DAVID HUME
L’esito scettico della tradizione
inglese
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Vita e opere
• Hume nasce a Edimburgo nel 1711 e muore nella stessa città nel 1776.
• Proviene da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà terriera della
Scozia.
• Dopo studi giurisprudenziali condotti senza grande entusiasmo, si
trasferisce nel 1734 a La Fleche in Francia e qui redige i tre libri del
Trattato sulla natura umana (1739-40) che, con grande delusione del suo
autore, non trovano accoglienza di pubblico.
• Francis Hutchenson, prestigioso professore di filosofia morale
all’università di Glasgow, conosciuto nel 1739, lo spinge a proseguire negli
studi e nella sua attività filosofica, malgrado la delusione dovuta
all’insuccesso dei suoi primi scritti.
• Nel 1741 pubblica quindici Saggi morali e politici che hanno più successo
della precedente opera, ma che suscitano l’opposizione del clero
conservatore scozzese. Così diventa impossibile per lui accedere ad una
cattedra universitaria a Edimburgo.
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Vita e opere 2
• Recatosi in Europa come segretario del generale Saint-Clair,
ambasciatore inglese in Francia, scrive, rivedendo il Trattato, le
Ricerche sull’intelletto umano (1748) e la Ricerca sui principi della
morale (1751).
• Nominato nel 1752 conservatore della biblioteca di Edimburgo, può
dedicarsi completamente allo studio e all’attività editoriale.
• Nel 1752 pubblica una Storia dell’Inghilterra dall’invasione di Cesare
all’ascesa di Enrico VII, testo che ottenne grande risonanza .
• Nel 1757 pubblica la Storia naturale della religione che rinfocola le
polemiche dell’ortodossia anglicana e le accuse di larvato ateismo.
• Dal 1763 è nuovamente in Francia, a Parigi dove conosce l’ambiente
dei philosophes francesi dai quali è ritenuto un maestro. Ospita
Rousseau a casa sua in Inghilterra ma è da questi malamente
ricambiato con accuse di ogni genere. Deluso, si ritira a Edimburgo
dove attende ai Dialoghi sulla religione naturale, che appariranno
postumi nel 1779.
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Il metodo
• L’originalità di Hume sta nel voler applicare il
metodo scientifico sperimentale anche alle
scienze umane e in particolare alla morale, per
giungere ad una dottrina complessiva che eviti
la superficiale rapsodicità dell’aforistica
morale diffusa in Inghilterra ai suoi tempi, ma
anche le astrusità dei sistemi metafisici che si
allontanano dalla concretezza fattuale della
vita umana.
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Il «Trattato sulla natura umana»
• Per Hume l’indagine sulla natura umana deve
indagare i seguenti temi:
• anzitutto una dottrina della conoscenza che
ne vagli l’estensione e i limiti;
• poi un’analisi delle passioni e in generale della
sfera emotiva;
• infine una dottrina morale.
I tre libri del Trattato affrontano questi
argomenti.
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La conoscenza umana
• La conoscenza è percezione. Con percezione si intende ogni contenuto
psichico e rappresentativo, ossia «tutto ciò che può essere presente alla
mente».
• Ve ne sono due tipi:
• Quella originaria fondata sulle impressioni, cioè sulle passioni e immagini
immediatamente presenti alla nostra mente, dotate di una forza
intrinseca con cui si impongono quando fanno la loro prima comparsa
nella nostra anima. Esse sono date da un oggetto la cui presenza si
comunica senza mediazioni alla nostra mente e si impone ad essa.
• Quella derivata che dalle impressioni che permangono nel pensiero
quando l’oggetto che le ha provocate non è più presente, elabora le idee.
• Da un’impressione dunque deriva un’idea, mentre è impossibile con
un’idea produrre un’impressione e le idee oscure possono essere chiarite
solo facendo riferimento alle impressioni corrispondenti.
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Le impressioni
• Le impressioni si classificano come semplici e
complesse.
• Da quelle semplici, come per esempio il caldo o il
freddo, derivano le idee semplici.
• Quando invece le impressioni complesse, come
quella di una mela, sono trattenute dalla
memoria generano idee complesse. Esse
riproducono nella loro struttura l’ordine delle
impressioni ricevute. Nondimeno questo ordine
non è cogente in senso assoluto.
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La differenza tra impressioni e idee
• «Tutte le percezioni della mente umana si possono
dividere in due classi. Che chiamerò impressioni e idee.
La differenza fra esse consiste nel grado diverso e forza
con cui colpiscono la nostra mente e penetrano nel
pensiero, ovvero nella coscienza. Le percezioni che si
presentano con maggior forza e violenza possiamo
chiamarle impressioni […]. Per idee, invece, intendo le
immagini illanguidite delle impressioni, sia nel pensare
che nel ragionare» (D. Hume, Trattato sulla natura
umana, Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 13).
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Immaginazione
• L’ordine delle impressioni può essere modificato
dall’immaginazione, una facoltà produttiva
dell’animo umano che associa impressioni e idee
diverse in base a tre principi:
• Somiglianza: per esempio tra un quadro e il
soggetto originale
• Contiguità nel tempo e nello spazio: da un
oggetto a quello vicino nel tempo e nello spazio
• Causalità: dall’effetto alla sua causa, per esempio
da un oggetto in movimento a quello che lo ha
mosso.
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Le idee astratte
• Oltre alle idee semplici e complesse vi sono
idee astratte e generali. Esse sono idee come
tutte le altre, usate convenzionalmente per
rappresentare una classe di oggetti. Ogni idea
è infatti singola e definisce un oggetto. Alcune
idee singole sono utilizzate per indicare più
oggetti. Queste sono appunto le idee astratte.
Esse evocano le idee particolari e preparano la
mente ad analizzarle pur senza farlo.
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L’idea astratta di uomo
• E’ assunta per indicare me stesso+mia
sorella+il mio amico+il passante+il
vescovo di Roma. Se io uso l’idea di
uomo posso evocare tutti questi
individui con un solo atto della mente,
che ha generalizzato l’ «uomo» proprio
con
questo
scopo
diremmo
«economico».
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La validità delle idee semplici
• Un’idea è in generale valida nella misura in cui
possiamo
ricondurla
all’impressione
corrispondente. L’operazione è relativamente
facile nel caso delle idee semplici. Dal bianco
che sto pensando posso facilmente risalire al
bianco che ho percepito in presenza di un
oggetto bianco.
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La validità delle idee complesse e
astratte
• Per le idee complesse e per quelle astratte (spazio,
tempo, esistenza, sostanza, causalità etc.) il processo è
assai più complicato. Bisogna infatti risalire agli
elementi semplici costitutivi dell’idea stessa e al modo
in cui tali elementi sono connessi nell’idea.
• Per esempio:
• L’idea complessa di tempo è l’ordine delle impressioni
percepite in modo unitario con altre impressioni: non
esiste cioè un tempo separato dalla percezione della
successione delle impressioni che ho ricevuto
nell’ordine in cui le ho ricevute.
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L’idea di causa
• E’ la relazione più importante per l’analisi
scientifica. Grazie all’idea di causa noi
inferiamo dall’effetto una determinata causa
che lo ha prodotto, deducendo nozioni che noi
immediatamente non vediamo e non
sentiamo. Hume si domanda da dove derivi e
quali siano le caratteristiche dell’idea di causa.
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Origine dell’idea di causa
• L’idea di causa indica una relazione tra oggetti le cui idee
comportano le seguenti proprietà:
• Contiguità nello spazio, sia in sé sia per mezzo di causa intermedie
• Anteriorità nel tempo: la causa è sempre anteriore all’effetto
Queste due caratteristiche sono date nell’esperienza percettiva. La
terza caratteristica è quella che fa problema perché non è data
nell’esperienza. Si tratta della connessione necessaria tra i due
elementi contigui nello spazio e nel tempo. Questa connessione ci
permette di distinguere il post hoc (dopo-questo) dal propter hoc (acausa-di-questo). Infatti non è detto che due eventi, di cui l’uno
precede l’altro, siano connessi. Se uno danza con determinati gesti e
dopo viene a piovere, i due eventi non sono connessi
necessariamente. Solo l’errata convinzione che il post hoc significhi di
per sé propter hoc ingenera in noi l’idea che abbiamo inscenato una
«danza della pioggia».
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La connessione necessaria
• La connessione necessaria tra causa ed
effetto
significa
invece
che
invariabilmente, sempre e comunque,
dato un evento X chiamato causa, si
verifica senza eccezione un altro evento Y
che noi chiamiamo effetto.
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L’introvabile nesso logico
• Tuttavia nell’esperienza accade questo. Generalmente individuo una
causa che produce un effetto quando in ripetute esperienze noto
quella relazione per cui dall’effetto posso risalire alla sua causa come a
ciò che, essendo avvenuto prima, ha posto in essere l’effetto stesso.
L’esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo. Il
movimento della palla A che tocca la palla B produce sempre, alla luce
della mia esperienza, il movimento della palla B. Ma questo «sempre»
che io noto è semplicemente un nesso temporale, non un nesso
logico. Cioè mi dice «quando» non mi dice «perché» ed è riferito a ciò
che io ho potuto vedere e sperimentare. In realtà l’aggiunta del nesso
logico che rende la relazione necessaria è dato dall’esperienza ripetuta
di più casi di scontro tra A e B. Tale esperienza mi induce a pensare che
il movimento di A produca necessariamente quello di B e a regolarmi
in futuro in base a tale esperienza.
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L’abitudine…
• In questo processo di rinvenimento di una
relazione tra causa ed effetto a ben vedere non
entra alcun elemento logico, bensì una
abitudine psicologica ad attribuire alle mie
ripetute esperienze il carattere di una necessità
assoluta ed eterna. In base a tale abitudine noi
assumiamo che ciò che è capitato sempre in
passato capiterà ancora, non avendo tuttavia
alcun elemento ulteriore su cui basarci eccettuata
appunto la nostra pregressa esperienza.
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…non la ragione
• Non vi è dunque nulla di logico né razionale a garantirci
che il sole, che sempre abbiamo visto sorgere (si tratta
ancora di un famoso esempio humeano), sorgerà
ancora domani, bensì un postulato indimostrabile
dovuto ad una nostra caratteristica psicologica, ossia al
modo in cui noi siamo abituati a trattare gli eventi
della nostra esperienza. Ciò, se preso alla lettera,
distrugge le fondamenta razionali della scienza e
induce ad acquisire una prospettiva scettica, secondo
la quale le nostre esperienze non possono garantire
affatto l’universalità e necessità degli assiomi
scientifici.
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La credenza
• Dall’abitudine sorge la credenza, cioè quella forza
istintiva fondamentale che ci fa ritenere vero ciò
che razionalmente non è dimostrabile e governa
le nostre azioni quando riteniamo di aver
individuato la causa di un fenomeno e ci
comportiamo di conseguenza…per esempio –
rimanendo nell’ottica dell’esposizione humeana –
quando giochiamo a biliardo e prepariamo il
colpo in modo da colpire la palla e «fare filotto».
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La sostanza
• L’idea di sostanza va ricondotta alla collezione di
impressioni che la compongono, in cui ciascuna è
stata unita all’altra dall’immaginazione. Un libro, per
esempio, è la collezione di idee come il suo colore, il
suo peso, le parole che noi vediamo scritte sulle
pagine, la consistenza della carta etc. Non vi è mai
qualcosa di essenziale che determini per noi il «che
cos’è» del libro, ma sempre una molteplicità di
impressioni che, percepite in modo unitario grazie
all’immaginazione, viene chiamata «libro».
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Il mondo esterno
• Questo fascio di impressioni da che cosa è
stato causato? Ancora l’abitudine ci conduce a
dire che le impressioni che noi abbiamo siano
state causate dall’esistenza all’esterno della
nostra mente della cosa che noi abbiamo
percepito. Ma, come si è detto, il concetto di
causa non ha una validità razionale, dunque
noi non possiamo essere razionalmente certi
dell’esistenza del mondo esterno.
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La continuità e stabilità del mondo
esterno
• Le cose all’esterno generano le corrispondenti impressioni quando noi
siamo alla loro presenza. Poi scompaiono quando noi ci muoviamo o
anche semplicemente pensiamo ad altro. Poi noi le ri-incontriamo e le
riconosciamo come tali, attribuendo al fascio di impressioni precedenti
e a quelle successive, in virtù della loro somiglianza, il riferimento ad
un medesimo oggetto. Tale riferimento è del tutto aleatorio. Niente
infatti ci assicura che due fasci di impressioni simili, presentatisi in
momenti diversi, abbiano come riferimento esterno lo stesso
oggetto. Niente ci assicura che quell’oggetto sia rimasto tale dopo che
ce ne siamo allontanati e che sia lo stesso oggetto quando lo
rivediamo. Noi possiamo registrare semplicemente una similitudine di
impressioni, ma dal punto di vista razionale non possiamo andare
oltre. L’ «oltre» è ancora una credenza data dall’abitudine.
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L’io
Così come il mondo esterno, anche l’io risulta
essere un fascio di impressioni. L’io non è altro
che il flusso delle nostre percezioni – sentimenti,
idee, desideri, speranze, ricordi - senza alcunché
di unitario e stabile che faccia da sostrato.
Quindi non vi è nemmeno un’anima che fondi la
più radicale identità del soggetto, e tantomeno
si può dire che questa anima sia immortale.
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Le finzioni e il loro ruolo
• Quindi la sostanza, il mondo esterno e l’Io sono
fondamentalmente FINZIONI, cioè prodotti dell’attività
dell’immaginazione che non hanno un corrispondente certo al di
fuori di essa.
• Qual è il ruolo delle finzioni? Quello importantissimo di
permettere all’uomo di orientarsi nella vita senza farsi
paralizzare dai dubbi della ragione.
• Produrre le finzioni è un istinto naturale dell’uomo che, sebbene
appaia in contraddizione con la ragione, lo protegge dalla
distruzione di ogni vivere sociale cui condurrebbe l’assunzione
coerente delle conclusioni scettiche della ragione.
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Lo scetticismo moderato di Hume
• Lo scetticismo vale dunque esclusivamente nell’ambito
dell’indagine filosofica e ha la funzione positiva di sottolineare
incessantemente i limiti del nostro sapere e ridimensionare le
nostre pretese che altrimenti condurrebbero ad un
dogmatismo (= affermazione di aver conosciuto
definitivamente la verità che diventa assolutamente
normativa, cioè un dogma) parimenti deleterio per la vita
dell’uomo. Si tratta pertanto di uno scetticismo moderato che
relativizza le conclusioni della ragione e le sottopone gli
oggetti accessibili alla sua conoscenza nella misura esatta in
cui essi sono accessibili.
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Ciò che la mente può indagare:
relazioni di idee
• Ciò che è sottoponibile alla mente umana si può ridurre a due grandi
categorie di oggetti:
• LE RELAZIONI TRA IDEE danno luogo a proposizioni delle scienze
matematiche che sono ottenute attraverso operazioni del puro
pensiero, ossia elaborazioni che avvengono a priori ossia a prescindere
dall’esperienza. Esse dunque costituiscono inferenze deduttive da
premesse la cui verità o falsità è tutta nelle idee stesse e prescinde da
ogni altro rapporto con una realtà esterna alle idee. Tale verità o falsità
è appurata mediante l’applicazione del principio di non contraddizione
che mi dice quali inferenze sono vere e quali false (per esempio la
somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a uno piatto, ciò
vero e incontradditorio; se dico che è uguale a uno retto, ciò
contraddice l’idea stessa di triangolo per come è stata costruita dalla
mente).
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Le relazioni tra idee si pongono fra
idee astratte
• «La conoscenza astratta, tipica delle scienze pure, prescinde dal
legame tra idee e realtà sensibile, anche se, va ricordato, tali idee per
Hume non hanno genesi diversa da quelle di ogni altra idea» (G.
Boniolo). Ricordiamo che le idee astratte sono idee utilizzate
convenzionalmente per significare altre idee. Quando le metto in
relazione nella matematica, nell’algebra o nella geometria, non mi
preoccupo della loro composizione e della loro riconduzione alle
impressioni, ma semplicemente dei rapporti fra di esse, a prescindere
dal loro contenuto empirico. «Proposizioni di questa specie si possono
scoprire con una semplice operazione del pensiero, senza dipendenza
alcuna da qualche cosa che esista in qualche parte dell'universo. Anche
se non esistessero in natura circoli o triangoli, le verità dimostrate da
Euclide avrebbero sempre la loro certezza e evidenza» (D. Hume,
Ricerche sull’intelletto umano, IV, I)
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Ciò che la mente può indagare:
materie di fatto
• LE MATERIE DI FATTO: riguardano invece gli oggetti di cui vi è
un’esperienza e il cui contrario è sempre possibile perché non comporta
alcuna contraddizione (per esempio: se piove invece che splendere il sole,
ciò non è contraddittorio, se gli uomini che di solito cammina, è impedito
nel camminare ciò non comporta contraddizione). Essi vengono indagati
dalle scienze che vanno alla ricerca delle cause e quindi vanno soggette a
tutti problemi derivanti dall’aleatorietà del concetto di causa. A tale
ambito appartengono le scienze naturali, la storia e la morale.
• La teologia e la metafisica non riguardano né le relazioni fra idee in base al
principio di non contraddizione, né le materie di fatto in base al principio
di causalità, quindi non forniscono alcun sapere né sicuro, né utile
all’orientamento dell’uomo nella realtà.
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Le passioni
• La seconda parte del Trattato è dedicata alle passioni, alla sfera
emotiva della vita umana. Tale indagine è premessa necessaria per una
coerente analisi della vita morale.
• Piacere e dolore sono alla radice della vita emotiva umana e quindi da
loro derivano tutte le passioni. Esse sono impressioni dovute ad un
oggetto esterno che provoca la passione. Quest’ultima si caratterizza
per essere una riflessione sull’impressione di piacere o dolore. Per
esempio: «Il dolore prodotto dal mal di denti è un’impressione di
sensazione (cioè prodotta da un oggetto esterno, n.d.r.); il senso di
disagio prodotto da questo dolore, la speranza che passi presto, la
paura che si ripeta, sono impressioni di riflessione (cioè impressioni
dovute alla riflessione sulle impressioni provenienti da un oggetto
esterno, n.d.r.), ovvero passioni».
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Dal piacere e dal dolore…
• Direttamente dal piacere derivano: gioia desiderio e
speranza
• Direttamente dal dolore derivano tristezza, avversione,
paura.
• Le passioni che derivano invece indirettamente da piacere e
dolore corrispondono a quelle dirette con l’interpolazione
di qualche altra idea, per esempio quella del mio io o quella
di un altro soggetto. Se io alla gioia unisco l’idea del mio io,
ottengo l’orgoglio, se alla stessa gioia unisco l’idea di un
altro soggetto, ottengo l’amore. Orgoglio, umiltà, amore e
odio sono le passioni indirette più importanti.
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La simpatia
• La simpatia risulta essere una passione
estremamente importante dal punto di vista
sociale. Si tratta della nostra disposizione a
sentire dentro di noi le inclinazioni e i sentimenti
altrui, nonostante essi siano diversi, lontani o
contrari ai nostri. Tale passione mostra che per
natura l’uomo vive in relazione con gli altri, con i
quali aspira anche eventualmente a condividere
la sua felicità.
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Volontà e passione
• L’uomo prova passioni, sente qualcosa in relazione a
determinati oggetti. Ma questo sentire non è solo un
prendere atto esso genera anche la volizione. Gli
oggetti che producano le impressioni che noi
chiamiamo passioni a loro volta si vogliono. Ma che
cosa è esattamente la volontà. Anche la volontà è
un’impressione. Si tratta della percezione interna che
si genera a partire dalla consapevolezza di un nuovo
movimento del corpo o di una nuova percezione
della mente.
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La volontà come percezione
interna
• Quando faccio qualcosa con il mio corpo e/o penso
qualcosa di nuovo, il mio fare e il mio pensiero sono
rivolti al loro oggetto (ciò che faccio e non stavo facendo
prima o ciò che penso e non stavo pensando prima).
L’oggetto, producendo la passione, genera anche un
moto del corpo o della mente. Tale moto del corpo o del
pensiero è da me percepito internamente come volizione
ed il loro oggetto è oggetto della volizione e suo movente
nel senso che senza l’oggetto non vi sarebbe il moto
suddetto.
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Passioni e libero arbitrio 1
• Le passioni sono impressioni interne a loro volta
determinate (causate) dalla presenza di un dato
oggetto. La passione alla presenza di un oggetto
genera il moto della volontà, che dunque è sempre
riferito ad un oggetto peculiare come suo movente.
• Questo deve indurci a parlare di una necessità,
ovviamente nei limiti del nostro potere conoscitivo,
cioè nei limiti entro i quali parliamo di una necessità
causale nell’ambito della natura.
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Passioni e libero arbitrio 2
• «Si è già osservato che in nessun caso particolare l’ultima
connessione di un oggetto con un altro può essere scoperta dai
nostri sensi o dalla ragione e che noi non possiamo mai penetrare
tanto addentro nell’essenza e nella struttura dei corpi da percepire
il principio su cui si fonda il loro reciproco influsso. Noi conosciamo
soltanto la loro costante unione ed è dalla unione costante che
nasce la necessità, quando la mente è determinata a passare da un
oggetto a quello che solitamente lo accompagna e ad inferire
l’esistenza dell’uno dall’esistenza dell’altro. (D. Hume, Estratto del
Trattato sulla natura umana, tr. it. di M. Dal Pra in: AaVv., Hume.
Vita, pensiero, opere scelte, Il Sole24ore spa, Milano, 2007, pp. 320375, qui p. 336).
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Passioni e libero arbitrio 3
• Dunque se noi chiamiamo necessità il rapporto di causa
effetto tra i corpi, malgrado non vi possa essere conoscenza
certissima del loro nesso. Egualmente, dall’unione costante
della volontà con i suoi moventi, dobbiamo chiamare la loro
relazione «necessaria». La libertà in quanto è intesa come il
contrario dell’essere necessitati da moventi è un’illusione,
mentre è plausibile e accettabile l’idea di libertà come
spontaneità, cioè come mancanza di costrizioni esterne al
movimento della nostra volontà e a ciò che essa decide di
compiere in base a moventi.
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Le passioni e la ragione
• Le passioni possono interagire con le idee, ma queste ultime non hanno
alcun potere sulle passioni stesse. Di fronte ad un oggetto si genera una
passione, non di fronte ad un idea. L’unica cosa che può influire è un
eventuale giudizio su un oggetto che potrebbe ingenerare una passione:
se io non capisco la natura pericolosa o piacevole di un oggetto, non so se
fuggirlo o desiderarlo. La ragione può dunque presentare un oggetto
all’uomo in un dato modo piuttosto che in un altro e questo può generare
passioni e moti volitivi diversi. Tuttavia la ragione non può discriminare
tra le passioni, non può indicarci quali soddisfare e quali no. La ragione
indica e conosce stati di cose, non come dovrebbero essere le cose, può
individuare la struttura delle passioni, ma non quali passioni dovremmo
provare. Pertanto nella nostra vita quotidiana la ragione segue le passioni
piuttosto che dominarle.
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I giudizi morali
• Se la ragione non può discriminare tra le
passioni, non avendo voce in capitolo nella
dinamica che dall’oggetto porta alla passione
e poi alla volizione, da dove derivano i nostri
giudizi sulle azioni? Da dove deriva il senso di
bene e male connesso ad un oggetto della
volontà? Come mai noi distinguiamo tra vizi e
virtù?
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Il sentimento morale
• Ciò che promuove il giudizio di bene e male
relativamente alle azioni e ai loro oggetti è un
sentimento che costantemente si prova in
relazione a quell’azione o a quell’oggetto. Il
sentimento può essere compiaciuto, e in questo
caso il giudizio morale è positivo, o di rifiuto, e in
questo caso il giudizio morale è negativo.
40
Morale e simpatia
•
Ma i giudizi morali non si esprimono solo per questioni che riguardano
noi stessi: le nostre azioni o gli oggetti con cui noi veniamo in contatto,
bensì anche su azioni e vicende di altri soggetti. La passione che sta
alla base di tali giudizi è la simpatia, cioè la compartecipazione naturale
alle vicende altrui. Essa ci permette di provare i sentimenti che
generano i giudizi in modo disinteressato, tanto che talora capita di
apprezzare gli atti di chi ci è nemico o ci odia. La funzione della
simpatia è quella di universalizzare il sentimento morale, che grazie ad
essa viene sganciato dagli specifici interessi dell’individuo, anche se
non dal sentimento di piacere o rifiuto che l’individuo prova grazie alla
simpatia che lo mette in contatto con cose che direttamente non lo
riguardano.
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Il gusto
• Affine al sentimento morale è anche il
sentimento che ci permette di elaborare giudizi di
gusto, relativi cioè agli oggetti belli o brutti. Essi
generano piacere o dispiacere per una capacità
innata nella natura umana a godere di cose che
hanno una data forma e aspetto. Pertanto non vi
è anche qui una universalità razionale del
giudizio, ma una universalità dovuta ad una
natura umana che prova determinati sentimenti.
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