INTRODUZIONE GENERALE
L’età e i fattori genetici sono due tra i fattori più importanti nel determinare
come dormiamo. La grande quantità di sonno durante i periodi di massima
maturazione cerebrale e plasticità sinaptica, ovvero, i primissimi mesi di
vita, suggerisce un ruolo del sonno in questi processi maturazionali. Del
resto è ormai noto come anche i fattori genetici influiscano enormemente
sulle caratteristiche normali e patologiche del sonno, e questo è vero
rispetto sia alla macrostruttura che agli aspetti microstrutturali.
Proprio l’utilizzo di nuove tecniche di analisi, prima tra tutte l’analisi
spettrale dell’EEG di sonno, ha permesso di fare numerosi passi avanti
nello studio del sonno normale e patologico. Nello specifico, l’analisi
spettrale, ha permesso l’identificazione di processi che regolano il sonno
come la Slow Wave Activity ed il “Processo S” (Borbely, 1982). Anche
nello studio del sonno in età evolutiva, seppure poco applicata, questo tipo
di analisi ha fornito importanti contributi, permettendo di delineare come
l’EEG di sonno subisca enormi cambiamenti età-dipendenti. Negli ultimi
anni, numerosi studi si sono occupati anche dei cambiamenti nella
topografia corticale dell’EEG di sonno, che si verificano nei diversi stati di
vigilanza (veglia/sonno, addormentamento). Molto poco sappiamo, invece,
della relazione esistente tra maturazione e cambiamenti nella topografia
2 corticale delle bande di frequenza dell’EEG di sonno. Proprio questa
tematica sarà oggetto del presente lavoro.
Nel primo capitolo saranno presi in rassegna gli aspetti relativi
all’ontogenesi
del
sonno,
facendo
particolare
riferimento
alla
macrostruttura e agli aspetti dello sviluppo del ritmo sonno-veglia,
fornendo una descrizione dei criteri di scoring della macrostruttura del
sonno in età evolutiva, nonché delle tecniche di analisi quantitativa
dell’EEG di sonno.
Nel secondo capitolo, saranno approfonditi gli aspetti concernenti le
variazioni ontogenetiche delle frequenze EEG di sonno, nonché delle
principali attività fasiche (fusi e complessi K). Inoltre si prenderanno in
esame altri aspetti relativi alle modificazioni età dipendenti, come i
cambiamenti a livello di topografia corticale.
Infine, nell’ultimo capitolo, sarà descritto lo specifico contributo
sperimentale che presenta i risultati di questo progetto, unico nel suo
genere, che ha avuto come obiettivo proprio quello di fornire un’analisi, in
parte ancora preliminare, dei cambiamenti che si verificano nella topografia
corticale dell’EEG di sonno, nei primi 3 anni di vita.
3 CAPITOLO 1
LO STUDIO DEL SONNO IN ETÀ PEDIATRICA
1.1. ONTOGENESI DEL SONNO
L’età è probabilmente uno dei fattori più importanti nel determinare come
l’essere umano dorme. Sviluppo, maturazione e involuzione caratterizzano
la curva della nostra vita, e il nostro pattern di sonno cambia insieme ad
essa. Infatti, dalla nascita fino all’età adulta, il sonno va incontro a
consistenti cambiamenti che interessano: la qualità e la quantità del sonno,
l’organizzazione temporale e percentuale degli stati di vigilanza e l’attività
elettroencefalografica (EEG).
Già nel 1985 Anders e Keener descrivevano differenze età dipendenti,
relativamente al ritmo sonno-veglia, che nei primissimi mesi di vita era
definito come “policiclico” (a differenza quindi di quello dell’adulto che è
“monociclico”). Nei primi mesi, infatti, il bambino non conosce la
differenza fra giorno e notte, il suo ritmo è indipendente dall'ambiente,
regolato dai bisogni interni legati alla fame e alla sete e dura intorno alle 25
ore (Meier-Koll, 1978). Secondo il modello dei due processi, formalizzato
da Borbely all’inizio degli anni 80 (Borbely, 1982), il ciclo sonno-veglia è
regolato da due fattori: un fattore omeostatico (Processo S) e un fattore
circadiano
(Processo
C).
Entrambi
i
processi
interagiscono
nel
determinismo della tempistica e della qualità e struttura del sonno e della
4 veglia e nello specifico. Quindi, più semplicemente, durante il giorno il
bisogno di sonno aumenta progressivamente, fino a raggiungere il suo
massimo alla sera (per effetto del processo S) e durante il sonno questo
processo omeostatico torna al suo livello di base. Il processo S interagisce
con il processo C, un vero e proprio pacemaker circadiano che regola
alcune funzioni fisiologiche come il metabolismo e il bilancio energetico.
In entrambi i casi, l’età e i fattori ambientali, giocano un ruolo chiave nel
loro sviluppo. Ad esempio, nell’adulto, durante le prime due ore di sonno,
vi è un calo della temperatura corporea (0.5-0.6 gradi circa) seguito da una
lenta e progressiva crescita nell’ultima parte della notte (Heraghty et al.,
2008). Questo pattern caratteristico, non è subito presente alla nascita, ma
si rende evidente dai 2-4 mesi di età, e nel caso di bambini prematuri o
sotto peso, sembra emergere con ritardo (Wailoo et al., 1989; Lodemore et
al., 1992). Similmente la regolazione nella produzione di melatonina,
avviene a partire dai due mesi di vita anche se nei prematuri tutto ciò
avviene in ritardo, e soprattutto questo elemento, ha portato a ipotizzare
che aiutare il pretermine, nella produzione di melatonina (con l’assunzione
di integratori) potrebbe apportare benefici nello sviluppo del ritmo sonnoveglia (Ardura et al., 2003; Jan et al., 2007). Inoltre, un altro fenomeno
legato al nostro “orologio biologico” interno, riguarda la produzione di
cortisolo: durante il sonno si hanno dei livelli di cortisolo più bassi mentre
al risveglio il livelli di cortisolo aumentano, innalzando la pressione
5 sanguigna in modo da riattivare tutte le funzioni. Tale fenomeno non è già
presente alla nascita, ma inizia a presentarsi soltanto a partire da 2 mesi di
vita, e, attualmente, non è chiaro se nei prematuri vi sia un ritardo nella
comparsa di questo meccanismo (Santiago et al., 1996). Anche l’ambiente
sembra giocare un ruolo chiave nello sviluppo di questi processi: McGraw
et al. (1999) hanno osservato come in neonati stimolati con esposizione alla
luce naturale durane il giorno, ed abituati a stare in ambienti rumorosi, la
regolazione della temperatura e della produzione di melatonina, inizia
precocemente.
Cambiamenti età-dipendenti più facilmente osservabili sono quelli
concernenti la quantità totale di sonno e la distribuzione percentuale
durante l’arco della giornata. Alla nascita, un neonato dorme per circa il
60% della giornata e col passare del tempo, la percentuale di sonno diurno
manifesta una riduzione a favore di quello diurno che diventa più stabile e
continuo (McLaughlin Crabtree et al., 2009).
Iglowstein et al. (2003), in uno studio condotto su un ampio campione di
soggetti di età compresa tra 1 mese e 16 anni, hanno osservato le variazioni
nella quantità e nella distribuzione nell’arco delle 24 ore del sonno, in
funzione all’età. Nello specifico dalla nascita, fino ai 6 mesi, è possibile
osservare una diminuzione media del tempo totale di sonno, di circa 14 ore,
mentre dai 6 mesi fino ai 16 anni, si arriva ad una diminuzione di ulteriori 8
ore in media. A 2 anni di età, il 96% dei bambini oggetto dello studio
6 presentava una durata totale di sonno nell’arco delle 24 ore, compresa tra le
11 e le 15 ore, contro le 8-10 ore di una ragazzo di 12 anni (Iglowstein et
al., 2003). Il consolidamento del sonno notturno (a discapito di quello
diurno) inizia ad essere evidente a partire dai 12 mesi di vita . A 12 mesi un
bambino dorme in media, di notte 12 ore, contro le 10 di un neonato di 3
mesi (Iglowstein et al., 2003). L’incremento del sonno notturno va di pari
passo col decremento di quello diurno, e in particolare dalla nascita, fino ai
12 mesi, un bambino effettua almeno 2 sonnellini diurni, a partire dai 18
mesi i riposini scendono a 1 al giorno in media, fino a stabilizzarsi attorno
ai 3 anni, età in cui soltanto il 50% dei bambini riporta ancora la tendenza
al riposino pomeridiano (Iglowstein et al., 2003).
Anche la durata dei cicli di sonno NREM/REM è dipendente dall’età. In
particolare, alla nascita, i cicli del sonno hanno una durata di circa 50
minuti, e rimane tale fino ai 3 anni circa, età in cui i cicli arrivano a
raggiungere una durata pari a 90 minuti, similmente a quella dell’adulto
(Sheldon et al, 2002).
Rispetto ai cambiamenti nella distribuzione % degli stadi del sonno durante
la notte dall’infanzia, fino all’adolescenza, diversi studi si sono occupati di
quantificare queste variazioni.
Prima di entrare nel dettaglio dei lavori rispetto a questo tema,
un’importante premessa di tipo terminologico deve essere fatta, al fine di
meglio comprendere quanto seguirà. Quando si parlerà di età nel neonato, è
7 necessario distinguere tra età gestazionale (GA – numero di settimane/mesi
dal concepimento) o di età cronologica (CA – numero di settimane/mesi
dalla nascita). Un altro importante aspetto, che sarà meglio approfondito in
seguito, è relativo agli stessi stadi del sonno, che nel neonato (fino ai 4
mesi di vita circa), sono definiti “stati comportamentali” e si traducono in:
sonno quieto (SQ – corrispettivo del sonno Non REM), sonno attivo (SA –
corrispettivo del sonno REM), sonno indeterminato (SI) e veglia (W attiva o quieta).
Alla nascita, l’addormentamento avviene principalmente in Sonno attivoSA- (Anders et al., 1985), e soltanto a partire dai 6 mesi di età, questa
tendenza sembra cambiare a favore del sonno NREM (Anders et al., 1992).
Rispetto alla distribuzione percentuale dei vari stadi sul tempo totale di
sonno, alla nascita predomina il SA/REM, che rappresenta circa il 60% del
sonno (Louis et al., 1997) ma che allo stesso tempo va incontro ad una
progressiva riduzione che è inversamente proporzionale ad un aumento del
SQ/NREM. Louis et al., (1997) in uno studio longitudinale condotto su 15
neonati dalla nascita fino a 24 mesi, hanno osservato le variazioni nella
percentuale degli stadi del sonno, che avvengono durante il sonno notturno
e durante il sonno diurno. Ciò che è emerso è stata una riduzione
progressiva del SA/REM con l’avanzare dell’età, a favore del SQ/NREM,
anche durante il sonno diurno, e un decremento dei risvegli intrasonno, a
favore quindi di una stabilizzazione del sonno notturno e diurno. Un
8 recente lavoro condotto su neonati di 12 ore di vita (Korotchikova et al.,
2009) ha confermato come l’AS/REM domini il quadro poligrafico del
sonno alla nascita, riportando una prevalenza del 50% sul tempo totale di
sonno, contro il 30% circa del SQ. A 3 mesi di età, tra il 25-49% del tempo
totale di sonno è speso SQ/NREM vs. il 34-55% speso in SA/REM e
questa tendenza continua per tutto il resto del primo anno di vita, fino ad
arrivare a 12 mesi, età in cui la maggior parte dei bambini passano circa il
51% del loro sonno in SQ/NREM, mentre l’SA/REM scende al 26%
(Burnham et al., 2002). Questo riscontro è stata confermato e chiarito da
Jenni et al. (2004), che in uno studio longitudinale, su un gruppo di
bambini dalla nascita fino ai 9 mesi, hanno riportato come il SQ inizi ad
aumentare progressivamente dalla nascita, fino ad assestarsi intorno ai 4
mesi, e inoltre, rilevano una riduzione della veglia intrasonno e un
incremento dell’efficienza di sonno, di pari passo con l’avanzare dell’età.
Dai 3 mesi, cambia anche la distribuzione temporale durante la notte degli
stadi del sonno, e in particolare, a questa età il SA/REM inizia a
concentrarsi maggiormente nelle ultime fasi del sonno (Anders et al., 1985).
Coble et al. (1987) hanno riportato una riduzione percentuale dell’SWS con
l’avanzare dell’età, e nello specifico, a 6-7 anni l’SWS sembra
rappresentare il 18% del sonno totale, mentre a 11 anni questa percentuale
scende al 14%. Interessante notare come la riduzione dell’SWS in
adolescenza, vada di pari passo con l’indice di sviluppo (Tanner):
9 all’aumentare del tanner corrisponde una riduzione dell’SWS (Coble et al.
1987). Ohayon et al. (2004), in una meta-analisi della letteratura, hanno
confermato questi dati, riportando che con l’avanzare dell’età si verificano
molti cambiamenti significativi nella distribuzione percentuale degli stadi
del sonno e, in particolare, hanno osservato che il tempo totale di sonno, la
percentuale
di sonno ad onde lente (SWS) e latenza di sonno REM
subiscono un decremento dall’infanzia (5-6 anni) fino all’adolescenza. Al
contrario gli autori hanno osservato un aumento della percentuale di sonno
REM e stadio 2 di pari passo con l’avanzare dell’età, mentre non sono state
osservate differenze significative nell’efficienza di sonno dall’età
prescolare fino all’adolescenza .
Altri cambiamenti legati all’età, sono stati dimostrati, e riguardano le
potenze spettrali dell’EEG di sonno e la comparsa di alcune attività
caratteristiche (sleep spindle, K-complex, slow wave activity), ma questo
sarà oggetto di descrizione approfondita nel capitolo 2 del presente lavoro.
10 1.2
CRITERI STANDARD DI SIGLATURA DEL SONNO IN ETÀ
PEDIATRICA
I criteri standard per la siglatura del sonno variano secondo l’età. Nel
neonato lo studio del sonno deve essere eseguito prendendo in esame
diversi fattori: gli stati “comportamentali” durante il sonno, la frequenza
respiratoria, i movimenti oculari (EOG), l’EEG e il tono muscolare (EMG)
(Anders et al., 1995). Dalla prima infanzia e fino all’età adulta, per la
siglatura del sonno è invece sufficiente la registrazione simultanea di soli 3
parametri: EEG, EOG ed EMG, mentre gli altri parametri (frequenza
cardiaca - EKG e respiratoria , EMG dei muscoli tibiali, ecc…) forniscono
soltanto informazioni addizionali e permettono di effettuare valutazioni in
ambito clinico e dei disturbi del sonno. Di seguito saranno illustrati i
principali criteri di siglatura utilizzati in età pediatrica.
11 1.2.1
Criteri di Anders per la siglatura del sonno nei primi mesi
di vita
Il manuale messo a punto da Anders (1971) fornisce le linee guida per la
siglatura del sonno dalla nascita fino ai 4 mesi di vita, in neonati normali e
a termine. In particolare Anders non parla di stadi del sonno ma di stati di
vigilanza, distinguendo 3 stati di sonno e 3 stati di veglia (Tab. 2.1).
Relativamente al sonno, si distinguono: sonno quieto (SQ), sonno attivo
(SA) e sonno indeterminato (SI). Gli autori enfatizzano che per poter ben
distinguere gli stadi del sonno nel neonato, all’osservazione del tracciato
EEG e delle altre componenti polisonnografiche essenziali (EOG, EMG,
EKG, e frequenza del respiro), deve affiancarsi l’osservazione dei
comportamenti del neonato che dorme. Durante il SQ a livello
comportamentale, il neonato presenta le seguenti caratteristiche:
• assenza di movimenti (tranne sussulti e suzione periodica),
• attività EMG tonica,
• dorme con le braccia rivolte verso il viso e presenta braccia e gambe
flesse,
• ha un viso pallido e poco espressivo,
• è presente assenza di movimenti oculari, gli occhi sono chiusi,
• la respirazione e la frequenza cardiaca sono regolari.
12 A livello EEG sono presenti onde lente (0.5-4 Hz) e ad alto voltaggio, e,
specialmente nei primi giorni di vita si caratterizza per un tracciato
alternante (tracé alternant), ovvero, bouffeés di onde lente di 2-5 sec
separate da tratti (6-10 sec) di attività meno ampia, con comparsa di punte e
onde lente nelle regioni frontali e di attività a frequenza variabile alphatheta nelle regioni rolandiche. Il SQ viene da molti indicato essere il
corrispettivo del sonno NREM in età infantile/adulta (Grigg-Damberger et
al., 2007). Relativamente al SA, corrispettivo nell’adulto del sonno REM,
a livello comportamentale si caratterizza per:
• movimenti stereotipati (ad es., si stira, porta le braccia al viso),
• movimenti rapidi e irregolari degli occhi,
• presenza di mimica facciale espressiva,
• attività respiratoria e cardiaca irregolare.
Il SA, ad una sola osservazione comportamentale, può essere facilmente
confuso con lo stato di veglia, poiché il neonato si muove, apre gli occhi a
volte e, comunque, emette dei gemiti. A differenza dell’adulto quindi, in
cui, durante la fase REM si riscontra una completa atonia muscolare, il SA
risulta essere più “agitato”, più attivo e meno stabile, caratterizzato a volte
da molteplici risvegli. A livello EEG, si caratterizza per un’attività continua
di basso voltaggio con o senza onde lente sovrapposte, di tipo LVI (low
voltage irregular) o tipo M (misto), che tende comunque a scomparire nelle
prime 4 settimane, lasciando il posto lentamente ad un’attività EEG simile
13 a quella del sonno REM nei bambini più grandi. Infine, il terzo stato di
vilanza del sonno è quello del SI, tipico della vita fetale e dei neonati
prematuri. Tale stato non rientra nei criteri né del SQ né del SA, e si
caratterizza per movimenti corporei distali, scarsi movimenti oculari,
variabilità dell'attività tonica mentoniera e della frequenza respiratoria e
cardiaca. A livello EEG il tracciato si presenta come un misto di attività
tipiche del SQ e del SA, non presenta quindi un suo pattern ben definito.
Gli stati di vigilanza in veglia sono distinti in 3 tipi: veglia attiva, veglia
quieta e pianto. Ciascuno dei tre stati è distinto sulla base di particolari
caratteristiche comportamentali, ma, rispetto alla siglatura del sonno, si
parla di veglia indistintamente dallo specifico sotto-tipo
Tabella 2.1. Stati di vigilanza del neonato secondo Anders et al. (1971)
Sonno Attivo
Sonno Quieto
Movimenti
stereotipati,
espressioni mimiche fini, innate
quali paura
collera sorpresa
tristezza e gioia con sorrisi ampi
Assenza di movimenti, tranne sussulti,
e suzione periodica
Movimenti corporei distali,
Movimenti irregolari degli occhi,
più o meno rapidi
Assenza di movimenti oculari, occhi
chiusi e fermi; Viso pallido, poco
espressivo
Scarsi movimenti oculari
Tono muscolare
assente o basso
Attività muscolare tonica mentoniera
Variabilità
mentoniera
Respiro rapido, irregolare, pause
respiratorie fisiol. di 10-15 sec
Respirazione regolare, poco ampia,
lenta, 30-40 mov/minuto
Frequenza respiratoria variabile
Frequenza cardiaca irregolare
Frequenza cardiaca regolare: 100-140
bpm e pressione arteriosa stabile
Frequenza cardiaca variabile
Attività continua di onde occipitali
monomorfe con ritmi rapidi
sovrapposti
Tracciato alternante: bouffeés di onde
lente di 2-5 sec separate da tratti (6-10
sec) di attivita' meno ampia, con
comparsa di punte e onde lente nelle
regioni frontali e di attività a
frequenza variabile alpha-theta nelle
regioni rolandiche
Anche sul piano EEG si registrano
criteri di sonno calmo e agitato
(tracciato EEG discontinuo)
antigravitario
Sonno Indeterminato
dell'attività
tonica
14 1.2.2
Criteri di Guilleminault e Soquet per la siglatura del sonno
dai 3 ai 12 mesi
I criteri di siglatura di Guilleminault e Soquet (1979) sono stati sviluppati
riflettendo i cambiamenti nel pattern EEG di veglia e sonno età dipendenti.
Gli autori, partendo dalla classica distinzione in stadi di Retschaffen e
Kales (1968), parlano di 4 stadi NREM (1, 2, 3 e 4) e di uno stadio REM,
seppure distinguendo diverse caratteristiche per ciascuno stadio a seconda
dell’età. Definiscono quindi criteri diversi per bambini di età compresa tra i
3-6 mesi e dai 6-12 mesi e, in particolare, nei bambini più piccoli gli stadi 1
e 2 vengono riconosciuti come un’unica entità (almeno fino a che non siano
presenti in modo ben definito fusi e complessi K) ed è individuata una
ulteriore fase definita come “addormentamento”. I criteri di siglatura, nel
dettaglio, sono riportati nella Tabella 2.2.
15 Tabella 2.2. Criteri di siglatura del sonno secondo i criteri di Guilleminaut e Soquet
Età
3-6
mesi
Età
6-12
mesi
Stadio
EEG
EOG
Veglia
Frequenze miste (< 75
uV)
Occhi
generalmente
aperti,spesso movimenti
rapidi (REMs)
Alta
ampiezza
Stadio 1-2
Freq. mista (1-15 Hz)
EEG con <20% di onde
delta (> 150 uV); fusi del
sonno spesso non presenti
(se presenti la fase 2 può
essere definita come una
entità separata)
Presenza di movimenti
oculari lenti (SEMs);
REMs assenti
Bassa
ampiezza
Tranquillo,
può
mostrare
suzione,
movimenti del corpo,
scatti e sospiri
Stadio 3-4
> 20% di attività Delta.
Assenza
oculari
Variabile
Tranquillo,
può
sospirare, scompare la
suzione.
Rem
Predominanza theta
REMs episodici
Bassa
ampiezza
Scatti, suzione,
sorrisi, vocalizzi,
sospiri, respirazione
irregolare, occhi
aperti per brevi
periodi.
EEG
EOG
EMG
Comportamento
Veglia
Frequenze miste (< 75
uV)
Stadio 1
Frequenza Mista EEG (112 Hz), con predominanza
di theta (3-7 Hz), assenti
fusi del sonno, meno del
20% di attività delta.
Predomina il ritmo theta,
ma sono presenti fusi del
sonno. L’attività Delta è
inferiore al 20%.
Occhi
generalmente
aperti, spesso movimenti
rapidi (REMs)
Possibili
movimenti
oculari rotatori, all’inizio
del sonno SEMs
Stadio
Stadio 2
di
movimenti
Non
sono
presenti
movimenti oculari
EMG
Comportamento
Alta
ampiezza
Variabile,
ampiezza
ridotta
rispetto alla
veglia
Variabile
Stadio 3-4
> 20% di attività Delta.
Non
sono
presenti
movimenti oculari
Variabile
Rem
Predomina il ritmo theta.
L’inizio del REM è
generalmente preceduto
dalla comparsa di Delta
burst di elevata ampiezza
(> 200 uV)
REMs episodici
Tono EMG
quasi
assente
Generalmente
tranquillo,
può
mostrare
suzione,
movimenti del corpo,
scatti e sospiri
Generalmente
tranquillo, può essere
presente
suzione,
movimenti e scatti
muscolari iniziano a
scomparire.
Tranquillo,
sospira
occasionalmente,
scompare la suzione.
Contrazioni, scatti,
suzione, sorrisi,
vocalizzi, sospiri,
respiro irregolare,
occhi aperti per brevi
periodi. Ora durante il
sonno REM il
bambino è più
silenzioso e calmo.
16 1.2.3
Criteri di Siglatura secondo le indicazioni dell’American
Academy of Sleep Medicine (AASM, 2007)
I nuovi criteri di siglatura del sonno rispettano la tradizionale stadiazione in
epoche di 30 s e la distinzione tra veglia (W), sonno NREM (N) e sonno
REM (R), mentre gli stadi di sonno NREM vengono ridotti da 4 a 3: N1
(corrispondente allo stadio 1 secondo Rechtschaffen e Kales), N2 (stadio 2)
ed N3 (stadio 3 e 4). L’AASM raccomanda l’utilizzo di questi criteri a
partire dai 2 mesi di età e, rispetto al Manuale di Rechtschaffen e Kales
(R&K), dedica ampio spazio ai criteri di siglatura del sonno nel bambino.
Veglia (W): Si caratterizza per la presenza di “Ritmo posteriore
dominante” (DPR). Il Ritmo posteriore dominante è ben visibile nell’area
occipitale, nell’adulto ha una ampiezza < 50µV ed una frequenza compresa
tra 8-13 Hz (ritmo alpha), nei bambini frequenza e ampiezza del DPR
variano con l’età. La frequenza a 3-4 mesi è di 3.5-4.5 Hz, a 5-6 mesi è pari
a 6 Hz, dai 3 anni si stabilizza sui 7.5-9.5 Hz. Per poter siglare uno stadio
come W deve essere presente per almeno il 50% dell’epoca DPR.
Stadio N1 (NREM1): il ritmo posteriore dominante (o l’attività alpha nei
bambini sopra i 10 anni) dello stadio W è sostituito per almeno il 50%
dell’epoca da attività più lenta (4-7 Hz). In quei soggetti che non generano
DPR l’epoca verrà definita come N1 in presenza di almeno una delle
seguenti caratteristiche:
17 • Movimenti oculari lenti (SEMs),
• Onde al vertice,
• Attività theta ritmica anteriore – RAT (frontale o fronto-centrale),
• Ritmo predominante diffuso od occipitale di elevata ampiezza (3-5 Hz),
• Hypnagogic hypersynchrony.
Stadio N2 (NREM2): Si definisce stadio N2 (in assenza dei criteri per N3)
la comparsa, durante la prima metà dell’epoca corrente o nella seconda
metà dell’epoca precedente, di uno o più dei seguenti elementi:
• uno o più complessi k non associati ad arousal
• una o più sequenze di spindle.
Stadio N3 (NREM3+NREM4): è lo stadio di sonno profondo, si stadia
quando il 20% o più dell’epoca consiste di attività delta (Slow Wave
Activity), cioè onde di frequenza compresa tra 0.5-2 Hz e di alto voltaggio
(> 75 µV). Le figure caratteristiche in questo stadio sono i delta burst.
Anche qui i movimenti degli occhi sono assenti ed è presente un’attività
muscolare di ampiezza molto bassa .
Stadio N (NREM): Si stadia quando in tutte le fasi di sonno NREM non
sono riconoscibili complessi k, spindle, o attività delta. Può presentarsi
specialmente prima dei 6 mesi quando alcune caratteristiche tipiche degli
stadi sopra descritti (spindle, k-complex, SWA) possono non essere ancora
presenti.
18 Stadio REM (R): L’EEG del sonno REM ricorda molto quello dello stadio
N1, se non per la caratteristica presenza delle onde dette a “dente di sega”
per la loro tipica morfologia; l’EOG mostra movimenti oculari rapidi e
l’EMG dei muscoli sottomentonieri mostra una caratteristica caduta del
tono muscolare detta “atonia”.
19 1.3. ANALISI QUANTITATIVA DELL’EEG DI SONNO
L’analisi spettrale, o analisi di frequenza, è il metodo più usato per ottenere
descrittori quantificabili del segnale. Consiste nel trasferire i dati
elettroencefalografici dal dominio del tempo a quello della frequenza
trasformando il segnale EEG (valore espresso in µV delle differenze di
potenziale tra due elettrodi in funzione del tempo) in spettri di potenza
(valori espressi in µV² della potenza pertinente a ciascuna frequenza del
tempo esaminato). L’analisi di frequenza può essere effettuata con filtraggi
multipli a banda stretta, ciascuno regolato su di una particolare frequenza:
il sistema più usato è tuttavia un algoritmo matematico noto come
“trasformata di Fourier”.
La procedura di trasformazione, consiste nella valutazione dell’ampiezza e
della fase di ciascuna delle sinusoidi ed è invertibile, nel senso che esiste
una procedura (anti trasformata di Fourier) capace di passare dai
coefficienti di frequenza e fase, al segnale originale senza perdita di
informazione. Dalla trasformata di Fourier del segnale si può ricavare una
stima dello spettro di potenza, che è una misura statistica della potenza
media contenuta nel segnale in corrispondenza di ciascuna delle frequenze
contenute nel segnale stesso. Presupposto teorico è che il segnale sia
stazionario; la sua applicazione al segnale EEG di sonno, è condizionata
quindi all’accettazione del fatto che anche i fenomeni transitori in esso
20 contenuti
possano
essere
considerati
almeno
approssimativamente
stazionari.
Il metodo di Fourier fu applicato all’EEG di veglia da Berger (1933) e
all’EEG di sonno da Knott (1942). Attualmente, sono disponibili sistemi
computerizzati in cui i dati EEG analogici, vengono trasformati in valori
numerici da convertitori analogico digitali e quindi processati con algoritmi
veloci
(Fast Fourier Transform, FFT) e microprocessori capaci di
effettuarne il calcolo in tempo reale.
La rappresentazione in spettri di potenza dell’EEG dell’uomo in una
condizione di veglia a occhi chiusi in riposo psicosensoriale evidenzia
l’addensarsi della maggior parte della potenza, con un picco in
corrispondenza delle frequenze comprese fra gli 8 e i 12 Hz, corrispondente
al ritmo alpha. Le fasi del sonno comportano quadri spettrali
sufficientemente caratteristici e schematicamente rapportabili alle fasi del
sonno. Nella fase 1, si assiste alla scomparsa del ritmo alpha e
all’abbassamento della potenza del segnale che si addensa in un picco a
base larga interessante una vasta gamma di frequenze compresa nelle bande
theta e delta. Nella fase 2 si assiste ad un incremento della potenza del
segnale e alla comparsa di due picchi ben definiti, a base relativamente
stretta, uno principale, in corrispondenza della banda delta e uno
secondario centrato tra gli 11 e i 16 Hz, espressione dell’attività sigma (fusi
21 del sonno o spindles), caratterizzante questa fase. Le fasi 3 e 4 sono
caratterizzate da un ulteriore progressivo incremento della potenza globale
del segnale e da un suo addensarsi sulle frequenze di banda delta con un
parallelo decremento del picco sulle frequenza della banda sigma,
pressoché annullato in fase 4. Lo spettro della fase REM, appare
sovrapponibile a quello della fase 1, con un più importante contributo di
frequenze alpha lente, specie nei cicli terminali della notte.
L’analisi spettrale, data la sua versatilità, sta prendendo sempre più piede
nello studio del sonno sia nell’analisi del segnale dell’EEG di veglia
quanto in quello di sonno, poiché fornisce un’immagine più dettagliata
della microstruttura del sonno. Nel capitolo seguente verranno presi in
esame gli studi che si sono avvalsi di questa tecnica per studiare il sonno in
età infantile/neonatale.
22 CAPITOLO 2
ONTOGENESI E MATURAZIONE DEI PATTERN EEG DI SONNO
Nel capitolo 1 sono stati descritti i principali cambiamenti a livello
macrostrutturale del sonno, legati alla maturazione e all’avanzare dell’età.
In realtà, soprattutto in tempi più recenti, moltissima importanza è stata
data
alle
variazioni
età-dipendenti
che
si
verificano
a
livello
microstrutturale nell’EEG di sonno, seppure con un numero relativamente
esiguo di studi. Questi studi hanno permesso di dimostrare, ad esempio,
come lo sviluppo del sonno e nello specifico dell’attività elettrica cerebrale
non dipende dall’età extrauterina del neonato, ma dall’“età gestazionale” o
post-concezionale (numero di settimane dal concepimento): i pre-termine
hanno pattern EEG simili ai neonati a termine se valutati alla stessa età
post-concezionale (Grigg-Damberger et al., 2007). Di seguito si
approfondiranno questi aspetti, fornendo un’immagine dello stato dell’arte
rispetto alle diverse attività EEG di sonno: fusi del sonno, complessi K,
attività delta e theta.
23 2.1. FUSI DEL SONNO E ATTIVITÀ SIGMA
Descritti per la prima volta da Berger (1933), ma definitivamente introdotti
da Loomis et al. (1935), i fusi del sonno o sleep spindles, sono stati definiti
come dei treni di onde con frequenza di 12-14 Hz (ascrivibile alla banda di
frequenza EEG sigma) e della durata di 0.5-3 secondi. Caratteristici dello
stadio 2 NREM, rappresentano una delle attività EEG che maggiormente
risente dell’influenza della maturazione. Si ritiene siano generati a livello
talamico, come risultato di una rete di interazioni sinaptiche che coinvolge i
neuroni inibitori del nucleo reticolare del talamo, le cellule talamocorticali,
e i neuroni piramidali corticali (Steriade, 1993). Steriade (1993) ha
ipotizzato inoltre che gli spindles siano associati a meccanismi di
“protezione” del sonno. Diversi studi hanno riportato come l’attività di
spindling cambi con la maturazione in termini di frequenza, ampiezza,
lunghezza e densità (Tanguya et al., 1975;. Shibagaki et al., 1982;. Louis et
al., 1992;. Shin-Omiya et al., 1999;. Nicolas et al., 2001; Jenni et al., 2004).
Ellingson e Peters (1980), in uno studio longitudinale, hanno riportato che
sia nei neonati pretermine (30-33 settimane CA) che nei neonati a termine,
un’attività di spindling nell’area rolandica appare in alcuni soggetti già
dalle 4 settimane post-termine, ma sono presenti in modo stabile soltanto
dalle 8 settimane. La comparsa dei fusi, come elemento stabile dai due
mesi di vita, è stata confermata da diversi studi. Sterman et al. (1982),
24 avvalendosi dell’analisi spettrale dell’EEG di sonno hanno riportato come
tra le 4 e le 9 settimane post-termine sia possibile osservare un aumento
nella banda di frequenza del sigma, e sottolineano come questa
caratteristica possa ritenersi stabilmente presente a circa 12 settimane. Uno
studio longitudinale condotto su un gruppo di neonati di età compresa tra 1
e 6 mesi, ha confermato questa tendenza, sottolineando come i primi 3 mesi
di vita vedano un rapido sviluppo dei fusi del sonno, quasi a riflettere quelli
che sono i massimi cambiamenti in termini di maturazione corticale in
questo periodo di tempo (Louis et al., 1992). Questa evidenza è stata
supportata in tempi più recenti da Jenni et al. (2004), confermando
l’emergenza di un picco nella banda di frequenza del sigma a partire dai 2
mesi di età. Gli autori asseriscono che il picco nella banda del sigma possa
farsi coincidere proprio con l’insorgenza dei fusi del sonno.
Quando gli spindles fanno la loro primordiale comparsa, intorno alle 44
settimane CA, sono di basso voltaggio (20 µV), infrequenti (< 3-4 per ora
di sonno) e asincroni (Ellingson, 1982). Un rilevante incremento in termini
di ampiezza, durata e frequenza è stato osservato tra 1 e 3 mesi (Louis et
al., 1992). Questo incremento raggiunge il suo picco massimo tra le 6 e le
13 settimane,
mentre a partire dalle 23 settimane inizia un lento
decremento, fino a stabilizzarsi intorno ad un anno di vita (Hughes, 1992).
Questo picco, osservato tra le 6 e le 13 settimane, si ipotizza possa essere
correlato all’aumento in termini di dimensione, del nucleo reticolare del
25 talamo, che avviene proprio in questo range di età e da cui si origina
l’attività degli spindles (Hughes, 1996). Principe e Smith (1992) hanno
confermato un decremento età-dipendente in termini di ampiezza e
frequenza, seppure non hanno evidenziato cambiamenti in termini di
durata. Al contrario Nicolas et al. (2001) hanno riportato un progressivo
decremento in termini di durata, numero e densità (numero di
spindles/minuti di sonno), nei primi 40 anni di vita in gruppi di soggetti di
età compresa tra i 10 e i 69 anni.
Sholle et al. (2007) hanno valutato i cambiamenti età-dipendenti nei fusi
del sonno, in un ampio campione di soggetti di età compresa tra 1 e 16
anni, riportando sostanziali variazioni legate alla maturazione, e in
particolare è stato osservato che:
• La densità degli spindles incrementa tra i 3 e i 6 mesi di vita e
successivamente decrementa tra 1.7-2.3 anni. In seguito si presenta un
nuovo incremento che raggiunge una certa stabilità intorno ai 5 anni e
persiste fino a 16 anni di età.
• Rispetto alla durata, gli spindles, all’età di 1.7-2.3 anni, sono
significativamente più brevi se confrontati a tutte le altre fasce di età.
Tutti questi cambiamenti lasciano ipotizzare che le variazioni in termini di
durata, densità e frequenza, in questa caratteristica attività EEG, possano
essere considerati un indice di maturazione corticale (Shibagaki et al.,
1982). A conferma di ciò riportatesi può citare, ad esempio, la riduzione in
26 termini di densità e quantità degli spindles in bambini con ritardo mentale
fino ai 18 mesi di vita (Shibagaki et al., 1982). Recentemente Sankupellay
et al. (2011) hanno fornito, per mezzo dell’analisi spettrale dell’EEG di
sonno, una descrizione dei cambiamenti che avvengono a livello di spettri
di potenza delle bande di frequenza EEG di sonno, nei primi 2 anni di vita.
Ciò che è emerso è stato un picco a 12.9 Hz a 3 mesi di età e a 6 mesi,
seppur di minore entità, a 13.3 Hz. Il picco nel range di frequenze della
banda sigma, decrementa notevolmente a 12 mesi, ed è quasi del tutto
assente a 24 mesi. In termini statistici, i cambiamenti significativi si
presentano da 2 a 3 settimane, mentre da 3 a 24 mesi non è presente alcun
cambiamento statisticamente significativo nella banda di frequenza sigma
per il NREM.
I fusi del sonno, in neonati e bambini, sono generalmente bilaterali e
asincroni: a 10 settimane post-termine solo il 10% sono sincroni (Hughes,
1996), il 47% a 3 mesi e il 70% a 12 mesi (Ellingson e Peters, 1980).
Rispetto alla loro localizzazione topografica, Gibbs et al., (1950) per primi,
hanno rilevato la presenza di due tipi di spindles: lenti (11-12 Hz),
prevalenti nelle regioni frontali, e rapidi (14 Hz), maggiormente presenti
nelle aree centro-parietali. Shinomiya et al. (1999), per mezzo dell’analisi
spettrale, hanno confermato quanto riportato da Gibbs (1950), osservando
la presenza di fusi a 11-12.75 prevalentemente frontali e a 12.5-14.5
rilevanti nelle aree centro-parietali. In aggiunta, gli autori hanno osservato
27 come queste due “tipologie” di fusi subiscono cambiamenti a livello di
topografia corticale, legati alla maturazione, e in particolare hanno riportato
un progressivo decremento dei fusi nelle aree frontali a favore di un
aumento in quelle centro-parietali, di pari passo con l’avanzare dell’età.
Questa tendenza sembra raggiungere una stabilizzazione intorno ai 13 anni
(Shinomiya et al., 1999).
Infine, Gibbs e Gibbs (1962; 1964) hanno descritto una variante di questa
attività, da loro definita "extreme spindle", così chiamata per la loro
ampiezza elevata (200-400 uV). Questa tipologia di fusi è stata osservata
nello 0.5% dei bambini normali, al di sotto dei 5 anni, e nel 5-18% dei
bambini con ritardo mentale nella stessa fascia di età. In effetti, Geiger et
al. (2011) recentemente, nel tentativo di individuare un marker di abilità
intellettive nell’EEG di sonno, hanno riportato che, similmente a quanto
avviene nell’adulto (Fogel et al., 2007; Shabus et al., 2008), l’attività EEG
sigma nei bambini in età scolare, correli positivamente con le capacità
cognitive.
28 2.2 COMPLESSI K
Loomis et al. (1937) furono i primi a descrivere i complessi-K, ma una
prima trattazione sistematica fu fornita soltanto dopo da Roth et al. (1956),
che li definirono come complessi EEG bi-trifasici della durata di 0.2-0.33
sec, costituiti da una componente negativa rapida iniziale di elevata
ampiezza (spesso > 200 uV), e un’onda lenta successiva, talvolta seguita da
una attività rapida (12-14 Hz, spindle). Rechtschaffen e Kales (1968)
integrarono e, in parte, modificarono questa definizione, ascrivendogli una
durata maggiore di 0.5 secondi.
I complessi K compaiono di solito intorno ai 5 mesi post-termine, sono ben
definiti soltanto a partire dai 6 mesi, con un picco massimo nelle aree
frontali e prefrontali, e diventano un marker quasi esclusivo di stadio 2
soltanto all’età di 18 mesi (Metcalf et al., 1971). La loro maturazione
progredisce rapidamente nei primi 2 vita, e poi, fino ai 5 anni questo
processo subisce un rallentamento, fino a raggiungere il loro plateau all’età
di circa 12 anni (Metcalf et al., 1971). In ogni caso, quando fanno la loro
comparsa nei primissimi mesi di vita, i complessi K sono spesso
caratterizzati da una ridotta ampiezza e una lunga durata, mentre la
componente negativa rapida compare tra i 3-5 anni e diventa più evidente
soltanto in adolescenza (Niedermeyer, 1982). Tra i 3 e i 9 anni,
frequentemente di presentano in sequenza (3-9 in 1-3 secondi) mentre con
29 l’adolescenza in genere questo fenomeno scompare e la frequenza dei
complessi K è di 1 ogni 2-3 secondi (Kellaway, 1957).
Kubicki et al. (1989) hanno studiato le variazioni età dipendenti in termini
di frequenza dei complessi K in 42 soggetti di età compresa tra i 18 e i 77,
riportando come coloro che avevano meno di 30 anni presentavano
un’aumentata fincidenza rispetto al gruppo al di sopra dei 50 anni.
Similmente, anche l’ampiezza presenta una riduzione significativa di pari
passo con l’avanzare dell’età (Crowley et al., 2002). L’ipotesi è che questa
riduzione in termini di frequenza di comparsa e ampiezza (osservata anche
per i fusi del sonno e l’attività delta) possa essere attribuita ad alterazioni
nei meccanismi regolatori del sistema talamo-corticale che si presentano
con l’avanzare dell’età e l’invecchiamento (Halasz, 2005).
Rispetto alla loro localizzazione topografica, gli unici studi condotti sono
relativi all’età adulta, e confermano un’attività prevalente nelle aree frontali,
presente anche a livello intracranico (Wennberg, 2010).
30 2.3 ATTIVITÀ EEG DELTA E SONNO AD ONDE LENTE (SWA)
Un’altra figura caratteristica del sonno, che mostra notevoli cambiamenti
legati alla maturazione, sono le onde delta tipiche del sonno ad onde lente
(SWS) e, quindi degli stadi 3 e 4 NREM. Walter (1937) per primo, ne
diede una descrizione nello stato di veglia, definendola come un’attività
caratterizzata da una frequenza compresa tra 0.5-3.0 Hz e un’ampiezza
elevata (seppure in veglia non vi sono criteri di ampiezza minima come
avviene per il sonno).
La banda di frequenza del delta (0.5-4.0 HZ)
compare in età molto precoce, a circa 23 settimane di età gestazionale
(Dreyfus-Brisac, 1970) e risulta essere pervasiva nei neonati prematuri, in
cui è presente sia in AS che in QS
(Grigg-Damberger et al., 2007).
Caratteristica principale in età pediatrica è la sua elevata ampiezza, che nei
primissimi mesi/anni di vita può raggiungere anche i 300 uV (Anders et al.,
1972). Feinberg et al. (1977) hanno riportato come l'ampiezza dell’attività
ad onde lente in sonno, aumenti in modo deciso durante i primi anni di vita,
raggiungendo un picco massimo durante la prima infanzia, per poi vedere
un progressivo calo in adolescenza. Gli autori ipotizzano che la crescita in
termini di ampiezza durante i primi anni di vita possa essere collegata
all’aumento nei primi 3 anni di età, del numero di connessioni neuronali,
già descritta da Conel (1941; 1963). L’incremento della connettività
neuronale spiegherebbe l’aumento di ampiezza dell'onda EEG, perché la
31 dimensione di queste onde dipenderebbe dal numero di connessioni dei
neuroni corticali (Feinberg e Campbell, 2010). Infatti, le onde EEG sono
prodotte da grandi popolazioni di neuroni che cambiano i loro potenziali di
membrana in modo sincrono: l'ampiezza delle onde è proporzionale alla
dimensione di queste popolazioni di neuroni (Feinberg e Campbell, 2010).
In termini puramente quantitativi è stato riportato un aumento nei primi 11
mesi di vita, delle onde delta, e, nello specifico si osserva un significativo
incremento dopo i 5 mesi di età (Samson-Dollfus et al., 1983).
Sankupellay et al. (2011), recentemente, hanno valutato i cambiamenti che
si verificano in termini di potenze spettrali nell’EEG di sonno dei primi due
anni di vita, confermando come la banda delta subisca un progressivo
aumento a partire dai 6 mesi di età. Cambiamenti nella potenza spettrale
EEG della banda delta, sono evidenti già nei primi giorni di vita. Victor et
al. (2005) hanno osservato un incremento nel quindi giorno dalla nascita
rispetto al primo giorno, nella potenza spettrale relativa della banda delta
EEG, e questo aumento era maggiormente evidente nei bambini
neurologicamente normali rispetto a quelli che in seguito hanno
evidenziato ritardo. Recentemente Jenni et al., (2004) hanno indicato come
l’SWA compaia tra i 2 e i 9 mesi e gli stessi autori descrivono un picco
nella banda del delta già a 2 settimane di vita (Jenni et al., 2004), cosa che
al contrario più di recente, non è stata osservata da Sankupellay et al.,
(2011), che osservano il medesimo picco soltanto a 6 mesi. Al contrario
32 molti lavori si sono concentrati sulla fase pre-puberale/adolescenziale, pure,
per altri versi, periodo caratterizzato da notevoli cambiamenti, seppur non
coinvolgenti principalmente lo sviluppo delle aree corticali. L'analisi
quantitativa dell’EEG di sonno, in tal senso, ha dato un contributo enorme,
aiutando a fornire una descrizione più attenta dei cambiamenti che
avvengono rispetto al sonno durante l'adolescenza con particolare
attenzione alle variazioni nelle caratteristiche della SWA. Studi trasversali
hanno riportato un calo drastico nell’attività ad onde lente (Feinberg et al.,
2006;. Gaudreau et al., 2001. Jenni e Carskadon 2004), nell'ampiezza e
slope delle onde lente (Kurth et al., 2010a) e nella quantità totale (Coble et
al., 1987).
Gaudreau et al. (2001) hanno effettuato uno studio trasversale su un gruppo
di 54 soggetti di età compresa tra i 6 e i 60, al fine di valutare le variazioni
in termini di potenze spettrali EEG dipendenti dall’età . Il confronto è stato
effettuato dividendo il campione in 4 gruppi: bambini (6-10 anni),
adolescenti (14-16 anni), giovani adulti (19-29 anni) e adulti (36-60). Dai
risultati sono emerse variazioni nelle potenze spettrali EEG ed, in
particolare la SWA, mostrava un decremento di pari passo con l’aumentare
dell’età: i bambini mostravano significativamente più SWA rispetto agli
adolescenti, ai giovani adulti e agli adulti. Successivamente, Jenni e
Carskadon (2004) hanno effettuato una simile valutazione, su un range di
età più ristretto, prendendo in esame 8 soggetti in età pre-puberale (9-11
33 anni) e 8 adolescenti maturi (12-16 anni). Dai risultati è emersa una
riduzione significativa nella potenza spettrale EEG per la banda di
frequenza del delta, negli adolescenti maturi rispetto ai pre-puberi.
Relativamente all’andamento delle potenze spettrali EEG nel corso della
notte, durante i diversi cicli del sonno, è stata osservata una riduzione
progressiva dell’SWA durante la notte, in entrambi i gruppi, e in questo
caso, non sono state riportate differenze statisticamente significative legate
all’età.
Kurth et al. (2010) hanno valutato, invece, i cambiamenti nella slope –
pendenza, dell’attività delta, confrontando un gruppo di adolescenti maturi
con un altro gruppo in fase pre-puberale sottoposti a 36 ore di deprivazione
di sonno. Dai risultati è emersa una slope più ripida nel gruppo dei prepuberi, rispetto ai maturi, sia durante la notte di baseline che durante quella
di recupero post deprivazione. Jenni et al. (2005) hanno, similmente,
condotto uno studio su gruppi di soggetti in fase pre-puberale e di
adolescenza matura, effettuando registrazioni polisonnografiche prima e
dopo deprivazione di sonno. Dai risultati si è osservato come gli
adolescenti maturi presentano un incremento nel SWA durante il primo
ciclo di sonno e nella condizione di baseline rispetto al gruppo dei prepuberi.
Una condizione ampiamente studiata è quella del declino dell’attività delta
a partire dall’età adolescenziale. Un recente studio longitudinale condotto
34 su un gruppo di soggetti di età compresa tra i 9-17 anni, ha osservato un
declino, in termini di potenze spettrali EEG, dell’attività delta, durante il
sonno NREM (Campbell e Feinberg, 2009). Questo declino inizia a partire
dagli 11 anni e si presenta nei termini di una riduzione di circa il 60%
rispetto alle potenze spettrali presenti a 9 anni di età (Campbell e Feinberg,
2009). Non solo l’età influenza il declino delle potenze spettrali
dell’attività delta, ma anche il sesso. Campbell et al. (2005) hanno
confermato il declino di questa attività in adolescenza, riportando però a 12
anni, la potenza spettrale del delta era il 37% in più nei ragazzi rispetto alle
ragazze. Al contrario a 9 anni non sono emerse differenze statisticamente
significative tra i due sessi. Gli autori ipotizzano così che il motivo per cui
la densità di potenza dell’attività delta declina prima nelle ragazze può
essere dovuto al fatto che gli stessi fenomeni di pruning sinaptico iniziano
prima nelle femmine rispetto ai maschi. Il calo di potenza totale spettrale
EEG in adolescenza è evidente sia in veglia (Gasser et al., 1988), che
durante il sonno NREM che in REM (Jenni e Carskadon, 2004; Tarokh e
Carskadon, 2010), suggerendo che i meccanismi che generano l’EEG
cambiano durante tutta l'adolescenza (Jenni e Carskadon, 2004). In
parallelo, la stessa struttura cerebrale presenta cambiamenti legati alla
maturazione e specialmente in adolescenza. Alcuni autori hanno riportato
la presenza di fenomeni come la perdita di volume della materia grigia
(Giedd et al, 1999) e la riduzione dello spessore corticale (Tamnes et al.,
35 2009). Proprio per provare a verificare l’esistenza di una relazione tra i
cambiamenti nel SWA e quelli nella struttura cerebrale, Buchmann et al.
(2010) hanno effettuato uno studio combinato EEG e risonanza magnetica
DTI, in un gruppo di bambini di età compresa tra gli 8 e i 16 anni. Il
protocollo prevedeva 2 notti di registrazione EEG di sonno e una risonanza
magnetica effettuata al fine di valutare i seguenti parametri: volume della
materia grigia (corticale e sottocorticale), aree corticali e spessore della
corteccia. Dai risultati è emerso che con l’avanzare dell’età si osserva non
solo un declino del SWA (come già riportato da precedenti studi), ma
anche una riduzione del volume della materia grigia. Il dato interessante,
però, è la correlazione positiva tra i due fenomeni: il declino del SWA
andava di pari passo col declino del volume della materia grigia. Questo
lavoro ha permesso di confermare l’ipotesi che l’SWA possa essere
considerato un buon indice di maturazione corticale, specialmente in
adolescenza, e comunque rappresenta un indicatore dei cambiamenti
strutturali che si verificano a livello cerebrale.
Il declino dell’attività delta, inoltre, si presenta in tempi diversi, nelle
diverse derivazioni EEG. In particolare avviene prima nelle derivazioni
occipitali (a partire dai 12 anni) e solo in seguito nelle derivazioni più
anteriori in cui il fenomeno inizia a partire dai 14 anni (Feinberg et al.,
2011). Backer et al. (2011) recentemente hanno confermato come il declino
dell’attività delta segua un andamento prevalentemente postero-anteriore,
36 con una prevalenza quindi nelle regioni occipitali. In aggiunta, questo
fenomeno è presente in modo similare sia in sonno REM che in NREM, e
non sono state rilevate differenze legate al sesso (Backer et al., 2011).
37 2.4 ATTIVITA’ THETA DELL’EEG DI SONNO
La banda del “theta” è stata per la prima volta definita da Walter e Dovey
(1944), in riferimento ad una gamma di frequenze comprese tra i 4 e i 7 Hz.
Contrariamente a quelli che sono le norme di che definiscono la banda
delta, l’attività theta non ha criteri di ampiezza minimi (Carskadon et al.,
2005). Quest’attività riveste un’importanza notevole, sotto diversi aspetti,
più volte approfonditi e oggetto di studio. Infatti, uno dei caratteri che
meglio definisce il passaggio dalla veglia al sonno è proprio l’aumento
dell’attività theta che prende il posto dell’attività alpha (8-11 Hz, tipica
della veglia rilassata) nel background di fondo dell’EEG. Durante la veglia,
un aumento dell’attività theta, indica un incremento della propensione al
sonno: uno studio condotto sottoponendo dei soggetti a 40 ore di
deprivazione di sonno ha rilevato una correlazione positiva tra l’aumento
dell’attività theta durante la veglia e all’aumentare della pressione di sonno
e l’aumento dell’attività ad onde lente nel primo episodio di sonno NREM
(Finelli et al., 2000). Lo studio ha riportato come entrambi gli effetti erano
più evidenti nelle aree frontali, e, sulla base dei risultati, gli autori hanno
suggerito che l’attività theta in veglia e l’attività SWA durante il sonno
siano degli indicatori di un comune processo omeostatico del sonno (Finelli
et al., 2000). In realtà, in età neonatale, il ruolo di marker dell’omeostasi
del sonno, non è svolto dall’attività delta, bensì da quella theta. Jenni et al.
38 (2004) hanno in tal senso osservato come, tra i 2 e i 9 mesi di vita, la banda
delta sia egualmente presente durante tutti i cicli del sonno, senza
riscontrare una riduzione nel corso della notte, mentre l’attività theta
esibisce una progressiva riduzione nel corso della notte, di pari passo con la
progressiva dissipazione del sonno. Gli autori concludono, quindi che nei
primi mesi di vita il vero marker di omeostasi del sonno è la banda del
theta e non delta.
Mentre nell’adulto, il ritmo theta è caratteristico dell’addormentamento o
comunque è presente durante alcune fasi di sonno, nel bambino, tra 1-4
anni di età, questa attività è estremamente diffusa durante la veglia, dove
prevale anche rispetto all’attività alpha (Sheldon, 1996). Tra i 5 e i 6 anni
di età le bande alpha e theta in veglia sono presenti in egual misura, mentre
è solo a partire dai 6 anni di età che abbiamo una prevalenza netta del ritmo
alpha (Sheldon, 1996). Questo fenomeno, nuovamente si ripropone in età
avanzata: negli anziani infatti, presentano un fenomeno di rallentamento di
tutte le frequenze dominanti, e, anche in questo caso, l’attività alpha in
veglia vede una sua riduzione con l’avanzare dell’età, a favore della banda
del theta (Rodenbeck et al., 2006). In ogni caso, alla nascita, la presenza o
meno di una particolare attività theta nelle aree temporo-occipitali, è stata
più volte definita un vero e proprio marker di maturazione (Sher et al.,
2008). L’autore descrive, infatti, dei treni di ritmo theta (theta burst) con
una frequenza compresa tra i 4.0-6.5 Hz e un’ampiezza tra i 20-200 uV,
39 presenti soltanto a partire dalle 28 settimane CA, localizzati nelle aree
temporali e occipitali, che raggiungono il picco massimo tra le 28 e le 32
settimane CA: a partire dalle 32 settimane, questa attività sembra diminuire
rapidamente la sua incidenza (Sher et al., 1994). Relativamente alla
localizzazione topografica della banda del theta, è stata riportata, già in età
adolescenziale, una prevalenza nelle aree frontali (Feinberg et al., 2011;
Jenni et al., 2005). Sempre in ambito di ontogenesi rispetto a questo pattern
di frequenze EEG di sonno, Kellaway e Fox (1952) per primi riconobbero e
descrissero un’attività tipicamente infantile caratterizzata da treni di attività
diffusa in modo bilaterale e sincrono, con un ritmo sinusoidale di frequenza
compresa tra i 3.5-4.5 Hz e un’ampiezza compresa tra i 75-200 uV. Questa
attività venne denominata dagli autori come “theta ipersincrono” o anche
“ipersincronia ipnagogica”. Il theta ipersincrono compare tra i 2-4 mesi e a
questa età è massimo nelle regioni centrali. Soltanto tra gli 8 e i 12 mesi,
vede una distribuzione più uniforme. A 3 mesi di vita è presente in circa il
30% dei neonati a termine, inizia ad aumentare a partire dai 6 mesi, dove
raggiunge il suo picco massimo (tra i 6 mesi e i 4 anni), mostrando una
prevalenza pari al 95% dei soggetti. In seguito tende a scomparire e a 10
anni di età, soltanto il 10% dei soggetti evidenzia la presenza di theta
ipersincrono durante il sonno (Grigg-Damberger et al., 2007). Gaudreau et
al. (2001) per mezzo di uno studio trasversale condotto su 54 soggetti di età
compresa tra i 6 e i 60, hanno osservato come il gruppo dei bambini (6-10
40 anni) presentavano una quantità significativamente maggiore di theta
rispetto agli altri soggetti (adolescenti, adulti e mezza età) .Sankupellay et
al. (2011), recentemente, hanno valutato i cambiamenti che si verificano in
termini di potenze spettrali nell’EEG di sonno dei primi due anni di vita,
documentando sostanziali cambiamenti età dipendenti relativamente alla
banda theta. Infatti, contrariamente a quanto avviene per la banda delta, che
mostra una crescita omogenea, in termini di potenze spettrali, nell’arco dei
24 mesi, il theta presenta un incremento esponenziale a partire dai 12 mesi
di vita e raggiungo il picco massimo a 24 mesi. Un recente studio condotto
su un ampio campione di soggetti di età compresa tra i 3 e i 55 anni, ha
riportato come il gruppo di bambini (3-5 anni) mostrasse un aumento
significativo per la banda di frequenza del theta, rispetto a tutti i soggetti di
età compresa tra i 5 e i 55 anni (Kurth et al., 2010).
In tempi recenti la relazione tra EEG di sonno e maturazione, è stata
valutata
durante
l’adolescenza,
in
considerazione
dei
numerosi
cambiamenti fisiologici che avvengono in questa fase dello sviluppo. Jenni
et al. (2004), confrontando i cambiamenti nelle potenze spettrali EEG in
due gruppi di soggetti, pre e post pubertà, hanno osservato una riduzione
generale per le bande di frequenza <7 Hz, negli adolescenti maturi rispetto
ai pre-puberi. Così come avviene per l’attività delta, in adolescenza la
banda del theta vede un declino in termini di frequenze e potenze spettrali,
seppur in modi e tempi diversi. Campbell e Feinberg (2009) hanno
41 riportato come l’attività theta inizi il suo declino tra i 9 e gli 11 anni,
mentre per il delta, questo processo inizia soltanto a partire dagli 11-12
anni. Feinberg e Campbell (2010) interpretano questo fenomeno come un
riflesso di quello che è il processo di pruning sinaptico che si verifica in
differenti circuiti cerebrali. Il pruning sinaptico associato alle variazioni
della banda delta inizierebbe a partire dagli 11 anni e proseguirebbe fino
intorno ai 16-17, mentre, al contrario, questo fenomeno nei circuiti che
regolano l’attività theta, inizierebbe molto prima.
Questo declino
adolescenziale della banda theta, non avviene in modo uniforme nelle
diverse aree topografiche, ma si verifica in tempi diversi nelle diverse aree.
Feinberg et al. (2011) segnalano come il declino del theta inizia prima nelle
aree occipitali, in seguito in quelle centrali e soltanto in ultima fase, intorno
ai 12 anni, questo fenomeno inizia ad interessare anche le aree frontali.
In conclusione, da un’analisi della letteratura emerge come l’attività EEG
theta, rivesta un ruolo molto importante sotto diversi aspetti specialmente
in termini di maturazione. Ciononostante, nessuno studio ha posto
un’attenzione particolare a questa attività, che spesso viene messa in ombra,
in termini di importanza, rispetto alla banda del delta. Proprio per questo
motivo, ad oggi, non sono state fornite spiegazioni adeguate circa il ruolo e
la relazione tra la banda theta e i processi di maturazione/sviluppo corticale.
42 2.5 CAMBIAMENTI ETÀ/DIPENDENTI NELLA TOPOGRAFIA
CORTICALE EEG DI SONNO
Negli ultimi anni, numerosi studi si sono occupati dei cambiamenti nella
topografia corticale dell’EEG di sonno, che si verificano nei diversi stati di
vigilanza (veglia/sonno, addormentamento). Già nel 2001, De Gennaro et
al. riportarono come durante la transizione veglia/sonno si riscontrino
sostanziali cambiamenti nella topografia corticale delle bande di frequenza
EEG e, nello specifico, prima dell’addormentamento le bande di frequenza
<7 Hz presentavano una prevalenza nelle aree più anteriori, quelle >8 Hz
nelle aree centro-occipitali, mentre le frequenze più rapide >13 Hz non
presentavano alcuna specifica localizzazione. Gli stessi autori hanno
successivamente osservato come l’addormentamento coincidesse con
alcune modificazioni lungo l’asse antero-posteriore di alcune di queste
frequenze EEG, ovvero, le frequenze <7 Hz riportavano una prevalenza
nelle aree centro-frontali, mentre l’attività sigma (12-15 Hz) presentava una
localizzazione centro-parietale. Cambiamenti nella topografia corticale
EEG, è stato dimostrato essere presenti anche a seguito di deprivazione di
sonno come osservato da Ferrara et al. (2002) che hanno rilevato come
durante la notte di recupero successiva a deprivazione, vi sia un incremento
nelle bande di frequenza EEG comprese tra 1-24 Hz in tutto l’emisfero
sinistro suggerendo un ruolo di questo emisfero nei processi recuperativi
43 del sonno.
Anche Finelli et al. (2000) osservarono in seguito a
deprivazione di sonno, vi fosse durante il sonno NREM, un aumento in
tutte le potenze spettrali comprese tra i 0.75 e i 4 Hz (SWA), più evidente
nell’area frontale. La maggiore attivazione delle aree frontali per l’SWA a
seguito di deprivazione di sonno sembra essere però un fenomeno
fortemente influenzato dalla maturazione. Munch et al. (2004), in uno
studio condotto su due gruppi di soggetti, giovani (20-31 anni) e anziani
(57-74 anni), hanno osservato come dopo 40 ore di deprivazione di sonno,
durante la notte di recupero, l’aumento della banda di frequenza delta fosse
marcatamente più anteriore nei giovani rispetto agli anziani. In particolare,
nel gruppo di soggetti in età più avanzata la predominanza delle aree
frontali per la SWA era diminuita a favore di un aumento dell’area
parietale. Gli autori, in conclusione, hanno mostrato quindi come le regioni
frontali sono particolarmente vulnerabili non solo agli effetti della
pressione del sonno, ma anche alla maturazione e quindi all’avanzare
dell’età (Munch et al., 2004). L’età, quindi, sembra essere un fattore
cruciale nelle modificazioni della topografia dell’EEG, come evidenziato
anche da Landolt e Borbely (2001). Gli autori, in uno studio condotto su
due gruppi di diverse fasce di età (20-25 vs. 57-64 anni) hanno osservato
una riduzione, durante il NREM, delle potenze spettrali <14 Hz, nel gruppo
di mezza età rispetto ai più giovani (Landolt e Borbely, 2001). E’
interessante osservare come questa riduzione avesse una ben specifica
44 localizzazione topografica: infatti, non era omogenea in tutte le derivazioni
oggetto dello studio, ma risultava più pronunciata per la banda del theta e
nelle derivazioni frontali (Landolt e Borbely, 2001). Gli autori, in tal senso,
concludono che l’avanzare dell’età non solo determina una riduzione in
termini di potenze spettrali EEG di sonno, ma determina cambiamenti
topografici frequenza-specifici (Landolt e Borbely, 2001). Similmente,
Jenni et al. (2005), prendendo come soggetti di ricerca due gruppi di
adolescenti, pre e post-pubertà, hanno confermato quanto riportato in
precedenza, ovvero, una riduzione nelle potenze spettrali EEG etàdipendente ma, rispetto alla localizzazione topografica delle bande di
frequenza dell’EEG di sonno, non sono state osservate differenze
sostanziali tra i due gruppi. Proprio rispetto al periodo adolescenziale,
numerose evidenze hanno riportato come una caratteristica tipica di questa
età, sia quella del declino in termini di potenze spettrali EEG di sonno, di
alcune attività, nello specifico, le bande delta e theta (Backer et al., 2012;
Campbell e Feinberg, 2008) e questo declino è stato associato al fenomeno
di pruning sinaptico. Recentemente è stato osservato come questo declino
avviene in maniera distinta per le diverse aree di topografia corticale:
entrambe le attività, delta e theta, iniziano il loro declino prima nelle aree
occipitali e solo in seguito in quelle frontali, a partire dai 12 aa circa
(Feinberg et al., 2011). E’ di recente pubblicazione un primo lavoro che ha
tentato di valutare in modo sistematico, attraverso un protocollo
45 longitudinale, le variazioni età dipendenti nella topografia corticale delle
bande di frequenza EEG di sonno. In particolare, lo studio ha visto
partecipare un gruppo di 55 soggetti, di età compresa tra i 3 e i 20 anni
(Kurth et al., 2010). In particolare, lo studio ha visto partecipare un gruppo
di 55 soggetti, di età compresa tra i 3 e i 20 anni (Kurth et al., 2010). Gli
autori in particolare hanno osservato come un possibile marker di sviluppo
in questa fascia di età possa essere rappresentato dalla progressiva
frontalizzazione dell’attività ad onde lente, che vede una localizzazione
prevalentemente posteriore all’età di 3 anni fino a diventare gradualmente
frontale a partire dai 7-8 anni. In effetti, a conferma di ciò, vi sono gli studi
effettuati avvalendosi di tecniche di neuroimaging strutturale che hanno
riportato una traiettoria postero-anteriore della maturazione corticale nei
primi 10 anni di vita (Shaw et al., 2008).
Da una revisione della letteratura si può concludere che l’età, e quindi la
maturazione corticale, influenza non solo l’espressione in termini di
potenza, ma anche la localizzazione topografica delle bande di frequenza
dell’EEG di sonno, seppure un unico studio ha avuto proprio questo come
specifico obiettivo (Kurth et al., 2010). In realtà, lo studio della Kurth et al.
(2010) ha valutato soltanto la fascia di età a partire dai 3 anni, mentre
nessuno studio ha effettuato la stessa valutazione durante il sonno dei primi
3 anni di vita, un periodo caratterizzato danumerosi cambiamenti dal punto
di vista della maturazione corticale.
46 2.6 EREDITARIETÀ DELL’EEG DI SONNO
Oltre all’età un altro fattore cruciale nella determinazione dei pattern
elettroencefalografici è dato dai fattori genetici, e in questo gli studi sui
gemelli hanno fornito importanti conferme. Zung e Wilson (1966)
effettuarono un confronto tra l’EEG del sonno in tre coppie di gemelli
monozigoti (MZ) e tre coppie di dizigoti (DZ) riportando che i pattern EEG
di sonno e i movimenti oculari rapidi durante il REM erano simili tra i MZ,
mentre erano dissimili e variabili tra i gemelli DZ. Linkowski (1999)
riportò che la quantità di sonno ad onde lente (che generalmente è sotto il
controllo omeostatico) è fortemente influenzata da fattori genetici, con una
stima dell’ereditarietà che si aggirava attorno al 50%, così come anche la
percentuale degli stadi 2 e 4 all’interno del sonno sembrò essere
determinata geneticamente.
Negli ultimi tempi importanti informazioni in merito all’ereditarietà dei
pattern elettroencefalografici sono state fornite dall’utilizzo dell’analisi
quantitativa. De Gennaro et al. (2005), recentemente hanno valutato le
differenze individuali nell’EEG di sonno di uno stesso soggetto in diverse
condizioni sperimentali. Nello specifico ognuno dei 10 soggetti che hanno
preso parte allo studio è stato sotto posto a 6 notti consecutive di
registrazione in altrettante diverse condizioni sperimentali: adattamento,
baseline, baseline con risvegli, 2 notti di deprivazione selettiva di SWS e
47 una di recupero. Dall’analisi dei dati è emerso come alcuni tratti dell’EEG
e nello specifico le bande di frequenza comprese tra 8-15 Hz, rimangano
sostanzialmente invariate durante ognuna delle diverse condizioni
sperimentali nello stesso soggetto. Questo ha portato gli autori ad
ipotizzare che queste bande di frequenza comprese tra 8-15 Hz (alpha e
sigma) possano essere considerati una vera e propria impronta digitale del
sonno, e che come tale questa possa essere geneticamente determinata.
Pertanto gli autori hanno tentato di verificare questa ipotesi effettuando uno
studio su gemelli MZ e DZ (De Gennaro et al., 2008). Nello specifico, 20
coppie di MZ e 20 coppie di DZ sono stati sottoposti a due registrazioni
polisonnografiche, una baseline e una successiva a 40 ore di deprivazione
di sonno. Dai risultati è emersa non solo la conferma dell’elevata influenza
dei fattori genetici sulle bande di frequenza comprese tra 8 e 15 Hz, ma
anche che questa influenza subiva ben poco la variabile ambientale,
rimanendo similmente alta la concordanza nei MZ a seguito di
deprivazione di sonno.
48 CAPITOLO 3
LA RICERCA
3.1 INTRODUZIONE E OBIETTIVI
È noto come dalla nascita sino all’età senile, il sonno vada incontro a
diverse modificazioni sia dal punto di vista della macrostruttura che anche
a livello micro strutturale. La grande quantità di sonno durante i periodi di
massima maturazione cerebrale e plasticità sinaptica suggeriscono un ruolo
del sonno in questi processi maturazionali. Il sonno ad onde lente sembra
avere una relazione, con il processo di downscaling sinaptico, con la
secrezione dell’ormone della crescita (GH), e con i processi omeostatici e
termoregolatori, mentre il sonno attivo/REM
sembra più direttamente
implicato nel processo di maturazione corticale, poiché nel feto prima e nel
neonato poi, domina il quadro elettropoligrafico e comportamentale ed è
considerato uno stimolo endogeno indispensabile per la sinaptogenesi
corticale (Capitolo 1).
La maggior parte degli studi effettuati al fine di valutare i cambiamenti che
occorrono nel sonno dalla prima infanzia fino all’età adolescenziale, si
sono incentrati sui cambiamenti nella qualità, nella percentuale dei vari
stadi, e nei cicli di sonno, occupandosi al contrario molto poco dei
cambiamenti che si verificano a livello quantitativo nell’EEG di sonno. Nel
capitolo 2, sono stati discussi proprio gli aspetti relativi ai cambiamenti a
49 livello quantitativo nell’EEG di sonno. L’analisi quantitativa dell’EEG di
sonno, è una tecnica che consiste nella trasformazione dei dati dal dominio
del tempo a quello della frequenza, trasformando il segnale in spettri di
potenza. Nello specifico, l’analisi spettrale, è stata sempre più utilizzata ed
ha permesso in particolare la scoperta di processi che regolamentano il
sonno come la Slow Wave Activity ed il “Processo S” (Borbely, 1982).
Anche nello studio del sonno in età evolutiva, seppure poco applicata,
questo tipo di analisi ha fornito importanti contributi, permettendo di
delineare come l’EEG di sonno, subisca enormi cambiamenti etàdipendenti. L’età sembra essere un fattore determinante anche a livello di
topografia corticale EEG: Landolt e Borbely (2000) in uno studio avente
per soggetti due gruppi di diverse età (20-25 vs. 57-64 anni) hanno
riportato una riduzione nelle area anteriori, di tutte le bande di frequenza
comprese tra 0.25±14.00 Hz durante il NREM, e tale riduzione andava di
pari passo con l’avanzare dell’età. Studi sulla topografia corticale EEG in
età evolutiva, e sui cambiamenti che occorrono età/dipendenti, sono stati
effettuati prevalentemente durante la veglia (Gasser et al., 1998),
delineando comunque come anche in questo caso, i principali cambiamenti
a livello di antero-posteriorizzazione delle bande di frequenza EEG, siano
legati all’età. E’ di recente pubblicazione un primo lavoro che ha tentato di
definire le variazioni età dipendenti nella topografia corticale delle bande di
frequenza EEG di sonno. In particolare, lo studio ha studiato un gruppo di
50 55 soggetti, di età compresa tra i 3 e i 20 anni (Kurth et al., 2010). Gli
autori in particolare hanno osservato come un possibile marker di sviluppo
in questa fascia di età possa essere rappresentato dalla progressiva
frontalizzazione dell’attività ad onde lente, che vede una localizzazione
prevalentemente posteriore all’età di 3 anni fino a diventare gradualmente
frontale a partire dai 7-8 anni. In effetti, studi effettuati avvalendosi di
tecniche di neuroimmagini hanno suggerito una traiettoria postero-anteriore
della maturazione corticale nei primi 10 anni di vita (Shaw et al., 2008). In
realtà è noto come lo sviluppo cerebrale si esprima al massimo nei primi 34 anni di vita, e le bande di frequenza EEG di sonno subiscono fortemente
questa influenza, andando incontro a cambiamenti che vanno di pari passo
con questo processo maturazionale. Ciononostante nessuno studio si è
occupato di valutare se vi siano, similmente, cambiamenti a livello di
topografia corticale EEG nei primi 3 anni di vita, legati alla maturazione.
Date queste premesse, lo studio ha avuto come obiettivi principali quelli di:
-
Valutare le differenze antero-posteriori dell’EEG nei primi anni di vita
-
Valutare l’esistenza di una relazione tra entità delle eventuali
differenze topografiche e fasi dello sviluppo.
51 3.2 MATERIALI E METODO
3.2.1
Soggetti
Allo studio hanno preso parte 28 neonati/bambini (16 maschi e 12
femmine), di età compresa tra i 0 e i 28 mesi (età media 9.65 mesi). L’età
dei soggetti non è stata definita facendo riferimento all’età cronologica
(numero di mesi/settimane dalla nascita) bensì all’età concezionale
(numero di settimane/mesi dal concepimento), questo perché è stato
dimostrato come lo sviluppo dei pattern EEG di sonno non dipende dal
numero di giorni di vita extra-uterina ma dal numero di settimane dal
concepimento (Scher et al., 1992). Ai fini del presente lavoro, i soggetti
sono suddivisi in 4 gruppi, definiti in base alla fascia di età e nello
specifico:
Gruppo 1 (8 soggetti): 0-1 mesi
Gruppo 2 (7 soggetti): 2-4 mesi
Gruppo 3 (5 soggetti): 5-12 mesi
Gruppo 4 (8 soggetti): 12-28 mesi
Tutti i partecipanti allo studio sono stati selezionati presso l’unità di
Fisiologia del Dipartimento di Pediatria all’Università di Padova, presso il
reparto di Neonatologia del Policlinico Umberto I di Roma, e per mezzo di
amici e conoscenti. Criteri di inclusione allo studio sono stati:
-­‐
Assenza di disturbi neurologici (ad es., epilessia)
52 -­‐
Nessuna familiarità con epilessia
-­‐
Assenza di disturbi del sonno (ad es., apnee ostruttive e/o centrali)
-­‐
Sviluppo psicomotorio nella norma
-­‐
Nessun trattamento farmacologico nella settimana precedente la
registrazione
-­‐
Nessun problema durante il parto
L’assenza di disturbi del sonno è stata accertata per mezzo della
polisonnografia, per cui, tutti i soggetti che hanno riportato un indice di
Apnea > 5 per ora di sonno e un Periodic leg movement (PLM) index >5
per ora di sonno, sono stati esclusi dallo studio.
Ai genitori, al momento della registrazione sono state chieste alcune
informazioni necessarie per il proseguimento dello studio, ovvero:
-­‐
Data di nascita del bambino, e numero di settimane dal concepimento
alla nascita (età concezionale).
-­‐
Problemi durante il parto
-­‐
Familiarità con epilessie e/o altri disturbi neurologici
-­‐
Eventuali problemi di salute del bambino passati o attuali
-­‐
Utilizzo di farmaci
-­‐
Periodi di ospedalizzazione eventuali (escluso il periodo post-parto)
-­‐
Informazioni circa lo sviluppo psicomotorio
-­‐
Abitudini di sonno del bambino.
53 A tutti i genitori, inoltre, è stato chiesto di firmare un consenso informato
scritto in accordo con la Dichiarazione di Helsinki.
3.2.2
Procedura
Tutti i soggetti risultati idonei per partecipare allo studio sono stati
sottoposti a polisonnografia standard. Ogni registrazione polisonnografica
aveva inizio alle 20.00 terminava 08.00 del mattino seguente. La scelta di
mantenere degli orari standard di inizio e fine registrazione è stata data
dalla necessità di avere un parametro comune di confronto tra le diverse
fasce di età oggetto dello studio. Infatti, ci sono differenze sostanziali a
seconda dell’età dei bambini nella quantità e nella distribuzione nell’arco
delle ventiquattro ore dei periodi di sonno: i neonati ad esempio dormono
per la maggior parte del giorno e della notte, fenomeno che si attenua a
partire dai 12 mesi. Le registrazioni polisonnografiche sono state effettuate
alternativamente nell’abitazione dei soggetti oppure (in caso di soggetti
ospedalizzati) nei reparti in cui i bambini si trovavano ricoverati. Le
impedenze degli elettrodi sono state verificate prima di ogni registrazione
EEG, e dovevano risultare al di sotto dei 10 Kohms. Nel caso dei neonati,
se vi erano periodi durante la notte in cui venivano alimentati, è stato
chiesto a coloro che li accudivano di appuntare su un diario questi episodi
al fine di avere una visione corretta dei periodi di veglia durante la notte.
Inoltre, è stato chiesto ai genitori (personale medico nel caso in cui le
54 registrazioni fossero avvenute in regime di ricovero) di mantenere delle
condizioni ambientali specifiche, ovvero:
-­‐
Per tutta la durata della registrazione è stato chiesto di tenere
l’ambiente in cui il bambino dormiva, ad una condizione di
scarsa/assente luminosità, ove possibile.
-­‐
La temperatura della stanza non doveva essere né troppo calda, né
troppo fredda.
-­‐
Genitori (o infermieri se i soggetti erano in ambiente ospedaliero),
sono stati invitati a prendere in braccio il bambino, durante la
registrazione solo se strettamente necessario.
-­‐
L’ambiente in cui il bambino dormiva doveva essere poco esposto a
rumori.
3.2.3
Registrazione polisonnografica
Il montaggio, effettuato secondo il sistema internazionale 10-20 (Jasper,
1958), prevedeva almeno 4 derivazioni elettrencefalografiche (EEG) : Fz,
Cz, Pz, Oz. Tutti i canali EEG sono stati referenziati ai due elettrodi
posizionati sui mastoidi (A1 e A2) giuntati. Il segnale è stato acquisito
senza alcun filtraggio iniziale, e, in seguito, in fase di visualizzazione del
tracciato sono stati utilizzati i seguenti filtri: passo-basso 0.5 Hz, passo alto
25.0 Hz.
Per l’acquisizione del segnale elettrooculografico (EOG) sono
stati applicati 2 elettrodi collocati circa 1 cm sopra all’angolo palpebrale
55 destro e circa 1 cm sotto all’angolo palpebrale esterno sinistro. I due canali
EOG sono stati referenziati ai due mastoidi giuntati. Il segnale è stato
acquisito senza alcun filtraggio iniziale. In seguito, in fase di
visualizzazione del tracciato sono stati utilizzati i seguenti filtri: passobasso 0.5 Hz, passo alto 5 Hz. Il segnale EMG è stato acquisito per mezzo
di 2 elettrodi sottomentonieri (EMG) posizionati a destra e a sinistra del
muscolo e due canali tibiali destro e sinistro, posizionati all’esterno
all’altezza del polpaccio. Per i canali EMG sono stati utilizzati i seguenti
filtri: passa-basso 10 Hz; passa-alto 70 Hz.
L’elettrocardiogramma (EKG) è stato acquisito tramite due elettrodi
bipolari, posizionati uno a sinistra, all’altezza del cuore, e l’altro
centralmente all’altezza dello sterno. Sono stati utilizzati i seguenti filtri:
passa-basso 1 Hz e passa-alto 70 Hz. Il montaggio ha incluso anche
l’utilizzo di 2 fasce per il controllo dell’attività respiratoria in sonno,
addome e torace, una cannula nasale e un pulsossimetro per monitorare la
saturazione dell’ossigeno-SaO2.
Tutti i segnali bioelettrici sono stati acquisiti da un poligrafo portatile a 34
canali, Embla Titanium, con frequenza di campionamento dei segnali a
256 Hz. La registrazione è stata poi salvata in unico file contenente i dati di
acquisizione per epoche di 20 secondi e trasformata in formato EDF
(European Data Format).
56 3.3 ANALISI DEI DATI
3.3.1
Macrostruttura del sonno
La siglatura degli stadi del sonno, su epoche di 20 secondi, è stata
effettuata in accordo a 2 diversi criteri a seconda della fascia di età, e, nello
specifico, nei bambini al di sotto dei 4 mesi sono stati seguiti i criteri di
Anders (1971), mentre per coloro che avevano più di 4 mesi i criteri seguiti
sono stati quelli di Rechtschaffen e Kales (1968).
In entrambi i casi, per l’analisi della macrostruttura del sonno, sono state
prese in considerazione le seguenti variabili:
SPT: tempo di sonno, dall’addormentamento al risveglio finale, in minuti;
TST: tempo totale di sonno, SPT meno tempo di sonno intermedio, in
minuti;
AWN: numero di risvegli dopo l’addormentamento, per ora, calcolato
considerando sia le epoche di veglia che quelle di Movement Time (MT).
SS-h: numero di cambiamenti di stadio dopo l’addormentamento, per
ora;
WASO: veglia dopo l’addormentamento, in minuti e in percentuale di SPT;
calcolata contando il numero delle epoche di W o MT, moltiplicandolo per
20 (la durata dell’epoca in sec.) e dividendolo per 60 al fine di ottenere i
minuti di veglia nell’arco della notte.
57 SONNO QUIETO/NREM%. Ottenuta sommando il numero di epoche di
Stadio 2, 3 e 4 (Criteri Rechtschaffen e Kales) oppure il numero di epoche
di sonno quieto (QS – Criteri di Anders). La percentuale di QS/NREM, è
definita dal rapporto tra la durata del NREM (o QS) e l’ SPT.
SONNO ATTIVO/REM %. Ottenuta sommando il numero di epoche di
Stadio REM (Criteri Rechtschaffen e Kales) oppure il numero di epoche di
sonno attivo (AS – Criteri di Anders). La percentuale di AS/REM, è
definita dal rapporto tra la durata del REM (o AS) e l’ SPT.
A livello statistico, è stata effettuata un’ANOVA a una via tra le medie dei
4 gruppi per ciascuno dei parametri sopra riportati, al fine di rilevare
eventuali differenze età dipendenti. Soltanto per i parametri risultati
significativi al confronto statistico, è stata effettuata un’analisi del trend, al
fine di determinare la linearità dell’andamento evolutivo delle differenze
tra le medie dei 4 gruppi,
3.3.2
Microstruttura del sonno
Successivamente alla siglatura del sonno, si è proceduto alla rimozione
degli artefatti. Sono state rimosse tutte le epoche contenenti artefatti di tipo
muscolare, oculare e quant’altro potesse influenzare l’epoca presa in analisi.
I dati così trattati sono stati sottoposti ad analisi spettrale tramite Fast
Fourier Transform, su tutte le derivazioni EEG, per le bande di frequenza
58 comprese tra 0.5 – 30 Hz con una risoluzione a .25. Prima di effettuare
l’analisi statistica, i valori ottenuti dall’analisi spettrale relativi a bin di
frequenza a 0.25 Hz sono stati mediati per bande: 0.5-4.5 Hz (Delta); 4.757.75 Hz (Theta); 8-11.75 Hz (Alpha); 12-14.75 Hz (Sigma); 15-30 Hz
(Beta).
I dati così ottenuti, sono stati trasformati in valore percentuale per ciascun
soggetto, al fine di normalizzare la loro distribuzione, viste le differenti
fasce di età oggetto dello studio.
L’analisi statistica ha previsto l’utilizzo di una
ANOVA per misure
ripetute a 2 vie: Gruppo (1 vs 2 vs 3 vs 4 ) x Derivazione (Fz vs Cz vs Pz
vs Oz). Su tutti i valori su cui è stato rilevata una significativa interazione
Gruppo x Derivazione, sono stati eseguiti confronti post hoc.
59 3.4 RISULTATI
3.4.1
Macrostruttura del sonno
Nella Tabella 3.1 sono riportati i risultati ottenuti dal confronto tra i 4
gruppi relativamente ai parametri macrostrutturali oggetto dello studio.
Dalle ANOVAs non sono emerse differenze statisticamente significative
tra i 4 gruppi oggetto dello studio, rispetto al numero di cambiamenti di
stadio per ora (SS-h), al tempo di veglia intra-sonno (WASO), e al numero
di risvegli per ora di sonno (AWN/h). Al contrario, relativamente al
SQ/NREM % e al SA/NREM%, le ANOVAs hanno evidenziato differenze
statisticamente significative. Nello specifico, rispetto alla percentuale di
SQ/NREM, è stato osservato un incremento nel gruppo 4 (77.85%) e 3
(79.34%) rispetto ai gruppi 1 (55.38%) e 2 (59.96%). In modo inverso, il
SA/NREM % mostra un decremento nei gruppi 3 (12.12%) e 4 (9.85%),
rispetto ai gruppi 1 (32.83%) e 2 (21.82%).
In un ulteriore livello di analisi, al fine di verificare la linearità
dell’andamento evolutivo delle differenze tra le medie dei 4 gruppi, per il
SQ/NREM% e per il SA/REM% è stata effettuata un’analisi del trend
lineare, che ha riportato risultati significativi per entrambi i parametri:
SQ/NREM: F1.24=10.00 (p<0.005);
SA/REM: F1.24=20.28 (p<0.001).
L’analisi del trend ha confermato, quindi, che mentre il SQ/NREM
60 presneta un incremento lineare con l’avanzare dell’età, il SA/REM, al
contrario, decrementa in modo lineare.
A scopo puramente illustrativo, nella Figura 3.1 sono rappresentati gli
ipnogrammi relativi ad una notte di sonno, in 6 soggetti a 0, 1, 3, 6, 12, 24
mesi di età. La figura ben rappresenta il progressivo passaggio da un ritmo
sonno-veglia del neonato (0-1 mesi) di tipo policiclico, a uno più maturo
(ben evidente a partire dai 12 mesi) di tipo monociclico.
Tabella 3.1 Medie e risultati del confronto tra i 4 gruppi di soggetti, rispetto ai
parametri macrostrutturali analizzati.
SQ/NREM%
SA/REM%
WASO
SS-h
AWN/h
Gruppo 1
Gruppo 2
Gruppo 3
Gruppo 4
Media(SE)
Media(SE)
Media(SE)
Media (SE)
55.38
59.96
79.34
77.85
(±6.66)
(±6.00)
(±7.71)
(±5.64)
32.83
21.81
12.12
9.85
(±4.74)
(±2.93)
(±5.19)
(±3.45)
11.78
17.58
5.88
8.01
(±4.50)
(±6.07)
(±2.42)
(±3.94)
8.89
7.03
8.56
5.94
(±1.80)
(±1.46)
(±1.32)
(±0.65)
3.71
3.83
1.52
1.30
(±1.57)
(±1.10)
(±.69)
(±0.41)
F
P
3.59
0.0283
7.01
0.0015
1.10
0.366
1.03
0.3979
1.52
0.2341
SS/h: numero di cambiamenti di stadio per ora di sonno; AWN/h: numero di risvegli per ora di sonno;
WASO: tempo di veglia intrasonno; SQ/NREM% = % di sonno quieto/Non REM; SA/REM% = % di
sonno attivo/REM
61 Figura 3.1 Ipnogramma di una notte di sonno a differenti età.
3.4.2
Analisi quantitativa
SQ/NREM
A scopo descrittivo, nella Figura 3.2 sono rappresentati graficamente i
valori medi delle potenze spettrali EEG comprese tra 0.5 – 30.0 Hz
(risoluzione=0.25 Hz) per ciascuna derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz), rispetto ai
4 gruppi di soggetti partecipanti allo studio, durante il SQ/NREM. Ciò che
sembra essere evidente è un andamento prevalentemente posteriore (centro-
62 parietale) per i bin di frequenza compresi tra 8-15 Hz, evidente
maggiormente nei gruppi 2 e 3.
Figura 3.2. Valori medi delle potenze spettrali EEG nei 4 gruppi per ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). In ascissa sono riportati i bin di frequenza tra 0 e 30 Hz,
con una risoluzione a 0.25 Hz, mentre l’asse delle ordinate riporta le potenze spettrali
EEG espresse in valore percentuale e su scala logaritmica.
Sempre a scopo descrittivo, nella Figura 3.3 sono rappresentati i valori
medi delle potenze spettrali EEG in ciascun gruppo, per le 4 derivazioni
(Fz, Cz, Pz, Oz). La figura rende bene la comparsa di un fenomeno tipico
del sonno, che è quello dei fusi. Infatti nel pannello rappresentante il
63 gruppo 2, si osserva la comparsa di un picco tra 10-15 Hz, che non era
ancora presente nel gruppo 1 (quindi a meno di 2 mesi di età). Questo
fenomeno, sembra avere inoltre (come anche osservato nella Figura 3.2),
una precisa localizzazione topografica centro-parietale.
Figura 3.3. Valori medi delle potenze spettrali EEG ciascuna derivazione (Fz, Cz, Pz,
Oz) in ognuno dei 4 gruppi. In ascissa sono riportati i bin di frequenza tra 0 e 30 Hz,
con una risoluzione a 0.25 Hz, mentre l’asse delle ordinate riporta le potenze spettrali
EEG espresse in valore percentuale e su scala logaritmica.
64 Riguardo i risultati dell’ANOVA a due vie (Gruppo x Derivazione), per
ciascuna banda di frequenza EEG (delta, theta, alpha, sigma, beta), i
risultatisono riassunti nella Tabella 3.2.
Tabella 3.2. Risultati dell’ANOVA a due vie (Gruppo x Derivazione). Per ciascuna
banda di frequenza sono riportati i valori del coefficiente F e la probabilità associata,
relativi all’effetto principale per il “Gruppo”, per la “Derivazione” e per l’interazione
“Gruppo” x “Derivazione”.
Bande di
Effetto principale
Effetto principale
Interazione
frequenza
“Gruppo”
“Derivazione”
“Gruppo” ×
“Derivazione”
F
p
F
p
F
p
Delta
1.22
0.32
14.59
0.0001*
1.31
0.25
Theta
6.19
0.002*
30.76
0.0001*
1.96
0.05*
Alpha
0.79
0.50
7.78
0.0001*
1.33
0.23
Sigma
1.68
0.19
2.48
0.0676°
0.82
0.60
Beta
0.040
0.98
6.70
0.0005*
0.68
0.72
* statisticamente significativo
° prossimo alla significatività statistica
In particolare, come evidente dalla Tabella 3.2, un effetto principale
“Derivazione” è stato risultato statisticamente significativo per le bande di
frequenza delta, alpha, e beta (mentre per la banda del sigma, questo effetto
è solo prossimo alla significatività). Un’unica interazione “Gruppo x
Derivazione” è statisticamente significativo, ed è relativo alla banda di
frequenza del theta.
65 Riguardo alla banda di frequenza delta, ai confronti post-hoc (Figura 3.4) si
osserva una prevalenza significativa della derivazione occipitale, rispetto a
tutte le altre (parietale, centrale e frontale) e di quella parietale confrontata
alla centrale.
Figura 3.4 Potenze relative (%) per la banda di frequenza delta in ciascuna derivazione
(Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno espresso
differenze significative ai confronti post-hoc.
66 Al contrario, la banda di frequenza dell’alpha (Figura 3.5) mostra una
minore attività occipitale, rispetto alle altre aree (frontale, centrale,
parietale).
Figura 3.5 Potenze relative (%) per la banda di frequenza alpha in ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno
espresso differenze significative ai confronti post-hoc.
67 L’attività sigma (seppur soltanto prossima alla significatività statistica),
mostra una prevalenza dell’area centrale rispetto a quella occipitale (Figura
3.6).
Figura 3.6 Potenze relative (%) per la banda di frequenza sigma in ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno
espresso differenze significative ai confronti post-hoc.
68 Infine, rispetto alla banda di frequenza beta (Figura 3.7), le analisi post-hoc
hanno riportato una prevalenza delle aree frontali e centrali rispetto a quelle
parietali e occipitali.
Figura 3.7 Potenze relative (%) per la banda di frequenza beta in ciascuna derivazione
(Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno espresso
differenze significative ai confronti post-hoc.
69 Relativamente alla banda di frequenza theta, come anticipato in precedenza,
e a differenza di tutte le altre bande, è stato osservato un effetto di
interazione (Gruppo x Derivazione) statisticamente significativo. Dai
confronti post-hoc (Figura 3.8) eseguiti in questo caso, è stato possibile
osservare un duplice fenomeno:
1) l’attività theta vede un aumento consistente in termini di potenze
spettrali nel gruppo 4 (12-36 mesi) rispetto a tutti gli altri gruppi;
2) anche a livello di localizzazione topografica, contestualmente a questo
aumento, si osserva una relativa maggiore anteriorizzazione di pari passo
con l’avanzare dell’età.
70 Figura 3.8 Potenze relative (%) per la banda di frequenza theta per ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz) nei 4 gruppi.
N-B. Le due figure riportano le stesse medie con diversa impostazione grafica.
71 In sintesi, la prevalenza centro-frontale, già presente nelle prime fasi dello
sviluppo (effetto principale per il fattore Derivazione), subisce un drastico
aumento nel gruppo 4, con una relativa prevalenza di attività theta frontale.
Successivamente, al fine di approfondire quanto evidenziato rispetto alla
banda del theta, abbiamo effettuato una correlazione tra l’età dei soggetti
(espressa in mesi), ed indice di anteriorizzazione dell’attività theta
72 (espresso come rapporto tra le derivazioni frontali (Fz), centrali (Cz),
parietali (Pz) e la derivazione occipitale (Oz). Come riportato nella Figura
3.9, è stata osservata una correlazione lineare tra l’aumentare dell’età e
l’anteriorizzazione del theta e, in particolare, la correlazione è risultata
statisticamente significativa per tutti i bin di frequenza compresi tra 6.757.75 Hz.
Figura 3.9 Risultati della correlazione tra età concezionale (espressa in giorni) ed
indice di anteriorizzazione dell’attività theta (espresso come rapporto tra le derivazioni
frontali (Fz), centrali (Cz), parietali (Pz) e la derivazione occipitale (Oz) ). Sull’asse
delle ascisse sono riportate le frequenze theta da 4.75 a 7.75 Hz, con una risoluzione a
0.25 Hz. Sull’asse delle ordinate vengono espressi i valori (negativi/positivi) del
coefficiente di correlazione r di Pearson tra età ed indice di anteriorizzazione relativa.
73 AS/REM
Come per il NREM, a scopo descrittivo, nella Figura 3.10, sono
rappresentati graficamente i valori medi delle potenze spettrali EEG
comprese tra 0.5 – 30.0 Hz (con risoluzione a 0.25 Hz) per ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz), rispetto ai 4 gruppi di soggetti partecipanti
allo studio, durante il AS/REM.
Figura 3.10 Valori medi delle potenze spettrali EEG nei 4 gruppi per ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). In ascissa sono riportati i bin di frequenza tra 0 e 30 Hz,
con una risoluzione a 0.25 Hz, mentre l’asse delle ordinate riporta le potenze spettrali
EEG espresse in valore percentuale e su scala logaritmica.
74 Nella Figura 3.11, similmente, sono rappresentati i valori medi delle
potenze spettrali EEG in ciascun gruppo, per le 4 derivazioni (Fz, Cz, Pz,
Oz). In entrambi i casi, non sembrano essere evidenti differenze sostanziali
tra i 4 gruppi, per le quattro derivazioni oggetto di studio.
Figura 3.11 Valori medi delle potenze spettrali EEG ciascuna derivazione (Fz, Cz, Pz,
Oz) in ognuno dei 4 gruppi. In ascissa sono riportati i bin di frequenza tra 0 e 30 Hz,
con una risoluzione a 0.25 Hz, mentre l’asse delle ordinate riporta le potenze spettrali
EEG espresse in valore percentuale e su scala logaritmica.
75 Nonostante a livello descrittivo, non sembrino essere presenti differenze
sostanziali né a livello di gruppo, che di derivazione, l’ANOVA ha rilevato
effetti statisticamente significativi, riassunti nella Tabella 3.3.
In particolare, al contrario del SQ/NREM, nessuna banda di frequenza ha
riportato un effetto di interazione “Gruppo” x “Derivazione”, ma è presente
un effetto principale “Derivazione”, statisticamente significativo per le
bande di frequenza alpha e sigma, e prossimo alla significatività statistica
per la banda di frequenza del theta.
Tabella 3.3. Risultati dell’ANOVA a due vie (Gruppo x Derivazione). Per ciascuna
banda di frequenza sono riportati i valori del coefficiente F e la probabilità associata,
relativi all’effetto principale per il “Gruppo”, per la “Derivazione” e per l’interazione
“Gruppo” x “Derivazione”.
Bande di
Effetto principale
Effetto principale
Interazione
frequenza
“Gruppo”
“Derivazione”
“Gruppo” × “Derivazione”
F
p
F
p
F
p
Delta
0.65
0.58
1.64
0.18
1.04
0.4
Theta
1.37
0.27
4.56
0.06°
0.88
0.54
Alpha
0.24
0.86
5.89
0.01*
0.49
0.87
Sigma
0.77
0.52
3.48
0.02*
0.45
0.89
Beta
2.14
0.12
0.25
0.85
0.62
0.76
* statisticamente significativo
° prossimo alla significatività statistica
76 Ai confronti post-hoc, per la banda di frequenza dell’alpha (Figura 3.12), si
osserva una riduzione significativa nella derivazione frontale rispetto a
quella centrale e parietale, mentre la derivazione centrale presenta un
aumento significativo rispetto a quella occipitale.
Figura 3.12 Potenze relative (%) per la banda di frequenza alpha in ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno
espresso differenze significative ai confronti post-hoc.
77 La banda di frequenza sigma (figura 3.13), ai confronti post-hoc ha
evidenziato una riduzione significativa nella derivazione frontale rispetto a
quella centrale e parietale.
Figura 3.13 Potenze relative (%) per la banda di frequenza sigma in ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno
espresso differenze significative ai confronti post-hoc.
78 Infine, rispetto alla banda di frequenza del theta (Figura 3.14), solo
prossima alla significatività statistica, i confronti post-hoc hanno
evidenziato una riduzione significativa nella derivazione frontale rispetto a
quella centrale e parietale e una aumentata attività centrale rispetto a quella
occipitale.
Figura 3.14 Potenze relative (%) per la banda di frequenza theta in ciascuna
derivazione (Fz, Cz, Pz, Oz). Le linee orizzontali rappresentano i risultati che hanno
espresso differenze significative ai confronti post-hoc.
79 3.5 DISCUSSIONE
Questo studio, per quanto è nostra conoscenza, si candida ad essere il
primo in assoluto ad aver cercato di valutare i cambiamenti nella topografia
corticale dell’EEG di sonno, che si verificano nei primissimi mesi/anni di
vita al fine di individuare possibili marker di topografia EEG dello
sviluppo. In effetti, un unico studio, in precedenza, ha avuto come obiettivo
quello di valutare i cambiamenti legati alla maturazione, nella topografia
corticale EEG, ma il range di età oggetto di analisi era di 2.4-19.4 anni
(Kurth et al., 2010), mentre il valore aggiunto del presente lavoro è proprio
quello di aver valutato la fascia di età compresa tra 0-36 mesi, che, sotto
altri aspetti, è risultata essere fonte di enormi cambiamenti. E’ noto, infatti,
come la maggior parte delle modificazioni e dei processi di maturazione
corticale avvenga nei primi 2-3 anni di vita: il processo di mielinizzazione
neuronale inizia già durante la vita intra-uterina, per poi raggiungere in
modo graduale un livello simile a quello dell’età adulta a 9 mesi (Sean et
al., 2011). Huttenlocher (1979) ha osservato come anche la densità
sinaptica, che è ridotta alla nascita, aumenta vertiginosamente nei primi 2-3
anni di vita, raggiungendo il suo massimo nella prima infanzia.
Relativamente all’architettura del sonno, il presente studio conferma
sostanzialmente i dati della letteratura che vedono una prevalenza del
SA/REM alla nascita (Louis et al., 1987) a cui segue però una progressiva
80 riduzione che è inversamente proporzionale ad un aumento del SQ/NREM
(Louis et al., 1997). Infatti, dai risultati presente lavoro, è emersa una
riduzione progressiva del SA/REM con l’avanzare dell’età (32% nel
gruppo 1 vs. 9.85% del gruppo 4), e, allo stesso modo, si è osservato un
incremento età dipendente nella percentuale di SQ/NREM (55.38% nel
gruppo 1 vs. 77.85% del gruppo 4), coerentemente con quanto osservato
anche da Burnham et al. (2002) in tempi più recenti.
A livello descrittivo, l’analisi quantitativa ha mostrato l’insorgenza durante
il SQ/NREM di un picco nella banda di frequenza del sigma, a partire dai
due mesi di età, in accordo con diversi autori che segnalano come proprio
in quella fascia di età facciano la loro comparsa i fusi del sonno (Ellingson
e Peters, 1980; Sterman et al. 1982; Jenni et al., 2004).
Tornando a quello che è l’obiettivo fondamentale del presente lavoro, si è
detto in precedenza come un unico studio abbia tentato di valutare i
cambiamenti età-dipendenti nella topografia corticale dell’EEG di sonno
(Kurth et al., 2010). Lo studio in questione aveva osservato come l’attività
ad onde lente (banda delta) mostrava una densità di potenza maggiore nelle
aree più posteriori (occipitali) nella fascia di età compresa tra i 3-8 anni e il
processo di anteriorizzazione dell’SWA sembrava iniziare in modo
costante solo a partire dagli 8 anni, per poi completarsi intorno ai 14 anni.
Anche nel nostro studio, in tutti i gruppi, è stata osservata una prevalenza
occipitale della banda delta, seppure questo fenomeno non ha mostrato
81 variazioni età-dipendenti nei primi 3 anni di vita, mantenendosi stabile su
questa linea. La prevalenza nelle aree posteriori dell’attività delta (che
sappiamo, in età adulta, essere tipicamente frontale) può essere ascrivibile
proprio ad una precoce maturazione delle aree corticali posteriori rispetto a
quelle anteriori; in tal senso, studi di neuroimaging, hanno fornito in tempi
recenti informazioni circa questo fenomeno. Shaw et al. (2008), in
particolare, avvalendosi di tecniche di risonanza magnetica strutturale
(DTI), hanno osservato come lo sviluppo della tickness corticale correli
strettamente con l’età e a livello topografico, segua un gradiente posteroanteriore. Anche il processo di mielinizzazione, è stato riportato seguire un
gradiente di sviluppo postero-anteriore. In particolare, nonostante
l’incremento delle fibre mielinizzate (sostanza bianca) si protrae fino
all’età adulta, i cambiamenti più rapidi e rilevanti si verificherebbero
propriamente nelle regioni frontali durante i primi 2 anni di vita (Giedd et
al., 1999). Recentemente Deoni et al. (2011) hanno osservato alla nascita,
questo processo continui rapidamente nella sua evoluzione, raggiungendo
all’età di 4-6 mesi i lobi parietali e occipitali, fino a coprire le aree frontali
e temporali a 6-8 mesi. Proprio riguardo l’attività ad onde lente, questi
cambiamenti che si verificano a livello strutturale influenzerebbero non
poco l’andamento topografico di questa attività, che raggiunge il suo picco
massimo di densità di potenza nelle aree frontali soltanto intorno agli 11-14
82 anni (Kurth et al., 2010) età in cui anche gli stessi Shaw et al. (2008)
riportano il massimo sviluppo della tickness corticale nelle aree frontali.
Per quanto concerne l’obiettivo primario del presente lavoro, un’unica
banda di frequenza mostra cambiamenti età-dipendenti, presumibilmente
legati a processi maturazionali, ed è la banda del theta. Questo dato viene
osservato similmente a quanto riportato da Kurth et al. (2010)
relativamente alla banda delta, tenendo presente però che nel presente caso
si è valutata la fascia di età immediatamente precedente (0-28 mesi).
Infatti, la banda di frequenza theta mostra non solo un evidente incremento
in termini di potenze spettrali con l’avanzare dell’età, ma questo aumento si
rivela associato ad una progressiva anteriorizzazione, nel gruppo dei più
grandi (12-28 mesi). L’incremento in termini di potenze spettrali EEG a
partire dai 12 mesi di vita era già recentemente stato osservato da
Sancupellay et al. (2011) che al contrario, per l’attività delta riportano un
andamento piuttosto costante in tutta la fascia di età analizzata (0-24 mesi).
Possiamo ipotizzare che il fenomeno principale, da noi per primi
riscontrato, ovvero l’anteriorizzazione del ritmo theta nel Gruppo 4 (12-28
mesi), possa rappresentare un valido indicatore dello sviluppo corticale
durante il sonno. Se così fosse, si potrebbe parlare di uno sviluppo corticale
delle aree frontali e prefrontali, decisamente più precoce di quello finora
descritto. Nei fatti, ricerche di neuroimaging già avevano descritto come
sia possibile osservare una struttura cerebrale complessivamente simile a
83 quella adulta, proprio a partire dai 2 anni di età, ed in particolare rilevare la
presenza delle principali fibre nervose dai 3 anni di età in poi (Matsuzawa
et al., 2001; Paus et al., 2001). Paragonando le aree corticali occipitali con
quelle frontali, in dettaglio: la corteccia visiva con quella prefrontale, è
stato rilevato un rapido incremento della formazione delle sinapsi nel
medesimo range di età (3-4 mesi). Però, nel caso della corteccia prefrontale
la densità sinaptica va incontro ad un incremento molto più lento della
corteccia visiva, raggiungendo un picco massimo di sinaptogenesi, soltanto
dopo la fine del primo anno di vita (nella corteccia visiva ciò avviene tra i
4-12 mesi) (Huttenlocher e Dabholkar, 1997).
In proposito, è auspicabile che misure di neuroimaging possano fornire
ulteriori elementi in grado di correlare più dettagliatamente quanto rilevato
nell’EEG di sonno, ad indicatori strutturali delle modificazioni cerebrali.
I dati della letteratura, rispetto a questa banda di frequenza, ci danno
comunque indicazioni circa la sua relazione con il grado di maturazione
corticale e di pruning sinaptico, relativamente ad un altro periodo di vita
cruciale per lo sviluppo: l’adolescenza. Infatti, è stato più volte osservato
come in adolescenza si assista ad un declino delle attività delta e theta EEG
(Backer et al., 2012; Campbell e Feinberg, 2008) e questo declino è stato
associato al fenomeno di pruning sinaptico. Ciò che è interessante notare,
però è le modalità con cui questo declino si verifica differentemente per le
due bande di frequenza. Infatti, il declino dell’attività theta inizia prima
84 rispetto a quello dell’attività delta (9-11 vs. 12-13 anni) e anche a livello di
topografia corticale l’attività theta inizi il suo declino prima nelle aree
occipitali e solo in seguito in quelle frontali, a partire dai 12 aa circa
(Feinberg et al., 2011). Questi studi lasciano pensare che i circuiti corticali
che generano l’attività theta iniziano prima il processo di pruning sinaptico,
forse perché ancor prima di quelli che generano l’attività delta si sono
formati.
È bene sottolineare che attraverso la presente ricerca, si è rilevato
l’incremento frontale del ritmo theta in uno specifico range d’età (12-36
mesi), mediante un confronto tra gruppi di diversa età (disegno between).
Ci si potrebbe chiedere se il fenomeno di frontalizzazione dell’attività theta
sia effettivamente una caratteristica lineare con il progredire dello sviluppo.
A tal fine, sarebbe opportuno cercare una correlazione tra l’età
concezionale (in giorni) ed un indice di anteriorizzazione di questa attività
EEG. Pur non essendo nato per questo scopo, dal momento che è stato
progettato come studio di confronto tra gruppi omogenei per fascia d’età,
abbiamo esplorativamente analizzato i dati secondo tale ottica.
Quello che si osserva nella Figura 3.9 (Cap. 3.4), la quale riporta i risultati
di questa analisi esplorativa, appare estremamente incoraggiante. Infatti
sono stati riscontrati più elevati valori di correlazione per l’area frontale
(Fz) quando si considerano 3 diversi indici di relativa anteriorizzione
(espressa come rapporto tra l’attività EEG di una specifica area e la
85 corrispondente attività a livello occipitale). Più specificatamente, si
evidenzia una significativa correlazione tra un indice di relativa
anteriorizzazione frontale (Fz) dell’attività EEG relativa al segmento
superiore della banda di frequenze theta (6.75-8.00 Hz) e l’età concezionale
(espressa in giorni). Al contrario, tale relazione non si osserva per il sito
centrale (Cz) e parietale (Pz).
Solo la prosecuzione dello studio e l’acquisizione delle stesse misure di
topografia EEG lungo tutto l’intervallo tra 0 e 3 anni permetterà di chiarire
e confermare la relazione appena suggerita. Se questo risultasse confermato,
candiderebbe l’attività theta frontale ad essere uno dei marcatori indicativi
di una precoce maturazione corticale, in accordo con il presupposto che i
cambiamenti postero-anteriori riscontrati nella topografia dell’EEG di
sonno, riflettano le sottostanti modificazioni della funzionalità corticale.
86 3.6 CONCLUSIONI
I risultati del nostro studio appaiono decisamente originali ed incoraggianti,
rispetto alle conoscenze disponibili sin qui in letteratura (Kurth et al., 2010;
Jenni et al., 2004). Finora si è attribuito un peso consistente al range di
frequenze EEG delta (più in generale all’attività ad onde lente), in quanto
reputate il parametro maggiormente discriminativo tra il sonno infantile ed
il sonno adulto, per via di un palese decremento quantitativo nel corso dello
sviluppo (Samson-Dolfus et al., 1983; Schetman et al., 1994) e dei relativi
cambiamenti topografici associabili alla maturazione delle aree corticali
frontali (Kurth et al., 2010). D’altra parte, il presente lavoro indica con
chiarezza un ulteriore parametro EEG cruciale nei soggetti da 12 a 36 mesi:
il ritmo di frequenze theta (4.75-7.75 Hz), caratterizzate da un rilevante
incremento (dal 4% all’8%) di potenza spettrale, in associazione ad
un’aumentata anteriorizzazione. L’aumento in termini di potenze spettrali
EEG della banda del theta a partire dai 12 mesi era già recentemente stato
osservato (Sancupellay et al., 2011) così come la sua possibile relazione
con il grado di maturazione corticale in adolescenza (Backer et al., 2012;
Campbell e Feinberg, 2008). Rispetto ai
processi di regolazione
omeostatica del sonno, è nota l’importanza
dell’attività theta, ormai
considerata
unanimemente
come
possibile
marker
identificativo
dell’omeostasi del sonno in fasi precoci dello sviluppo, in cui i generatori
87 dell’attività delta non sarebbero ancora associabili ai meccanismi deputati
alla regolazione omeostatica, che solo successivamente diventano cruciali
nei cambiamenti evolutivi (Jenni et al., 2004). Dunque, con
evidenze
empiriche e prospettive diverse, anche la suddetta ricerca ha confermato
l’importanza dell’attività theta ai fini dell’evoluzione dell’EEG di sonno.
Pertanto, è auspicabile che quanto attualmente evidenziato rappresenti
soltanto un punto di partenza per poter ampliare le attuali conoscenze a
riguardo. In modo particolare ci si riferisce a ciò che è emerso dall’analisi
esplorativa, realizzata allo scopo di rilevare un indice di anteriorizzazione
del ritmo di frequenze theta, associato alle diverse fasce di età. Potendo
riscontrare in maniera dettagliata i livelli di frontalizzazione di tale attività
EEG durante le prime fasi dello sviluppo, dovremo essere in grado di
definire anche l’avvenuta maturazione corticale sottostante. In futuro
sarebbe interessante agire sotto due diversi livelli di analisi:
-
Associare alle tecniche di registrazione EEG strumenti di
neuroimmagini, al fine di poter correlare in modo oggettivo se
all’anteriorizzazione della banda del theta corrisponde un certo grado
di maturazione corticale proprio in quelle aree più anteriori;
-
Valutare il ruolo evolutivo svolto dal ritmo di frequenze theta in
soggetti che nei primi 3 anni di vita mostrano l’insorgenza di disturbi
connessi ad un ritardo mentale, in cui è lecito ipotizzate una più
88 tardiva emergenza del fenomeno della frontalizzazione del theta,
correlata all’entità del ritardo stesso.
In quest’ottica il presente studio aprirebbe le porte ad ulteriori
approfondimenti nonché a dei risvolti in ambito clinico molto importanti,
come un’eventuale diagnosi precoce di alcune forme di ritardo mentale.
89 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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