LE COSTITUZIONI FEDERICIANE L'«Unione degli Avvocati d'Italia» (sezione distrettuale di Bari) della quale è Presidente l'avv. Alfredo Garofalo, ha riprodotto in fac-simile dal testo originale, in una raffinata edizione di «Giuseppe Laterza» di Bari, alcuni Titoli (tre per l'esattezza) delle Costituzioni federiciane (stampate a Napoli nel 1786 quale prima edizione italiana, in latino e in codice greco, messa a disposizione dalla stessa curatrice dott.ssa Maria Antonietta de Bellis). Nella puntuale presentazione di Alfredo Garofalo dei tre predetti titoli del libro primo, si legge che l'Editore Cajetanus Carcani R. Typogr Praefectus _ septimo Kalendas octobres 1781 _ dedica l'imponente ed immortale opera a Ferdinando Invicto celsissimoque Siciliarum et Hierusalem Regi principi optimo Pio Felice Augusto, quel Ferdinando I di Borbone che, fra le varie e complesse vicende legate al suo lungo regno, aveva dato nuovo e vasto impulso all'Università di Napoli fondata da Federico II nel 1224. La raccolta delle Constitutiones _ prosegue Alfredo Garofalo _ fu proclamata dall'Imperatore in un parlamento tenuto a Melfi nell'agosto del 1231. L'opera, divisa in tre libri, costituisce il maggior monumento legislativo medievale. Federico II affermò: Noi che teniamo la bilancia della giustizia sui diritti di ciascuno, non vogliamo nei giudizi distinzioni ma uguaglianza: sia franco, sia romano, sia longobardo, l'attore o il convenuto, vogliamo gli sia resa giustizia. Da questa rivista del Foro milanese, vogliamo esprimere il più convinto apprezzamento per l'iniziativa dell'Unione degli Avvocati Italiani, sezione di Bari. Il titolo LXXXIII ed il successivo titolo LXXXIV trattano degli Avvocati; Il titolo LXXII tratta dei GIUDICI. *** LIBRO I TIT. LXXXIII L'ISTITUZIONE DEGLI AVVICATI L'imperatore Federico II Ritenendolo utile e necessario, disponiamo che venga adottata nelle nostre Costituzioni la funzione degli avvocati, che hanno il compito di dipanare gli intricati fili delle cause. È compito dell'amministrazione sceglierli ed ammetterli alla professione forense, dopo che siano stati esaminati dai giustiziari provinciali. Sono questi che conferiscono agli avvocati l'autorizzazione a postulare nei nostri tribunali, in luoghi e per periodi rinnovabili. TIT. LXXXIV L'Imperatore Federico II Gli avvocati da ammettere alla professione in ogni parte del regno, prima di assumere l'incarico devono prestare giuramento sui santi Vangeli, sia nella nostra Curia, sia davanti ai giustiziari delle provincie, sia davani ai baioli dei distretti. Gli avvocati devono operare con spirito di lealtà e rettitudine a vantaggio delle parti di cui assumono la difesa: essi non istruiscano le parti sui fatti di causa, né deducano contro verità e coscienza; essi non accettino il patrocinio di cause prive di fondamento, né viziate dalle menzogne delle parti. Se da principio ritengono giuste le motivazioni e poi con il procedere del giudizio le riscontrano ingiuste, in fatto o in diritto, essi devono abbandonare subito la difesa, negando alla parte che ricusano la possibilità di rivolgersi ad altri avvocati, come stabilito dalle leggi antiche. Gli avvocati giurino anche di non richiedere l'aumento del compenso nel corso del giudizio e di non stringere patti per acquisire una quota del ricavato della causa. Non è suffidente che a garanzia di tutto questo prestino giuramento soltanto una volta, ma devono rinnovarlo ogni anno davanti al maestro giustiziario e ai giustiziari delle provincie. Se in qualunque causa, piccola o grande, l'avvocato tenta di contravvenire alla sua etica professionale ed al giuramento, egli deve essere radiato dall'ufficio e subire il marchio perenne dell'infamia; deve pagare al nostro erario tre libbre d'oro purissimo. Vogliamo infine che nelle cause fra laici e nei giudizi che li riguardano, il patrocinio di avvocato non venga assunto da ecclesiastici. Si escludono le cause che riguardano personalmente gli ecclesiastici, o i loro congiunti, o gli affini, nonché le cause riguardanti la Chiesa ed infine le cause delle persone povere a cui non devono chiedere alcun compenso. Se uno dei nostri giudici ammette all'esercizio della professione un avvocato senza seguire quanto prescritto da questa legge, deve essere punito con il versamento al nostro erario di una libbra d'oro, e la medesima pena deve essere inflitta anche all'avvocato che osa accettare una difesa illecita. TIT. LXXIII L'ISTITUZIONE DEI GIUDICI L'imperatore Federico II Se la clemenza imperiale volge gli occhi della sua cura ai sentieri della giustizia, sublima la dignità del governo sostenendo con le leggi la Maestà imperiale, e nello stesso tempo solleva da gravi angosce e oppressioni i sudditi che aspirano alla dolcezza della magnanimità del sovrano, unica dopo quella di Dio. Nella successione di tanti avvenimenti, quando, dopo il clamore della guerra giunta alla vittoria subentra la quiete, la sollecitudine della mente si rivolge ad unire la giustizia alla pace. Essendo noi liberi di decidere secondo prudenza, con attenta riflessione stabiliamo quanti e quali baioli, giudici e notai, devono amministrare la giustizia in ogni città, escludendo tutti coloro che, nelle vaste provincie, sono stati di recente nominati dall'iniquità degli invasori del regno, che sostituiamo con uomini onesti, a noi fedeli. Stabiliamo che due, oppure tre, oppure in alcuni luoghi cinque giudici o notai, siano nominati per la stipula dei contratti, e per l'esame e lo svolgimento delle cause civili, diffondendo la giustizia per l'ulteriore vittoria del giovane re. Essi, conducendo le cause in conformità del diritto e dell'uso, devono verificare quanto hanno udito o letto, astenendosi dalla corruzione attraverso favori e danaro, per emanare dal profondo della loro coscienza delle sentenze giuste e non venali, non prendendo nulla dai contendenti, fuorché, una volta soltanto, cibo e bevande. In grazia della nostra generosità essi ricevono un compenso dalla nostra Curia, stabilito per ciascuno di loro secondo il distretto ove operano sotto la nostra sovranità. Stabiliamo inoltre che i giudici percepiscano da ambo le parti in causa la trentesima parte dell'onere del giudizio (il resto, come già detto altrove, andava alla Curia), oppure del bene conteso e soggetto alla garanzia delle parti, o infine del valore della transazione raggiunta dai contendenti. Presentate le memorie, pagata dalle parti la cauzione in garanzia a favore della nostra Curia, emanata infine la sentenza e stabilita la transazione, il baiolo, il giudice ed il notaio possono dividersi equamente la parte che abbiamo stabilito in percentuale, tranne che per le cause relative alla vendetta in cui la percentuale viene stabilita in ragione della ventesima parte dell'onere del giudizio come da dispositivo della sentenza. Ma se in un giudizio viene soltanto chiesta la restituzione di una proprietà, allora i giudici ritirino la sessantesima parte di quanto spetta loro, mentre la restante parte la ricevono dopo la stima della proprietà, stabilita per unanime consenso scritto dalle parti, e dopo giuramento solenne; così, per questo genere di cause, viene a fissarsi anticipatamente la reciprocità del pagamento, senza costringere i giudici ad accollarsi questo compito. Per la definizione dei giudizi emessi contro le persone private oppure contro la pubblica amministrazione, il compenso deve essere diviso in parti uguali fra i difensori delle parti ed i giudici. È obbligo di osservare in tutti i giudizi le disposizioni relative al possesso dei beni durante lo svolgimento dei processi. Per la garanzia di questi compensi, se le parti si rifiutano di pagare secondo sentenza vi saranno costrette dalla Curia, ferme restanto le cauzioni anticipate anzidette. *** Desideriamo sottolineare, per suggerimento della dott.ssa Stecchi de Bellis, l'interesse delle predette Constituziones anche ove si leggono, oltre ai titoli più sopra trascritti, i seguenti: Dal Libro I Titolo VI - De usurariis puniendis (La legge contro gli usurai) Titolo VIII - De cultu pacis et generali pace in Regno serranda (Il culto della pace) Titolo XVI - De defensis imponendis et quis eas imponere possit (La legittima difesa) Titolo XXII - De raptoribus virginum vel viduarum (Rapimento e violenza sulle donne) Titolo XXIII - Si quis muliebri violentiam patienti, et clamanti non succurrerit (Mancato soccorso ad una donna) Titolo XXXII - De cultu Justitia (Il culto della Giustizia) Titolo CV - De pactionibus inhibitis et de volentibus a lite discedere (Quando è consentito ritirarsi dal giudizio) Dal Libro II Titolo I - De poena contumaciae in criminalibus causis (La contumacia nelle cause penali) Titolo X - De his qui fideiussores dare possunt, ne incarceretur (Legge sulla carcerazione) Titolo XIX - De exceptionibus et dilationibus proponendis in judicio (Il rinvio del processo) Titolo XLII - De restitutione minorum (La tutela dei minori) Titolo L - De poena judicis, qui malo judicavit (Dolo ed errore del Giudice) Dal Libro III (quasi tutto intriso del potere assoluto e dell'egemonia dell'Imperatore). Titolo XXIII - De uxore non ducenda sine permissione Curia (Il consenso della Curia alle nozze dei nobili) Titolo XLI - De repulsa officialium et poena pro eorum excessibus costituta (Eccesso di potere e peculato dei funzionari) Titolo LXIX - De veneficiis (Droghe e veleni) Titolo LXXXVII - De incendiariis (Il reato di incendio doloso) Titolo LXXXVIII - Qui ramum de alto projiciens, vel se praecipitans hominem occiderit (Il delitto colposo) La raccolta delle Costituzioni avvenne con la collaborazione di Pier Delle Vigne e di alcuni giuristi. Vennero riuniti in un solo codice testi normanni provenienti dalle assise, e Costituzioni nuove. Gli studiosi riconoscono nella raccolta la riaffermazione della Dottrina romana; la ricomparsa del concetto di re dal quale tutte le pubbliche autorità derivano il proprio potere; l'annientamento del potere dei feudatari. La dott.ssa de Bellis sottolinea che, fra i giuristi che l'Imperatore chiamò al suo fianco per redigere le leggi, vanno ricordati alcuni personaggi di particolare rilievo, fra i quali Roffredo Beneventano, romanista al quale Federico aveva assegnato la cattedra il diritto all'Università di Napoli appena da lui fondata; Giacomo Amalfitano, arcivescovo di Capua, Bernardo Di Casacca, arcivescovo di Bari e poi di Palermo; Michele Scoto, filosofo matematico e astrologo scozzese, grande interprete del pensiero di Aristotele; Ermanno di Salsa, cavaliere tedesco, molto fedele all'Imperatore; e ancora Landolfo D'aquino, padre di S. Tommaso, Taddeo di Suessa e Stefano Abate di Montecassino. Ma fu Pier della Vigna il logoteta del Regno.