1/4 - 2009 L’utopia È una meta sull’orizzonte: bella, stupenda, dolcissima … Mi piace. Vorrei abbracciarla: mi avvicino di un passo, si allontana di un passo; mi avvicino di due passi e si allontana di due; mi avvicino di tre, si allontana di tre; di quattro, di quattro … Ma a che serve l’utopia? A farci camminare nell’amore che non stanca … e a continuare a sognare. … nei nostri cuori … Qualeducazione L’utopia è stupenda. 73 Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003 PER CONTINUARE Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia Giuseppe Serio, direttore scientifico Walter Pellegrini, direttore responsabile Filomena Serio, segretaria di redazione Direzione-Redazione: Viale della Libertà, 33 87028 PRAIA A MARE Tel. e Fax (0985) 72047 Amministrazione: 87100 Cosenza Via De Rada 67/c - Cas. Post. 158 Gruppo Periodici Pellegrini Tel. 0984 795065 - Telefax 0984 792672 E-mail: [email protected] Qualeducazione è una rivista del Gruppo Periodici Pellegrini: Nuova Rassegna di Studi Meridionali, Letteratura & Società, Giornale di Storia Contemporanea, Incontri Mediterranei, La Questione Meridionale, Labirinti del Fantastico, Voci, Crocevia, Fata Morgana. Comitato scientifico: G. Acone (Univ. di Salerno), G. Spadafora (Univ. della Calabria), L. Corradini (Univ. di Roma 3), Sira S. Macchietti (Univ. di Siena), G. Martirani (Univ. di Napoli), A. Pieretti (Univ. di Perugia), C. Sirna (Univ. di Messina), G. Zanniello (Univ. di Palermo), E. Mollo (Univ. di Perugia). RedazionE: Franco Blezza (Univ. G. D’Annunzio, Chieti), Vincenzo Pucci (SMS), Giovanni Villarossa (Preside nei licei, vice-pres. naz. UCIIM). RedazionE EUROPEA: Michele Borrelli (Univ. della Calabria). Libri (per recensione) e riviste (per cambio) debbono essere inviati al direttore della rivista: Giuseppe Serio, Viale della Libertà, 33 - 87028 PRAIA A MARE (Cosenza) Periodicità trimestrale - Anno XXVII - N. 1-4 (gennaio-dicembre 2009) - Fascicolo N. 73 - Abbonamento - annuale E 26,00 con il suppl. “Vivere la nonviolenza”; estero il doppio; un numero E 6,00 - Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29/08/2001 (* Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza). Autorizzazione del tribunale di Cosenza - Iscr. 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Lotta anche tu i nemici dell’uomo – negro, olivastro, giallo, bianco, non importa – e scegli di stare con noi Versa uno, due, cinque euro sul c/c n. 1000/1418, Banca Prossima - C/o Banco di Napoli - San Paolo - Agenzia di Praia a Mare, Viale della Libertà, intestato alla Associazione Culturale Gianfrancesco Serio: ti metti dalla nostra parte detraendo – poi – l’importo nella tua Dichiarazione dei redditi del 2009. I collaboratori di Qualeducazione Giuseppe Acone, Giuseppina Adamo, Aldo Agazzi (†), Silvana Aguggini (†), Salvatore Alosco, Fabrizia Antinori, Karl-Otto Apel, Antonio Augenti, Ilaria Attisani, Gianni Balduzzi, Theodor Ballauff, Nicoletta Bellugi, Dietrich Benner, Armin Bernhard, Francesco Bertelli, Carolina Bicego, Franco Blezza, Lamberto Borghi (†), Carlo Borgomeo, Michele Borrelli, Wolfgang Brezinka, Maria Anna Burgnich, Wilhelm Büttemeyer, Dieter Buttyes, Michael Byram, Mimmo Calbi, Pasquale Cammarota (†), Andrea Canevaro, Francesca Caputo, Vincenza Caputo, Tommaso Cariati, Alessia Casoni, Bernat Castany Magraner, Pier Giuseppe Castoldi, Elide Catalfamo Favet, Giuseppe Catalfamo (†), Hervè Cavallera, Manuela Cecotti, Cesarina Checcaci, Lucia Cibin, Emilia Ciccia, Giuseppina Colaiuda, Enza Colicchi, Ornella Comuzzo, Luciano Corradini, Piero Cristiani, Armando Curatola, Augusto Cury, Emilio D’Agostino, Guido D’Agostino, Elio Damiano, Miranda Dapi, Luisa Della Ratta, Tullio De Mauro, Severino De Pieri, Paolo De Stefani, Lorenzo Di Bartolo, Salvatore Di Gregorio, Walter Di Gregorio, Adele Diodato, Vincenzo D’Onofrio, Lina Dri, Concetta Epasto, Armando Ervas, Michele Famiglietti (†), Marisa Fallico, Marcella Farina, Paolo Farinella, Antonio Fazio, Domenico Ferraro, Otto Filtzinger, Giuseppe Fioroni, Franco Frabboni, Lauro Galzigna, Michela Galzigna, Hans-Jochen Gamm, Mario Gennari, Barbara Gianesini, Fatbardha Gjini, Franco Severini Giordano, Guido Giugni (†), Maria Angelo Grassi, Anna Maria Graziano, Daniela Grieco, Vincenzo Guli, Giuseppe Guzzo (†), Hartmut Von Hentig, Eugenio Imbriani, Nunzio Ingiusto, Isabel Jiménez, Amik Kasaruho, Maria E. Koutilouka, Edmondo Labrozzi, Mauro Laeng (†), Marino Lagorio, Nico Lamedica, Raffaele Laporta (†), Antonino Leggio, Valeria Lenzi, Isabella Loiodice, Maria Rosalba Lupia, Sira Serenella Macchietti, Francesco Maceri, Alessandro Manganaro, Angela Maria Manni, Giuseppe Manzato, Ugo Marchetta, Maddalena Marconi, Lucia Mason, Louis Massarenti, Giuseppe Mastroeni, Giovanni Mazzillo, Mario Mencarelli (†), Gaetano Mollo, Maria Monteleone, Daria Morara, Letizia Moratti, Paola Bernardini Mosconi, Marina Mundula, Francesco Nacci, Carlo Nanni, Walter Napoli, Adriana Odorico, Stefano Orofino, Anna Paladino, Roberto A. Paolone, Cecilia Parisi, Anna Paschero, Luigi Pellegrini, Angela Perucca, Enzo Petrini, Rosaria Picozzi, Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet, Lucrezia Piraino, Antonio Pisanti, Andrea Pocarelli, Livio Poldini, Clide Prestifilippo, Vincenzo Pucci, Marco Pasqua, Maria Moro Quaresima, Francesco Raimondo, Giusy Rao, Paolo Raviolo, Micheline Rey, Michele Riverso, Aurelio Rizzacasa, Antonia Rosetto Ajello, Patrizia Rossini, Angelo Rovetta, Franca Ruggeri, Maria Antonietta Ruggeri, Morena Ruggeri, G. Carlo Sacchi, Elisabetta Salvini, Alessandra Samarca, Graziella Sanfilippo Scuderi, Bruno Schettini, Pantaleone Sergi, Filomena Daniela Serio, Renato Serpa, Alessandra Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J. Smoliez, Angela Sorge, Giuseppe Spadafora, Agostina Spagnuolo, Gianfranco Spiazzi, Francesco Susi, Anna Pia Taormina, Giorgio Tampieri, I. Testa Bappenheim, Alessandra Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini, Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Pierre Vayer, Giovanni Villarossa, Claudio Volpi (†), Giorgio Vuoso, Giuseppe Zago, I. Zamberlan, Antonino Zichichi, Corrado Ziglio. SOMMARIO - Fascicolo 73/2009 EDITORIALE Essere onesti oggi nella società liquida di Giuseppe Serio...................................................................................................... pag. 3 STUDI L’educazione del cittadino responsabile: pensieri e proposte di Mario Mencarelli di Sira Serenella Macchietti.................................................................................... 7 EDUCAZIONE SENZA FRONTIERE La fondazione pragmatica dell’etica di Michele Borrelli.................................................................................................... 18 RICERCA ED INNOVAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA Giovani, politica e volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un senso per il vivere sociale di Antonia Rosetto Ajello......................................................................................... 29 Alla ricerca del cittadino perduto. Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità di Lucrezia Piraino.................................................................................................. 44 AUTONOMIA, DIRIGENZA, PROGETTUALITÀ La “Scuola Gelmini” in un focus group dell’UCIIM di Giovanni Villarossa............................................................................................. 54 Costituzione e cittadinanza di Giuseppe Serio..................................................................................................... 57 RUBRICA APERTA Dichiarazione di speranza di Vincenzo Pucci..................................................................................................... 73 Paolo di Tarso, educatore e maestro di Teobaldo Guzzo.................................................................................................... 76 NOTIZIARIO ......................................................................................................... » 83 RECENSIONI . ...................................................................................................... » 99 SCHEDE . ............................................................................................................... » 102 Editoriale Essere onesti oggi nella società liquida di Giuseppe Serio 1. L’onestà è la persona che è il luogo dove gli archetipi sono impressi nella profondità dell’anima e, forse, anche dell’immaginazione. È il luogo dell’incantesimo, dell’utopia che, se l’incontri, te ne innamori come succede quando l’uomo incontra la donna della sua vita o viceversa. L’onesto è “l’onestà in persona” che agisce in conformità della legge dello stato o, per i credenti, della coscienza in cui è riflesso il volto di Dio. La legge, secondo Simone Weil, è propaganda prepolitica, non politica, perché guarda al soprannaturale come obiettivo da realizzare. Invece, chi si abbandona al partito (privo di spirito e di grazia) “è obnubilato dalla propaganda e dal pensiero del partito”1 Secondo Weil, urge un’opzione politica immediata, alimentata dall’idea metafisica della Giustizia. Ciascuno crede di contare qualcosa, dice Jung, “solo in virtù dell’essenza che incarniamo”; se l’uomo non incarna l’onestà concretamente la vita è sprecata, nel senso che non appartiene ai luoghi dell’anima. L’onesto vive in ubbidienza alla legge dello stato se non evade le tasse, non trasgredisce le regole, rispetta il codice condiviso, quello etico o quello della coscienza. Ciò significa che la legge dello stato deve aprirsi al Diritto esisten- te prima dello stato, cioè, deve aprirsi “alla verità della giustizia nel senso platonico assoluto del termine”2. Che significa che il compito precipuo dello Stato è – oppure dovrebbe essere – quello di realizzare la giustizia soprannaturale nel naturale e nel sociale?. Come opportunamente commenta Hanna Barbara Gerl-Falkovitz “la legge diventa efficacia storica di un obbligo soprannaturale”3 e, in tal modo, si carica anche di forza morale. Dunque, l’obiettivo del soprannaturale è il naturale, il luogo in cui ci ritroviamo ora,il mondo. L’utopia è il soprannaturale. La politica, invece, rischia di idolatrare il mondo in quanto laTerra è una “grande bestia senz’anima”4 e, dal punto di vista del soprannaturale, occorrono giudici più che politici (che non sono i filosofi della Repubblica di Platone) 2. I Latini rapportavano l’onestà all’onore, al decoro, al senso della bellezza della persona. Secondo loro, il disonesto è senza dignità, senza valore. Ma oggi, l’analisi del valore umano è diversa. La bellezza della persona si colloca nei luoghi materiali, non in quelli dell’onore. Chi ubbidisce alla coscienza o non agisce in contrasto con la legge morale e rispetta i Comandamenti, cerQUALEDUCAZIONE • 3 tamente è una persona che costruisce il muro che la separa dalla corruzione. È onesto chi accoglie l’altro di cui non ha paura se sul suo “volto” scorge riflesso quello di Dio. “Chi cammina nella Giustizia / ed è leale nel parlare, / chi rigetta un guadagno frutto di angherie, / scuote le mani per non accettare regali, / si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue, / chiude gli occhi per non vedere il male”5, costui “abiterà in alto”, vicino al Signore dell’universo. Continueranno ad abitare in basso i malfattori, quelli che non hanno lavorato onestamente, non hanno corrisposto il giusto salario al lavoratore; hanno imbrogliato la gente per arricchirsi! Restano in basso anche quelli che si servono della Politica per i loro bisogni, non per realizzare il “bene comune”; quelli che usano l’Economia per dominare le persone emarginate. Il fariseo ubbidisce alla Grande Bestia perché non capisce che essere virtuosi per essa non vale niente come quando l’agire politico non è guidato dalla coscienza o non s’ispira alla cultura morale e nemmeno sogna l’utopia, il non ancora. Il mio conterraneo, Corrado Alvaro, diceva che “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile“6. Infatti, a partire dalla Calabria, nel nostro Paese, una crescente massa di malfattori la pensa così. L’agire politico, quando è onesto, rassomiglia all’aurora che preannuncia la luce e rende trasparente l’onestà delle persone che si nutrono di valori condivisi e danno vita alla persona che è un valore in fieri. Com’è noto, gli anni ’80 si sono conclusi traumaticamente per l’Italia poli4 • QUALEDUCAZIONE tica che sembrava sprofondata nel malaffare. Tutti credevano che la casta fosse tramontata per sempre. Invece, no. Dopo tangentopoli, è arrivato calciopoli; dopo sono arrivate montagne di scandali con le mafie sempre in prima fila … La gente comune sembra smarrita, confusa, disorientata. Il mondo sembra navigare senza bussola, senza meta; specialmente la gente comune, non comprende; non sa spiegarsi perché rubano proprio quelli che dovrebbero dare il buon esempio; rubano le persone che dovrebbero orientare la vita della gente comune che sbalordisce quando i telegiornali celebrano le scandalose notizie di una quotidianità disgustosa. Chi ha scelto di rimanere lontano dai centri del potere sa che deve faticare per non essere coinvolto dai corrotti che stanno sempre in agguato come le sentinelle del male. L’uomo comune – in questo tempo – legge sui giornali la denuncia dei redditi dei potenti e resta ammutolito, con lo sguardo fisso sulle cifre che parlano con l’eloquenza dei fatti! Il commento è sempre lo stesso: ma che ne fanno di tanti soldi? E poi pensano alle loro difficoltà per pagare le ormai famose bollette di fine mese o per portare a tavola il “pane quotidiano” ai figli o per comprare i libri e farli studiare per vederli, poi, partire da casa e andare lontano a lavorare vivendo, onestamente, sempre lontani dalla famiglia, dalla casa dove hanno sofferto e imparato a vivere onestamente … La gente non capisce. Vive onestamente e ha in premio il figlio che diventa medico e deve andarsene a lavorare in un ospedale del Veneto; diven- ta professore e resta a casa come precario a vita… Questa è la cultura della lagna dei sud non del sud italiano; ho in mente la cultura della proposta che è necessario potenziare sostenendo il movimento di pensiero che re-interpreta il valore della vita e considera il lavoro come lo strumento decoroso per costruzire il bene comune che, in tempi generazionali, potrebbe sicuramente sconfiggere lo strumento ignobile usato dai corruttori. Per fortuna, in ogni paese del mondo, vi sono persone forti e coraggiose che sognano l’utopia, il bene comune, appunto. Spetta a loro impegnarsi politicamente, nei vari settori dove la Politica può avvicinarci all’utopia. La Politica potrebbe diventare il luogo in cui sia possibile promuovere le opere di misericordia. Vi sono tanti altri punti di vista che certamente si porranno all’ attenzione della gente. Ritengo che le opere strutturali siano in grado di promuovere solo beni di consumo, necessari, anzi indispensabili per fortificare l’onestà della persona a cui non bastano solo essi per crescere in dignità; ma è importante produrre i beni dell’intelligenza che sono la ricchezza inesauribile che spegne l’indifferenza. Note Hanna Barbara Gerl-Falkpvitz, L’utopia di Simone Weil fra politica e mistica, in «Vita e Pensiero», n. 1/2009, p. 100. 2 Id., p. 103. 3 Ivi. 4 Id., p. 104. 5 Isaia, 33, 13-16 6 Il corsivo è mio. 1 Convegno internazionale “Educare all’onestà, oggi”: Nicola Gratteri ascolta le motivazioni dell’Impegno per la pace lette dal sindaco, dott. Carlo Lomonaco, Praia a Mare 23.05.09 QUALEDUCAZIONE • 5 Studi rubrica diretta da GIUSEPPE SERIO Le rubriche di questo fascicolo, Studi ed Autonomia, si occupano dell’ educazione del cittadino in due prospettive diverse: la prima si richiama al pensiero di un maestro della Pedagogia, Mario Mencarelli, e la seconda si rivolge al mondo della scuola e, indirettamente, anche a quello della famiglia. Qui pubblichiamo lo studio di Sira Serenella Macchietti (Università di Siena, allieva di Mencarelli, nostra gradita collaboratrice) nella prospettiva delle proposte con cui il suo Maestro ha “contribuito alla formazione e all’affermazione di cittadini responsabili”, soprattutto “capaci di costruire una comunità di persone”. Mencarelli era ottimista; aveva fiducia nell’educazione (se è veramente tale) che è la premessa fondamentale per la costruzione della Democrazia e, dunque, della Giustizia, fondamento della pace. La scuola è il luogo privilegiato per educarsi alla Democrazia. Ricordo che mentre andavano a segno i Programmi didattici del 1985, venne a Praia a Mare con Franco Frabboni e Claudio Volpi su mio invito per parlare e presentare ai maestri di questo territorio i Programmi la cui idea centrale riguarda l’educazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi della nostra Costituzione. Bene ha fatto la Macchietti, a richiamare l’editoriale pubblicato in quell’anno su la sua rivista. Molto interessato all’umanesimo pedagogico del Dewey, vicinissimo al pensiero di Maritain, Mencarelli sceglie l’umanesimo integrale che garantisce il pieno sviluppo dell’uomo. Perciò Sira Serenella Macchietti, propone l’educazione alla cittadinanza come obiettivo generale dell’educazione della persona il cui valore, afferma, “è sostanza della democrazia”. Bene, a questo punto è preferibile leggere lo studio della Macchietti sul tema dell’educazione democratica nel pensiero e nell’opera del Mencarelli perché il panorama che dischiude (pensiero creativo, atteggiamento del perdono, umanesimo cristiano) è un contributo notevole offerto ai lettori di Qualeducazione tra cui vi sono tanti dirigenti e docenti che quest’anno dovranno affrontare sperimentalmente ciò che nell’opera di Mario Mencarelli è stata ed era idea di “Educazione civica” nella scuola. In questo fascicolo, anche la Rubrica diretta dal prof. Franco Blezza affronta, sia pure da altre angolazioni, il tema trattato dalla prof.ssa Macchietti. Il contributo di Antonia Rosetto Ajello – intitolato “Giovani, Politica e Volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un senso per il vivere civile” (p. 29) – affronta il tema stesso con riferimento ai giovani e al loro impegno in politica o nel volontariato; quello di Lucrezia Piraino (p. 44) – intitolato “Alla ricerca del cittadino perduto. Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità” – lo affronta nella prospettiva sociale. Complessivamente, la rivista offre al lettore una panoramica complessa e necessaria per continuare l’impegno da offrire ai giovani che si candidano alla cittadinanza attiva. Certo, l’offerta non è semplice perché si chiede ai docenti un impegno professionale in grado di realizzare i percorsi didattici ed educativi che formino uomini e cittadini veramente onesti in ogni senso. 6 • QUALEDUCAZIONE L’educazione del cittadino responsabile: pensieri e proposte di Mario Mencarelli di Sira Serenella Macchietti In questa stagione della nostra storia in cui è molto viva l’attenzione per l’educazione alla cittadinanza, per la natura e il significato della democrazia, sembra opportuno un confronto con le proposte offerte da Mario Mencarelli per contribuire alla formazione e all’affermazione di cittadini responsabili, capaci di costruire una comunità di persone e di impegnarsi per coniugare «la libertà con la verità», mirando al bene comune. Questo contributo intende ripercorrere l’itinerario formativo di Mario Mencarelli e il correlativo maturarsi dell’ideale di democrazia per presentare anche la genesi e lo sviluppo delle sue riflessioni e delle sue proposte relative all’educazione alla cittadinanza, pertanto sarà organizzato tenendo presenti questi ‘momenti’ dell’esistenza del pedagogista senese: quello della ricerca, quello della proposta e quello del perdono. Il tempo della ricerca* La coscienza democratica di Mario Mencarelli è maturata lentamente, è legata alla sua sensibilità umana e cri- Il testo che segue è stato pubblicato con il titolo Etica, religione, cittadinanza nel volume di Aa.Vv., Democrazia ed educazione. La formazione del cittadino responsabile nella pedagogia di Mario Mencarelli, a cura di S.S. Macchietti, GESP, Città di Castello (PG), 2009, pp. 43-58. * stiana, è stata orientata da alcune letture pedagogiche ed è stata favorita dalle sue esperienze esistenziali e magistrali, tra le quali una particolarmente importante è stata quella effettuata in parrocchia. A questo proposito Renato Lucatti, collega ed amico del giovane Mencarelli, rievocando gli anni in cui entrambi si preparavano per sostenere il concorso magistrale, riferendosi al loro studio ed accennando alle difficoltà che incontravano per orientarsi tra le varie correnti pedagogiche così scrive: «alle nostre spalle, però, deboli e scarni òmeri di principianti, avevamo un’esperienza particolare e originale, modesta ma salda, concreta e vissuta: l’esperienza dell’azione cattolica»1. Il promotore e animatore di questa esperienza era un giovane sacerdote, Don Ottorino Borgogni, che aveva fondato l’Azione Cattolica ad Asciano. Questo sacerdote ai suoi ‘cento ragazzi’, che partecipavano alla vita dell’associazione, proponeva «ricreazione e preghiera: ricreazione a misura dell’età e delle preferenze; preghiera in comune» e tutti erano impegnati «nel campetto del pallone dietro la Collegiata, nel cortile adiacente alla chiesa, nelle due modestissime stanze della parrocchia (compresa la camera del cappellano), nell’“oratorio”». Riflettendo su questa esperienza, Renato Lucatti conclude il suo discorso con questa affermazione: «Tutti avevamo appreso un metodo di formazione nuoQUALEDUCAZIONE • 7 va: la pedagogia dell’educarsi, dell’autoeducazione. Solidali l’uno per l’altro, senza preclusioni né esclusioni, rispettosi verso i superiori, fiduciosi nella Provvidenza, attori e spettatori delle nostre iniziative, fondati nella fede. Una base sicura che il tempo rafforzò pur in ambienti diversi, qualche anno dopo, lontani da questa minuscola e maiuscola cerchia parrocchiale: quando cioè, vinto il concorso magistrale, la sorte ci portò altrove a fare il nostro dovere d’insegnanti e d’uomini. Non superiori agli altri, ma al servizio degli altri. Essere “maestri” voleva dire allora compiere la propria missione»2. In coerenza con questo impegno si pone quello testimoniato dal giovane maestro Mencarelli fin dai primi anni d’insegnamento nei confronti dei suoi alunni durante la seconda guerra mondiale, quando, non essendo sempre possibile fare lezione a causa dell’occupazione delle aule scolastiche da parte degli sfollati e dei militari e dei bombardamenti, accoglieva i suoi ragazzi a casa sua per non abbandonarli e per consentire loro di concretizzare, almeno parzialmente, il diritto di apprendere…. La stessa premura del giovane maestro per i suoi alunni, la fiducia che riponeva in loro, nella loro volontà di ‘imparare’, di ‘conoscere’ e di collaborare tra loro si configura come una testimonianza del suo amore per tutte le creature e dell’intuizione del significato dell’animazione agli effetti della crescita personale e sociale3. La scoperta della vocazione pedagogica Agli effetti della sua maturazione democratica e pedagogica di Mario 8 • QUALEDUCAZIONE Mencarelli è stata estremamente importante la lettura delle opere di Giuseppe Lombardo Radice che stimolò ed alimentò la sua vocazione educativa. Anche a questo proposito è significativa la testimonianza di Renato Lucatti che così si esprime: «erano gli anni 1946-’47. Leggevamo insieme Lombardo-Radice, il suo volume “Lezioni di didattica”» e «dire leggevamo è poco: meditavamo pagina per pagina, rigo per rigo, fermandoci a tutti i punti… e anche alle virgole per commentarne, integrarne, svilupparne i contenuti sulla scorta dei nostri precedenti bagagli e di scuola e di esperienza: di tanto in tanto, infatti, facevamo brevi supplenze sulle cattedre delle scuolette comunali. Meditavamo “Lezioni di didattica”, dunque. La lettura della seconda metà del volume “Ricordi di esperienza magistrale” ci entusiasmava. Ci vedevamo, e ci identificavamo, entusiasti come siamo a vent’anni, con i pionieri della scuola, con gli antesignani che il Lombardo-Radice proponeva d’imitare: maestri d’avanguardia»4. Di fatto la lettura delle ‘cronache’ che ancora supplente il giovane Mencarelli scriveva nei suoi registri consente di rilevare che era già viva in lui la volontà di proporsi coraggiosamente come ‘maestro d’avanguardia’, premuroso nei confronti dei suoi alunni e desideroso di educarli al senso della responsabilità sociale e civile oltre che morale… «al quale nessuno può sottrarsi»5. In quelle stesse cronache è possibile intravedere il suo desiderio di democrazia e di pace che con entusiasmo giovanile espresse direttamente e vivacemente in occasione della morte del Presidente degli Stati Uniti F. Delano Roosewelt, avvenuta il 5 maggio del 1945. In quella cronaca infatti Mario Mencarelli scrive: «Ho oggi illustrato ai miei alunni gli importanti avvenimenti politici e bellici che hanno portato alla liberazione da parte dei nostri eroici Patrioti di tutta l’Italia del nord dai tedeschi. Ho messo in evidenza come lo spirito che animava i promotori del nostro Risorgimento è sempre vivo nell’animo degli italiani, come il sangue che scorreva nelle loro vene scorre ancora nelle vene della maggior parte degli italiani, i quali hanno saputo da soli liberarsi dal giogo loro imposto da una cricca di traditori e vigliacchi che non sono riusciti ad altro che a macchiare la nostra gloriosa e amata bandiera con la soppressione di ogni libertà. Ma oggi la nostra bandiera può nuovamente sventolare, pura da ogni macchia, segno della riconquistata libertà, simbolo dei diritti e dei doveri di ogni cittadino, può lasciarsi accarezzare dalle leggiere brezze, può accettare il bacio dei raggi del sole. Gli italiani hanno ritrovato se stessi, hanno ritrovato, con la loro tenacia, con il loro eroico spirito di sacrificio, la libertà, la libertà della nostra nazione!....». E l’11 maggio 1945 prosegue: «Finalmente l’idea che aveva cercato di avvelenare tutta l’Europa è stata calpestata e ridotta all’impotenza dai gloriosi eserciti alleati che, con la loro mirabile condotta di guerra, sono rimasti alfine vittoriosi. Prepariamoci ad affrontare con serenità la ricostruzione morale e materiale della nostra Patria, costretta a vivere una tragedia tremenda da parte di una cricca di malvagi traditori». Emergono da quanto scritto dal giovane maestro la fiducia nel nostro popolo, la considerazione positiva e non priva di entusiasmo per il Risorgimento, l’amore per la Patria e per la sua ban- diera e la certezza nella possibilità degli italiani, i quali avevano «ritrovato se stessi», di riconquistare «la libertà della nostra Nazione». A questa certezza si univa l’invito a ricostruire la nostra Patria e indirettamente ad impegnarsi per educare e per educarsi alla democrazia e alla libertà. Questo invito ci consente di pensare che Mario Mencarelli era già convinto del fatto che la democrazia non è soltanto un bene acquisito da difendere ma una realtà da costruire e che ognuno è chiamato a costruirla… costruendosi come cittadino responsabile e democratico. All’educazione Mario Mencarelli chiedeva quindi di aiutare l’uomo a conoscersi ed a conoscere, per costruirsi e per costruire la democrazia con la certezza che educare significa essenzialmente aiutare l’essere umano a sentirsi responsabile della propria vita e di quella comunitaria. L’incontro con la persona La fiducia nell’educazione testimoniata da Mario Mencarelli nella sua giovinezza sembra porsi in un rapporto di coerenza con il clima culturale e sociale che si respirava negli anni in cui egli effettuò le sue prime esperienze magistrali, che era caratterizzato da un grande fervore educativo, il quale «sollecitava […] il suo bisogno di agire e di testimoniare la propria presenza nel mondo». Questo clima culturale infatti sembrava permettergli di soddisfare il suo diritto all’affermazione di sé, alla definizione di un progetto di vita e di impegno educativo, volto a rispondere a una profonda esigenza di redenzione sociale e ad operare per la crescita della comuQUALEDUCAZIONE • 9 nità, per renderla capace di evitare depressioni, emarginazioni, alienazioni e strumentalizzazioni. Come molti generosi giovani degli anni ’50 del secolo scorso, era fermamente convinto di dover operare per l’affermazione della giustizia, della libertà e della pace e per promuovere il progresso, civiltà e cultura6. Giova ricordare a questo proposito che durante i suoi studi universitari Mario Mencarelli si era confrontato con il Dewey7 ed in particolare con il suo umanesimo che apprezzava per la valenza culturale del suo concetto di democrazia intesa come causa ed effetto della libertà, della cultura, della scienza, le quali si incrementano vicendevolmente. Il respiro culturale, la valorizzazione dell’uomo come soggetto di azione e quindi l’attenzione per tutte le implicazioni sull’organizzazione della scuola e sulla didattica8 affascinarono il giovane Mencarelli, il quale «nelle pagine del Dewey e nella sua scuola trovava […] alcune risposte alle domande» che si poneva intorno all’essere umano e «al suo rapporto con la cultura e con la società». Tuttavia l’umanesimo deweyano non lo soddisfaceva pienamente perché come altri umanesimi contemporanei (ad esempio quello esistenziale e quello marxista), si irretiva nella problematica umana senza poterne «in qualche modo superare la precarietà e la contingenza9, e non teneva presente […] tutto l’uomo e la possibilità di andare oltre la ricerca delle “certezze” provvisorie»10. Nel corso degli anni ’50 Mencarelli, grazie anche all’incontro con la comunità pietralbina11 e in particolare con Marco Agosti, «con il Maestro che egli 10 • QUALEDUCAZIONE attendeva, i cui scritti e la cui azione potevano orientarlo nella ricerca delle risposte alle domande, che ormai da anni di poneva intorno al senso dell’esistere ed all’educazione», si avvicinò alla prospettiva dell’umanesimo integrale… cioè di un ideale altissimo sorretto dalla certezza che «la premura per il popolo si fa autentica quando scaturisce da un’assidua premura nei riguardi della persona singola, di tutte le singole persone»12. In un certo senso si può affermare che il Nostro scoprì e trovò il deus absconditus cioè la persona umana «posta ad unire la dimora terrestre con i valori eterni». Quindi le sue letture cambiarono e si moltiplicarono, si intensificarono i suoi studi e il suo impegno sociale e gradualmente «egli conquistò una nuova concezione delle finalità dell’educazione, che faceva direttamente derivare dei poteri e dei diritti della persona»13. Il tempo della ‘proposta’ L’attenzione per l’educazione del cittadino democratico è costantemente presente nella riflessione pedagogica di Mencarelli, anche se nella sua ampia produzione scientifica non sono molte le pagine dedicate a questa questione14, che è stata frequentemente affrontata da numerosi pedagogisti del Novecento15. In realtà per comprendere la sua concezione dell’educazione ‘civica’ giova confrontarsi non soltanto con gli scritti specifici su questo tema. È infatti indispensabile tener presente l’unitarietà del suo pensiero, il suo itinerario culturale ed esistenziale e la coerenza della sua vita con la sua visione dell’uomo e con la sua ricerca…. È inoltre opportuno ricordare che a suo avviso l’affermazione della democrazia «implica, come fondamento e come méta ad un tempo, lo sviluppo pieno della persona umana», il cui valore «è sostanza di democrazia»16. Pertanto Mencarelli affidava all’educazione il compito di impegnarsi per tradurre «i principi di democrazia» in formazione delle coscienze e alla scuola chiedeva di proporre una cultura civica capace di consentire alla persona di conquistare la capacità «di vivere con sincera partecipazione la vita comunitaria». Significativo è a questo proposito un suo ampio saggio pubblicato nel 1969, intitolato Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica17 in cui sottolinea «la correlazione esistente tra l’affermarsi della democrazia, la democratizzazione della vita scolastica e l’affermarsi delle istanze di una specifica formazione del cittadino»18. A più di dieci anni di distanza dall’introduzione dell’educazione civica nella scuola italiana19 le difficoltà per comprenderne la natura disciplinare erano ancora molte e sollecitarono Mario Mencarelli, che in questo contributo propose una profonda riflessione pedagogica sull’epistemologia di questa nuova materia, sostenendo che essa, «pur traendo […] sollecitazioni e contributi da ogni altra materia…», ha «una sua essenza singolare»20. Nel suo saggio preliminarmente prese in esame l’evoluzione dei concetti e delle ragioni che stanno alla base dell’educazione civica e i pedagogisti del Novecento, richiamandosi alle loro diverse concezioni della democrazia e della cittadinanza, sottolineando i limiti di quella ‘sociale’ proposta dal Dewey e condividendo quella di J. Maritain21, che «mira a cogliere il valore primigenio delle persone». Per Mencarelli infatti come per il filosofo francese, «l’energia motrice» della democrazia «è di struttura spirituale» e «la democrazia vive del “sacro valore della verità”». Pertanto «“l’educazione dell’uomo deve tener conto del gruppo sociale e preparare il fanciullo ad avervi la sua parte. Formare l’uomo a condurre una vita normale, utile ed operante nella comunità, in altri termini guidare lo sviluppo della persona umana nella sfera sociale svegliando ed affermando il senso della sua libertà, come quello dei suoi obblighi e delle sue responsabilità, è uno scopo essenziale dell’educazione”. Ma non il primo, né il principale. Il primo è lo sviluppo interiore della persona, il suo progresso personale, nel quale è il cuore del progresso sociale»22. In coerenza con la certezza che l’azione educativa non può non tenere presenti le esigenze e i diritti della persona, affermava anche che l’educatore è chiamato a conoscere, «la natura dell’uomo nella sua origine, nel suo fine, nella sua creaturalità e quindi nel suo rapporto con Dio». Sosteneva inoltre, condividendo il pensiero dello Spranger, che gli ideali e i valori, i contenuti dell’educazione in generale e dell’educazione civica in particolare sono necessari «per aiutare l’uomo ad essere “uomo di coscienza”, […] cioè capace di una “presa di posizione”»23, la quale è la parola d’ordine nel mondo spirituale. Come il pedagogista tedesco, affermava anche che la «particolare normatività che distingue l’essere umano da tutti gli altri esseri è la facoltà di accettare e di QUALEDUCAZIONE • 11 respingere, che si potenzia fino a diventare dovere». Collocandosi in questa prospettiva rifletteva anche sul rapporto autoritàlibertà, ricordando il pensiero del Kilpatrick24 e dello Spranger25 cioè di autori di pedagogia d’ispirazione nettamente diversa per dimostrare, facendo tesoro delle loro riflessioni, che soltanto nella prospettiva culturale è possibile cogliere il significato dei concetti di libertà e di pluralismo. Infatti a suo avviso, i due pedagogisti, ponendosi in prospettive diverse, consentono di «individuare l’ampiezza del segmento sul quale si è collocata, nell’epoca moderna e contemporanea, la discussione sulla libertà…» i cui termini possono tuttavia ordinarsi nel «concetto di pluralità, affermatosi ormai nel mondo ideologico non meno che in quello politico. È il concetto cui si accompagnano naturalmente, per reciproca coessenzialità, i concetti del dialogo, della tolleranza, dell’educazione alla pace e così via». Pertanto il Nostro apprezza «la funzione dialettica che la pluralità è in grado di esercitare nell’ambito della vita organizzata», senza dimenticare che l’esercizio di questa dialettica «si svolge, in efficacia, proporzionalmente all’educazione» e senza tacere che essa nella pratica educativa «impone cautele e attenzioni per evitare che l’educazione stessa si trasformi in propaganda deteriore e quindi in ammaestramento e comunque in condizionamento negativo della libertà individuale»26. Rifiuta tuttavia la neutralità dell’educazione, affermando la certezza che la libertà umana è la fondamentale forza portante del progresso individuale e sociale e che lo spontaneismo non assicura 12 • QUALEDUCAZIONE un’apprezzabile educazione alla libertà, la quale «implica sempre una capacità di scelta, una capacità e una precisa volontà di prender posizione, un’intenzionalità, un potere autodecisionale pronto, tempestivo e illuminato». La spontaneità è l’anima di questi abiti «ma non può esaurirsi in se stessa» e la conquista della libertà postula la conquista della cultura, la riflessione sulle esperienze, la consapevolezza e la coscienza del loro significato, il possesso di una visione dell’uomo, del suo valore e del suo esistere, della capacità e della volontà di rispettare se stessi e gli altri, della libertà, della sincerità, dell’onestà, della tolleranza, della comprensione, della generosità e dell’umiltà che «fanno capo alla comprensione e alla difesa della dignità umana». Queste conquiste «procedono dal tirocinio della vita sociale, intesa anche nella concretezza della situazione scolastica e ambientale»27, ed esigono un accostamento tra l’educazione civica, l’educazione alla cittadinanza attiva e democratica e quella morale. Pertanto l’educazione alla democrazia ed alla cittadinanza attiva viene a configurarsi come un processo che mira alla conquista di capacità, di sensibilità, di disponibilità etica ed intellettuale e di valori, che fa leva sulla creatività, sul potenziale educativo che ogni essere umano custodisce ed ha il diritto di ‘attuare’ e di testimoniare. Va quindi oltre la formazione del cittadino di una nazione e «non può risolversi nella definizione di una “solidarietà” fra concittadini, ma deve cercare efficacia e successo (anche nella pratica della tolleranza, del dialogo, dell’educazione alla pace) in una prospettiva internazionale»28. Il tempo del ‘perdono’ Mario Mencarelli nel corso del tempo è rimasto sempre fedele alla convinzione che l’educazione del cittadino è strettamente legata alla concezione che si ha dell’uomo e che «sarà l’educazione a liberare il mondo e a dare significato ad ogni impresa di riforma sociale ed economica: potrà esserlo proprio per il contributo insostituibile che è destinata a dare alla costruzione di un solido connettivo democratico, capace di nutrire la libertà e di evitare il generarsi e il diffondersi di germi patogeni (dall’ignoranza alla miseria alla mortificazione della dignità umana)»29. Tuttavia all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso denunciava l’assenza di un impegno condiviso e di un’azione educativa efficace ed incisiva e quindi capace di educare cittadini responsabili. Infatti in un Editoriale di «Prospettiva EP» del 1985 si esprimeva in questi termini: «C’è bisogno di una diffusa presa di coscienza della necessità di crescere e di vivere come cittadini, che, con squisito senso della partecipazione democratica e del suo profondo valore umano e umanizzante, sanno prender posizione davanti agli eventi, hanno la ferma disponibilità a non limitare la propria iniziativa al reagire, hanno la convinzione profonda che la vita democratica attende da ciascuno una capacità proattiva, cioè di progettazione originale e operativa»30. Affermava inoltre che «l’impresa non può essere affidata soltanto alla scuola: ne sono coinvolte, in questo tempo che ha accreditato il policentrismo educativo, tutte le “agenzie” extra-scolastiche, a cominciare dalla famiglia e dalle associazioni, dai partiti politici ai sindacati fino alle “scuole parallele” (che dispongono di canali penetranti ed incisivi)»31. Ognuna di queste ‘agenzie’ «ha una sua funzione e una sua responsabilità nella progettazione e nella costruzione del futuro, visto in particolare sotto l’ottica della educazione civica»32. Soltanto una condivisa responsabilità educativa secondo Mencarelli può consentire di ricomprendere il significato della democrazia, la cui crisi è legata alla caduta della tensione axiologica, alla disattenzione per l’uomo ed anche alla mancanza del coraggio di educare. Agli educatori pertanto suggeriva di appoggiare il proprio lavoro «a due forze: il bisogno di significato che anima la persona e la tensione axiologica che caratterizza la democrazia» ed alla scuola chiedeva di tener vive nella coscienza degli alunni queste domande: «Quale significato ha per me vivere in democrazia? Perché crediamo nella democrazia?»33. Queste domande, a suo avviso, potevano essere capaci di sollecitare e sostenere la volontà di soddisfare il bisogno di significato proprio di ogni essere umano e quindi «dar fondatezza alle prese di coscienza e alle prese di posizione del soggetto stesso»34. Democrazia, cultura e creatività Mario Mencarelli negli ultimi anni della sua vita era solito rilevare i rischi del relativismo (che non è produttore di vis democratica) e della caduta della democrazia legata ad una profonda crisi antropologica, la quale ostacolava l’affermazione «del pensiero critico, come espressione di un Io autonomo, consapevole della propria capaciQUALEDUCAZIONE • 13 tà» di dare «fondatezza ai valori culturali e ai valori etici, ai valori sociali e ai valori civici»35. Pertanto rivolgeva l’attenzione alla scuola, facendo appello al suo dovere di onorare la sua natura culturale, chiedendole di coltivare l’educabilità ed il potenziale di umanità che ogni uomo custodisce ed attende di attuare, riaffermando la certezza che il valore della persona «è sostanza di democrazia». In questa prospettiva si colloca il suo ultimo libro, intitolato Nuovi impegni della scuola elementare36 e pubblicato nel luglio del 1987 ad un mese di distanza dalla sua scomparsa, in cui il Nostro ribadì e legittimò ulteriormente il rapporto che esiste tra democrazia ed educazione e sottolineò il significato del legame che nella scuola intercorre tra l’esperienza curricolare e l’esperienza democratica, affermando che è lo stesso legame «delineato da altri pedagogisti (da Hessen a Maritain) tra cultura e libertà». A suo avviso «l’educazione democratica è il contenuto, il fine, il metodo della vita scolastica» e, a questo proposito, Mencarelli ricordava che «la democrazia non tollera analfabetismi e non tollera un cognitivismo esclusivamente strumentale; non tollera individualismo e non tollera collettivismo; non tollera abdicazioni e non tollera prevaricazioni». Era infatti convinto che lo stesso termine democrazia manifesta un’esigenzialità che «impone di chiedersi ad ogni istante, nella scuola e fuori della scuola, che cosa è la libertà, che cosa è la giustizia; che cosa sono il bene comune, l’eguaglianza, la solidarietà; e il dialogo, la tolleranza, la collaborazione, l’autogoverno». 14 • QUALEDUCAZIONE Inoltre Mencarelli affermava che «la tematica della creatività e del pensiero critico è coessenziale alla educazione democratica»37. A questo proposito giova ricordare che per il Nostro il concetto di creatività ha una particolare valenza etica: sollecita ad «autenticare incessantemente significati e valori», ad interrogarsi sul senso della vita, a soddisfare quell’ansia metafisica e quel bisogno di Verità rivelata, che «ognuno di noi si porta dentro»: e può favorire una conoscenza di fede, la quale ha una particolare forza ‘liberatrice’ perché si alimenta di amore e di speranza. In coerenza con questa certezza e con la convinzione che «l’esperienza religiosa ha sempre nutrito la cultura umana ed ha sollecitato l’uomo, pur con gli errori che sono stati compiuti», verso la conquista della sua piena umanizzazione Mencarelli ha richiamato vigorosamente, collocandosi in una prospettiva rigorosamente culturale, l’attenzione sull’importanza dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola. Era infatti convinto del fatto che la cultura umana trae respiro dalla solidarietà in cui le diverse conoscenze (quella razionale, quella ricostruita su documenti, quella elaborata per sperimentazione, quella data dalla intuizione… e quella di fede) danno corpo alla cultura umana e contribuiscono, nella loro solidarietà e nella loro singolarità, alla promozione di processi di ‘civilizzazione’ concorrendo così a dar contenuto e significato all’impegno di ‘essere civili’38. A questa convinzione si collega la certezza che la libertà «non è nell’agnosticismo analfabeta e qualunquista, che nella vita democratica non reca tensioni creative di amore e di solidarietà con- sapevole e progettata in termini di trascendimento»39. «Attualizzare i caratteri della persona» A conclusione delle riflessioni fatte sulle proposte di Mencarelli in rapporto all’educazione alla cittadinanza sembra possibile affermare che a suo avviso il cittadino democratico è l’uomo che ha attualizzato i caratteri della persona, che ha una visione alta dell’etica e che è capace di perdono. A questo proposito è opportuno precisare che per il pedagogista senese, come per il suo maestro Marco Agosti, l’uomo è persona quando «non solo è conscio di sé, della propria vocazione (conscius sui); ma è pure conscio del proprio tempo (conscius sui temporis); è padrone di sé (compos sui); è capace di auto-disciplina e di auto-cultura (auctor sui); è capace di donarsi sul piano dell’azione utilizzando tutti i suoi talenti (largitor sui), è capace, nella mediazione, nella orazione, nel raccoglimento interiore, di vivere in unione con Dio (adorator Dei)»40 e quindi di ‘perdonare’. Inoltre è perfino doveroso ricordare che Mario Mencarelli nel corso della sua esistenza ha offerto con semplicità e schiettezza esemplari testimonianze di ‘perdono’, di com-prensione e di compassione. Significativa è, a questo proposito, una sua lettera del 31 dicembre 1985, in cui, rivolgendosi ad un collega, così si esprime «desidero dirti con molta decisione che io non ho mai avuto “qualcosa contro”: contro nessuno. E se c’è una cosa di cui soffro, da molto tempo, è la difficoltà grande (intenzionalmen- te non parlo di impossibilità, perché la speranza è tanto più necessaria quanto più gravi sono i problemi), di comporre divisioni e contrasti…». «E la sofferenza è tanto più grande perché è difficile comprenderci anche tra pedagogisti di ispirazione cattolica, che, più di altri e per definizione, credono nel colloquio e nella solidarietà, proprio in vista della ricerca del vero e del giusto». Tuttavia concludeva la sua lettera esprimendo la speranza che il ‘colloquio’ e il ‘perdono’ avrebbero potuto consentire di consolidare «gli elementi generativi di un nuovo clima di colleganza, di amicizia, di efficace progettazione» e «di pace vera, cercata, voluta e amata…». Si trattava di una speranza illuminata dalla certezza che «l’occhio umano/ ascende verso l’alto/e un orizzonte immenso/gli rivela/la Pace» e che «solo col cuore può comprendersi l’essenza della Divinità, come l’essenza, che è dovunque» e che «a tutto dà forma e il moto certo che conduce a porto»41. note 1 Cfr. R. Lucatti, Mario … e io, in «Prospettiva EP», n. 2-3, apr.-sett. 1998, p. 164. 2 Ibidem. 3 Mario Mencarelli dimostrò di possedere capacità di animazione anche nello sport infatti «negli anni ’50 era già attivo membro del consiglio direttivo della Società Sportiva “Virtus”, fondata nel lontano 1923». Sotto la sua presidenza la ‘Virtus’, che si era ricostruita ‘eccellentemente’ dopo il periodo bellico, iniziò a partecipare ai campionati della F.I.G.C. ed ottenne notevoli successi. Cfr. R. Lucatti, Mario … e io, in «Prospettiva EP», n. 2-3, cit., p. 164. 4 Ivi, p. 163. 5 Cfr. N. Bellugi, Mario Mencarelli: crescita culturale e pedagogica di un maestro nella provincia senese del secondo dopoguerra (p. 356) e C. Palazzini, Le intuizioni giovanili di Mario Mencarelli QUALEDUCAZIONE • 15 (pp. 416-427) e A. Lisi, Dalle intuizioni giovanili alla pedagogia della creatività di Mario Mencarelli (pp. 400-415), in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S. Macchietti, Bulzoni Ed., Roma, 1998, cfr. inoltre J. Maccioni, Mario Mencarelli maestro, in «Prospettiva EP», n. 2-3, cit., pp. 169-175; 6 Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S. Macchietti, cit., pp. 21-22. 7 Mario Mencarelli si è laureato in pedagogia nel 1951, discutendo la tesi Metodologia, naturalismo ed umanesimo in J. Dewey – relatore Ernesto Codignola – presso la Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Firenze. 8 Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S. Macchietti, cit., p. 22. 9 Cfr. M. Mencarelli, La didattica nella scuola dell’obbligo, La Scuola, Brescia, 19674, p. II. 10 Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S. Macchietti, cit., p. 23. 11 Si trattava di una comunità formata da giovani maestri particolarmente partecipi degli ideali dell’educazione cristiana, che si era raccolta intorno alla rivista «Scuola Italiana Moderna» e che era nata nel 1950 da un impegno di apostolato educativo con «un programma di studio comprendente questi tre punti: 1) svolgere organicamente una pedagogia fondata sul valore cristiano; 2) conoscere e valutare il pensiero pedagogico straniero d’oggi; 3) sviluppare una larga, coerente e rinnovatrice attività sperimentale» (cfr. Aa.Vv., Pedagogia della persona, La Scuola, Brescia, 1952, p. 5). 12 Cfr. M. Mencarelli, Problemi di pedagogia scolastica, La Scuola, Brescia, 1962, p. 18. 13 Cfr. S.S. Macchietti, La vocazione personalistica di Mario Mencarelli, in Aa.Vv., Mario Mencarelli per una pedagogia di frontiera, a cura di S.S. Macchietti, cit., pp. 24-25. 14 M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica, in M. Mencarelli, G. Bellagamba, P. Pasotti, G. Petracchi, L’educazione civica nella scuola italiana: storia, problemi e metodi, A.I.M.C., Roma, 1969, pp. 145-198; M. Mencarelli, Educazione alla democrazia e creatività, in «Scuola Materna», LXIII, n. 15, maggio 1976, p. 915; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 1., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 5, novembre 1976, 16 • QUALEDUCAZIONE pp. 12-14; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 2., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 7, gennaio 1977, pp. 1618; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 3., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 10, febbraio 1977, pp. 16-18; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 4., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 11, marzo 1977, pp. 16-18; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 5., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 13, aprile 1977, pp. 14-16; Id., Mappa lessicale dei rapporti fra educazione e democrazia. 6., in «Scuola Italiana Moderna», LXXXVI, n. 14, aprile 1977, pp. 15-16; Id., Educazione democrazia società educante (Editoriale), in «Prospettiva EP», n. 5-6, sett.-dic. 1980, pp. 1-3; Aa.Vv., Educazione permanente e democrazia, a cura di M. Mencarelli, Giunti & Lisciani, Teramo, 1983 (Educazione nuova; 46); M. Mencarelli, La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, in Aa.Vv., La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, Atti del XIII Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (Roma, 5-9 dicembre 1984), AIMC, Roma, 1985, pp. 83-110; Id., Un problema sempre più urgente (Editoriale) e La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, in «Prospettiva EP», n. 4, lug.-ago. 1985, pp. 1-2 e pp. 3-28; Id., Convivenza democratica e bene comune (L’impegno primario dei Nuovi Programmi), in «Scuola Italiana Moderna», XCVI, n. 13, aprile 1987, pp. 6-8; Id., Convivenza democratica e rispetto delle sorgenti di vita (L’impegno primario dei Nuovi Programmi), in «Scuola Italiana Moderna», XCVI, n. 15, maggio 1987, pp. 6-8; Id., Valori religiosi e convivenza democratica (L’impegno primario dei Nuovi Programmi), in «Scuola Italiana Moderna», XCVI, n. 17, giugno 1987, pp. 17-19. 15 Cfr. ad esempio Aa.Vv., L’educazione etico-politica, Atti XXII Convegno di Scholé (Brescia, 1921 settembre 1983), La Scuola, Brescia, 1984; A. Danese, Riscoprire la politica. Storia e prospettive, Città Nuova, Roma, 1989; A. Danese, Cittadini responsabili. Questioni di etica politica, Edizioni Dehoniane, Roma, 1992; C. Nanni, L’esigenza di un’educazione alla legalità. Quale legalità? Quale educazione?, in «Orientamenti Pedagogici», n. 40, 1993, 1 (pp. 9-28); S.S. Macchietti, Per educare ‘cittadini responsabili, in «Prospettiva EP», n. 1, gen.-mar. 1995 (pp. 49-66); Aa.Vv., L’educazione alla legalità, Atti XXXII Convegno di Scholé (Brescia, 7-9 settembre 1993), La Scuola, Brescia, 1994; Aa.Vv., Educazione civica e cultura costituzionale, a cura di L. Corradini, G. Refrigeri, Il Mulino, Bologna, 1999; M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma, 2001; Aa.Vv., Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, a cura di S. Chistolini, Armando, Roma, 2006. 16 Cfr. G. Lazzati, Introduzione, in A. Baroni, Per la formazione sociale civile e politica della gioventù, Editrice Studium, Roma, 1948, pp. 5-6. 17 Questo contributo è stato pubblicato nel volume M. Mencarelli, G. Bellagamba, P. Pasotti, G. Petracchi, L’educazione civica nella scuola italiana: storia problemi e metodi, cit., pp. 145-198. Il contributo di M. Mencarelli è stato riproposto nel volume di Aa.Vv., Epistemologia e didattica. Saperi scientifici e saperi scolastici, a cura di S.S. Macchietti e E. Damiano, Bulzoni Ed., Roma, 1999, pp. 241-300. 18 Ivi, p. 148. 19 D.P.R. n. 585, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 17 giugno 1958. 20 Cfr. M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica, cit., p. 146. 21 Cfr. J. Maritain, L’educazione al bivio, La Scuola, Brescia, 1951. 22 Cfr. M. Mencarelli, Prospettive pedagogiche e didattiche dell’educazione civica, cit., p. 154. 23 Ivi, p. 156. 24 Mario Mencarelli rileva che il pedagogista americano «si muove nel quadro di una filosofia del divenire, che assume il mutamento come una legge e postula quindi un’educazione, anche nell’ambito delle necessità civiche, capace di adattarsi alle novità o addirittura di produrle» e di consentire all’uomo di denunciare convenzioni, abitudini, formalismi e di testimoniare il vigore del ‘pensiero creativo’ come forza generatrice di «nuovi atteggiamenti, anticonformistici, sia sul piano della vita morale che sul piano della vita civica» (Ivi, p. 156). 25 Mario Mencarelli in particolare ricorda che lo Spranger affermava la necessità di «educare l’uo- mo ad essere il legislatore di se stesso e a considerare la propria coscienza come una sorgente normativa, donde la regola e la legge si dispiegano in dimensione oggettiva e ben alla larga dalle secche dell’egoismo e dell’opportunismo», sostenendo che l’educazione aiuta a far scaturire nell’essere umano «la più alta normativa che gli è propria» (Ivi, p. 155). 26 Ivi, p. 157. 27 Ivi, p. 166. 28 Ivi, p. 158. 29 Cfr. M. Mencarelli, Educazione democrazia società educante (Editoriale), in «Prospettiva EP», n. 5-6, cit., p. 3. 30 Cfr. M. Mencarelli, Un problema sempre più urgente (Editoriale), in «Prospettiva EP», n. 4, cit., p. 1. 31 Ibidem. 32 Ivi, p. 2. 33 Cfr. M. Mencarelli, La scuola di base per l’educazione dell’uomo e del cittadino, in «Prospettiva EP», n. 4, cit., pp. 23-24. Questo contributo è il testo della relazione tenuta dall’Autore al Congresso Nazionale dell’A.I.M.C. nel dicembre 1984. 34 Ivi, p. 27. 35 Ibidem. 36 Cfr. M. Mencarelli, Nuovi impegni della scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1987. 37 Ivi, p. 16. 38 Cfr. M. Mencarelli, Valori religiosi e convivenza democratica, in «Scuola Italiana Moderna», n. 17, 1° luglio 1987, pp. 17-19. 39 Ivi, p. 19. 40 M. Agosti, Premesse e contributi alla elaborazione di una pedagogia integrale secondo il personalismo cristiano, in Aa.Vv., La pedagogia cristiana, Atti del I Convegno di Scholé (Gargnano, 9-11 settembre 1954), La Scuola, Brescia, 1955, p. 247. 41 I versi sono tratti da due poesie inedite scritte da M. Mencarelli negli anni ’50 del secolo scorso, intitolate Arcobaleno e Dio. Per dialogare con noi [email protected] [email protected] Fondazione Serio www.associazionegianfrancescoserio.it visita il sito della e per conoscerci QUALEDUCAZIONE • 17 Educazione senza frontiere rubrica diretta da MICHELE BORRELLI La fondazione pragmatica dell’etica di Michele Borrelli Con la differenziazione kantiana della ragione in teoretica, pratica ed estetica si porta definitivamente a conclusione il concetto metafisico-sostanzialistico di razionalità che si riallaccia alla lunga tradizione filosofica del pensiero occidentale1. In Kant, infatti, emerge, per la prima volta, un concetto completamente nuovo di ragione; un concetto che esprime un’idea procedurale di razionalità; un’idea non più obbligata ad interpretazioni ontologico-sostanzialistiche del mondo e riferita, per un verso, alla ricerca delle condizioni di possibilità della conoscenza in generale, e, per altro verso, alla ricerca delle condizioni di possibilità della legittimazione e fondazione di norme morali o etiche in particolare. Accanto al rilevante ambito oggettivante (o empiristico) della ragione, in Kant sono presenti, allora, in modo esplicito e sistematico, due dimensioni non meno importanti e fondamentali di conoscenza: la dimensione pratica o morale e la dimensione estetica della ragione2. Ovviamente, da prospettiva odierna, la domanda centrale non è solo il recupero e il dispiegamento complementare, accanto all’ambito oggettivante, di queste altre due dimensioni della ragione, ma anche e soprattutto la possibile ricostituzione dell’uni18 • QUALEDUCAZIONE tarietà di una ragione che Kant aveva suddiviso in tre parti e che non riuscì più a ricomporre3. Se è pur vero che (con Kant) abbiamo bisogno di una lettura in chiave non più sostanzialistica ma procedurale della ragione, è anche vero che il discorso attuale reclama una lettura (postsoggettivistica e postcoscienzialistica) che sia, al contempo, anche capace di garantire alla ragione la sua capacità critica a salvaguardia della sua intrinseca funzione liberatrice o emancipativa. In Habermas e Apel, il recupero di questa funzione liberatrice e critica della ragione, si articola in riferimento al linguaggio come metaistituzione da cui far dipendere le istituzioni sociali e le norme ad esse legate. Ciò include un distaccamento non solo da una sociologia come scienza “neutrale”, in verità tutta situata nell’interesse tecnico della conoscenza, ma anche da una sociologia come scienza storica dello spirito in prospettiva solo ermeneutica. Se accettiamo la prospettiva semiotica elaborata da Habermas e Apel4, diventa necessario prendere le distanze da una scienza situata esclusivamente su un terreno avalutativo a svantaggio dei suoi potenziali critici5; la scienza avrebbe, invece, il compito di indagare le strutture della vita sociale, tenendo fermo l’insie- me delle tre sfere esperienziali6. È pur vero che, in prospettiva postmoderna, l’indagine sulle forme di vita (Lebensformen), di cui parla Wittgenstein, non segue più regole di sintesi coscienziale (Kant), quanto, piuttosto, regole grammaticali, relativamente ai giochi linguistici di determinati contesti storici, ma è anche vero – se seguiamo la pragmatica universale di Habermas e quella trascendentale di Apel – che quel che si cerca, a partire dal linguaggio, è sempre e comunque l’integrazione tra riproduzione simbolica e riproduzione materiale, oggi tanto più importante quanto più diventa fondamentale arginare lo squilibrio che si è instaurato tra l’ambito della produzione simbolica (riproduzione culturale, integrazione sociale e socializzazione) e l’ambito della riproduzione materiale (razionalizzazione tecno-strumentale). Lo sviluppo della razionalità sistemica o tecnico-scientifica si compie, sempre ancora, per lo più e sempre più, a spese di quello della razionalità comunicativa, dell’interazione e dell’intersoggettività. Riprendendo, quindi, anche se da prospettive diverse, alcuni presupposti centrali del concetto kantiano di ragione, Habermas e Apel reclamano nelle loro articolate impostazioni pragmatiche, di contro ad un imporsi quasi naturale ed automatico dell’egemonia delle scienze nomologiche dello spiegare (sapere tecnico), quelle forme di sapere rigorose e razionali e anche d’ordine normativo ed etico, non meno fondamentali per la conoscenza e l’organizzazione delle istituzioni sociali, che riguardano il mondo della quotidianità o della vita sociale in generale. Queste forme esperienziali sono, come si diceva sopra, l’ambito pratico (morale) e l’am- bito estetico (arte) della ragione, ambiti che formano la base della ragione comunicativa e della sua etica7. In altri termini: se l’esistenza umana e della società non possono porsi esternamente all’ambito dell’agire strumentale (interesse tecnico della ragione), dall’altro, è altrettanto impossibile che esse possano porsi al di fuori della dimensione simbolica, ossia al di fuori dell’ambito dei valori e delle norme morali che sono dati con l’interesse pratico della ragione. Se il primo è importante in quanto assicura le condizioni della riproduzione strumentale o tecnica, quindi la vita materiale della società (o dell’umanità), quest’ultimo è importante in quanto assicura le condizioni della riproduzione simbolica, cioè l’intesa su norme e valori comuni capaci di orientare l’agire umano; assicura, cioè, le condizioni di possibilità della convivenza civile e democratica. Entrambe le due forme di sapere sono necessarie non tanto perché in nessuna società si potrà fare a meno dell’una o dell’altra forma, ma anche e soprattutto perché dipenderà dal loro intreccio il grado della funzione liberatrice che la ragione potrà assumere nei contesti storici contingenti nei quali si dispiegano le condizioni di possibilità dello sviluppo della convivenza civile e del progresso dei popoli. Nonostante l’evidente importanza che assume la sfera simbolico-comunicativa per la sopravvivenza della società, punto centrale delle dispute e delle contestazioni, che accendono oggi le varie correnti di pensiero, è proprio l’intesa simbolica o linguistica. Quel che filosoficamente, nell’epoca presente, si mettono in discussione sono proprio le condizioni di possibilità dell’unitarietà del linguaggio, dell’unitarietà della posQUALEDUCAZIONE • 19 sibile intesa e del suo senso. Unitarietà alla quale viene contrapposta l’alterità dei giochi linguistici (a partire da alcuni spunti di Wittgenstein) e non solo: all’unità di significato va sostituendosi, vieppiù, soprattutto nelle correnti orientate ad una radicalizzazione della contingenza storica, la pluralità dei significati8. Le dispute tra universalisti, relativisti, neostrutturalisti e contestualisti si incentrano, attualmente, su ciò che si presumerebbe essere la casa comune, cioè il linguaggio come mezzo di ogni possibile intesa, o meglio: il linguaggio come mezzo attraverso cui poter parlare ancora di conoscenza e verità, senza cadere nella ragione sostanziale della metafisica tradizionale. Nella svolta pragmatico-linguistica, se seguiamo l’approccio di Habermas e Apel, non è più il soggetto trascendentale, autonomamente agente, a produrre, kantianamente, il mondo, ma è il linguaggio (sulla scia della svolta linguistica a partire da Heidegger) a dischiuderlo, a portarlo allo scoperto e a costituirsi come unico strumento di comprensione. Il linguaggio è ritenuto l’istanza di oltrepassamento di quel rapporto descartiano-kantiano tra soggetto e oggetto in cui non solo domina incontrastato il soggetto (conoscente) sull’oggetto (da conoscere), ma al quale viene anche ricondotta ogni conoscenza. L’etica della comunicazione o del discorso presuppone l’intersoggettività trascendentale del pensiero che in quanto tale non è solipsisticamente autarchico, piuttosto reclama una comunità della comunicazione quale comunità discorsiva ideale. Ne consegue che il paradigma di fondazione trascendentalpragmatica dell’etica della comunicazione non è più l’Io 20 • QUALEDUCAZIONE penso, ma l’intersoggetto nel quadro di una comunità discorsiva (Apel)9. Oggi, diversamente dall’impostazione rigida descartiana-kantiana e fenomenologico-trascendentale husserliana, dire linguaggio significa dire comunicazione intersoggettività. Nel linguaggio, infatti, tutti i soggetti appartenenti ad una comunità linguistica, mettono a confronto se stessi e le proprie pretese di validità. In esso, tutti i soggetti possono, nel senso di Humboldt, rinnovare e mantenere in vita la stessa comunità. Ma è possibile pensare ancora in termini di linguaggio? O meglio: è possibile pensare in termini di un linguaggio comune che ha le sue norme, le sue regole da tutti condivise e accettate? È ancora pensabile l’idea humboldtiana dell’unità nella molteplicità? C’è ancora un intendersi su qualcosa attraverso il dialogo? Se diamo uno sguardo più attento alla situazione odierna, possiamo constatare che, nonostante dalle correnti che si contendono la discussione, il linguaggio sia riconosciuto come la casa comune (o nel senso di Heidegger la casa dell’essere), si va da un contestualismo come critica totale alla metafisica (Rorty/Lyotard), sulla scia di Heidegger, ad un postcontestualismo radicale (Derrida) in cui la stessa nozione di critica è ritenuta priva di senso; dall’abbandono totale del problema di principio (Marquard) alla metafisica della negatività o dialettica negativa di Adorno. Quel che si esige, oggi, in gran parte della discussione soprattutto postmoderna, non è la priorità (metafisica) dell’unità sulla pluralità, ma la priorità (metafisica?) della pluralità sull’unità. Ciò crea tutta una serie di domande. È possibile ancora parlare di conoscenza ogget- tiva e unitarietà della scienza? Di comprensione intersoggettiva? Di norme e regole condivisibili? Di un linguaggio comune? Di una possibile intesa nel dialogo? Se confrontiamo i presupposti che si collocano a monte delle dispute, le risposte seguono, ovviamente, più argomentazioni e logiche tutt’altro che riconducibili ad una base d’intesa comune e vincolatività accettata e condivisa unanimemente. Notiamo, in verità, sia argomentazioni e logiche d’ordine linguistico-oggettivistico (Putnam) sia argomentazioni e logiche d’ordine linguistico-relativistico (Quine, Rorty). Le prime rinviano ad una realtà indipendente e, pertanto, non escludono, per principio, la possibilità di sviluppare – a lungo raggio – teorie capaci di cogliere la realtà nell’interezza delle sue manifestazioni. Le seconde partono dall’assunto che ogni descrizione della realtà riflette una determinata costruzione storica e tendono ad escludere, per principio, che si possa dare la possibilità di cogliere la realtà nella sua interezza10. Il problema è chiaramente costituito dai presupposti che formano la base di partenza delle impostazioni. In altri termini, i presupposti a monte delle impostazioni, interessano e definiscono, al contempo, le logiche delle scienze: da un lato il carattere nomologico delle scienze naturali, dall’altro il carattere storico ed ermeneutico delle scienze umane e sociali. Per superare questo antagonismo metodologico, tanto Habermas quanto Apel rinnovano l’analisi del linguaggio presumendo la complementarità tra il modello metodologico empiricoanalitico e il modello metodologico ermeneutico11. L’indagine relativa al mondo della vita (Lebenswelt), da Dilthey a Husserl, presuppone, per Habermas e Apel, non l’irrigidimento su un concetto empirico di scienza, ma un intreccio di più metodologie. Allo spiegare bisogna affiancare il comprendere delle scienze ermeneutiche12. Habermas e Apel, pur muovendosi, quindi, su basi dichiaratamente postmetafisiche, non rinunciano a quella che, a partire da Kant, può essere definita l’istanza critica o il substratus emancipativo della ragione. In questa istanza si presume che la ragione non è neutrale, ma ha, invece, una sua funzione liberatrice e il suo compito mira, in ultima istanza, ad emancipare i soggetti da tutte le costrizioni superabili in vista di una società conforme quanto più possibile al modello dell’intesa linguistica. Se così fosse, si potrebbe anche presumere che la stessa ragione includa una vincolatività etica. Habermas e Apel, anche se percorrono vie nel frattempo diverse, assegnano alla ragione (comunicativa) questa funzione etica. Habermas vede il compito della pragmatica universale nell’identificazione e ricostruzione delle condizioni universali dell’intesa possibile, ovverosia nella ricostruzione dei presupposti generali dell’agire comunicativo. Ma, a differenza di Apel, non situa questa identificazione all’interno di un approccio trascendental-fondazionalista, bensì all’interno di un modello di scienza ricostruttivo, ripiegando, così, su un approccio fallibilistico di teoria che, prendendo comunque congedo dai sistemi metafisici classici, nulla concede a concetti postmoderni di dissoluzione o decostruzione della ragione. Per Habermas, la ricostruzione dei presupposti dei processi d’intesa non può essere ricondotta ad approcci trascendental-aprioristici di tipo kantiano, poiché essa non è di naQUALEDUCAZIONE • 21 tura tipicamente filosofico-aprioristica, ma parte, invece, da casistiche empiriche e soggiace, similmente alle ipotesi metodologiche delle scienze empiriche, ad uno statuto ipotetico e fallibilistico. Ciò significa, però, che la ricostruzione, diversamente da concezioni trascendental-fondamentalistiche, potrebbe essere falsificata qualora si partisse da presupposti diversi13. Se teniamo fermo lo status ipotetico dell’approccio habermasiano, la logica del discorso non avrà possibilità di trasformarsi né in logica formale (in logica che dà le regole della formulazione e trasformazione di asserzioni con valori di verità costanti), né in logica trascendentale (che studia, cioè, le categorie rilevanti per la costituzione degli oggetti di possibili esperienze); essa, invece, resterà comunque logica pragmatica. La validità del/nel discorso si dà, cioè, nello scambio di argomenti e controargomenti; in questo scambio di argomenti si tratterà di verità discorsiva; di una verità (comunque provvisoria) che non troverà appoggio solido in una validità logico-deduttiva, né potrà essere evinta esclusivamente dall’esperienza in senso oggettivante. Apel, diversamente dalla svolta fallibilistica dell’ultimo Habermas, cerca, invece, la risposta liberatrice della ragione attraverso l’a priori della comunicazione intersoggettiva o dei partecipanti al discorso, ovverosia nei presupposti che vincolano l’etica del discorso; ponendo, quindi, il problema della validità e vincolatività etiche o di norme non in una concezione ermeneutica neutrale o fallibilistica, ma in una concezione trascendentale, ossia in una concezione che premette, sempre già, una fondazione normativa data con l’a priori 22 • QUALEDUCAZIONE della comunità argomentativa o comunicativa, data, cioè, aprioristicamente col discorso e nel discorso. Chiunque entra in un’argomentazione e si presenta come membro corresponsabile per la ricerca della verità di un enunciato o della correzione di una norma o avanza una pretesa di validità, deve presupporre non solo una capacità di dialogo ma anche una capacità di corresponsabilità dialogica quali istanze normativo-trascendentali. Attraverso la riflessione trascendentale è possibile individuare i presupposti a priori della situazione argomentativa14. Questi presupposti contengono sempre già le norme etiche procedurali fondamentali e configurano una responsabilità che agisce come parametro normativo per tutte le pretese di validità. Tali norme fondamentali del discorso (primordiale) aprono l’accesso alla soluzione discorsivo-consensuale di tutte le pretese discutibili di validità riconosciute inconfutabili nell’argomentare e rappresentano la soluzione normativa necessaria anche per tutti i conflitti di opinione e di interesse nel mondo della vita. In altri termini: chiunque entra in un’argomentazione deve fare appello alle norme fondamentali se vuole stabilire quale opinione sia quella vera o quale pretesa di parte sia moralmente legittima. Tali condizioni costituiscono i presupposti trascendentali dell’argomentazione: non vi è discorso pratico disgiunto da tali regole normative. L’etica della comunicazione difende, pertanto, l’idea che tutte le persone siano interlocutori validi che possono partecipare attraverso il dialogo alla ricerca della verità e alla migliore analisi e alla più adeguata soluzione del problema di volta in volta accetta- bile nelle condizioni più prossime alla simmetria. Come è facile notare, non solo Apel non si attiene a logiche casistiche legate alla contingenza di giochi linguistici determinati, suscettibili di falsificazioni sul piano empirico, ma chiarisce, anche, come la fondazione normativa è già avvenuta nell’a priori della comunità comunicativa, nell’etica che è condizione di ogni discorso serio e vincola ogni discorso serio. Praticamente, prima ancora che le scienze sociali potessero costituirsi come istanza normativa o etica, presumevano questo piano normativo o etico. Ciò è dimostrato, non da ultimo, dal fatto che anche le semplici operazioni nomologiche delle scienze avalutative presumono, a monte, un’istanza di comprensione dialogica di senso e di legittimazione della validità che è data anticipatamente con l’a priori della comunità comunicativa o argomentativa, con l’eticità che vincola il discorso serio15. Il problema della validità e della fondazione etica o di norme non è, allora, questione risolvibile all’interno di ambiti metodici o risultato di procedure di deduzione, ma si estende, piuttosto, alla filosofia teoretica in generale e interessa la stessa possibilità di una filosofia critica. Quel che si cerca è come organizzare socialmente la comunicazione e l’interazione di cittadini-soggetti e di mettere in atto la ragione comunicativa o discorsiva. La questione è doppia: da un lato il problema dell’organizzazione della comunicazione interessa la struttura della società e le possibilità, in essa riposte, di una comunicazione libera da dominio, dall’altro è chiamata in causa la riflessione trascendentale sulle condizioni di possibilità di fon- dazione dell’etica della comunicazione e di una sua possibile applicazione sul piano storico-contingente. Per quel che riguarda l’aspetto pratico o storico della questione, è indubbio che la realizzazione dell’etica della comunicazione presuppone un ordinamento democratico. Si può presupporre, anzi, che ordinamento democratico e etica discorsiva o della comunicazione vanno di pari passo. Non vi è, cioè, l’una cosa senza l’altra. Ciò spiega, non da ultimo, il fatto che, sul piano storico, l’etica della comunicazione o del discorso è costretta a fare i conti col problema degli interessi legati al potere di determinati contesti storici; è costretta a scontrarsi, se così vogliamo, con la razionalità strategica dell’interazione umana16. Sul piano pratico della questione diventa, quindi, necessario istituire un rapporto di responsabilità o corresponsabilità tra razionalità strategica o del sistema (sociale) e razionalità comunicativa i cui fondamenti affondano nella razionalità comunicativa e cioè nel consenso mediato dai presupposti dell’etica che vincola il discorso. Ciò, però, come si può notare, non può avvenire senza riferimento ad idee che con Kant potremmo definire regolative. Senza, cioè, un’idea emancipativa o di trasformazione, senza l’orientamento alla vincolatività etica che costituisce il discorso serio, nemmeno è possibile pensare in termini di realizzazione dell’etica della comunicazione. Se si segue l’impostazione apeliana, ogni argomentare si trova necessariamente all’interno dell’a priori del logos del linguaggio. Nessuno può argomentare fuori dall’argomentazione, come nessuno può discutere fuori dal discorso17. Non ci sono argomentazioni con le quali dimostrare che le conseguenze QUALEDUCAZIONE • 23 relativistiche susseguenti a posizioni strettamente storicistiche, sul modello di Heidegger e Gadamer o sul modello dei modi sociali di vivere di Wittgenstein, possano scalfire il terreno solido su cui si elevano le pretese di validità del discorso. Anche il relativista più convinto e lo scettico più radicale non possono dubitare che al discorso argomentativo appartengono, di principio, alcune pretese inaggirabili: la pretesa di senso, la pretesa di comprensibilità, la pretesa oggettiva di verità (riferita al mondo esterno), la pretesa soggettiva di veridicità (riferita al mondo interno), la pretesa intersoggettiva morale-normativa di giustezza (riferita al mondo sociale). Qual pur sia il relativismo e lo scetticismo che si ritiene giusto seguire, ogni argomentante, quindi anche l’argomentante scettico e il relativista, si troveranno sempre già nei presupposti etici dell’argomentare discorsivo se intendono sostenere seriamente le loro posizioni relativistiche o scettiche. In ogni argomentazione seria, siamo in presenza di un duplice a priori (etico) della comunicazione: da un lato, l’appartenenza ad una comunità reale di comunicazione, dall’altro, l’appartenenza, anticipata controfattualmente, ad una comunità ideale di comunicazione. Col duplice a priori della comunicazione si entra nel vivo dell’argomentazione trascendentalpragmatica della fondazione (ultima) e dell’etica del discorso ad essa legata. Nel senso dell’impostazione di Apel, non si tratta di percorrere una idea sostanziale di moralità o di etica e di cadere nelle ontologie o metafisiche tradizionali; si tratta, piuttosto, di non perdere di vista il riferimento a condizioni ideali di comunicazione. L’orientarsi, 24 • QUALEDUCAZIONE cioè, al superamento di tutte le distorsioni e di tutti i privilegi, di tutte quelle restrizioni (pragmatiche) che si oppongono all’idea della comunicazione contrastandone l’attuazione del principio etico, presume questa istanza controfattuale, ideale di comunicazione. Il processo di liberazione dell’eticità intrinseca al discorso (ideale) è anche presupposto normativo, orientativo del discorso in seno alla comunità comunicativa reale. Si può notare che l’etica della comunicazione intersoggettiva o del discorso, pur non seguendo linee sostanziali, non percorre logiche postmoderne secondo le quali la validità dei principi è solo contestuale (Rorty), solo contingente e mai universale. Le considerazioni sopra esposte dimostrano, invece, che ogni discorso argomentativo premette un’etica della comunicazione e questa, a sua volta, una razionalità non riducibile solo a razionalità strategica, quale forma di razionalità mezzo-scopo, o a razionalità scientifica sul modello descartiano di relazione soggetto-oggetto. L’etica della comunicazione si dispiega, piuttosto, come razionalità dialogica che, nell’intreccio del doppio a priori di comunità comunicativa reale e comunità comunicativa ideale, dispiega il suo potenziale critico di liberazione e di emancipazione nella corresponsabilità e nell’interesse di tutti i comunicanti18. Bibliografia: Karl-Otto Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2004; Karl-Otto Apel, Cambiamento di paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2005; Karl-Otto Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006; Michele Borrelli/Matthias Kettner (a cura di), Filosofia trascendentalpragmatica – Transzendentalpragmatische Philosophie (Scritti in onore di K.-O. Apel per il suo 85° compleanno), Pellegrini, Cosenza, 2007; Michele Borrelli/Matthias Kettner (a cura di), Laudatio in honorem Karl-Otto Apel, Pellegrini, Cosenza, 2007; Michele Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini, Cosenza, 2005; 2a ed. Cosenza, 2008; Michele Borrelli, Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di filosofia e scienza. Introduzione al pensiero di Karl-Otto Apel, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008; Michele Borrelli, «La trasformazione apeliana della filosofia moderna», in topologik, n. 1, Pellegrini, Cosenza, 2007, pp. 9-15; Michele Borrelli, «L’utopia del linguaggio e il senso (pedagogico) della critica», in topologik, n. 1, Pellegrini, Cosenza, 2007, pp. 95-114; Michele Borrelli, «Ethique et émancipation chez Karl-Otto Apel», in M. Charmillot, C. Dayer, M. Schurmans (direction de) Connaissance et émancipation. Dualismes, tensions, politique, “Logiques Sociales” - Série Sociologie de la connaissance, dirigée par Francis Farrugia, Paris: Harmattan, 2008, pp. 59-80 (uscito anche in topologik, n.2, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007, pp. 29-46). Michele Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in topologik, n. 3, Pellegrini, Cosenza, 2008, pp.28-38; Michele Borrelli, «Die Dreiteilung der Vernunft bei Kant als transzendental-dialektische Grundlegung von Pädagogik», Jörg Ruhloff/ Johannes Bellmann et alii (Hrsg.), Perspektiven Allgemeiner Pädagogik. Dietrich Benner zum 65. Geburtstag, Weinheim und Basel: Beltz, 2006; Michele Borrelli (a cura e traduzione di), Pedagogia Critica, Pellegrini, Cosenza 2004; Dietrich Benner, Michele Borrelli, Frieda Heyting, Christopher Winch (Hrsg.), Kritik in der Pädagogik – Versuche über das Kritische in Erziehung und Erziehungswissenschaft, Zeitschrift für Pädagogik, n. 46. Beiheft, Beltz, Weinheim, Basel, Berlin 2003; Frieda Heyting, Christopher Winch (edited by), Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, Blackwell Publishing, 2005; Michele Borrelli, «The Utopianisation of Critique: the Tension between Education Conceived as a Utopian Concept and as one Grounded in Empirical Reality», in Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, cit., pp. 122-134; Michele Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in Dietrich Benner (Hrsg.), Bildungsstandards. Instrumente zur Qualitätssicherung im Bildungswesen. Chancen und Grenzen, Beispiele und Perspektiven, Paderborn: Verlag Ferdinand Schöningh, 2007, pp. 157-168; Michele Borrelli, «La svolta ermeneutica in filosofia nel pensiero di Karl-Otto Apel», in topologik, n. 4, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008, pp. 12-21; Michele Borrelli, «La filosofia trascendentale dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel», in Quaderni Interdisciplinari. Metodologia delle scienze sociali, vol. 1, a cura di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 1998, pp. 9-23; Jürgen Habermas, «Der Universalitätsanpruch der Hermeneutik», in Hermeneutik und Dialektik I. Festschrift für H.-G.Gadamer, (Hrsg. von R. Bubner/K.Cramer/R.Wiehl), Tübingen 1970, pp. 73-104; Jürgen Habermas Theorie des kommunikativen Handelns, I, II, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1981; Martin Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer Verlag, Tübingen, 1993; Martin Heidegger, Was ist Metaphysik?, Klostermann, Frankfurt am Main, 1992; Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode. Gründzüge einer philosophischen Hermeneutik, J.C.B. Mohr, Tübingen, 6a ed. 1990; Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford, 1958. Note Cfr. M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, Pellegrini, Cosenza 2005, 2a ed. Cosenza, 2008. Su questo passaggio cfr. anche M. Borrelli, «Die Dreiteilung der Vernunft bei Kant als transzendentaldialektische Grundlegung von Pädagogik», in J. Ruhloff, J. Bellmann, et alii (Hrsg.), Perspektiven Allgemeiner Pädagogik. Dietrich Benner zum 65. 1 QUALEDUCAZIONE • 25 Geburtstag, Weinheim und Basel: Beltz, 2006, pp. 113-123. 2 Ai diversi aspetti della ragione kantiana corrispondono diversi tipi di educazione: un’educazione teoretica, un’educazione pratica e un’educazione estetica. Questa tripartizione nulla toglie, anzi rafforza l’obiettivo pedagogico che l’educazione è educare alla ragione critica, differenziata da un lato, ma unitaria dall’altro, perché le funzioni convergono poi, e comunque, nell’una e stessa ragione: la ragione umana. Col che, la ricerca delle condizioni di possibilità della teoria pedagogica o della scienza pedagogica, se si preferisce quest’ultimo termine, non è giunta alla fine, ma è all’inizio della sua riflessione. Il punto iniziale potrebbe essere la critica della critica. Questo punto è stato discusso nel lavoro internazionale Pedagogia Critica, a cura e traduzione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza 2004 (in versione tedesca: D. Benner, M. Borrelli, F. Heyting, C. Winch (Hrsg.), Kritik in der Pädagogik – Versuche über das Kritische in Erziehung und Erziehungswissenschaft, Zeitschrift für Pädagogik, n. 46. Beiheft, Beltz, Weinheim, Basel, Berlin 2003; e in versione inglese: F. Heyting, C. Winch (edited by), Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, Blackwell Publishing, 2005. 3 Cfr. M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, cit., «Delineamento del problema: la tripartizione kantiana della ragione e la conseguente impossibilità di fondare filosofia e scienza», pp. 15-26. 4 Cfr. K.-O. Apel, Ermeneutica e filosofia trascendentale in Wittgenstein, Heidegger, Gadamer, Apel, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Pellegrini, Cosenza, 2006, soprattutto cap. 1, pp. 45 e sgg., cap. 4, pp. 217 e sgg. 5 Cfr. M. Borrelli, «The Utopianisation of Critique: the Tension between Education Conceived as a Utopian Concept and as one Grounded in Empirical Reality», in Conformism and Critique in Liberal Society, Journal of Philosophy of Education, cit., pp. 122-134. 6 La fondazione della pedagogia (come scienza) premette la dialettica o complementarità tra esperienze/conoscenze empiriche (o metodiche) ed esperienze/conoscenze extrametodiche. A monte di questa dialettica, bisogna però porre l’inaggirabile prestruttura di un comprendere e spiegare sempre già precostituiti, ma non per questo indiscutibili o ininterrogabili. Nondimeno ogni discussione e interrogazione, ovviamente, avviene (nel senso di Gadamer) nel linguaggio, heideggerianamente all’interno di una prestruttura che a 26 • QUALEDUCAZIONE sua volta precede ogni nostro tentativo di articolazione. Il circolo vizioso può essere “oltrepassato” nel senso di una semantica riflessiva, apelianamente, come riflessione “controfattuale” in cui le convenzioni (semiotiche) di comprensione realstrategica sono riferite al contempo a condizioni (semiotiche) ideali di ricerca del senso (nel nostro caso: del senso pedagogico). Questo approccio trascendental-discorsivo, nell’ottica di una pedagogia come ontologia dialettica della società, è da me ritenuto un punto di riferimento non solo formale, ma anche sostanziale per ogni riflessione sulla fondazione della pedagogia, sia essa riferita alla teoria sia essa riferita alla prassi. 7 M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, cit, «Terza lettera: L’etica del discorso», pp. 87-108. 8 Cfr. M. Borrelli, «Aporetik als Grundform moralischer und ethischer Diskurse», in D. Benner (Hrsg.), Bildungsstandards. Instrumente zur Qualitätssicherung im Bildungswesen. Chancen und Grenzen, Beispiele und Perspektiven, Paderborn: Verlag Ferdinand Schöningh, 2007, pp. 157-168. 9 K.-O. Apel, Cambiamento di paradigma. La ricostruzione trascendentalermeneutica della filosofia moderna, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 2005. 10 M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, cit., «Quinta lettera: Il problema della verità e il rapporto con l’etica (verità come idea regolativa)», pp.125-134. 11 M. Borrelli, «La pragmatica trascendentale e la complementarità delle metodologie», in K.-O. Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, a cura, traduzione e presentazione di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 2004, pp. 17-37. 12 M. Borrelli, Lettere a Kant. La trasformazione apeliana dell’etica kantiana, cit., «Seconda lettera: La fondazione trascendentalpragmatica delle scienze sociali e dell’ermeneutica», pp. 53-84. 13 M. Borrelli, «L’aporetica come struttura di fondo dell’etica del discorso? Oltre la detrascendentalizzazione di Habermas e Wellmer», in Filosofia trascendentalpragmatica – Transzendentalpragmatische Philosophie - Scritti in onore di Karl-Otto Apel per il suo 85° compleanno, a cura di M.Borrelli/ M.Kettner, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007, pp. 51-64. 14 M. Borrelli, «La svolta ermeneutica in filosofia nel pensiero di Karl-Otto Apel», in topologik, n. 4, Collana di Studi Internazionali di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, a cura di M. Borrelli/F.Caputo, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008, pp. 12-21. 15 Cfr. M. Borrelli, «La filosofia trascendentale dell’intersoggettività. Cenni introduttivi al discorso filosofico di Karl-Otto Apel», in Quaderni Interdisciplinari. Metodologia delle scienze sociali, vol. 1, a cura di M. Borrelli, Cosenza: Pellegrini, 1998, pp. 9-23. 16 Cfr. M. Borrelli, «Ethique et émancipation chez Karl-Otto Apel», in M. Charmillot, C. Dayer, M. Schurmans (direction de) Connaissance et émancipation. Dualismes, tensions, politique, “Logiques Sociales” - Série Sociologie de la connaissance, dirigée par Francis Farrugia, Paris: Harmattan, 2008, pp. 59-80 (uscito anche in topologik, n.2, Collana di Studi Internazionali di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, a cura di M.Borrelli/F.Caputo, Cosenza: Pellegrini Editore, 2007, pp. 29-46). 17 Si veda, a questo proposito, M. Borrelli, Ermeneutica trascendentale e fondazione ultima di fi- losofia e scienza. Introduzione al pensiero di KarlOtto Apel, Cosenza: Pellegrini Editore, 2008. 18 M. Borrelli, «L’etica del discorso e i suoi presupposti emancipativi», in K.-O. Apel, Lezioni di Aachen e altri scritti, cit., pp. 39-64. Cfr. anche M. Borrelli, Lettere a Kant, cit. “…Apel parla di interesse strategico perché siamo sempre e comunque situati all’interno di costrizioni dovute a contingenze che determinano le nostre scelte, le nostre decisioni, i nostri ruoli, ma ognuno di noi possiede anche responsabilità verso tutti gli esseri umani, verso l’umanità nel suo insieme (si tratta in questo caso, e non c’è nulla da aggiungere o da spiegare, di responsabilità non per i miei interessi privati o di quelli della mia comunità, ma di corresponsabilità etica globale o planetaria)”. «Prima lettera: La trasformazione trascendentalpragmatica della filosofia kantiana», p. 48. ACTA PAEDAGOGICA Collana diretta da Giuseppe Serio 1 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA PACE. UN PROGETTO PER LA SCUOLA DEGLI ANNI ’80. (1981) Roma, Città nuova (esaurito) 2 – aa.vv. I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITA GIOVANILE E NELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO. A cura di Filomena Serio. (1983) 272 p. £. 25.000 (esaurito) 3 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA. A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio. (1984) 219 p. £. 22.000 (esaurito) 4 – aa.vv. I DIRITTI UMANI. PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1986) 291 p. £. 25.000 (10 copie) 5 – aa.vv. EDUCAZIONE E DEMOCRAZIA TRA CRISI E INNOVAZIONE. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1988) 192 p. £. 25.000 (30 copie) 6 – aa.vv. DOVE VA LA SCIENZA? EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZA E ALLA RESPONSABILITÀ. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1990) 236 p. £. 25.000 (200 copie) 7 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA SALUTE TRA PREVENZIONE E ORIENTAMENTO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 184 p. £. 20.000 (esaurito) 8 – aa.vv. EDUCAZIONE AL LAVORO NELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90. A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito) 9 – aa.vv. POPOLI CULTURE STATI A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie) 10 – aa.vv. L’UOMO NOMADE. UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPO A cura di A. Pieretti (90 copie) 11 – aa.vv. LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIO A cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p. £. 40.000 (poche copie) 12 – aa.vv. PEDAGOGIA ITALIANA ED EUROPEA per la giustizia, la pace, il diritto dei Popoli alla libertà (in corso di stampa) 13 – aa.vv. PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARE Saggi in onore di Giuseppe Serio A cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00 QUALEDUCAZIONE • 27 Ricerca ed innovazione educativa e didattica rubrica diretta da FRANCO BLEZZA con la collaborazione di Antonia Rosetto Ajello È noto come il territorio sia oggi frontiera essenziale per l’educazione, come costituisca per essa sempre più una sfida ad individuare strategie e strumenti nuovi ed efficaci che la mettano in condizione di elaborare risposte significative ai problemi che da ogni parte ci sollecitano, riscattandola dalla subordinazione a quell’agenzia educativa che nell’immaginario (più che nella realtà) conserva un ruolo di netta priorità: la scuola. La pedagogia è chiamata ormai da decenni a confrontarsi con questa sfida: ne possiede molti degli strumenti concettuali, sa ben utilizzare le indicazioni che provengono da un gran numero di scienze “sorelle” (psicologia, sociologia, antropologia, filosofia, didattica ecc.). Tuttavia sembra ancora spesso faticare ad elaborare un proprio specifico, che tuttavia risulta essenziale, come da anni si dice in questa rubrica ed è ferma convinzione dei curatori di questo numero, che possa fornire agli educatori e ai pedagogisti la cornice di senso e la forza identitaria per ben operare in una corretta relazione con altri professionisti. Questo specifico viene costruito nel dialogo tra la teoria e la prassi, nel confronto tra i costrutti teorici e l’azione educativa. È noto come proprio dallo sforzo di ricerca e di pensiero che nasce dal confronto con la prassi emerga poi il materiale per ulteriori approfondimenti, chiarificazioni, re-interpretazioni, ri-sistemazioni del tessuto teoretico della disciplina e dei temi per essa essenziali: è successo per l’educazione degli adulti, per la pedagogia della marginalità, sta accadendo con la pedagogia del lavoro, probabilmente accadrà anche per l’educazione alla cittadinanza ecc. *** In questo numero si attinge all’esperienza di un percorso di educazione alla cittadinanza attiva che ha puntato a far esperire ai ragazzi di alcune scuole superiori di Messina momenti e consapevolezze di partecipazione, di investimento personale nella relazione con l’altro, di accostamento ai principi e ai valori dell’azione volontaria e dell’azione politica. Viviamo in una società che spesso sembra valorizzare solo la ricerca del vantaggio personale, a qualunque costo, come unica strada per un maggiore benessere individuale, dato che il bene comune sembra porsi fuori dal nostro raggio di possibilità. In questa superficiale ed implicita promessa, però, è evidente che la società mente perché la frammentazione/frantumazione dei legami sociali, la chiusura entro la propria sfera privata (spesso con l’unica “finestra sul mondo” offerta dalla televisione) aumenta l’insicurezza e svuota di senso la vita. Allora succede che dal territorio, più che entro le istituzioni, nascano momenti di laboratorio, spazi di riflessione che vengono offerti ai ragazzi, tentando anche di allargare alle scuole l’offerta di un’elaborazione, di suggerimenti metodologici per promuovere, insieme alla crescita culturale degli alunni, lo sviluppo del loro senso di appartenenza e di responsabilità rispetto ad una società che ne riconosce il valore, l’importanza, la specificità. L’esperienza che qui si racconta è stata, in particolare, promossa dal Centro Servizi per il Volontariato di Messina ed esposta da Antonia Rosetto Ajello, docente LUMSA di Pedagogia Sociale ed Educazione degli adulti, e che salutiamo come neo-corresponsabile nella cura della Rubrica, nel suo saggio sul tema Giovani, politica e volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un senso per il vivere sociale. Lucrezia Piraino, dottore di ricerca in Metodologia della Filosofia e impegnata nella Filosofia Morale, porta al complementare il discorso con il saggio Alla ricerca del cittadino perduto - Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità. 28 • QUALEDUCAZIONE Giovani, politica e volontariato: un percorso educativo alla ricerca di un senso per il vivere sociale di Antonia Rosetto Ajello 1. L’educazione, la partecipazione e la cittadinanza nella società dell’apparire Le nostre democrazie vivono oggi un momento di fermento evolutivo, attraversate da nuove sensibilità e da vecchi timori. I mass media fanno irrompere continuamente nella sfera privata, senza alcuna valida mediazione o riflessione, problemi drammatici, semplificati e spettacolarizzati, difficili da interpretare nella loro complessità che, dunque, sono destinati ad essere percepiti come distanti dalla possibilità di una risposta di ampio respiro, sia individuale che sociale. Spettatori confusi e inerti di una storia sociale che si presenta loro come densa di pericoli e priva di speranze, tutti coloro che non hanno gli strumenti concettuali per collocarsi attivamente nel flusso degli eventi … usano il telecomando, nuova metafora della pseudolibertà del cittadino di oggi. Il telecomando concede l’accesso ad un mondo virtuale e spesso futile, nel quale l’impotenza non è più percepibile e cessa temporaneamente di essere fonte di disagio: se ti va, puoi anche far finta di partecipare … alla trasmissione. Consente di sognare che il mondo sia leggero e colorato e di chiudere gli occhi su una realtà che, anche appena fuori dalla porta di casa, diventa impegnativa, inquietante e talvolta incomprensibile. La televisione fornisce a costo zero modelli di pensiero e di comportamento, attraverso le mode e i tormentoni e, esaltando la paradossalità, aiuta a sentirsi sufficientemente normali; costruisce e propone un linguaggio semplificato e oggetti di desiderio (materiali) immediati ed elementari; canalizza su quelli le energie e aiuta a distogliere l’attenzione dalla sofferenza che ci circonda, e dall’impegno mentale ed etico che essa reclama. Se a questo si aggiungono le crescenti difficoltà e inadeguatezze della formazione scolastica, legate ad una crisi del ruolo di questa istituzione nella società, si comprende come adolescenza e gioventù siano complessivamente diventate età a rischio di spaesamento e di comportamenti disadattivi: distruttivi o autodistruttivi, passivi e gregari o aggressivi. È storicamente recente il riconoscimento formale delle specificità e del ruolo sociale di queste età della vita, cui però non si riesce ancora a far corrispondere lo sviluppo di adeguati spazi di espressione e di partecipazione autentica. Contemporaneamente, il ritrarsi di una parte del mondo adulto, anch’esso spesso confuso e spaesato, dal QUALEDUCAZIONE • 29 proprio ruolo educativo lascia queste generazioni prive di sostegno nel loro processo di crescita sia verso l’autonomia che verso l’integrazione attiva e critica nella cultura e nella società. Questo disagio attira l’attenzione solo nel momento in cui si verificano episodi violenti o particolarmente provocatori, che mettono sotto stress il presunto ordine sociale. Passa invece sotto silenzio la lucida consapevolezza che gli adolescenti hanno dell’inadeguatez za degli adulti, dell’insignificanza delle istituzioni (sperimentata in primo luogo proprio nella vita scolastica) e della politica dei partiti: consapevolezza che spesso si trasforma in cinismo, disillusione e chiusura nella sfera privata. I giovani vedono, ciò che vedono non gli piace e si estraniano. Finiscono col non essere in grado di percepire, come d’altra parte molti adulti, la differenza tra i giochi di potere nei Palazzi e la politica, intesa come progettualità sociale e pubblica, in grado di fornire ai cittadini di tutte le età una cornice di senso, modelli di aggregazione e di risoluzione dei conflitti. Ma il nostro modello di società sta gradualmente cambiando. È sempre vero il detto per cui fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Il distacco dei cittadini dalla politica dei palazzi non significa e non può significare fine della democrazia. La società civile si organizza attraverso la cittadinanza attiva e il volontariato, e riscopre (o tenta di ricostruire) la solidarietà, la responsabilità e la partecipazione. Nascono qui nuove sperimentazioni volte a sconfiggere la coltre spessa che rende difficoltoso l’affermarsi di una politica partecipativa e ad aprire varchi per una de30 • QUALEDUCAZIONE mocrazia sempre più inclusiva, basata sul riconoscimento reciproco e sulla solidarietà tra estranei. Anche l’esperienza dei laboratori promossi e coordinati dal Cesv di Messina fin dal 2003 è il frutto di una collaborazione tra la scuola e il mondo della cittadinanza attiva: loro obiettivo è la costruzione di un processo educativo volto a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica e sociale, a partire dal territorio in cui vivono. Si tratta di formazione al volontariato, nella misura in cui ci si pone nella cornice espressa dalla Carta dei valori del volontariato1, i cui Principi fondanti evidenziano proprio la molteplicità delle forme in cui si realizza l’intreccio tra azione solidale e cittadinanza attiva. Si parla spesso di rendere i giovani protagonisti del loro/nostro presente, di aiutarli ad uscire da una condizione di marginalità cronica, in una società che è stata più volte definita gerontocentrica: ma questo significa anzitutto costruire nuove agorà, luoghi terzi nei quali l’immaginario degli adulti e quello dei giovani, con le loro evidenti differenze, possano incontrarsi e co-fecondarsi per dar vita a nuovo pensiero e nuova azione. Questo comporta, da parte degli adulti, tentare il superamento di alcune delle vecchie forme comunicative alle quali sono stati socializzati, per adottare un approccio autenticamente sperimentale2, aperto al nuovo: comporta anche, da parte dei giovani, lo sforzo di accostarsi a universi simbolici cui non sono avvezzi, tollerando la fatica dell’impegno. 2. Verso un nuovo modello di cittadinanza Oggi la cittadinanza in generale è vista come maggiormente connessa, rispetto al passato, alla responsabilità attiva del soggetto: non più semplicemente legata al mero fatto di esser nato in un luogo o da un “cittadino”, essa è sempre più frutto di una scelta: quella di aderire ad un dato nucleo di valori, promuovendone la vitalità e lo sviluppo. Questo è il risultato della rilevanza che ha oggi la maggiore mobilità sul pianeta, la maggiore possibilità di spostarsi per raggiungere società che non solo riscattino dalla miseria e dal pericolo, ma anche offrano maggiori possibilità di riconoscimento e di espressione delle proprie potenzialità. Ma l’esercizio di questo secondo tipo di cittadinanza, così come delle più ampie cittadinanze europea3 e planetaria4, dipende molto più che nel passato dal possesso, da parte dei singoli, di competenze personali e sociali più mature. Le conquiste fatte in termini di libertà individuale e diritti civili costituiscono la base per ogni autentica scelta etica: bisogna educare nelle giovani generazioni la capacità di conoscere, comprendere, giudicare e scegliere5. La nuova linea del potere oggi corre tra chi è in grado di accedere alla riflessione e alla comprensione critica della propria situazione e dei problemi che coinvolgono la comunità di appartenenza, e chi invece subisce da «utente» le «informazioni» e le decisioni altrui e trascina la propria vita cercando solo nella sfera privata spazi di espressione e di libertà. Costoro si illudono di essere liberi ed invece si trovano in una condizione di schiavitù che non ha pre- cedenti nel passato, perché non è percepibile né in segni fisici (catene o marchi) né in segni sociali (appartenenza a caste e classi sociali). L’emancipazione di costoro, come forma di autentica liberazione, passa dunque attraverso la conquista degli strumenti tipici del pensiero critico e creativo, insieme alle abilità comunicative e dialogiche. Le giovani generazioni sono le più vulnerabili, perché dipendono dagli adulti per l’orientamento nella vita sociale e politica e subiscono pesantemente gli effetti del disorientamento di questi ultimi e della loro resa rispetto al compito di scegliere anche per chi ancora non ha gli strumenti per farlo, aiutando questi ultimi a costruirsi/conquistarsi tali strumenti6. La cultura di massa, in questo senso, disorienta più di quanto non orienti. Sembra, infatti, che vi sia una netta corrispondenza tra i “valori” da essa diffusi e quelli assunti come punto di riferimento da molti giovani che mettono in atto comportamenti distruttivi o autodistruttivi7. Costoro interiorizzano, portandoli alle estreme conseguenze, i modelli consumistico/edonistici in auge: quei modelli che vedono l’uomo di successo come fisicamente prestante, in possesso di determinati status symbol, spesso in grado e soprattutto disposto a utilizzare ogni mezzo per la propria affermazione. Questi giovani seguono pedissequamente i modelli offerti da certa cultura di massa riguardo al tipo di gratificazione da ricercare e le azioni che è legittimo mettere in atto per procurarsela: mal tollerano la frustrazione di divergere per qualche aspetto dal modello “vincente”. Restano maggiormente condizionati da tali modelli quei ragazzi che non QUALEDUCAZIONE • 31 hanno la possibilità di accedere ad esperienze o a chiavi di lettura della realtà diverse e più articolate, perciò coloro che appartengono a nuclei familiari più problematici o meno comunicativamente e culturalmente significativi (indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza) e coloro che appartengono a gruppi di pari deprivati sotto il profilo culturale e semiotico (anche in questo caso si tratta di casi che possono attraversare i diversi ceti). La possibilità di accedere ad esperienze relazionali significative sia con adulti che nel gruppo dei pari è, invece, non solo un importante elemento di prevenzione di numerose forme di disagio e di rafforzamento della personalità, ma anche un fattore importante di crescita personale e sociale8. Da una ricerca condotta da Mario Pollo risulta chiaramente che “i giovani in cui compare un sistema di valori che può essere definito come quello dell’armonia interiore e dell’alterità solidale, in quanto evidenzia la condivisione dei valori dell’eguaglianza, della giustizia sociale, dell’armonia interiore, del rispetto di sé, della libertà di pensiero e di azione, dell’apertura mentale e della tolleranza e la negazione dei valori del potere sociale e della ricchezza materiale, sono quelli più immuni dall’esperienza del disagio e della devianza”9. Un tale sistema di valori e le esperienze in grado di promuoverlo riducono non solo il rischio di aggressività, ma anche “il mal sottile della disforia”10, che, come ricorda Anna Marina Mariani, è una forma di depressione: “il ritiro depressivo di fronte alle scelte decisive”. Come fenomeno sociale invisibile esso non desta allarme, tuttavia è bene tener presente che “la mancan32 • QUALEDUCAZIONE za di desideri e la demotivazione nascono da chiari elementi di cui però non è semplice prevedere le conseguenze a lungo termine, ma siamo certi che positive non saranno”11. E non lo saranno né nello sviluppo della storia personale né sullo sviluppo del ruolo che la persona è chiamata poi a svolgere in quanto cittadino responsabile, in vista di una società più inclusiva e democratica. 3. La progettazione e la partecipazione: in che modo contribuisco a scrivere la storia? Una chiave di lettura importante è, dunque, il legame tra il sistema di valori di riferimento e la percezione della propria soggettività attiva. Nell’esperienza formativa da noi condotta abbiamo riscontrato nella maggioranza dei ragazzi una certa distanza dai valori pubblici ed una decisa enfasi sui valori privati12. Questa nuova generazione ha difficoltà a percepire in che modo la vita comune è legata alla propria vita e viceversa: ciascuno percepisce più la separazione che la comunanza rispetto ai propri simili e questo aumenta sia il senso di impotenza e di insicurezza che le difficoltà di autentica progettazione esistenziale e partecipazione politica. Per comprendere come mai così tanti giovani vivono queste difficoltà (inconsapevolmente, finché non vivono un certo percorso educativo), dobbiamo partire dal modo in cui la nostra società si rapporta al futuro. Un tratto saliente dell’attuale socio-cultura occidentale è l’appiattimento sul presente. Per decenni abbiamo vissuto come se l’umani- tà non avesse futuro, e così facendo abbiamo posto le basi di un perverso meccanismo di «profezia che si autoadempie», logorando le sue effettive possibilità di futuro. In questo senso, più che altro, i giovani, come al solito, sono acutamente consapevoli dell’aria che tira, come emerge dalla già citata ricerca condotta da Mario Pollo13. L’angoscia o l’“insicurezza ansiosa verso il futuro”14 sono senz’altro alla base di un disagio giovanile che solo in alcuni casi viene apertamente manifestato, ma che incide in ogni caso sul benessere e sulla capacità di affrontare le sfide che la crescita pone. Essa si traduce poi in incapacità di elaborare un progetto di vita, cosicché ci si limita a perseguire obiettivi limitati e parziali, senza inserirli in un sogno da realizzare. Anche in questo caso c’è da chiedersi: è un limite di questa generazione o è un limite della nostra società? È possibile che i giovani, ormai resi cinici e privi di speranza nel futuro da ciò che vedono accadere nel mondo, avendo ormai perso la fiducia nella capacità degli adulti di incidere sulla realtà, abbiano acquisito un atteggiamento disilluso nei confronti di un futuro migliore e, per questo motivo, non riescano più ad avere un atteggiamento progettuale? Per pensare progettualmente il proprio futuro occorre avere fiducia nel fatto che esso possa essere migliore e che questo possa anche essere frutto della mia azione personale. Se, al contrario, vedo il futuro come una realtà al di fuori del mio raggio di azione, nelle mani di forze centrifughe (egoistiche) e incontrollabili (anche per effetto della delegittimazione dei sistemi sociali e politici di regole), all’interno di quale cornice di riferimento e di quale immagine ipotizzabile di realtà posso progettare? I giovani, in questo caso, avrebbero introiettato fin troppo bene la globalizzazione e i suoi miti, e questo può essere considerato un ulteriore fattore di disagio, che attraversa tutte le classi sociali. Non il loro non averla capita, ma il loro averla compresa fino in fondo, considerandola, come si vuole che la considerino, un destino: un destino che schiaccia la singolarità e la rende banale, a meno che non riesca ad essere in qualche modo eccessiva. Coerentemente, essi ritengono ancora (tranne nei casi più gravi) di potere progettare nella sfera privata: si assiste infatti ad un loro ripiegamento sulla famiglia e sulla ricerca di un lavoro che dia sicurezza15. Certo, sanno che anche nella sfera privata il futuro è ben lungi dall’essere certo, ma in questo ambito ancora osano tentare di perseguire intenzionalmente qualche obiettivo. Quando il loro pensiero si volge alla società manifestano invece la convinzione che, per quanto abbiano in mente come la vorrebbero, e siano in questo ben più pratici delle generazioni precedenti, la realizzazione delle loro idee sia al di fuori del loro raggio di azione. Nella ricerca condotta da Mario Pollo la maggioranza dei giovani risulta convinta che in futuro la società italiana sarà peggiore di quella attuale, soprattutto per quanto riguarda la solidarietà, la libertà, la giustizia e il benessere16. Anche questa potrebbe diventare una profezia che si autoadempie. Ma perché pensano di non poter fare nulla? Perché non hanno fiducia nella politica e credono che l’economia abbia in realtà molto maggiore potere: e quest’ultima è caratterizzata dal prevaQUALEDUCAZIONE • 33 lere degli interessi dei singoli su quelli della collettività. Hanno cioè una visione chiarissima dei tratti specifici della globalizzazione ma non hanno gli strumenti per leggerla come un processo (e non come un destino), un modo di gestire il potere e le relazioni che può essere modificato. Ciò che turba di più è il loro senso di impotenza, che dovrebbe portarci a considerare come la nostra civiltà stia rischiando di neutralizzare la spinta innovativa che può venire dei giovani, ma contemporaneamente anche la capacità di pensiero e di azione di coloro che domani dovrebbero governare il mondo17. Anche nel corso dei laboratori sulla cittadinanza attiva condotti a Messina18 sono emersi - insieme alla confusione sui valori, alla mancanza di coordinate di riferimento per distinguere tra valori pubblici e valori privati e all’assenza diffusa di riferimento a valori pubblici - la difficoltà a comprendere la portata politica di alcuni comportamenti, l’atteggiamento cinico nei confronti del cambiamento, la visione stereotipata del volontariato, la ripulsa o l’indifferenza nei confronti della politica, lo sguardo pieno di cinica compassione nei confronti di queste formatrici che parlavano con sguardo luminoso di volontariato e cittadinanza attiva. Poi è emersa la causa di questi atteggiamenti. Sentono parlare di queste cose anche a scuola, ma non hanno corrispondenza con nessuna loro esperienza di vita. La partecipazione è una parola. Una studentessa ci ha detto: «È una parola che gli insegnanti usano quando vogliono che facciamo quello che ci dicono». Cioè è una parola usata, spesso in buona fede, da insegnanti che però poi 34 • QUALEDUCAZIONE la neutralizzano conducendo il gioco in maniera unidirezionale. Guai, in questi casi a confondere le parole con le cose! Non si può insegnare la partecipazione con metodi tradizionali/direttivi. I giovani confondono spesso partecipazione ed informazione: e questo è ancora più grave se pensiamo che rispetto al mondo dell’informazione hanno un ruolo di meri «fruitori», che alla fine produce in loro indifferenza e assuefazione. Questi giovani sono indubbiamente diversi da quelli del passato – gli insegnanti lo dicono sempre – ma sono senz’altro molto intelligenti e hanno ben chiara la realtà in cui vivono. È quella realtà che non riesce a proporre loro nuovi modi di conoscere di entrare in relazione. È in atto un processo di adultizzazione precoce dei bambini e dei ragazzi, dovuto anche all’influenza dei mass media: fa parte di questo processo anche un cinismo precoce? una precoce disillusione? Pare che ancora più negativa sia la visione dei giovani riguardo al futuro dell’umanità. Pensano inevitabile lo scoppio di una nuova guerra mondiale, irrisolvibile il problema della fame nel mondo …19 Come dargli torto? Si moltiplicano le forze apparentemente fuori controllo, da quelle globali a quelle che agiscono nel campo dell’ingegneria genetica, destinate a modificare l’umanità in un modo inconcepibile e non preordinato. Pare che la progettualità sia caduta in disuso soprattutto laddove sarebbe più importante. La politica non è vista semplicemente come sporca, come superficialmente potrebbe apparire, essa è considerata ancora più drammaticamente inutile20. Come possiamo poi credibilmente parlar loro di progettazione esistenziale, di progettazione sociale? Noi adulti spesso non abbiamo un progetto per loro, in molti casi non abbiamo un progetto per noi stessi e nella stragrande maggioranza dei casi ostentiamo indifferenza e impotenza nei confronti del futuro dell’umanità. Non siamo in grado di testimoniare il prenderci cura e vorremmo che loro lo facessero. Ci stupiamo che siano concentrati solo sul presente, che siano convinti che l’unica cosa di fare sia acchiappare qui e ora tutto ciò che possono. Non sono loro che lo pensano «per loro natura», è tutta la civiltà che gli abbiamo messo a disposizione che glielo urla costantemente. Per riuscire a promuovere un’educazione all’impegno, alla speranza, al futuro, occorre assumere da subito comportamenti credibili, mostrare coi fatti che un altro mondo e un altro futuro sono realmente possibili, anzi, sono in costruzione. Il primo sforzo dobbiamo farlo su noi stessi, in quanto adulti e in quanto educatori. Solo se ci interroghiamo su noi stessi, sulla nostra visione del mondo e delle relazioni, possiamo continuare a crescere e dare qualcosa ai nostri giovani interlocutori. Naturalmente questo non significa confondere i ruoli. La corretta distanza è legata anche alla diversa responsabilità nel processo. Sbagliato è dunque, l’atteggiamento di quegli adulti/educatori che, nell’illusione di poter così parlare meglio ai giovani, cercano di annullare o negare la distanza generazionale. Questa distanza esiste ed è chiaramente percepita dal ragazzo che, nel caso in cui l’adulto operi maldestramente per neutralizzarla, percepisce solo l’incapacità di quest’ultimo di agirla correttamente. Al contrario, essa è il veicolo attraverso cui può realizzarsi anche l’educazione intergenerazionale e in molte civiltà essa è simbolizzata e ritualizzata, proprio per essere meglio gestita: garantisce la continuità e apre spazi al cambiamento. L’annullamento delle differenze invece fa venir meno le regole entro cui tale cambiamento dovrebbe verificarsi e crea confusione e conflitti pericolosi (soprattutto perché disorientanti). I conflitti agiti all’interno di una chiara distanza generazionale costituiscono una componente naturale ed inevitabile della dinamica evolutiva di una società: è giusto che gli adulti si facciano mettere in discussione dai giovani, così come essi non devono astenersi dal mettere in discussione le opinioni e le convinzioni dei giovani, quando questo è importante. Gli adulti che non vivono il conflitto con i propri figli o educandi (e vanno incontro a tutte le loro richieste o li “lasciano liberi”) abdicano al loro compito, violano per primi le regole del gioco e dello scambio entro cui solo si può realizzare la crescita dei giovani verso la libertà e l’autonomia È piuttosto lo spazio del conflitto e del confronto che si configura anche come spazio della comunicazione e della creazione, in un momento in cui tutti abbiamo bisogno di apprendere nuove forme di convivenza, che rispondano alle esigenze di una società che non ha precedenti nella storia umana21. 4. L’esperienza dei laboratori “cittadini si diventa” a Messina Narriamo ora brevemente le tappe salienti dell’esperienza condotta a MesQUALEDUCAZIONE • 35 sina. Il primo incontro con gli insegnanti delle scuole interessate al progetto e con molti operatori sociali si è svolto a fine Gennaio 2006 e in quell’occasione è stata elaborata una proposta di intervento che prendeva le mosse da una ricerca condotta dal Cesv negli anni passati sui bisogni di partecipazione dei ragazzi messinesi. Divisi in gruppi abbiamo preso in esame alcuni nodi problematici della promozione dell’educazione alla cittadinanza, alla solidarietà, alla responsabilità sociale. Erano i punti che sono stati discussi nei paragrafi precedenti. I dati incoraggianti emersi dalla ricerca erano la fiducia espressa dai ragazzi nei confronti di alcune istituzioni (a fronte di una sfiducia generalizzata nelle altre): il volontariato, la chiesa, le forze dell’ordine. Pur restringendo l’ambito della propria partecipazione alla cerchia amicale, è emerso che essi considerano però la scuola un significativo luogo di appartenenza. In quell’occasione ci chiedevamo: siamo di fronte a giovani iper-realisti o privi di orizzonti di riferimento? Sono i nuovi conservatori o sono spaesati? A volergli proporre un cambiamento, dicevamo, occorre essere molto credibili e coerenti, altrimenti rischiamo di bruciare un’altra opportunità. Questa criticità è emersa tutte le volte in cui le scuole hanno solo aperto le proprie porte ai laboratori senza coinvolgersi in alcun altro modo nel processo educativo in atto: i laboratori in quei casi sono stati molto graditi ma hanno avuto un carattere del tutto episodico. Soddisfazioni molto diverse hanno provato i ragazzi che hanno potuto vivere questa esperienza in continuità 36 • QUALEDUCAZIONE con altre affini o che avevano sviluppato nella pratica scolastica quotidiana l’abitudine all’analisi e alla riflessione22. Ci siamo detti in quel primo incontro come un modo importante per vincere l’incertezza sia far loro sperimentare una libertà responsabile, aiutandoli nel contempo a tessere reti, creare legami, costruire fiducia; metterli in condizione di cogliere e sperimentare il nesso che c’è tra le proprie azioni e la qualità delle relazioni nel loro mondo-della-vita: sia per quanto riguarda la responsabilità sociale – collegata al ben-essere proprio ma soprattutto a quello dei soggetti più deboli – che per quanto riguarda la legalità, intesa non come difesa del bene privato, ma come tutela di una normativa comune, condivisa, a protezione di membri della comunità – a partire dai più deboli. Abbiamo perciò definito il nostro compito formativo, che consisteva esattamente nel lavorare con i giovani per promuovere questo genere di esperienza, di percorso formativo, in grado di farli sperimentare in situazioni democratiche e partecipate23, in modo anche da aiutarli a costruire modelli comportamentali e chiavi interpretative dei fenomeni utilizzabili nell’agorà sociale. Per garantire continuità abbiamo fin da subito programmato un incontro di restituzione con gli insegnanti a fine percorso, per fare un bilancio dell’esperienza. L’incontro si è puntualmente realizzato il 15 dicembre 2006, anche se non con la partecipazione che auspicavamo da parte dei docenti delle scuole che hanno aderito all’iniziativa. I risultati sono stati discussi con i presenti e le conclusioni e le proposte sono state condivise con convinzione da tutti. Nel corso dei laboratori abbiamo la- vorato sui temi concordati, attraverso giochi e attività che potessero costituire lo sfondo esperienziale comune su cui innestare la riflessione. I ragazzi hanno apprezzato molto la dimensione ludica anche se non in tutti i casi sono stati capaci di mettersi veramente in gioco. Nei gruppi abbiamo riscontrato tutta la gamma di comportamenti che sono prevedibili in questi casi. Più motivati coloro per cui l’esperienza si inseriva in un loro percorso già avviato a livello personale o come classe; spesso passivi, superficiali o perfino provocatori altri, cui questa esperienza era stata offerta e che l’avevano colta non tanto come occasione di crescita e di confronto quanto come occasione per mettere insieme qualche credito o evitare qualche lezione. Più tranquilli gli studenti del liceo (più tranquilli, anche se non per questo più partecipi), più “turbolenti” gli studenti dei tecnici. Consideriamo un successo tutte le volte che siamo riuscite ad accrescere la consapevolezza di chi era già predisposto e tutte le volte che siamo riuscite ad attirare l’attenzione e a suscitare la discussione (pertinente) di chi era impegnato ad ignorarci. A volte abbiamo anche dovuto provocare, per attirare l’attenzione, rilanciare le sfide, ma da quello sono nate anche discussioni che forse hanno lasciato un segno. Forse. I punti su cui abbiamo insistito di più in questi laboratori sono stati: 1. La conoscenza di sé e del proprio modo di entrare in relazione con l’altro (riflessività). 2. La riflessione sulle forme di oppressione che spesso viviamo, anche quelle nascoste nel rapporto con gli amici, quelle che nascono semplicemente da una distorsione nella relazione e nella comunicazione che noi non percepiamo; ma anche la riflessione sul nostro modo di viverle. 3. La relazione di aiuto come relazione di condivisione, nella quale chi aiuta e chi è aiutato mettono in comune la loro umanità e insieme cercano di ridurre un disagio che ferisce la società nel suo complesso. In altre parole abbiamo cercato di smontare la visione buonista e semplicistica del volontariato, come aiuto unidirezionale, per sostituirla con una visione più ricca e realistica: il volontariato come cittadinanza attiva, come azione che aiuta tutti i protagonisti e aiuta a costruire una società dove vivere è più bello e più agevole per tutti. Negli anni successivi abbiamo approfondito il metodo, coinvolgendo sempre gli insegnanti nei momenti dell’ideazione e della valutazione, con risultati che hanno seguito l’andamento descritto. Solo, nel 2008 abbiamo introdotto come novità la presenza attiva all’interno dei laboratori di volontari delle associazioni messinesi che hanno offerto la loro disponibilità. L’intento è stato quello di dare concretezza alla figura del volontario, come del semplice cittadino che “adempiuti i propri doveri”, sceglie di mettere a disposizione della collettività il suo tempo, il suo lavoro, la sua creatività. Anche in questo caso i risultati sono stati complessivamente positivi, anche se hanno sollevato il problema di formare i volontari alla comunicazione con i giovani: tale problema non si pone naturalmente con le associazioni che hanno il lavoro con i giovani tra i loro obiettivi di fondo, ma è rilevante negli altri QUALEDUCAZIONE • 37 casi, anche perché riguarda tout court la capacità delle associazioni di diventare realtà capaci non solo di attrarre i giovani, ma anche di essere per loro luoghi in cui vale la pena di spendere parte della propria vita. Anche in questo caso occorre spesso spostarsi da una visione adulto-centrica per dare effettivamente spazio ai giovani e all’espressione della loro diversità. 5. Analisi dei risultati e delle criticità Comincerei con alcune osservazioni sui risultati più positivi raggiunti dal nostro intervento, così come sono emersi anche dalla valutazione da parte dei ragazzi. In primo luogo porrei la complessificazione del loro modo di intendere il volontariato, non più come un’azione unidirezionale di supporto a favore dei soggetti più svantaggiati, in fondo considerati senza speranza di autonomia. Questo è un aspetto importante dell’azione volontaria, ma non l’unico. Se è vero che bisogna saper supportare chi non può, in alcun modo, vivere degnamente senza la solidarietà degli altri e senza il sostegno della comunità, è anche vero che la vita di ciascuno di noi e la vita della comunità di cui facciamo parte nel suo complesso richiede che ciascuno sappia investire generosamente in esse una parte del proprio tempo, della propria intelligenza, del proprio cuore e della propria creatività. In fondo è il ragionamento che troviamo alla base del concetto di capitale sociale ed è anche il fondamento della relazione tra pedagogia e politica che alcuni autori considerano essenziale all’at38 • QUALEDUCAZIONE tuazione effettiva del sistema di integrazione socio-sanitario previsto dalla nuova normativa24. Un altro risultato positivo piuttosto generalizzato è stato il fatto che molti sono stati i ragazzi che hanno preso consapevolezza dell’inadeguatezza di modalità comportamentali che precedentemente davano per scontate. Hanno messo in discussione alcuni stereotipi e hanno vissuto alcune situazioni dalla parte del soggetto in difficoltà. Si è trattato, dunque, di un ampliamento della propria esperienza di sé e della relazione con l’altro, di un modo di sperimentarsi come soggetti attivi o passivi, di prendere coscienza di alcune proprie emozioni ecc. Hanno avuto anche l’opportunità di valutare, sia pure nell’ambito di un’esperienza di poche ore, come alcuni valori cui inizialmente non avevano pensato, fossero in realtà per loro e per i loro compagni più preziosi di altri, che certamente erano più inerenti la loro sfera privata/amicale, ma diventavano insufficienti se considerati senza prendere in considerazione gli altri: ad esempio, l’amicizia o la famiglia senza la libertà o la solidarietà o la giustizia ecc. (senza le quali è ben difficile che esse possano essere tutelate e vissute adeguatamente). Per molti dei ragazzi coinvolti, questi laboratori sono stati semplicemente un’occasione per riflettere su aspetti di sé o della vita sociale su cui non avevano mai riflettuto. Quasi tutti hanno detto di aver apprezzato molto questa opportunità. Naturalmente in cinque o sette incontri non era possibile operare efficacemente il passaggio dall’abitudine alla fruizione passiva della lezione (cui tutt’al più si “reagisce” distraendosi, facendo confusione o facendosi i fatti propri) alla condivisione dell’attività di lavoro e di ricerca. Qualche gruppo, dunque, ha partecipato parzialmente, pur non disdegnando completamente le tematiche o le attività: la tendenza al chiasso improduttivo (presente solo in un caso), o la difficoltà di attenzione è stata forse legata ad una consolidata incapacità di autodisciplina, o alla desuetudine a cogliere il nesso tra le loro modalità di partecipazione e la riuscita dell’attività di apprendimento. Qualche altro gruppo ha disciplinatamente partecipato alle attività, pur mantenendo la maggior parte dei suoi membri un discreto livello di scetticismo rispetto al contenuto cui facevano riferimento. Questo scetticismo era l’altra faccia della loro sfiducia nei confronti della politica, nei confronti della possibilità di una effettiva partecipazione alle scelte che li riguardano. Evidentemente mancava anche la possibilità di trovare una corrispondenza tra quanto proposto e il resto della loro esperienza “pubblica”. E talvolta non era solo sfiducia nei confronti del loro contesto di appartenenza attuale (la scuola, la città, il villaggio ecc.), ma una sorta di mancanza di speranza tout court. Questi ragazzi, però, sollecitati ad autovalutare la propria partecipazione ai laboratori, sono stati in grado di rilevarne la sostanziale modestia e anche di cogliere il nesso tra la loro scarsa partecipazione e la scarsa soddisfazione che avevano tratto dall’esperienza. Nelle relazioni umane, infatti, riceve di più chi è disposto a dare, e a rischiare, di più: la loro eccessiva e prematura prudenza è una colpa che grava sulle spalle di noi adulti. Occorre allora farli passare dalla sfe- ra dei valori “privati” a quella dei valori “pubblici”, e far nascere in loro la passione per il “prendersi cura” di sé, degli altri e dei beni comuni: e questo è possibile farlo solo attrezzandoli nell’arte del confronto e del dialogo, creando occasioni di confronto strutturato e semistrutturato tra di loro e con altri gruppi. Come educare al dialogo e alla partecipazione democratica se prendono in considerazione solo gli stretti appartenenti al proprio gruppo al punto da far fallire, come è accaduto, alcuni giochi senza riuscire a trarne soddisfazione perché “non hanno pensato” alla possibilità di “mettere in comune le proprie risorse” con ragazzi appartenenti a diversi “gruppi classe”? Questo avvalora la convinzione che un intervento educativo che voglia essere autenticamente efficace non può più limitarsi ad avere come luogo di azione l’istituzione scolastica (che pure va sostenuta)25. Vanno sviluppate le occasioni in cui far crescere la speranza dei ragazzi, facendo loro sperimentare il successo nelle situazioni comunitarie, aumentando il loro senso di potere rispetto alla possibilità di intervenire per migliorare le condizioni problematiche, ampliando la loro capacità di incidere e di partecipare effettivamente a processi decisionali26. Questo è il motivo per cui nel progettare la prosecuzione di queste attività abbiamo deciso di “investire” su un maggiore rapporto con le istituzioni e di lavorare più sui territori, facendo incontrare giovani appartenenti a scuole e a gruppi giovanili diversi, per promuovere interventi che favoriscano la partecipazione dei giovani alla definizione e all’attuazione dell’agenda delle Politiche giovanili. Contemporaneamente, abbiamo pensato che sia giunQUALEDUCAZIONE • 39 to il momento di lavorare sulle abilità sociali e politiche dei nostri giovani attraverso un loro lavoro di ricerca-intervento sul territorio. Questo comporta la necessità di perseguire una molteplicità di obiettivi che sono in parte educativi e in parte anche squisitamente didattici. Naturalmente va sviluppata ulteriormente la riflessività: è importante comprendere chi siamo per riuscire anche ad immaginare che ruolo possiamo avere in una costruzione attiva della nostra relazione con l’altro. Esperienza e riflessione, è stato il nostro schema di lavoro, ma, se la prima è apparsa spesso piuttosto “monocolore”, riguardo alla seconda è risultato evidente che nella maggior parte dei casi mancava l’esercizio. Sono più abituati ad ascoltare che a rielaborare e a riflettere. La riflessione può essere invece sviluppata in molti modi: attraverso la discussione, il confronto su problemi aperti; o attraverso la narrazione, il confronto tra il nostro vissuto e quello degli altri: la letteratura, la filosofia, la poesia, l’arte, il cinema, il teatro, possono costituire strumenti utili in tutti e due i casi. Vivere in un mondo in cui molti aspetti dell’umanità sono iper-spettacolarizzati, in cui le immagini sono offerte in una brutale immediatezza e velocità, gioca senz’altro contro lo sviluppo della comprensione empatica della sofferenza dell’altro e rischia spesso di produrre assuefazione, se non vengono messe in atto altre modalità di elaborazione/espressione dei vissuti e dei sentimenti. La narrazione, narrarsi e familiarizzare con forme narrative orali e scritte, nelle quali lo sfondo non offuschi la 40 • QUALEDUCAZIONE centralità del soggetto con la sua complessità, consente di dar senso alle sensazioni, alle emozioni, di avvicinarsi ai vissuti dell’altro cogliendone analogie e differenze rispetto ai propri, di entrare in contatto con la diversità senza che questa venga inopportunamente confusa con l’incomunicabilità. Occorre ricordare che l’incomunicabilità è dovuta a incapacità (dunque corrisponde ad un’area di sviluppo educativo e co-educativo) e non ad impossibilità. I laboratori di cittadinanza attiva sono luoghi nei quali tali capacità possono essere sviluppate, anche per ricostruire insieme un progetto partecipato, significati condivisi circa la gestione dei beni comuni (siano essi materiali o immateriali). Un altro aspetto su cui abbiamo lavorato è stato il senso delle regole, attraverso il gioco. D’altra parte ogni gioco riesce (“funziona”) solo se si rispettano le regole. Nella nostra società le regole non sono benvolute. Nessuno sembra più voler dettare le regole e nessuno sembra volerle rispettare. Dobbiamo imparare a sospettare di chi ricopre un ruolo di responsabilità e non accetta il rischio e l’impopolarità di far rispettare le regole, perché costui si sta sottraendo al compito di creare le condizioni di sicurezza in cui cresce la libertà, e dobbiamo imparare a ritenere importante la capacità di rispettare le regole, perché queste sono la condizione della libertà, non semplicemente un vincolo ad essa. Occorre però lavorare sulla legalità attraverso la partecipazione. È più facile rispettare le regole se è chiaro quali queste siano, se esse sono condivise e se ne comprende il senso, se è evidente che il loro rispetto è socialmente ap- prezzato. Legalità, rispetto e reciprocità camminano insieme. Nel gruppo più turbolento con cui abbiamo lavorato, i ragazzi più vivaci, naturalmente anche molto intelligenti, ritenevano le regole un legaccio per la loro “libertà”: la libertà di giocare con la vita, il rifiuto di prendere qualcosa sul serio, la critica a noi adulti per il nostro voler contenere la loro “giocosità” («l’importante è che sappiamo scherzare»), il rifiuto di prendere sul serio qualcosa, il gioco omertoso di interrompere con risatine e rumoracci chi invece voleva intervenire nella discussione per esprimere seriamente il proprio punto di vista su quello che si diceva (era come se la norma implicita che si voleva imporre fosse: proibito pensare e collaborare con chi vuole farci pensare). È facile intuire come possa essere difficile anche per gli insegnati far breccia rispetto a questi ragazzi-bambini-adulti. A noi, per esempio, è stato utile mantenere il clima dello scambio tra pari, ma dando loro il «lei», come tra «ricercatori»27, ignorando le proteste proprio del “capo-popolo” che sosteneva: «ma siamo tutti un gruppo di amici!». Questo ostacolava anche il loro tentativo di nascondersi dietro il ruolo di intoccabili, perché piccoli, studenti, giovani da comprendere28. Così come è stato utile anche rispondere ad alcune loro provocazioni alzando il tiro e provocandoli a nostra volta, senza scendere di livello ma destabilizzandoli con un atteggiamento per loro inatteso e più “avanzato” del loro. A quel punto hanno mostrato la propria fragilità e hanno tirato fuori motivazioni per un comportamento socialmente più “moderato”, anche se ancora una volta basato più su consuetudini e stereotipi che non su scelte effettivamente razionali e meditate. Il lavoro avrebbe potuto essere proseguito proprio a partire da quel processo di spaesamento, moltiplicando i punti di vista da cui comprendere la situazione e dunque i punti di analisi per giungere alla fine ad una scelta consapevole di carattere morale29. Ma questo richiedeva, appunto, oltre a tempi più lunghi, anche un clima molto più collaborativo con la scuola che ci ospitava, che invece ha solo offerto questa opportunità (gratuita) ai propri alunni, perdendo l’opportunità di inserirla in un progetto educativo di più ampio respiro, magari autogestito. Ciò che risultava evidente in quel gruppo era che non vi era abitudine al lavoro e, perciò, non vi era senso delle regole: specularmente non vi era, nei ragazzi che volevano partecipare attivamente ai laboratori, la capacità di porre un freno ai disturbatori, di difendere i propri spazi di partecipazione. Su queste cose occorre lavorare quotidianamente, perché è anche attraverso questo lavoro che si previene il “bullismo” e si educa alla cittadinanza responsabile. La mancanza di capacità di rispettare le regole è sempre associata a mancanza di rispetto per se stessi e per gli altri e a volte dipende da una resa degli adulti in tal senso. In queste condizioni prevale la logica del branco ed è molto difficile che si creino le condizioni affinché si realizzi uno scambio efficace dei propri vissuti e delle proprie emozioni: abbiamo già detto che la regola implicita è proibito pensare ed è anche proibito aprirsi all’altro, per quella sorta di ritrosia che vige in certe subculture e che è una combinazione di riserbo, paura e, per l’appunto, omertà. D’altra parte, per aprirsi all’altro, mostrandosi in QUALEDUCAZIONE • 41 tal modo vulnerabili, è necessario che il clima sia reso affidabile da un insieme di regole condivise che garantiscano dal rischio di perdere realmente, profondamente, la nostra identità. Con loro abbiamo lavorato anche su rispetto delle regole e trasgressione. In fondo, anche il loro “disturbatore” dettava loro delle regole, e loro obbedivano: ma lo facevano perché ritenevano che fossero giuste? che fossero quelle che anche loro desideravano? che li aiutassero ad essere come desideravano e a fare ciò che volevano veramente fare? Cosa vuol dire trasgredire? In quel clima e in quella situazione chi trasgrediva e rispetto a quali regole? Con quali finalità? È anche un po’ inquietante che, a fronte di questo genere di comportamento, questi stessi soggetti, che non sanno rispettare le regole della partecipazione, facciano espresso riferimento a valori come disciplina, rispetto, patriottismo, unità della nazione. A dimostrazione del fatto che tutta la loro prepotenza scaturisce in buona parte da insoddisfazione nei confronti delle risposte che ricevono dagli adulti, il brainstorming su forza e potere e il teatro dell’oppresso sono riusciti molto bene: anche la discussione di quella giornata di lavoro è stata molto animata e vi hanno partecipato quasi tutti, anche le pochissime ragazze presenti, generalmente silenziose o al più complici ridanciane degli “scalmanati”. Li ha interessati anche la rielaborazione di alcuni concetti alla luce di quello di relazione. La sensazione è quella di enormi energie sprecate, perché disorientate. I ragazzi di oggi sono forse precocemente adultizzati e smaliziati, sotto alcuni punti di vista: forse molti tendono 42 • QUALEDUCAZIONE a riempire il tempo perchè non sanno come viverlo e si gettano tra gli “amici” perché non sanno stare soli. Sono molto proiettati sulla loro sfera privata (ma è tutta la società che lo è) e talvolta non capiscono cosa c’entra con loro la politica. Se li vogliamo liberi ma cittadini responsabili e partecipativi dobbiamo lavorare su questi punti. È quello che abbiamo pensato di fare nei laboratori finora realizzati e, supportati dagli elementi di valutazione, è la direzione che seguiremo nel proseguimento dell’attività: sperando però in un rafforzamento delle alleanze tra istituzioni e associazioni, in funzione di un accrescimento della significatività pedagogica dei nostri interventi e del rafforzamento complessivo di una legittimazione della partecipazione giovanile da parte della società. NOTE http://www.fivol.it/cartavalori/carta_valori. html 2 Per l’approccio da noi adottato si rinvia all’articolo di Lucrezia Piraino, Alla ricerca del cittadino perduto. 3 J. Habermas, L’Occidente diviso, Laterza, Roma-Bari 2004. 4 E. Balducci, L’uomo planetario, Giunti, Firenze 2005. 5 C. Di Agresti (a cura di), Cittadini del mondo. Educare alla mondialità, Edizioni Studium, Roma, 1999. M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma 2004. 6 A. Polmonari, Gli adolescenti. Né adulti, né bambini alla ricerca della propria identità, Il Mulino, Bologna 2001. 7 F. Blezza, Per un intervento pedagogico-professionale nelle stragi dei week-end, «Qualeducazione», 70, pp. 47-60. 8 P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi difficili. Pedagogia interpretativa e linee di intervento, La Nuova Italia, Firenze 1993. 1 9 M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, Angeli, Milano 2004, p. 104. 10 A.M. Mariani, I giovani-adulti. L’educazione che non c’è più, la formazione che non c’è ancora, Unicopli, Milano 2000, p. 10. 11 Ivi, pp. 10-11. 12 Quando abbiamo chiesto loro di presentarsi facendo riferimento anche ad un valore molti hanno menzionato l’amicizia e la famiglia, con un buon distacco troviamo menzionato l’amore. Libertà, giustizia, pace, solidarietà ecc. sono emersi solo molto di rado nelle autopresentazioni. Sono poi riapparsi dopo la lettura dei primi dodici articoli della nostra Costituzione. Poi, nel gioco dell’asta dei valori questi ultimi sono stati acquistati ai prezzi più alti e dal maggior numero dei soggetti, dimostrando così che essi non sono punti di riferimento costanti solo perché generalmente non sono presenti come significativi nella loro rappresentazione di sé-nelmondo-con-gli-altri. 13 M. Pollo, I labirinti del tempo, Franco Angeli, Milano, 2000. 14 M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, cit., p. 110. 15 cfr. M. Pollo, I labirinti del tempo, cit. Anche questo è in sintonia con il ripiegamento sulla sfera privata da parte del cittadino globale, ed anche con l’invasione della sfera pubblica da parte degli interessi privati che caratterizza la nostra società. 16 Ibidem. 17 “L’immagine che rende bene l’atteggiamento dei giovani verso il futuro sociale è quello dello spettatore disincantato e passivo”, M. Pollo, Manuale di pedagogia sociale, cit., p. 110. 18 Negli anni scolastici 2005-2006, 2006-2007, 2007-2008. 19 cfr. M. Pollo, I labirinti del tempo, cit. 20 Anche qui i giovani hanno semplicemente colto con immediatezza quell’insignificanza della politica, intesa come incapacità di dare risposta alle domande importanti per l’uomo, che Bauman analizza nel suo testo La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. 21 Cfr. F. Blezza, La pedagogia sociale. Che cos’è, di cosa si occupa, quali strumenti impiega, Li- guori, Napoli 2005. Si veda in particolare il par. La democrazia liberale odierna come metodo, pp. 67 segg. 22 Significativa, in tal senso l’esperienza del Liceo Psicopedagogico “Ainis”, le cui studentesse ci hanno ringraziato emozionate dicendo che avevano vissuto nelle esperienze promosse nei laboratori il significato reale delle cose che avevano studiato con la docente di Pedagogia. 23 Uno sperimentare accompagnato costantemente dalla riflessione. 24 R. Franchini, Costruire la comunità-che-cura. Pedagogia e didattica nei servizi di aiuto alla persona, Angeli, Milano, 2001. A. Rosetto Ajello, Dalla piramide al batterio. Pedagogia del lavoro e delle risorse umane per la Pubblica Amministrazione, FrancoAngeli, Milano 2009. 25 cfr. I. Lizzola, Aver cura della vita. L’educazione nella prova: la sofferenza, il congedo, il nuovo inizio, Città Aperta, Enna 2002, p. 43. 26 G. Mazzoli-M. Braida (a cura di), Nuove Gener Azioni. I servizi per i giovani nella provincia di Ferrara: una ricerca con gli studenti della scuola superiore, Provincia di Ferrara, 2000. 27 Naturalmente, ci era utile anche perché, data la brevità del tempo a disposizione, ci aiutava ad evitare i classici atteggiamenti che nelle classi si sviluppano nei confronti delle “supplenti”, che ci avrebbero fatto perdere l’opportunità di stabilire con loro un rapporto significativo. Lo spiazzamento prodotto ci ha dato modo di assumere più facilmente, anche se non sempre proficuamente, una posizione dalla quale potevamo essere noi a proporre le regole di comportamento per le relazioni reciproche, in un clima di giocosità di cui fosse però chiaro il contesto: essa non era finalizzata al passatempo o al mero godimento personale, ma alla ricerca e alla crescita nello scambio. 28 Questo atteggiamento fa parte oggi di quella rivendicazione del «diritto all’accudimento» di cui parla anche Lizzola, Aver cura della vita, cit. p. 41. 29 cfr. M.C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, Carocci, Roma 2006. M. Pellerey, L’agire educativo. La pratica pedagogica tra modernità e post-modernità, LAS, Roma, 1998. QUALEDUCAZIONE • 43 Alla ricerca del cittadino perduto Percorsi ludici di solidarietà, giustizia, legalità di Lucrezia Piraino «La comunicazione con altri non può essere trascendente che come vita pericolosa, come un bel rischio da cogliere». E. Lévinas «La sfera politica sorge direttamente dall’agire-insieme, dal condividere parole e azioni. Così, l’azione non solo è intimamente connessa con la parte del mondo comune a noi tutti, ma è la sola attività che lo costituisce». H. Arendt 1. L’avventura del mondo Che cosa significa oggi, nell’epoca della “solitudine del cittadino globale”1, educare alla cittadinanza? Come riconvertire lo spazio estetico, autoreferenziale e solitario della città postmoderna in uno spazio pubblico, dinamico e partecipato? Come svelare le seduzioni della “città telematica”2, spesso vissuta dai giovani come territorio virtuale in cui la partecipazione alla vita politica è confusa con la passiva fruizione di spettacoli televisivi? Come far loro sperimentare il piacere positivo di creare spazio politico con la sola potenzialità insita nella capacità di agire e di esprimere le loro opinioni pubblicamente – alla maniera degli antichi ateniesi nella loro α̉γορά – se i luoghi che favoriscono quel tipo di apparizione e di discorso che li interessa – cioè che sta tra di loro e costruisce la loro casa comune – sono sempre più ristretti, o addirittura inesistenti? Come creare luoghi concreti in cui le 44 • QUALEDUCAZIONE prassi dialogiche e le abilità comunicative si trasformino in legami significativi, in azioni condivise ed in pratiche di democrazia? Come fare appassionare le giovani generazioni e spingerle a partecipare all’avventura inebriante e pericolosa della fiducia nel mondo, ed a quella travolgente della scoperta, dello stupore, del fascino per la dimensione pubblica, quando troppo spesso il loro «essere-insieme è casuale e fortuito: un esser vicine di monadi, chiuse nelle bolle invisibili, ma inespugnabili, delle loro rispettive realtà virtuali»3 ; e quando la politica strictu sensu è da loro non senza motivo interpretata come una mera gestione di potere? Infine, come si possono educare i giovani alla cittadinanza, alla partecipazione attiva ed alla politica, resistendo alla tentazione dell’indottrinamento ed al pericolo del relativismo radicale?4 Questi e molti altri interrogativi hanno dato l’avvio ed hanno costantemente accompagnato il nostro percorso di ricerca, intrapreso con i ragazzi di dodici scuole diverse, distribuite nel territorio della città di Messina e della sua provincia. Queste e molte altre questioni sono rimaste aperte, irrisolte, e forse volutamente non concluse alla fine del nostro percorso di ricerca. Queste e molte altre domande irrisolte ci hanno fornito un’unica ed inequivocabile certezza, basata sulla forse fin troppo ovvia constatazione che, direbbe Paul Valéry, se «L’uomo, questa avventura./ Non è altro che questo/ […] Ma, in ogni caso è una prova, una scommessa, un tentativo – possibilità, ecc. Avventura»5, allora qualsiasi fenomeno umano, in quanto tale, è mobile, fluido, variabile, ed al contempo inspiegabilmente sfuggente, vitale e potentemente vero, e dunque non può mai fornire né a chi lo vive né tanto meno a chi lo osserva una risposta univoca e trasparente, perché «se la risposta fosse possibile […] la vita non avrebbe ombra»6, aggiungerebbe idealmente il poeta ebreo Edmond Jabès. Spesso, dunque, pur seguendo un canovaccio di attività dalla trama per noi chiara e prestabilita, abbiamo lavorato nelle ombre delle domande, tra i chiaroscuri furtivi dei pensieri e le sfumature colorate dei sentimenti – sia i nostri che quelli dei nostri giovani interlocutori – aperti sempre all’inatteso, immancabilmente pronto a squarciare il suono del silenzio, e costantemente vigili, in attesa di frugare segretamente in quel momento sommamente ambiguo in cui le innumerevoli domande mute si trasformano in comunicazione, e la comunicazione diventa poi gesto politico. Questa, quindi, la iniziale motivazione dei nostri laboratori sull’educazione alla cittadinanza ed al volontariato. Laboratori pensati e concertati al plurale, in un team di lavoro che si è nutrito della passione per la ricerca e dell’amore per i giovani, e che ha tratto da quelle che il filosofo Miguel Benasayag – in un libro scritto a quattro mani con lo psicoanalista Gérard Schmit – ha definito le “passioni gioiose”, la linfa vitale per accogliere questa intricata ma avvincente sfida della educazione dei giovani alla politica, perché «sono queste passioni che dischiudono nuove dimensioni della vita, al di là della nostra piccola vita individuale»7. E sono queste passioni che, circolando in modo virtuoso, riescono a comunicarsi nell’educazione ed a diffondersi nel tessuto sociale, propagandosi al di là delle semplici parole, riuscendo così ad innestare dinamiche di maturazione interiore e di progresso politico. «Si tratta di evitare il cammino della tristezza, quello di un sapere normalizzatore che imprigiona l’altro nella sua etichetta»: in tal modo – continuano Benasayag e Schmit – si può «avviare un lavoro globale di scoperta e di sviluppo di possibilità, di potenze»8. In questo nostro ottimistico e forse troppo fiducioso progetto ci siamo trovati, per un verso, dinanzi alla diffusa difficoltà a discernere tra la enorme quantità di stimoli reiterati, pressanti, complessi e multiformi a cui i giovani sono esposti nella nostra società. Stimoli che li rendono semplici fruitori passivi e meri consumatori della realtà: emblematico di questa situazione è l’impoverimento del loro linguaggio, accompagnato dalla loro incapacità ad uscire dalla loro sfera sentimentale ed emotiva. Per altro verso, abbiamo constatato la crisi delle agenzie educative – la famiglia e la scuola in particolare – che con QUALEDUCAZIONE • 45 fatica riescono a riassorbire, metabolizzare e proporre soluzioni immediate che rispondano efficacemente ai continui cambiamenti della società attuale. Forti dell’idea di come oggi non sia più certamente possibile appellarsi allo schema educativo che vuole nell’educazione civica la soluzione a questi difficili problemi, ci è quindi sembrato opportuno ricomprendere i contenuti – pur imprescindibili – di questa disciplina (che non possono non tenere conto – ad esempio – della nostra Costituzione e della storia della nostra democrazia), per leggerli però in una chiave nuova: con una metodologia attiva e creativa. Soprattutto tenendo conto del fatto che l’educazione alla cittadinanza, oggi, non può che essere orientata «verso un approccio di tipo socioculturale, in cui il cognitivo si costruisce principalmente attraverso la relazione interpersonale»9. L’educazione alla cittadinanza è quindi una esperienza multimensionale e multidisciplinare che tocca integralmente tutti i soggetti in essa coinvolti e li mette in questione sia nella relazione intrapersonale che in quella interpersonale soprattutto in considerazione del fatto che «solo in una visione integrata della formazione della persona, dal punto di vista cognitivo, affettivo e conativo, si può sperare di limitare i rischi, in cui l’educazione civica si trova stretta, di indottrinamento e di relativismo». 2. Il laboratorio: tra educazione civica e pratica politica Nel tentativo di «stringere il nodo, nell’insegnamento, tra dimensione cognitiva e dimensione affettiva»10, ab46 • QUALEDUCAZIONE biamo cercato di attuare un categorico ed importante passaggio dall’educazione civica alla pratica politica. Abbiamo perciò attivato la nostra azione educativa a partire da documenti importanti per la nostra identità politica: i Principi Fondamentali della Costituzione e la Carta dei valori del volontariato, tentando comunque di realizzare la nostra buona prassi democratica in uno spazio delimitato: quello del laboratorio. Il laboratorio ha costituito la nostra piccola α̉γορά, la nostra piccola piazza: un luogo in cui non soltanto si sono messe in gioco le nostre nozioni, ma si sono soprattutto palesati e chiariti i vissuti dei nostri giovani attori politici. In tale territorio straordinario si è finalmente innescata una feconda correlazione tra la dimensione della morale, l’ambito del diritto e la sfera della politica. È infatti fuor di dubbio che «nell’educazione alla cittadinanza, in particolare, pena la sua inefficacia, si deve realizzare una circolarità tra capacità autoriflessiva, autonomia e capacità di fare scelte, senso di responsabilità e azione. Esperienza personale, aspetti morali e dimensione intellettuale sono indivisibili. Tra esperienza e riflessione critica finalizzata alla coscienza morale si crea una dialettica in cui viene integrata la dimensione della decisione e dell’impegno»11. Nell’edificare assieme ai ragazzi questo piccolo cantiere politico, ci siamo più o meno consapevolmente proiettati nelle fragilità delle relazioni giovanili. Ci siamo anche imbattuti nella frustrazione derivante dall’inadeguatezza del nostro linguaggio – molte volte decisamente incapace di corrispondere ai loro problemi –, ma abbiamo anche lottato contro la fiacchezza dei loro cauti silenzi, e, da ultimo, ci siamo trovati ad assorbire il frequente scacco dell’inconciliabilità delle diverse prospettive emerse nelle – spesso animate – discussioni in aula. Ma proprio nell’ottica di misurare i nostri limiti e quelli dei nostri più giovani interlocutori, ci siamo mossi nella convinta necessità di raccogliere il rischio, il tentativo – forse l’azzardo – di riabituarli al pensiero critico ed alla partecipazione attiva alla politica, in modo da ampliare la loro consapevolezza individuale, la loro autonomia personale e la loro dimensione relazionale, intersoggettiva e sociale. Le nostre azioni educative non sono state coltivate nella semplice speranza di ricondurre i giovani a se stessi, quanto, invece, hanno ubbidito alla urgenza per noi stringente di metterli alla prova sul campo ostico e poco pacificato della cultura dei legami: erosi – questi ultimi – dall’individualismo liberale tipico della società occidentale contemporanea, a sua volta irrimediabilmente segnata da una “cultura di separazione”12. Insistono ancora Benasayag e Schmit: «la grande sfida lanciata alla nostra civiltà è quindi quella di promuovere spazi e forme di socializzazione animati dal desiderio, pratiche concrete che riescano ad avere la meglio sugli appetiti individualistici e sulle minacce che ne derivano. Educare alla cultura e alla civiltà significava – e significa ancora – creare legami sociali e legami di pensiero»13. In questo orizzonte concettuale abbiamo tentato di stimolare praticamente nei ragazzi la concreta possibilità di essere tra i personaggi principali delle loro piccole storie individuali, ed abbiamo fatto in modo di pungolare, come il tafano di socratica memoria, il loro orgoglio sociale, troppo spesso intorpidito, anchilosato e privo di domande, perché pieno di risposte prevedibili, collaudate, date per scontate, ed assorbite acriticamente dai loro quotidiani contesti di vita. Più in generale, abbiamo cercato di “spiare” dalla serratura della loro identità, per così dire, “politicamente bloccata”, piena di soluzioni facili e di opinioni preconfezionate, nate già morte a causa delle spinte fagocitanti e dispersive messe in atto nella società attuale, per cercare di aprire le loro finestre interiori, e far passare – prima attraverso gli spifferi, poi attraverso le entrate principali – “il vento del pensiero”14, che dapprima raffredda, producendo il vuoto dai pregiudizi, ma poi riscalda, grazie alla prorompente e discreta compagnia delle idee. Abbiamo sperato e lottato per abituarli ad assumere posizioni critiche e costruttive nei confronti dei diversi contesti in cui si trovano a vivere ed a sperimentarsi, a partire da una rielaborazione dei problemi mai eterodiretta e quanto più possibile personale. Abbiamo tentato di sollecitare in loro quel tipo di collaborazione tra riflessione critica e creativa che il filosofo Mattew Lipman ha definito come “pensiero d’eccellenza”, «un pensiero autocorrettivo, attento al contesto, guidato da criteri, e che perviene a un giudizio»15. In tale contesto ermeneutico e metodologico il laboratorio, la classe, intesi come “comunità di ricerca” che utilizza il pensiero critico e creativo, possono «usare la discussione non soltanto per approfondire riflessioni, ma in una dimensione prettamente politica. La specificità consiste nel servirsi del pensiero critico e creativo maturato nella comunità per affrontare il pluralismo cultuQUALEDUCAZIONE • 47 rale delle nostre società; in questo caso la classe serve da “mediatrice” tra la famiglia e la società, o tra le differenti posizioni politiche, per ridurre le tensioni e giungere a un consenso. In questo senso, essa rappresenta “la dimensione sociale di una pratica democratica”»16. Così, ci siamo trovati spesso dinanzi alla necessità di dover discutere di concetti apparentemente obsoleti e stanchi, ormai destituiti di significato e di portata valoriale (quali, ad esempio le idee di giustizia, di libertà, di solidarietà, di partecipazione e di volontariato), per tentare – attraverso la metodica dei giochi d’aula – di reinventarli dall’inizio e di ricrearne un nuovo significato. Un senso vivo, dinamico, in evoluzione continua, esaminato interiormente e contemporaneamente affrontato in pubblico, in modo da non farlo sprofondare negli abissi melmosi di una capricciosa intimità, perché, sostiene Zygmunt Baumann, «per rendere l’α̉γορά adatta a individui autonomi e a una società autonoma occorre fermare al tempo stesso la sua privatizzazione e la sua politicizzazione. Occorre recuperare l’arte di tradurre il privato in pubblico. Occorre far ripartire (nell’α̉γορά, non nei seminari di filosofia) il discorso interrotto del bene comune, il quale rende l’autonomia individuale non solo realizzabile, ma degna di essere perseguita con ogni sforzo»17. I giochi ci hanno dunque faticosamente restituito non una esperienza ideale di questi concetti, ma – se si potesse dire – una loro “idea esperienziale”, calata nella pratica quotidiana di vita, e concepita per far “pensare in situazione”, per fare trovare i ragazzi in un ambito esterno al loro sé, in un luogo in cui la sfera privata e la dimensio48 • QUALEDUCAZIONE ne pubblica diventano le cifre esteriori, i segni tangibili e concreti deputati a raccogliere un’unica e compiuta tensione politica. Questi primi gesti di conquista della propria sfera individuale e di contestuale maturazione del mondo in comune, armonizzati con esperienze ludiche apparentemente inutili e certamente inusuali, hanno fornito ai più curiosi un pretesto per ricucire relazioni, ed al contempo prepararsi sia fisicamente che mentalmente ad un orizzonte pubblico di discussione, in una disposizione interiore autenticamente relazionale, intersoggettiva, accogliente e sinceramente ospitale verso le diverse opinioni espresse sul terreno comune dell’incontro dialogico con gli altri. 3. Il gioco, metafora del mondo Questo percorso di ricerca si è avvalso quindi anche di pratiche ludiche innovative e forse un po’ provocatorie. Concepite in forma di divertimento, queste attività cercavano proprio di “disvertere”, di volgere altrove l’attenzione dei ragazzi, per distrarli, ovvero trarli fuori dalle loro spesso accartocciate sfere individuali, in modo da ricrearli dall’interno e da metterli così in relazione con gli altri. «È questo il senso del di-vertimento implicato nell’attività ludica: giocando si soggiorna nel mondo mantenendosi nella prossimità di un’originaria beata tensione caratterizzata da un’identità comunicativa»18. Contro il pregiudizio tutto occidentale che vede nel gioco «“la cosa non seria”, “non vincolante”, la momentanea distensione dalla tensione esistenziale, “pausa” e “ricreazione”, passatem- po delle ore di ozio, trastullo e divertita inconseguenza»19, ci è sembrato utile – anche sulla scorta della riflessione ontologica di Eugen Fink – considerare il gioco come una possibilità educativa non predeterminata, aperta a tutte le soluzioni, perché intrinsecamente dischiusa all’umano: «giocando l’uomo non rimane in sé, nel chiuso cerchio dell’intimità della sua anima – egli esce piuttosto estatico da se stesso in un atto cosmico e interpreta il senso di tutto il mondo»20. Ma questo “atto cosmico” non è affatto confinato nelle sfere astratte della metafisica, poiché è un atto reale, anzi, piuttosto, è un atto di reale appropriazione del mondo: «giocare – continua Fink – è un’azione di vita reale dell’uomo reale»21. Vista in tal senso, l’azione del giocare può alimentare la sfera politica, in quanto crea comunità: «il mondo del gioco, lo dice lo stesso Fink, è un “concetto fondamentale; tra i suoi caratteri specifici più rilevanti vi è quello di creare e custodire relazioni: “ogni gioco, anche il gioco ostinato del fanciullo più solitario, ha un orizzonte di coinvolgimento degli altri esseri umani”; esso “è la più forte potenza vincolante, è fondatore di comunità”»22. Ci siamo dunque offerti ai nostri ragazzi nello spazio largo, arioso – e per loro spesso imbarazzante – dei giochi d’aula, in un tempo ed in luogo straordinari, e ci siamo ludicamente impegnati con loro nel Gioco dei quadrati, proposto per abituarli a riflettere sul ruolo dell’interdipendenza e della solidarietà nella costruzione del bene comune e della sfera politica. Abbiamo mercanteggiato la libertà, la legalità, l’amore, la pace, l’ambiente, l’amicizia, l’uguaglianza, la patria, ed anche più di uno scarno e spiazzante “non so” nell’Asta dei valori, costruita in modo tale da farli appassionare e riflettere sin dalle loro “viscere” – direbbe Maria Zambrano – sul concetto di “valore” – altrimenti visto come una fonte di restrizioni e di obbligazioni imposte dall’alto – e sulla sua effettiva ricaduta nelle loro vite. Li abbiamo scossi con il Gioco del cieco e della guida: attività in cui dopo una prima difficoltà di adattamento alla nuova situazione, dettata dal senso di estremo disagio e di tensione dovuto alla dipendenza da altri, hanno dovuto giocoforza imparare a dosare la relazione di aiuto all’insegna della necessità di guardare il mondo con una “mentalità allargata” – suggerirebbe Kant –, cioè aperta a pensare dal punto di vista dell’altro, per costruire con questo altro un comune terreno di incontro, basato sulla fiducia, sul riconoscimento e sulla reciprocità. Ma è soprattutto con il Teatro dell’oppresso che abbiamo avuto le più deludenti e le più entusiasmanti risposte alle nostre intenzionali provocazioni. Indubbiamente, se, in generale, il teatro si nutre «del gioco del vedere e dell’esser visti»23, e «la relazione teatrale […] trova la sua garanzia nella divisione e la distanza tra le parti, ma ha il suo fondamento nella condivisione di un linguaggio»24, in particolare, la pratica di questo metodo sperimentato dal brasiliano Augusto Boal e ripreso da noi nei nostri laboratori, ha avuto la finalità di proporre la possibilità «di utilizzare gli strumenti teatrali per analizzare e trasformare la realtà»25, anche attraverso l’uso di un linguaggio non verbale. Grazie a questo metodo “aperto”, agile, e sempre “in divenire”, per mezzo QUALEDUCAZIONE • 49 del quale si invitavano i nostri riottosi ed inibiti giovani attori a rappresentare plasticamente le loro oppressioni in modo da liberarsene (soprattutto per mezzo delle tecniche del “teatro-immagine” e del “teatro-forum”), si è ricercata la possibilità di una educazione alla pace ed alla nonviolenza a partire dall’assunto che – dice Boal – «la prova dell’azione di liberazione, fatta in scena, chiarifica (a livello razionale ed emotivo) i problemi e stimola ad agire di conseguenza nella vita quotidiana»26. Dunque, forse solo grazie alla creatività propria del gioco, attività apparentemente inutile ma sommamente densa di significato, si può resistere alle spinte desolanti ed infeconde di quello che Nietzsche ha più volte definito “il deserto che avanza”. «Oggi, per essere al servizio della vita» – si aggiunge con Benasayag e Schmit – «è necessario praticare un certo grado di resistenza. Resistere significa anche opporsi e scontrarsi, ma non dimentichiamo che, prima di tutto, resistere è creare»27. E non abbiamo mancato di ricordare che la caparbietà nel resistere, l’urgenza di trasformare la realtà sociale, la capacità di opporsi e di scontrarsi con un potere politico che troppo spesso è stato esercitato come violenza sono state l’anima di quel tipo di creatività politica, alimentata dall’unione paradossale tra lotta e nonviolenza, che con il suo sciopero alla rovescia28 Danilo Dolci ha lasciato come vitale e sincera espressione di «come qualsiasi forma di autentico progresso e l’evoluzione intera non possano prescindere dall’esistenza di interazioni creative opportunamente valorizzate»29. Dunque, nel piccolo dei nostri labo50 • QUALEDUCAZIONE ratori, per mezzo di queste “pratiche ludiche”, apparentemente senza una immediata finalità concreta vista in termini di obiettivi spendibili ed immediatamente vantaggiosi, si è cercato di sollecitare nei ragazzi il bisogno di prendere il proprio posto nei loro diversi contesti di vita e nei loro territori, e si è tentato di stimolarli a spendere creativamente i loro talenti e le loro potenzialità a partire da scelte partecipate, ponderate, libere e responsabili. Tutto questo è stato pensato in armonia con l’idea che essere cittadini è vivere in uno spazio ampio e dinamico, in continua trasformazione. È anche abitare un luogo in cui si ha l’occasione di apprendere un modo di pensare e di agire democratico, in cui i valori sono vissuti, messi in discussione, e trasformati da questa discussione. Educare alla cittadinanza, allora, è educare alla concittadinanza: una dimensione – quest’ultima – «in cui gli interessi di ogni cittadino sono quelli degli altri concittadini»30. Una dimensione in cui il potere non è subito nella sua forma pervertita come la cinica gestione di favori o di posti di lavoro: mentalità comune ormai tra i giovani che spegne la loro fiducia nel cambiamento. A tale proposito, Hannah Arendt, che ha analizzato dettagliatamente i meccanismi perversi della violenza posta al servizio del potere nello stato totalitario, a proposito della necessità di fornire ai suoi contemporanei gli strumenti concettuali con cui ripensare ad un tipo di potere realmente politico, ha affermato che «il potere è realizzato solo dove parole e azioni si sostengono a vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali, dove le parole non sono usate per nascondere le intenzioni ma per rivelare realtà, e i gesti non sono usati per violare e per distruggere, ma per stabilire relazioni e creare nuove realtà»31. Grazie al Gioco della forza, abbiamo imparato, quindi, come il potere, nella cittadinanza attiva, sia agito, e sia anche interpretato come possibilità donata a ciascuno di esprimere le proprie opinioni. Abbiamo visto come esso – fuor di retorica – possa essere una opportunità per cambiare qualcosa nella quotidianità dei propri contesti di vita, laddove può anche essere vissuto come una semplice e stimolante «potenzialità implicita nell’essere-insieme»32, grazie alla quale si «mantiene in vita la sfera pubblica»33, e la si ricrea, rinnovandola sempre di nuovo. La concittadinanza, quindi, coinvolge direttamente la responsabilità del singolo nei confronti dei propri simili, soprattutto a partire da una cultura fondata sulla solidarietà sociale e sulla legalità, e non sulla ricerca di una astratta uguaglianza. È per questi motivi che non abbiamo ragionato con i ragazzi a partire dalle rigide posizioni di un astratto legalismo, ma ci siamo confrontati su problematiche concrete, realmente sentite, e spesso sollecitate proprio da loro. Con loro abbiamo visto La scorciatoia, un cortometraggio di un regista messinese a partire dal quale abbiamo affrontato – ad esempio – la difficile tematica del bullismo, che è stato esaminato alla luce dei loro vissuti e dei loro diversi contesti di vita. Grazie agli spunti offerti dalla visione di questo breve film abbiamo discusso del valore dei legami tra i giovani, oggi sempre più fluidi, più “liquidi” – direbbe Baumann – e sempre più schiacciati e resi fragili dal mito della libertà individuale e dell’autonomia. Abbiamo anche analizzato il valore del tempo, soffermandoci in particolare sulla qualità “piena” del tempo racchiusa nei legami veramente significativi. A tale proposito abbiamo rievocato quella dimensione “calda” dei legami che preludono all’aristotelica philia politichè. Abbiamo ricordato come in Aristotele l’amicizia, che ha come motivo il bene e come aspirazione la virtù, sia una virtù «assolutamente necessaria alla vita»34, soprattutto quando diventa il punto di svolta, il passaggio dall’etica alla politica. Questo genere di philia rappresenta infatti la chiave di accesso ad un tipo di giustizia profondamente umana, che, poiché è coltivata nel rispetto dell’amico, amato dinamicamente nella sua piena simmetria e nella sua totale distanza, contribuisce a creare la comunanza politica: «Sembra poi […] che l’amicizia e la giustizia abbiano i medesimi oggetti e risiedano nella medesime persone. Infatti, si ritiene comunemente che in ogni comunità ci sia una forma di giustizia, ma anche di amicizia; certo è che si attribuisce il nome di amici ai compagni di navigazione e ai compagni d’arme, e parimenti anche a quelli che si trovano in tutti gli altri tipi di comunità. Quanto (più) si estende il rapporto comunitario, altrettanto si estende l’amicizia, giacché tanto si estende anche la giustizia. E il proverbio “le cose degli amici sono comuni” ha ragione, perché l’amicizia consiste in una comunanza»35. 4. Il volontariato e la sfida della cittadinanza attiva Alla luce di questi discorsi si è rifletQUALEDUCAZIONE • 51 tuto con i ragazzi sul fatto che la cittadinanza è prima di tutto un incontro, poi un diritto, e – infine – un valore. Valore che si esprime a pieno nel legame tra cittadinanza e volontariato. Ed è con l’analisi comune della Carta dei valori del volontariato che si è compreso come il primo gesto “pieno” di cittadinanza attiva non sia tanto quello del – pur importante ma episodico – atto del voto, quanto, invece sia racchiuso nella smisurata quantità di piccoli gesti quotidiani attraverso i quali si ha la possibilità di spendersi personalmente in organizzazioni che hanno lo scopo e la funzione di far accrescere il benessere della società. Abbiamo lavorato sulla “elevata intensità emotiva” che alimenta ed incentiva la scelta personale dell’impegno nel volontariato, ma ne abbiamo soprattutto messo in luce il valore etico e sociale. Ben precisando che è vero il fatto per cui «attraverso la semplice mossa di aderire ad un gruppo di volontariato, la persona mette alla prova se stessa, in un’attività che è al tempo stesso strumentale (serve a qualcosa di concreto, intende produrre risultati effettivi) ed espressiva (è una forma di concretizzazione di valori e sensibilità personali)»36, ma che è altrettanto indubbio che chiudere la comprensione del volontariato agli spunti emotivi rischia di farne disperdere la imprescindibile dimensione associativa, vera spinta per la sua continuità nel tempo e per il suo ruolo di animatore di progresso sociale. In tal senso abbiamo sottolineato come il volontariato sia «uno spazio vuoto che potenzialmente può essere riempito dalla cittadinanza attiva»37, e come rappresenti la sfera «della cittadinanza massima»38, dimensione creativa con cui 52 • QUALEDUCAZIONE si possono inventare nuove modalità di interazione con lo Stato, che non può e non deve essere più visto come semplice erogatore di servizi. Grazie all’impegno nel volontariato, quindi, il cittadino può armonizzare rappresentanza e partecipazione: due ruoli a cui – oggi più di ieri – è chiamato a rispondere, cercando di «cogliere e creare le opportunità di partecipazione senza rinunciare allo stesso tempo all’esercizio della rappresentanza»39. Educare alla cittadinanza attiva per mezzo del volontariato ha significato riorientare il nostro dovere di educatori verso la necessità di smuovere le acque torbide dell’indifferenza e della rassegnazione dei ragazzi e quelle ancora più cupe della nostra stanchezza, lottando contro il loro incivismo e le loro dinamiche di esclusione sociale, e cercando di aiutarli a «comprendere il carattere dialettico della vita di una società democratica e i conflitti di interesse, per apprezzare la dimensione politica non meno di quella privata»40. In tale contesto, abbiamo voluto riflettere sull’esperienza dell’incontro con l’altro, sottolineando il dovere di responsabilità – cioè responsorialità –, ovvero risposta concreta nei confronti di questo altro. Ed abbiamo altresì cercato di riposizionare i giovani nel loro ruolo di cittadini attivi, tenendo ben presente che «il ruolo del cittadino nella democrazia non sarà allora solo quello di controllare e limitare i poteri dello Stato nei suoi confronti, difendendo la sua libertà di scegliere e di consumare, ma di produrre egli stesso potere»41, di creare relazione, e di vivere con libertà nella relazione. In tale orizzonte metodologico, abbiamo tentato di lavorare su una stra- na e per noi difficile commistione tra attività e passività. Una passività attiva, ispirata alla epochè husserliana, che prevede la sospensione e l’“interruzione” del giudizio. Una “messa in parentesi” delle nostre precomprensioni e dei nostri vissuti intessuta per mezzo della trama dell’umiltà, dell’attesa, dell’attenzione, e dell’ascolto dei giovani, per fare largo ai loro problemi, ai loro disagi, ma anche ai loro stimoli ed alle loro motivazioni, liberandoci – proprio noi formatori – dai pregiudizi e dalle insidie di quella che Simone Weil ha definito una “immaginazione che ci colma”. Un tipo di immaginazione troppo attiva, che «lavora continuamente a chiudere tutte le fessure dove la grazia potrebbe passare»42, e che troppo facilmente preclude ed ostacola il dono, l’avventura, il rischio, la meraviglia e lo stupore dell’incontro con l’Altro. Note 1 Cfr. Z. Baumann, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. 2 Z. Baumann, Le sfide dell’etica, Feltrinelli, Milano 1993, p. 182. 3 Ivi, p. 183. 4 Cfr. M. Santerini, Educare alla cittadinanza. La pedagogia e le sfide della globalizzazione, Carocci, Roma 2001, p. 130. 5 P. Valéry, principi d’anarchia pura e applicata, Guerini e Associati, Milano 1990, p. 176. 6 E. Jabes, Il libro delle interrogazioni, II Il libro di Yukel, III Il ritorno al libro, Marietti, Genova 1988, p. 151. 7 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004, p. 117. 8 Ivi, p. 90. 9 M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit., p. 175. 10 E. Damiano, L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Damiano, Roma 1993, p. 47. 11 M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit., p. 174. 12 Ivi, p. 49. 13 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, cit., p. 63. 14 Cfr., H. Arendt, La vita della mente, il Mulino, Bologna 1987. 15 M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit., p. 143. 16 Ivi, p. 146. 17 Z. Baumann, La solitudine del cittadino globale, cit., p. 111. 18 F. Giacchetta, Gioco e trascendenza. Dal divertimento alla relazione teologica, Cittadella Editrice, Assisi 2005, p. 216. 19 E. Fink, Il gioco come simbolo del mondo, Hopeful Monster editore, Firenze 1991, p. 10. 20 Ivi, p. 21. 21 Ivi, p. 55. 22 F. Giacchetta, Gioco e trascendenza. Dal divertimento alla relazione teologica, cit., p. 266. 23 P. Giacchè, L’altra visione dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, edizioni l’ancora, Napoli 2004, p. 116. 24 Ivi, p. 156. 25 A. Boal, Il poliziotto e la maschera. Giochi, esercizi e tecniche del teatro dell’oppresso, edizioni la meridiana, Molfetta (Bari) 1993, p. 23. 26 Ivi, p. 24. 27 M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, cit., p. 125. 28 G. Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci, Libreria Dante e Descartes, Napoli 2000, p. 9. 29 Ivi, p. 20. 30 Cfr. P. Nepi, Verso una cittadinanza plurale, in AA. VV. Educamondo, Fondazione Apostolica Actuositatem, Roma 2005, pp. 62-63. 31 H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, p. 146. 32 Ivi, p. 148. 33 Ivi, p. 147. 34 Aristotele, Etica Nicomachea, VIII,1,1155°, 4. 35 Aristotele, Etica Nicomachea, VIII 9, 1159b, 25-32. 36 C. Ranci, Il volontariato. I volti della solidarietà, il Mulino, Bologna 2006, p. 80. 37 Intervista di F. Maggio a G. Arena, Le parole che cambiano. Cittadino, in Vita non profit, dic. 2006, p. 46. 38 Ivi, p. 47. 39 J. Roman, La démocratie des individus, Calmann-Lévy, Paris 1998, p. 129. 40 M. Santerini, Educare alla cittadinanza, cit., p. 71. 41 Ivi, p. 53. 42 S. Weil, L’ombra e la grazia. Investigazioni spirituali, Rusconi, Milano 1985, p. 30. QUALEDUCAZIONE • 53 Autonomia, dirigenza, progettualità rubrica diretta da GIOVANNI VILLAROSSA Un seminario nazionale per i quadri dirigenti dell’UCIIM, tenutosi a Roma dal 18 al 19 aprile 2009, sul tema La “scuola Gelmini” a un anno dal concepimento: nodi e problemi, ha focalizzato la propria attenzione sulla impostazione della scuola voluta dal ministro Gelmini ed ha espresso il proprio orientamento. La Rubrica, inoltre, ospita un contributo d’attualità organizzativa del curricolo scolastico preparato dal nostro direttore, sul tema: “Costituzione e democrazia”, orientativo per le scuole che hanno presentato progetti sperimentali sullo stesso tema per l’anno scolastico 2009/10. La “Scuola Gelmini” in un focus group dell’UCIIM di Giovanni Villarossa Nel n. 71 di Qualeducazione furono pubblicati suggerimenti e proposte desunti dagli esiti di un seminario nazionale UCIIM sul tema Parliamo di scuola: problemi prioritari per l’agenda del nuovo governo,svoltosi a Roma il 10 maggio 2008. Quest’anno, il 18 il 19 aprile, l’UCIIM ha continuato la sua analisi sulla scuola attuale con il seminario La “scuola Gelmini” a un anno dal concepimento: nodi e problemi, coinvolgendo attivamente i partecipanti in un focus group teso a confrontare “i suggerimenti e le proposte” ucimine con la “scuola Gelmini”. Infatti, sono state inviate preventivamente ai partecipanti dieci domande con l’invito a sceglierne, in sede di seminario, cinque da “focalizzare”. Ecco le dieci domande: 1. Ci avviamo verso l’attuazione del54 • QUALEDUCAZIONE la riforma Moratti, ma con un secondo ciclo articolato in licei, istituti tecnici, istituti professionali e sistema dell’istruzione e formazione professionale. Siete d’accordo con questo assetto ordinamentale? 1.1 Era preferibile quello originariamente previsto dalla riforma Moratti? 2. Condividete l’idea che l’obbligo di istruzione possa essere assolto anche nel sistema dell’istruzione e formazione professionale? 3. È giusto dare importanza alla valutazione del comportamento degli studenti? 3.1 Le modalità previste per la valutazione del comportamento sono adeguate alle esigenze educative? 3.2 Sarà una misura sufficiente per arginare i fenomeni di violenza e di bullismo? 4. È stato giusto ripristinare il voto numerico nel primo ciclo di istruzione? 4.1 Contribuirà alla chiarezza della valutazione? 4.2 Tenderà a semplificare i rapporti tra scuola e famiglie? 5. Per i libri di testo è stata introdotta un’adozione pluriennale e fra poco sarà necessario adottare libri almeno in parte scaricabili da internet. Vi sentite pronti a modificare in questo senso il vostro metodo didattico? 6. Condividete l’impostazione delle nuove indicazioni didattiche (Indicazioni Fioroni per il primo ciclo e Indicazioni Moratti per il secondo ciclo)? 6.1 Ritenete possibile la loro coesistenza all’interno dello stesso sistema scolastico? 7. Bisogna prestare attenzione alle competenze degli alunni. Vi sentite preparati a questo cambiamento didattico? 7.1 Lo avete già attuato? 8. Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione? 8.1 Ritenete adeguate le modalità di attuazione di questo insegnamento? 9. Condividete la proposta Israel di formazione iniziale dei docenti? 9.1 E il loro sviluppo professionale? 10. Le scuole possono diventare fondazioni. Condividete? 10.1 Ritenete che le fondazioni possano snaturare le finalità “costituzionali” delle scuole? All’inizio dell’attivazione del focus group (fase metaplan) i partecipanti hanno trovato le dieci domande, stampate a gruppi di due, su cinque manifesti affissi alle pareti della sala dell’incontro. Per individuare la prevalenza delle questioni da approfondire ogni partecipante ha avuto a disposizione cinque bollini adesivi di colore marrone da applicare accanto a cinque domande ritenute degne di maggiore attenzione. Le questioni che hanno riportato un maggior numero di “preferenze” da parte dei presenti al focus group sono state le seguenti: – “È giusto dare importanza alla valutazione del comportamento degli studenti?”, che ha riportato il 62 % di preferenze; – “È stato giusto ripristinare il voto numerico nel primo ciclo di istruzione?”, che ha riportato il 46% di preferenze; – “Bisogna prestare attenzione alle competenze degli alunni. Vi sentite preparati a questo cambiamento didattico?”, che ha riportato il 44% di preferenze; – “Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione?”, che ha riportato il 43% di preferenze; – “Condividete l’idea che l’obbligo di istruzione possa essere assolto anche nel sistema dell’istruzione e formazione professionale?”, che ha riportato il 35% di preferenze. I partecipanti, poi, disponendo di cinque bollini verdi e di cinque bollini rossi, hanno potuto condividere o meno le risposte (si o no) alle cinque domande o gruppo di domande scelte, applicando i bollini adesivi verdi per il si e i rossi per il no. I risultati sono stati i seguenti: Alla prima delle domande prescelte “È giusto dare importanza alla valutazione del comportamento degli studenti? il 100 % ha risposto si, ma alla domanda collegata “Le modalità previste QUALEDUCAZIONE • 55 per la valutazione del comportamento sono adeguate alle esigenze educative?” il 32 % ha risposto no. Così come alla ulteriore domanda collegata, “Sarà una misura sufficiente per arginare i fenomeni di violenza e di bullismo?” ha risposto no il 50%. Alla domanda “È stato giusto ripristinare il voto numerico nel primo ciclo di istruzione?” ha risposto si il 28 % , mentre ha risposto no il 60% , confortato dal 30% di no alla domanda collegata “Contribuirà alla chiarezza della valutazione?” e dal 42% di no alla ulteriore domanda collegata “Tenderà a semplificare i rapporti tra scuola e famiglie?”. Alla domanda “Bisogna prestare attenzione alle competenze degli alunni. Vi sentite preparati a questo cambiamento didattico?” il 95 % ha detto si, ma soltanto il 25% ha risposto affermativamente alla domanda collegata “Lo avete già attuato?”. Alla domanda “Condividete l’introduzione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione?” il 100% ha ri- sposto si, però il 55% ha risposto no alla domanda collegata “Ritenete adeguate le modalità di attuazione di questo insegnamento?” Alla domanda “Condividete l’idea che l’obbligo di istruzione possa essere assolto anche nel sistema dell’istruzione e formazione professionale?” il 93% ha risposto si. È seguita la fase di focalizzazione. Le questioni risultate prevalenti sono divenute oggetto di approfondimento e ciascun partecipante, invitato dal conduttore, ha giustificato le proprie scelte. Il confronto è risultato vivace e costruttivo. Nella fase conclusiva è stato evidenziato come il focus group sia riuscito ad offrire l’opportunità di cogliere aspetti interessanti e significativi delle questioni maggiormente dibattute nella scuola, oggi, e di esprimere, attraverso la scelta delle questioni da approfondire e delle risposte agli interrogativi, l’orientamento dei quadri direttivi ucimini presenti. Praia a Mare 22.05.09, 1ª sessione del convegno internazionale Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni; da sinistra: C. Lomonaco, L. Corradini, A. Pieretti, S.S. Macchietti, G. Serio, G. Malgeri 56 • QUALEDUCAZIONE Costituzione e cittadinanza Aiutare i giovani a star bene nella scuola: percorsi didattici, idee, opportunità di Giuseppe Serio Parte introduttiva 1. L’idea di formare l’uomo e il cittadino si riferisce all’ambito socio-culturale territoriale in cui opera la scuola; destinatari sono i giovani (alunni/studenti) indigeni e migranti che partecipano all’attività di formazione e alle esercitazioni previste nel piano didattico di cui al punto successivo. Ogni classe, anche con il sostegno di volontari, tra cui i genitori, sceglie d’impegnarsi a realizzare il Progetto realizzando gli obiettivi indicati nel Piano delle offerte formative (Pof). Prevenire l’illegalità è possibile educando i giovani alla cittadinanza attiva facendo capire loro le cause che ne impediscono la realizzazione. Il fenomeno della trasgressione della legge è molto diffuso nei luoghi del degrado, del disagio e dell’emarginazione socioeconomica dove l’unica regola, appunto, è la trasgressione. La scuola può offrire un contributo educativo promovendo le opportunità che consentono ai giovani di scegliere i momenti della loro crescita integrale. Il Pof propone dei percorsi per promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo lo spirito della Costituzione italiana. 2. Oggi, spesso, famiglia e scuola si chiudono a riccio nell’illusione di difendersi dalla violenza: questa è una forma sterile di difesa; il guscio è un inuti- le muro difensivo, non il ponte da cui si accede alla società. Per reagire in modo giusto alla illegalità occorre rendere concreta la comunicazione interpersonale e interculturale sperimentando il sistema dinamico che può trasformarsi in centro sociale di apprendistato della vita. Tra famiglia, scuola e vita sociale è necessario costruire ponti demolendo i muri delle divisioni socio-culturali sostituendoli con l’amicizia fondata sulla dignità (denominatore comune dei popoli). È opportuno chiedere ad ogni amministrazione comunale di istituire un Centro di aggregazione giovanile organizzato come “luogo privilegiato dell’incontro primario” che, in un certo senso, prepara i ragazzi a vivere nei luoghi non strutturati (quartiere, bar, sala giochi ecc.) che sono gli spazi della socializzazione autonoma. È possibile prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto attivo che è il presupposto necessario per costruire un ambiente sociale come luogo di comunione, non di comunanza (che lambisce, ma non penetra la persona). La comunione fra le persone – giovani o adulte che siano – implica la fecondità connettiva dell’amicizia o del rispetto reciproco che trasforma in energia per la persona che è, a sua volta, luogo d’incontro delle coscienze. Se manca quest’energia, manca il dialogo. 3. I risultati attesi (cittadini d’EuroQUALEDUCAZIONE • 57 pa - persone dialoganti). Il giovane che non sa dialogare è povero di amicizia, non è trasparente, non è in comunione con i suoi compagni. La comunicazione fervida salda l’amicizia nella coscienza delle persone. Come si diventa amici? Lo sviluppo della personalità si svolge sullo sfondo del dialogo che è possibile se le persone sono disponibili ed aperte. L’analfabeta (cioè, chi non sa decodificare i messaggi del proprio tempo) non vive la vita nella pienezza del suo valore perché non sa partecipare attivamente alla vita sociale. Alcuni giovani, però, non parlano se sanno di non essere ascoltati. In famiglia o a scuola, non parlano proprio per questo motivo: manca loro la terapia dell’ascolto attivo. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, cioè, amicizia tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il giovane si sente estraneo alla comunità in cui si trova a vivere, tanto più si espone al rischio della solitudine emotiva da cui si accede alla devianza invece che alla comunità delle persone (che incoraggia gli alunni a parlare con gli altri di sé). Essere cittadino, nella famiglia, nella scuola e nella società, significa parlare in modo creativo. Il parlare a scuola è un evento impersonale, un fatto estraneo alla vita sociale; in famiglia non è sempre confidenziale. I giovani, per esempio, a scuola parlano quando devono essere interrogati; cioè, parlano in modo formale, secondo ritmi mensili o trimestrali. Anche in famiglia non sempre il loro parlare è schietto. Il parlare per i giovani non è sempre un momento creativo o di partecipazione attiva. In tal senso, né la famiglia né la scuola li aiuta a crescere nel sapere. Chi 58 • QUALEDUCAZIONE ama la verità, ama la vita, esprime con gioia di vivere stando insieme agli altri (fratelli, sorelle, compagni di scuola, amici) che incontra nella società interculturale interagendo con spirito di collaborazione e secondo la propria vocazione. La comunione tra le persone consente alla verità di penetrare nelle coscienze e di interagire in virtù dei ponti comunicativi – lingue, linguaggi – adeguati alle opportunità formative. L’amicizia tra le persone è apertura alla vita, spazio democratico dello stare insieme nella diversità a livello globale e glocale, nel rispetto delle leggi dello Stato, della coscienza etica. Le attività previste dal Pof vengono proposte a ciascuna squadra di giovani (maschi, femmine, indigeni, migranti) per essere sperimentate a livello di socializzazione secondo le Indicazioni dei percorsi di cui appresso. Il coordinamento è affidato al docente formatore. Nella fase preparatoria, mese di settembre, iniziano le attività didattiche dopo il percorso formativo dei docenti di ciascuna classe. Il corso – coniugato con le attività incluse nel Pof – sarà organizzato dalla in un seminario di 10 ore (con il corredo di schede e testi scelti per essere proposti ai giovani come oggetto di analisi sociologica della trasgressione. I destinatari del progetto devono soprattutto capire le cause della trasgressione delle leggi e delle regole che sono poste a fondamento della società democratica. Completare il Curricolo 1. Con l’entrata in vigore del Decreto che introduce nel curricolo della scuola italiana la nuova disciplina de- nominata Costituzione e cittadinanza si è voluto offrire ai docenti della scuola d’ogni ordine e grado uno strumento che legittimi e irradi sull’intero curricolo le linee guida preparate dalla Commissione nominata dal Ministro Mariastella Gelmini. Le linee guida intendono valorizzare l’esistente oltre che specificare le tematiche di riferimento: cultura costituzionale, cultura della cittadinanza, convivenza civile1. Il comportamento degli alunni non è disgiunto dalla socializzazione effettiva. La nuova norma evita il modello degli obiettivi “declinando le competenze in sotto-competenze e proponendo la conoscenza di quanto è statuito nella Costituzione con riferimento agli articoli specificati nella nota a piè di pagina. Lo studente, perciò, è tenuto a prendere coscienza di tali elementi di garanzia della libertà, dell’uguaglianza, dei diritti civili di ciascuno e tutti La presa di coscienza dei valori costituzionali è il fondamento concreto della vita civile. Pur nella necessaria essenzializzazione dei contenuti, Corradini propone che i docenti si facciano carico delle “emergenze” corrispondenti agli articoli della nostra Costituzione riportati nella nota. Più avanti chiarirò come sia possibile realizzarle indicando alcune attività di educazione alla cittadinanza attiva, nel rispetto delle differenze socioculturali, religiose, etniche ecc Il giovane (alunno, studente) deve imparare a conoscere anche le carte internazionali2 al fine di stabilire le regole della convivenza e della solidarietà e per condividere i valori universali al fine di contrastare la sopraffazione, l’illegalità, la violenza con il dialogo. Nel I e nel II ciclo di istruzione, le co- noscenze e le competenze relative alla convivenza civile e alla cittadinanza sono acquisite mediante la nuova disciplina che la Commissione ministeriale ha proposto di denominare Cittadinanza e Costituzione3 individuandola nell’area storico-geografica, storico-sociale, oggetto di specifica valutazione. Nella scuola dell’infanzia la dimensione si realizza nel campo di esperienza Il sé e l’altro4. L’art. 2 del Decreto disciplina, conseguentemente, i diritti/doveri degli studenti della scuola secondaria di I e II grado e il loro comportamento (voto di condotta) anche in relazione alle attività svolte dalla scuola in tal senso. Nel I ciclo (scuola primaria e secondaria di I grado) il voto è espresso in forma di giudizio mentre nella scuola secondaria di II grado è espresso in decimi5. Prima del giudizio e della valutazione occorre realizzare ovviamente l’impegno della scuola che a tal fine previene l’illegalità educando i giovani alla cittadinanza attiva dopo aver fatto capire loro le cause che ne impediscono la realizzazione. La scuola può offrire il suo contributo promovendo le opportunità che consentono ai giovani di scegliere. tra i momenti della loro crescita integrale, i percorsi che promuovono la formazione dell’uomo e del cittadino secondo lo spirito della Costituzione italiana. 2. Le attività didattiche e i corrispondenti percorsi, aiutano – e abituano – i giovani a vivere la legalità nella vita quotidiana ordinaria della scuola, soprattutto con azioni concrete, li aiutano a star bene con se stessi, con i loro amici in una società che stia meglio (Luciano Corradini6); la scuola può aiutare gli alunni a vivere nella legalità orienQUALEDUCAZIONE • 59 tandoli a scegliere le opportunità della vita scolastica (ed extrascolastica). I percorsi didattici, servono anche per esercitarli a capire la differenza tra illegale (ciò che è in contrasto con la legge), legale (ciò che è conforme alla legge dello stato) e morale (ciò che è conforme alla coscienza). I giovani, per esempio, in una o più delle 33 ore previste dalla legge, si esercitano a svolgere attività di servizio civico (in collaborazione con i vigili urbani locali o il Servizio civile). Ciò consente di spiegare ai loro coetanei le infrazioni commesse da chi va in moto senza casco e non si ferma al semaforo con il segnale rosso o non rispetta li limiti di velocità e le regole della società democratica. Chi le infrange, forse, pensa di vivere nella sfera del privato7, non in quella delle persone. In questi casi, gli studenti non devono mica comminare multe ai trasgressori, ma dialogare con essi. Il loro compito – a casa, a scuola, nella società – consiste nel mettersi in dialogo con chi, purtroppo, assume sostanze stupefacenti inciampando in errori madornali. Costoro non devono essere emarginati, ma coinvolti amichevolmente nel dialogo affinché capiscano che, quando dicono che la vita è la loro e se la gestiscono come vogliono, se si rompono la testa o se vanno in astinenza, l’ospedale è il contributo del cittadino che paga le tasse per assicurare questi ed altri servizi sociali8. Violare la legge non è un fatto privato, ma sociale. Il giovane che vuole vivere nel paese dei balocchi, promessogli dagli spacciatori, deve imparare a capire che i balocchi sono suoi nemici perché drogandosi diventa una belva che uccide e si uccide (lungo le strade del sabato sera). Per questa e altre ragioni, occorre mobilitare le coscienze dei giovani sce60 • QUALEDUCAZIONE gliendo itinerari di studio e d’impegno sociale adeguati agli obbiettivi del Pof e promuovendo lo sviluppo della dignità di tutti e di ciascuno che è la vera difesa contro la criminalità. 3. Amici si può essere … dialogando, non litigare… L’amicizia è una terapia naturale per recuperare soggetti a rischio o nell’emarginazione. Specialmente oggi che la famiglia e la scuola si chiudono a riccio nell’illusione di difendersi dalla violenza e dalla trasgressione (bullismo). La chiusura è una forma sterile di difesa che somiglia al guscio, al muro, non al ponte con cui si accede alla vita sociale rispettandone le regole, sapendo che ciascuno appartiene alla società nazionale (italianità), internazionale (Europa), mondiale (globale). La suddetta appartenenza si interseca con il pluralismo interculturale postulando l’esigenza dell’ integrazione ed il rispetto della diversità. Per reagire in modo giusto al fenomeno sociale dell’illegalità imperversante occorre rendere concreta la comunicazione interpersonale sperimentando il sistema psico-dinamico che, gradatamente, si trasforma in apprendistato della legalità. Tra famiglia, scuola e vita sociale è necessario costruire ponti, demolire la miriade di muri (divisioni socio-culturali) sostituendoli con l’amicizia, cioè sul denominatore comune che unisce persone e popoli diversi per il colore, lingua, condizione economica, cultura, ma tous ègaux per dignità. In ogni scuola si potrebbe istituire il Centro di aggregazione giovanile organizzato come “luogo privilegiato dell’incontro primario” che, in un certo senso, prepara i ragazzi a vivere nei luoghi non strutturati (quartiere, bar, strada, sala giochi ecc.) che sono gli spazi della loro socializzazione autonoma. Negli spazi non strutturati nascono e si consolidano le amicizie, quelle buone e quelle per niente buone. I ragazzi arrivano a scuola con il carico delle loro esperienze acquisite nei luoghi non strutturati. Nei confronti di questi spazi, il Centro ha il compito di svolgere la duplice funzione di consolidare le esperienze positive, prevenire o neutralizzare quelle negative9. Credo che sia possibile recuperare i soggetti che la famiglia involontariamente predispone alle esperienze negative; credo che si possa prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto attivo che è il presupposto per costruire un ambiente sociale come luogo di comunione (non di comunanza che lambisce, non penetra nell’interiorità della persona. La comunione fra le persone – giovani o adulti – implica la fecondità connettiva dell’amicizia o del rispetto reciproco e della solidarietà che trasforma in energia per la persona; tale energia, a sua volta, si apre all’incontro delle coscienze. Se manca tale energia, manca anche il dialogo. Le esercitazioni fondamentali a cui sono chiamati i giovani che frequentano il Centro di aggregazione sono incentrate sul dialogo senza del quale non si può realizzare il rapporto d’amicizia rischiando di essere incapaci di comunicare, vivere con gli altri, osservare le “regole” e rispettare i “valori” della Costituzione. I risultati attesi (cittadini d’Europa in dialogo) riguardano il giovane che dialoga; quello che non sa dialogare è povero di amicizia, non è trasparente, nemmeno in comunione con i suoi compagni di scuola. La comunicazione fervida salda l’amicizia nella coscienza. Lo sviluppo del giovane si svol- ge sullo sfondo del dialogo (che è possibile se le persone sono aperte). L’analfabeta (cioè, chi non sa decodificare i messaggi del suo tempo) non vive la vita nella pienezza del suo valore, non partecipa attivamente alla società. Alcuni giovani non parlano, non dialogano se sanno di non essere ascoltati. In famiglia e a scuola, alcuni non parlano per questo motivo: manca loro la terapia dell’ascolto attivo da parte dei professori e, a volte, anche dei genitori. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, amicizia tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il giovane si sente estraneo alla comunità in cui si trova a vivere – famiglia, scuola, associazioni ecc. – tanto più si espone al rischio della solitudine emotiva da cui, spesso, si accede alla devianza invece che alla comunità delle persone che incoraggia gli alunni – in generale, tutti – a parlare con gli altri di sé. Allora, che significa essere cittadino? Significa essere famiglia in famiglia; essere scuola a scuola; essere società globale nel mondo. La scuola, inoltre, è chiamata a guidare gli alunni ad educarsi alle regole della cittadinanza attiva. Oggi, né la famiglia né la scuola aiutano i ragazzi a crescere forti nelle attività per contrastare, per esempio, la sopraffazione a danno dei più deboli o la rinunzia agli atteggiamenti di tacita accettazione delle prepotenze prima a scuola, poi, nella vita. Chi ama la verità, ama la vita e si esprime con gioia stando insieme agli altri (fratelli, compagni di scuola, amici) che incontra nella società inter-culturale interagendo con spirito di collaborazione, secondo la proprie vocazione. La comunione tra le persone consente di penetrare nelle coscienze e interagire in virtù QUALEDUCAZIONE • 61 di ponti comunicativi (lingue, linguaggi adeguati alle opportunità formative). L’amicizia tra le persone è apertura alla vita, spazio democratico, opportunità di stare insieme nella diversità – a livello globale e locale – nel rispetto delle leggi dello Stato e della coscienza. Le attività previste dal Pof, proposte a ragazzo indigeno o migrante, abitante in città o in paese, devono essere sperimentate a livello di socializzazione secondo percorsi disegnati da una corretta strategia didattica. Il coordinamento delle attività medesime può essere affidato al docente (nella primaria, quello prevalente). Nella fase preparatoria, mese di settembre, iniziano le attività didattiche per costituire il “Centro di aggregazione giovanile” e, dopo il corso di formazione dei docenti facilitatori, il consiglio di classe prepara il piano annuale delle 33 ore della nuova disciplina – Costituzione e cittadinanza – cercando di collegarla con le altre discipline del curricolo in modo che l’ora mensile sia l’occasione per irradiare “le linee guida della nuova disciplina”, nel resto del curricolo, allo scopo di attuare concretamente gli obiettivi previsti dalle linee direttive indicate della Commissione ministeriale10. La didattica – quando è ispirata dal dialogo – diventa lo strumento regolatore degli scambi interculturali e delle opinioni personali;l’impiego del dialogo è anche confronto delle convinzioni personali oltre che una proposta di soluzione dei problemi riguardanti i valori non condivisi e/o condivisi solo in parte da gruppi etnico-religiosi che trasformano la diversità in risorsa. Il corso di formazione dei docenti prevalenti – coniugato con le attività incluse nel Pof – è organizzato dalla scuo62 • QUALEDUCAZIONE la (seminario di 10 ore) con il corredo di schede e testi scelti per proporli agli studenti come oggetto d’analisi sociologica della trasgressione al fine di capire le cause della violazione di leggi e regole poste a fondamento della società. Le finalità del corso riguardano la capacità e possibilità che i docenti devono possedere per realizzare la democrazia scolastica (senza scimmiottare quella in cui si preparano a vivere come cittadini). Allora, vivere democraticamente nella scuola, significa interagire nella classe, rispettare le opinioni e i punti di vista degli altri, soprattutto dei diversi, esercitare consapevolmente la responsabilità personale, saper interpretare il clima emotivo della classe e della scuola; sostenere “i compagni di scuola più deboli” dal punto di vista del profitto e del comportamento, partecipare alle attività di volontariato. 4. Le scelte tematiche dei percorsi didattici possono essere suddivise per argomento: a) rispetto della legalità e promozione della cittadinanza attiva mediante attività pratiche; b) promozione del dialogo interpersonale e interculturale in senso trasversale; c) incontri nei luoghi della socializzazione; d) esercitazioni di volontariato nel II ciclo. Al fine di stimolare la fantasia didattica dei docenti, propongo alcune attività per realizzare percorsi didattici da inserire nel Pof (33 ore) e in quello pluriennale (13 anni) per complessive 329 ore che sono sufficienti per arrivare alla maturità con idee chiare in merito a Costituzione e Cittadinanza attiva. Preliminarmente, è necessaria una lettura individuale della Costituzione assegnando ad ogni studente una riflessione scritta sugli articoli più significativi e universali; per esempio: che cosa signi- fica per te l’affermazione che la Repubblica è fondata sul lavoro? In particolare è opportuno leggere in classe gli articoli citati nella nota 1 a p. 2. Successivamente, occorre svolgere le seguenti attività didattiche coinvolgendo di volta in volta i docenti delle macroaree indicate negli esempi.a) Proteggere i beni culturali-ambientali presenti nel territorio dopo averli catalogati e classificati secondo criteri artistici, estetici e paesaggistici. b) Interventi per organizzare e gestire gli spazi destinati agli studenti nel territorio comunale o nel quartiere e svolgere attività esterne (nella scuola dell’infanzia e in quella primaria è possibile esercitare bambini e ragazzi ad essere utenti della strada attraversandola sulle “strisce pedonali”, rispettando la segnaletica verticale e orizzontale mettendo in atto comportamenti responsabili nel senso del rispetto della vita propria e degli altri ecc. c) Capre le energie alternative (quale funzione, quale difesa, quale tutela). d) Conoscenza del codice della strada, esercitazioni pratiche. e) Alimentazione, benessere e norme igieniche (quale stile di vita; breve relazione scientifica sui fenomeni dell’ effetto serra, della desertificazione, del consumismo sregolato, della povertà delle persone e della fame nel mondo. e) Iniziative (possibili ed opportune degli studenti). f) Le energie inesauribili del mondo (l’intelligenza, l’amore, l’aria, la solidarietà in contrasto con le energie esauribili (il petrolio, il denaro e gli altri beni negoziabili). Tra gli adempimenti necessari per l’avvio delle attività, è necessario mettere al primo posto la vita che non è un bene negoziabile (come la casa, la macchina, l’assegno di c/c ecc.); è preferibile che la scuola incentri la sua attività didattica seguendo questi percorsi:educare alla prevenzione della microcriminalità mediante lo svolgimento di attività proposte al fine di contrastare la trasgressione che, in un particolare e delicato periodo della vita, sembra essere un’attrazione inspiegabile per i giovani della società contemporanea; educare alla legalità, alla solidarietà, alle esperienze interculturali al fine di promuovere la crescita di cittadini attivi. Questi sono dei percorsi didattici per attuare il curricolo nei seguenti punti: contrastare la dispersione scolastica, prevenire le devianze, realizzare il primo livello di preparazione al mondo del lavoro; potenziare le conoscenze in ambito scientifico, tecnologico, economico esercitando gli studenti nell’inventare iniziative per il rispetto dell’ ambiente; attivare laboratori con cui gli stessi sperimentano gli strumenti didattici (teatro, cinema, stage professionalizzanti, bollettino d’informazione per le famiglie degli alunni, coinvolgendo docenti e genitori e Associazioni di volontariato nelle attività inserite nel Pof. 5. Il Piano delle attività didattiche si propone di contrastare soprattutto la dispersione scolastica creando percorsi d’integrazione e partecipazione attiva degli alunni ai percorsi didattici. Per esempio: dalla strada alla scuola per svolgere attività di prevenzione delle tossico-dipendenze al fine di contrastare la dispersione scolastica e rinforzare l’apprendimento. A questo scopo, conviene far maturare negli alunni alcune esperienze educativo/ formative consistenti nella preparazione e messa in scena di una rappresentazione teatrale (o cortometraggio) capace di stimolare l’apprendimento di contenuti QUALEDUCAZIONE • 63 ostici e diversi da quelli previsti dalle Indicazioni Nazionali (Fioroni) in maniera dinamica e tale da prevenire il nozionismo formale e la noia della vita scolastica quotidiana. Il percorso prevede la partecipazione sia di alunni diversamente abili che di alunni stranieri, presenti nella comunità: ciò allo scopo di creare una rete solidale in grado di abbattere ogni tipo di pregiudizio. Si tratta di esperienza da proporre ai ragazzi coinvolgendo anche le loro famiglie e i loro docenti mediante l’impiego di docenti che provvedono alla progettazione esecutiva e alla realizzazione dell’intervento stesso. Dalla scuola al lavoro con particolare attenzione allo sviluppo pre-professionale e a interventi idonei alla formazione. Gli studenti degli istituti professionali – per esempio – possono essere coinvolti sui temi della Promozione, management e animazione turistica necessari per lo sviluppo di strategie d’intervento nei confronti di soggetti con particolare vocazione turistica. La formazione prevede incontri nelle classi, con operatori turistici qualificati (esperienze di stage in alternanza scuola-lavoro) presso le strutture turistiche dell’area interessata. Dalla scuola all’arte – impegnando docenti di Arte e, trasversalmente, anche altri – per aiutare gli alunni a cogliere il senso universale della creatività dell’uomo. Benessere, malessere esistenziale, prevenzione 1. Gli studenti del triennio (licei e istituti secondari di II grado) possono seguire un percorso formativo per la conoscere le problematiche inerenti al 64 • QUALEDUCAZIONE sociale, con particolare riguardo al sostegno di ragazzi svantaggiati. Il collegio dei docenti dovrebbe prevedere un Centro di Orientamento scolastico per la scelta della professione individuando nei giovani le attitudini e le potenzialità al fine di orientarli nelle scelte di lavoro al gone di formare management, promuovere animazione nel territorio e sviluppare strategie d’intervento. Gli studenti, guidati in semplici esperienze di stage presso le strutture turistiche locali, si preparano concretamente nella prospettiva del lavoro futuro. In base alle esigenze del territorio in cui si trova ad operare la scuola, la prima fase di svolgimento dei percorso didattico potrebbe iniziare nel mese di settembre dell’anno scolastico. Il gruppo docenti provvede alla elaborazione esecutiva del Pof approvato (anche in funzione di nuove e particolari esigenze emerse successivamente) e alla scelta di collaboratori per l’avvio delle attività: coordinatore delle attività didattiche; addetto alla segreteria del Pof, responsabile del percorso didattico. Il Coordinatore ha la supervisione su tutte le attività che saranno realizzate, cura le relazioni di lavoro con i partner e con le Istituzioni, con il supporto dell’addetto alla segreteria, convoca e presiede gli incontri di informazione, divulgazione, monitoraggio. Al dirigente scolastico spetta il compito di verifica e valutazione finale dei risultati. L’addetto alla segreteria, in collaborazione con il Coordinatore, provvede a predisporre e compilare i i documenti relativi al funzionamento e alle relazioni intermedie e finali sullo svolgimento dell’intero percorso. Inoltre, provvede all’organizzazione degli incontri di informazione, divulgazione, monitoraggio, verifica e valutazione dei risultati. In ciascuna scuola, in sede di riunione del Collegio dei docenti, il percorso da realizzare è illustrato dal Responsabile del coordinamento di tutte le attività all’interno della scuola. Il Dirigente scolastico e i docenti provvedono ad inserire nel Pof le attività previste e gli obiettivi da raggiungere. D’intesa con il dirigente scolastico, i docenti, sulla base delle loro competenze specifiche, vengono prescelti dal dirigente scolastico che convoca la riunione dei genitori nel corso della quale illustra le attività da realizzare. I partecipanti sono invitati a candidarsi al ruolo di Referenti familiari. 2. La seconda fase è il Corso di formazione della durata di 10 ore di lezioni in aula, oltre il tirocinio. Gli alunni sono invitati a collaborare alla realizzazione delle singole parti del percorso in base alle capacità e inclinazioni di ciascuno. La candidatura è espressa in forma scritta (compilazione del formulario da restituire entro una settimana al Segretario del corso). L’equipe sceglie i soggetti da coinvolgere dando la preferenza ai ragazzi svantaggiati e a rischio. Ovviamente, le attività coinvolgono l’intera classe e sono realizzate nel corso delle ordinarie attività didattiche. Sono invitati a partecipare tutti gli alunni per consentire l’accesso a giovani con particolari capacità e propensioni e per inserire il maggior numero possibile di ragazzi svantaggiati. Saranno, altresì, individuati e, possibilmente, coinvolti i ragazzi che, negli anni precedenti, hanno abbandonato la frequenza della scuola o non sono mai stati iscritti (figli di immigrati). Le prime due fasi sono propedeutiche ed iden- tiche per tutte le scuole. A partire dalla terza fase, le operazioni sono distinte come segue. 3. Prevenire la micro-criminalità è un metodo valido e concreto per educare i giovani alla cittadinanza attiva; ma è anche importante capire che è impossibile che le istituzioni compiano il “miracolo” di trasformare al meglio la vita sociale in un breve arco di tempo. Credo che occorra conoscere soprattutto le cause che ne impediscono la realizzazione. Le istituzioni devono concorrere a scoprire le cause del disorientamento dei giovani, conoscere le radici della microcriminalità, capire il fenomeno, sapere chi, in che modo, oggi, produce illegalità nella famiglia, nella scuola, nella società. In breve, occorre prima scoprire ciò che favorisce l’insorgere della criminalità che, addirittura, impiega finanche i bambini in attività delinquenziali; programmare ciò che si può fare (nella famiglia, nella scuola, nelle associazioni giovanili, in parrocchia) negli ambienti educativi in cui sia ancora possibile l’intervento preventivo. I bulli – per esempio – sono gli eredi di genitori che vivono nel degrado o nel disagio o nell’emarginazione socio-economica (ambienti a rischio). Sono aggressivi, rissosi; vivono alla giornata, come i loro genitori, in quartieri-ghetto. L’unica regola della loro vita è la trasgressione (non pagano il biglietto dell’auto, rubano nei locali pubblici, si ubriacano, fumano, fanno a botte, si drogano, salgono sul marciapiedi con i motorscooter…). Purtroppo, sono una categoria in crescita; nell’ultimo quinquennio sono diventati il doppio. Nei primi 5 anni del 2000, gli under 18 – condannati – sono il triplo rispetto agli anni ’90. In alcune regioni (Lazio, Calabria, Campania, QUALEDUCAZIONE • 65 Puglia, Sicilia) uno su cinque non frequenta la scuola dell’obbligo! Secondo me, se si lavorasse di meno nella produzione di cose superflue, di più nelle attività di redenzione si favorirebbe la ripresa del dialogo interpersonale. Gli alunni hanno bisogno di scoprire i beni naturali per gestire con prudenza quelli industriali, rinnegare il postulato dei bisogni effimeri (dogma del benessere materiale) e il consumismo sregolato. E se sono avviati gradatamente a questa trasformazione culturale, saranno in grado di cambiare rotta, incrementare le forze sociali, scegliere la società solidale. Scuola e famiglia certamente possono contribuire a formare i futuri cittadini a condizione che l’una partecipi attivamente al processo formativo dei figli e l’altra arricchisca gradatamente i docenti di doti professionali eccellenti11. La famiglia può liberarsi gradatamente dall’individualismo, dall’arrivismo, dalla chiusura intimistica, dalla latitanza delle opportunità educative, dall’uso sbagliato dei media, dalla paura della criminalità, della droga… La criminalità – purtroppo – recluta i ragazzi negli ambienti a rischio per avviarli a esperienze trasgressive offrendo denaro per vivere alla giornata illudendosi di diventare felici...non sapendo che la felicità è una conquista faticosa; che le loro esperienze negative diventano ferite profonde nella coscienza. Le loro ferite non sono un fatto privato, ma sociale. Il ragazzo che guida la moto senza casco o che si buca o che non rispetta le regole del codice stradale e, ancora, non rispetta quelle della società democratica, non è uno che vive nella sfera privata, ma è uno che vive – negativamente – in quella pubblica. 66 • QUALEDUCAZIONE Violare la legge non è un fatto privato. Il giovane che vuole vivere nel paese dei balocchi, promessogli dagli spacciatori, non sa che i balocchi sono suoi nemici e che drogandosi diventa una belva che vive in modo sregolato tanto da pretendere tutto e subito. Il drogato come l’ubriaco, non solo si uccide, ma uccide. Per questa ragione (e tante altre ancora) occorre mobilitare le coscienze dei genitori, dei docenti, dei sacerdoti, degli educatori al fine di recuperare nella famiglia, nella scuola, nella chiesa e in tutte le agenzie educative il valore autentico dell’uomo, la sua dignità (che è nel cuore della maggioranza delle persone). 4. Il malessere esistenziale dell’uomo contemporaneo, nonostante il livello di benessere materiale in cui vive, è dovuto – soprattutto – alla perdita di dignità. La voglia di denaro è soddisfatta in ambienti dove il !denaro” è inteso come valore invece che come mezzo strumentale per la vita. La famiglia è il primo ambiente sociale in cui potrebbe avere inizio il processo educativo di soggetti che sono nello stadio dello sviluppo che dovrebbe svolgersi – mi scuso per il secondo obbligatorio condizionale – sullo sfondo della trama di rapporti interpersonali tra soggetti che fanno parte dello stesso gruppo parentale. I rapporti psico-dinamici sono disturbati da incomprensione (tra genitori e figli) o da litigi causati quasi sempre da carenza di denaro o da assenza di stima reciproca o da frustrazioni dovute all’incapacità di instaurare rapporti fondati sul rispetto della dignità. Oggi, generalmente, la famiglia si chiude in sé stessa nell’illusione di difendersi dalla violenza ed anche dalla corruzione (promessa di denaro a chi si presta ad espletare attività illegali). Questa forma di difesa è sbagliata. Vi ricorre qualche volta anche la scuola che, spesso, si chiude nel soo guscio invece di farsi ponte e comunica con gli altri. Per reagire in modo giusto alla violenza e all’illegalità, occorre rendere solido il sistema psico-dinamico del nucleo familiare. Il tipo di famiglia a riccio ha poche capacità di difesa evidenziando il dato negativo della sindrome della chiusura. Purtroppo, c’è anche la famiglia diseducativa, costituita da soggetti della malavita, luogo di socializzazione di comportamenti mafiosi. I bambini, come si sa, sono una mente assorbente e socializzano facilmente i comportamenti di persone con cui si trovano a vivere i loro genitori. In questo caso, se i figli non frequentano la scuola e restano in famiglia, i genitori li impiegano in attività illegali e, in tal modo, consolidano un tipo di apprendimento degenerativo che li prepara ad essere e a comportarsi nella vita sociale come i loro genitori. In un certo senso, lo Stato, potrebbe rompere questi circuiti degenerativi rendendo obbligatoria la frequenza della scuola dell’infanzia per prevenire i danni che derivano dalla permanenza dei bambini che vivono in ambiti familiari contagiati dal virus della criminalità; ambienti degradati che alimentano la dispersione scolastica e, in un certo senso, anche la micro-criminalità. Per incominciare a far scemare tali fenomeni malavitosi, occorre istituire un Osservatorio locale sulla micro-criminalità e sull’illegalità; un altro sulla dispersione scolastica ed un terzo sulla tossicodipendenza; il C. I. C (Centro d’informazione e consulenza) è una sorta di Osservatorio che funziona come sportello di consulenza nelle scuole secondarie. Le suddette strutture costituiscono il Centro operativo della Task force (costituita da esperti, formatori, equipe psico-socio-medico-pedagogica) per giovani disagiati, tossici, bulli ecc. in grado di promuovere sane opportunità educative. 5. Nei luoghi non strutturati nascono e si consolidano le amicizie, quelle buone e quelle non buone. Perciò, la frequenza della scuola – statale o paritaria – è uno strumento di prevenzione della devianza in generale. Si sa che a scuola, i ragazzi che la frequentano, vi arrivano con il carico delle loro esperienze acquisite nella famiglia, nella parrocchia, nelle associazioni) e nei luoghi non strutturati. Nei confronti degli uni e degli altri, gli Osservatori e il Centro d’informazione hanno l’importante compito di svolgere una duplice funzione consistente nel consolidare le esperienze positive e neutralizzare gradatamente – o prevenire – quelle negative. La scuola, in tal modo, può recuperare i soggetti che la famiglia, volontariamente o no predispone alle esperienze negative della vita; inoltre, può prevenire la devianza mediante la terapia dell’ascolto attivo che è un presupposto necessario per costruire un ambiente sociale, come luogo di comunione, non di comunanza che lambisce, ma non penetra la persona. La comunione implica la fecondità connettiva dell’amore, energia per la persona, che, a sua volta, è punto d’incontro delle coscienze. Se manca quest’energia, manca il dialogo, cioè, il processo educativo. Senza il dialogo, non si può realizzare un rapporto interpersonale autentico che impedisce di rimanere analfabeta, cioè, di rischiare di diventare un’isola nell’universo delQUALEDUCAZIONE • 67 le persone; chi non dialoga non è in comunione con gli altri, è senza vita sociale… La comunione è amicizia; strumento per comunicare con il mondo; è comunicazione fervida perchè salda la verità nella coscienza della persona. Lo sviluppo dell’alunno si svolge sullo sfondo del dialogo educativo che è possibile se le persone sono disponibili, aperte, umili: l’analfabeta non sa decodificare i messaggi del suo tempo, non sa vivere la vita nella pienezza del suo valore. Insomma, chi non parla, non è in comunione con gli altri. A scuola l’alunno non parla se sa di non essere ascoltato. Gli manca la terapia dell’ascolto attivo. Nemmeno l’adulto si confida se sa di non essere ascoltato, se non c’è comunione, cioè amicizia, tra lui e l’altro. Insomma, quanto più il soggetto, giovane o adulto che sia, si sente estraneo alla comunità in cui si trova a vivere tanto più si espone al rischio della solitudine da cui si accede poi al rischio della devianza. Fuori dalla comunità scolastica o familiare o associativa, l’alunno è debole, è più esposto al rischio … Ma se vi sta dentro, se si sente a suo agio, diventa forte nell’energia dell’amore, bravo nell’apprendimento, libero nel pensiero… Il sistema scolastico non sempre si predispone ad essere comunità di persone dialoganti; non sempre incoraggia l’alunno a parlare con gli altri di sé. Il parlare a scuola è un evento impersonale, un fatto estraneo alla vita. A scuola i giovani parlano se sono interrogati; parlano in modo informale, secondo ritmi mensili, trimestrali, quadrimestrali. Il loro parlare non è un momento di gioia, di creatività, di scoperta della verità condivisa. In questo senso, la scuola non aiuta il giovane a crescere nell’inte68 • QUALEDUCAZIONE riorità che lo fortifica nella vita sociale oltre che in quella privata. Chi ama la verità, ama la vita esprimendo l’amore nella gioia di vivere, stare insieme, partecipare al lavoro con spirito di collaborazione. Il dialogo, dunque, è l’opposto dell’isolamento (che alimenta la cultura della morte ricorrendo alla droga, all’alcol, alla violenza); è una forma di prevenzione della devianza, della comunione che non è la comunanza tra appartenenti a famiglia, scuola, gruppi sociali. La comunione consente alla verità, al bello, al bene di penetrare nelle coscienze. L’amicizia tra le persone è un’apertura, un preambolo della gioia di vivere come persona, non come individuo, schiavo del materialismo sregolato e del bisogno di denaro ad ogni costo, anche a costo della Giustizia che è il fondamento della pace. L’educazione al dialogo fiorisce nella famiglia, cresce nella scuola, matura nelle istituzioni sociali. Per questo, credo, sia necessario creare una rete di referenti che, nei luoghi predetti, operi senza confusione di compiti, con lo scopo di irradiare nella vita dei figli, prima, e degli studenti, poi, il senso civico. Sembra un’utopia; ma l’utopia è “il non ancora”, sempre possibile volendolo. La rete dei referenti 1. I referenti familiari per la promozione della cultura civica nella famiglia e i referenti scolastici per aiutare a realizzare l’Educazione civica nella scuola hanno bisogno, naturalmente, di un breve corso di formazione con esperti nel settore della consulenza. I referenti – scelti tra quanti si preparano, ciascu- no secondo il suo ruolo assegnatogli dalla Task force dei formatori nei corsi di qualificazione gestiti dallo Staff con metodi coniugati a modelli formativi (6 incontri di 2 ore). Gli operatori /referenti da formare sono: a) i Referenti familiari (2 per ogni classe di ciascuna scuola; Referenti scolastici (2 per ogni classe); Referenti professionali (1 per ogni comune o quartiere). La formazione dei referenti familiari è a cura della task force che prepara il percorso in ogni comune – o quartiere o rione – ed è riferita alle scuole aderenti. Il corso è costituito dai genitori che accettano di essere guidati a comprendere le tematiche prescelte (legalità, tossicodipendenze, cittadinanza attiva ecc). È previsto il tirocinio per genitori che scelgono di impegnarsi in attività di volontariato per la prevenzione delle tossicodipendenze e/o della microcriminalità. 2. Formazione dei referenti scolastici Al corso biennale di formazione partecipano docenti che scelgono di raggiungere adeguati livelli di esercizio della professionalità docente nei “Centri di eccellenza”, cioè nelle strutture di alta formazione in cui si acquisiscono competenze professionali che consentano di elaborare profili educativi e obiettivi generali e specifici adeguati al contesto socio-culturale in cui si trovano ad operare, con particolare riferimento ai soggetti a rischio. Ai referenti viene chiesto di incrementare adeguatamente le relazioni con i genitori degli alunni a rischio; concordare con essi strategie compensative; consolidare, sviluppare gli apprendimenti trasformandoli in progetti integrativi del curricolo; acquisire abilità nella valutazione degli alun- ni; assumere funzioni di coordinamento nei confronti dei colleghi. A tal fine saranno predisposte delle dispense – preparate da esperti – con indicazioni esemplari da partecipare ai colleghi del collegio di ciascuna scuola. In particolare, i docenti della scuola secondaria sono guidati a svolgere attività mirate all’orientamento al lavoro e/o al proseguimento degli studi superiori. Il percorso che riguarda la formazione degli insegnanti referenti prevede 20 incontri della durata di 3 ore di cui 1 riservata alle esercitazioni pratiche (maturare in itinere le attività da svolgere) finalizzate all’azione preventiva. L’obiettivo finale consiste nel garantire alle famiglie e alla scuola un servizio di qualità che è indispensabile per contare su risorse adeguate e suòòe capacità dei docenti referenti. Il percorso punta non solo sulla formazione iniziale, sulla progettualità e atonomia didattica della scuola organizzata come impresa culturale. I dirigenti scolastici individuano i percorsi di formazione manageriale, a livello di tirocinio e di cultura generale. La formazione referenti è una forma di collaudo delle abilità acquisite nei corsi di perfezionamento universitario oltre che una formazione continua per promuovere negli alunni l’apprendimento che dura lungo tutto l’arco della vita. Gli strumenti didattici sono molti e vanno dai piani di studio personalizzati al Pof che il corso rielabora a livello collegiale (programmazione didattica predisposta dagli insegnanti di ciascuna classe o sezione di scuola dell’infanzia tenendo conto degli alunni a rischio. Il corso prepara a individuare e creare un piano teorico e operativo favorevole al recupero di alunni a rischio al fine QUALEDUCAZIONE • 69 di leggere le realtà per costruire le griglie di interpretazione dell’ ambiente in cui si trova ad operare la scuola. In tal modo, si tiene conto dell’apporto dei docenti facilitatori che, ciascuno secondo le proprie competenze. media i processi interagendo opportunamente con gli alunni e facilitando la formazione in servizio dei docenti. La proposta serve a guidare i docenti referenti nel lavoro d’impostazione dei percorsi didattici che, nella molteplicità dei contributi disponibili, tengano conto anche della diversità delle situazioni oltre che della necessità di tendere all’ipotesi costruttiva. Ciò impegna anche a operare in situazioni nuove, a capire perché una cosa non ha funzionato e a trovarne una via d’uscita. Il docente referente diventa il supporter dei docenti che, in vari modi e tempi, entrano direttamente o indirettamente nel contesto dell’offerta educativa. Ogni ipotesi progettuale, se non vuole essere puramente teorica, deve avere la possibilità di essere realizzata: ciò è possibile se essa s’incardina nella realtà in cui opera la scuola che valuta le risorse, i tempi, le strategie di attuazione e individua chiaramente le finalità da raggiungere. L’autonomia scolastica accelera la tendenza ad operare per progetti e per obbiettivi. Il compito di progettare il Pof è affidato ai docenti che mettono in atto risorse e competenze professionali assumendosi la responsabilità del lavoro didattico, conseguendo livelli di qualità verificabili ecc. I soggetti dell’analisi sono gli alunni a rischio di cui bisogna raccogliere le informazioni riguardanti le loro capacità, lo stile d’apprendimento, le aspettative, la qualità del luogo di provenienza socio-culturale, le esperienze scola70 • QUALEDUCAZIONE stiche ed extra-scolastiche; la qualità della famiglia (stile educativo, aspettative nei confronti della scuola, status socio-economico); le risorse della scuola (attrezzature, materiali, professionalità dei docenti ecc.) È necessario anche verificare le risorse dell’alunno, il codice linguistico, lo stato di salute; conoscere il territorio, gli obiettivi che può raggiungere a breve, medio, lungo termine nell’ambito cognitivo, operativo, socio-affettivo; fissare gli obiettivi cognitivi ed operativi (tassonomie); raggiungere le finalità educative, privilegiare metodi e criteri di verifica e di valutazione che il docente deve acquisire per svolgere bene il suo non facile lavoro. La riflessione sulla sua scarsa produttività, a fronte delle risorse e delle energie utilizzate, sollecitano l’individuazione di nuovi modelli con cui proporre agli alunni nuovi saperi per la vita accessibili a ognuno e, soprattutto, spendibili e trasferibili in contesti sociali diversi. Note Le conoscenze specifiche che l’alunno deve apprendere riguardano i principi della Costituzione repubblicana e in particolare il diritto inviolabile di ognuno (art. 2); il riconoscimento della pari dignità sociale (art 3); il dovere di contribuire concretamente al miglioramento della qualità della vita sociale (art. 4); la fruizione della libertà religiosa (art. 8) e delle varie forme di libertà (artt. 13-21. 2 La Dichiarazione dei Diritti del fanciullo, la convenzione internazionale dei Diritti dell’infanzia, la Dichiarazione universale dei Diritti Umani in forma specifica agli anziani, disabili, diversi ecc. 3 Cfr. Giuseppe Serio, Etica Politica e amore per la vita, Cosenza, Pellegrini 2002, cap IV, paragrafo 4 p. ? 4 Art. I del Decreto Legge agosto 2008 elaborato con il contributo della Commissione Ministeria1 le nominata dal Ministro Maria Stella Gelmini. Nell’ambito del monte ore complessivo già previsto per le aree storico-geografiche-sociali alla nuova disciplina sono assegnate 33 ore annue (art. 1, secondo comma) attribuite alle risorse umane già disponibili con la legislazione vigente. 5 Sia il giudizio che il voto concorrono alla valutazione complessiva dell’alunno/studente “e, nei casi più gravi, possono determinare” la non ammissione all’anno scolastico successivo o all’esame conclusivo del ciclo. 6 Luciano Corradini in Aa. Vv. L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio (a cura di) Educazione alla salute tra prevenzione e orientamento Cosenza Editore Pellegrini1992, p. 19. 7 Luciano Corradini, op. cit p. 20 e seguenti. 8 Ibidem. La Circolare Ministeriale dell’11.10.95 n. 325, relativa alle attività di prevenzione, di educazione alla salute e di lotta contro l’insuccesso scolastico, predisposta dal sottosegretario Luciano Corradini e firmata dal ministro Giancarlo Lombardi, ha fornito una visione più ampia e flessibile dei CIC (Centri di informazione e consulenza), previsti dalla legge 162/1990. Essi sono stati definiti anche come “Centri di innovazione creativa. 10 La Commissione è stata coordinata da Luciano Corradini. 11 Giuseppe Serio, Docente o professionista? La formazione iniziale e in servizio, Cosenza, Pellegrini 2006; cfr anche il suo articolo, su questo argomento, pubblicato sul sito dell’Aspei e sul Bollettino dell’Associazione Pedagogica n. 139, Roma Armando 2008. 9 QUALEDUCAZIONE • 71 Rubrica aperta – Spazio dedicato al consenso, al dissenso, alla critica costruttiva – rubrica diretta da VINCENZO PUCCI Dopo diciassette anni, ripubblichiamo questa dichiarazione (Convegno ottobre 1992 Popoli Culture Stati). Perché lo proponiamo ai lettori e perché proprio ora? Si può rispondere in tanti modi alla domanda; preferisco darne una, nonostante tutto, nonostante la crisi finanziaria mondiale, la crisi del mercato drogato, non è certo crisi dei poveri che continua da secoli ad aumentare. La dichiarazione di speranza, per un cattolico come l’autore del manifesto, è la risorsa trasmessaci da Abramo di chi spera contro ogni speranza, di chi chiede al Signore di poter “imparare a vivere da povero” perché ci sia un futuro dignitoso per tutti (Nota del Direttore) Il curatore ospita un bel testo di Teobaldo (Theodobald = valoroso nel suo popolo) Guzzo che parla di un «pedagogista» sui generis, Paolo di Tarso, l’inviato speciale di Gesù nella New York di duemila anni fa, Roma, caput mundi. Folgorato sulla via di Damasco, Saul, guardiano dell’ortodossìa e del legalismo degli scribi e dei farisei, diventa Paolo, cioè il formidabile mediatore culturale, il portavoce del Messìa (Χριστός) grazie alla sua conoscenza delle due lingue internazionali del tempo, grazie anche alla sua complessa anima e cultura: cittadino di Roma e figlio di Israele. “Tenendo conto della sua matrice giudaica, della sua lingua greca, della sua prerogativa di civis romanus, Paolo è l’uomo delle tre culture”. Egli è magister [che fa essere di più] che si fa minister [si sente di meno e serve]. Il politicamente corretto non lo riguarda. “Accompagna la predicazione della parola con la testimonianza della vita”; oltre che educatore[edŭcat-edūcit] e maestro, è doppiamente testimone, cioè testimone e martire. La pedagogìa-prassi paolina è di straordinaria attualità, perché nasce da un costante ascolto e da un’attenta messa in atto della Parola di Dio. La conflittualità dialettica e pedagogica, è una permanente interazione dialogica; da qui scaturisce la chiaroveggenza visionaria e profetica, la concreta utopia nazarena (= Ευαγγέλιον), l’autorevolezza che valica i secoli e i millenni e fermenta nei cuori e nella vita delle generazioni che si succedono nel tempo e nello spazio. Paolo (nell’ep. Agli Efesini 4, 31) ammonisce ad “estirpare in mezzo voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza,ogni cattiveria”; sembra che abbia scritto queste parole, dopo aver guardato esterrefatto per qualche istante una delle tante trasmissioni in cui marionette e burattini, che diventano belve feroci, esprimono la fogna del sentire umano, salendo alla ribalta come effimeri e lugubri eroi di un’ umanità profanata e disperata, senza Dio. Senza correzione (παιδεία) e senza ammonizione (νουθεσία) la famiglia la scuola la società possono solo finire nell’abisso del nulla... Altro che “liberazione”! Siamo grati a Teobaldo Guzzo per queste stimolanti note e restiamo in attesa di notizie sul lavoro in corso di Rita Ferragina: «San Paolo a scuola. Alla scuola di San Paolo». Grazie. 72 • QUALEDUCAZIONE Dichiarazione di speranza (28/10/1992) Stiamo rotolando verso il 3° millennio. Le piccole e grandi “Potenze”, dopo aver saccheggiato i continenti, scoprono di avere in seno spaventose sacche di miseria e di emarginazione. Che fare? Noi, “Superciviltà dell’Opulenza”, dobbiamo imparare a vivere da poveri (per condividere… il superfluo con chi è privo del necessario). Finalmente capiamo il significato, l’urgenza e la praticabilità delle Beatitudini. Dopo 80 generazioni, il Discorso della Montagna ci appare il più concreto, equo, efficace, il più completo Manifesto per la Liberazione della Persona e dei Popoli. L’unica Rivoluzione che manterrà le Promesse. I “ricchi epuloni” continuano a pretendere diritti e privilegi di primogenitura. I “poveri Lazzaro”, dopo l’esproprio (etnico-sociale) planetario, ad opera delle “culture superiori”continuano a morire di fame, di malattie, d’ignoranza, di guerre; senza diritti, da sempre. Ricordiamoci dei doveri. Abbiamo, innanzitutto: 1) il dovere di sperare e d’insegnare a sperare a una generazione senza padri e e senza maestri (e perfino senza madri), ma, in compenso, c’è il Padre e il Maestro e c’è, tenerissima, la Madre. La speranza non è una virtù passiva, “una forma mistificata di disperazione” ma “la tigre rannicchiata che balza solo quando è il momento”(ci suggerisce Erich Fromm); abbiamo anche: 2) il dovere di alfabetizzare e di educare miliardi di creature senza voce. L’analfabeta, come cieco e muto, è impedito nello sviluppo, è indifeso contro ogni colonizzazione. Resta incompiuto, sub-umano. Dice Paulo Freire: “Falar, por exemplo, en democracia e silenciar o povo è uma farsa. Falar en humanismo e negar os homens è uma mentira”. Il grande compito degli oppressi è quello di liberare sé stessi e gli oppressori. Il sistema educativo Paulo Freire può fare miracoli nel nostro ed altrui terzomondo; abbiamo, quindi: 3) il dovere di lottare per i diritti di tutti contro lo sfruttamento, le ingiustizie, la violenza polimorfa, contro la droga e l’AIDS (SIDA) … contro l’asfittico spazio-tempo in cui ci recludonoMass Production ( la produzione di massa) Mass Consumption ( il consum[ism]o di massa) Mass Media (i mezzi di comunicazione di massa) e forse anche Mass Selection (selezione naturale di massa) dell’ingegneria genetica, per pianificare i Superbabies [= i futuri Ǖbermenschen] voluti dall’Establishment, secondo la denuncia (un grido d’allarme che rischia di annegare “in un mare d’indifferenza”) di Jacques Testart, inventore della FIVET; abbiamo, perciò: 4) il dovere di vigilare sulla politica senza radici e senza ali: sul mercante proteiforme, sullo scientista asettico, sul tecnocrate luciferino, che, associati, restano impassibili di fronte alle cupe trenodie dei popoli affamati, del pianeta martoriato, dei conflitti fratricidi (“ogni guerra è una guerra civile”). Le previsioni di Orwell e Marcuse non sono state del tutto smentite o scongiurate; abbiamo, dunque: 5) il dovere di salvare il futuro, nel QUALEDUCAZIONE • 73 presente cronòtopo, proteggendo lavoro e dignità, identità e speranza di moltitudini anonime e disperate, senza più differire: il parassitismo dei popoli ricchi è un protervo crescente suicidio. O ci si salva insieme, o si affonda insieme. La follia e ferocia inaudite, nella vicina Jugoslavia, sono un terribile monito. Ma lo sforzo congiunto di tutti i popoli può interrompere la desertificazione della Terra e dell’Uomo, può arrestare la marea necropompa che sale. Dovremmo – fermandoci al mero raziocinio – disperare, ma per fortuna (per Grazia di Dio) contro la “cultura” di morte che ha invaso ogni ambito eticosemantico (famiglia/scuola/società) non è mai venuta meno la Resistenza biòfila, la Cultura della Vita che sempre si abbevera e si disseta all’inesausta Bergpredigt (Sermo montanus: il Discorso della Montagna). Ci sono “atleti” della speranza come Chiara Lubich e Bruno Hussar che c’indicano la strada, percorrendo inediti cammini di pace, con la fede matura che si nutre di carità ed alimenta verità e giustizia, preparando la “Civiltà dell’Amore («Caritas numquam excidit» [1Cor 13,8]). (A) Bruno Hussar “accende”, nel 1970, l’esperienza di NEVÈ SHALOM (= Wahat Al-Salam = Dimora della Pace [cfr Is 32,18]), in Israele, e ci mostra cosa può essere la politica, cioè Polis Civitas (= i cittadini) animata da Ruah (= lo Spirito di Dio). Una specie di “ Field … Work in Progress”, ingenuo e affascinante, che costruisce salde strutture di pace nella mente e nel cuore [una mente robusta e un cuore tenero, preciserebbe M. Luther King]. L’ École Instrument de Paix (E.I.P.) ci conferma che occorre «desarmer l’esprit pour desarmer la main». 74 • QUALEDUCAZIONE (B) Chiara Lubich lancia, il 29/5/1991, il PROGETTO ARACELI (dall’omonima cittadella focolarina nei pressi di Sâo Paulo, in Brasile). Qui, dove trascinano il loro assurdo calvario i “meninos de rua” e dove imperversano le necrofile “pegas” [= corridas … de carros] viene proposta l’economia di comunione , cioè imprese che mettono a disposizione dei più bisognosi gli utili che ricavano, alla ricerca non del Profitto in sé ma del Benessere di tutti. Il Brasile, gigante sudamericano, può essere un grandioso laboratorio del presentefuturo dell’Uomo, se aiutato a liberarsi dai tanti “benefattori”, interni ed esteri, che gli rubano il cibo, la ricchezza e il genio, mantenendolo letteralmente schiavo (e schiavo di un cliché). Come spesso capita al Sud del mondo, compreso il nostro. Questi due paradigmi di Prassi utopiana sono complementari: (a) la convivenza fraterna di NEVÈ SHALOM e (b) l’economìa di comunione di ARACELI esprimono la plurima e unitaria azione della “sapientia cordis”, che sgorga dalla “stultitia Dei”. Il motore che le muove è la Carità, l’ energia inesauribile, che sa che il Dono è la forma più gratificante… d’investimento e che il Per-dono (e la con-divisione) è la condotta più naturale della Famiglia umana, dis-infestata da ideologie letali e da fideismi fanatici e fasulli. Se applicate con rigore dappertutto, Nevè Shalom & Araceli, possono rinnovare il mondo: esse sono la prova della perenne validità e fecondità del Vangelo, che s’incarna nella realtà quotidiana e la illumina e riscalda, la umanizza e la semplifica, senza essere semplicistica. È questa, dunque, la terza via. Perché non sperimentarla? “ Abbiamo bisogno di testimoni piuttosto che di maestri” . Di Maîtres à penser (che hanno guastato la testa e inaridito il cuore) ne abbiamo avuti fin troppi. Non si deve sprecare più tempo e denaro nella chiacchiera e nella rissa permanenti. Dedichiamo il tempo (dei Popoli) e le risorse (della Terra) ad operare secondo l’esempio di Chiara e Bruno. E l’oasi di pace conquisterà il deserto (in senso reale e metaforico), ne farà un giardino… Dopo la svolta epocale del 1989, non facciamo sfumare lo stato nascente di un Movimento che può mutare radicalmente la storia e la vita degli uomini: la Ri-nascita della Fede e della Speranza, le due ancelle della Carità (nonostante la babele di pseudoreligioni e di condotte e rituali pagani). All’angusto miraggio del Supermarket che compra e vende uomini e merci, noi preferiamo l’accesso alla Mensa d’Agàpe, frugale e gioiosa, di persone libere, di fratelli, di apòlidi … cosmopoliti! La Politica mondiale, se non moltiplica Nevè Shalom, è un camuffato gattopardismo, un pernicioso trasformismo. L’attività umana sulla Terra, se non pratica l’economia di comunione, resta una forma più o meno larvata di rapina planetaria ad opera di oligarchie e monopòli senza volto nei confronti di folle sterminate di poveri e diseredati, [che sono divenuti tali, perché espulsi con la violenza dall’originaria comunione dei beni (Gen. 1, 28-30)]. Chiara Lubich e Bruno Hussar sono pionieri delle «minoranze abramitiche» che attraversano, provvidenziali, le intercapèdini del Tempo (il Kairòs) e trasfomano la Storia. Prima della Pienezza dei Tempi, le Visioni, rielaborate dalla fantasia, hanno prodotto le mitologie. Ma Cristo Risorto non è un mito e l’Evangelo non è utopismo, bensì Fede che si fa Prassi, questa, sì, che rinnova la Terra! Non vi chiediamo di sottoscrivere (però ne saremmo felici!) ma di considerare seriamente la presente Dichiarazione come legittima Weltanschauung, come reale possibilità, come nostro … destino! L’Apocalisse [= Rivelazione] è dietro l’angolo (“Spiritus ubi vult spirat…”); se non indossiamo, per alleviarlo, il dolore del mondo, ne saremo travolti e annientati. Siamo in tempo per rimediare? Il DISCORSO DELLA MONTAGNA (che opera nella Politica di Nevè Shalom e nell’Economia di Araceli) sia l’imperativo categorico … è la nostra speranza. Impedonati nella reciproca diffidenza, catafratti dal cinismo e dall’indifferenza che ci circonda, non riusciamo a liberarci dal tafàno della noia e del dolore. «Organizziamo la Speranza»: milioni di anonimi volontari già costruiscono il futuro, a dispetto dei “Grandi” che cercano di distruggerlo. Ecco perché chiudiamo questa nostra dichiarazione – e fondata proposta – di speranza con una invocazione che implode nel cuore dei popoli da millenni: “μαράνα θά [Domine noster, veni ]”. Tortora / Praia a Mare, 28/10/1992 (Vincenzo Pucci) QUALEDUCAZIONE • 75 L’attualità della sua eredità pedagogica Paolo di Tarso, educatore e maestro di Teobaldo Guzzo «L’apostolo Paolo, figura eccelsa e pressoché inimitabile, ma comunque stimolante, sta davanti a noi come esempio di totale dedizione al Signore e alla sua Chiesa, oltre che di grande apertura all’umanità e alle sue culture. È giusto dunque che gli riserviamo un posto particolare […] per comprendere ciò che egli ha da dire anche a noi, cristiani d’oggi» (Benedetto XVI, Udienza del 2 luglio 2008). E Paolo, è indubbio, ha davvero molto da dirci, oltre che per aver messo al centro della sua vita Gesù Cristo, anche per il grande lascito di varia umanità, di cui tutti, nel tempo che viviamo, siamo chiamati a farne tesoro. Paolo di Tarso fu essenzialmente un operatore della parola. Così ce lo presenta Mons. Pietro Rossano, curando nel 1997 per le Edizioni San Paolo, la pubblicazione delle sue lettere. In lui, aggiunge, «si incontrano e si fondono due grandi civiltà della parola, quella greca e quella ebraica» ( “Introduzione generale”, § 4. “La parola e la predicazione”). Dalla parola di Paolo (del dopo l’evento di Damasco) nascono la predicazione di Cristo, la comunicazione dell’annuncio salvifico, l’educazione ai valori umani ed ai principi etici universali. Predicare, comunicare, educare: sono le tre azioni principali legate alla parola, che in Paolo trovano piena e feconda concretizzazione. 76 • QUALEDUCAZIONE Paolo parla, dunque. Ma Paolo soprattutto scrive, in un tempo in cui la scrittura non era diffusa e le conoscenze venivano tramandate oralmente dal padre ai figli, dagli anziani ai giovani. In questo speciale anno celebrativo – dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 – che Papa Benedetto XVI ha consacrato a San Paolo, nel bimillenario della sua nascita, rileggiamo in chiave educativa le Lettere scritte dall’Apostolo delle Genti per prendere più consapevolezza del suo pensiero pedagogico, in particolare, e per attualizzare oggi, in maniera davvero feconda, il suo insegnamento rivolto ai giovani nel loro rapporto con gli adulti e ai figli nel loro rapporto con i genitori. Paolo, l’educatore Paolo, dunque, è stato anche un educatore. Maestro di umanità, di virtù, di valori. Magister nel senso più autentico del termine. Gli Atti degli Apostoli tramandano che nelle primitive comunità cristiane ci sono dei “maestri”, cioè persone dedite all’insegnamento e prima ancora impegnate nello studio. «C’erano nella Chiesa di Antiochia profeti e maestri: Barnaba, Simone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno di infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo» (Atti 13,1). Saulo, menzionato con il nome greco, è il convertito, che, dopo il battesimo ricevuto a Damasco (At 9, 189), si presenta con il nome romano di Paolo. Nella Lettera ai Romani (12,6), l’Apostolo delle Genti ammonisce che «chi insegna, si dedichi all’insegnamento, chi esorta, si dedichi all’esortazione». Ognuno cioè attenda al compito per il quale è stato chiamato. L’insegnamento al tempo di Paolo nasce dallo studio delle Scritture. E lo studio della Parola di Dio a Paolo non è servito soltanto per rafforzare la sua cultura personale, quindi per consolidare la sua fede, ma anche per contribuire a far maturare l’intera personalità dell’uomo nuovo, che si era manifestato in lui. Paolo quindi rimane un eccellente maestro (didaskaloi), che continua nel presente ad istruire, ammaestrare, guidare, orientare. Il corpus delle sue Lettere (con le sette proprie e con le altre sette riconducibili al suo impegno missionario, perché scritte dai suoi più stretti collaboratori), ci consegna una eredità pedagogica, per davvero ricca di significati profondi, che interpella anche la scuola d’oggi. Quelle stesse sollecitazioni educative rivolte da Paolo all’uomo del suo tempo, rimangono, dopo duemila anni, di pregnante attualità anche per l’uomo del nostro tempo. San Paolo è eccellente interprete del pensiero cristiano. È insieme teologo e filosofo. Famoso il suo discorso nell’Areopago di Atene (At 17, 16-34) rivolto ad un attento uditorio di filosofi epicurei, che esaltavano la cultura dell’effimero e del piacere, e stoici, con la loro visione panteistica del mondo. Con le ammonizioni, le esortazioni, le indicazioni, ha dimostrato di essere anche un valente pedagogo. Passione per l’uomo, quale immenso capolavoro di Dio, ma anche attenzione per i suoi problemi comportamentali nella quotidianità dell’agire. Accompagna la predicazione della parola con la testimonianza della vita. Un esempio da seguire, un modello da imitare. I paradigmi fondamentali del suo credo pedagogico sono la conoscenza e l’ascolto. Ascoltare la voce dello Spirito e conoscere una Persona, Cristo il Risorto. Non quindi una dottrina o una teoria, sebbene affascinanti e coinvolgenti, ma una Persona. Paolo, l’uomo dell’ascolto e del dialogo Ma in Paolo prevale anche l’ascolto degli altri, ovvero delle presunte ragioni dei pagani (i cosiddetti “gentili”), e la conoscenza dei fatti, delle circostanze, degli eventi per portarli a sostegno dei suoi convincimenti. Ascoltare e conoscere sono per Paolo azioni fondamentali, sono i paradigmi del suo insegnamento, ch’è tutt’uno con l’evangelizzazione compita nell’arco di una dozzina d’anni, presumibilmente dal 45 d.C. in avanti. Con la conoscenza e l’ascolto, in Paolo è presente anche l’incontro con l’altro, il dialogo con gli altri. Ad Atene con il discorso all’Areopago, Paolo apre al diverso, allo scettico, alla cultura dominante nella città greca. Incontra gli altri, che non sono ancora cristiani, non per strapparli alla loro cultura ed imporne una nuova, diversa, antitetica rispetto alla loro, ma per discutere, argomentare, colloquiare. Paolo adotta i loro punti di vista sui quali innesterà, contemporaneamente QUALEDUCAZIONE • 77 ma senza forzature, la vera e propria azione di cambiamento. Paolo dialoga con le culture del suo tempo, dialoga con i collaboratori, primo tra tutti con Tito e Timoteo, ai quali indirizza tre lettere; dialoga ovunque con la gente comune, pagana soprattutto, da convertire al cristianesimo. Tenendo conto della sua matrice giudaica, della sua lingua greca, della sua prerogativa di civis romanus, Paolo è l’uomo delle tre culture. Gli Atti degli Apostoli riferiscono dell’incontro di Paolo con i giovani a Efeso e dell’insegnamento «a tutti quelli, giudei e greci, che abitavano in Asia nella scuola di Tiranno» (19,9), un noto retore della città. E l’insegnamento «durò per due anni» (At 19,10), nelle ore più calde della giornata. Instancabile educatore, dunque. Con la sua parola, Paolo ammonisce, esorta, insegna. Annunciando il Vangelo, parla nelle sinagoghe dei giudei e nelle piazze delle città pagane. Paolo, è bene sottolinearlo, non soltanto parla, come era d’uso nella tradizione orale del suo tempo, ma scrive. Soprattutto scrive, non a singole persone, ma ad intere comunità. Seconda ai Corinzi 12,14 Non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli 78 • QUALEDUCAZIONE Colossesi 3, 20-21 Figli! Obbedite ai vostri genitori in tutto, perché è gradito nel Signore. Padri! Non provocate i vostri figli, perché non si perdano di coraggio Il messaggio pedagogico di San Paolo non poggia, quindi, soltanto sulla tradizione (parádosis), cioè sulla trasmissione verbale di un annuncio codificato nel racconto degli evangelisti (Paolo non ha mai incontrato direttamente Gesù Cristo), ma viene anche rafforzato dalla sapienza (sophia), dalla intelligenza di argomentare per iscritto le verità del Vangelo, sia per gli iniziati (i pagani da convertire), sia per i più progrediti nella fede, che hanno già conosciuto la bontà misericordiosa di Dio. La tradizione e l’intelligenza sapienziale stanno, quindi, alla base del suo insegnamento, che è rivolto soprattutto a consolidare forti legami tra le generazioni. Paolo, il maestro Nel seguente quadro sinottico i riferimenti specifici al rapporto educativo tra i genitori ed i figli, così come vengono enunciati nelle Lettere inviate ai Corinzi (la seconda), alle comunità di Colossi e di Efeso, al suo collaboratore Timoteo. Efesini 6, 1-4 Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché ciò è giusto. Onora tuo padre e tua madre, è il primo comandamento con promessa, affinché te ne venga del bene e viva a lungo sulla terra. E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma educateli, correggendoli ed esortandoli nel Signore Prima a Timoteo 5, 1-8 Un uomo anziano non lo riprendere duramente, ma esortalo come fosse tuo padre, i giovani come fossero tuoi fratelli, le donne anziane come madri, le giovani come sorelle […] i figli imparino ad esercitare la pietà verso la loro famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, perché questo è gradito davanti a Dio. Nella seconda Lettera ai Corinzi, che può essere datata tra il 55-56, Paolo si sofferma sul tema del “sostentamento”, considerato non solo da punto di vista materiale, ma anche morale. Da Paolo sono i genitori ad essere invitati a sostenere i figli e non viceversa. I padri non esauriscono giammai i loro compiti genitoriali, che sono compiti di guida, di sostegno, di incoraggiamento. I figli debbono intervenire solo quando i genitori si trovino in gravi difficoltà. Il sostegno è soprattutto di natura umana, etica, valoriale. I genitori debbono offrire modelli di comportamenti, indicazioni operative di sostegno, orientamenti di condotta. E la famiglia, oggi, non rimane la prima, grande agenzia educativa? La Lettera ai Colossesi (scritta dalla prigionia di Roma tra il 60-61) contiene una doppia esortazione educativa. La prima è rivolta ai figli, i quali, in modo categorico, sono chiamati ad ubbidire ai genitori. L’ubbidienza paolina non contiene una azione di cieca sottomissione, ma soltanto una condivisione di scelte con il proprio genitore, quindi una assunzione di reciproca responsabilità. Il tutto dovrà essere gradito, cioè ben- accetto, al Signore. L’ubbidienza che Paolo raccomanda ai giovani nei confronti dei genitori non è di tipo servile, ma (è il caso di dire) filiale, di reciproco affetto, di contrapposta stima, di scambievole aiuto, giacché anche gli adulti hanno qualcosa da apprendere da una corretta relazione genitori-figli. L’ubbidienza, ai tempi di Paolo come al presente che viviamo, non è imposizione, è soprattutto condizione di equilibrio tra la libertà individuale dei figli e la necessaria autorità dei genitori. Si ubbidisce non sotto la paura di eventuali punizioni o, viceversa, con la prospettiva di una ricompensa, bensì come bisogno interiore per rafforzare la propria personalità. Oggi con Simone Weil, la grande filosofa del novecento, potremmo dire che «l’ubbidienza è un bisogno vitale dell’anima umana […]; essendo un nutrimento necessario all’anima, chiunque ne sia definitivamente privo, è malato […]». Due belle definizioni di ubbidienza che già in Paolo, or sono duemila anni, trovano i più antichi e nobili riferimenti filosofici. La seconda esortazione educativa, contenuta nella Lettera ai Colossesi, è rivolta ai padri. Il “non provocate” sta per il “non esasperate”, che presuppone il dialogo tra le generazioni, tra quella dei padri e quella dei figli, tra quella degli adulti e quella dei giovani. A sua volta il dialogo favorisce, anzi richiede e pretende il confronto, quindi offre la disponibilità a rivedere le proprie posizioni; rifugge dal concetto di autorità, privilegiando invece il concetto di autorevolezza. Nonostante le enunciazioni teoriche, il principio oppositivo tra autorità-autorevolezza è uno dei cardini su cui poggia anche la pedagogia contemporanea. Oggi c’è crisi di autorevolezza, mentre si registra un abbondante esercizio di autorità. Se si dovesse abusare dell’autorità, il giovane non viene aiutato a crescere con la conseguenza di un suo blocco psicologico dinnanzi alle prime difficoltà della vita. Il verso “non si perdano di coraggio” è l’equivalente del “non scoraggiate”. Lo scoraggiamento porta dritto dritto al disinteresse ed elimina, peggio annulla, tutti le gratificazioni che sono essenzialmente di natura morale. QUALEDUCAZIONE • 79 Argomenta Mons Pietro Rossano: «Dei principi educativi è scelto il più appariscente: non irritate i vostri figli, perché non si scoraggiano. Non è specificato in che cosa il ragazzo possa perdere la fiducia, probabilmente nella convivenza familiare. Il verso può essere interpretato anche così: col suo atteggiamento puntiglioso e vessatorio, che non lascia respiro, il padre scoraggia il figlio, ingenerando in lui sfiducia e apatia. Paolo vuole che i genitori ricorrano alla risorsa più inesauribile dell’animo giovanile, la buona volontà e lo spirito di iniziativa» (nota a Col. 3,21, in Lettere di San Paolo, Edizioni San Paolo, 1988). Non va dimenticata la circostanza che «le riunioni cristiane (le ekklesìai), come attestano le Lettere paoline, avvenivano in case private» (Benedetto XVI, Udienza del 2 luglio 9008). La casa è, quindi, per Paolo il luogo naturale dell’incontro (forse anche dello scontro, dialettico ovviamente) tra i padri e i figli, lo spazio entro il quale far circolare ammonizioni, esortazioni, raccomandazioni. Non va trascurato nemmeno il contesto culturale e morale in cui avveniva la predicazione di Paolo. Le comunità, poiché erano segnate dal paganesimo e soggette a divisioni (1 Cor, 5 e seguenti), potevano anche costituire motivi di momentanee divisioni tra gli appartenenti alla stessa famiglia. La Lettera agli Efesini (scritta tra il 61 e il 62, di poco inferiore alla lettera ai Colossesi) appartiene al gruppo delle cosiddette “Lettere dalla prigionia”. Le Lettere ai Colossesi e agli Efesini si possono considerare “gemelle” (Benedetto XVI, Udienza del 14 gennaio 2009), perché scritte quasi nello stesso periodo. 80 • QUALEDUCAZIONE Nei versetti 1-4 del capitolo sesto di Efesini, ritorna il richiamo all’obbedienza dei figli nei confronti dei genitori da praticare nel nome del Signore, un’esortazione con la quale Paolo sottolinea l’obbedienza di figli di Cristo, che si ottiene già con la grazia del battesimo. «La necessità di cordiali rapporti tra i padri ed i figli si fonda sul quarto comandamento del Decalogo – “Onora tuo padre e tua madre” – […] e trova la sua ragion d’essere nel Signore», annota Mons. Pietro Rossano, per il quale «l’aggettivo primo non è inteso nel senso che sia il primo della seconda serie, né che sia il più eccellente di tutti, ma sottolinea la sua importanza nella vita sociale […] ai genitori è raccomandato di educare nel Signore la prole»( cft. nota Ef 6 1-3 in Lettere di San Paolo, citato). L’ammonizione “non esasperate” – quasi identica al «non scoraggiate» della Lettera ai Colossesi – è posta in modo diretto, anche se con la negazione “non”, «L’esasperazione – continua Mons. Rossano – provoca l’ira, che sfocia in bestemmie e oltraggi». Torna qui la necessità del dialogo, dell’incontro, delle relazioni tra le persone. E in un versetto precedente (4, 31), Paolo ammoniva gli Efesini di «estirpare di mezzo a voi ogni asprezza, animosità, collera, clamore, maldicenza, ogni cattiveria». Nella prima Lettera a Timoteo, scritta tra il 65-66 (appartiene al gruppo delle cosiddette “Lettere pastorali”, cioè inviate a singoli figure di pastori della Chiesa, in particolare a Timoteo (due) e a Tito (una), entrambi stretti collaboratori di Paolo), si rinviene altra utile attuale indicazione educativa. Nei versetti 5, 1-8, l’invito è rivolto agli anziani ed ai giovani. Gli uni e gli altri membri della stessa famiglia. Gli anziani sono i padri e la madre, i fratelli e le sorelle sono i figli. In questi versetti Paolo riprende il valore del quarto comandamento, già esaminato nella Lettera agli Efesini (6, 1-3). L’ammonimento di Paolo non è solo morale, ma questa volta anche materiale. Ai genitori in difficoltà va restituito, ovvero contraccambiato il bene ricevuto da piccoli. Questo scambio di doni per Paolo non va inteso come compassione, commiserazione, compatimento, bensì come pietas romana, come riconoscimento, presa d’atto, attuazione dei doveri dei figli verso i genitori. La compassione diventa, allora, compassione, cioè capacità di condivisione, di partecipazione, di relazionarsi l’uno con l’altro. «Se dunque c’è un appello pressante in Cristo, un incoraggiamento ispirato dall’amore, una comunione di spirito, un cuore compassionevole, ricolmatemi di gioia andando d’accordo, praticando la stessa carità con unanimità d’intenti, nutrendo i medesimi sentimenti» (Ef 2,2) La grande eredità pedagogica di Paolo Ed è indubbio che anche l’educazione per essere valida, efficace e produttiva, deve togliere di mezzo la durezza del cuore, la casualità dei gesti, l’estemporaneità degli interventi, insomma tutto ciò che possa d’essere d’ostacolo alla crescita umana dei figli. I quali per essere educati –nel senso di educati bene-, debbono essere continuamente destinatari di esortazioni e di orientamenti. «Correzione (paideia) ed ammonizio- ni (nuthesia), commenta sempre Mons. Pietro Rossano (cft. Nota Ef 6,4) sono vocaboli particolarmente forti nel linguaggio biblico. La paideia è la disciplina che usa tutti i mezzi [per riportare i figli sulla retta via]; la nuthesia indica l’esortazione, l’ammonimento fatto a parole. Il binomio paideia-nuthesia riesuma, conclude Rossano, l’opera educativa del pedagogo delle scuole greco-romane, che però deve essere temperata nel Signore. Anche per l’educazione dei figli il modello da imitare è Cristo». Nella Lettera agli Ebrei (attribuita a Paolo solo a partire dal secondo secolo dopo Cristo) , al versetto 12,11, si legge che “ogni correzione sul momento, è vero, appare causa non di gioia, ma di dolore, ma più tardi porta in cambio un frutto pacifico di giustizia”, ovvero le opere buone, che procurano gioia, pace e serenità ad una vita retta e santa. Chi ti vuol bene, recita un vecchio adagio popolare dei nostri giorni, ti fa piangere, chi ti vuol male, viceversa, ti fa ridere. Questa sottile filosofia di vita, trova i sui più lontani addentellati culturali nell’ammonizione di Paolo, riportata nel citato versetto della Lettera agli Ebrei. E la correzione non va intesa come costrizione (fare o non fare una cosa), ma come aiuto a non rimanere imbrigliati nell’errore, a risollevarsi e a riprendere la giusta via. Paolo, un modello da imitare Quale conclusione si può, allora, trarre da questi brevi cenni tratti dall’epistolario paolino sul tema dell’educazione? San Paolo rimane per davvero un modello educativo da riscoprire. Un QUALEDUCAZIONE • 81 apostolo del nostro tempo. Per Rita Ferragina, docente di Filosofia, che, nell’istituto in cui insegna – il Liceo Statale ad indirizzo Pedagogico “De Nobili” di Catanzaro –, sta curando un progetto extracurricolare, dal titolo “San Paolo a scuola. Alla scuola di San Paolo”, «l’Apostolo delle genti si presenta ai ragazzi come esempio di fortezza, di costanza, di coraggio, di perseveranza. Tocca alla scuola riconoscere queste virtù, che sono umane e laiche insieme, anche come obiettivi da privilegiare in ogni iniziativa volta alla crescita della persona umana. San Paolo a scuola rappresenta una risorsa per qualificare quel complesso cammino di costruzione della persona, di quella meravigliosa creatura umana, che rappresenta, come ha scritto il grande pedagogista Comenio del seicento, l’immagine dell’ “Increata Trinità”». Paolo, quindi, un faro di luce, che rischiara le tetre ombre del disagio che vive oggi la scuola. Nelle esortazioni rivolte ai Filippesi, l’Apostolo delle Genti ammonisce: «Tutto quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica» (Fil 4, 8-9). E tutto ciò, annota Papa Benedetto XVI (Udienza del 2 luglio 2008) «non fa che riprendere una concezione prettamente umanistica, propria della sapienza filosofica stoica». E l’educazione al vero, al bene, al bello non è forse il cardine di quel pensiero pedagogico, che affonda le sue radici nella matrice personalistica cristiana sviluppatasi nel corso del secolo scorso? La dott.ssa Serena Brunelli ed il sindaco di Praia consegnano l’Impegno per la pace al dott. Nicola Gratteri, della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. 82 • QUALEDUCAZIONE Notiziario - Convegni 1. COSTITUZIONE E CITTADINANZA ATTIVA L’incontro è stato promosso dalla nostra rivista. in ricordo di Francesco D’Alessandro, Giuseppe Guzzo, Goffredo Jusi, Franco Lo giudice, Mario Valentini autentici costruttori di educazione civica in Calabria. Il convegno si è svolto nella sala della cultura dell’Editore Pellegrini secondo il seguente programma: 9.01.09 ore 15, 30, coordinatore Giuseppe Serio, Direttore di Qualeducazione, che si è soffermato sull’importanza di creare uno spazio alla nuova (non) disciplina. È intervenuta la prof.ssa Sira Serenella Macchietti, Università di Siena, che ha svolto il tema Per costruirsi come cittadini responsabili … Successivamente ha parlato il prof. Giuseppe Trebisacce dell’Università della Calabria, che ha ricordato la sua collaborazione al Centro studi e ricerche della fondazione Serio soffermandosi sulle tematiche relative al valore della Costituzione e della cittadinanza affondate in vari seminari svoltisi a Praia a Mare. Cittadinanza e Costituzione sono due parole “forti” adottate dalla recente normativa scolastica italiana (a livello internazionale si parla di civic education. Come interpretarle? Come connetterle, cioè, alle aree concettuali a cui rinviano? Come innestarle nell’organismo istituzionale di una scuola che si trasforma continuamente in modo imprevedibile? Come insegnarne i contenuti nell’ambito dell’attività didattica? Come aiutare bambini, alunni, studenti ad apprendere, accogliere critica-mente nel pensiero, praticare, negli atteggiamenti e nei comportamenti i valori, i diritti, i doveri connessi con gli ordinamenti, a livello glocale e globale? Infine, come far acquisire le competen- rubrica diretta da FILOMENA SERIO ze che, in sedi autorevoli, sono considerate “competenza/chiave della cittadinanza attiva”? Il punto di partenza delle proposte di lavoro per le scuole, è l’art 1 della L 30.10.08, n. 169 che annuncia l’attivazione di “azioni di sensibilizzazione e formazione del personale, finalizzate all’acquisizione, nel I e II ciclo, le conoscenze e le competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nel monte ore complessivo previsto per le stesse”. È in corso “una sperimentazione nazionale” che verifica le modalità con le quali la nuova norma produce al meglio i suoi effetti formativi. L’art 1 precisa che “iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia” e aggiunge che l’art. 1bis prevede che “siano attivate iniziative per lo studio degli statuti regionali”. I sondaggi rivelano un’altissima percentuale di gradimento dell’ iniziativa (anche le rappresentanze degli insegnanti, degli studenti e dei genitori hanno espresso nelle audizioni parlamentari un ampio consenso pur sotto-lineando la complessità della “non disciplina in questione”). Fra gli studiosi si nota un motivato consenso alla valorizzazione di questo insegnamento, ritenuto fondamentale per le sorti del Paese, anche se non mancano posizioni differenziate nelle soluzioni didattiche ipotizzate. In risposta all’emergenza educativa, si auspicano proposte introdotte per vie amministrativa e legislativa, come è accaduto con l’educazione alla salute e all’educazione stradale. Si tratta di “educazioni” che però non si sono mai conquistate uno spazio nel curricolo. Alle ore 18,00 si sono svolti alcuni interventi e, alle ore 19,30 Serio ha sospeso i lavori. Il 10 01.09 ore 15,30 si è aperta la seconda sessione coordinata dal prof. Giusep- QUALEDUCAZIONE • 83 pe Spadafora, Università della Calabria, il quale ha richiamato il pensiero del Dewy che ha introdotto nella scuola degli States l’educazione alla democrazia intesa come educazione alla coesistenza pacifica fra le culture. Successivamente, è intervenuto il prof. Michele Borrelli, Università della Calabria, che ha incentrato il problema della cittadinanza sull’etica del comportamento e sulla lotta alla criminalità. Infine, ha svolto una sua documentata relazione il prof. Claudio De Luca, Università della Basilicata . Ha concluso gli interventi il dirigente scolastico dott. a Maria Rosalba Lupia, Segretaria Nazionale dell’Aspei che ha richiamato le ragioni didattiche della sperimentazione della nuova disciplina introdotta nella scuola dal Ministro Gelmini. 2. Santa Maria del Cedro (CS) – Il seminario di formazione ed informazione organizzato dal dirigente scolastico prof.ssa Maria Grazia Cianciulli, tenutosi nei locali dell’Istituto Comprensivo “Paolo Borsellino”, sabato 21 febbraio c.a. , è da considerarsi , a parere di chi scrive, un evento molto interessante in un momento nel quale la Scuola Italiana si trova al centro del dibattito politico che dovrà servire, ce lo auguriamo tutti, a trovare soluzioni a vecchi, reiterati problemi e assumere linee guida strutturali fondative interfacciate, in ogni caso, col rapidissimo cambiamento socio-economico e culturale che ha carattere trans-nazionale. Se il mondo è cambiato, (ed è nel bene e nel male cambiato, mettiamocelo in testa!), cambierà in qualche modo anche la Scuola che ha sempre vissuto macroscopici ritardi legati alla lentezza delle procedure a loro volta ancorate ad alternate filosofie scarsamente prospettiche. È necessario quindi avere un quadro chiaro delle condizioni sia interne che esterne al pianeta scuola, soggette al rapido mutamento, per non abdicare al fondamentale ruolo che devono esercitare, oggi, i cittadini di ogni regione, gli uomini di pen- 84 • QUALEDUCAZIONE siero, tutte le istituzioni propense a ripristinare il “senso perduto” che risiede nella parola “Educazione”. Ci devono, in ogni caso, far riflettere le argomentazioni affrontate dai rispettivi relatori e che di seguito vengono elencati: Prof. Raffaele Nasti (Referente d’Area del Trinity College London): ”Il Quadro Comune del Riferimento Europeo delle Lingue e delle Certificazioni” ; Prof. Giuseppe Serio (Presidente ASPEI – Direttore “Qualeducazione” – “Cittadinanza e Costituzione” ; Dott.Prof. Luigi Troccoli (Dirigente Tecnico MIUR – Giornalista - “Riforma Gelmini – “Attualità e Prospettive” ; Dott. Prof. Bruno Gallo (Fenomenologo – Giornalista: “La Valutazione: Vecchi e Nuovi Criteri” ; Dott. Prof. Angela Liguoro (Dirigente Scolastico – Presidente A.E.D.E. Campania: “Prospettive del Curricolo Integrato per le Esigenze dell’Alunno Contemporaneo nel Quadro della Nuova Normativa Gelmini” ; Dott. Prof. Franco Blaiotta (Dirigente Scolastico – Sindaco di Castrovillari – “La Formazione sullo Scenario Europeo” ; Dott. Pino Assalone – Segretario Provinciale CGIL Scuola: “Dimensionamento Scolastico, Nuovi Assetti Organizzativi e Docente Unico Scuola Primaria”. I temi trattati: cittadinanza e costituzione, riforma Gelmini, educazione e valutazione, problemi curricolari, la formazione nel quadro europeo, il dimensionamento scolastico, racchiudano, in gran parte, tutto ciò che è inerente alla vita del sistema scolastico italiano di ogni ordine e grado. Le problematiche sopra evidenziate non sono affatto nuove, ma oggi si inseriscono in un contesto storico di profonda crisi economica, morale e culturale che non solo sta attraversando il nostro Paese ma va allargandosi anche e soprattutto nei paesi più “ricchi” del mondo! Se, come si dice, “Tutti i mali non vengono per nuocere”, dalla conclamata crisi dei “Valori” esistente si potrà passare alla attuazione di un “progetto educativo” del quale la “Nuova Scuola” sia la colonna portante della vita della nostra Nazione. Ciò che lascia ben sperare in un futuro migliore del nostro sistema scolastico, e quindi della società, è la presenza di tantissimi soggetti come la Dirigente Scolastica Maria Grazia Cianciulli e come la ricca schiera di docenti che amano la scuola, che amano stare accanto ai giovani studenti che sono il vero capitale umano su cui investire le nostre risorse. A conclusione delle mie brevi riflessioni sopra esposte aggiungo anche che la coordinatrice del Progetto “FORMAINFORMA”, la Dirigente – Giornalista M.G.Cianciulli, ha invitato presso l’Istituto, per la esposizione di novità editoriali, le case editrici: Loffredo;La Scuola; Bulgarini; Simone; Palumbo; Raffaello; Mondadori Education; Capitello; Atlas; La Terza; Sei; Principato; Hoepli; Medusa; Armando; Clitt; Sellerio; Zanichelli; Loescher; Cambridge; RCS; Nuova Italia; Fabbri;Bompiani; Sansoni; Etas; Hachette; Oxford; Tramontana; Calderoni; Edinumen. I Maestri del Dipartimento Musicale dell’Istituto, al termine del seminario, hanno allietato con le loro musiche i presenti in sala. Bruno Gallo 3. Muri da abbattere e … da proteggere Sciopero generale a Gerusalemme Est e in tutta la Cisgiordania con adesione pressoché totale della popolazione. Si tratta della protesta indetta da “The Civic Coalition for the Defense of Palestinians’ Rights in Jerusalem” relativa all’ordinanza del Comune di Gerusalemme che prevede la demolizione, nel quartiere di Silwan, di 88 edifici palestinesi abitati da 130 famiglie per un totale di circa 2000 persone, che verranno espropriate senza nessuna possibilità di appello. La motivazione addotta e`che trattasi di edifici costruiti abusivamente; in realta` la maggior parte degli edifici era gia` presente nel 1967 quando il quartiere fu annesso allo stato di Israele. Intorno a questa zona sono sorti negli ultimi 10 anni diversi insediamenti ebraici. È prevista la realizzazione su quest’area del “parco archeologico di re David” che secondo la tradizione biblica ospitò il re e dove sono situati il tunnel di Hezekiah, la piscina di Siloan, la sorgente di Ghon e condotto di Warren. Per l’esproprio non è prevista nessuna forma di risarcimento né in forma specifica né in forma monetaria. Dal 2005, data della prima ordinanza di sgombero temporaneamente non applicata per le pressioni internazionali, tutti i tentativi di mediazione con l’autorità municipale sono stati vani. L’opera di demolizione delle prime case è iniziata due mesi fa. Ma piu’ in generale, la demolizione di case abitate da palestinesi a Gerusalemme est e’ una prassi frequente che continua a presentarsi impunita. Pax Christi Italia, presente sul territorio in occasione dell’1 marzo - Un Ponte per Betlemme, quinto anniversario della posa della prima lastra del muro di apartheid che fa di Betlehem una prigione a cielo aperto, denuncia: a) l’ennesima ingiustizia verso la popolazione palestinese dall’inizio dell’occupazione; b) la violazione del “diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute... con particolare riguardo all’abitazione” (dichiarazione universale dei diritti umani, art 25) condivide la forma nonviolenta della resistenza messa in atto dal comitato organizzatore ed esprime la propria solidarietà nei confronti di chi lotta per difendere i propri diritti e la stessa dignità. Chiede: – all’autorita` municipale di rivedere le disposizioni precedenti e di accogliere positivamente le proposte di mediazione avanzate dal comitato; – agli enti locali dell’Unione europea di sostenere le ragioni della popolazione colpita dal provvedimento; – alla comunità europea di farsi carico della grave situazione venutasi a creare con l’occupazione dei territori pale- QUALEDUCAZIONE • 85 stinesi intervenendo in maniera incisiva e tutela dei diritti di tutti. Auspica che le comunità religiose presenti sul territorio mettano in atto strategie comuni per promuovere nella gente la consapevolezza che la costruzione della pace, assolutamente legata alla giustizia, richiede l’ostinato impegno di tutti (Pax Christi Italia 2.03.09) 4. L’Associazione Pedagogica Italiana è una delle più antiche e prestigiose associazioni culturali italiane. Fondata a Firenze negli anni Cinquanta da Giovanni Calò, insigne pedagogista del tempo, annovera tra i suoi soci gli studiosi della Pedagogia di fama a livello nazionale e internazionale. Attualmente è presieduta dalla prof.ssa Concetta Sirna, ordinario di Pedagogia Generale presso l’Università di Messina Come recita l’art. 3 dello Statuto, “L’associazione persegue – senza fini di lucro – scopi di natura culturale. Non ha carattere sindacale né collocazione ideologica, politica, religiosa, ma si avvale del dialogo fra persone di diverso orientamento culturale e valoriale per realizzare i propri scopi. In particolare si propone il miglioramento e il rinnovamento della scuola e di ogni altra istituzione a carattere educativo, nonché la valorizzazione, il potenziamento e lo sviluppo degli studi e delle ricerche pedagogiche ed a tal fine organizza ogni triennio un Congresso Nazionale di Pedagogia, teso ad approfondire una o più tematiche di particolare rilievo ed attualità in campo educativo e pedagogico. La sua opera è rivolta, prevalentemente, alla realizzazione e alla progettazione di attività quali la formazione, l’aggiornamento e la qualificazione dei docenti e di quanti s’impegnano nel settore educativo.” L’Associazione è perciò riconosciuta dal Ministero della Pubblica Istruzione come Ente qualificato per la formazione e l’aggiornamento. Tali funzioni sono assunte e svolte anche dalle sezioni locali presenti 86 • QUALEDUCAZIONE nel territorio nazionale. Pertanto, le iniziative che l’As.Pe.I. avvia coinvolgendo soggetti, istituzioni e contesti educativi, possono essere annoverate come percorsi formativi, d’aggiorna-mento e di ricerca per tutti i destinatari. 5. Guido Giugni, addio È ritornato alla Casa del Padre. Il mondo pedagogico continuerà ad ascoltarlo nella sua straordinaria produzione scientifica (50 libri pubblicati dal 1945 al 1999 con editori prestigiosi). Era nato ad Aieta, patria di centinaia di professionisti, nel 1918; era anche cittadino onorario di Praia dal 1990, su proposta della Fondazione Serio. Aveva iniziato la sua carriera di professore nel liceo scientifico di Praia a Mare (1944); l’anno successivo era passato all’istituto magistrale Lucrezia della Valle di Cosenza, poi al liceo classico di Sapri, al liceo Margherita di Savoia di Salerno, Umberto I di Napoli conseguendo sempre la qualifica di ottimo (i docenti ora non sono più qualificati). Nel 1954 il MPI lo nominò direttore responsabile dell’Educa-zione Fisica presso il Centro Didattico Nazionale (non è esiste più); nel 1956 vinse il concorso ad ispettore centrale della P.I. (funzione che non esiste più, ora vi sono gli ispettori tecnici del MPI); nel 1961 vinse il concorso di libero docente di pedagogia; insegnò nell’università di Napoli. Nel 1962, lascia Napoli per Perugia dove fu chiamato come professore incaricato di Pedagogia generale; nel 1971 il MPI gli conferì l’incarico di direttore del Centro Nazionale Didattica: contemporaneamente svolgeva ruoli di alto livello culturale (ispettore centrale del MPI, direttore del Centro Nazionale Didattico, professore universitario, di direttore del Centro nazionale di Orientamento professionale. È il periodo di massima notorietà: Collabora alla RAI come esperto di pedagogia; membro dell’Istituto Regionale di Ricerca Educativa dell’Umbria, della Consulta nazionale delle riviste pedagogiche nel perio- do (1985-2000) in cui chi scrive queste note, era il coordinatore nazionale, dona 800 volumi alla biblioteca comunale di Praia. A maggio prossimo, la comunità scientifica della fondazione Serio lo ricorderà come maestro indimenticabile nella sessione inaugurale del Convegno internazionale che si svolgerà a Praia a Mare dal 21 al 23 maggio di quest’anno (“Educazione all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola e nelle istituzioni”) al quale interverranno due dei suoi allievi prediletti, i proff. Antonio Pieretti, pro-rettore dell’università di Perugia, e Gaetano Mollo, direttore dell’Istituto di Pedagogia della stessa università. Il prof. Giugni era stato sempre presente come relatore ai convegni della fondazione Serio ed era stato anche collaboratore di Qualeducazione, rivista internazionale di Pedagogia, che, nel fasc. 73 pubblicherà la sua bio-bibliografia essenziale curata dalla compagna della sua vita, la prof. a Ada Lettieri. Giuseppe Serio 6. Educare all’onestà, oggi, nella famiglia nella scuola nelle istituzioni L’Associazione culturale Gianfrancesco Serio ha realizzato con successo il XV convegno internazionale, in collaborazione all’università della Calabria, all’Associazione Pedagogica Italiana e con il patrocinio delle Amministrazioni comunali di Praia e Scalea. Dopo anni di obbligata lontananza, il 56° evento culturale della benemerita associazione, è ritornato nella sua sede naturale in virtù del nuovo clima ripristinato dall’assessore alla cultura Pietro De Paola. All’evento hanno partecipano 11 università di cui 2 europee; 30 tra relatori, presidenti di sessione, coordinatori delle tavole rotonde, 9 intervenuti (tra cui i sindaci di Praia, dott. Carlo Lomonaco, e di Scalea, dott. Mario Russo con i rispettivi assessori alla Cultura). Hanno partecipato 65 dottorandi, ricercatori, studenti universitari di Catania, Cosenza, Messina, Palermo, Ragusa; docenti dell’UCIIM, dell’Aspei, dell’Associazione docenti europei. Sono entrati in rete il Museo comunale, la Pro loco cittadina, il Centro di Attività Musicali Ensemble vocale; Il Pro Rettore dell’Università di Perugia, prof. Antonio Pieretti che ha aperto i lavori leggendo il messaggio del Presidente della Repubblica. Il 23 è stato presente il dott. Nicola Gratteri, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che ha confermato all’Associazione il suo impegno di promozione della cultura della legalità dopo Madre Teresa di Calcutta, Antonino Zichichi, Don Antonio Riboldi, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Mandela ecc. Tra i relatori, hanno offerto elevati contributi culturali Luciano Corradini, cittadino onorario di Praia; Concetta Sirna (Presidente nazionale dell’ Associazione Pedagogica), Don Giovanni Mazzillo, teologo della pace; Don Marcello Cozzi, vice-presidente di Libera; Gianni Novello della Pax Christi; i proff. Benner dell’università di Berlino, Giuseppe Spadafora e Michele Borrelli dell’Unical; Sira Serenella Macchietti e Sergio Angori dell’università di Siena; Simon Villani e Graziella Scuderi dell’Università di Catania ecc. Il seminario, nella ricerca delle regole di vita fondate sull’onestà, si è rivolto ai docenti della scuola, destinatari privilegiati e interessati nel ri-pensare il Piano dell’offerta formativa del prossimo triennio; inoltre si è rivolto agli studenti universitari e ai dottorandi interessati per le loro tesi di laurea sul tema dell’onestà. La Comunità scientifica dell’Associazione Serio – a nome del Popolo calabrese e alle città di Praia e Scalea –, ha invitato il dott. Gratteri a continuare la sua opera di alacre magistrato, con tenacia e intelligenza che convoglia la solidarietà delle persone oneste. La Rai TV, come sempre, ha redatto il servizio curato da Carla Monaco QUALEDUCAZIONE • 87 mandandolo in onda il 25 maggio nella rubrica “Buon Giorno Regione”, nel TG delle 14 e poi in quello delle 19.20. Il presidente dell’Associazione ha ringraziato le Amministrazioni comunali delle due città per aver patrocinato e reso possibile un processo di gemellaggio culturale tra i due centri della riviera calabra di ponente, grazie alla creatività dell’Assessore alla cultura De Paola che ha fatto pervenire all’Associazione presieduta da Giuseppe Serio un comunicato stampa in cui, tra l’altro, si sottolinea l’alto livello culturale dell’evento (dal messaggio del Presidente della Repubblica alla sessione dei giovani, coordinata da Egidio Lorito. 7. ENCICLICA “CARITAS IN VERITATE” Vulgata dell’Agenzia Asca L’ECONOMIA NON È SOLO PROFITTO MA DONO E GIUSTIZIA SOCIALE Il mercato, se ridotto alla mera logica del “profitto” e dello scambio in vista di un guadagno, “non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare” e “non può risolvere tutti i problemi sociali”; per questo, l’attività economica deve aprirsi anche all’apporto di altri di soggetti e di altre ‘logiché, a cominciare da quella della “gratuità” e del “dono” propria del messaggio cristiano, senza dimenticare l’importanza di “leggi giuste” e di “forme di ridistribuzione guidate dalla politica” e assicurate dagli Stati. Si può riassumere così la concezione del mercato e dell’economia esposta da papa Benedetto XVI nella parte centrale della sua enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. Il pontefice chiarisce che la Chiesa non è, di principio, contraria al mercato e all’ “agire economico” e di non condividere “la visione di quanti pensano che l’economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio”. “La Chiesa – chiarisce papa Ratzinger – 88 • QUALEDUCAZIONE ritiene da sempre che l’agire economico non sia da considerare antisociale” e, anzi, “la società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse ‘ipso facto’ la morte dei rapporti autenticamente umani”. Allo stesso modo, però, il papa ammonisce che “l’attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile” e non a caso “la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato”. Per promuovere la “emancipazione” dell’uomo, e soprattutto dei poveri, l’economia “deve attingere energie morali da altri soggetti che sono capaci di generarle”. Tra questi, naturalmente, Ratzinger mette in primo piano il messaggio cristiano, e la sua ‘logica’ del “dono” e della “gratuità” che “come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica”, non solo alla luce dell’attuale crisi mondiale ma anche per “un’esigenza della stessa ragione economica”. Allo stesso tempo, però, non bisogna mai dimenticare le esigenze della giustizia e dell’equità, che non devono essere mai disgiunte dalla pratica economica. “Forse un tempo era pensabile affidare dapprima all’economia la produzione di ricchezza per assegnare poi alla politica il compito di distribuirla. Oggi tutto ciò risulta più difficile, dato che le attività economiche non sono costrette entro limiti territoriali, mentre l’autorità dei governi continua ad essere soprattutto locale”. “STOP A PRECARIETÀ, LAVORO DECENTE PER TUTTI”. Garantire a tutti “l’accesso al lavoro” – e anzi a un lavoro “decente” –, rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e anche – a meno che non comporti reali benefici per entrambi i Paesi coinvolti – la “delocalizzazione” dei posti di lavoro: papa Benedetto XVI, nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’, lancia un forte appello contro la frequente “violazione della dignità del lavoro umano” nel mondo contemporaneo, che spesso sta alla radice della “povertà”. La “dignità del lavoro”, scrive infatti papa Ratzinger, spesso viene violata “sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono – prosegue il pontefice citando Giovanni Paolo II – svalutati i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia”. “La dignità della persona e le esigenze della giustizia – argomenta il testo dell’enciclica – richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti”. Tutti, insomma, hanno diritto a un lavoro “decente”. Ma cosa significa, si chiede il papa, “la parola ‘decenza’ applicata al lavoro?”. “Significa – è la risposta – un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna: un lavoro scelto liberamente, che associ efficacemente i lavoratori, uomini e donne, allo sviluppo della loro comunità; un lavoro che, in questo modo, permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione; un lavoro che consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli, senza che questi siano costretti essi stessi a lavorare; un lavoro che permetta ai lavoratori di organizzarsi liberamente e di far sentire la loro voce; un lavoro che lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale; un lavoro che assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa”. Il papa mette in guardia da una eccessiva “mobilità” e “deregolamentazione” del mercato del lavoro, che rischia di compromettere il “capitale umano” dei lavoratori: “Quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale”. Non a caso, è proprio “la scienza economica a dirci che una strutturale situazione di insicurezza genera atteggiamenti antiproduttivi e di spreco di risorse umane, in quanto il lavoratore tende ad adattarsi passivamente ai meccanismi automatici, anziché liberare creatività”. Allo stesso modo, forti riserve avanza ‘Caritas in veritate’ sui processi di “delocalizzazione” della produzione e del lavoro. Papa Ratzinger non nega che, in linea di principio, la “delocalizzazione, quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale”. Ma, ricorda, “non è lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile”. Inoltre, prosegue il pontefice, la “delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”. Infine, questo processo ha portato ad una “competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro”, che ha comportato però “la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i QUALEDUCAZIONE • 89 diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale”. In questo modo, “i sistemi di sicurezza sociale possono perdere la capacità di assolvere al loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri”. Alcune riflessioni il papa le dedica anche al ruolo dei sindacati che, ricorda, sono “ da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa”. Il pontefice invita le organizzazioni sindacali a “instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale” per contrastare quei “governi” che, “per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità negoziale dei sindacati stessi”. Ancora più che ai tempi della prima enciclica sociale della Chiesa, la ‘Rerum novarum’ di Leone XIII del 1891, è necessario oggi “dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti”. Papa Ratzinger invita però i sindacati a rinnovarsi, “superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria” e riflettendo sul “conflitto tra persona-lavoratrice e persona-consumatrice”: “Senza dover necessariamente sposare la tesi di un avvenuto passaggio dalla centralità del lavoratore alla centralità del consumatore – scrive infatti il papa –, sembra comunque che anche questo sia un terreno per innovative esperienze sindacali”. “LAVORATORI IMMIGRATI NON SIANO SOLTANTO UNA MERCE”. Gli stranieri che arrivano dai Paesi più poveri in quelli più ricchi in cerca di un lavoro “non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro” e hanno “diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”. Lo scrive papa Benedetto XVI, nella sua terza enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. Il fenomeno delle migrazioni, scrive il pontefice, “impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale”. 90 • QUALEDUCAZIONE L’immigrazione è, quindi, “fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica – prosegue papa Ratzinger – va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano” e “va accompagnata da adeguate normative internazionali”. “Nessun Paese – ammonisce il papa – da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo” ed è per questo che, anche se la sua gestione rimane “complessa” e “nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione”, non si può dimenticare che i “lavoratori stranieri” recano “un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie” e “ovviamente” “non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro”. “Ogni migrante – conclude il papa – è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”. “ACQUA E CIBO DIRITTI UNIVERSALI. SERVONO RIFORME AGRARIE”. “L’alimentazione e l’accesso all’acqua” sono “diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni”. Lo afferma con chiarezza papa Benedetto XVI, nella sua terza enciclica, ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. “Il diritto all’alimentazione, così come quello all’acqua – si legge nel testo –, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita”. Il pontefice condanna anche con forza l’ “accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua”, che “può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte”. Allo stesso modo, la ‘Caritas in veritate’ chiede il coinvolgimento delle “comunità locali nelle scelte e nelle decisioni relative all’uso della terra coltivabile” e una “equa riforma agraria nei Paesi in via di sviluppo”. Per la Chiesa, infatti, “’dare da mangiare agli affamati’, è un imperativo etico”, da perseguire con ancora più determinazione nel tempo presente nel quale “la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale”. “Manca – spiega infatti il papa – un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da cause naturali o dall’irresponsabilità politica nazionale o internazionale”. “DIVARIO RICCHI-POVERI È UN RISCHIO. RIVALUTARE RUOLO STATO”. “L’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all’interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l’aumento massiccio della povertà in senso relativo tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia”. Lo scrive papa Benedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi, aggiungendo che l’aumento del divario tra poveri e ricchi ha “un impatto negativo sul piano economico” perché provoca la “progressiva erosione” del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile”. Il papa afferma però che, anche se la globalizzazione e l’aumento dell’interconnessione globale ha ridotto per certi versi il potere e la capacità di azione degli Stati, “ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato”. Anzi, grazie alla necessità di trovare una “soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze”. “Oggi – argomenta il pontefice – facendo tesoro della le- zione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra più realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado, anche attraverso nuove modalità di esercizio, di far fronte alle sfide del mondo odierno”. “CONTRO CRISI ALIMENTARE PRENDERE IN CONSIDERAZIONE OGM”. Di fronte alla crisi alimentare mondiale, “potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell’ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate”: un’apertura, anche se prudente e velata, che papa Benedetto XVI fa nei confronti degli organismi geneticamente modificati (Ogm) nella sua terza enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. Per affrontare il problema dell’ insicurezza alimentare potrebbe altresì risultare “utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell’ambiente e attente alle popolazioni più svantaggiate”. Infatti, “sostenendo mediante piani di finanziamento ispirati a solidarietà i Paesi economicamente poveri – scrive Benedetto XVI – perché provvedano essi stessi a soddisfare le domande di beni di consumo e di sviluppo dei propri cittadini, non solo si può produrre vera crescita economica, ma si può anche concorrere a sostenere le capacità produttive dei Paesi ricchi che rischiano di esser compromesse dalla crisi”. “DIFENDERE SIA VITA CHE AMBIENTE. O DANNEGGEREMO ENTRAMBI”. La difesa dell’ambiente e quella della vita “dal concepimento alla morte naturale” de- QUALEDUCAZIONE • 91 vono andare di pari passo oppure si creerà una “grave antinomia della mentalità e della prassi odierna” che finirà per “avvilire la persona, sconvolgere l’ambiente e danneggiare la società”. Lo afferma papa Benedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate”, collegando – come già aveva fatto in occasione della messa di Pentecoste dello scorso 31 maggio – l’ecologia “ambientale” con quella “umana”. “La Chiesa – scrive infatti il pontefice – ha una responsabilità per il creato, e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico”. Ma questa responsabilità, oltre alla difesa dell’aria, dell’acqua e della terra, deve puntare soprattutto “a proteggere l’uomo contro la distruzione di se stesso”. “Il degrado della natura – argomenta infatti papa Ratzinger – è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana”: per il papa, “se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale”. Difesa dell’ambiente e difesa della vita, del matrimonio, della famiglia, della sessualità cattolica sono come pagine del “libro della natura uno e indivisibile” e “i doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri”. “RIFORMARE FINANZA PER IMPEDIRE SCANDALOSE SPECULAZIONI”. La finanza va regolata per “impedire scandalose speculazioni” che provocano “effetti deleteri sull’economia reale” e cercano solo il “profitto di breve termine”. Lo scrive papa Benedetto XVI in alcuni passaggi della sua enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. Il pontefice mette in guardia da “un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa”. Oggi, è la sua analisi, il “mercato dei capitali” è “stato fortemente liberalizzato e le moderne mentalità tecnologiche possano 92 • QUALEDUCAZIONE indurre a pensare che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico”. E se “non c’è motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito all’estero piuttosto che in patria” è necessario però salvaguardare “i vincoli di giustizia, tenendo anche conto di come quel capitale si è formato e dei danni alle persone che comporterà il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso è stato generato”. “Bisogna evitare – scrive ancora il pontefice – che il motivo per l’impiego delle risorse finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilità dell’impresa a lungo termine, il suo puntuale servizio all’economia reale e l’attenzione alla promozione, in modo adeguato ed opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo”. Bollino verde, invece, nell’enciclica arriva nei confronti del microcredito e della microfinanza, esperimenti che “affondano le proprie radici nella riflessione e nelle opere degli umanisti civili – penso soprattutto alla nascita dei Monti di Pietà –”, e che “suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno”. “I loro effetti positivi – scrive il papa – si fanno sentire anche nelle aree meno sviluppate della terra”. Queste esperienze vanno “rafforzate e messe a punto, soprattutto in questi momenti dove i problemi finanziari possono diventare drammatici per molti segmenti più vulnerabili della popolazione, che vanno tutelati dai rischi di usura o dalla disperazione”, non solo nel Sud del mondo ma anche nei Paesi ricchi, particolarmente “in una fase di possibile impoverimento della società stessa”. L’enciclica esprime anche un parere favorevole sul commercio “equo e solidale”, purché “non s’associno a simili esperienze di economia per lo sviluppo visioni ideologiche di parte”. “PER FUNZIONARE BENE ECONOMIA HA BISOGNO DELL’ETICA”. “L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento”. Lo scrive papa Be- nedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’, precisando: “Non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”. Il papa loda gli sviluppi della “finanza etica, soprattutto medianto il microcredito e, più in generale, la micronfinanza” ma, aggiunge, “occorre adoperarsi perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura”. Allo stesso modo, il pontefice mette in guardia da un uso della parola ‘etica’, “ideologicamente discriminatorio, lasciando intendere che non sarebbero etiche le iniziative che non si fregiassero formalmente di questa qualifica”. Per papa Ratzinger, invece di distinguere tra “imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit)” bisogna tenere in considerazione la “ampia area intermedia” tra questi due modelli sorta negli ultimi decenni. Essa, spiega, è “costituita da imprese tradizionali, che però sottoscrivono dei patti di aiuto ai Paesi arretrati; da fondazioni che sono espressione di singole imprese; da gruppi di imprese aventi scopi di utilità sociale; dal variegato mondo dei soggetti della cosiddetta economia civile e di comunione”. Per papa Ratzinger, “il fatto che queste imprese distribuiscano o meno gli utili oppure che assumano l’una o l’altra delle configurazioni previste dalle norme giuridiche diventa secondario rispetto alla loro disponibilità a concepire il profitto come uno strumento per raggiungere finalità di umanizzazione del mercato e della società” ed è quindi “auspicabile che queste nuove forme di impresa trovino in tutti i Paesi anche adeguata configurazione giuridica e fiscale”. “Esse – conclude il pontefice –, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme tradizionali di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici. Non solo. È la stessa pluralità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo”. “GLOBALIZZAZIONE VA GOVERNATA MA NO A PROTEZIONISMI”. Di fronte alla “globalizzazione” non bisogna assumere “atteggiamenti fatalistici” perché, come già detto da papa Giovanni Paolo II, essa “a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno”. Lo scrive papa Benedetto XVI nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’. Se da una parte, ragiona infatti il pontefice, il processo di mondializzazione “è stato il principale motore per l’uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità”, dall’altra “potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico”. Quel che conta, quindi, è “governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano”. Per papa Ratzinger, anche in questa fase di crisi mondiale, “la diffusione delle sfere di benessere a livello mondiale non va frenata con progetti egoistici, protezionistici o dettati da interessi particolari”. Allo stesso tempo, è però importante che gli uomini non siano “vittime, ma protagonisti” del processo di globalizzazione: “Opporvisi ciecamente sarebbe un atteggiamento sbagliato, preconcetto, che finirebbe per ignorare un processo contrassegnato anche da aspetti positivi, con il rischio di perdere una grande occasione di inserirsi nelle molteplici opportunità di sviluppo da esso offerte”. Essi, infatti, “adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l’intero mondo”. Bisogna, quindi, “correggerne le disfunzioni, anche gravi, che introducono nuove divisioni tra i popoli e dentro i popoli e fare in modo che la ridistribuzione della ricchezza non avvenga con una ridistribuzione della povertà o addirittura con una sua accentuazione”. “ONU E ONG COSTOSE E BUROCRA- QUALEDUCAZIONE • 93 TICHE. ORA NUOVO GOVERNO GLOBALE”. “Gli Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi”. La denuncia arriva da papa Benedetto XVI, che nella sua enciclica ‘Caritas in veritate’ mette l’accento sui costi eccessivi e sulla poca trasparenza di organizzazioni internazionali – come l’Onu e le sue agenzie – e Ong, fino ad arrivare a chiedere la nascita di una “vera Autorità politica mondiale”. Per il pontefice, in alcuni casi, “chi è destinatario degli aiuti diventi funzionale a chi lo aiuta e che i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche che riservano per la propria conservazione percentuali troppo elevate di quelle risorse che invece dovrebbero essere destinate allo sviluppo”. Per questo, prosegue, “sarebbe auspicabile che tutti gli Organismi internazionali e le Organizzazioni non governative si impegnassero ad una piena trasparenza, informando i donatori e l’opinione pubblica circa la percentuale dei fondi ricevuti destinata ai programmi di cooperazione, circa il vero contenuto di tali programmi, e infine circa la composizione delle spese dell’istituzione stessa”. Ma per il papa anche questo potrebbe non bastare e i problemi dell’attuale assetto internazionale sono strutturali. Quindi, aggiunge, “di fronte all’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale”. Di fronte alle molteplici sfide globali, dalla crisi alle migrazioni, dal riscaldamento globale al disarmo, oggi “urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale” già auspicata da papa Giovanni XXIII. Per papa Ratzinger, “una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla re- 94 • QUALEDUCAZIONE alizzazione del bene comune” e, inoltre, dovrà essere “da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti”. “Ovviamente – aggiunge –, essa deve godere della facoltà di far rispettare dalle parti le proprie decisioni, come pure le misure coordinate adottate nei vari fori internazionali. In mancanza di ciò, infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti”. In particolare, il papa mette l’accento sul principio della “sussidiarietà” che dovrebbe ispirare il nuovo governo mondiale. Si tratta, spiega, “di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione”: “Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico – conclude –, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace”. “DIFESA VITA CREA SVILUPPO MA OCCIDENTE IMPONE DENATALITÀ”. “L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo” ma, nei Paesi poveri, Ong, governi e donatori internazionali impongono spesso aborto, controllo delle nascite e sterilizzazione in cambio degli aiuti allo sviluppo e dei fondi dei programmi internazionali di sostegno. È la forte denuncia contenuta nella terza enciclica di papa Benedetto XVI, ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi i Vaticano. Per il papa, non solo “alcune Organizzazioni non governative operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promuovendo talvolta nei Paesi poveri l’adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli”: c’è anche il “fondato sospetto” che, “a volte”, i Paesi poveri siano vitti- me di una sorta di ricatto e che “gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione di un forte controllo delle nascite”. A questo scenario si aggiunge il fatto delle “preoccupanti” “legislazioni che prevedono l’eutanasia” e delle “pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico”. Papa Ratzinger non manca di sottolineare come gli aiuti internazionali siano stati spesso “distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità che si annidano sia nella catena dei soggetti donatori sia in quella dei fruitori” e denuncia poca trasparenza e eccessivi costi burocratici di Ong e organismi internazionali. Ma soprattutto, la sua attenzione si concentra sul “tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli”. A bloccare lo sviluppo non sono solo gli “alti tassi di mortalità infantile” dovuti alla povertà ma anche le “pratiche di controllo demografico” e le “politiche di forzata pianificazione delle nascite” ancora diffuse in varie parti del mondo, dove i governi “diffondono la contraccezione e giungono a imporre anche l’aborto”. Per il papa, “considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico”, come dimostrano i “segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità”. “Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita – prosegue –, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”. Non a caso, il pontefice registra come nei “Paesi economicamente più sviluppati”, le “legislazioni contrarie alla vita” siano ormai “molto diffuse” e abbiano ormai “condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale”. Il papa però non esclude che si debba “prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile”, senza ridurre la sessualità “a mero fatto edonistico e ludico” o “semplice fonte di piacere”. Per il papa, un ruolo centrale in questo ambito deve averlo la famiglia, mentre i programmi di “educazione sessuale” non possono ridursi “a un’istruzione tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi o dal ‘rischio’ procreativo”. Quindi, per papa Ratzinger “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica”. “Grandi Nazioni – argomenta – hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, Nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere. La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto ‘indice di sostituzione’, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “ cervelli “ a cui attingere per le necessità della Nazione. Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà”. “Proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio” diventa allora, per il pontefice, “una necessità sociale, e perfino economica,”. “In questa prospettiva – conclude –, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società, facendosi carico anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura relazionale”. QUALEDUCAZIONE • 95 “TERRORISMO E ATEISMO DI STATO MINACCIANO LIBERTÀ RELIGIONE”. Tra i fenomeni che oggi minacciano lo sviluppo, c’è anche la “negazione del diritto alla libertà religiosa”, rappresentata non solo dal “terrorismo a sfondo fondamentalista” e dal “fanatismo religioso” ma anche dalla “promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico da parte di molti Paesi”. Lo afferma papa Benedetto XVI, nella sua terza enciclica ‘Caritas in veritate’, diffusa oggi. Per papa Ratzinger, anche se nelle “lotte” e nei “conflitti” che nel mondo si “si combattono per motivazioni religiose” a volte la matrice religiosa “è solo la copertura di ragioni di altro genere, quali la sete di dominio e di ricchezza”, resta il fatto che ancora oggi “spesso si uccide nel nome sacro di Dio”. Queste violenze “frenano lo sviluppo autentico e impediscono l’evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico e spirituale”, soprattutto nel caso del “terrorismo a sfondo fondamentalista, che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impiego pacifico e civile”. Accanto a questi fenomeni di fanatismo religioso che “impedisce l’esercizio del diritto di libertà di religione”, però, il pontefice segnala però il rischio della “promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico da parte di molti Paesi” che “contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane”. “Dio – spiega infatti papa Ratzinger – è il garante del vero sviluppo dell’uomo” e per questo “quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all’amore divino”. Questo rischio diventa poi ‘contagioso’ quando i “Paesi economicamente sviluppa- 96 • QUALEDUCAZIONE ti o quelli emergenti esportano nei Paesi poveri questa visione riduttiva della persona e del suo destino”. “È il danno – conclude il papa – che il ‘supersviluppo’ procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal ‘sottosviluppo morale’”. “DA CULTURA DI MORTE SCENARI INQUIETANTI PER FUTURO UMANITÀ”. Le biotecnologie, l’aborto, l’eutanasia, la clonazione e l’eugenetica sono segni di una “cultura di morte” sempre più diffusa che apre “scenari inquietanti” per il futuro dell’umanità . Lo scrive papa Benedetto XVI in conclusione alla propria enciclica ‘Caritas in veritate’ dedicata ai temi dello sviluppo mondiale. Per il pontefice, al giorno d’oggi, “la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell’uomo”. Per papa Ratzinger, “stupisce” che da una parte si condanni il degrado sociale ed economico e dell’altra si tollerino “ingiustizie inaudite” in campo bioetico. “La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita”, argomenta il pontefice, che invita quindi a non “minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la ‘cultura della morte’ ha a disposizione”. “Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto – mette infatti in guardia il pontefice – si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto – prosegue –, va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta”. “Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana” che rendono difficile, secondo papa Ratzinger, la possibilità di uno sviluppo globale. “Come ci si potrà stupire dell’indifferenza per le situazioni umane di degrado – si chiede –, se l’indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è?”. “Stupisce – prosegue – la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto. Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano. Dio svela l’uomo all’uomo; la ragione e la fede collaborano nel mostrargli il bene, solo che lo voglia vedere; la legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale”. “CARITÀ SÌ, MA NELLA VERITÀ E CONTRO IL RELATIVISMO”. “Caritas in veritate”, “la carità nella verità”: è questo il titolo scelto da papa Benedetto XVI per la sua terza enciclica, dedicata – come spiegato nel titolo – al tema dello “sviluppo umano integrale nella carità e nella verità” e rivolta “ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, ai fedeli laici, e a tutti gli uomini di buona volontà”. 127 pagine, 79 paragrafi corredati da 159 note a pie’ di pagine, quasi 30mila parole, 530mila copie già stampate dalla Libreria Editrice Vaticana per il lancio di oggi. Il titolo, come di consueto, è tratto dalle prime parole della prima frase, che infatti recita: “La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”. Mettendo al centro della sua riflessione il concetto di “carità nella verità”, papa Rat- zinger ha scelto, consapevolmente, di rovesciare una famosa espressione di San Paolo, che nella lettera agli Efesini parla invece di “veritas in caritate”: la verità, per l’Apostolo delle Genti, va letta nel quadro e ‘a servizio’ di quella che carità che “non avrà mai fine” ed è la “più grande” delle virtù e delle capacità del cristiano. Papa Ratzinger – come spiega egli stesso nei primi paragrafi della sua nuova enciclica – ha preferito invece mettere l’accento sulla “verità” da esprimere nella carità perché “consapevole degli sviamenti e degli svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico e, in ogni caso, di impedirne la corretta valorizzazione”. “La carità – spiega – va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità”, contribuendo così ad “accreditare la verità, mostrandone il potere di autenticazione e di persuasione nel concreto del vivere sociale”: un risultato, commenta il pontefice, “di non poco conto oggi, in un contesto sociale e culturale che relativizza la verità, diventando spesso di essa incurante e ad essa restio”. “Senza verità – mette ancora in guardia –, la carità scivola nel sentimentalismo” e “l’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente”. In “una cultura senza verità”, l’amore è infatti fatalmente “preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario”. Invece, per il pontefice, “la verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale”. Anche nella sfera globale, spiega Ratzinger, “un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”; senza “un vero e proprio posto per Dio nel mondo”, “senza la verità – denuncia –, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni”. QUALEDUCAZIONE • 97 Non a caso, il pontefice ripete qui la sua condanna dell’“attuale contesto sociale e culturale, in cui è diffusa la tendenza a relativizzare il vero”. Contro queste tendenze, conclude, “vivere la carità nella verità 98 • QUALEDUCAZIONE porta a comprendere che l’adesione ai valori del Cristianesimo è elemento non solo utile, ma indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo umano integrale”. Recensioni Andrea Porcarelli, Cammini del conoscere, Giunti, Firenze 2008, pp. 142, E 9.50 Il saggio fa parte della collana della Giunti “Diogene, filosofia on the road”. La metafora del cammino non serve all’Autore solo per dare, con la dovuta sinteticità, il titolo al volume: essa è utilizzata sistematicamente per tutto lo svolgimento del discorso, dalla prefazione di sapore autobiografico, che rintraccia nel vissuto infantile e adolescenziale la “pulsione interna” per l’“avventura della conoscenza”, alla conclusione bibliografica, intitolata “taccuino di viaggio”. In esso si indicano i testi di cui l’Autore si è servito in maniera antologica, per “nutrire la mente” del lettore, durante lo svolgimento dell’avventura cognitiva, immaginata con un’allieva chiamata Cristina, eco letteraria del dialogo educativo vissuto fra Cartesio e la regina Cristina di Svezia. Andrea Porcarelli affronta il tema dell’educazione dell’intelligenza in generale e dell’educazione al pensiero filosofico in particolare, attraverso la consolidata metafora del cammino, utilizzata qui in modo originale e suggestivo, sulla base della sua non comune esperienza di viaggiatore, di escursionista e di scalatore, formatosi durante anni di giovanile militanza nello scautismo. La narrazione infatti è ambientata in una serie di escursioni nei luoghi più svariati e con le più diverse tipologie di terreno e difficoltà: a ciascun terreno corrisponde (in senso metaforico) un contesto o una modalità di apprendimento. a cura di F. SERIO L’intreccio fra gli scenari e gli itinerari immaginati e realisticamente descritti, e il dialogo didattico ed educativo fra docente e discente, è condotto senza forzature, con lo stupore di chi riesce a mettere la sua competenza “tecnica” di escursionista e la sua competenza culturale di docente di filosofia a servizio della sua allieva e di tutti gli allievi a cui è dedicato questo esempio di dialogo formativo. Non mancano, fra gite ed escursioni, spedizioni interessanti di gruppo, come quella finalizzata a raccogliere funghi: il che serve per parlare di cooperazione e di discussione, con l’aiuto di Cicerone, di Aristotele e con quello delle dispute medievali, di cui si forniscono suggestive citazioni, fruibili anche didatticamente. Vengono in mente al lettore (ma l’autore si guarda bene dal citare imbarazzanti confronti con l’“alta fantasia” del sommo Poeta) alcune situazioni tipiche dei tre viaggi danteschi, in cui la descrizione dei “luoghi” e delle avventure anche corporee dell’Allievo di Virgilio e di Beatrice si sposa con l’evocazione di tutto il sapere utile a commentare i vissuti di questo illustre Allievo, per consentire a lui e a tutti i suoi lettori di conquistare non solo conoscenza, ma fiducia in se stesso, sicurezza e maturità umana. Con altro ricordo a noi più vicino si può evocare quanto Mauro Laeng diceva dell’esperienza di suo padre Gualtiero, insigne naturalista, che ricercava e elaborava studi e proposte didattiche attraverso le sue escursioni sulle Alpi. E lui stesso di pre- sentava come viaggiatore (fu a lungo membro del direttivo del Touring Club) che metteva la sua curiosità, le sue ricerche e le sue conquiste conoscitive, ad un tempo scientifiche, filosofiche, psicologiche e pedagogiche, a disposizione dei suoi allievi e dei suoi molti lettori, anche attraverso la rivista Didattica delle scienze. Torniamo a Porcarelli. Che cosa vuol dire apprendere? In che senso la gioia del conoscere si esprime nella meraviglia? … e quando la conoscenza diventa “faticosa”? C’è una dimensione “amorosa”, una “passione”, che porta a desiderare la conoscenza? E se questa produce sofferenza, come suggerisce la Bibbia? Come rapportarsi con l’esperienza dell’errore e dei pregiudizi? Si tratta di domande che accompagnano la vita di ciascuno di noi, soprattutto quando ci interroghiamo sul mistero affascinante della nostra conoscenza e sulle sfide che continuamente essa rivolge da millenni all’intelligenza umana. Più ancora tali interrogativi accompagnano il lavoro degli educatori e degli insegnanti, che si chiedono come aiutare le persone loro affidate a progredire nel cammino della vita, di cui il “cammino della mente” rappresenta non l’unica, ma certamente una dimensione importante. Tra le esperienze che ho avuto modo di condividere con Porcarelli vi è quella dei seminari estivi di formazione organizzati dall’UCIIM e da lui diretti, in collaborazione con il Comando Truppe Alpine: esperienze veramente uniche, che hanno con- QUALEDUCAZIONE • 99 sentito ai docenti partecipanti di formarsi su tematiche di grande attualità, in particolare sull’educazione alla pace e alla cittadinanza, proposte “dai luoghi della guerra”, nel suggestivo scenario dolomitico, in cui si è potuto fare esperienza di una formazione all’aperto: in tali occasioni effettivamente il cammino fisico compiuto con l’aiuto di guide esperte ed il cammino della conoscenza si intrecciavano in sintesi sempre nuove. E a qualcuno dei meno giovani, come il sottoscritto, è capitato di ricordare e di mettere a frutto le esperienze vissute nei “campi scuola” della GIAC degli anni ’50, dove s’interiorizza “dal vivo” lo schema della vita come ascesi e come compagnia, anche attraverso le “lezioni attive” proposteci dai “capi”. In effetti il contesto dell’apprendimento, direttamente vissuto o ricostruito con l’immaginazione, gioca un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità personale. Il cammino potrà essere piano e gradevole, ma capiterà anche di incontrare terreni incerti e scivolosi. Per questo conviene dedicare, come fa Porcarelli, un’attenzione speciale alla motivazione dell’allievo e alla qualità del dialogo con lui. Si può sviluppare, in questo dialogo, un interesse (Eros per i greci) che “mette le ali” all’anima e le consente di raggiungere le più alte vette della conoscenza: il che, nell’intreccio degli itinerari metaforici, è rappresentato da un’appassionante ascensione sui ghiacciai del Monte Rosa. Questo non significa che nell’esperienza del conoscere manchino le difficoltà, come sappiamo anche per esperienza diretta. Ma anche gli “incidenti critici” che si verificano sul cammino della conoscenza (simili ad alcune “scivolate” che si possono 100 • QUALEDUCAZIONE sperimentare camminando sui pendii bagnati dopo una pioggia abbondante), possono essere istruttivi e aiutarci a crescere, così come cresciamo imparando dalle nostre esperienze e dai nostri errori. Tutto il testo è pervaso anche da un’altra istanza, una metafora nella metafora, che è quella di pensare a come il cammino dell’apprendimento (rappresentato dall’allieva Cristina) s’ intreccia con il percorso di colui che insegna (rappresentato dall’io narrante dell’autore), evidenziandone, anche sulla scorta delle classiche analisi di Agostino e di Tommaso, la funzione e la responsabilità. Diceva don Milani che “il sapere serve solo per darlo”. Se è pur vero che l’apprendimento è anche fonte di gioie che sono premio a se stesse, a mano a mano che progredisce il cammino della conoscenza dovrebbe crescere contestualmente la volontà di accompagnare altri su tale cammino: una gioia spirituale che, se viene condivisa, risplende di una luce ancora più vivida. Nel racconto, che è anche riflessione e meditazione, compaiono situazioni e concetti che si trovano sparsi qua e là nella ricerca didattica contemporanea sulle conoscenze, sulle abilità, sulle competenze, sugli obiettivi, sui progetti e sui percorsi. Il camminare, vissuto e rievocato, è più vicino alle esistenze delle persone, e consente di vivere l’esperienza della “fatica del concetto” di hegeliana memoria, a partire da sensazioni, da emozioni e da eventi conosciuti o almeno rappresentati con l’immaginazione e con l’identificazione nel racconto del maestro. In fondo ogni classe dovrebbe essere un po’ come uno scenario di montagna e come una palestra di roccia, in cui il docente “fa sicurezza”, e ogni insegnante un po’ come Cartesio, alla ricerca di una sua regale Cristina: la quale però, dato che la fantasia può correre, dovrebbe avere abitudini non così mattutine come la regina di Svezia, e non addormentarsi durante una lezione di… alpinismo culturale. Andrea Porcarelli, Lineamenti di Pedagogia sociale, Armando, Roma 2009, pp. 176, E 16,00. Sarà capitato a molti, come al sottoscritto, di occuparsi di pedagogia sociale senza saperlo, ossia senza avere riflettuto, con attenzione epistemologica, su quel tipo di sapere che è comparso col nome di Sozialpaedagogik solo nel 1899, con Paul Natorp, e che da noi è arrivato in primis per l’impegno teorico di Aldo Agazzi, Carlo Perucci e Mario Mencarelli: i quali, in dialogo non sempre esplicito con i colleghi di ascendenza deweyana, come Raffaele Laporta, hanno aperto una strada utile ad ottenere la piena disciplinarizzazione della pedagogia sociale in sede accademica. Mauro Laeng le ha dedicato un’apposita voce, affidata a Domenico Izzo, nella sua Enciclopedia pedagogica, solo nell’ultimo volume (Appendice A-Z, La Scuola, 2003). Gli autori citati, nel corso degli anni ’70, anni caratterizzati dal ribollire di un magma sociale spesso sequestrato da istanze di tipo movimentistico, politico e giuridico, si sforzarono di guadagnare un punto alto, ma non fumoso, di riflessione pedagogica, utile a capire e a cambiare la realtà sociale, senza confondere il “nuovo” sapere con la pedagogia generale, con la filosofia sociale, la sociologia dell’educazione, o addirittura con l’educazione sociale. Sono giunti poi, motus in fine velocior, i lavori di Claudio Volpi, Luisa Santelli, Giuditta Alessandrini, Vincenzo Sarracino, Mario Pollo, Franco Blezza, Luigi Pati. Un ulteriore contributo, utile a chiarire questa materia e a presentarla agli studenti in modo insieme chiarificatore e formativo, sobrio e “nutriente”, viene ora da questi Lineamenti di Andrea Porcarelli, che mi pare abbia sostanzialmente raggiunto l’obiettivo di fornire una panoramica complessiva della genesi e della natura teorica e pratica di questa disciplina, a partire dalle sue radici greche, con l’abilità di non cadere nelle secche dell’epistemologismo spinto, e neppure di naufragare nel mare magnum della società, dei suoi conflitti e del suo sempre problematico e insieme indispensabile compito educativo. Le discussioni di natura epistemologica sull’identità della PS come scienza trovano una naturale continuità nella riflessione che – in conclusione della prima parte del libro (p. 77 e sgg.) – si interroga sulla “cultura professionale” degli educatori che sono investiti di una responsabilità esplicita a livello sociale. La seconda parte del libro propone una selezione esemplificativa di alcuni grandi temi della pedagogia sociale, con l’intento di mostrare come i catalizzatori teorici messi fuoco nella prima parte possano venire messi “alla prova” in alcuni contesti specifici. Di particolare interesse è il tentativo di rileggere il senso complessivo dei più celebrati documenti internazionali (UNESCO, OCSE, UE) in una prospettiva pedagogico-sociale, di tipo personalistico, che valorizza, come sfondo integratore, la Dichiarazione universale dell’ONU sui diritti uma- ni. L’A. si chiede quali possano essere le “leve pedagogiche” per la rigenerazione delle competenze sociali e civiche di cui parla la stessa UE. Senso del “noi” da ricostruire, ai diversi livelli (familiare, scolastico, locale, regionale, nazionale europeo e mondiale) col ricupero di “grandi narrazioni” troppo presto liquidate, sono le premesse per la costruzione di una “città interiore” che intercetti quanto resta della “città educativa” di Edgar Faure (1972), con l’impegno di ricuperarne, anche nella logica della sussidiarietà e del volontariato, le valenze formative ancora da esplorare nella società mondializzata, multiculturale e informatizzata del nostro tempo. Luciano Corradini Nicola Gratteri Antonio Nicaso Valerio Giardina, Cosenza, ’ndrine, sangue e coltelli, Cosenza, Pellegrini 2009, pp. 190 E 15.00 Dopo il successo del saggio/ denuncia Fratelli di Sangue; del Grande Inganno ad opera dei primi due coautori e di Michele Borrelli per la parte didattica; arriva quest’altro, sempre ad opera dei primi coautori a cui si aggiunge il tenente colonnello dei Carabinieri Giardina, noto investigatore della Procura di Reggio Calabria. A Gratteri, sostituto Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, recentemente la Fondazione Culturale Gianfrancesco Serio di Praia a Mare ha conferito il 15° Impegno per la pace nell’ambito delle tre giornate del convegno internazionale sull’Educazione all’onestà (già conferito a Madre Teresa di Calcutta, Antonino Zichichi, Don Antonio Riboldi ecc.). Con Nicaso e gli altri ha pubblicato i tre libri – editi da Pellegrini – ottenendo grande successo, soprattutto nel mondo giovanile in cui gli Autori hanno raccolto e raccolgono consensi significativi da parte di studenti e intellettuali impegnati nell’ educazione alla legalità. Cosenza, ’ndrine, sangue, coltelli è il primo volume della nuova collana editoriale voluta da Walter Pellegrini che, sin dal primo volume della precedente collana, Il filo di Arianna, che si è soprattutto occupata delle mafie in prospettiva storica, ha dimostrato e dimostra il coraggio necessario di un grande editore meridionale che si propone di far conoscere non solo e non tanto al vasto pubblico interessato al problema della piovra quanto, soprattutto, ai mondi della politica sporca e collusa con le mafie e della Politica autentica presente sulla frontiera dell’onestà. Seguiranno poi i volumi riguardanti le altre quattro province della regione bruzia. La ’ndrangata non va solo raccontata, ma spiegata, capita, combattuta, anzi, prevenuta “inforcando occhiali con lenti bifocali” per spaziare nel globale dove si occupa di tutto essendo nelle condizioni di poter comprare tutto, anche la politica (sporca) e nel locale… dove sa infiltrarsi con astuzia … Chi legge questo libro, a primo acchito, si sente a disagio, diventa triste, disorientato, sgomento! Si rende conto che i fatti tragici, avvilenti raccontati dai tre Autori aprono la finestra da cui si scorge un mondo diverso da quello in cui ci si illude di vivere… Le lenti bifocali dischiudono il “globale” (in cui operano spregiudicatamente uomini senz’anima – i mafiosi, appunto –) e il “locale” sulla punta del nostro naso: quelle lenti di Gratteri, Nicaso e Giardina mettono sotto i nostri QUALEDUCAZIONE • 101 occhi smarriti la Calabria vera, la Cosenza vera gestita da “un mix di sangue e potere”; altro che l’isola felice di cui si è tanto stupidamente parlato con il falso linguaggio di una certa Cosenza in cui si è sviluppato “un sistema disumano di violenza”, un’orribile connessione di finanza e politica. Le mani sporche di sangue di certi delinquenti, vestiti con gli abiti dei potenti, si sono posate, invece, dappertutto: su droga, usura, rifiuti tossici, prostituzione, lavoro nero … Ma la ’ndrnagheta, – dicono gli Autori – non è invincibile! La si può vincere se il potere assume il volto del servizio civico e se i giovani, la Scuola, l’Università, la Chiesa si organizza coraggiosamente per abbattere il muro dell’ipocrisia, come dice Badolati nella Prefazione; se con gli Autori anche i lettori, i cittadini della Calabria, “onestamente” , “amaramente” riflettono sulla storia degli ultimi 50 anni di “litanie false” e dolorosamente nefande; se tutti, oggi, riflettiamo Schede Franco Emilio Carlino, La scuola che cambia. Ieri e oggi vista dal di dentro, Grafosud Rossano 2006 C’è la prefazione dell’ispettore del MIUR Franco Martignon il quale dice che “l’autore colloca la sua testimonianza fra gli elementi stessi del cambiamento e il suo ‘io c’ero’ fa diventa- 102 • QUALEDUCAZIONE seriamente sull’analisi devastante di Eugenio Facciolla con cui si conclude il volume. La riflessione serve per sperare, ciascuno a seconda del ruolo che gli compete (magistrato o politico o prelato o cittadino) in un futuro fondato sull’onestà a condizione che ciascuno lo sia sempre e dappertutto (nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni). Dunque, grazie agli Autori e all’Editore per il regalo dell’estate 2009. Giuseppe Serio Antonia Rosetto Ajello Dalla piramide al batterio. Pedagogia del lavoro e delle risorse umane per la pubblica Amministrazione Milano 2009, Franco Angeli editore Nella Piramide sono collocate geometricamente gli elementi irrazionali e a-razionali che costituiscono il mondo del lavoro: fabbriche, uffici e negozi che “sono le strutture della vita organizzata secondo una razio- nalità strumentale in cui i rapporti si vuole seguano direzioni e piste ben definite.” (dall’Introduzione, p. 7). L’A fa riferimento, nel corso della sua originale o quanto meno poco praticata attività di ricerca, a “filosofi e pensatori di matrice diversa” (Idem, p12). Le tematiche affrontate hanno un vasto fondamento bibliografico da Bobbio a bufera, da Maritain a Morin, a Weil) passando dalle Coordinate pedagogiche per ripensare il lavoro al Cambiamento organizzativo nella Pubblica Amministrazione e negli Enti Locali; dai Nodi cruciali per una gestione formativa delle risorse umane alle Conclusioni ragionate della ricerca in cui Rosetto Ajello esprime la sua convinzione “che sia possibile sen’altro migliorare la qualità della vita” (p. 130) per dare all’uomo che lavora fiducia e speranza nel futuro (in cui responsabilità e cittadinanza orientino l’attività umana rispettosa delle “regole” di vita. Giuseppe Serio rubrica diretta da F. SERIO BRUNELLI re vissuto ciò che solitamente è narrato, rende diretto ciò che abitualmente è raffreddato dal documento o appannato dall’incertezza delle prove”; il volume raccoglie, perciò, le espressioni “della vita in diretta” di un docente cattolico impegnato.. Segue l’introduzione dall’autore che, dopo aver riepilogato le sue precedenti pubblicazioni, afferma di non voler “interrompere il ritmo frenetico del mio lavoro” e trova anche il modo di continuare a “riflettere sul cammino fatto e fare una accurata analisi, in questi anni, realizzato”. L’analisi si estende per tutta la lunghezza di circa 300 pagine del libro passando per i seguenti argomenti Autonomia e rifor- ma scolastica (Cap. I suddiviso in 61 argomenti); Formazione e funzione docente (Cap. II in 45 sottotitoli); Problemi e gestioni degli organi collegiali (Cap. III, 50); L’orientamento scolastico e professionale (Cap. IV, 20 tematiche); L’impegno associativo nell’ UCIIM (Cap. V, l’Appendice in 19 punti della storia della sua sezione e della sua fedeltà e coerenza associativa. Insomma, è un’analisi panoramica e, qua e là, anche puntuale di tematiche forti che hanno fin qui caratterizzato il percorso critico e non sempre rettilineo del processo di sviluppo del sistema scolastico italiano. Per questa enorme, vasta testimonianza, tra l’altro anche documentata, credo che si debba dire grazie a Carlino per aver contribuito a costruire la storia della scuola dell’Italia repubblicana. (G.S.) Franco Carlino (a cura di), Le attività della Sezione giorno dopo giorno. Bilancio di un sessantennio, Grafo Sud Rossano 2007 Il curatore, come già in passato, ha raccolto i “Percorsi” della Sezione UCIIM di Rossano che rappresentano le attività svolte durante l’arco di sessant’anni dai soci di Rossano Calabro in cui si sono succeduti vari presidenti tra cui Anna Biscazza Madeo e il curatore del saggio. Si tratta della raccolta degli atti della sezione e dei documenti che l’hanno accompagnata lungo i suoi sessant’anni di vita prosperosa ed evolutiva. Ministero per i Beni e le Attività culturali, Libro bianco sul dialogo interculturale, Vivere insieme in pari dignità, Strasburgo 7 maggio 2008 Consiglio d’Europa, Ministri degli Affari Esteri. Tous differents, tous ègaux. Come rispondere alla diversità delle persone nel mondo globalizzato? La risposta è del Ministro Bondi assieme ai suoi 47 colleghi europei. Nella prefazione, il Ministro sottolinea che il libro è stato elaborato dal Consiglio d’Europa ed è lo “strumento per per promuovere la cultura del dialogo democratico, rafforzare la cittadinanza partecipativa” (p. 7) sviluppando una sensibilità interculturale che sia capace di promuovere la cultura della convivenza pacifica, fondata, naturalmente, sulla giustizia sociale. Segue la presentazione di The Right Homorutable Terry Davis, Segretario Generale del Consiglio d’Europa, il quale precisa che “il dialogo interculturale è un lavoro in continuo divenire” nell’ Europa e nel mondo in trasformazione veloce e continua.. L’importante strumento conclude il libro con 11 raccomandazioni sulla lotta al razzismo e alle discriminazioni razziali. lo dedica ai figli affinché “coltivino responsabilmente la cultura del risparmio” proprio in un momento in cui il consumismo si manifesta senza regole, senza responsabilità., con lo stile della cicala che mangia e canta senza pensieri per la testa. Nella prefazione alla I Edizione si legge che “il risparmio è un principio dell’Educazione” (G Jusi, indimenticabile educatore, autentico Maestro, dolcissimo amico ritornato nella Casa del Padre da alcuni anni). Jusi contina precisando che “Luigi Pellegrini non ha inteso risolvere il problema né ha voluto una definizione della didattica del risparmio”, bensì ha offerto preziosi suggerimenti ai docenti della scuola primaria svolgendo delle considerazioni tuttora valide e preziose. (G.S.) Luigi Pellegrini, La didattica del risparmio, Cosenza, Editore Pellegrini, pp. 42, 2007 II edizione. Nella copertina, curata da Francesco Lupinacci, campeggia un salvadanaio geometrico che sintetizza l’idea con cui Pellegrini senior da vita alla nuova collana dell’Editrice (da lui fondata nel 1952): Educazione alla responsabilità; un’idea forte per accogliere altri saggi come il suo in contro-tendenza con la moda contemporanea nel campo dell’Economia e dell’Etica. Il saggio, infatti, QUALEDUCAZIONE • 103 Stampato da Pellegrini Editore Cosenza