazione, training, istruzione continua) UE, USA, UK e Danimarca Paese Tasso di Occupazione Tasso di disoccupazione UE-27 64,3% (2006) 7,2% (2007) USA 71,9% (2004) 5,0% (2008) Danimarca 75,9% (2005) UK 1,9% (2008) 71,7% (2005) 5,1% (2008) Fonte: Eurostat e OECD Una strategia comune 1) 2) A partire dalla fine degli anni ’90 le istituzioni europee hanno iniziato a suggerire agli stati membri: Di riformare il mercato del lavoro rendendolo più flessibile; Di mantenere (o introdurre) un sistema di protezione sociale efficace per alleviare gli effetti negativi della flessibilizzazione del mercato del lavoro. Flexicurity per raggiungere gli obiettivi di Lisbona Nel 2000 i capi di stato dei paesi membri dell’Unione Europea hanno definito la “strategia di Lisbona” con lo scopo di trasformare l’UE “nella più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010”. La riforma dei modelli sociali europei rendendoli più flexicuri è uno dei principali strumenti indicati dall’UE per il raggiungimento degli obiettivi. Uno degli obiettivi più misurabili è che tutti gli stati raggiungano almeno il 70% di partecipazione al mercato del lavoro (almeno 60% per la forza lavoro femminile). Gli obiettivi di Lisbona quanto siamo lontani? Gli obiettivi di Lisbona quanto siamo lontani? Flexicurity(origini) Il termine è stato coniato dal professor Hans Adriaansens (University College Utrecht, Olanda) che ha definito flexicurity: “a shift from job security towards employment security and suggested compensating for the decline in job security due to fewer permanent jobs and easier dismissals by improving employment opportunities and social security” (Philips et al., 2006) La definizione istituzionale a) b) c) Le istituzioni europee hanno a più riprese invitato ad implementare il principio di flexicurity (ad esempio: Commissione Europea, 2007b). La Commissione definisce 3 elementi essenziali all’implementazione della flexicurity: Un sistema di contratti di lavoro flessibili Un sistema di protezione sociale universale e moderno; Un sistema di formazione permanente in età adulta. Flessibilità del mercato del lavoro Un concetto evocato continuamente ma spesso in modo indefinito. Spesso erroneamente associato alla sola facilità di licenziamento e impiego. La letteratura ha definito una serie di componenti che contribuiscono a rendere un mercato del lavoro flessibile, nella definizione OECD sono incluse 5 componenti: (1) flessibilità esterna, (2) flessibilità numerica interna, (3) flessibilità funzionale, (4) flessibilità salariale e (5) flessibilità di esternalizzazione (Tagian, 2005). Flessibilità esterna La capacità di aumentare/ridurre il numero di lavoratori all’interno di un’impresa. È tanto più elevata quanto minori sono i costi di assunzione/licenziamento. È tanto più elevata quanto minori sono i tempi necessari ad effettuare l’aggiustamento nel personale impiegato. Flessibilità numerica interna Misura l’abilità dell’impresa di variare l’input lavoro (le ore di lavoro per unità di tempo) senza licenziare/assumere lavoratori. Possibilità di straordinari (e loro costo). Rilevante soprattutto là dove ci siano variazioni stagionali/inattese nella produzione. Flessibilità funzionale Misura la capacità dell’impresa di riorganizzare i propri lavoratori su diverse mansioni, differenti luoghi di lavoro o differenti tipi di lavoro. È tanto più elevata quanto risulta facile effettuare tournover all’interno delle imprese. Flessibilità salariale Consiste nella capacità dei datori di lavoro di alterare il salario pagato ai propri lavoratori quando le condizioni del mercato lo richiedano. È generalmente limitato là dove la contrattazione salariale avviene fra lavoratori fortemente sindacalizzati a livello centralizzato. Flessibilità di esternalizzazione Consiste nella capacità delle imprese di utilizzare lavoro fornito da lavoratori esterni all’impresa senza la necessità di instaurare rapporti di tipo lavorativo ma commerciale. Non molto diffuso in Italia, si tratta di telelavoro, lavoro a distanza etc. Flessibilità Tutte e 5 le componenti sono utili a ottenere un mercato del lavoro flessibile. Ovviamente i tipi di flessibilità hanno caratteristiche di complementarietà e soprattutto di sostituibilità. Qualsiasi riforma che vada a migliorare uno o più di questi aspetti contribuisce a rendere il mercato del lavoro più flessibile. Le misure di liberalizzazione degli anni ’90 (Pacchetto Treu) e degli anni ’90 (Riforma Biagi), hanno introdotto tipologie contrattuali nuove, con l’effetto di un aumento della flessibilità numerica esterna. La proposta di detassazione degli straordinari dovrebbe portare a una maggiore flessibilità numerica interna. Le componenti della sicurezza sociale Anche la sicurezza sociale è un fenomeno complesso, la letteratura riconosce almeno 3 componenti: (1) Sicurezza di impiego; (2) Sicurezza di lavoro; (3) Sicurezza di reddito; (Tagian, 2005) Sicurezza di impiego Misura il livello di fiducia di un lavoratore di poter mantenere un determinato impiego presso una determinata impresa. Riguarda la tutela del lavoratore dal licenziamento ed è l’oggetto principale della legislazione dell’impiego. È il tipo di sicurezza sociale più severamente messo in crisi dai cambiamenti strutturali avvenuti negli ultimi decenni. Sicurezza del lavoro Si riferisce alla probabilità di rimanere impiegato ma non necessariamente con le stesse mansioni e presso lo stesso datore di lavoro. Non è quindi rilevante quale sia la probabilità di essere licenziati quanto questa probabilità congiuntamente alla probabilità di trovarne un altro. Probabilità tanto più elevata quanto i lavoratori sono dotati di un capitale umano non eccessivamente specializzato. Sicurezza di reddito La sicurezza di reddito misura la probabilità di evitare periodi in cui il reddito familiare cada al di sotto di uno standard minimo. In pratica una misura della capacità del sistema sociale di intervenire a sostegno dei redditi là dove si verifichino periodi di disoccupazione e/o inattività. Flexicurity a) b) c) Il principio di flexicurity indica: La necessità di aumentare il grado di flessibilità in tutte e 5 le sue componenti. La necessità di abbandonare definitivamente il miraggio della prima componente della sicurezza sociale. La necessità di compensare la perdita di sicurezza di permanenza in un dato impiego attraverso una maggiore sicurezza di lavoro (riqualificazione e training) e una maggiore sicurezza di reddito (ampliamento degli strumenti di sostegno al reddito). Misurare la flexicurity Non tutti i paesi europei si trovano nelle stesse condizioni, alcuni casi virtuosi (Danimarca, Olanda) costituiscono di fatto l’esempio di buona pratica che gli altri paesi dovrebbero imitare. Allo stesso tempo alcuni paesi garantiscono già livelli di protezione sociale soddisfacente (Svezia, Finlandia), Altri hanno riformato da tempo il mercato del lavoro e non devono renderlo ulteriormente flessibile. Misurare la flessibilità del mercato del lavoro OECD ha sviluppato un indice: Employment protection legislation index (EPL) che è considerato una buona approssimazione del livello di inflessibilità del mercato del lavoro. Quindi più elevato EPL minore è il livello di flessibilità. Indice EPL in Europa Misurare la protezione sociale Un modo per misurare il livello di protezione sociale è calcolare quale sia il “rischio di povertà” ovvero la proporzione della popolazione che riceve redditi prossimi o al di sotto della soglia di povertà. È anche interessante capire di quanto questa probabilità si riduce a seguito dell’intervento dello stato (trasferimenti) Rischio di povertà in Europa pre e post trasferimenti Lo spazio bidimensionale per la misurazione della flexicurity Possiamo usare due indici EPL e rischio di povertà per definire uno “spazio” di due dimensioni nel quale rappresentare i livelli di flexicurity. I due indici fungono da coordinate e definiscono la posizione di ogni paese. I paesi possono essere raggruppati in cluster omogenei per livello di flexicurity. Riforme implementate si dovrebbero leggere come spostamenti nello spazio. I modelli sociali europei di flexicurity Direzione suggerita per le riforme Quali riforme Le istituzioni europee hanno sottolineato che non esiste una ricetta comune, ogni stato deve trovare la propria strada verso la flexicurity. L’Italia è uno dei paesi più in ritardo e parte da una condizione svantaggiata. Il modello mediterraneo coniuga una protezione sociale non universale con un livello di flessibilità del mercato relativamente bassa. Le riforme introdotte negli ultimi anni non hanno avuto gli effetti sperati. Quali riforme La riforma del mercato del lavoro è avvenuta al margine. Attualmente il mercato del lavoro è segmentato e il segmento flessibile deve assorbire per intero la necessità di flessibilità. Il sistema di protezione sociale non è stato riformato, rimane fortemente categoriale e contributivo. Un sistema di formazione permanente per i lavoratori è stato introdotto prevalentemente per lavoratori qualificati (Avvocati, dentisti, …) che rappresentano il segmento meno vulnerabile a problemi di disoccupazione. Riforme necessarie La deregolamentazione dei contratti di lavoro dovrebbe in parte essere estesa anche a lavoratori con diritti acquisiti. Alcuni dei diritti (contributi previdenziali, congedi) dovrebbero essere estesi anche ai lavoratori a termine e precari. Aumentando l’incentivo per le imprese ad assunzioni ordinarie in tempi brevi. Un sistema universale di protezione del reddito dovrebbe essere introdotto (già sperimentato dal 1998 al 2001 sotto forma di RMI) Protezione sociale e “trappola della povertà” Fra i motivi che frenano l’introduzione di un reddito minimo garantito in Italia c’è la consapevolezza del disincentivo al lavoro, implicito in trasferimenti basati sulla prova dei mezzi. In particolare, un numero di studi empirici ha mostrato che questo effetto risulta sostanziale per alcuni settori della popolazione. La trappola della povertà Lavoratore 1 Reddito/ consumo Lavoratore 2 Il Tasso a cui il reddito minimo è ridotto risulta cruciale Lavoro Tempo libero Un esempio di stima al variare del tasso di riduzione (Moffit, 2003) Stime Italiane Studi italiani sostengono che questo effetto non dovrebbe essere eccessivo. Colombino stima una riduzione di circa il 4% delle ore lavorate per le donne a seguito di un introduzione del RMI (nel peggiore scenario). In ogni caso il punto cruciale è la parola “inserimento”, il successo della Danimarca si basa anche su forti politiche di attivazione e riqualificazione dei lavoratori licenziati.