Che cos’è la malattia di Parkinson? La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa ad andamento progressivamente ingravescente. dovuta ad una degenerazione di particolari cellule nervose (neuroni dopaminergici della sostanza nigra) siti nel tronco dell'encefalo. L'attività di questi neuroni, connessi con altri centri celebrali (gangli basali), è di produrre la dopamina, un neurotrasmettitore che intermedia la comunicazione tra le cellule nervose. Quando si presenta la malattia, la dopamina viene a mancare e si crea uno squilibrio tra i centri nervosi che controllano i movimenti automatici. In definitiva, il morbo di Parkinson è caratterizzato dalla perdita dei gruppi cellulari in grado di facilitare il movimento attraverso la secrezione di dopamina. Questo comporta l’insorgere della classica triade che definisce il morbo di Parkinson: • bradicinesia, riduzione della mobilità autonoma e volontaria senza riduzione della forza muscolare; • rigidità, spesso asimmetrica, di tipo plastico, per cui cercando di muovere un arto di un soggetto con morbo di Parkinson si ha la sensazione di piegare un tubo di piombo o di modellare la cera; • tremore a riposo, a 4-6 cicli per secondo, che si differenzia per il tremore intenzionale (durante il movimento) tipico delle malattie cerebellari. Il tremore esordisce nelle porzioni distali degli arti, per il cui soggetto sembra contare le monete. Quali sintomi possono accompagnarsi alla malattia di Parkinson? Oltre alla triade di base molti altri sintomi si possono associare a completare un quadro molto variabile da paziente a paziente. • • • • • • • • alterazioni posturali (correlate alla rigidità ma comprendenti anche perdita del controllo posturale con frequenti cadute) disturbi soggettivi delle sensibilità ridotta velocità dei movimenti oculari scialorrea (difficoltà alla deglutizione) disfunzioni vegetative disturbi del sonno turbe dell'affettività sono molto frequenti nei pazienti con malattia di Parkinson; una alterazione delle capacità cognitive è presente invece in circa un quinto dei pazienti, con caratteristiche che differenziano la demenza dei parkinsoniani che sembra legata ad un maggiore interessamento dei lobi frontali (compromissione visiva spaziale, alterazioni della fluenza verbale, etc). Quali sono i soggetti più colpiti? Questa patologia colpisce generalmente soggetti oltre i cinquant'anni, con una leggera prevalenza per il sesso maschile; attualmente in Italia ci sono più di 200.000 malati di Parkinson, con circa dagli 8.000 ai 12.000 nuovi casi l'anno. È diffusa in tutto il mondo ma ha minore incidenza in Cina e Africa. IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] La malattia è genetica? L'ipotesi ereditaria non pare confermata da studi su gemelli identici: la diagnosi di Parkinson in uno dei due non aumenta la probabilità che l'altro fratello possa contrarre la malattia, quantomeno in forma conclamata. Studi più recenti, effettuati per mezzo della tomografia ad emissione di positroni, sembrano attribuire all'ipotesi genetica un'importanza maggiore. Certamente esiste una componente ereditaria nella predisposizione a sviluppare la malattia, ma solo il 10% circa dei malati ha un familiare affetto. La componente genetica sembra essere più importante nei casi ad esordio precoce. Come progredisce la malattia? È variabile ma nella maggior parte dei casi si ha una lenta ed inarrestabile progressione. In base alla prevalenza di alcuni sintomi e segni piuttosto che altri si possono distinguere due forme di evoluzione: • • forma ipercinetica dominata dal tremore, con età di esordio più precoce, evoluzione meno invalidante e più lenta forma acinetico-ipertonica dominata da rigidità ed acinesia, più rapidamente invalidante. Come si può diagnosticare la malattia? La diagnosi si basa su: VISITA NEUROLOGICA: per verificare la presenza di almeno due dei tre sintomi descritti precedentemente, di cui uno deve essere tremore o lentezza dei movimenti; TEST FARMACOLOGICI, utilizzando apomorfina (stimolante del recettore dopaminergico) oppure levodopa, che forniscono informazioni sulla funzionalità del recettore dopaminergico; ESAMI STRUMENTALI (TC o RMN), che possono dare informazioni anatomiche molto dettagliate sulle strutture cerebrali coinvolte; ESAMI DI TIPO FUNZIONALE (PET o SPECT) con vari traccianti per valutare la funzionalità recettoriale o l’attività dei nuclei tramite studi sul flusso ematico. Cosa sono i cosiddetti “Parkinsonismi”? I parkinsonismi sono sindromi che presentano sintomi simili a quelli del morbo di Parkinson, ma con una precisa origine, e differenti per decorso, prognosi e terapia. Il parkinsonismo infettivo comprende quello postencefalitico (da encefalite letargica o da malattia virale dei bambini) e quello sifilitico, conseguente a sifilide cerebrale. I parkinsonismi tossici sono dovuti a esposizione lavorativa prolungata a manganese, mercurio, solfuro di carbonio o a intossicazione acuta da ossido di carbonio. Frequenti sono i parkinsonismi da farmaci neurolettici (per blocco dei recettori della dopamina), che in genere scompaiono con la sospensione della terapia o con l'assunzione di farmaci anticolinergici. Il parkinsonismo dovuto ad arteriosclerosi cerebrale colpisce l'età avanzata, ed è associato a vari altri sintomi neurologici; risponde poco alla terapia. Ricordiamo ancora un parkinsonismo post-traumatico (per esempio, in vecchi pugilatori), un parkinsonismo neoplastico, da tumori intracranici, e IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] quadri degenerativi complessi, a prognosi sfavorevole (degenerazione nigro-striatale, sindrome di Shy-Drager). Altri esempi di parkinsonismo sono rappresentati dalla atrofia sistemica multipla, la paralisi sopranucleare progressiva, la degenerazione cortico-basale e la malattia da corpi di Lewy diffusi; queste ultime, però, sono caratterizzate dalla coesistenza di ulteriori sintomi, non caratteristici della malattia di Parkinson, come l’instabilità posturale, la progressione rapida, grave disartria/disfagia, insoddisfacente Risposta alla levodopa, segni di disfunzione del sistema autonomo o di altri sistemi neuronali ed Anomalie movimenti oculari. Come si può curare il Parkinson? Fino ad oggi non esiste alcuna terapia che arresti definitivamente il corso della malattia perché il processo degenerativo impoverisce sempre di più il patrimonio neuronale della sostanza nera e degli altri nuclei grigi colpiti nella MP; comunque, è possibile contrastare efficacemente, anche per lunghi periodi, il peggioramento clinico con opportune terapie sintomatiche: tra queste vi sono la terapia farmacologica, il trattamento riabilitativo e la neurochirurgia funzionale. La Levodopa resta il cardine della terapia farmacologica antiparkinsoniana. Gli altri farmaci sono rappresentati dagli inibitori degli enzimi che degradano la Levodopa (MAO e COMT) e gli agonisti dopaminergici, gruppo di farmaci che hanno la possibilità di determinare un effetto antiparkinsoniano attraverso l’attivazione dei recettori post-sinaptici dopaminergici. Cosa sono le terapie infusionali? Le terapie infusionali sono strategie terapeutiche che consentono di somministrare in maniera continuativa il farmaco, così da determinare una stimolazione dopaminergica costante e ridurre i fenomeni di “off motorio”. In tale categoria di farmaci rientra l’Apomorfina, che viene introdotta sottocute tramite piccoli aghi e collegata ad un piccolo apparecchio elettronico, e la Duodopa, somministrata per via intraduodenale attraverso una gastrostomia percutanea, per consentire alla Levodopa di disperdersi direttamente nel duodeno, sito di elezione del suo assorbimento intestinale. A chi è destinata la terapia infusionale? Il trattamento infusionale è generalmente riservato ad un sottogruppo ristretto di pazienti agli stadi più avanzati della malattia, complicati da fluttuazioni importanti della risposta clinica alla levodopa non gestibili attraverso le più comuni strategie terapeutiche. Come viene impostata la terapia farmacologica? Gli schemi farmacologici vanno adattati all’età del paziente, agli anni di malattia, alla presenza di disturbi cognitivi e vegetativi associati, e soprattutto alle esigenze lavorative e personali del paziente. Vi è oggi un ampio consenso nel ritenere che, nei pazienti al di sotto dei 65-70 anni di età sia conveniente dilazionare l’uso della LD: questo allo scopo di ritardare la comparsa delle complicanze motorie spesso associate con l’uso di questo farmaco. Si potranno usare agonisti dopaminergici, selegilina, amantadina e, nei pazienti con prevalente tremore, anche anticolinergici. Nel giro di qualche anno si arriverà comunque alla necessità di aggiungere LD alle terapie iniziali, allo scopo di contrastare in maniera più decisa la disabilità funzionale associata al progressivo peggioramento dei sintomi della malattia. Solo in un limitato numero di pazienti sarà possibile continuare la terapia con agonisti dopaminergici o altri farmaci per molti anni o addirittura permanentemente. Nei pazienti con oltre 65-70 anni di età, e comunque quando sono presenti disturbi cognitivi, è invece consigliabile iniziare da subito la terapia con LD, che resta il farmaco antiparkinsoniano più efficace e meglio tollerato. Anche in questo gruppo di pazienti si può IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] arrivare ad una politerapia se compaiono fluttuazioni motorie (la cui frequenza e la gravità sono inferiori rispetto ai pazienti più giovani). Nei soggetti con disturbi cognitivi l’uso della LD è giustificato dal minor rischio di effetti collaterali psichiatrici rispetto agli altri farmaci antiparkinsoniani. Che cos’è la Deep Brain Stimulation? La neurochirurgia stereotassica è una tecnica che permette di dirigere uno strumento verso un bersaglio cerebrale utilizzando delle coordinate matematiche e che permette la stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation) tramite un microelettrodo inserito all’interno del nucleo cerebrale. Attualmente il target d’elezione della neurochirurgia funzionale per la malattia di Parkinson è la stimolazione cronica del nucleo Subtalamico I risultati d’insieme sono rimarchevoli: la stimolazione produce principalmente il miglioramento controlaterale di tutti i sintomi parkinsoniani. Inoltre vi è un miglioramento indiretto delle ipercinesie indotte dalla terapia antiparkinsoniana, in quanto è possibile una sostanziale riduzione delle dosi della LD e degli agonisti dopaminergici (riduzione media del 60% rispetto a prima della chirurgia). Un altro indice importante di miglioramento dovuto alla stimolazione è quello della qualità della vita: per tutti i pazienti il miglioramento globale della qualità di vita è stato significativo. C’è da dire che non tutti possono sottoporsi a questo intervento chirurgico: solo un 5-10% circa dei malati risponde ai rigidi criteri d’inclusione previsti. Candidati all’impianto STN sono essenzialmente i pazienti parkinsoniani con gravi fenomeni on-off, marcata acinesia e rigidità, in cui fluttuazioni motorie non possono più essere migliorate da ulteriori aggiustamenti farmacologici, in assenza di deterioramento cognitivo ed altre malattie organiche rilevanti. È utile praticare attività sportiva e coltivare i propri hobby? La ricerca dimostra che facendo regolarmente del moto i malati di Parkinson migliorano l’agilità e quindi anche l’autonomia, l’umore e il benessere. La ricerca geriatrica evidenzia inoltre che le persone anziane (anche sane) devono impegnarsi maggiormente dei giovani per affrontare o prevenire malattie che si manifestano con l’avanzare dell’età, quali l’osteoporosi (perdita di massa ossea) e la sarcopenia (perdita di massa muscolare). Il movimento protegge dall’osteoporosi, dalla debolezza muscolare (rischio di cadute!), dall’arteriosclerosi e dalla demenza, e in più ha un effetto antidepressivo. Soprattutto nel Parkinson – malattia nella quale gli automatismi motori sono «congelati» e devono periodicamente essere stimolati e allenati – è enormemente importante muoversi regolarmente e con costanza. Non esiste uno sport migliore dell’ altro, tra i più gettonati lo sci, il nuoto, il running, il ciclismo e tra le donne, lo yoga, il Pilates o il ballo. Per chi è meno sportivo ma ha un hobby culturale è bene non spegnere questo interesse che è fonte di motivazione, piacere e condivisione. Bisogna prestare attenzione però alla eccessiva propensione alle attività di hobby, in quanto questa può nascondere un effetto indesiderato dei farmaci dopaminergici; vi sono ad esempio pazienti che impegnano tutto il loro tempo a disporre francobolli sul tavolo o nel collezionare oggetti i più strani oppure sono affaccendati in infinite attività meccaniche o di falegnameria che assorbono loro tutte le risorse mentali. Tutto questo è patologico e dovrebbe essere riferito al neurologo curante. IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] Che ruolo ha la fisioterapia nel trattamento della Malattia di Parkinson? La terapia riabilitativa specifica rappresenta un necessario e imprescindibile completamento della terapia farmacologica antiparkinsoniana. Nella malattia di Parkinson non è alterato tanto il movimento volontario, quanto la preparazione di questo e l’insieme di meccanismi che partecipano all’esecuzione dello stesso, per renderlo rapido e preciso allo scopo. Nel paziente parkinsoniano non c’è una paralisi di un singolo movimento, ma piuttosto una difficoltà ad eseguire movimenti fini, come per esempio cucire, o complessi, come per esempio marciare o parlare: attività in cui l’esercizio, l’abitudine, l’esperienza hanno introdotto una importantissima quota di automaticità che si fonde alla volontarietà con cui normalmente si inizia e si finisce un’azione. Pertanto il paziente parkinsoniano riesce a compiere i movimenti volontariamente attraverso la via piramidale, ma senza il supporto di quell’automatismo che li rende fluidi e rapidi. Di conseguenza la riabilitazione non è finalizzata non solo a ridurre le complicanze secondarie, ma anche ad ottimizzare le capacità funzionali dei pazienti vicariando le funzioni compromesse con l’adozione di diverse strategie attitudinali Quali sono le strategie utilizzate durante il trattamento riabilitativo del paziente affetto da malattia di Parkinson? Esistono diversi indirizzi riabilitativi ispirati a specifici meccanismi fisiopatologici ed alla possibilità d’indurre modificazioni di tipo ‘neuroplastico’ tramite diverse metodiche di condizionamento (e riapprendimento) sensitivo-motorio. Numerosi studi hanno confermato la grande efficacia di esercizi che si affiancano alla stimolazione del canale visivo (es. camminare lungo una linea disegnata sul pavimento) e del canale uditivo (es. compiere un passo ad ogni battito delle mani del terapista). Inoltre l’allenamento di tali pazienti dovrebbe comprendere più esercizi per un periodo più breve, piuttosto che pochi esercizi prolungati nel tempo; questo può essere spiegato dal fatto che esercizi di breve durata determinano l’attivazione del cervelletto, una zona del sistema nervoso centrale che non è affetta dalla malattia di Parkinson, mentre l’allenamento a lungo termine porta alla creazione di circuiti cerebrali automatici prevalentemente nei gangli basali, la zona affetta dalla malattia di Parkinson. Anche il training aerobico al treadmill si è dimostrato un valido alleato nel miglioramento dello schema del passo e quindi nella cura dei disturbi della deambulazione; risultati analoghi si sono apprezzati con l’action observation, tecnica che si è dimostrata essere in grado di ridurre i fenomeni di freezing. Cosa sono le cosiddette terapie riabilitative “alternative”? Spesso le malattie neurodegenerative come la malattia di Parkinson comportano, oltre che sintomi motori, anche sintomi non motori, come apatia, depressione, deficit di memoria, psicosi, stati ansiosi. Sebbene la scienza medica attualmente disponga di un ampio bagaglio terapeutico, spesso il benessere, sia del paziente che di chi se ne prende cura, è compromesso dalla presenza di questi sintomi, i quali non rispondono in maniera ottimale alle terapie farmacologiche. Le terapie riabilitative alternative utilizzano il teatro, la danza, la musica e la pittura quali forze per aiutare a superare il disagio di persone affette da malattia di Parkinson, permettendo contestualmente al paziente di sviluppare dei nuovi automatismi motori ed a controllare la propria capacità di espressione e di controllo delle emozioni, attraverso lo scambio tra il cuore e la mente, tra il sentito emotivo e il sentito cosciente e relazionale. IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] Durante la teatro-terapia, ad esempio, vengono stimolati ed allenati meccanismi mentali che sono molto importanti come l’attenzione, la memoria rievocativa e la memoria di lavoro, aspetti frequentemente deficitari nella malattia di Parkinson. Quali sono le nuove acquisizioni scientifiche ed i progressi per la cura della malattia di Parkinson? Alcuni ricercatori americani hanno sperimentato una tecnica innovativa che consiste nell’impianto in loco di cellule staminali embrionali coltivate in provetta destinate a specializzarsi col tempo in cellule nervose capaci, giunte a maturità, di sintetizzare la Dopamina. La tecnica è attualmente impiegata in via sperimentale sugli animali e ben presto ci si auspica di poterla riservare anche all’uomo. Uno degli approcci terapeutici più logici ed allo stesso tempo affascinanti alla terapia della MP è il trapianto intrastriatale di cellule in grado di restaurare la funzione dopaminergica. Più di 100 pazienti nel mondo sono stati trapiantati con cellule mesencefaliche fetali dopaminergiche. Ancora più affascinanti sono le tecniche sperimentali che utilizzano altri tipi di cellule, come fibroblasti o fibrocellule muscolari, modificati con tecniche d’ingegneria genetica allo scopo di produrre dopamina prima del loro impianto nel cervello dell’ospite (terapia genica ex vivo). In alternativa, sono state studiate altre procedure che permettono il trasferimento dei geni direttamente dentro le cellule neuronali del soggetto trapiantato, attraverso degli opportuni vettori virali iniettati direttamente (terapia genica in vivo). Malgrado i risultati favorevoli delle tecniche di terapia genica nei modelli animali di MP, questo approccio è comunque ancora piuttosto lontano da un’applicazione clinica. È necessaria seguire una particolare alimentazione? Una corretta alimentazione risulta indispensabile al fine di migliorare l'efficacia farmacologia. E' dimostrato da studi e confermato dai pazienti che, un dieta ipoproteica a pranzo, migliora l'efficacia della levodopa, mentre un'alimentazione equilibrata diminuisce il rischio di malattie gastroenteriche, cardiovascolari e del sistema osseo- articolatorio. Una dieta ad hoc per i malati di Parkinson, specie per coloro che si curano con la levodopa, sembra quindi essere una necessità in quanto i pasti possono interferire con l'azione del farmaco: la levodopa è un aminoacido neutro che per essere assorbito (cioè per passare dall'intestino al sangue e da questo al cervello) richiede un processo attivo e dispendio di energia. Di conseguenza qualunque processo che ritardi o inibisca questo assorbimento rallenta e diminuisce l'efficacia del farmaco. Le proteine utilizzano lo stesso trasporto attivo della levodopa e pertanto possono porsi in competizione con essa. Una dieta che faccia limitato uso di proteine e la somministrazione del farmaco lontano dai pasti sono accorgimenti utili al fine di non compromettere l'effetto della terapia farmacologia. L’altro consiglio è quello di abituare il proprio intestino a pasti non abbondanti, ad alimenti ricchi di fibre (legumi, verdure, insalate, prugne etc.) e a bere liquidi in abbondanza (almeno un litro e mezzo di acqua al giorno) perché da questo tipo di dieta ne ricaverà un sicuro vantaggio, considerata l’alta frequenza con la quale si stabilisce una stitichezza particolarmente ostinata nel decorso della malattia. Possono verificarsi disturbi del sonno nella Malattia di Parkinson? I disordini del sonno sono frequenti tra i pazienti con malattia di Parkinson e rappresentano una delle maggiori fonti d'insoddisfazione nella vita dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson. Si possono presentare l’insonnia, che può manifestarsi con difficoltà ad addormentarsi e ad avere risvegli precoci, e l’ipersonnia, che consiste in un’eccessiva sonnolenza durante il giorno, a volte con improvvisi addormentamenti. L’eccessiva sonnolenza diurna può essere attribuita al IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected] sonno notturno interrotto o ai farmaci che vengono assunti nella giornata (particolarmente i dopamino-agonisti). I problemi più precoci e frequenti osservati nella Malattia di Parkinson risultano la difficoltà nell'addormentamento e nel mantenimento del sonno (leggero e frammentato). Il riposo notturno può essere compromesso a causa di fattori correlati all'età, per la presenza di disturbi motori legati alla malattia stessa ed ai farmaci, per la concomitante presenza di altre patologie sistemiche o di sottostanti patologie del sonno. È vero che il fumo e il caffé proteggono dal Parkinson? Dati epidemiologici hanno dimostrato che i ‘fumatori’ sono meno colpiti dalla malattia di Parkinson. Non è un buon motivo per cominciare a fumare, i rischi sono maggiori dei benefici, ma da una analisi condotta dall’Università della California, risulta che il fumo di sigaretta è associato a una diminuzione del rischio di sviluppare questa patologia neurodegenerativa. Analogamente, studi più recenti hanno evidenziato un effetto protettivo del caffè sullo sviluppo della malattia. Queste osservazioni potrebbero avere rilevanza per una migliore comprensione dei meccanismi che sono alla base della degenerazione neuronale e per l’identificazione di nuove strategie terapeutiche. Sono attualmente in corso, ad esempio, sperimentazioni con farmaci che non agiscono sul sistema dopaminergico ma su quei meccanismi cerebrali su cui è attiva la caffeina. È possibile guidare l’automobile? Nelle fasi iniziali della malattia non ci sono controindicazioni assolute alla guida della vettura. Molti pazienti guidano correttamente, anche se il loro tempo di reazione può diventare più lungo poiché la loro attenzione a stimoli contemporanei è minore; una clinica a Valens (Svizzera) consente a molti pazienti di verificare la propria abilità alla guida con dei simulatori;nelle automobili modificate si possono prendere anche lezioni di guida e sostenere un esame. Ci sono però alcuni farmaci, quali i dopamino-agonisti come il ropinirolo, il pramipexolo e la rotigotina che possono indurre sonnolenza e attacchi improvvisi di sonno. Inoltre, se la persona presenta una grave compromissione delle prestazioni motorie a causa di discinesie o frequenti fenomeni di “on-off”, l’uso della macchina è sconsigliabile. In generale si ricorda che il Neurologo non certifica l’ abilità alla guida ma solo la fase attuale di malattia ed il gradi di autonomia del paziente. In seguito, con il certificato del Neurologo la persona verrà sottoposta a valutazione medica per l’idoneità alla guida ed il rinnovo della patente ha cadenza annuale. IRCCS Neuromed - Via Atinense, 18 - 86077 – Pozzilli (IS) Centralino 0865-92.91; CUP 0865-929.600 www.neuromed.it - [email protected]