capisaldi
La fraternità
come trama delle istituzioni
Filippo Pizzolato
Professore di Diritto pubblico nell’Università di Milano-Bicocca,
<[email protected]>
Che cos’è il principio di fraternità? È un ideale di natura esclusivamente etico-morale o religiosa, oppure può assumere anche
un rilievo in ambito politico e perfino giuridico? È un principio
interpretato in modo univoco o vi è una pluralità di interpretazioni? Ci sono equivoci collegati all’invocazione della fraternità?
Dopo aver presentato nelle pagine immediatamente precedenti
una visione francese di tale principio, quella del prof. Le Goff,
offriamo alcune riflessioni a partire dall’ordinamento giuridico
italiano.
M
ichel Borgetto, costituzionalista francese e grande studioso del principio di fraternità, riferendo una definizione di
diritto proposta dal giurista Georges Vedel nel 1989, che
suona «Se non so molto di che cosa sia il diritto all’interno di una società, credo di sapere che cosa sarebbe una società senza diritto», invita
a sostituire il termine “diritto” con “fraternità” (Borgetto 1997, 113).
Il rapporto della fraternità con il diritto è controverso, anzitutto
perché la definizione stessa di diritto – come riconosce Vedel – è
oggetto di infinite discussioni. Ciò che permette di avvicinare la
fraternità al mondo del diritto è un’interpretazione di questo come
strumento per dare ordine ai rapporti sociali. Seguendo questa linea interpretativa, infatti, il diritto entra in rapporto dialettico con
tutte quelle risorse che, entro la società, contribuiscono a ordinare le
relazioni secondo un’idea di bene comune. Tra queste vi sono certa-
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Aggiornamenti Sociali marzo 2013 (200-207)
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mente i comportamenti ispirati alla fraternità. È dunque possibile
avanzare l’idea che il principio di fraternità, laddove sia inserito
nell’edificio costituzionale, in modo esplicito o implicito, operi
come strumento di riconoscimento pubblico di comportamenti
e di legami che, pur non integralmente giuridicizzati e giuridicizzabili, conferiscono consistenza al rapporto sociale e, in questo modo,
offrono all’ordinamento giuridico un’infrastruttura essenziale su cui
reggersi 1. Tali comportamenti, che il principio di fraternità coagula
e porta alle soglie del giuridico, possono essere ispirati e alimentati
dall’amore, dall’amicizia, dalla fede. Le modalità e le conseguenze
di questo riconoscimento possono essere plurali.
La lingua stessa ci permette peraltro di esplorare questo mondo
di rapporti strutturati che da un lato sostengono l’edificio giuridico
e dall’altro ne vengono riconosciuti; basti pensare all’articolazione
semantica del termine “fraternità”: da un lato esso indica un principio o un valore, dall’altro – e sempre quando è usato al plurale –
assume una valenza ben più concreta, diventando in alcuni contesti
(quali la vita religiosa) un sinonimo di “comunità”. L’andirivieni tra
queste polarità semantiche affiorerà più volte lungo la nostra analisi.
In origine il legame
La logica che sembra ispirare il principio di fraternità è il convincimento circa il carattere originario, per la persona, del legame
con altri da sé. La fraternità parte da una condizione: l’essere (come)
fratelli. In origine, dunque, vi è il legame. L’ordinamento dei rapporti sociali non prende avvio da un “io” isolato e già confezionato,
che poi, obbedendo a una volontà mutevole, decide di aprirsi a dei
“tu”, ma da un “io” che si percepisce e si costituisce entro una trama
di rapporti con altri “tu” che lo accolgono e lo accompagnano nel
corso della sua vita (a riguardo cfr Buber 1993, 59 s.; per la simile
premessa antropologica del personalismo, cfr Mounier 1975, 31). La
fraternità esprime il riconoscimento di questo carattere strutturalmente e originariamente relazionale della condizione umana.
Il legame non nega la libertà della persona, ma ne rende possibile
la conquista, a condizione che sia pensato come orientato e strutturalmente finalizzato all’autonomia della persona e dunque nel segno
dell’apertura; altrimenti si tramuterebbe in laccio che trattiene l’avventura umana o la confina in spazi angusti. Per quanto esaltazione
dell’appartenenza, le forme di comunitarismo chiuso sono l’antitesi
del personalismo, non la sua realizzazione. L’ordinamento giuridico
rinviene in queste avvertenze un primo criterio orientativo: il rico1
Questa tesi è sviluppata più ampiamente in Pizzolato 2012.
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noscimento pubblico dei comportamenti fraterni non può andare
disgiunto dalla finalizzazione, a mezzo del diritto, dei legami sociali
che “formano” la persona a un disegno di promozione umana, e
dunque anche da una vigilanza sugli stessi. Il diritto non si consegna
infatti inerme alle fraternità (Lombardi Vallauri 1969, 140), perché
queste, se pure sono risorse fondamentali di libertà, possono diventare luoghi di violenza privata o di subdola segregazione.
I legami che ospitano e accompagnano lo svolgimento della personalità umana sono, soprattutto in origine, non elettivi, ma poi,
con la conquista graduale dell’autonomia da parte dell’individuo,
diventano oggetto di atti di libertà. Famiglia, città, scuola sono
esempi importanti di «formazioni sociali» – per usare il termine
dell’art. 2 della Costituzione – in cui la persona può ricevere una
cura fraterna delle proprie fragilità; ma, successivamente, essa deve
diventare, a propria volta, costruttrice di famiglia, di società e di
città, e capace di istituire nuovi legami e nuove relazioni fraterne. La
persona, generata e accolta dalla cura fraterna, diventa cioè cittadino
– o «lavoratore», secondo l’espressione dell’art. 3 – quando interpreta
la propria libertà come partecipazione all’opera cooperativa della
costruzione di condizioni materiali e spirituali di benessere della
società (art. 4). L’uomo, generato e alimentato dalla fraternità, è
chiamato a prendere parte alla costruzione di una città fraterna e la fraternità ricevuta a tramutarsi in fraternità istituente
(Lombardi Vallauri 1969, 163) 2.
L’ordinamento giuridico non può pertanto che promuovere le forme di questa restituzione da parte del cittadino, riconoscendo e valorizzando le dimensioni dell’impegno volontario e oblativo, ma anche
esigendo, almeno in certa misura, l’assolvimento di doveri inderogabili
di solidarietà sociale (ancora l’art. 2 Cost.). Le dimensioni complementari del debito e del dono caratterizzano la cooperazione del cittadino
alla costruzione della città fraterna. Come ha sostenuto Albert Camus,
è necessario «riconoscere che la libertà ha un limite, che anche la giustizia ne ha uno, che il limite della libertà risiede nella giustizia, cioè
nell’esistenza dell’altro e nel riconoscimento dell’altro, e che il limite
della giustizia si trova nella libertà, cioè nel diritto della persona di
esistere così com’è in seno a una collettività» (Camus 2012, 28).
In origine la libertà?
La via della fraternità qui suggerita non è certo trionfante. Il
dispositivo concettuale dello Stato moderno e del suo ordinamento
2 A riguardo cfr anche le tesi, pur non esplicitamente riferite alla fraternità, sviluppate da Magatti 2005.
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giuridico poggia su fondamenta esatta- Il comunitarismo è una filosofia politica
mente rovesciate. Il suo ingegnere è il sorta negli anni ’80 del secolo scorso nel
filosofo inglese Thomas Hobbes (1588- mondo anglosassone in opposizione all’individualismo di stampo liberale. Sottolinea
1679). Seguendo il suo insegnamento, la fondamentale importanza dei legami codovremmo piuttosto dire: «In origine, munitari e dell’inserimento in una determila libertà». Tale motto suonerebbe pure nata cultura per lo sviluppo della personasuadente. Esso promette di celebrare i lità e la definizione dell’identità. In questa
diritti come dotazione naturale dell’in- chiave le comunità sono viste come portatrici di diritti meritevoli di tutela giuridica.
dividuo. E tuttavia, sullo sfondo, insieme ai diritti e paradossalmente da Il personalismo è una corrente filosofica
questi invocato, si staglia la cupa figura sviluppatasi soprattutto in ambito francese
nei primi decenni del ’900: si propone codel Leviatano.
me alternativa umanista sia al liberalismo
Per Hobbes, infatti, la costruzione sia alle ideologie totalitarie dell’epoca.
concettuale dello Stato moderno si regge sulla seguente ipotesi: «consideriamo gli uomini come se fossero
venuti su tutti all’improvviso, a guisa di funghi, dalla terra, e già
adulti, senza alcun obbligo reciproco» 3, già per natura dotati di libertà e uguaglianza. La libertà è un assioma sulle cui condizioni non ci si interroga: essa c’è e si dà nella forma pretenziosa
dell’indipendenza. I legami sono rescissi o, nella migliore delle
ipotesi, ignorati. Essi sopraggiungono solo in forza di atti di volontà
e di contratti. L’uomo, infatti, pur dotato di libertà e uguaglianza,
soggiace al pericolo incombente della violenza ferina: «homo homini
lupus», secondo la massima plautina («l’uomo è un lupo nei confronti dei suoi simili»). Il desiderio di sottrarsi a questa minaccia lo
sospinge a proteggere la propria vita e a garantire la propria sicurezza
rinunciando allo stato precario di natura e autorizzando il sovrano
– il Leviatano del filosofo inglese – a ordinare la convivenza: «auctoritas, non veritas, facit legem» («è l’autorità che stabilisce la legge,
non la verità»). Il Leviatano entra dunque in gioco per l’incapacità
di convivere delle sfere di libertà e indipendenza individuali.
L’ordine garantito dallo Stato-Leviatano non può quindi contare su risorse autonome di fraternità, perché pure nel rapporto tra
fratelli si annida la violenza archetipica di Caino, ed esclude programmaticamente ogni forma di cooperazione a rilievo pubblico.
Non a caso, il sovrano traccia corsie separate per le traiettorie vitali
degli individui, in cui, finalmente, se alla libertà è tolta una parte
consistente di spazio naturale, all’individuo sono garantite indipendenza e sicurezza. La vita e la sicurezza sono possibili solo grazie
3 Hobbes T., Elementi filosofici sul cittadino, cap. VIII.1 (in Opere politiche, a cura
di N. Bobbio, I, Utet, Torino 1988, p. 197).
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all’immunizzazione dal rapporto con l’altro da sé (Bruni 2010, 51 e
108), che il Leviatano impone agli individui.
La costruzione artificiale, razionalistica, di Hobbes poggia però su fondamenta malcerte: gli uomini non compaiono dalla terra,
all’improvviso e già adulti. Non è possibile ignorare la questione
delle radici della loro libertà. Una libertà senza radici è appunto
immaginata come assoluta, priva di debiti e di fratelli, se non quelli
che decide autonomamente di darsi. Questa libertà si declina come
indipendenza e, infatti, tanto in Kant quanto in Locke, il trittico
rivoluzionario francese è amputato dal riferimento alla fraternità,
sostituito dal richiamo all’indipendenza 4. Ma quando ci si interroga sulle radici della libertà, viene il dubbio che la modernità
si regga su una libertà immaginaria (Magatti 2009).
Il legame genera la libertà e la libertà è, a propria volta, generatrice di legami: all’interno di questo reticolo, in cui l’uomo svolge la
propria personalità e trova fondamento l’articolazione di formazioni
sociali e istituzioni, scorre la fraternità.
Azione istituzionale e fraternità
Quando parte dall’idea di persona, il principio di fraternità promuove e valorizza il ruolo ordinante delle solidarietà interpersonali.
In questo senso, la fraternità non esprime pertanto solamente
un principio di condotta della persona, ma deve ispirare l’azione delle formazioni sociali e delle istituzioni. Essa è la trama su
cui può innestarsi l’ordito giuridico di un ordinamento che spinga
in profondità la democrazia: coltivi, cioè, l’aspirazione dei cittadini all’autogoverno, senza ridursi a recinzioni fitte e capillari di filo
spinato, intessuto di comandi autoritativi ed eteronomi 5. In altri
termini, la fraternità è un’infrastruttura essenziale dell’ordinamento
giuridico della democrazia.
Nello svolgere questa funzione, come si connette alle trame
dell’ordinamento giuridico? Il sistema delle norme giuridiche, infatti,
potrebbe semplicemente presupporre i comportamenti fraterni e innestarvisi passivamente; oppure assumerne e svuotarne integralmente
l’istanza, trasferendola su un piano statuale; ancora, potrebbe retroagire su questo sostrato etico-relazionale, rafforzandolo, puntellandolo, stimolandolo, responsabilizzandolo, ecc. Ma se l’ordinamento
ignora le fraternità, da un lato pretende un’autosufficienza pericolosa
e inefficiente; dall’altro, può, a causa dell’incuria, inaridire il campo
4 Cfr Kant I., Sopra il detto comune «questo può essere giusto in teoria, ma non
vale per la pratica», in Id., Scritti politici, Utet, Torino 2010, 254 (ed. or. 1793).
5 Il pericolo è prospettato da Possenti (2011) e, con argomenti diversi, da Zizek
(2009).
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in cui queste crescono. Quando invece l’intero compito solidaristico
sia assunto dallo Stato-autorità, come accade in certi modelli estremi
di Stato sociale «dalla culla alla bara», la fraternità può sempre continuare a fungere da base di consenso per l’azione istituzionale, ma
senza poter varcare la soglia della sfera pubblica, anzi, essendo ricacciata in un ambito puramente privato. Può reggersi un ordinamento
solidale in questo modo? L’esperienza storica induce al dubbio e forse
anche alla negazione. Servirebbe infatti una solida etica pubblica, al
limite dell’abnegazione, da parte degli uomini delle istituzioni, e un
costante flusso di consenso da parte di cittadini, a quel punto però
deresponsabilizzati da tale figura di Stato.
La Costituzione italiana percorre un’altra strada, illuminata
dal principio di sussidiarietà. Questa agisce come una specie
di membrana che regola il dialogo e governa lo scambio tra il
sistema dei comportamenti etici (e fraterni) e il sistema delle
norme giuridiche e dell’azione istituzionale, graduando misura
e forme del riconoscimento pubblico della fraternità. In questa
prospettiva, il principio costituzionale di fraternità traduce l’idea
che un ordinamento giuridico che voglia perseguire in modo democratico valori di solidarietà e obiettivi di lotta all’esclusione sociale,
debba attingere a un serbatoio etico e, in questo senso, appoggiarsi
all’infrastruttura sociale composta da comportamenti interpersonali di cura e di solidarietà orizzontale. Tuttavia, in un sistema
ispirato dalla sussidiarietà, le istituzioni non si limitano a pesare
sulla società e nemmeno si pensano come alternative ai comportamenti interpersonali fraterni e solidali. Come la sussidiarietà non
può essere interpretata – a meno di fraintenderla completamente
– nel senso di un’alternativa o contrapposizione tra azione pubblica
(istituzionale) e azione privata (sociale), ma va letta come il riconoscimento della strutturale, reciproca incompletezza tra società e
istituzioni, allo stesso modo la solidarietà pubblica si alimenta della
fraternità, che vi trova un alleato e un complemento necessario
(cfr, anche per l’esplicitazione delle possibili forme di attuazione di
questa alleanza, Pizzolato 2012, 60 ss.). L’ordinamento giuridico
presuppone una sfera di comportamenti e relazioni fraterne e la
invoca come propria necessaria sostanza etico-relazionale; insieme,
esso cerca di istituzionalizzare questa sfera, in misura però parziale,
in modo da non svuotarne la motivazione, ma di promuoverne il
rilievo pubblico.
Una fraternità di fraternità
Questo intreccio di legami e questi rimandi tra il piano delle
relazioni e quello delle istituzioni possono dilatarsi a scala globaLa fraternità come trama delle istituzioni
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le. La «famiglia umana», di cui parla la dottrina sociale della
Chiesa, è unita da legami interpersonali e da intrecci di alleanze intermedie. Le formazioni sociali sono infatti luogo di
una fraternità interna, ma anche ponti di alleanze più larghe:
altrimenti può concretizzarsi il rischio che le fraternità si costituiscano in opposizione ad altre fraternità, diventando elementi di
contraddittoria separazione sociale e di radicale inimicizia.
Appare chiaro a questo punto come le istituzioni possano promuovere la fraternità tra i popoli e diventarne, nella forma della
cooperazione, attrici. Con questa ispirazione, Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, città “mediatrice”, radunava a convegno le capitali
mondiali perché offrissero «immagine viva, visibile, del vincolo di
unità, di fraternità e di pace che già esiste in potenza – e che vuole
ora tradursi in atto – fra tutte le città e fra tutti i popoli e le nazioni
del mondo». Per La Pira, «anche le città hanno – come le persone
– una vocazione ed un destino»; se tra «i membri di una stessa comunità cittadina» esiste «un vincolo organico di fraternità», è anche
vero che «ciascuna città e ciascuna civiltà è legata organicamente,
per intimo nesso e intimo scambio, a tutte le altre città ed a tutte le
altre civiltà: formano tutte insieme un unico grandioso organismo»
(La Pira 1955; a riguardo cfr De Giuseppe 2001).
La fraternità parte dal dato delle differenze, personali e sociali,
ma non per intestarvi disuguaglianze o per fondarvi graduatorie o
ambizioni di primato, bensì per dedurne un principio di cooperazione verso un bene comune di pace e di giustizia. L’ordine sociale
e politico ha natura cooperativa, essendo fondato sulla diversa e
complementare vocazione dei “fratelli” e delle “fraternità”.
Questo principio opera a tutti i livelli. Anche le nazioni e gli
Stati possono essere snodi di questa rete cooperativa? Mazzini,
a partire da una visione simile a quella di La Pira, pur ispirata da
presupposti ideali diversi, credeva realizzabile l’idea di un concerto
fraterno delle nazioni. Scriveva infatti nel 1860: «Patria e Famiglia
sono come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene; come due gradini d’una scala senza i quali non potreste salire
più alto, ma sui quali non v’è permesso arrestarvi» 6: i primi doveri
sono infatti verso l’umanità. Per il patriota genovese, infatti, anche
le diverse patrie svolgono ciascuna una funzione «a benefizio dell’Umanità» tutta, in quanto ognuna aggiunge «un elemento qualunque
all’opera collettiva di miglioramento e di scoperta del Vero che le
generazioni lentamente, ma continuamente promuovono» 7. Dunque
6 Mazzini G., I doveri dell’uomo, disponibile in <www.filosofico.net/mazz1inidoveriuoomo.htm>.
7 Ivi.
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La fraternità come trama delle istituzioni
risorse
anche lo Stato può rappresentare uno snodo della rete cooperativa
universale, a condizione che sia pensato come livello di una scala che
conduce all’unificazione della famiglia umana o, per usare un’altra
metafora, come anello che non pretenda di cingere in maniera esclusiva il legame tra le persone. A uno sguardo storico non ci si può
infatti nascondere che, sin dalla sua fondazione, lo Stato ha avanzato tale pretesa di esclusività, sia verso il basso, recidendo legami e
fraternità anteriori, sia verso l’alto, perseguendo ideali imperialistici.
Vi è dunque una fraternità dei popoli, e non solo delle persone,
che può dispiegarsi nella dimensione spaziale, ma anche in quella
temporale, divenendo così fraternità intergenerazionale (cfr Marzanati 2007; Satta 2007; Bifulco e D’Aloia 2008).
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