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Parere pro veritate in materia di mutuo fondiario
1. La fattispecie. – Mi viene sottoposta la seguente questione. Tizio è debitore verso la
banca di alcune somme dovute in relazione a cinque distinti rapporti obbligatori. Tre di questi
fanno capo a lui personalmente, mentre dei restanti due Tizio è garante ex lege in qualità di
socio a responsabilità illimitata di due società di persone, da lui amministrate, a cui la banca
ha concesso credito tramite affidamento in conto corrente. Secondo una tecnica utilizzata già
in precedenti occasioni la banca, al fine di unificare tali rapporti e di rafforzare le sue garanzie, concede un mutuo denominato fondiario a Tizio e ad altri tre soggetti, che assumono la
veste formale di mutuatari coobbligati in solido, per una cifra di poco superiore a quella necessaria a ripianare la precedente esposizione debitoria complessiva di Tizio. La somma mutuata viene accreditata su un conto intestato in via esclusiva a Tizio e da lì ne viene stornata
una parte, tra il giorno stesso e quello seguente, per estinguere i suoi tre finanziamenti personali. Dalla documentazione contabile risulta inoltre che un’altra parte della somma mutuata,
di ammontare corrispondente a quello necessario ad azzerare i saldi passivi dei due conti intestati alle due società, viene prelevata in contanti allo sportello il giorno stesso dell’accredito.
Dalla medesima documentazione si evince altresì che contestualmente i due conti vengono
riportati in pareggio tramite delle rimesse. Dopo qualche giorno, la banca comunica a Tizio
che, come concordato, i due conti sociali non sono più coperti da affidamento.
2. I quesiti. – Data questa situazione mi viene chiesto in primo luogo se l’esistenza di
un collegamento tra la concessione del mutuo e gli accrediti che hanno riportato in pareggio i
due conti sociali non più affidati sia impedita dalla circostanza che le rimesse figurano effettuate in contanti, così come in contanti, tramite prelievo allo sportello, è stata somministrata
la provvista a tal fine presumibilmente utilizzata. Manca quindi un trasferimento diretto tramite giroconto tra il conto di appoggio del mutuo fondiario erogato dalla banca e i conti intestati alle due società.
Mi viene chiesto inoltre se la concessione di un mutuo fondiario finalizzato a estinguere delle passività pregresse del mutuatario (in solido con altri) verso la banca concedente sia
affetta da qualche forma di patologia negoziale e, in caso affermativo, quale sia il tipo di vizio e se esso si estenda anche alla garanzia ipotecaria accessoria al mutuo.
Infine, mi viene domandato quali sono le conseguenze giuridiche che si producono
qualora risulti che le somme di cui Tizio figurava debitore verso la banca all’epoca della stipula del mutuo fondiario non erano in realtà dovute, in quanto frutto, tra l’altro, di illegittima
applicazione di clausole anatocistiche nulle.
3. Gli orientamenti della giurisprudenza. La tesi della simulazione. – Operazioni simili
a quella descritta sono state più volte oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza.
L’utilizzo del mutuo fondiario come strumento per rafforzare la posizione della banca in ordine al soddisfacimento di debiti pregressi, soprattutto quando il cliente è un imprenditore che
presenta delle difficoltà di rientro, ha infatti nella prassi un certo grado di diffusione per i
numerosi vantaggi che apporta alla banca. Qualora l’operazione sia da ritenersi valida ed effi-
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cace, essa non solo consente alla banca di poter usufruire della garanzia ipotecaria associata
al mutuo, ma le permette altresì di godere del regime privilegiato di esenzione dalla revocatoria fallimentare sia dell’ipoteca fondiaria che dei pagamenti delle rate di credito fondiario
(art. 39, comma 4°, Tub). Pertanto, da un lato, la banca si sottrae alla gravosa disciplina della
revocatoria degli atti anormali alla quale sarebbe assoggettata la costituzione di un’ipoteca
diretta a garantire dei debiti preesistenti (scaduti e non: cfr. l’art. 67, comma 1°, nn. 3-4, l.f.).
Dall’altro lato, si salvaguarda dalla revocatoria dei futuri pagamenti che saranno via via eseguiti dal cliente in restituzione del mutuo. Infatti, una volta decorsi i termini per revocare gli
atti estintivi dei precedenti finanziamenti posti in essere in concomitanza con la concessione
del mutuo, la successiva restituzione delle somme inizialmente dovute non potrà più essere
revocata.
La giurisprudenza prevalente tende a ritenere che tali vantaggi conseguiti dalla banca
siano illegittimi e che l’operazione complessiva comporti un utilizzo distorto dello schema
negoziale del mutuo fondiario e della disciplina di favore che lo connota. Assai eterogenei
sono però i percorsi giuridici elaborati per ricostruire e, di conseguenza, sanzionare la situazione in esame.
Secondo un orientamento, la fattispecie andrebbe inquadrata nell’ambito della simulazione parziale (in tal senso, cfr. App. Brescia, 21 aprile 2004, in www.ilcaso.it; Trib. Verona,
19 dicembre 2001, in Fallimento, 2002, 1341; Trib. Mantova, 9 ottobre 2003, in
www.ordineavvocatimantova.it). In particolare, tale impostazione viene adottata allorquando
dall’insieme delle circostanze del caso concreto risulti chiaro che la volontà delle parti non
era diretta a stipulare un autonomo contratto di mutuo, ma solo a costituire una garanzia reale
per debiti già esistenti. In tale prospettiva, pertanto, il contratto di mutuo simulato cela una
«convenzione dissimulata (effettivamente voluta) di dilazione nel pagamento del debito preesistente (così consolidato, come si usa dire) dietro concessione di garanzia ipotecaria» (così,
Cass., 19 novembre 1997, n. 11495).
Il corollario di tale impostazione secondo la sentenza da ultimo citata è che il negozio
dissimulato – la garanzia ipotecaria accessoria a un debito preesistente – è revocabile ai sensi
dell’art. 67, comma 1°, nn. 3-4 l.f. come garanzia per debiti antecedenti scaduti o non scaduti
(nello stesso senso, cfr. Trib. Padova, 5 giugno 2003, in Giur. merito, 2004, 925; Trib. Bari,
18 febbraio 2008, in www.giurisprudenzabarese.it). L’affermazione, tuttavia, non è del tutto
corretta in quanto, ovemai la simulazione del mutuo fondiario sia dimostrata, deve derivarne
anche la nullità del negozio dissimulato costitutivo di garanzia. Infatti, una volta acclarata la
simulazione del mutuo, la garanzia ipotecaria, non più accessoria al mutuo dichiarato inefficace per simulazione, non può volgersi a garanzia dei rapporti obbligatori pregressi, per il
principio che tra le condizioni di validità del titolo ipotecario vi è l’esatta determinazione del
credito da garantire (in tal senso, cfr. MIRAGLIA, Revocatoria fallimentare e procedimento
negoziale indiretto, in Banca e borsa, 2005, II, 313 s.). E infatti in una più recente sentenza la
stessa Cassazione ha mutato posizione sul punto e nell’ipotesi in esame – mutuo fondiario
utilizzato per il pagamento di debiti pregressi – ha affermato che «il connotato dell'accessorietà (che poi si sostanzia anche in un rigido meccanismo di pubblicità legale) comporta,
pertanto, l'estinzione dell'ipoteca una volta affermata la simulazione del credito a garanzia
del quale era stata concessa; e la specialità soggettiva dell'ipoteca implica l'inestensibilità
della garanzia ipotecaria all'obbligazione collegata al contratto dissimulato, poiché estranea
al rapporto per la quale era stata prevista» (così, Cass., 6 novembre 2006, n. 23669).
È indubbio pertanto che ogni qualvolta l’operazione presenti i connotati della simulazione il principio di accessorietà dell’ipoteca a un credito necessariamente predeterminato
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implica la nullità della stessa in quanto costituita e iscritta a garanzia di un credito diverso da
quello che si era inteso realmente garantire.
4. Una prima conclusione. – Queste considerazioni permettono di dare una prima parziale risposta ai quesiti posti nel parere. Se – e solo se – dall’insieme delle circostanze del caso concreto, anche ulteriori a quelle schematicamente descritte e ignote allo scrivente (v. supra, par. 1), risulti l’estraneità del mutuo fondiario alla reale volontà delle parti, la declaratoria d’inefficacia del mutuo per simulazione travolge anche la relativa garanzia ipotecaria.
5. Gli altri orientamenti della giurisprudenza. – Come si è detto, la ricostruzione della
volontà delle parti può portare a concludere che il contratto di mutuo fondiario stipulato a copertura di debiti pregressi è da ritenersi simulato. In tal senso si è espressa più volte la Cassazione (cfr. Cass., 22 marzo 1994, n. 2742; Cass., 19 novembre 1997, n. 11495; Cass., 20 marzo 2003, n. 4069; Cass., 7 marzo 2007, n. 5265). Tuttavia, in diversi casi concreti venuti
all’attenzione della giurisprudenza si è esclusa la ricorrenza degli estremi della simulazione.
Talora essa è stata negata perché solo una parte della somma era stata impiegata per ripianare
debiti pregressi, mentre una restante parte era stata realmente erogata al cliente (cfr. App.
Brescia, 9 febbraio 1994, in Banca e borsa, 1995, II, 198). In altre ipotesi la simulazione non
è stata riconosciuta, a prescindere dal profilo da ultimo evidenziato, perché è risultato che sia
il cliente che la banca avevano realmente inteso stipulare un contratto di mutuo fondiario, accettandone gli effetti convenzionali e legali. Al riguardo, sul piano probatorio, si è attribuito
rilievo all’assenza di una controdichiarazione (così, Trib. Terracina, 16 dicembre 2009, in
www.ilcaso.it), oppure alla creazione, in esecuzione del mutuo, di una disponibilità effettiva
di danaro a favore del cliente, sebbene solo giuridica e solo per il breve lasso di tempo necessario a portare a termine l’operazione di estinzione dei debiti preesistenti (in tal senso, v.
App. Milano, 25 maggio 1993, in Banca e borsa, 1994, II, 618; Trib. Treviso, 8 aprile 1999,
in Dir. fall., 2000, II, 994).
In sostanza, la simulazione è stata esclusa quando dalle circostanze del caso concreto,
dalle clausole inserite nel contratto di mutuo e dal comportamento complessivo tenuto dalle
parti si è desunto che la banca e il cliente non vollero semplicemente costituire una garanzia
per debiti pregressi, bensì, secondo un più ampio programma negoziale, vollero ridefinire le
loro preesistenti relazioni economiche e dare ad esse una veste giuridica nuova, identificata
nel mutuo fondiario.
Sennonché, quando è questa la volontà delle parti, la giurisprudenza pressoché costante, salva qualche voce alquanto isolata (ad es. App. Brescia, 9 febbraio 1994, in Banca e borsa, 1995, II, 198), ritiene che l’assetto d’interessi programmato vada comunque sanzionato.
Differenti sono però gli itinerari interpretativi e le soluzioni elaborate al riguardo.
Secondo una posizione più radicale, il mutuo fondiario contratto al solo fine di ripianare una situazione debitoria preesistente, oppure di ripristinare una disponibilità su un conto
affidato avente un saldo passivo (c.d. rientro) dovrebbe considerarsi nullo per difetto di causa.
A volte a tale conclusione si è giunti perché il contratto prevedeva una destinazione predefinita del finanziamento, come l’acquisto di un immobile industriale, sicché si è ritenuto esservi
un c.d. mutuo di scopo convenzionale, nel quale «lo scopo della convenzione, in definitiva,
assurge a livello causale» (così, Trib. Nola, 24 febbraio 2009, in Foro it., 2009, I, 2243). In
qualche altro caso l’assenza di causa è stata affermata sul presupposto che la banca «ha utilizzato il contratto di mutuo non già per concedere un finanziamento ma per costituire
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un’ipoteca a garanzia del debito preesistente» sicché «la fattispecie appare viziata già sotto
il profilo causale in quanto la causa concreta di garanzia pare incompatibile con il tipo legale del mutuo» (così, Trib. Terracina, 16 dicembre 2009, in www.ilcaso.it; in termini del tutto
analoghi, Trib. Latina, 11 agosto 2008, in www.ilcaso.it).
Il ragionamento delle due sentenze da ultimo citate appare contraddittorio perché, come si è detto poc’anzi, se le parti vollero solo affiancare una garanzia reale a crediti pregressi,
senza modificarne la regolamentazione negoziale in termini di mutuo, il contratto di mutuo
non è nullo per difetto di causa, bensì è improduttivo di effetti per simulazione. La nullità per
difetto di causa presuppone che le parti abbiano realmente voluto adottare un determinato
modello contrattuale – nello specifico il mutuo fondiario – e tuttavia hanno affidato ad esso
una funzione differente da quella sua propria. Sicché, come da tempo osserva la più accorta
dottrina civilistica, la nullità per difetto di causa indica in realtà la carenza di un elemento essenziale affinché il regolamento negoziale predisposto dalle parti possa inquadrarsi nel tipo
dichiarato (cfr., per tutti, GAZZONI, Manuale di diritto privato13, Napoli, 2007, 924).
L’assenza di causa si risolve in altri termini in un problema di qualificazione della fattispecie.
Viene in rilievo quando la fattispecie concreta posta in essere non presenta gli elementi funzionali indefettibili perché possa applicarsi la disciplina legale propria della fattispecie astratta. Ed esattamente in tale prospettiva si è orientata quella parte della giurisprudenza secondo
cui il mutuo fondiario a copertura di debiti pregressi va riqualificato come mutuo tout court,
non assoggettabile alle norme di cui agli artt. 38 ss. Tub e non esente da revocatoria per
«mancanza della causa tipica del mutuo fondiario» (in quest’ordine di idee, cfr. App. Milano, 17 ottobre 2006, in Giur. it., 2007, 2246). Acclarata l’assenza di causa rispetto al tipo dichiarato nulla esclude infatti che quel regolamento convenzionale, realmente voluto, si presti
a essere inquadrato in un tipo diverso di cui possiede gli attributi causali.
Nullità per assenza di causa ed eventuale riqualificazione della fattispecie, ove ne sussistano i presupposti, non sono tuttavia percorsi condivisi dalla giurisprudenza prevalente.
La Cassazione ha infatti in diverse occasioni affermato che il mutuo fondiario, nel suo
assetto normativo attuale, non può qualificarsi come un mutuo di scopo, in quanto non è rinvenibile nella sua disciplina legale un vincolo di destinazione delle somme erogate la cui carenza possa generare nullità (in tal senso, cfr. Cass., 11 gennaio 2001, n. 317; Cass., 20 aprile
2007, n. 9511). Invero, nella disciplina del mutuo fondiario è tutt’ora presente qualche elemento che lascia supporre che il mutuo fondiario ha conservato ancor oggi una certa colorazione causale, soprattutto perché, se così non fosse, le norme di favore in tema di revocatoria
sarebbero del tutto prive di una valida giustificazione (cfr., in particolare, l’art. 38, comma 2°,
Tub, là dove si precisa che la Banca d’Italia determina l’ammontare massimo dei finanziamenti anche in rapporto al costo delle opere da eseguire sui beni ipotecati, ad indicare la persistenza di un rapporto necessario tra il finanziamento e la cosa oggetto della garanzia; e v.
FALCONE, Commento all’art. 38, in Testo unico bancario Commentario a cura di PorzioBelli-Losappio-Rispoli Farina-Santoro, Giuffrè, 2010, 367 ss. testo e nt. 12). Tuttavia, anche
la dottrina è concorde nel ritenere che il mutuo fondiario regolato dal Tub non è preordinato
al perseguimento di uno scopo predefinito (cfr. PATRONI GRIFFI, La nuova disciplina del credito fondiario: requisiti e caratteristiche dell’operazione. Tipicità e obbligatorietà della disciplina, in Riv. dir. impresa, 245 ss.; PRESTI, Le particolari operazioni di credito nel nuovo
ordinamento bancario, in La nuova disciplina dell’impresa bancaria a cura di MoreraNuzzo, Milano, 1996, 89 ss.; RISPOLI FARINA, Il nuovo credito fondiario, Napoli, 1999, passim; EAD., Commento all’art. 38, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a
cura di Belli-Contento-Patroni Griffi-Porzio-Santoro, I, Bologna, 2003, 583 ss.). Sicché, salva la presenza di particolari clausole che ricolleghino il finanziamento a una funzione specifi-
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ca, l’utilizzo anomalo del mutuo fondiario non si ritiene possa comportare la nullità per vizio
causale.
Rifiutata la tesi della nullità per assenza di causa, l’attenzione della giurisprudenza si è
spesso spostata dal mutuo fondiario in sé, atomisticamente considerato, alla complessiva operazione negoziale allestita dalle parti. In quest’ottica talvolta ci si è spinti ad affermare che il
collegamento tra il mutuo, di per sé lecito e voluto, e i preesistenti rapporti obbligatori intercorrenti con la banca porti a un risultato finale in frode alla legge, in quanto elusivo del sistema delle revocatorie fallimentari predisposto a tutela dei creditori (tale soluzione è stata
presa in considerazione da App. Milano, 25 maggio 1993, in Banca e borsa, 1994, II, 618,
ma non accolta nel caso specifico per mancata dimostrazione, sul piano soggettivo,
dell’esistenza di un accordo fraudolento; in dottrina, a favore dell’applicazione dell’art. 1344
c.c., v. ABETE, Mutuo fondiario e mutuo di scopo. Relazione nell’ambito dell’incontro di studio organizzato dal CSM su “Alcune questioni in tema di fallimento”, svoltosi a Palermo il
21 dicembre 2002, reperibile in http://appinter.csm.it/incontri/relaz/8494.pdf; PRESTI, in
Banca e borsa, 1994, II, 624).
In altri casi la giurisprudenza riconosce nella fattispecie una novazione delle obbligazioni originarie. La stipula del mutuo fondiario e l’impiego della relativa provvista per estinguere dei debiti pregressi verso la stessa banca costituiscono momenti, tra loro collegati, di
un’operazione unitaria il cui fine ultimo è quello di sostituire i rapporti di debito in essere con
il nuovo rapporto nascente dal mutuo fondiario, determinando una novazione oggettiva delle
obbligazioni preesistenti. A sua volta la novazione – si sostiene – poiché è un mezzo anormale di estinzione del debito pregresso, in quanto fatto estintivo diverso dall’adempimento, può
essere revocata ai sensi dell’art. 67, comma 1°, n. 2 l.f. (in tal senso, cfr. Cass., 19 novembre
1997, n. 11495; Trib. Treviso, 8 aprile 1999, in Dir. fall., 2000, II, 994; Trib. Genova, 16
gennaio 2002, in Giur. it., 2002, 2108; Trib. Genova, 17 luglio 2002, in Fallimento, 2003,
774).
6. La risposta al primo quesito. La prova del collegamento funzionale tra debiti pregressi e mutuo fondiario. – Fatte queste premesse è possibile procedere a rispondere ai tre
quesiti oggetto del parere nell’ordine in cui sono stati formulati (cfr. supra, par. 2). Sul primo
– se cioè l’esistenza di un nesso negoziale rilevante tra i debiti precedenti e il mutuo possa
essere affermata anche quando non vi è un giroconto diretto tra il conto sul quale è stato accreditato l’importo mutuato e i conti il cui saldo passivo si è inteso ripianare attraverso il mutuo – la risposta è relativamente agevole.
L’assenza di un trasferimento diretto di fondi non elimina infatti la possibilità di dimostrare altrimenti:
a) che le rimesse sui conti sono state eseguite con provvista proveniente dalla banca attraverso l’erogazione del mutuo;
b) che tale particolare impiego delle somme mutuate non è stato frutto di una scelta discrezionale del correntista assunta in autonomia dopo la stipula del mutuo, bensì è stato un
atto esecutivo di un precedente accordo tra il cliente e la banca sulla destinazione finale da
dare alle somme mutuate.
In merito occorre considerare che la ricostruzione della volontà delle parti va effettuata
sulla base di una valutazione complessiva del contenuto degli accordi intercorsi, nonché del
comportamento da esse tenuto anche dopo la conclusione del contratto, in ossequio ai canoni
interpretativi sanciti agli artt. 1362 ss. c.c. In tale prospettiva, tra gli elementi giudicati rilevanti dalla copiosa giurisprudenza fin qui richiamata per provare il collegamento teleologico
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tra l’esposizione debitoria pregressa e il mutuo fondiario si segnalano: i) la sostanziale corrispondenza tra l’ammontare complessivo delle somme mutuate e quelle dovute alla banca in
relazione ai preesistenti rapporti obbligatori; ii) la contestualità temporale tra l’accredito delle
somme e l’estinzione delle passività pregresse; iii) l’impossibilità di ricondurre l’estinzione
delle passività pregresse a una provvista proveniente da un diverso canale finanziario, considerato anche, nel caso di rimesse su conti affidati con saldo passivo, l’andamento del conto
dell’ultimo periodo (su questo punto specifico, cfr. Trib. Nola, 24 febbraio 2009, in Foro it.,
2009, I, 2243); iv) il comportamento successivo della banca, quando questo sia espressivo
della reale portata degli accordi conclusi.
In base a tali criteri e alla luce degli elementi di fatto che mi sono stati forniti per la redazione del presente parere, sintetizzati nel primo paragrafo, non esiterei a riconoscere nella
concessione del mutuo e nel successivo impiego delle somme mutuate dei momenti procedimentali di un’operazione unitaria.
In particolare, per quanto attiene al punto sub a) – la provenienza bancaria della provvista utilizzata per le rimesse – quand’anche risulti la veridicità della documentazione contabile della banca, vale a dire che effettivamente Tizio il giorno stesso dell’accreditamento della somma mutuata sul suo conto effettuò un prelievo in contanti allo sportello e nello stesso
tempo provvide, sempre in contanti, a rimettere sui due conti sociali delle somme sufficienti
ad azzerarne il saldo passivo, le concrete modalità esecutive dell’operazione permettono in
ogni caso d’individuare nella somma mutuata la fonte finanziaria delle rimesse sui conti. Ciò
sia perché, a quanto consta, fu prelevato in contanti un importo coincidente con l’ammontare
delle rimesse (e d’altronde una lieve sfasatura rispetto a cifre elevate, ove vi sia, non sarebbe
comunque rilevante). Sia perché vi è stata nello specifico contestualità temporale tra accreditamento della somma mutuata, prelievo in contanti (eseguito il giorno stesso) e rimesse sui
conti.
In tale situazione, la mancanza di un giroconto diretto ha un valore poco significativo e
soprattutto non può portare a negare il predetto collegamento negoziale (in tal senso, in modo
esplicito, v. Cass., 22 marzo 1994, n. 2742). Tanto più se si considera che nel caso di specie il
giorno che fu eseguito il prelievo in contanti dal conto di appoggio del mutuo quest’ultimo fu
stornato anche per estinguere delle altre posizioni debitorie riconducibili allo stesso cliente
mediante movimentazioni contabili interne alla banca, ossia mediante giroconti diretti idonei
come tali a dimostrare in modo inequivoco la provenienza delle somme. Tali elementi di fatto, ancor più se eventualmente uniti alle circostanze che in altre occasioni erano già state attuate tra le parti operazioni analoghe e che il cliente non disponeva all’epoca di risorse finanziarie alternative per saldare i suoi conti con la banca, formano un quadro univocamente orientato ad affermare che le somme utilizzate per le rimesse furono le medesime erogate poco
prima dall’istituto di credito.
Le circostanze ora indicate rilevano inoltre al fine di dimostrare, venendo al punto sub
b), che la concreta destinazione da dare alla somma mutuata era già stata concordata tra la
banca e il cliente sin dal momento della stipula del mutuo. Al riguardo, giova osservare che
allorquando vengono congegnate operazioni siffatte la banca ha il comprensibile timore che il
cliente, una volta ottenuta la materiale disponibilità della somma, non rispetti più gli impegni
assunti e ne faccia un utilizzo diverso da quello prestabilito. Sicché, di regola, essa pretende
dal cliente che le somme mutuate siano impegnate per il fine programmato di sanare la preesistente situazione debitoria in concomitanza con il loro accreditamento.
Per tale ragione l’elemento temporale assume un rilievo preminente nella valutazione
del carattere unitario dell’operazione. Esso costituisce infatti la riprova dell’assenza di
un’autonoma potestà dispositiva del cliente sulle somme erogate in ragione del vincolo di de-
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stinazione su di esse impresso in base agli accordi intercorsi. Dimostra inoltre il preciso interesse della banca a che le concrete modalità esecutive del procedimento solutorio congegnato
non diano al cliente la materiale possibilità di discostarsi da quanto pattuito.
Peraltro, in questa prospettiva acquista altresì rilevanza nel caso specifico, oltre alla
prossimità temporale tra l’accreditamento dell’importo mutuato e il suo utilizzo per estinguere le obbligazioni nascenti da rapporti precedenti, l’intervenuto scioglimento dei rapporti di
apertura di credito contemporaneamente, a quanto consta, alla stipula del mutuo fondiario.
Tale contestualità rafforza l’idea che all’atto della concessione del mutuo le parti avevano già
stabilito che le somme erogate con il mutuo sarebbero state impiegate per restituire le somme
utilizzate sui conti affidati. Che dunque anche lo scioglimento dei rapporti di apertura di credito – a seguito del quale le successive rimesse effettuate sui conti con saldo passivo non
hanno avuto più la funzione di ricostituire un credito disponibile del correntista, bensì quella
meramente solutoria di esposizioni pregresse – è stato parte integrante di un programma negoziale complesso volto a ridefinire i rapporti tra le parti.
7. L’inquadramento dell’operazione effettuata tra il cliente e la banca. La novazione
delle obbligazioni pregresse. – Sui restanti quesiti non è possibile fornire una risposta univoca. Come già osservato (supra, parr. 3-5), la vicenda negoziale in esame non si presta a una
ricostruzione unitaria. E ciò non soltanto per la compresenza di itinerari interpretativi diversi,
giacché, se solo questo fosse il problema, sarebbe ovviamente compito dello scrivente prendere posizione e spiegare le ragioni dell’impostazione assunta. L’operazione è suscettibile di
rappresentazioni giuridiche differenti perché, come osservato, soltanto in base a un esame in
punto di fatto è possibile stabilire se nel caso concreto vi sia stata o meno simulazione.
Stando così le cose, l’incarico affidatomi m’impone a questo punto di procedere sulla
base della premessa che nella fattispecie non si sia verificato un fenomeno simulatorio. Chiarito perché, se vi è stata simulazione, l’inefficacia del mutuo fondiario fa cadere anche la garanzia ipotecaria connessa (supra, par. 3), occorre stabilire cosa succede quando le parti non
hanno voluto costituire una garanzia per un credito preesistente – nel qual caso, come rilevato, s’impone la declaratoria d’inefficacia del mutuo per simulazione – ma hanno piuttosto inteso dare ai rapporti giuridici in essere una nuova fisionomia, individuando nel mutuo fondiario lo schema negoziale più aderente ai loro rinnovati interessi.
Se questa è stata la volontà delle parti e assunto altresì in premessa come dato di fatto
che, nella loro comune intenzione, le somme mutuate dovevano servire a ripianare dei debiti
preesistenti, è possibile riconoscere nel sistema negoziale attuato dalle parti una volontà orientata in una triplice direzione: a) estinguere le obbligazioni a carico del cliente nascenti da
taluni rapporti giuridici sciolti in concomitanza con il mutuo; b) costituire in sostituzione di
tali obbligazioni un nuovo rapporto di credito avente come parti da un lato sempre la banca e,
dall’altro lato, il comune debitore di tutti i rapporti pregressi, in proprio oppure come socio a
responsabilità illimitata di società debitrici, più altri condebitori solidali; c) dare forma giuridica alle due predette volontà, estintive e costitutive di rapporti obbligatori, attraverso un procedimento composto dalla sequenza negoziale: stipula del mutuo-iscrizione ipotecariaerogazione delle somme-utilizzo delle stesse per l’estinzione dei debiti preesistenti.
Gli elementi sub a) e b) della volontà manifestata dalle parti conducono a inquadrare la
vicenda nell’istituto della novazione. Va quindi condiviso l’orientamento giurisprudenziale,
innanzi richiamato, che rinviene nel meccanismo negoziale in esame una funzione novativa
degli originari rapporti giuridici. In senso contrario non può addursi, com’è stato sostenuto da
un’altra parte della giurisprudenza, che nella fattispecie difetterebbe l’elemento essenziale,
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richiesto dall’art. 1230 c.c., dell’aliquid novi (così, Trib. Latina, 11 agosto 2008, in
www.ilcaso.it; Trib. Terracina, 16 dicembre 2009, in www.ilcaso.it). L’affermazione si fonda
sul presupposto che non sarebbe riconoscibile né un mutamento dell’oggetto del rapporto obbligatorio (sempre e comunque un’obbligazione pecuniaria), né un cambiamento del titolo, in
quanto sia il rapporto giuridico di partenza che quello di destinazione sarebbero ascrivibili
alla medesima categoria causale dei contratti di finanziamento (in quest’ordine di idee, v. anche MURINO, Sull’incerta ricostruzione dei consolidamenti mediante mutuo fondiario o ipotecario concluso ad un soggetto, già debitore della banca, poi dichiarato fallito, in Giur. it.,
2002, 2108). La modifica intervenuta atterrebbe quindi solo ad aspetti, quali la durata del finanziamento e l’aggiunta di una garanzia reale, insufficienti a provocare una novazione.
Quest’impostazione non può tuttavia essere recepita. In termini generali già desta qualche perplessità che vi sia identità strutturale atta a escludere la novazione tra l’obbligazione
nascente dal contratto di mutuo e quella precedente (da novare) di restituire le somme utilizzate attraverso conti non più coperti da affidamento. La prima differita e dilazionata nel tempo sulla base di scadenze prestabilite, la seconda esigibile per l’intero in un’unica soluzione
da parte della banca. Tali differenze, che riflettono quelle intercorrenti tra i due rapporti dai
quali esse derivano (rispettivamente, un mutuo e un’apertura di credito), depongono a favore
della novazione.
Inoltre, al di là di ciò, la fattispecie concreta presenta degli elementi che conducono
senz’altro ad affermare la presenza dell’aliquid novi. Sul piano oggettivo del mutamento del
titolo, perché le parti hanno voluto trasfondere in un unica obbligazione ben cinque obbligazioni preesistenti. L’operazione ha acquisito quindi i connotati di una vera e propria ristrutturazione complessiva della situazione debitoria pregressa. Sul piano soggettivo, perché le persone obbligate in forza dei rapporti estinti coincidono solo in parte con quelli vincolati alla
restituzione del mutuo fondiario. Sicché è fuori dubbio che nella fattispecie la novazione si
sia concretizzata anche nella forma soggettiva della parziale sostituzione di debitori originari
con debitori nuovi (art. 1235 c.c.).
Chiarito che il mutamento della configurazione originaria dei rapporti obbligatori presenta sufficienti elementi di novità, oggettivi e soggettivi, per ravvisare nell’operazione una
funzione novativa, non può d’altro canto disconoscersi la presenza di un animus novandi.
L’essenza della novazione si radica, come prevede l’art. 1230 c.c., nella sostituzione di un
rapporto obbligatorio con un altro. Nella novazione vi è un nesso inscindibile tra l’estinzione
dell’obbligazione preesistente e la nascita di quella nuova, in quanto tali effetti si presentano
come corrispettivi: «tra estinzione e costituzione vi è un reciproco rapporto funzionale che
esprime la funzione – necessariamente unitaria – della novazione» (così, PERLINGIERI, Dei
modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Commentario del codice
civile Scialoja-Branca, Art. 1230-1259, Bologna-Roma, 1975, 67; nello stesso senso, v. BUCCISANO, voce Novazione, in Enc. giur., Roma, 2; CICALA, L’adempimento indiretto del debito altrui. Disposizione «novativa» del credito ed estinzione dell’obbligazione nella teoria del
negozio, Napoli, 1968, 102 ss.). Tale rapporto di funzionale reciprocità tra effetto estintivo e
costitutivo deriva dal fatto che sul piano degli interessi, per un verso, il debitore accetta di
vincolarsi in base al nuovo rapporto obbligatorio a condizione che venga meno quello precedente. Per altro verso, il creditore accetta che l’obbligazione precedente si estingua purché a
tale estinzione si accompagni la nascita di un’obbligazione nuova.
Pertanto, quando è riconoscibile, come nel caso di specie, questa relazione di reciprocità tra effetto estintivo e costitutivo, poco importa che la volontà delle parti orientata in tale
duplice e correlata direzione si sia manifestata in modo indiretto, ossia attraverso uno schema
negoziale complesso. È infatti pacifico che la novazione possa anche essere tacita, purché i
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comportamenti concludenti dai quali essa risulta si traducano in atti incompatibili con la volontà di mantenere in vita la precedente obbligazione (sulla novazione tacita, cfr. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione, cit., 76 ss.; in giurisprudenza, Cass., 11 giugno 1983, n. 4028;
Cass., 2 giugno 1998, n. 5399; Cass., 21 giugno 2005, n. 13294; Cass., 12 gennaio 2006, n.
421; Cass., 17 maggio 2007, n. 11457; Cass., 19 marzo 2009, n. 6670). E ciò in quanto l’art.
1230, comma 2°, c.c. stabilisce solo che la volontà di estinguere l’obbligazione precedente
dev’essere univoca, ma non toglie la possibilità che una volontà inequivoca sia espressa per
facta concludentia. L’assenza di ambiguità, come caratteristica della volontà dichiarata, non
va confusa con il modo attraverso l’intento novativo viene manifestato all’esterno.
8. Segue. L’operazione come collegamento negoziale in frode alla legge. – Si può
quindi ritenere assodato che, una volta riconosciuto nel caso di specie un interesse e un intento comune delle parti al mutamento oggettivo (e in parte anche soggettivo) delle obbligazioni
originarie, il fenomeno va inquadrato nell’ambito concettuale della novazione.
Questa conclusione non esaurisce tuttavia l’esame del contenuto della volontà delle
parti. Caratteristica dell’operazione in oggetto è infatti che l’animus novandi non si è manifestato nella forma pura e lineare dell’accordo novativo, idoneo a produrre al tempo stesso
l’estinzione delle obbligazioni in essere e la nascita di quelle nuove. L’animus novandi si è
manifestato mediante un meccanismo indiretto, nel quale l’estinzione delle obbligazioni pregresse, anziché apparire all’esterno come il risultato della pars destruens di un accordo di novazione, è figurata essere una conseguenza del compimento di atti di pagamento. Atti di pagamento, tuttavia, solo apparenti perché privi della qualità essenziale che li rende tali, ossia
l’essere un modo di estinzione delle obbligazioni satisfattorio dell’interesse del creditore, dal
momento che la provvista necessaria a porli in essere è stata somministrata dalla stessa banca,
la quale è rimasta creditrice ad altro titolo di somme corrispondenti.
Le ragioni che possono portare le parti a privilegiare questo percorso indiretto (e occulto) di novazione – allorquando, si ripete, la banca e il cliente vogliano però nel contempo realmente dare ai loro rapporti la nuova veste giuridica del mutuo fondiario – sono diverse.
Dichiarare all’esterno una novazione comporta innanzitutto l’inconveniente che in sede
fallimentare essa sarà soggetta a revocatoria secondo la disciplina degli atti estintivi di debiti
effettuati con mezzi anormali di pagamento (è pacifico che la novazione rientri tra gli atti anormali: cfr. Cass., 27 giugno 1994, n. 6149; Trib. Milano, 17 luglio 2003, in Fallimento,
2004, 110, cui adde la giurisprudenza, già citata al par. 5 in fine, la quale, inquadrata la vicenda de qua nella novazione, non esita ad applicare l’art. 67, comma 1°, n. 2 l.f.). Mentre i
pagamenti in denaro di debiti, quando non sono del tutto esenti da revocatoria, rientrano in
ogni caso tra gli atti normali, assoggettati a un regime senz’altro più favorevole per il creditore.
Inoltre, è assai dubbio che l’obbligazione restitutoria da mutuo fondiario possa nascere
a seguito di novazione di obbligazioni preesistenti. Come si è avuto modo di constatare, anche quando la giurisprudenza non giunge ad affermare la simulazione oppure la nullità per
difetto di causa, quest’ultima soprattutto perché il mutuo fondiario non può considerarsi un
mutuo di scopo, è nondimeno assai restia a riconoscere legittimità all’operazione, in quanto
vede in essa un utilizzo improprio del mutuo fondiario. Forte è infatti la sensazione che presupposto implicito ai fini dell’applicazione della disciplina di cui agli artt. 38 ss. Tub (e quindi anche dell’esonero da revocatoria) sia l’erogazione di nuove risorse finanziarie (in tal senso, espressamente, Trib. Padova, 9 marzo 2006, in www.dejure.giuffre.it; in termini analoghi,
App. Milano, 17 ottobre 2006, in Giur. it., 2007, 2247). Che dunque l’obbligazione restituto-
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ria da mutuo fondiario non possa nascere in sostituzione di obbligazioni preesistenti. In primo
luogo, perché la novazione, con l’aggiunta di una garanzia reale a tutela della nuova obbligazione, non si distanzia dal punto di vista economico e dell’assetto sostanziale degli interessi
in gioco dalla costituzione di garanzie per debiti preesistenti. L’idea che il legislatore abbia
implicitamente ammesso che tramite la stipula di un mutuo fondiario l’esenzione da revocatoria possa prodursi anche in relazione a situazioni assimilabili a quelle di cui all’art. art. 67,
comma 1°, nn. 3-4 l.f. lascia quindi fortemente perplessi. In secondo luogo, perché riconoscere che il mutuo fondiario possa sorgere anche senza effettiva erogazione di somme, in novazione di obbligazioni pregresse, significa escludere la necessaria sussistenza di ogni tipo di
legame funzionale tra finanziamento (che non c’è) e miglioramento della cosa oggetto della
garanzia (e v. ancora il riferimento dell’art. 38 Tub al costo delle opere da eseguire sui beni
ipotecati). Se è corretto rigettare la configurazione del mutuo fondiario come vero e proprio
mutuo di scopo ciò non autorizza a ritenere che il legislatore abbia dilatato i confini
dell’istituto al punto da fargli perdere ogni profilo di specialità in grado di legittimare la disciplina di favore del credito fondiario.
Pertanto, in sintesi: la sicura applicazione all’estinzione per novazione delle obbligazioni pregresse del regime degli atti revocabili ex art. 67, comma 1°, n. 2 l.f., unita alla probabile disapplicazione al mutuo, denominato dalle parti come fondiario ma sorto in novazione di rapporti preesistenti, del beneficio dell’esonero dalla revocatoria per incompatibilità con
gli elementi strutturali e funzionali del tipo, sono conseguenze giuridiche che possono indubbiamente indurre la banca e il cliente a non far apparire all’esterno il loro reale intento novativo. A non rendere manifesto il legame, in realtà esistente, tra il mutuo e i rapporti obbligatori pregressi. Far figurare quindi che vi è stata un’estinzione satisfattiva di debiti preesistenti
mediante pagamento in denaro, là dove vi è stata invece novazione delle obbligazioni originarie e loro sostituzione con un’obbligazione nuova.
Qualora sia dimostrata, in concreto, tale comune intenzione delle parti, essa acquista
una precisa valenza negativa. Infatti, un’operazione strutturata in modo da non far apparire
che l’estinzione di debiti pregressi è avvenuta con mezzi anormali (a) e inoltre in modo da far
apparire esente da revocatoria un mutuo che non ha i presupposti per l’esenzione (b) implica,
oltre che un’indubbia volontà di aggirare l’art. 67, comma 1°, n. 2 l.f., anche un verosimile
tentativo di forzare le condizioni di accesso al regime privilegiato del mutuo fondiario di cui
agli artt. 67, comma 4°, l.f. e 39, comma 4°, Tub.
Pertanto, in presenza di tale volontà elusiva il punto di fondo è stabilire quale debba essere la reazione dell’ordinamento. Se cioè la sanzione debba esaurirsi nella mera applicazione
delle norme in tema di revocatoria alle quali le parti intendevano sfuggire, oppure debba colpire l’intera operazione con la nullità per frode alla legge.
Contro l’applicazione dell’art. 1344 c.c., sostenuta soprattutto in dottrina (per riff. v.
supra, par. 5 in fine), si è affermato che l’operazione altera solo la par condicio creditorum,
sicché la frode è ai creditori e non alla legge e il rimedio a tal fine previsto è la revocatoria,
non la nullità (nel senso che la frode ai creditori, di per sé, non legittima la declaratoria
d’invalidità del contratto, da ultimo, v. Cass., 4 ottobre 2010, n. 20576). Si è aggiunto inoltre
che le norme sulla revocatoria non possono considerarsi delle norme imperative la cui elusione possa comportare nullità, perché non sono poste a tutela di un interesse generale, bensì
dell’interesse particolare dei creditori (per entrambi i rilievi, cfr. App. Brescia, 9 febbraio
1994, in Banca e borsa, 1995, II, 198; Trib. Treviso, 8 aprile 1999, in Dir. fall., 2000, II, 994;
Trib. Catania, 10 aprile 2003, in Banca e borsa, 2005, II, 301).
Queste obiezioni non possono essere condivise. Per quanto concerne la prima, essa scaturisce da un equivoco. La frode ai creditori va tenuta distinta dalla frode alle norme poste a
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tutela dei creditori. Altro è invero porre in essere un atto pregiudizievole della par condicio
creditorum. Altro è porre in essere un atto artatamente congegnato in modo da apparire esente
da revocatoria (o quanto meno soggetto alla revocatoria degli atti normali anziché a quella
degli atti anormali) allo scopo di tentare di aggirare le norme sulla revocatoria. In
quest’ultimo caso la frode investe i creditori solo in via mediata, in quanto beneficiari delle
norme che si volevano eludere. Ma in via diretta la frode è alla legge e non ai terzi. E infatti,
allorquando la Cassazione afferma che non esiste nel nostro ordinamento un principio generale che rende nullo il contratto in frode ai creditori non manca di precisare che la nullità può
tuttavia prodursi se il contratto stipulato con l’intento di recare pregiudizio ai creditori sia riconducibile a una delle ipotesi di nullità previste dalla legge, tra cui la violazione e/o
l’elusione di norme imperative (cfr. Cass., sez. un., 25 ottobre 1993, n. 10603). Quando cioè
la frode ai creditori si è concretizzata in una fattispecie di nullità ex artt. 1343-1345 e 1418
c.c.
Più delicata e complessa è la seconda questione. Essa – va detto – conserva dei margini
di opinabilità perché attiene alle caratteristiche che deve possedere la disposizione elusa per
poter applicare il rimedio di cui all’art. 1344 c.c. In merito, l’indirizzo giurisprudenziale sopra
citato si ricollega all’idea, sviluppatasi in sede d’interpretazione dell’art. 1418 c.c., che per
potersi avere nullità la violazione di norme imperative deve riguardare disposizioni poste a
tutela d’interessi di carattere generale (in tal senso, cfr. Cass., 4 gennaio 1995, n. 418; Cass.,
3 settembre 2001, n. 11351; Cass., 5 ottobre 2009, n. 21235; Cass., 11 agosto 2009, n. 18223;
analogamente, in dottrina, v. DE NOVA, Il contratto contrario a norme imperative, in Riv.
crit. dir. priv., 1985, 440). Tale interpretazione restrittiva delle norme imperative suscettibili
di generare nullità trova fondamento, com’è stato osservato (cfr., anche per ulteriori riff.,
GALGANO, Della simulazione. Della nullità del contratto. Dell’annullabilità del contratto, in
Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Art. 1414-1446, Bologna-Roma, 1998, 82),
nella riserva contenuta nell’art. 1418, comma 1°, c.c., per cui si ha nullità per violazione di
norme imperative solo se la legge non dispone diversamente. Ne deriva che la contrarietà a
norme imperative può anche non essere causa di nullità, perché l’art. 1418 istituisce una sorta
di gerarchia tra norme imperative fonte di nullità e non. Il senso di questa bipartizione, secondo l’indirizzo richiamato, è che la nullità va comminata solo quando la disposizione, oltre
a essere inderogabile, è anche posta a presidio d’interessi riferibili all’intera collettività.
Orbene, se questo è il criterio discretivo da adottare in linea generale, con riguardo al
caso specifico può fondatamente dubitarsi che le norme in tema di revocatoria rientrino tra
quelle poste a tutela d’interessi di carattere solo settoriale e/o tra quelle rivolte a determinate
categorie di soggetti. Le norme sulla revocatoria fallimentare si applicano agli imprenditori
soggetti a fallimento, ma tutelano chiunque, anche non imprenditore, abbia avuto rapporti con
il fallito. Salvaguardano pertanto l’interesse generale del sistema economico alla ripartizione
proporzionale tra i creditori del rischio dell’insolvenza di chi opera sul mercato.
A questo rilievo va aggiunta una considerazione ulteriore. Come si è detto, l’indirizzo
volto a operare una selezione restrittiva delle norme imperative che possono tradursi in cause
di nullità si fonda sull’inciso salvo che la legge disponga diversamente di cui all’art. 1418,
comma 1°, c.c. Tale precisazione normativa, prevista in tema di nullità per violazione di norme imperative, non è stata riprodotta nella norma che disciplina la nullità per frode alla legge.
Ai sensi dell’art. 1344 c.c. la nullità si ha in ogni caso di elusione di norme imperative.
Questa differenza non può ritenersi priva di significato. Essa appare espressione del
principio che l’elusione è sempre contraria a un interesse generale della collettività, a prescindere dall’interesse tutelato dalla norma imperativa aggirata. Nell’elusione, infatti, al disvalore del comportamento negoziale tenuto dalle parti, costituito dalla violazione di una
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norma imperativa, si unisce il disvalore delle modalità attraverso cui quella violazione si consuma (cfr. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Art. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, 342 s.). È pertanto ragionevole ritenere
che la differenza lessicale tra gli artt. 1344 e 1418 c.c. sottenda un maggior rigore
dell’ordinamento nella repressione dei fenomeni elusivi, in considerazione del costo che essi
generano sull’ordinato svolgimento delle relazioni economiche sia in termini di emersione
(scil. il costo sostenuto dal sistema affinché l’elusione sia dimostrata), sia in termini di potenziale impunità.
Se si condividono tali considerazioni può affermarsi che, qualora in concreto nella decisione di contrarre un mutuo fondiario in sostituzione di obbligazioni pregresse attraverso il
procedimento indiretto più volte descritto sia riconoscibile un intento comune del cliente e
della banca di eludere l’applicazione delle norme sulla revocatoria fallimentare (almeno l’art.
67, comma 1°, n. 2 l.f.), il contratto e la garanzia ipotecaria debbono ritenersi nulli ai sensi
dell’art. 1344 c.c.
Per quanto concerne i criteri di valutazione della sussistenza, sul piano soggettivo,
dell’accordo fraudolento, che la giurisprudenza tende e reputare essenziale ai fini
dell’applicazione della sanzione della nullità ex art. 1344 c.c. (cfr. Cass., 12 marzo 1982, n.
1600; Cass., 6 dicembre 1984, n. 6444; Cass., 11 maggio 1987, n. 4333; Trib. Verona, 23
febbraio 1982, in Giur. merito, 1984, 72), rileveranno un insieme coordinato di circostanze
idonee a far presumere l’esistenza della frode. Vale a dire, nello specifico, una serie di elementi indiziari che possano portare ad affermare che l’operazione negoziale è stata così concepita dalle parti allo scopo di non incorrere nell’applicazione delle norme sulla revocatoria,
cui l’operazione deve invece ritenersi soggetta alla luce di una valutazione complessiva della
sua sostanza economica. Tra gli indizi di frode, com’è stato osservato (cfr. MORELLO, voce
Negozio giuridico VI) Negozio in frode alla legge, in Enc. giur., Roma, 11 ss.), hanno un rilievo preminente la divergenza tra l’operazione formalmente dichiarata e il reale intento delle
parti, l’oggettiva produzione di un risultato finale analogo a quello vietato dalla legge e, infine, la stretta consecuzione temporale tra gli atti e/o i comportamenti attraverso cui si è concretizzata la frode.
9. L’invalidità del mutuo fondiario per inesistenza dell’obbligazione originaria. – Aver
sussunto la fattispecie nell’alveo della novazione – sempre che, beninteso, non si configurino
in concreto le condizioni per applicare la disciplina della simulazione – permette infine di dare una risposta abbastanza agevole al terzo e ultimo quesito.
Qualora l’operazione non sia già in sé viziata – da quanto detto, per simulazione oppure per frode alla legge – mi è stato chiesto cosa accade se a posteriori, fatti i dovuti accertamenti e ricalcolati i rapporti di dare-avere, emerga che al momento della stipula del mutuo
fondiario la banca, in realtà, non vantava alcuna ragione di credito verso il cliente, perché le
rate residue di restituzione dei finanziamenti ricevuti non erano dovute e i saldi in apparenza
negativi sui conti in origine affidati non erano a ben vedere negativi, in quanto le une e gli altri frutto in entrambi i casi dell’applicazione di interessi anatocistici, di spese e di commissioni non spettanti alla banca.
In tale ipotesi la giurisprudenza, nell’unico precedente rinvenuto, ha affermato che il
contratto di mutuo stipulato al solo fine di ripianare un’esposizione debitoria inesistente, ovvero per reperire la provvista necessaria a corrispondere alla banca delle somme da questa indebitamente pretese in applicazione di clausole nulle, è anch’esso nullo per frode alla legge
ex art. 1344 c.c. (Trib. Brindisi, 4 dicembre 2006, in Foro it., 2007, I, 1947). Sebbene la sen-
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tenza sia alquanto laconica sul punto, appare che il Tribunale abbia ritenuto che la nullità delle clausole in base alle quali figuravano delle somme a credito della banca comporti la nullità
riflessa dell’atto negoziale preordinato ad eseguirne il pagamento. Più precisamente, siccome
la sentenza richiama la frode alla legge, v’è da supporre che nella prospettazione del Tribunale il contratto di mutuo sarebbe servito alle parti ad aggirare mediante un procedimento solutorio indiretto le norme di legge che rendono non dovuti gli importi corrisposti.
Invero, è dubbio se il negozio stipulato per eseguire un pagamento indebito possa ritenersi nullo, quand’anche il pagamento sia indebito a causa di clausole nulle per contrarietà
alla legge. Tuttavia, una volta dimostrata l’applicazione delle regole in tema di novazione il
quesito non ha ragione di porsi. Come sopra precisato (par. 7), infatti, la funzione specifica
della novazione, la c.d. causa novandi, risiede nella sostituzione di un rapporto obbligatorio
con un altro di differente tipo e/o contenuto. Da ciò deriva la stretta interrelazione tra l’effetto
estintivo e quello costitutivo del nuovo rapporto, nel senso che l’uno ha la sua ragion d’essere
nell’altro. Questo nesso di reciproca interdipendenza tra i due effetti ha la sua principale emersione normativa nell’art. 1234 c.c., ai sensi del quale in caso d’inesistenza
dell’obbligazione originaria la novazione è senza effetto, ossia, per opinione comune,
l’inesistenza dell’obbligazione da estinguere – e dunque l’assenza dell’effetto estintivo che
giustifica causalmente la nascita della nuova obbligazione – comporta la nullità dell’atto di
novazione (cfr. BUCCISANO, voce Novazione, in Enc. giur., Roma, 2 s.; RESCIGNO, voce Novazione (diritto civile), in Novissimo Digesto Italiano, XI, Torino, 1965, 436; SCHLESINGER,
Mancanza dell’effetto estintivo nella novazione oggettiva, in Riv. dir. civ., 1958, I, 353 ss.).
Precisamente, secondo una delle opinioni più diffuse, l’impossibilità originaria dell’effetto
estintivo per assenza del rapporto da estinguere comporta nullità della novazione per incapacità originaria dell’atto di svolgere la sua funzione causale (in tal senso, v. MAGAZZÙ, voce
Novazione (dir. civ.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 822 ss.). Il che – si badi – accade
anche quando l’obbligazione da estinguere era esistita in origine, ma era già estinta all’epoca
della novazione (v. BUCCISANO, voce Novazione, cit., 3; MAGAZZÙ, voce Novazione (dir.
civ.), cit., 823).
Pertanto, rinvenuto nel collegamento negoziale instaurato dalle parti tra i debiti pregressi e la stipula del mutuo un’ipotesi di novazione, l’eventuale assenza delle obbligazioni
originarie da novare non può non comportare la nullità della novazione. Vale a dire, la nullità
della nuova obbligazione che avrebbe dovuto costituirsi a carico del cliente in sostituzione di
quelle di cui si supponeva erroneamente l’esistenza. La nullità, inoltre, della garanzia ipotecaria correlata al negozio di mutuo nullo.
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Parere pro veritate in materia di mutuo fondiario