Sentenze
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Giurisprudenza
Amministrativa
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-09-2009, n. 5864
Fatto - Diritto
P.Q.M.
CONCORRENZA E PUBBLICITA'
Trust
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
Giustizia amministrativa, in genere
PROVA DOCUMENTALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2687 del 2006, proposto da:
C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Fabrizio Di Gianni, Aristide Police, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco
Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
Sul ricorso numero di registro generale 2646 del 2006, proposto da:
U. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Fabio
Merusi, Cristoforo Osti, con domicilio eletto presso Cristoforo Osti in Roma, via Sistina 4;
contro
Autorità Garante Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi
12; H.C. S.r.l., H.C. S.p.A., A. Calcestruzzi S.r.l.;
Sul ricorso numero di registro generale 2744 del 2006, proposto da:
Cemencal Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Cinthia Bianconi, Piero D'Amelio, Mario Siragusa, Francesca Moretti, con domicilio eletto presso
Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, 7;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
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tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
Soc. U. Spa, C. Srl, B.U. Spa, H. Calcestruzzi Srl, A. Calcestruzzi Srl, H. Cementi Spa, M.B. Srl, C.
Spa, C.R. Srl, M.V. Calcestruzzi Srl;
Sul ricorso numero di registro generale 2745 del 2006, proposto da:
C. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Cinthia
Bianconi, Piero D'Amelio, Mario Siragusa, Francesca Moretti, con domicilio eletto presso Piero
D'Amelio in Roma, via della Vite 7;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
U. Spa, C. Srl, B.U. Spa, H. Calcestruzzi Srl, A. Calcestruzzi Srl, H. Cementi Spa, M.B. Srl, C. Spa,
C.R. Srl, M.V. Calcestruzzi Srl;
Sul ricorso numero di registro generale 2769 del 2006, proposto da:
M.V. Calcestruzzi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avv. Emilio Daniele Generoso, con domicilio eletto presso Studio Grez e Associati S.r.l. in Roma,
Lungotevere Flaminio, 46 Iv/B;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
Sul ricorso numero di registro generale 2984 del 2006, proposto da:
C.R. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv.
Giuseppe Scorza, con domicilio eletto presso Michele Arcangelo Massari in Roma, via G. Bettolo 17;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
Sul ricorso numero di registro generale 3032 del 2006, proposto da:
H. Calcestruzzi Srl, in proprio e quale successore di A. Calcestruzzi, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Fabrizio Arossa, Maurizio Maresca,
Gian Luca Zampa, Pietro Barbieri, con domicilio eletto presso Studio Legale Arossa - Maresca Zampa in Roma, piazza di Monte Citorio, 115;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato;
nei confronti di
U. S.p.A., C. S.r.l., B.U. S.p.A., C. S.p.A., C. S.p.A., H. Cementi S.p.A., M.B. S.r.l., C. S.p.A., C.R.
S.r.l.;
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Sul ricorso numero di registro generale 3033 del 2006, proposto da:
H. (Italia) S.p.A., in proprio e quale successore di H. Cementi S.p.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marcello Clarich, Nico Moravia,
Tommaso Salonico, Francesco Ferretti, con domicilio eletto presso Studio Legale Clarich - Salonico Moravia in Roma, piazza di Monte Citorio, 115;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato;
nei confronti di
U. S.p.A., C. S.r.l., B.U. S.p.A., C. S.p.A., C. S.p.A., H. Calcestruzzi S.r.l., A. Calcestruzzi S.r.l., M.B.
S.r.l., C. S.p.A., C.R. S.r.l.;
Sul ricorso numero di registro generale 3114 del 2006, proposto da:
M.B. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Roberto Invernizzi, Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso Maria Alessandra Sandulli
in Roma, corso Vittorio Emanuele 349;
contro
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato;
M.V.C. S.r.l.;
Sul ricorso numero di registro generale 3235 del 2006, proposto da:
Autorita" Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei
Portoghesi 12;
contro
H. Calcestruzzi S.r.l., in proprio e quale successore di A. Calcestruzzi S.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Fabrizio Arossa, Maurizio Maresca,
Gian Luca Zampa, Pietro Barbieri, con domicilio eletto presso Studio Legale Arossa - Maresca Zampa in Roma, piazza di Monte Citorio, 115;
H.(Italia) Spa, in proprio e quale successore di H. Cementi S.p.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marcello Clarich, Nico Moravia,
Tommaso Salonico, Francesco Ferretti, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, piazza
di Montecitorio N. 115;
C. S.p.A., C. S.p.A., in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli
avv. Cinthia Bianconi, Piero D'Amelio, Francesca Maria Moretti, Mario Siragusa, con domicilio eletto
presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite N. 7;
C.R. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv.
Giuseppe Scorza, con domicilio eletto presso Michele Arcangelo Massari in Roma, via G. Bettolo 17;
C. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Fabrizio Di Gianni, Aristide Police, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco
Gaetano Scoca in Roma, via Giovanni Paisiello 55;
C. Ss.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Fausto Capelli, Luca Valerio Moscarini, Giuseppe Roccioletti, con domicilio eletto presso Nicola
Rocchetti in Roma, via della Scrofa, 22;
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M.V. Calcestruzzi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avv. Emilio Daniele Generoso, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso
V.Emanuele II, N.18;
M.B. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.
Roberto Invernizzi, Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso Alessandra Sandulli in
Roma, c.so Vittorio Emanuele II 349;
B.U. S.p.A., U. Spa;
per la riforma
della sentenza del Tar Lazio - Roma:sezione I n. 12835/2005, resa tra le parti, concernente
SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE AD ALCUNE SOCIETA" OPERANTI NEL SETTORE DEL
CALCESTRUZZO.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2009 il dott. Roberto Chieppa e uditi per le parti
l'Avvocato dello Stato Gentili e gli Avvocati Merusi, Osti, Zampa, Salonico, Bianconi, D'Amelio,
Moretti, Siragusa, Scorza, Scoca, Roccioletti, Invernizzi, Zuppardi per delega di Generoso, Sandulli e
Clarich;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Fatto.
Con delibera del 3 aprile 2003, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito,
Autorità) ha avviato il procedimento istruttorio nei confronti delle società A. Calcestruzzi S.r.l., C.
S.p.A., C.R. S.r.l., C. S.p.A., C. S.r.l., C. S.p.A., H. Calcestruzzi S.r.l., H. Cementi S.p.A., M.V.
Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. ed U. S.p.A., per accertare eventuali violazioni dell'articolo 2, comma
2, della legge n. 287/90, in relazione alla segnalata esistenza di un'intesa tra alcune società attive
nel settore del calcestruzzo, volta alla ripartizione di forniture con fissazione di prezzi e condizioni
contrattuali.
Dopo lo svolgimento del procedimento istruttorio, l'invio alle parti delle risultanze istruttorie,
avvenuto in data 29-3-2004 e l'esercizio del diritto di difesa delle imprese, con il provvedimento n.
13457 del 29 luglio 2004 l'Autorità deliberava che:
a) che l'intesa realizzata da A. Calcestruzzi S.r.l., C. S.p.A., C.R. S.r.l., C. S.p.A., C. S.r.l., Cosmocal
S.p.A., H. Calcestruzzi S.r.l., H. Cementi S.p.A., M.V. Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. e U. S.p.A. ha
avuto ad oggetto ed effetto una significativa e consistente alterazione della concorrenza nel mercato
del calcestruzzo preconfezionato dal 1999 al 2002, in violazione dell'articolo 2, comma 2, lettere a)
e b), della legge n. 287/90;
b) che le imprese sopra citate cessino dalla continuazione dell'infrazione, dando comunicazione
all'Autorità delle misure adottate per la cessazione dell'infrazione entro 90 giorni dalla notificazione
del presente provvedimento;
c) che, in ragione della gravità e durata dell'infrazione di cui al punto a), alle società A. Calcestruzzi
S.r.l., C. S.p.A., C.R. S.r.l., C. S.p.A., C. S.r.l., C. S.p.A., H. Calcestruzzi S.r.l., H. Cementi S.p.A.,
M.V. Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. e U. S.p.A., vengano applicate le sanzioni amministrative
pecuniarie nella misura seguente:
A. Calcestruzzi S.r.l. Euro 1.000.000;
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C. S.p.A. Euro 10.200.000;
C.R. S.r.l. Euro 800.000;
Cemencal S.p.A. Euro 1.650.000;
C. S.r.l. Euro 5.000.000:
C. S.p.A. Euro 800.000;
H. Calcestruzzi S.r.l. Euro 1.000;
H. Cementi S.p.A. Euro 8.999.000;
M.V. Calcestruzzi S.r.l. Euro 35.000;
M.B. S.r.l. Euro 500.000;
U. S.p.A. Euro 11.000.000.
Avverso il descritto provvedimento le imprese sanzionate proponevano separati ricorsi, che
venivano riuniti e decisi dal Tar del Lazio con sentenza n. 12835 del 2 dicembre 2005.
Con la suddetta decisione il Tar ha respinto le censure relative a vizi del procedimento, alla
questione dell'individuazione del mercato rilevante ed alla prova e durata dell'intesa; ha accolto in
parte i ricorsi annullando il capo c) dell'impugnato provvedimento (sanzione pecuniaria) rilevando
che l'infrazione sanzionate doveva essere qualificata come grave, e non come molto grave e che alle
società C. e C. era stata erroneamente contestata la recidiva in forza di una precedente sanzione
riportata nel 1992.
Con separati ricorsi in appello le imprese C. S.p.A., C.R. S.r.l., C. s.p.a., C. S.r.l., H. Calcestruzzi
S.r.l. (in proprio e quale successore di A. Calcestruzzi s.r.l.), H. (Italia) S.p.A. (in proprio e quale
successore di H. Cementi s.p.a.), M.V. Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. ed U. S.p.A. hanno impugnato
la suddetta sentenza, così come ha fatto anche l'Autorità nella parte a lei sfavorevole.
Anche C. ha proposto autonomo ricorso in appello principale, dichiarato perente con decreto di
questa Sezione n. 2161/2009.
Nell'ambito del giudizio di appello n. 3235/06 proposto dall'Autorità le imprese H. Calcestruzzi, H.
Italia, C., C., C., M.B. hanno proposto ricorso in appello incidentale subordinato, mentre C. si è
costituita, chiedendo la reiezione dell'appello principale; nell'ambito del giudizio n. 2646/06
proposto da U., l'Autorità ha proposto ricorso in appello incidentale e la stessa U. ulteriore ricorso
incidentale.
Tutte le parti hanno prodotto ampie memorie ed ulteriore documentazione a sostegno dei motivi di
appello, che saranno illustrati nella parte in diritto della presente decisione.
All'odierna udienza le cause sono state trattenute in decisione.
2. Aspetti preliminari.
Preliminarmente deve essere disposta la riunione degli appelli, in quanto proposti avverso la
medesima sentenza.
Al riguardo, alcune delle imprese appellanti (v., in particolare, C.) si sono lamentate del fatto che la
riunione dei ricorsi, disposta dal Tar e prima ancora l'unitaria trattazione del procedimento da parte
dell'Autorità, abbiano determinato gravi carenze nel contenuto motivazionale della decisione
impugnata, con cui sono state esaminate le varie questioni, come sollevate in linea di massima dalle
ricorrenti, senza affrontare gli specifici profili dedotti dalle imprese con riferimento alla propria
singola posizione.
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L'assunto è privo di fondamento, in quanto in prima battuta l'Autorità ha condotto in modo
necessariamente unitario il procedimento, valutando poi le posizioni delle singole imprese e il Tar ha
riunito i motivi analoghi proposti dalle imprese ed ha poi esaminato le censure relative alle singole
posizioni delle stesse.
Peraltro, anche in ipotesi di parziale omessa pronuncia del giudice di primo grado, ciò
comporterebbe solo l'esame del motivo da parte di questo giudice di secondo grado in virtù
dell'effetto devolutivo dell'appello; si ritiene comunque di utilizzare il metodo del contestuale esame
dei motivi analoghi con espressa valutazione delle censure autonome o che presentano profili
specifici inerenti la singola impresa.
Procedendo in tal modo, verranno esaminate, quando necessario, le posizioni individuali delle
singole imprese e verrà quindi accertata, o meno, la loro responsabilità individuale e ciò esclude in
radice le contestazioni mosse circa il mancato accertamento di tale responsabilità con riguardo alle
singole società.
3. Vizi procedimentali.
3.1. La maggior parte delle appellanti ha contestato la modalità di avvio del procedimento perché
fondata su una lettera anonima e, sotto vari profili, l'utilizzo dell'anonimo effettuato dall'Autorità
non solo per l'avvio del procedimento, ma anche ai fini della formazione del convincimento finale
espresso nell'impugnato provvedimento.
Le censure sono prive di fondamento.
Le appellanti invocano principi di diritto penale a sostegno delle proprie tesi e, al riguardo, si
osserva che proprio la giurisprudenza penale ha sempre riconosciuto che gli elementi contenuti nelle
denunce anonime possono stimolare l'attività di iniziativa del p.m. e della polizia giudiziaria ed anzi
debbono, in virtù del principio di obbligatorietà dell'azione penale, costituire spunti per
l'investigazione al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano
ricavarsi estremi utili per l'individuazione di una notitia criminis (Cass. Pen., sez. V, 28 ottobre
2008, n. 4329; sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003).
Ricevuto l'anonimo, l'Autorità ha quindi doverosamente proceduto agli accertamenti istruttori e alla
ricerca di riscontri dell'intesa illecita denunciata in via anonima.
Né si può ritenere che gravasse sull'Autorità un obbligo preliminare di accertare la veridicità dei fatti
denunciati prima di aprire formalmente l'istruttoria, in quanto in questo modo si sarebbe finito per
svolgere le principali verifiche al di fuori della rituale fase istruttoria.
Nessun dubbio vi può, quindi, essere sulla correttezza dell'avvio del procedimento e dell'istruttoria
svolta, mentre costituisce problema diverso quello del valore della lettera anonima e dei documenti
allegati come fonte di prova e dell'idoneità dei riscontri rinvenuti dall'Autorità per dimostrare
l'esistenza dell'intesa.
Tale aspetto attiene alla prova dell'intesa e sarà in seguito approfondito.
3.2. E' infondata anche l'ulteriore contestazione mossa dalle appellanti, e in particolare da U.,
inerente l'asserito limitato accesso agli atti di cui le imprese avrebbero goduto nel corso del
procedimento, a causa dell'eccessivo ricorso alla secretazione operato dall'Autorità.
Al riguardo, va premesso che l'eventuale illegittima secretazione di singoli documenti non costituisce
vizio idoneo ad invalidare il provvedimento finale dell'Autorità, ma al più consente che tali
documenti siano resi accessibili in giudizio (o attraverso lo speciale rito in materia di accesso, o in
via istruttoria nel giudizio avente ad oggetto il provvedimento sanzionatorio).
Inoltre, nei procedimenti condotti dall'Autorità antitrust l'art. 13 del DPR n. 217/1998 disciplina in
modo accurato l'esercizio del diritto di accesso, prevedendo che i soggetti interessati possano
accedere ai documenti formati o stabilmente detenuti dall'Autorità nei procedimenti concernenti
intese, abusi di posizione dominante ed operazioni di concentrazione. Qualora tali documenti
contengano informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario,
relative a persone ed imprese coinvolte nei procedimenti, il diritto di accesso è consentito, in tutto o
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in parte, nei limiti
contengono segreti
forniscano elementi
uffici ne consentono
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in cui ciò sia necessario per assicurare il contraddittorio. I documenti che
commerciali sono in linea di principio sottratti all'accesso, ma, qualora essi
di prova di un'infrazione o elementi essenziali per la difesa di un'impresa, gli
l'accesso, limitatamente a tali elementi.
La stessa disposizione pone a carico dei soggetti che intendono salvaguardare la riservatezza o la
segretezza delle informazioni fornite la presentazione agli uffici una apposita richiesta, che deve
contenere l'indicazione dei documenti o delle parti di documenti che si ritiene debbano essere
sottratti all'accesso, specificandone i motivi. E' quindi previsto anche uno speciale subprocedimento, da svolgersi nel contraddittorio degli interessati, per verificare se determinati
documenti debbano essere, o meno, sottratti all'accesso.
La lettura delle disposizioni di cui all'art. 13 del DPR n. 217/98 evidenzia come nei procedimenti
antitrust sia particolarmente avvertita la necessità di bilanciare l'esigenza della riservatezza di
informazioni di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario, relative a persone ed
imprese coinvolte nei procedimenti, con quella di assicurare il contraddittorio.
Il punto di corretto equilibrio tra tali esigenze è stato chiarito sia dalla giurisprudenza comunitaria
che da quella interna.
Sul piano comunitario, un definitivo riconoscimento del principio della "parità delle armi" tra accusa
e difesa si è avuto con la giurisprudenza c.d. "carbonato di sodio" (Cfr. Trib. CE, T - 30/91, 29-6-95,
Solvay e Trib. CE, T - 36/91, 29-6-95, I.C.I.), con cui è stato affermato che:
a) tenuto conto del principio generale della "parità delle armi", il quale presuppone che in una causa
di concorrenza l'impresa interessata abbia una conoscenza del fascicolo relativo al procedimento
pari a quella di cui dispone la Commissione, non si può ammettere che la Commissione,
pronunciandosi sull'infrazione, sia stata l'unica ad avere a disposizione determinati documenti e
abbia dunque potuto decidere da sola se utilizzarli o meno contro l'impresa interessata, mentre
quest'ultima non ha avuto accesso a tali documenti e non ha dunque potuto decidere parallelamente
se utilizzarli o meno per la propria difesa;
b) il diritto delle imprese alla tutela dei loro segreti commerciali va contemperato con la garanzia dei
diritti della difesa, e non può, da solo, giustificare il rifiuto da parte della Commissione di rendere
noti ad un'impresa, ancorché in versioni non riservate o sotto forma di un elenco dei documenti
raccolti dalla Commissione, elementi del fascicolo che questa potrebbe utilizzare per la propria
difesa.
Richiamando i precedenti comunitari, anche questa Sezione ha affermato che il principio di parità
delle armi non comporta che in ogni caso il diritto di accesso prevalga sulle esigenze di riservatezza,
ma implica che venga consentito alle imprese di conoscere il contenuto dell'intero fascicolo, con
indicazione degli atti secretati e del relativo contenuto e che, in relazioni ai documenti costituenti
elementi di prova a carico o comunque richiesti dalle imprese per l'utilizzo difensivo a discarico, la
secretazione sia strettamente limitata alla c.d. parti sensibili del documento (Cons. Stato, VI, 12
febbraio 2001 n. 652).
Nel caso di specie, tali principi sono stati rispettati: l'Autorità ha predisposto un indice dettagliato
del fascicolo, contenente una sintetica descrizione anche dei documenti secretati; le parti hanno
esercitato in plurime occasioni il diritto di accesso e hanno comunque avuto cognizione dell'intero
contenuto del fascicolo.
Anche con riferimento alle fonti documentali indicate da U., si rileva che il doc. 92 è sostanzialmente
riproduttivo del doc. n. 78, conosciuto dalle parti e che i risultati del c.d. market test sono stati resi
conoscibili, tranne che per gli elementi dei quantitativi di calcestruzzo e dei prezzi al metro cubo,
non risultati in alcun modo decisivi ai fini dell'assunzione della decisione finale da parte dell'Autorità.
Anche la mancata utilizzazione dei dati del market test non costituisce in alcun modo un vizio
procedimentale, ma è un elemento che verrà analizzato in sede di verifica dell'idoneità delle prove
acquisite dall'Autorità.
Con riguardo alla conoscenza del fascicolo, deve, quindi, ritenersi che le parti hanno potuto
esercitare in modo pieno il diritto di accesso secondo i principi giurisprudenziali, richiamati in
precedenza e che il loro diritto di difesa non sia stato in alcun modo limitato.
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3.3. Non è, inoltre, condivisibile la tesi secondo cui l'Autorità avrebbe violato i principi del
contraddittorio, senza procedere ad una valutazione adeguata delle memorie presentate dalle
imprese indagate e adottando una decisione finale sostanzialmente "appiattita" sulla comunicazione
delle risultanze istruttorie (CRI).
A prescindere dal fatto che tale ultimo rilievo si pone in contrasto con il dedotto mutamento di
impostazione tra provvedimento e CRI nella definizione del mercato rilevante, si osserva che il Tar
ha correttamente posto in rilievo come i principali rilievi procedimentali delle parti abbiano trovato
esposizione (necessariamente sintetica) nei paragrafi. 125-133 del provvedimento finale e sono
stati disattesi per le ragioni, espresse o anche solo implicite, agevolmente desumibili dalla
successiva sez. VI dello stesso provvedimento.
In ogni caso, l'obbligo di valutare le memorie presentate dalle parti del procedimento non rende
necessaria una analitica motivazione e confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle
parti stesse.
Nulla vieta infine che il provvedimento possa corrispondere alla impostazione contenuta nella
comunicazione delle risultanze istruttorie con reiezione di tutte le eccezioni o tesi sostenute dalle
parti.
Ciò che rileva è unicamente la solidità dell'impianto accusatorio costruito dall'Autorità e non la sua
corrispondenza, più o meno accentuata, ai precedenti atti procedimentali.
3.4. Sempre con riferimento al rapporto tra CRI e provvedimento finale, H. Italia (successore di H.
Cementi) lamenta di essere stata inclusa tra le partecipanti all'intesa, e perciò sanzionata,
nonostante la precedente Comunicazione delle Risultanze Istruttorie non formulasse nei suoi
confronti alcuna contestazione di addebito. Questo "mutamento di rotta" tra la C.R.I. e la decisione
avrebbe leso il suo diritto di difesa: e ciò anche perché essa società, considerando che la propria
posizione in sede di C.R.I. fosse stata ormai liberata da ogni sospetto, nel prosieguo del
procedimento non si era più difesa, né in sede di memoria di replica né in occasione dell'audizione
finale.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, si rileva che l'avvio dell'istruttoria era chiaramente avvenuto non solo nei confronti
delle società H. Calcestruzzi e A. ma anche di H. Cementi, che è stata quindi fin dall'inizio una
impresa indagata.
In sede di CRI è vero che nella maggior parte dei passaggi motivazionali si fa riferimento alle altre
imprese del gruppo H. e che nel provvedimento finale spesso tale riferimento è stato sostituito o
integrato con il nominativo della H. Cementi (come da questa ben evidenziato nelle tabelle di
raffronto contenute nel ricorso in appello), tuttavia da tale dato non può trarsi la conclusione che
quest'ultima impresa fosse stata ormai "assolta" o comunque liberata da ogni contestazione.
Tale effetto avrebbe avuto bisogno di una chiara indicazione in tal senso e tale indicazione non solo
manca nella CRI, ma è contrastata da alcuni passaggi della stessa CRI, in cui l'Autorità ha
chiaramente fatto riferimento ad addebiti nei confronti di H. Cementi.
E' sufficiente fare riferimento, a titolo esemplificativo, al ruolo svolto da H. Cementi descritto nel
par. 26 della CRI e alla descrizione delle pressioni da questa esercitate su A. nel par. 27; e poi alla
espressa confutazione al per. 94 di una tesi difensiva di H. Cementi ed al richiamo della posizione
dell'impresa nel par. 137, che è idoneo a colmare la mancata menzione nel precedente paragrafo
della CRI.
A supporto della tesi dell'appellante H. Cementi non può essere richiamato il precedente di questa
Sezione relativo ai latti speciali (Cons. Stato, VI, n. 4362/2002), in quanto in quel caso nella CRI
era caduta una delle contestazioni (l'accordo sui latti speciali) e nella CRI non vi era alcuna
risultanza istruttoria di tale accordo.
Nel caso in esame, invece, le risultanze istruttorie sono perfettamente coincidenti con l'illecito
sanzionato e la questione riguarda la posizione di una unica impresa, la cui minore menzione nella
CRI non può avere - come già detto - alcun effetto liberatorio.
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Peraltro, anche ipotizzando che la CRI fosse meno motivata sul ruolo svolto da H. Cementi, ciò non
impediva certo all'Autorità di approfondire tale valutazione in sede di provvedimento finale senza
incorrere in alcuna violazione del contraddittorio, in quanto gli elementi di prova sono stati
adeguatamente esposti nella CRI dando così un piena possibilità a tutte le imprese indagate,
compresa H. Cementi, di far valere le proprie ragioni, prima del provvedimento finale.
E' bene ricordare che la CRI è atto degli uffici dell'Autorità, che deve essere completo nella
descrizione delle risultanze istruttorie per consentire l'esercizio del diritto di difesa, ma che non
intacca l'autonoma valutazione che spetta all'Autorità, e non agli uffici, in sede di provvedimento
finale.
3.5. Sono infondate anche le censure proposte da U. con riguardo alla mancata integrazione del
contraddittorio nei confronti del gruppo B.U. e alla disparità di trattamento rispetto alla vicenda
Calberg.
Il primo profilo della censura prende le mosse dal fatto che l'Autorità, con il suo provvedimento, sul
presupposto che l'integrazione verticale tra i mercati del cemento e del calcestruzzo avrebbe
costituito un "particolare privilegio economico" e una fonte di "vantaggio competitivo", ha
determinato le sanzioni inflitte considerando la dimensione assoluta delle imprese con riguardo al
gruppo societario di appartenenza e tenendo conto dei rapporti di integrazione verticale esistenti.
Da qui la tesi che il procedimento avrebbe dovuto essere condotto anche nei confronti della
capogruppo di U. (B.).
Si osserva che, al contrario, il necessario coinvolgimento procedimentale di B. sarebbe stato
necessario se l'Autorità avesse mosso delle contestazioni a quest'ultima, ma questo non è mai
avvenuto; gli addebiti hanno riguardato solo U., e non anche la sua controllante B..
La valutazione del rapporto di gruppo ai fini della determinazione della sanzione costituisce un
aspetto del tutto diverso, che non richiedeva di estendere a B. il contraddittorio, ma rispetto al
quale ben poteva difendersi, come in realtà avvenuto, l'unica destinataria dell'accertamento
dell'illecito e della sanzione (U.).
La situazione è totalmente diversa da quella del gruppo H., rispetto al quale fin dall'inizio l'Autorità
ha mosso contestazioni alle tre società del gruppo, che sono state tutte sanzionate per aver
partecipato all'illecito (cosa mai ipotizzata per B.).
Infine, va rilevata l'inammissibilità della censura avente ad oggetto una presunta disparità di
trattamento rispetto alla vicenda Calberg, in quanto anche dall'eventuale verifica di omissioni da
parte dell'Autorità rispetto ad altro presunto illecito, mai potrebbe derivare l'invalidità del
provvedimento qui impugnato.
Se interessata, U. avrebbe potuto richiedere all'Autorità l'apertura di un diverso procedimento nei
confronti di Calberg ed eventualmente. contestare l'inerzia o l'archiviazione dello stesso.
4. Motivi attinenti alla natura del sindacato del giudice amministrativo sugli atti dell'Autorità garante
della concorrenza e del mercato ed alla definizione ed alle caratteristiche del mercato rilevante.
4.1. La maggior parte delle appellanti hanno contestato l'individuazione del mercato rilevante da
parte dell'Autorità.
Preliminarmente, viene lamentato che l'esame dei motivi proposti riguardo la questione del mercato
rilevante sarebbe stato condizionato da una non corretta limitazione del sindacato giurisdizionale
sugli atti dell'Autorità antitrust.
Le imprese sostengono, in particolare, che il Tar avrebbe limitato il proprio sindacato ad un mero
controllo estrinseco e di tipo debole sull'attività compiuta dall'Autorità, rinunciando quindi ad un
controllo diretto del criterio tecnico utilizzato dall'Autorità.
Al riguardo si ricorda che i provvedimenti dell'Autorità antitrust sono impugnabili davanti al giudice
amministrativo, il quale, a differenza del giudice penale o di quanto avviene in sistemi antitrust
adottati da altri Stati, non deve assumere una decisione, verificando le tesi dell'accusa e della
difesa, ma deve verificare la correttezza della decisione assunta dall'Autorità.
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Come ormai chiarito dalla Sezione, in tale verifica il giudice amministrativo non incontra alcun
limite, potendo sindacare senza alcun limite tutte le valutazione tecniche compiute dall'Autorità.
Infatti, con riferimento alle valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. "concetti giuridici
indeterminati", la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato
meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi
eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza
specialistica applicata dall'amministrazione (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002 Rc Auto; n. 5156/2002
Enel/Infostrada).
Il sindacato del giudice amministrativo. è quindi pieno e particolarmente penetrante e si estende
sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità, potendo sia rivalutare
le scelte tecniche compiute da questa, sia applicare la corretta interpretazione dei concetti giuridici
indeterminati alla fattispecie concreta in esame (Cons. Stato, VI, n. 926/2004, Buoni pasto Consip;
VI, n. 597/2008, Jetfuel).
In particolare, con tali ultime decisioni la Sezione ha inteso abbandonare la terminologia, utilizzata
in precedenza, "sindacato forte o debole", per porre l'attenzione unicamente sulla ricerca di un
sindacato, certamente non debole, tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il
principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in
cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare
- senza alcuna limitazione - se il potere a tal fine attribuito all'Autorità antitrust sia stato
correttamente esercitato.
Tale ultimo orientamento esclude limiti alla tutela giurisdizionale dei soggetti coinvolti dall'attività
dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, individuando quale unica preclusione
l'impossibilità per il giudice di esercitare direttamente il potere rimesso dal legislatore all'Autorità.
Deve, quindi, escludersi che la difesa in giudizio delle imprese possa essere limitata dal tipo di
sindacato esercitato dal giudice amministrativo, trattandosi di un sindacato che può dunque essere
definito "forte, pieno ed effettivo" e le contestazioni mosse dalle appellanti in ordine all'insufficienza
motivazionale del sentenza del giudice di primo grado, che si sarebbe "appiattito" sulle tesi
dell'Autorità, sono comunque destinate ad essere assorbite nell'ambito del presente giudizio, atteso
il pieno effetto devolutivo dell'appello.
4.2. Delineata la natura del sindacato giurisdizionale sugli atti dell'Autorità antitrust, possono essere
esaminate le censure relative all'individuazione del mercato rilevante.
Deve innanzitutto essere escluso che costituisca un vizio il fatto che il provvedimento finale sia
basato su una definizione del mercato geografico rilevante parzialmente diversa da quella che era
stata prospettata in occasione della CRI: mentre dapprima, infatti, il mercato era stato identificato
nella gran parte del territorio della Lombardia (con esclusione delle sole province di Brescia,
Mantova e Sondrio), all'esito del procedimento esso è stato invece circoscritto alla Provincia di
Milano.
Richiamato quanto detto in precedenza sul rapporto tra CRI, redatte dagli uffici e provvedimento
finale adottato dall'Autorità, si rileva che tale cambiamento non è idoneo a mutare tutti gli elementi
della fattispecie concreta contestata.
La definizione del mercato rilevante, fissate nella CRI, non è immutabile e consente una diversa
valutazione da parte dall'Autorità, purchè tale valutazione non stravolga l'impostazione originaria
del procedimento e costituisca, in concreto, una violazione del contraddittorio.
Nel caso di specie, ciò non è avvenuto ed anzi l'Autorità, proprio a dimostrazione di non essersi
"appiattita" sulla CRI, come anche sostenuto dalle appellanti, ha valutato le osservazioni delle
imprese anche con riferimento alla definizione del mercato rilevante ed ha provveduto a
circoscrivere tale mercato in accoglimento delle deduzioni procedimentali sviluppate da alcune delle
parti in causa, che avevano appunto sottolineato (cfr. il par. n. 129) l'eccessiva ampiezza del
mercato geografico delineato dalla CRI.
Correttamente il Tar ha rilevato che non si è trattato di un mutamento a sorpresa, ma di un epilogo
che rientrava tra i possibili sviluppi logici della dialettica procedimentale, alla stregua del materiale
argomentativo sviluppato dalle parti.
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Anche in questo caso non è pertinente il richiamo alla già citata decisione di questa Sezione sui latti
speciali, per le stesse ragioni indicate in precedenza circa la diversità tra una differente valutazione
su una specifica questione (ammissibile) e il contrasto tra CRI e provvedimento avente ad oggetto
una contestazione (accordo sui latti speciali), non oggetto delle risultanze istruttorie
(inammissibile).
Di conseguenza, la restrizione geografica del mercato rilevante non costituisce una variazione
sostanziale della violazione contestata, che è restata sempre quella anche sotto il profilo probatorio
e non determina alcuna necessità di riaprire l'istruttoria, non essendovi alcun diverso elemento
difensivo, invocato o invocabile in ragione di tale restrizione.
4.3. Con riferimento alle contestazioni mosse alla definizione del mercato rilevante, va premesso
che l'individuazione del mercato di riferimento è funzionale al tipo di indagine in corso: in ipotesi di
un'operazione di concentrazione, l'accertamento della posizione dominante di un'impresa sul
mercato dipende strettamente dalla struttura dell'impresa oggetto dell'indagine; mentre con
riferimento ad un caso di intesa restrittiva della concorrenza, l'individuazione del mercato è invece
funzionale alla delimitazione dell'ambito nel quale l'intesa può restringere o falsare il meccanismo
concorrenziale (cfr. Trib. I CE, 21-1-95, T 29/92, par. 73 e ss.; Cons. Stato, VI, n. 926/2004).
Nella sostanza, in caso di abuso di posizione dominante la delimitazione del mercato di riferimento
inerisce ai presupposti del giudizio sul comportamento che potrebbe essere anticoncorrenziale
(posto che occorre preventivamente accertare l'esistenza di una dominanza nel mercato stesso),
mentre nella materia delle intese la problematica dell'individuazione del mercato rileva in un
momento successivo dal punto di vista logico, quello dell'inquadramento dell'accertata intesa nel
suo contesto economico giuridico, in modo che l'individuazione del mercato non appartiene più alla
fase dei presupposti dell'illecito, ma è funzionale alla decifrazione del suo grado di offensività (ciò
avvalora quanto affermato nel paragrafo precedente circa la restrizione dell'ambito geografico del
mercato)
Ciò non significa che vi sono tanti mercati di riferimento quante sono le operazioni economiche
avvenute o che sia irrilevante procedere ad una corretta individuazione del mercato rilevante, ma
comporta solamente la diversità del criterio di individuazione del mercato, che non assume mai
valore assoluto, ma relativo.
Nel caso di specie, l'Autorità ha individuato quale mercato rilevante quello del calcestruzzo e ha
definito l'ambito geografico nel territorio della provincia di Milano pur potendo risultare anche più
ampio, in quanto un certo numero (46) dei cantieri che, dagli atti, risultano oggetto di ripartizione
erano ubicati nelle province di Lodi, Como, Pavia e Varese e risultavano economicamente servibili
anche dagli impianti delle parti ricadenti in una prima fascia dei comuni limitrofi alla provincia di
Milano, rappresentata a sud dai comuni di Vigevano (PV), Vistarino (PV), San Martino in Strada (LO)
e a nord dai comuni di Mariano Comense (CO), Gallarate (VA) e Saronno (VA).
Si ricorda che per "mercato rilevante" si intende quella zona geograficamente circoscritta
nell'ambito della quale, dato un certo prodotto o una gamma di prodotti sostituibili, le imprese che li
forniscono si pongano in rapporto di concorrenza fra loro.
Il Tar ha poi correttamente sottolineato che il mercato rilevante risulta dalla combinazione del
mercato del prodotto rilevante con il mercato geografico rilevante, dove il primo "comprende tutti i
prodotti e\o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione
delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell'uso al quale sono destinati", mentre il secondo
"comprende l'area nella quale le imprese in causa forniscono e acquistano prodotti e servizi, nella
quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta
dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono
sensibilmente diverse" (Comunicazione della Commissione U.E. del 9 dicembre del 1997 sulla
definizione del mercato rilevante ai fini dell'applicazione del diritto comunitario in materia di
concorrenza).
Una prima contestazione ha riguardato il mercato del prodotto, che non sarebbe possibile definire
con l'esclusivo riferimento al "metro cubo di calcestruzzo".
Si osserva che la censura non contiene una valida alternativa alla definizione del mercato,
supportata con adeguati elementi tecnici e che gli aspetti ulteriori che possono influenzare il
mercato sono di minimo rilievo.
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L'Autorità ha in modo esaustivo descritto il mercato del prodotto, evidenziando che il calcestruzzo è
un prodotto semilavorato ottenuto dalla miscelazione di cemento, inerti quali ghiaia e sabbia, acqua
ed eventuali additivi e il calcestruzzo viene solitamente fornito agli utilizzatori preconfezionato, cioè
preparato presso un impianto di miscelazione e trasportato sul luogo di impiego a mezzo di
autobetoniere, pur esistendo la possibilità che il calcestruzzo venga preparato direttamente in
cantiere dall'utilizzatore stesso (autoproduzione).
Benché si possa distinguere tra calcestruzzo a prestazione garantita (utilizzato in netta prevalenza
in Italia) e calcestruzzo a composizione richiesta e possano esservi differenze, inerenti la resistenza,
la durabilità e la lavorabilità del prodotto, tutte le tipologie di calcestruzzo possono essere
comunque prodotte da uno stesso impianto, variando la miscela di cemento, inerti, acqua ed
additivi, ma non il processo e ciò esclude la tesi, sostenuta da M.B. circa l'inesistenza di un mercato
riferito al solo calcestruzzo.
Va aggiunto che le considerazioni svolte da C. circa il ruolo nel mercato dei produttori integrati non
sono pertinenti con riguardo alla definizione del mercato rilevante e, comunque, non sono idonee a
sostenere una definizione alternativa del mercato stesso.
Deve, quindi, ritenersi che il calcestruzzo è un prodotto omogeneo, in relazione al quale si svolge la
concorrenza tra le imprese e che, quindi, può essere oggetto di intese restrittive della concorrenza.
4.4. Si è gia detto della delimitazione geografica del mercato, operata dall'Autorità in sede di
provvedimento finale e tale individuazione del mercato geografico è stato il frutto di una analisi
approfondita, con cui è stato messo in evidenza come l'attività di produzione e vendita del
calcestruzzo si svolge necessariamente in un ambito territoriale molto ravvicinato all'impianto di
produzione; ciò in quanto il trasporto del calcestruzzo dal luogo di confezionamento a quello
d'impiego deve avvenire in modo da evitare la segregazione dei costituenti l'impasto o il
deterioramento dello stesso dovuto alla rapidità dei tempi di solidificazione.
La conseguenza è che, salvo che non vengano previste idonee misure (quali l'aggiunta di additivi
ritardanti), il calcestruzzo deve essere messo in opera entro due ore dal momento in cui è stata
introdotta l'acqua nella miscela.
Sono state proprio alcune società appellanti a chiarire, nel corso del procedimento, che non è
comunque conveniente in termini economici provvedere a forniture oltre un'area che implica un
trasposto di circa un'ora o al massimo un'ora e mezza e ciò ha condotto l'Autorità a tenere in
considerazione il raggio di azione di una centrale di betonaggio, limitato a poche decine di chilometri
dalla collocazione territoriale di ciascuna unità produttiva e a definire un ambito geografico di tipo
locale, avente una dimensione geografica pari a un raggio di 30 Km rispetto ad uno specifico
impianto di produzione.
Una tale delimitazione geografica ha consentito di circoscrivere il mercato in esame all'interno di
confini della provincia di Milano (con una leggera e già menzionata estensione) e ciò è avvenuto
dopo un attento esame della dislocazione degli impianti di produzione delle parti e tenendo conto
che un'intesa per rifornire i cantieri della provincia di Milano era attuabile e sostenibile, per le
società più importanti, solo attraverso il coinvolgimento dei soggetti minori, i quali, essendo
comunque ben insediati con più impianti a livello locale, avrebbero potuto costituire una sostanziale
interferenza concorrenziale.
Tale delimitazione non è scalfita dalle contestazioni mosse dalle parti, attinenti a profili diversi e
spesso contrapposti, che finiscono quasi per annullarsi a vicenda a conferma della correttezza della
valutazione tecnica compiuta dall'Autorità.
Seguendo la tesi di M.B. i servizi collaterali renderebbero l'offerta di ogni produttore non fungibile
con quella degli altri con la (del tutto irragionevole) conseguenza che si avrebbero tanti mercati
quanti sono i produttori.
Né può essere ipotizzato un mercato geografico ancora più ristretto, tenuto conto che il raggio di 30
km. è stato definito (e ristretto), in considerazione proprio non dell'impossibilità di un raggio
maggiore, ma della convenienza economica, senza che siano emersi elementi per ritenere che il
criterio della convenienza conduca ad un raggio ancora inferiore.
In definitiva, il prodotto del calcestruzzo e l'ambito geografico della provincia di Milano (con una
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limitata estensione) sono gli elementi idonei a individuare il più piccolo contesto (insieme di prodotti
ed area geografica) nel cui ambito sono possibili intese che comportino consistenti restrizioni della
concorrenza e, quindi, il mercato rilevante.
5. La prova dell'intesa.
5.1. Si può quindi passare ad esaminare le contestazioni delle parti inerenti la prova dell'intesa
sanziona dall'Autorità.
In primo luogo è opportuno approfondire la questione dell'utilizzabilità dell'anonimo e dei documenti
allegati come fonti di prova.
In precedenza, è già stato evidenziato come, a seguito della ricezione della lettera anonima e dei
relativi allegati, l'Autorità abbia correttamente proceduto ad avviare l'istruttoria ed ad effettuare i
dovuti accertamenti.
Le appellanti hanno contestato anche l'utilizzo dei documenti anonimi come fonte di prova.
Al riguardo, va ricordato che la giurisprudenza penale, richiamata dalle stesse appellanti, ha
affermato che in tema di prova documentale, il divieto posto dall'art. 240 c.p.p. (che impedisce
l'utilizzazione di documenti che contengano dichiarazioni anonime) non è applicabile alle prove non
dichiarative, atteso che "ratio" della norma è quella di evitare che affermazioni (denunzie, esposti,
segnalazioni, indicazioni) cui non sia attribuibile una paternità possano essere tenute in
considerazione dal giudicante. Diversamente ha voluto il legislatore per quel che riguarda i
documenti di contenuto non dichiarativo, i quali, anche se ne è incerta la provenienza, possono
essere valutati dal giudice (Cass. Pen., sez. V, 8 ottobre 2003, n. 44868).
Premesso che in materia antitrust non sono direttamente applicabili le norme processualpenalistiche, si osserva che, applicando il suddetto principio, nel caso di specie si deve distinguere
tra segnalazioni anonime e altri documenti, che, benché pervenuti in forma anonima, non abbiano
carattere meramente dichiarativo, ma contengano elementi direttamente riscontrabili o aventi un
riscontro esterno.
Costituisce certamente documento anonimo, inutilizzabile come fonte di prova, la denuncia
(classificata come doc. 1 del fascicolo istruttorio), in cui in via anonima si riferisce di un'intesa
perfezionatasi nel 1999 e avente lo scopo di ripartire tra le parti le forniture di calcestruzzo, fissarne
i prezzi e le altre condizioni contrattuali in relazione ai cantieri presenti in Lombardia.
Analoga conclusione non può valere per i documenti allegati alla denuncia.
In particolare, i documenti da 4 a 8 sono fax, idonei di per sé a dimostrare l'invio di precise note da
un soggetto, appartenente ad una determinata impresa ad altro soggetto.
I documenti 2 e 3 sono verbali di riunioni tenutesi nei mesi di novembre e dicembre del 2000 e
hanno costituito una delle prove centrali, su cui è stata fondata l'ipotesi accusatoria dell'Autorità.
Il doc. 2 è il verbale di una riunione tenutasi nel mese di dicembre 2000, in cui sono riportati i
presenti e si dà atto della volontà comune di attenersi al rispetto delle "regole di comportamento
elencate durante la riunione del 28 Nov. 00", tra cui sono espressamente richiamate:
- la necessità di "segnalazione dei cantieri superiori a 500 mc." da effettuarsi in base a specifiche
modalità ("Nome società/Indirizzo del cantiere/Quantità/Periodo inizio cantiere") e con l'avvertenza
che "le assegnazioni avranno le seguenti priorità: riequilibrio carature/storicità cliente/vicinanza
all'impianto";
- le regole di assegnazione dei cantieri, di segnalazione delle produzioni, di fissazione dei prezzi con
previsione di aumento di 5000 Lire/mc. e le carature (termine che, nel settore, definisce le quote di
mercato), riguardo alle quali si precisa che "vengono accettate e confermate le Quote stabilite nel
documento del Sett. 99" ("Ciò significa che a partire dal 01/01/01 i cantieri vengono assegnati in
funzione delle suddette quote. Rispetto al documento del 28/11/00, si è deciso di procedere in
modo tale da accertarsi durante la riunione stessa della quota attribuita, e quindi di essere il più
possibile in linea con la quota teorica");
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Il documento si chiude con un'avvertenza relativa allo svolgimento di controlli: "ogni qualvolta si
ritenga opportuno previa segnalazione alla società interessata due incaricati si recheranno
personalmente c/o la suddetta società per effettuare il concordato controllo".
Il doc. 3, intitolato "Riunione del 28/11/00", è pressoché coincidente con il doc. 2 quanto a forma
grafica e contenuto del testo, salvo alcune limitate differenze e contiene un ancor più esplicito
riferimento alla fissazione di quote: "A partire dal 01/01/00 (01/01/01, data corretta nel verbale
della riunione successiva del dicembre 2000, di cui al doc. 2) le assegnazioni vengono distribuite
sulla base delle quote fissate".
In assenza di sottoscrizioni, tali documenti non sono idonei a costituire di per sé fonti di prova, a
meno che non vi siano seri riscontri esterni.
Tali riscontri esterni sono stati acquisiti dall'Autorità nel corso del procedimento, in cui diverse parti
hanno ammesso l'esistenza delle riunioni, la partecipazione dei soggetti indicati nei documenti e
anche la finalità illecita delle riunioni stesse.
In sede di audizione in data 6-10-2003 (doc. 629) il dott. D.S., direttore commerciale di H.
Cementi, Presidente e Amministratore delegato di H. Calcestruzzi e Presidente di A., ha riconosciuto
il contenuto dei verbale e ne ha anche spiegato la finalità nei seguenti termini: "nel corso del 1999 è
stato contattato da diversi produttori di calcestruzzo dell'area di Milano (quella che comprende oltre
al comune di Milano, il territorio dei comuni limitrofi e definita anche "grande Milano") che
lamentavano una politica commerciale molto aggressiva messa in atto dalla società A. (controllata
al 60%), la quale, per cercare di aumentare i volumi di vendita, praticava prezzi molto bassi. A
seguito di questa serie di lamentele, tali operatori, insieme al dott. S., hanno deciso di fare un
incontro, tenutosi nel settembre del 1999. In quell'ambito tali problematiche sono state discusse e
si arrivò ad un'intesa di massima sulle regole di comportamento sul mercato, in termini di carature
e prezzi minimi, da seguire in futuro"; "successivamente c'è stata qualche altra riunione nel corso
del 2000, se ben ricorda, ma con sempre minore frequenza e già dopo circa 4-5 mesi le imprese si
sono rese conto che gli accordi non erano generalmente rispettati. La riunione di fine anno 2000, il
cui verbale è agli atti (doc. 2), aveva l'obiettivo di confermare le regole comportamentali fissate
l'anno precedente ma, in realtà, le stesse sono risultate "lettera morta""
Richiesto di chiarire il riferimento a "controlli sulle imprese" contenuto nei doc. 2 e 3, il dott. S. ha
inoltre spiegato che "l'intenzione era di effettuare controlli sui libri IVA per verificare se le produzioni
dichiarate venivano rispettate" ma, nei fatti, nessun controllo sarebbe poi stato realizzato.
Il Dott. S. ha anche precisato che, per facilitare la modalità di raccolta dei dati e per non perdere
tempo durante le riunioni per censire i cantieri, si era pensato di gestire l'attività di raccolta delle
informazioni in anticipo inviandole via fax alla sua segreteria, come avvenuto per i fax allegati alla
segnalazione, anche se poi lo scarso successo dell'azione ha fatto riprendere la prassi di raccogliere
e trascrivere i dati durante gli incontri.
Ulteriore conferma delle riunioni e del loro contenuto perviene dalla dichiarazione a verbale resa il
27-5-2003 dal dott. M., che era l'amministratore delegato di A., oltre che di Sogei s.r.l. (doc. 440),
il quale ha confermato l'esistenza delle riunioni tenutesi regolarmente nel 1999 e con minore
frequenza nel 2000, la finalità delle stesse diretta a raggiungere un accordo per frenare la politica
aggressiva di A. e garantire prezzi di vendita del calcestruzzo più elevati ("alla fine del 2000 si sono
realizzati altri incontri sempre con l'obiettivo di riuscire a rendere effettiva la politica concordata
volta ad aumentare il prezzo di vendita del calcestruzzo").
Anche l'amministratore delegato di M.B. ha ammesso che in almeno una riunione si è discusso di
molti argomenti "non esclusivamente quelli riportati nel verbale", riconoscendo in tal modo che
quelli riportati sono stati trattati dai rappresentanti delle imprese.
Tali riscontri sono idonei a dimostrare l'esistenza delle riunioni, la partecipazione dei soggetti
indicati nei verbali, la finalità anticoncorrenziale delle stesse, l'accordo raggiunto sulla ripartizione
delle quote di mercato e l'avvenuto scambio di informazioni anche attraverso i già menzionati fax.
5.2. Si pongono a questo punto due problemi, sollevati da alcune delle appellanti e relativi alla
possibilità che riscontri e prove provengano da soggetti terzi rispetto alle singole imprese e che la
partecipazione alle riunione di dipendenti delle imprese, privi di particolari poteri, possa costituire
una prova della volontà delle società di partecipare all'intesa illecita.
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Entrambi i problemi sono da tempo stati approfonditi nel diritto antitrust e da questa Sezione.
Sotto il primo profilo, deve essere confermato l'ormai pacifico orientamento della Sezione, secondo
cui i documenti di cui è accertata l'attendibilità esplicano la loro rilevanza probatoria anche nei
confronti di società diverse da quelle presso le quali sono stati materialmente reperiti, o alle quali
sono attribuibili (Cons. Stato, VI, n. 1191/2001; n. 4362/2002; n. 926/2004).
Al riguardo, si ricorda che l'utilizzo come prova a carico di documenti provenienti da terzi è stato
ammesso dalla Corte di Giustizia CE (cfr. Corte Giust CE, 16-12-75, C 40-48/73, Suiker Unie, par.
159 ss), che ha ritenuto che sia difficile ammettere che un'impresa possa avere assolutamente
inventato il contenuto di uno scritto relativo ad un comportamento che possa esporla a sanzioni.
Nulla vieta, quindi, di ammettere, come prova del comportamento di un'impresa, documenti
provenienti da terzi, purché il contenuto degli stessi sia attendibile per quanto si riferisce al
comportamento stesso.
Applicando tale principio al caso di specie, deve ritenersi che i sopra richiamati inerenti lo
svolgimento e il contenuto delle riunioni, benché provenienti solo da alcune delle società coinvolte,
siano attendibili e idonei a costituire prova anche nei confronti di tutte le altre imprese che hanno
partecipato alle riunioni.
Con riguardo al secondo profilo, va rilevato che nei menzionati precedenti, la Sezione ha anche
precisato che sono riferibili alle imprese anche documenti provenienti da soggetti privi del potere di
rappresentanza.
Non è rilevante il ruolo svolto all'interno dell'impresa dai soggetti che materialmente hanno posto in
essere i comportamenti vietati o hanno predisposto i documenti rinvenuti durante le ispezioni, ma
anzi deve ritenersi che la condotta da parte del singolo dipendente, accompagnata dal conseguente
comportamento della società, sia sufficiente per rendere gli impegni assunti o gli atti rinvenuti
riferibili alla società (cfr. Corte Giust. CE, 21-2-84, C - 86/82, Hasselblad).
Tale principio non è stato smentito dal più recente precedente richiamato dalle appellanti (Cons.
Stato, VI, n. 1006/2008, gas tecnici), con cui questa Sezione si è limitata a rilevare l'insufficienza
come fonte di prova di condotte episodiche e frammentarie, imputabili a funzionari locali, tutti
concentrati in una determinata area geografica (quella centro-meridionale), non corrispondente con
la più ampia area oggetto dell'indagine.
In quel caso il mancato coinvolgimento dei dirigenti al vertice della rispettive aziende ha condotto la
Sezione a interpretare in modo diverso le condotte, non come indici dell'intesa illecita, ma come
isolate azioni di dipendenti operanti su base locale.
Resta, quindi, fermo il principio che le condotte aventi chiaramente una finalità anticoncorrenziale
possano essere imputate alle imprese, anche se non provenienti da soggetti muniti di particolari
poteri decisionali.
Una diversa interpretazione condurrebbe all'irragionevole conseguenza di ritenere necessario che il
soggetto che ha agito sia il legale rappresentante o il procuratore ad negozia, o comunque un
soggetto con particolari poteri decisionali, rendendo facilmente eludibile ogni divieto antitrust
tramite l'incarico verbale a soggetti privi di potere di porre in essere intese illecite.
Anche in questo caso i richiamati principi conducono a confermare la validità della tesi accusatoria,
sviluppata dall'Autorità con riguardo alla imputabilità alle singole imprese delle condotte dei propri
rappresentanti alle menzionati riunioni, salvo quanto sarà detto in seguito sulle singole posizioni.
5.3. Dimostrata l'esistenza delle riunioni e il loro contenuto illecito, l'Autorità ha anche rinvenuto
diversi ulteriori riscontri dell'intesa sanzionata.
In particolare, la documentazione acquisita presso C. e C. (doc. 58 e 280) contiene dati riferiti alle
imprese concorrenti, che dimostrano lo scambio di informazioni sensibili e il controllo sulle quote di
mercato.
Particolarmente significativa è la comunicazione da A. al dott. S. (doc. 4), in cui si parla in modo
esteso di trattative tra operatori del settore e delle problematiche inerenti la messa a punto
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dell'accordo tra le parti, con la premessa che "Con la presente ti confermo che a partire da oggi
abbiamo dato disposizioni tassative ai ns. operatori commerciali di fermarsi nello sviluppo delle
trattative in corso" e l'avvertenza che "ti confermiamo la ns. volontà di aderire a qualsiasi forma di
accordo che permetta al mercato di farci recuperare prezzo fermo restando che pretendiamo che
tutti diano potere decisionale incondizionato alla tua persona" (enfasi aggiunta). Lo scrivente così
giustifica le eccedenze registrate rispetto alle carature: queste derivano "dal fatto che prima degli
accordi disponevano di un discreto portafoglio (...) e non certamente dal comportamento
commerciale tenuto nei quattro mesi di tavolo". Al testo sono allegate alcune schede in cui, come i
redattori del memorandum spiegano, la necessità che scarti inferiori all'1% nelle quote rispetto alle
carature concordate erano ritenuti meritevoli di essere evidenziati per una sollecita correzione:
"Abbiamo evidenziato le carature di ogni singola società ed è emerso che A. e C. sono state
penalizzate nelle assegnazioni, seppur del solo 0,77%".
Anche i doc. n. 5, 6, 7, 8 e 9 sono fax con cui le società C., M., C.R. e M. comunicano sempre al
dott. S. dati sensibili relativi ai propri cantieri, funzionali al rispetto dell'intesa.
Del resto, le già richiamate dichiarazioni del dott. S. hanno confermato lo scambio di informazioni
via fax o nelle riunioni, a conferma del fatto che presso la segreteria del dott. S. (che - si ricorda ricopriva incarichi nelle tre società del gruppo H.) vi fosse una sorta di centrale operativa avente il
compito di raccogliere i dati dalle imprese concorrenti al fine strumentale di consentire la
realizzazione dell'intesa.
5.4. Il complesso dei richiamati elementi conduce a ritenere che le imprese rappresentate nei
menzionati verbali abbiano concluso un accordo avente un chiaro oggetto anticoncorrenziale.
L'oggetto dell'intesa è consistito nella ripartizione del mercato geografico rilevante con l'obiettivo di
raggiungere superiori margini di redditività del calcestruzzo attraverso l'incremento dei prezzi di
listino e di frenare la condotta aggressiva sul mercato di A..
La ripartizione del mercato è stata definita attraverso incontri tra le parti - volti a porre termine a
una situazione di concorrenza effettiva verificatasi nel Mercato Geografico Rilevante soprattutto in
ragione della condotta commercialmente aggressiva tenuta da A. fino alla prima metà dell'anno
1999 - ed è stata mantenuta attraverso un intenso scambio di informazioni.
Tali condotte integrano il raggiungimento di una intesa avente un chiaro oggetto illecito, e non il
mero tentativo di pervenire all'intesa, come sostenuto da alcune appellanti, tra cui C.R.; i richiamati
elementi probatori sono chiari nell'evidenziare che l'accordo sulla ripartizione del mercato geografico
rilevante era stato raggiunto e completato anche attraverso un complesso meccanismo di scambio
di dati e di controllo.
Le prove del raggiungimento dell'accordo sono inequivocabili, sono state acquisite senza alcuna
inversione dell'onere probatorio, come invece sostenuto da C., ed inoltre non sono state desunte da
una interpretazione delle condotte dell'imprese e, di conseguenza, non possono assumere rilievo le
considerazioni, contenute nel parere del prof. Prosperetti prodotto da C., circa la non convenienza
dell'accordo per i produttori integrati, i quali rispetto ad un ipotetico profitto a valle sul mercato del
calcestruzzo, avrebbero una perdita certa a monte per gli effetti riflessi sul mercato del cemento.
Prescindendo dal fatto che anche tale perdita è solo ipotetica, è sufficiente osservare come la scelta
di procedere all'intesa sia stata una decisione espressamente assunta nelle riunioni, dimostrata da
prove documentali e testimoniali e la maggiore o minore convenienza non può costituire elemento
per escludere la sussistenza di una intesa raggiunta, ma al più ha costituito ragione della non
completa esecuzione della stessa o della limitata durata, di cui si tratterà oltre.
Anche il rilievo assegnato all'autoproduzione nel citato parere appare eccessivo e comunque
inconferente rispetto ad una intesa, avente ad oggetto la quota di calcestruzzo acquisita sul
mercato, e non autoprodotta.
Anche i rilievi svolti dal Prof. Prosperetti sull'andamento dei prezzi del Calcestruzzo non risultano
decisivi, in primo luogo perché l'Autorità non ha esteso l'accertamento all'aumento generalizzato dei
prezzi e, in secondo luogo, perché non viene negato l'aumento del prezzo praticato da A. rispetto
alla precedente politica aggressiva, ma si contesta la lentezza in cui tale impresa ha proceduta a
tale aumento (dato che non è incompatibile con l'oggetto dell'intesa e che comunque al più dimostra
una difficoltà nella completa attuazione).
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E', infatti, ormai pacifico che per l'accertamento di un accordo illecito ai fini antitrust è sufficiente
dimostrare l'illiceità dell'oggetto dell'accordo, anche senza dimostrazione di effetti distorsivi della
concorrenza.
La giurisprudenza comunitaria e quella interna hanno da tempo ritenuto, sia con riferimento agli
accordi che alle pratiche concordate, che è sufficiente la presenza dell'oggetto anticoncorrenziale, e
non anche necessariamente dell'effetto di impedire o falsare la concorrenza (cfr., Corte Giust. CE, C
- 219/95, Ferriere Nord, 17-7-97, par. 30 e ss; C - 235/92, Montecatini, 8-7-99; C- 49/92, Anic, 87-99; Cons. Stato, VI, n. 2199/2002; n. 1191/2001).
Tale interpretazione è avvalorata dal dato testuale dell'art. 2 della legge n. 287/90, che sanziona le
intese, che abbiano "per oggetto o per effetto" la distorsione della concorrenza.
Una volta dimostrata l'illiceità dell'oggetto dell'intesa, l'Autorità ha ritenuto superfluo prendere in
considerazione gli effetti dell'intesa (par. 157) e, tuttavia, ha poi rilevato che l'intesa ha comunque
avuto l'effetto di calmierare l'aggressiva politica commerciale di A., che costituiva un pericolo per
l'andamento dei prezzi e che la ripartizione del mercato (dei cantieri) è in parte avvenuta secondo
quanto concordato nelle riunioni.
In sostanza, l'Autorità si è limitata a rilevare alcune anomalie nell'andamento del mercato, senza
però spingersi ad accertare in modo compiuto tutti gli effetti derivanti dall'intesa.
Perdono in questo modo di rilievo parte delle censure incentrate sulla assenza di prova degli effetti
dell'intesa con particolare riguardo all'aumento del prezzo del calcestruzzo o alla non corrispondenza
dei cantieri effettivamente acquisiti dalle imprese rispetto alle stime rinvenute nei documenti.
In particolare, le contestazioni riguardanti il market test contribuiscono a dimostrare la limitata
esecuzione dell'accordo, ma non avendo l'Autorità esteso l'accertamento sanzionatorio a tale
aspetto non sono idonee a invalidare il provvedimento impugnato, salvo quanto già rilevato dal Tar
circa il grado di gravità dell'infrazione, di cui si tratterà in seguito.
Mentre, deve ritenersi provato che l'effetto di disinnescare, quanto meno attenuare, l'aggressiva
concorrenza di A. è stato raggiunto, come risulta anche dai documenti in precedenza richiamati (v.,
in particolare, il doc. 4) e dall'effettivo aumento del prezzo praticato da A., anche se in un tempo
più lungo rispetto a quanto previsto.
Con riguardo alle ricadute sulla quantificazione della sanzione della scelta dell'Autorità di non
estendere l'accertamento a tutti gli effetti dell'intesa, la questione sarà oggetto di successivo
esame.
5.5. Si deve quindi passare all'esame delle posizioni individuali delle singole imprese.
E' già stato evidenziato come i due verbali delle riunioni, unitamente ai decisivi elementi di riscontro
richiamati, costituiscano i principali elementi probatori, cui vanno aggiunti gli altri documenti anche
già menzionati.
I due verbali sono risultati attendibili sia per il contenuto delle riunioni, che costituivano il seguito di
quelle del 1999, sia per la partecipazione dei soggetti indicati.
L'Autorità ha correttamente proceduto ad accertare l'identità di tali soggetti e la riconducibilità degli
stessi alle singole imprese.
Alle riunioni hanno partecipato il Sig. Cominetti quale Responsabile Commerciale della C. S.p.A., il
Sig. M. quale Responsabile Commerciale della società Edile Commerciale e amministratore delegato
di A., il Sig. M. quale Amministratore della società M., il Sig. R. quale Titolare della società C.R., il
sig. Rossi quale Responsabile Commerciale della M.B. e Sig. V. quale Titolare della stessa impresa, il
Sig. S. quale Direttore commerciale della Cementeria di Merone (H. Cementi), Presidente e
amministratore delegato di H. Calcestruzzi e Presidente di A., il Sig. T. quale dipendente della Edile
Commerciale e per H. Calcestruzzi, il sig. N. e il Sig. V., quale Responsabile Commerciale, per la U.,
il Sig. F. e il Sig. C. per la società C., il sig. G. responsabile dell'area Lombardia della C. (unitamente
al collega Sig. P.), il Sig. R. per la società A. Calcestruzzi, il Sig. M. quale responsabile d'area di H.
Calcestruzzi e la Sig.ra F.L. quale segretaria del dott. S..
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Si tratta di soggetti a cui erano affidati incarichi di rilievo nelle rispettive società e, comunque, è già
stato evidenziato come l'assenza di particolari poteri in capo a tali soggetti lascia intatta la
riconducibilità delle condotte poste in essere alle relative società.
5.6. Il tentativo di C. di disconoscere l'operato del geom. Cominetti o di negare la sua
partecipazione alle riunioni non può avere esito favorevole, in quanto innanzitutto la presenza di
tutti i soggetti indicati nei verbali è stata confermata da altri partecipanti alle riunioni, come già
evidenziato.
Inoltre, in sede di audizione il rappresentante di C. si è limitato a fare presente che "i dirigenti ed il
personale del gruppo Italcementi sono tutti tenuti a seguire la policy aziendale che, tra le altre cose,
richiede che essi operino in conformità alla normativa vigente a tutela della concorrenza. Di tali
prescrizioni tutti i dipendenti sono informati, come anche delle conseguenze e delle sanzioni in caso
di violazione di tali direttive". Ha aggiunto poi che "a seguito delle verifiche condotte sui dati
aziendali, non risulta che nelle date in cui si sono svolte le riunioni indicate il geom. Cominetti fosse
in ferie o si trovasse all'estero in missione e che egli era regolarmente in servizio. Non è in grado
tuttavia di verificare cosa avesse fatto nelle due date in cui risulterebbero avvenuti gli incontri".
Ancora, "il Geom. Cominetti, essendo dirigente, ha preso visione e sottoscritto il documento sulla
sopra citata policy aziendale; ammettere la partecipazione a quelle riunioni lo metterebbe in una
posizione di difficoltà nel suo rapporto contrattuale con la società" (doc. 633).
Neanche il rappresentante di C. è stato, quindi, in grado di escludere la presenza del proprio
dipendente alle riunioni e anzi nella memoria finale presentata a seguito delle CRI e nel corso
dell'audizione finale, la società ha affermato di aver "provveduto, infatti, ad interpellare l'impiegato,
il quale ha negato di aver partecipato agli asseriti incontri. In ogni caso, anche ammesso e non
concesso che vi avesse partecipato, ciò non sarebbe sufficiente a stabilire se l'incontro abbia
comportato l'adesione all'intesa o piuttosto un mero tentativo di coinvolgimento"; ma si è già
dimostrato come tale considerazione non sia idonea ad escludere l'imputabilità all'impresa
dell'operato del suo dipendente.
C. lamenta anche la scarsità di riscontri probatori ulteriori a suo carico, ma in realtà si osserva che
tali risconti sussistono e, al riguardo, è sufficiente ricordare che nel corso dell'ispezione eseguita
presso la società è stato acquisito un documento (doc. 58) che conferma, nella forma e nel
contenuto, l'oggetto della denuncia; si tratta di un file excel dal nome "PrezziMilano.xls" inviato, per
essere aggiornato, dal sig. Cominetti ad un altro dipendente della società. Il documento è formato
da due prospetti separati: il primo contiene, effettivamente, i prezzi medi per tipo di prodotto, il
secondo riporta uno schema indicante le produzioni. Quest'ultimo elenca le sigle di alcune delle
parti, coincidenti con quelle riportate nelle schede della denuncia, nonché le quote di produzione
teoriche ed effettive, ovvero dati che non sarebbero potuto essere in possesso di C. in assenza
dell'intesa.
La tesi fondata sul fatto che tali dati sarebbero il frutto di una mera elaborazione interna contrasta
con il livello di dettaglio dei dati (riportati al decimale), che è incompatibile con semplici stime
interne elaborate senza la conoscenza di dati sensibili delle imprese concorrenti.
Tale elemento è avvalorato dal rinvenimento in altri documenti di dati di C. in possesso di altre
imprese partecipanti all'intesa.
5.7 Anche le obiezioni di M.B. dirette a sostenere la propria estraneità all'intesa non colgono nel
segno, tenuto conto della presenza di due suoi rappresentanti alle riunioni (è irrilevante che il suo
legale rappresentante abbia partecipato a solo una riunione), dell'irrilevanza della mancata
considerazione dell'impresa nel doc. 58 o della sua peculiare dislocazione degli impianti sul territorio
milanese; inoltre, il fatto che M. non sia un produttore integrato o che abbia una minore forza di
mercato sono elementi inidonei ad escludere la sua partecipazione all'intesa, confermata peraltro
dalla prova documentale del fax di cui al doc. 6, ma valutabili, come in concreto valutati, ai fini della
quantificazione della sanzione.
5.8. Né può essere seguita M.V. Calcestruzzi nel tentativo di ricondurre la riunione da lei ammessa
ad una mera occasione conviviale; anche a prescindere dalle ammissioni, gli incontri e soprattutto il
loro contenuto illecito risultano adeguatamente provati e per M.V. vi è anche il riscontro del fax del
1 febbraio 2000 (doc. 8), che non può essere ricondotto ad una singola iniziativa di un proprio
dipendente per le ragioni già ampiamente illustrate e che non è superato dalla mancata menzione
nel doc. 58.
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5.9. La non menzione di C. in alcuni documenti di prova e la dedotta non corrispondenza tra cantieri
attribuiti in alcuni documenti e cantieri realmente acquisiti non assolvono C. dalle contestazioni
mosse perché altri documenti sostengono la tesi accusatoria, già saldamente fondata sulla
partecipazione di due rappresentanti di C. alle riunioni, tra cui il responsabile di area per la
Lombardia e il capoarea della zona di Milano.
In particolare, un appunto interno, acquisito presso la Direzione Area Lombardia della società (doc.
280), contiene dettagliate informazioni con elencazione delle trattative in corso non solo della stessa
società, ma anche dei concorrenti a conferma dell'inteso scambio di informazioni sensibili, avvenuto
in esecuzione dell'accordo (anche in questo si tratta di notizie che non possono considerarsi il frutto
della trasparenza del mercato, che non può al massimo riguardare le trattative già "chiuse" da un
concorrente, ma non le trattative in corso e gli altri dati sensibili trovati in possesso di C. anche
negli altri documenti rinvenuti dall'Autorità.
5.10. Analoghe considerazioni valgono per C.R., anch'essa rappresentata alle riunioni dal proprio
amministratore e a cui carico vi è anche il fax del 2 febbraio 2000 (doc. 7).
Il fatto che tale società non abbia adottato listini prestampati generalizzati non costituisce una
causa esimente, tenuto conto che la principale finalità su cui è sorta l'intesa era la necessità di
disinnescare la politica aggressiva di A. (questione su cui non incide la presenza, o meno, dei
listini).
5.11. Con riguardo alla posizione di U., già smentita la tesi della non utilizzabilità nei suoi confronti
dei due verbali e dell'inidoneità delle dichiarazioni provenienti da terzi a costituire prova della sua
partecipazione all'intesa, va ribadito che la presenza alle riunioni di due dipendenti, privi di
particolari poteri, non impedisce di ricondurre la loro condotta alla responsabilità dell'impresa, per le
considerazioni svolte in precedenza.
Anche le presunte incongruenza tra i dati riportati nelle tabelle e i dati reali dimostrano al più le già
descritte difficoltà di portare l'intesa a completa esecuzione, ma non l'insussistenza dell'accordo
avente un oggetto illecito; le stesse considerazioni valgono per l'asserita non corrispondenza tra il
dato contenuto nel doc. 58 e l'effettiva produzione di U., che dimostra al più come anche lo scambio
di informazioni non si sia completato, ma non che si trattasse di mere previsioni dell'impresa presso
cui il documento è stato rinvenuto (tesi già esclusa in precedenza).
5.12. H. (Italia) S.p.A. (successore di H. Cementi s.p.a.) ha dedotto in modo articolato di essere
soggetto estraneo all'intesa, rappresentando che i riscontri nei suoi confronti contenuti
nell'impugnato provvedimento sarebbero il frutto di refusi o comunque di confusione rispetto alle
altre imprese del gruppo H..
In effetti, in alcuni passaggi delle dichiarazioni rese in sede di audizione, riportati nel
provvedimento, vi è incertezza sulla distinzione tra i riferimenti a H. Cementi e H. Calcestruzzi;
incertezza in parte non dipendente dall'Autorità, ma dalle dichiarazioni rese da soggetti terzi (nel
doc. 440 si fa riferimento a H. Cementi, indicata con la sua precedente denominazione di
Cementerie di Merone, ma si attribuisce alla stessa una partecipazione del 60 % in A., che è invece
di H. Calcestruzzi).
Tuttavia, tale imprecisioni non sono idonee ad escludere H. Cementi dall'intesa; in primo luogo,
resta dubbio quale sia stato l'errore nei refusi, che potrebbe anche riguardare la partecipazione
attribuita, e non il riferimento a H.Cementi.
Ma la questione principale attiene al ruolo svolto dal dott. S., che come già ricordato rivestiva la
triplice veste di direttore commerciale di H. Cementi, Presidente e Amministratore delegato di H.
Calcestruzzi e Presidente di A..
E' già stato evidenziato come il dott. S. sia stato il promotore dell'intesa e come la sua segreteria
abbia svolto il ruolo di centro di raccolta dati e di centrale operativa dell'accordo.
In presenza di tale situazione risulta difficile distinguere la posizione del dott. S., che avrebbe
partecipato alle riunioni solo nell'interesse di H. Calcestruzzi e di A., ma non per H. Cementi.
Il fatto che avesse una unica segreteria non può essere invocato per attribuire a piacimento
condotte e responsabilità a solo alcune delle tre società del gruppo, ma costituisce indice, quanto
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meno presuntivo, del coinvolgimento di tutte le tre società e tale presunzione non è stata superata
con contrari elementi forniti dall'appellante.
Del resto, in presenza di tale intreccio di incarichi la presunzione non può che estendersi alla
necessaria conoscenza, o conoscibilità, da parte di H. Cementi dell'operato del proprio direttore
commerciale e sarebbe stata necessaria in tal caso una dissociazione espressa per escludere
l'impresa dall'intesa, a cui comunque la società aveva un interesse diretto non solo per le ricadute
positive sul gruppo, ma anche per i potenziali effetti dell'intesa sul rapporto integrato e sulla vendita
del cemento.
Deve, quindi, ritenersi che anche H. Cementi abbia partecipato all'intesa.
5.13. Un discorso diverso deve essere fatto per C..
L'Autorità ha ritenuto accertata la partecipazione di C. alle riunioni, ritenendo che l'impresa fosse
rappresentata dal sig. Cominetti, che è dipendente - come già detto - di C..
L'esistenza di un rapporto di gruppo tra C. e C. (entrambe fanno parte del gruppo Italcementi) ha
condotto l'Autorità a trascurare la differenziazione delle posizioni, utilizzando le prove a carico di
una società anche per l'altra.
Tale modalità di procedere non è corretta.
In primo luogo, in assenza di un rapporto di dipendenza o di altro tipo di accordi interni, la condotta
posta in essere dal sig. Cominetti non può essere imputata a C..
La situazione è completamente diversa da quella delle tre società del gruppo H., in cui vi erano
intrecci di cariche sociali e incarichi, con particolare riguardo ad una delle figure principali
dell'intesa, il dott. S., che rivestiva importanti ruoli nelle tre società, come già evidenziato in
precedenza.
Tali intrecci sono estranei alle società C. e C. e, comunque, il soggetto che ha partecipato alle
riunioni è un dipendente della sola C., che in alcun modo poteva rappresentare C..
L'Autorità avrebbe dovuto dimostrare che C. interveniva alle riunione anche per C. o trovare dei
riscontri esterni idonei a provare la partecipazione di quest'ultima all'intesa; l'unica alternativa era
fornire la diversa prova del fatto che C. e C. costituissero un unico centro decisionale.
L'Autorità non si è spinta a dimostrare tale ultimo fatto ed è rimasta "a metà strada", richiamando
in modo irrituale documenti di prova a carico di C. anche per la posizione di C..
Dimostrazione di tale carenza istruttoria è data dal fatto che i riferimenti a C. nel provvedimento
impugnato sono minimi ed anche il Tar ha dedicato poca attenzione alla posizione di C., limitandosi
ad affermare che sia C. che C. erano rappresentate alle riunioni dal geom. Cominetti.
Peraltro, non può non rilevarsi che la prova dell'esistenza di un unico centro decisionale avrebbe
dovuto essere particolarmente rigorosa, attesa l'esistenza di una composizione societaria di C.
diversa, in quanto caratterizzata da una quota del 15 % detenuta da C., nella specie certamente
idonea ad influenzare anche la governance societaria.
In assenza di tali elementi, deve ritenersi non sufficientemente provata la partecipazione di C.
all'accordo con conseguente annullamento dell'impugnato provvedimento nella parte in cui è stata
accertata l'intesa posta in essere anche da C. ed è stata sanzionata anche quest'ultima società.
6. Motivi relativi alla durata dell'intesa e alla sanzione pecuniaria.
6.1. Tutte le appellanti hanno contestato la reiezione delle censure proposte avverso la durata
dell'intesa e la conseguente applicazione dei criteri di quantificazione della sanzione, fissati dall'art.
15 della legge n. 287/90, come modificato dall'art. 11 della legge n. 57/2001.
Il giudice di primo grado ha ritenuta corretta la durata dell'infrazione, ricondotta dall'Autorità al
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periodo dal settembre del 1999 alla fine del 2002.
Sono fondate le censure con cui le appellanti contestano tale statuizione e deducono che l'intesa è al
massimo proseguita fino alla fine del 2000 o ai primissimi mesi del 2001
L'Autorità, seguita nel ragionamento dal Tar, ha attribuito un rilievo decisivo nel determinare la
durata dell'infrazione, al doc. n. 90, che è interno al gruppo H. e consiste in un fax del 4-12-2002 a
firma dell'agente commerciale di H. Calcestruzzi, indirizzato al rag. M., amministratore di A. e per
conoscenza al dott. S..
L'Autorità e il giudice di primo grado hanno riportato solo un estratto del documento, attribuendo il
significato di chiaro proseguimento dell'intesa al riferimento alla necessità di "intensificare lo
scambio di informazioni onde evitare di ritrovarci in simili situazioni".
Secondo le valutazioni dell'Autorità (par. 175), con tale comunicazione l'agente di H. si difendeva,
quindi, di fronte ai propri dirigenti, dall'accusa formulata dai concorrenti circa il mancato rispetto da
parte di H. della clientela da loro ritenuta esclusiva, negando a tal fine di aver adottato una politica
di prezzi aggressiva volta a sottrarre loro tali clienti.
In realtà, dalla lettura integrale del documento, richiamata in particolare da H. Calcestruzzi, tale
interpretazione non risulta essere l'unica possibile, in quanto gran parte della nota riguarda i
rapporti con un cliente del gruppo H., con il quale si erano creati seri problemi di recupero dei
crediti.
Il riferimento ai malumori di qualche concorrente può essere indicativo della ripresa di una politica
aggressiva da parte delle società del gruppo e, comunque, il cliente cui la nota si riferisce era da
tempo cliente del gruppo.
In sostanza, il fax sembra essere diretto ad evitare non condotte non in linea con l'intesa ancora in
essere, ma il rischio insolvenza di alcuni clienti, in relazione ai quali si richiede un maggiore scambio
di informazioni interno al gruppo.
Tale possibile lettura alternativa del documento quanto meno esclude che dallo stesso si possa
ricavare la prova certa del proseguimento dell'intesa fino al 2002.
Tale conclusione fa cadere la tesi dell'Autorità, che era appunto fondata sul doc. 90, rispetto al
quale venivano richiamati a supporto altri documenti.
Anche da questi ultimi non emergono chiare indicazioni circa la maggiore durata dell'intesa.
In particolare, costituisce un chiaro salto logico dedurre il proseguimento dell'intesa dalla seguente
affermazione resa dall'amministratore delegato di A. (doc. 440): "di non sapere se dal 2001 in
avanti le riunioni hanno avuto l'effetto sperato, in quanto lui ha smesso di prendervi parte".
La dichiarazione contiene la prova dell'esistenza delle riunioni fino alla fine del 2000, a conforto di
quanto ritenuto in precedenza, e del fatto che il rag. M. nulla sa del periodo successivo, non avendo
preso parte ad alcuna riunione, senza alcuna ammissione implicita del fatto che le riunioni sono
proseguite anche in sua assenza.
Inoltre, la ripartizione del mercato contenuta nel verbale del dicembre del 2000, pur essendo
chiaramente riferita anche all'anno successivo (2001), non dimostra che l'accordo sia proseguito ed
avendo l'Autorità in parte rinunciato a dimostrare gli effetti dell'accordo, era necessaria una prova
specifica della sua continuazione, che invece manca.
L'Autorità cade in errore anche quando indica tra le prove della durata dell'accordo la denuncia
anonima del 10 dicembre 2002, nel cui testo si legge "prove del cartello di calcestruzzieri che si
sono spartiti e che continuano a spartirsi i nuovi cantieri"; è già stato evidenziato che tale denuncia
ha consentito il legittimo avvio del procedimento, ma non poteva costituire prova diretta dell'intesa,
essendo già stata sottolineata la differenza tra l'assenza di valore probatorio della denuncia e i
riscontri acquisiti per i documenti allegati alla denuncia.
Va, infine, rilevato che la maggiore durata dell'intesa non può certo essere desunta dai residui
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documenti, richiamati dall'Autorità, in cui è del tutto inidonea ai fini della prova l'estrapolazione di
alcune frasi, tipo "nostra presenza dal 15-1-2002" nel doc. n. 13, o preoccupazioni circa la non
attuazione dell'intesa nei doc. n. 78 e 92.
In definitiva, tutti gli elementi probatori raccolti sono chiari nel dimostrare l'esistenza di una intesa
sorta nel 1999 e proseguita almeno fino alla fine del 2000, ma sono altrettanto chiari nell'indicare le
difficoltà di tenuta dell'intesa; in presenza di tali difficoltà, il proseguimento dell'accordo anche negli
anni 2001 e 2002 non può essere dedotto da alcune frasi rinvenute in pochi documenti, dal
contenuto non chiaro ed anzi interpretabile in modo del tutto diverso rispetto alla tesi accusatoria.
Peraltro, questa Sezione ha già ritenuto che la prova della durata dell'intesa, soprattutto quando da
essa dipende l'applicazione di un regime sanzionatorio più o meno favorevole, deve essere fornita
dall'Autorità con lo stesso rigore richiesto per la prova dell'esistenza dell'intesa. A tal fine ci si può
avvalere anche di presunzioni semplici, ma queste debbono essere fondate su indizi gravi, precisi e
concordanti (Cons. Stato, VI, n. 1009/2008).
Nel caso di specie, al contrario, gli elementi invocati dall'Autorità, sono privi anche del valore
indiziario e risultano quindi del tutto inidonei a dimostrare il proseguimento dell'intesa, la cui durata
va quindi ridimensionata al periodo dal settembre 1999 al dicembre 2000.
6.2. L'accertamento della minore durata della sanzione rende inapplicabile la disciplina sanzionatoria
prevista dall'art. 15 della legge n. 287/1990, come modificato dall'art. 11, comma 4, della legge 5
marzo 2001 n. 57, non essendosi l'intesa protratta fino all'entrata in vigore della novella.
Si ricorda che l'originaria versione dell'art.15 della legge n. 287/1990 prevedeva che in caso di
infrazione grave fosse disposta "l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in misura
non inferiore dell'1% e non superiore del 10 % del fatturato realizzato da ciascuna impresa o ente
nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, relativamente ai prodotto
oggetto dell'intesa."
La disposizione è stato in seguito modificata dall'art. 11, comma 4 della legge n. 57/2001, con cui è
stato ampliato il margine di discrezionalità dell'Autorità attraverso l'eliminazione di una percentuale
minima della sanzione, rapportata ora all'intero fatturato dell'impresa ("... dispone inoltre
l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato
in ciascuna impresa o ente nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della
diffida").
L'art. 1 della legge n. 689 del 1981 (cui fa rinvio l'art. 31 della legge n. 287 del 1990) prevede che
"Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse
considerati" in virtù del principio di legalità, che implica il conseguente assoggettamento della
violazione alla legge del tempo del suo verificarsi, ed esclude l'applicabilità della disciplina posteriore
anche laddove più favorevole (nel senso della legittimità costituzionale di un simile assetto cfr.
Corte Cost. n. 140/2002 e n. 245/2003).
Il rispetto del canone generale dell'irretroattività esige che le sanzioni inflitte ad un'impresa per
un'infrazione in materia corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l'infrazione è
stata commessa (Tribunale di primo grado U.E. 20 marzo 2002, causa T-23/99; Cons. Stato, VI n.
926/2004).
Va però rilevato che questa Sezione ha già ritenuto che l'inciso "relativamente ai prodotti oggetto
dell'intesa", di cui al citato art. 15 della legge n. 287/90 non comporta la necessità di separare dal
fatturato ogni voce specifica non perfettamente coincidente con il prodotto tipo oggetto della
pratica; tuttavia il concetto di fatturato di riferimento non può essere scisso del tutto dal mercato
rilevante (Cons. Stato, VI, n. 2199/2002), aggiungendo anche che con il termine fatturato relativo
ai prodotti oggetto dell'intesa il legislatore non ha inteso limitare il parametro di riferimento, su cui
calcolare la sanzione, al solo fatturato ottenuto grazie all'intesa illecita, ma ha voluto semplicemente
individuare tutto il fatturato realizzato dall'impresa in relazione a quei determinati beni (peraltro,
nell'anno antecedente la notifica della diffida a dimostrazione di una assenza di correlazione tra
benefici dell'intesa e parametro scelto). Ad esempio, in presenza di un'intesa geograficamente
circoscritta, il fatturato di riferimento comprenderà tutti i beni uguali a quelli oggetto dell'intesa,
anche se realizzato in zone territoriali poste al di fuori dell'ambito geografico dell'infrazione (Cons.
Stato, VI, n. 926/2004).
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Ciò comporta che l'Autorità dovrà rideterminare la sanzione, tenendo conto anche delle seguenti
statuizioni, prendendo come riferimento non l'intero fatturato delle imprese, ma quello relativo al
prodotto del calcestruzzo, senza però limitarlo a quello conseguito nell'ambito geografico di
riferimento (provincia di Milano).
L'applicazione del previgente art. 15 della legge n. 287/90 dovrà riguardare tutte le odierne imprese
appellanti principali, e non anche C. il cui appello è stato dichiarato perento con decreto di questa
Sezione n. 2161/2009; la rideterminazione della sanzione dovrà comunque avvenire anche per C.
sulla base della diversa qualificazione dell'infrazione come grave, confermata nel par. seguente.
6.3 Va, invece, respinto il ricorso in appello proposto dall'Autorità con riferimento alla qualificazione
dell'intesa da parte del Tar come grave, anziché come molto grave.
Non si tratta qui di mettere in discussione la possibilità da parte dell'Autorità nazionale di utilizzare i
criteri contenuti nella Comunicazione della Commissione 98/C9/03 sul calcolo delle ammende, che
qualificano come molto grave una intesa orizzontale di ripartizione dell'intero mercato.
Si tratta di criteri che prevedono misure assolute di sanzioni, correlate agli elementi del grado di
gravità, della durata e della presenza di circostanze attenuanti o aggravanti (criteri, peraltro, ormai
modificati dai nuovi Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'articolo
23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 - 2006/C 210/02; i nuovi criteri
"comunitari" sono ora riferiti in percentuale rispetto al il valore delle vendite dei beni o servizi, ai
quali l'infrazione direttamente o indirettamente si riferisce).
Tuttavia, gli stessi criteri del 1998 impongono anche di valutare l'impatto concreto sul mercato,
quando sia misurabile, e l'estensione del mercato geografico rilevante.
Nel caso di specie, l'ambito territoriale oggetto dell'intesa è circoscritto alla sola provincia di Milano,
come dedotto in particolare da C., e l'accertamento dell'intesa è stato limitato al suo oggetto, e non
esteso agli effetti, salvo alcuni circoscritti profili.
Questa Sezione ha già confermato una sentenza del Tar del Lazio, che aveva qualificato come
grave, e non come molto grave, una intesa in considerazione proprio del fatto che non vi era prova
del pregiudizio per il funzionamento del mercato e di un nesso di causalità certo tra l'intesa e
l'aumento dei prezzi, e dunque della lesività della condotta per il mercato (Cons. Stato, VI, n.
4017/2006; cfr., anche, Cons. Stato, VI, n. 2092/2009, in cui si dà rilievo ai fini delle riduzione della
sanzione all'assenza di effetti).
Non ritenendosi di doversi discostare da tale precedente e sulla base delle precedenti
considerazione, deve essere confermato l'annullamento del provvedimento nella parte in cui
l'infrazione è stata qualificata come molto grave, anziché come grave.
6.3. La reiezione di tale censura dell'appello principale proposto dall'Autorità determina
l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse degli appelli incidentali proposti in via
subordinata dalle imprese nell'ambito del giudizio n. 3235/06.
La declaratoria di improcedibilità va estesa agli appelli incidentali proposti nel giudizio n. 2646/06
(per quella dell'Autorità in ragione della sostanziale identità rispetto all'appello principale proposto
dalla stessa e per quello della U. perché anche trattasi di un appello subordinato).
6.4 Deve, invece, essere accolto l'appello dell'Autorità con riferimento alla esclusione della recidiva
per C.in relazione al precedente del 1992..
Il pieno accoglimento dell'appello di C. rende improcedibile la censura mossa dall'Autorità con
riferimento all'annullamento della contestazione della recidiva per tale impresa e rende
improcedibile anche il relativo appello incidentale di C..
Con riferimento alla posizione di C., va rilevato che il Tar ha ritenuto applicabile l'art. 8 bis della
legge n. 689 del 1981, che nel suo primo comma stabilisce che: "Salvo quanto previsto da speciali
disposizioni di legge, si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una
violazione amministrativa, accertata con provvedimento esecutivo, lo stesso soggetto commette
un'altra violazione della stessa indole.", ritenendo che per C. e C., essendo i fatti sanzionati nel
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1992 stati compiuti oltre il termine quinquennale appena detto, il relativo precedente non avrebbe
potuto essere assunto dall'Autorità a base di un aggravamento sanzionatorio.
Al riguardo, si ricorda che l'art.
sezioni I e II, della legge 24
comunitario, da cui le Autorità
quantificazione delle sanzioni,
rimettendo alla Commissione la
31 della legge n. 287/90 richiama disposizioni contenute nel capo I,
novembre 1981, n. 689 "in quanto applicabili" e che in ambito
e la giurisprudenza nazionale hanno tratto i principi in materia di
la recidiva viene applicata senza un preciso limite temporale,
valutazione del decorso del tempo.
L'applicazioni di sanzioni nel diritto antitrust presenta diverse peculiarità: come già rilevato, i divieti
sono correlati a concetti giuridici indeterminati, che vengono contestualizzati dall'Autorità, a volte
anche con ampi poteri di interpretazione che consentono a quest'ultima la disapplicazione di norme
interne (Corte Giust. CE, 9 settembre 2003, C-198/01, C.I.F.; disapplicazione che, per
comportamenti pregressi qualora questi siano stati loro imposti dalla normativa nazionale
disapplicata, non può condurre all'immediata sanzione, possibile invece per comportamenti
successivi alla decisione di disapplicare tale normativa nazionale, una volta che quella decisione sia
diventata definitiva).
Da ciò deriva che a volte l'esatto disvalore del fatto, costituente illecito antitrust, emerge dopo
l'accertamento compiuto dall'Autorità con la conseguenza che riportare l'applicabilità della recidiva
alla non decorrenza di un periodo temporale dal fatto può comportare alcuni inconvenienti.
Tra questi quello di non poter applicare la recidiva rispetto a condotte antecedenti il quinquennio,
ma accertate e sanzionate con provvedimento recente dell'Autorità.
La maggior durata dei procedimenti antitrust, derivante dalla complessità degli accertamenti
richiesti, e la possibilità che la scoperta degli illeciti avvenga anche a distanza di tempo rispetto ai
fatti sono elementi poco compatibili con la fissazione di un termine massimo per l'applicazione della
recidiva.
Ma anche volendo fare riferimento al provvedimento di accertamento, si osserva che la difficoltà di
accertare le violazioni antitrust e l'esigenza di colpire le infrazioni gravi o molto gravi con sanzioni
che costituiscano un effettivo deterrente avvalorano la tesi che il rigido termine di cinque anni,
fissato per l'applicazione della recidiva dall'art. 8-bis della legge n. 689/1981, non sia compatibile
con la disciplina antitrust e non debba essere applicato, con la conseguenza che la valutazione del
tempo trascorso ai fini dell'applicazione dell'aggravante è rimessa alle valutazioni dell'Autorità.
Tali valutazioni sono state correttamente compiute nel caso di specie in presenza di due precedenti
specifici per C., non particolarmente risalenti nel tempo ed esecutivi.
Diventa a questo punto improcedibile la censura del ricorso di appello principale proposto da C. con
riferimento alla esclusione della recidiva, operata dal Tar limitatamente al precedente del 1992, e
non anche a quello del 1997, in quanto alla luce delle precedenti considerazioni sono entrambi
valutabili ai fini della recidiva.
6.5 Con riguardo alle altre censure proposte in via principale da alcune appellanti, sempre inerenti
la sanzione, si rileva che parte delle stesse risultano improcedibili, dovendo l'Autorità rideterminare
la sanzione senza partire da un importo base, ma da una percentuale sul fatturato di riferimento.
L'assenza di dati su tale fatturato impedisce al Collegio di provvedere direttamente alla
rideterminazione della sanzione, facendo uso dei poteri di merito riconosciuti in sede di sindacato
sulle sanzioni antitrust.
Comunque, le altre censure proposte dalle appellanti inerenti la sanzione sono prive di fondamento,
in quanto:
- la carenza di pieni effetti dell'intesa e la ristretta dimensione geografica del mercato rilevante sono
già state valutate ai fini della qualificazione dell'infrazione come grave, ma non costituiscono
elementi che nel caso di specie possano addirittura escludere la gravità o ritenere che si potesse
procedere con la sola emanazione di una diffida senza irrogare la sanzione pecuniaria
- l'integrazione verticale è stata valutata dall'Autorità non come addebito da muovere alle imprese
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integrate o addirittura come illecito antitrust (v. ricorso di C.), ma come indice dell'effettiva capacità
economica di arrecare un danno al mercato e agli operatori e tale criterio è contenuto nella
Comunicazione della Commissione recante i suoi "Orientamenti per il calcolo delle ammende" del
1998 (tale maggiore capacità economica va valutata in astratto e non è scalfita dalle considerazioni
svolte dal parere del Prof. Prosperetti, prodotto da C., diretto a sostenere in concreto l'assenza di
vantaggi per i produttori integrati, né dalle contestazioni di U. inerenti l'assenza di una prova
concreta del collegamento tra intesa e vantaggi derivanti dall'integrazione);
- stesse considerazioni valgono per l'appartenenza ad un gruppo, anche indice della maggiore
capacità economica, che assume rilievo senza alcuna necessità che anche la "società madre" sia
coinvolta nell'intesa, come invece sostenuto da Colabeton;
- le minori dimensioni e forza economica di alcune imprese (M.B., M.V.C., C.R.) sono state valutate
dall'Autorità in sede di quantificazione della sanzione e, di conseguenza, lo saranno anche al
momento della rideterminazione della sanzione, che avverrà sulla base dei diversi criteri di cui al
previgente art. 15 della legge n. 287/90 e dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità,
invocati da alcune appellanti, tra cui C.;
- le contestazioni circa l'assenza di criteri e di motivazione nella determinare la sanzione base,
anche con riguardo alla presunta disparità di trattamento e alla violazione del principio di
proporzionalità (v., in particolare, il ricorso di U. e gli ultimi motivi dei ricorsi H.) sono destinate ad
essere assorbite nel motivo accolto inerente la durata dell'intesa e la diversa norma sanzionatoria
da applicare, che condurrà l'Autorità a rideterminarsi senza partire da una sanzione base, ma
stabilendo delle percentuali sul fatturato, da motivare adeguatamente come già indicato da questa
Sezione (Cons. Stato, VI, n. 6469/2007);
- il ruolo svolto da U. nell'intesa non è stato sovradimensionato, né può essere sostenuto che non
poteva essere contestata la recidiva in relazione ad un caso verificatosi quando il management e la
proprietà della società erano diversi perché tali mutamenti non comportano il cambiamento del
soggetto (persona giuridica) che ha commesso l'infrazione, che resta consapevole del fatto che in
caso di nuova violazione sarà applicata la recidiva;
- come già rilevato, la mancata apertura di altro procedimento nei confronti di Calberg non può
avere alcun effetto invalidante sul provvedimento impugnato, né sulla misura della sanzione
irrogata.
- le considerazioni svolte con riguardo alla prova della partecipazione all'intesa di H. Cementi e del
ruolo assunto dal suo direttore commerciale sono idonee ad includere anche tale società tra i
promotori dell'accordo illecito e lo stesso ruolo va attribuito anche alle due società del gruppo (Am.
e H. Calcestruzzi), in quanto dagli atti emerge chiaramente che solo la sinergia delle tre imprese ha
consentito la realizzazione dell'intesa e in tale sinergia è risultato decisiva la volontà di A. di
calmierare la propria politica al fine di consentire il recupero di margini sul prezzo del calcestruzzo;
- la condotta collaborativa delle società del gruppo H. è stata adeguatamente valutata dall'Autorità e
compensata con valutazione, da ritenere proporzionata, alla contestata aggravante del ruolo
organizzativo svolto, senza alcuna violazione di principi interni o comunitari (la giurisprudenza
comunitaria richiamata da H. riguarda casi in cui la collaborazione delle imprese consente di scoprire
cartelli, mentre qui la scoperta è avvenuta in modo indipendente e la cooperazione è intervenuta in
corso di istruttoria già avviata);
7. Domanda risarcitoria.
Va respinta la domanda di risarcimento del danno proposta da U. perché presentata in modo del
tutto generico senza il minimo principio di prova e senza neanche indicare quali siano i danni subiti
a seguito della irrogazione della sanzione (non potendo certo assumere rilievo un indeterminato
richiamo alla "svalutazione delle azioni" della società).
Né a tale totale carenza probatoria può supplire la richiesta di consulenza tecnica di ufficio, che come è noto - ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni
tecniche non possedute, ma non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla
stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste; fatti che devono essere dimostrati dalla
medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c.
(Cons. Stato, VI, 12 marzo 2004 n. 1261).
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8. Le spese processuali.
L'integrale accoglimento del ricorso in appello di C. comporta che le spese processuali seguono la
soccombenza nella misura indicata in dispositivo, mentre costituisce giusto motivo per la
compensazione delle spese la reciproca soccombenza tra le altre parti del giudizio (l'accoglimento
dei ricorsi in appello delle imprese è limitato alla questione della durata dell'intesa e della norma
sanzionatoria applicabile, mentre l'accoglimento del ricorso in appello proposto dall'Autorità è
limitato alla questione delle recidiva).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, previa riunione dei ricorsi in appello
indicati in epigrafe, così provvede:
- accoglie il ricorso in appello proposto da Ce. s.p.a. e, per l'effetto, in parziale riforma della
sentenza del Tar, annulla il provvedimento impugnato limitatamente alla posizione di C. s.p.a.;
- accoglie in parte i ricorsi in appello principale proposti da C. S.p.A., C.R. S.r.l., C. S.r.l., H.
Calcestruzzi S.r.l., H. (Italia) S.p.A., M.V. Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. ed U. S.p.A. e, per l'effetto,
in parziale riforma della sentenza del Tar, accoglie i ricorsi di primo grado delle menzionate società
con riguardo al vizio inerente la durata dell'intesa e la norma sanzionatoria applicabile ed annulla il
provvedimento impugnato nei limiti e nei sensi di cui in parte motiva;
- respinge nel resto gli appelli principali proposti da C. S.p.A., C.R. S.r.l., C. S.r.l., H. Calcestruzzi
S.r.l., H. (Italia) S.p.A., M.V. Calcestruzzi S.r.l., M.B. S.r.l. ed U. S.p.A.;
- accoglie in parte il ricorso in appello principale proposto dall'Autorità garante della concorrenza e
del mercato e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza del Tar, respinge il motivo di ricorso di
primo grado proposto da C. s.p.a. relativo alla contestazione della recidiva;
- per il resto, dichiara in parte improcedibile il ricorso in appello principale proposto dall'Autorità
garante della concorrenza e del mercato in relazione alla posizione di C. s.p.a. e in parte lo
respinge;
- dichiara improcedibili tutti gli appelli incidentali proposti dalle parti;
- condanna l'Autorità garante della concorrenza e del mercato alla rifusione, in favore di C. s.p.a.,
delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 10.000,00, oltre Iva e C.P.,
compensando le spese tra tutte le altre parti del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2009 con l'intervento dei
Magistrati:
Giovanni Ruoppolo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
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2009 il Consiglio di Stato