DAVID HUME
L’esito scettico della tradizione
inglese
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Vita e opere
• Hume nasce a Edimburgo nel 1711 e muore nella stessa città nel 1776.
• Proviene da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà terriera della
Scozia.
• Dopo studi giurisprudenziali condotti senza grande entusiasmo, si
trasferisce nel 1734 a La Fleche in Francia e qui redige i tre libri del
Trattato sulla natura umana (1739-40) che, con grande delusione del suo
autore, non trovano accoglienza di pubblico.
• Francis Hutchenson, prestigioso professore di filosofia morale
all’università di Glasgow, conosciuto nel 1739, lo spinge a proseguire negli
studi e nella sua attività filosofica, malgrado la delusione dovuta
all’insuccesso dei suoi primi scritti.
• Nel 1741 pubblica quindici Saggi morali e politici che hanno più successo
della precedente opera, ma che suscitano l’opposizione del clero
conservatore scozzese. Così diventa impossibile per lui accedere ad una
cattedra universitaria a Edimburgo.
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Vita e opere 2
• Recatosi in Europa come segretario del generale Saint-Clair,
ambasciatore inglese in Francia, scrive, rivedendo il Trattato, le
Ricerche sull’intelletto umano (1748) e la Ricerca sui principi della
morale (1751).
• Nominato nel 1752 conservatore della biblioteca di Edimburgo, può
dedicarsi completamente allo studio e all’attività editoriale.
• Nel 1752 pubblica una Storia dell’Inghilterra dall’invasione di Cesare
all’ascesa di Enrico VII, testo che ottenne grande risonanza .
• Nel 1757 pubblica la Storia naturale della religione che rinfocola le
polemiche dell’ortodossia anglicana e le accuse di larvato ateismo.
• Dal 1763 è nuovamente in Francia, a Parigi dove conosce l’ambiente
dei philosophes francesi dai quali è ritenuto un maestro. Ospita
Rousseau a casa sua in Inghilterra ma è da questi malamente
ricambiato con accuse di ogni genere. Deluso, si ritira a Edimburgo
dove attende ai Dialoghi sulla religione naturale, che appariranno
postumi nel 1779.
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Il metodo
L’originalità di Hume sta nel voler applicare il
metodo scientifico sperimentale anche alle
scienze umane e in particolare alla morale, per
giungere ad una dottrina complessiva che eviti
la superficiale rapsodicità dell’aforistica morale
diffusa in Inghilterra ai suoi tempi, ma anche le
astrusità dei sistemi metafisici che si allontanano
dalla concretezza fattuale della vita umana.
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Il «Trattato sulla natura umana»
Per Hume l’indagine sulla natura umana deve
indagare i seguenti temi:
• anzitutto una dottrina della conoscenza che
ne vagli l’estensione e i limiti;
• poi un’analisi delle passioni e in generale della
sfera emotiva;
• infine una dottrina morale.
I tre libri del Trattato affrontano questi
argomenti.
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La conoscenza umana: percezioni
tra cui vi sono impressioni e…
La conoscenza è percezione. Con percezione si intende ogni contenuto
psichico e rappresentativo, ossia «tutto ciò che può essere presente alla
mente».
Ve ne sono due tipi:
Il primo coincide con le impressioni, cioè sulle passioni e immagini
immediatamente presenti alla nostra mente, dotate di una forza intrinseca
con cui si impongono quando fanno la loro prima comparsa nella nostra
anima. Esse sono date da qualche contenuto la cui presenza si comunica
senza mediazioni alla nostra mente e si impone ad essa. Alle impressioni
possiamo dire che corrisponda l’immediatezza del SENTIRE.
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…Idee
Il secondo tipo percezioni coincide con le idee
che hanno un carattere derivato e indebolito e
provengono da quelle impressioni che
permangono nel pensiero quando l’oggetto che
le ha provocate non è più presente. Ad esse
corrisponde il PENSARE.
Da un’impressione dunque deriva un’idea: tra
le due vi è l’unica differenza del diverso grado
di vivacità e capacità di imporsi alla mente.
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La differenza tra impressioni e idee
«Tutte le percezioni della mente umana si possono
dividere in due classi. Che chiamerò impressioni e idee. La
differenza fra esse consiste nel grado diverso e forza con
cui colpiscono la nostra mente e penetrano nel pensiero,
ovvero nella coscienza. Le percezioni che si presentano
con maggior forza e violenza possiamo chiamarle
impressioni […]. Per idee, invece, intendo le immagini
illanguidite delle impressioni, sia nel pensare che nel
ragionare» (D. Hume, Trattato sulla natura umana,
Laterza, Roma-Bari, 1982, p. 13).
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Impressioni ed idee semplici e
complesse
Le impressioni e le idee si classificano come semplici e complesse.
Quelle semplici sono indivisibili, come per esempio il caldo, il freddo, il
rosso, il dolce. Esse, una volta illanguidite danno luogo alle
corrispondenti idee semplici. Prima sentiamo il freddo, o vediamo il
rosso in modo immediato e vivo, poi lo pensiamo con un’idea che
riproduce in modo meno vivido l’impressione.
Le impressioni complesse sono quelle divisibili in parti, come ad
esempio quella di una mela, che si divide nell’impressione di un certo
colore, sapore, forma e così via.
Quando le impressioni complesse, come quella di una mela, sono
trattenute dalla memoria generano idee complesse. Esse riproducono
nella loro struttura l’ordine delle impressioni ricevute cioè per es. la
visione contemporanea della forma rotonda e del colore rosso e poi
l’impressione del gusto dolce.
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Rapporto tra idee e impressioni
complesse
Se è necessario che un’impressione semplice abbia una
corrispondente idea semplice, ciò non vale per quelle
complesse.
Infatti posso formarmi l’idea di una città chiamata Nuova
Gerusalemme, con il selciato d’oro e le mura di rubini senza
mai averla vista
mentre
posso aver visto Parigi senza avere alcuna idea di come
siano fatte le sue strade, le case etc. (G. Maestri).
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L’immaginazione e il suo ruolo
Perché accade che ad un’impressione semplice corrisponde un’idea
semplice, mentre non è vero per le impressione e idee complesse?
Perché le idee complesse non sono necessariamente impressioni
complesse illanguidite, ma sono anche impressioni semplice riprese
e ricomposte assieme in un ordine diverso da come sono state
ricevute. Per esempio: io vedo (impressione) i muri di una città, poi
un anello con un rubino indossato da una signora (impressione). Di
qui posso ricomporre un’idea, grazie alla mia immaginazione, in cui
il muro e l’anello stanno in un ordine diverso: in cui il rubino è
separato dalla signora e congiunto al muro e dal muro separo
l’impressione del color calce e unisco quella del rosso: ecco allora la
mia Nuova Gerusalemme con muri di rubini.
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La memoria
L’immaginazione, quindi, separa e unisce
impressioni
semplici
e
complesse,
componendole e ricomponendole in idee
complesse. Così, in ogni caso, l’impressione,
subendo tale processo di «manipolazione»
perde la sua primitiva vivacità.
La memoria invece ambisce a riprodurre
l’impressione mantenendola il più possibile viva.
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Immaginazione
L’ordine delle impressioni e delle idee può dunque
essere modificato dall’immaginazione, una facoltà
produttiva dell’animo umano che agisce in base a
tre principi:
• Somiglianza: per esempio tra un quadro e il
soggetto originale.
• Contiguità nel tempo e nello spazio: da un
oggetto a quello vicino nel tempo e nello spazio.
• Causalità: dall’effetto alla sua causa, per esempio
da un oggetto in movimento a quello che lo ha
mosso.
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Leggi d’attrazione
L’immaginazione scorre fra le impressioni e le idee,
formandone di nuove, associandole insieme,
passando dall’una all’altra, privilegiando certi
rapporti piuttosto che altri. Si può dire quindi che
nella nostra mente vi siano delle leggi d’attrazione
tra le impressioni e le idee nella nostra mente, tali
per cui data un’idea è più facile che ne sorga
un’altra di un certo tipo (contigua, simile, o effetto
della prima), piuttosto che di un altro.
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L’empirismo di Hume
Ogni contenuto rappresentativo sorge da una data esperienza.
All’origine vi è sempre un’impressione, dalla quale secondo
diversi processi si formano idee semplici o complesse.
L’impressione è un certo contenuto della mente, interno o
esterno a noi, che in ogni caso noi sentiamo in modo vivido e
immediato. Questo è il luogo di tutti gli altri contenuti più
complessi e articolati, che noi possiamo invece pensare in modo
discorsivo e mediato. Quindi l’esperienza immediata di un
qualche contenuto che noi facciamo vivendo in modo che tale
contenuto si impone a noi è l’origine di tutta l’attività conoscitiva
e riflessiva umana.
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Le idee astratte
Oltre alle idee semplici e complesse vi sono idee
astratte e generali. Esse sono idee come tutte le
altre,
usate
convenzionalmente
per
rappresentare una classe di oggetti. Ogni idea è
infatti singola e definisce un oggetto. Alcune
idee singole sono utilizzate per indicare più
oggetti. Queste sono appunto le idee astratte.
Esse evocano le idee particolari e preparano la
mente ad analizzarle pur senza farlo.
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L’idea astratta di uomo
E’ assunta per indicare me stesso + mia
sorella + il mio amico + il passante + il
vescovo di Roma. Se io uso l’idea di uomo
posso evocare tutti questi individui con
un solo atto della mente, che ha
generalizzato l’ «uomo» proprio con
questo scopo diremmo «economico».
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La validità delle idee semplici
Un’idea è in generale valida nella misura in
cui possiamo ricondurla all’impressione
corrispondente.
L’operazione
è
relativamente facile nel caso delle idee
semplici. Dal bianco che sto pensando
posso facilmente risalire al bianco che ho
percepito in presenza di un oggetto bianco.
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La validità delle idee complesse e
astratte
Per le idee complesse e per quelle astratte (spazio,
tempo, esistenza, sostanza, causalità etc.) il processo è
assai più complicato. Bisogna infatti risalire agli elementi
semplici costitutivi dell’idea stessa e al modo in cui tali
elementi sono connessi nell’idea.
• Per esempio:
L’idea complessa di tempo è l’ordine delle impressioni
percepite in modo unitario con altre impressioni: non
esiste cioè un tempo separato dalla percezione della
successione delle impressioni che ho ricevuto nell’ordine
in cui le ho ricevute.
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L’idea di causa
E’ la relazione più importante per l’analisi
scientifica. Grazie all’idea di causa noi
inferiamo dall’effetto una determinata causa
che lo ha prodotto, deducendo nozioni che
noi immediatamente non vediamo e non
sentiamo. Hume si domanda da dove derivi e
quali siano le caratteristiche dell’idea di
causa.
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Origine dell’idea di causa
• L’idea di causa indica una relazione tra oggetti le cui idee
comportano le seguenti proprietà:
• Contiguità nello spazio, sia in sé sia per mezzo di causa intermedie
• Anteriorità nel tempo: la causa è sempre anteriore all’effetto
Queste due caratteristiche sono date nell’esperienza percettiva. La
terza caratteristica è quella che fa problema perché non è data
nell’esperienza. Si tratta della connessione necessaria tra i due
elementi contigui nello spazio e nel tempo. Questa connessione ci
permette di distinguere il post hoc (dopo-questo) dal propter hoc (acausa-di-questo). Infatti non è detto che due eventi, di cui l’uno
precede l’altro, siano connessi. Se uno danza con determinati gesti e
dopo viene a piovere, i due eventi non sono connessi
necessariamente. Solo l’errata convinzione che il post hoc significhi di
per sé propter hoc ingenera in noi l’idea che abbiamo inscenato una
«danza della pioggia».
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La connessione necessaria
• La connessione necessaria tra causa ed
effetto
significa
invece
che
invariabilmente, sempre e comunque,
dato un evento X chiamato causa, si
verifica senza eccezione un altro evento Y
che noi chiamiamo effetto.
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L’introvabile nesso logico
• Tuttavia nell’esperienza accade questo. Generalmente individuo una
causa che produce un effetto quando in ripetute esperienze noto
quella relazione per cui dall’effetto posso risalire alla sua causa come a
ciò che, essendo avvenuto prima, ha posto in essere l’effetto stesso.
L’esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo. Il
movimento della palla A che tocca la palla B produce sempre, alla luce
della mia esperienza, il movimento della palla B. Ma questo «sempre»
che io noto è semplicemente un nesso temporale, non un nesso
logico. Cioè mi dice «quando» non mi dice «perché» ed è riferito a ciò
che io ho potuto vedere e sperimentare. In realtà l’aggiunta del nesso
logico che rende la relazione necessaria è dato dall’esperienza ripetuta
di più casi di scontro tra A e B. Tale esperienza mi induce a pensare che
il movimento di A produca necessariamente quello di B e a regolarmi
in futuro in base a tale esperienza.
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L’abitudine…
• In questo processo di rinvenimento di una
relazione tra causa ed effetto a ben vedere non
entra alcun elemento logico, bensì una
abitudine psicologica ad attribuire alle mie
ripetute esperienze il carattere di una necessità
assoluta ed eterna. In base a tale abitudine noi
assumiamo che ciò che è capitato sempre in
passato capiterà ancora, non avendo tuttavia
alcun elemento ulteriore su cui basarci eccettuata
appunto la nostra pregressa esperienza.
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…non la ragione
• Non vi è dunque nulla di logico né razionale a garantirci
che il sole, che sempre abbiamo visto sorgere (si tratta
ancora di un famoso esempio humeano), sorgerà
ancora domani, bensì un postulato indimostrabile
dovuto ad una nostra caratteristica psicologica, ossia al
modo in cui noi siamo abituati a trattare gli eventi
della nostra esperienza. Ciò, se preso alla lettera,
distrugge le fondamenta razionali della scienza e
induce ad acquisire una prospettiva scettica, secondo
la quale le nostre esperienze non possono garantire
affatto l’universalità e necessità degli assiomi
scientifici.
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La credenza
• Dall’abitudine sorge la credenza, cioè quella forza
istintiva fondamentale che ci fa ritenere vero ciò
che razionalmente non è dimostrabile e governa
le nostre azioni quando riteniamo di aver
individuato la causa di un fenomeno e ci
comportiamo di conseguenza…per esempio –
rimanendo nell’ottica dell’esposizione humeana –
quando giochiamo a biliardo e prepariamo il
colpo in modo da colpire la palla e «fare filotto».
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La sostanza
L’idea di sostanza va ricondotta alla collezione di impressioni che la
compongono, in cui ciascuna è stata unita all’altra
dall’immaginazione che ne ha pensato un principio di connessione.
Un libro, per esempio, è la collezione di idee come il suo colore, il
suo peso, le parole che noi vediamo scritte sulle pagine, la
consistenza della carta etc. Non vi è mai qualcosa di essenziale che
determini per noi il «che cos’è» del libro, ma sempre una
molteplicità di impressioni di cui viene solo immaginato una
principio che ce le fa percepire costantemente assieme in modo che
si giustifica il libro come oggetto permanente al di là delle sue
modificazioni accidentali e irrilevanti (avere più o meno pagine o
una copertina di volta in volta diversa).
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Il mondo esterno
Questo fascio di impressioni da che cosa è stato
causato? Ancora l’abitudine ci conduce a dire
che le impressioni che noi abbiamo siano state
causate dall’esistenza all’esterno della nostra
mente della cosa che noi abbiamo percepito.
Ma, come si è detto, il concetto di causa non ha
una validità razionale, dunque noi non possiamo
essere razionalmente certi dell’esistenza del
mondo esterno.
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La continuità e stabilità del mondo
esterno
Le cose all’esterno generano le corrispondenti impressioni quando noi
siamo alla loro presenza. Poi scompaiono quando noi ci muoviamo o
anche semplicemente pensiamo ad altro. Poi noi le ri-incontriamo e le
riconosciamo come tali, attribuendo al fascio di impressioni precedenti e a
quelle successive, in virtù della loro somiglianza, il riferimento ad un
medesimo oggetto. Tale riferimento è del tutto aleatorio. Niente infatti ci
assicura che due fasci di impressioni simili, presentatisi in momenti
diversi, abbiano come riferimento esterno lo stesso oggetto. Niente ci
assicura che quell’oggetto sia rimasto tale dopo che ce ne siamo
allontanati e che sia lo stesso oggetto quando lo rivediamo. Noi possiamo
registrare semplicemente una similitudine di impressioni, ma dal punto di
vista razionale non possiamo andare oltre. L’ «oltre» è ancora una
credenza data dall’abitudine.
29
L’io
Così come il mondo esterno con le sue sostanze,
anche l’io risulta essere un fascio di impressioni.
L’io non è altro che il flusso delle nostre
percezioni – sentimenti, idee, desideri, speranze,
ricordi - senza alcunché di unitario e stabile che
faccia da sostrato. Quindi non vi è nemmeno
un’anima che fondi la più radicale identità del
soggetto, e tantomeno si può dire che questa
anima sia immortale.
30
Le finzioni e il loro ruolo
Quindi la sostanza, il mondo esterno e l’Io sono fondamentalmente
FINZIONI, cioè prodotti dell’attività dell’immaginazione che non
hanno un corrispondente certo al di fuori di essa.
Qual è il ruolo delle finzioni? Quello importantissimo di permettere
all’uomo di orientarsi nella vita senza farsi paralizzare dai dubbi
della ragione.
Produrre le finzioni è un istinto naturale dell’uomo che, sebbene
appaia in contraddizione con la ragione, lo protegge dalla
distruzione di ogni vivere sociale cui condurrebbe l’assunzione
coerente delle conclusioni scettiche della ragione.
31
Lo scetticismo moderato di Hume
Lo scetticismo vale dunque esclusivamente nell’ambito
dell’indagine filosofica e ha la funzione positiva di sottolineare
incessantemente i limiti del nostro sapere e ridimensionare le
nostre pretese che altrimenti condurrebbero ad un dogmatismo
(= affermazione di aver conosciuto definitivamente la verità che
diventa assolutamente normativa, cioè un dogma) parimenti
deleterio per la vita dell’uomo. Si tratta pertanto di uno
scetticismo moderato che relativizza le conclusioni della ragione
e le sottopone gli oggetti accessibili alla sua conoscenza nella
misura esatta in cui essi sono accessibili.
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Ciò che la mente può indagare:
relazioni di idee
Ciò che è sottoponibile alla mente umana si può ridurre a due grandi
categorie di oggetti:
• LE RELAZIONI TRA IDEE danno luogo a proposizioni delle scienze
matematiche che sono ottenute attraverso operazioni del puro
pensiero, ossia elaborazioni che avvengono a priori ossia a prescindere
dall’esperienza. Esse dunque costituiscono inferenze deduttive da
premesse la cui verità o falsità è tutta nelle idee stesse e prescinde da
ogni altro rapporto con una realtà esterna alle idee. Tale verità o falsità
è appurata mediante l’applicazione del principio di non contraddizione
che mi dice quali inferenze sono vere e quali false (per esempio la
somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a uno piatto, ciò
vero e incontradditorio; se dico che è uguale a uno retto, ciò
contraddice l’idea stessa di triangolo per come è stata costruita dalla
mente).
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Le relazioni tra idee si pongono fra
idee astratte
«La conoscenza astratta, tipica delle scienze pure, prescinde dal legame
tra idee e realtà sensibile, anche se, va ricordato, tali idee per Hume non
hanno genesi diversa da quelle di ogni altra idea» (G. Boniolo). Ricordiamo
che le idee astratte sono idee utilizzate convenzionalmente per significare
altre idee. Quando le metto in relazione nella matematica, nell’algebra o
nella geometria, non mi preoccupo della loro composizione e della loro
riconduzione alle impressioni, ma semplicemente dei rapporti fra di
esse, a prescindere dal loro contenuto empirico. «Proposizioni di questa
specie si possono scoprire con una semplice operazione del pensiero,
senza dipendenza alcuna da qualche cosa che esista in qualche parte
dell'universo. Anche se non esistessero in natura circoli o triangoli, le
verità dimostrate da Euclide avrebbero sempre la loro certezza e
evidenza» (D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano, IV, I)
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Ciò che la mente può indagare:
materie di fatto
LE MATERIE DI FATTO: riguardano invece gli oggetti di cui vi è
un’esperienza e il cui contrario è sempre possibile perché non
comporta alcuna contraddizione (per esempio: se piove invece
che splendere il sole, ciò non è contraddittorio, se gli uomini che
di solito cammina, è impedito nel camminare ciò non comporta
contraddizione). Essi vengono indagati dalle scienze che vanno
alla ricerca delle cause e quindi vanno soggette a tutti problemi
derivanti dall’aleatorietà del concetto di causa. Quindi si devono
limitare ad una prospettiva probabilistica, la quale nondimeno ha
un ruolo fondamentale nel consentire lo sviluppo della vita
umana e il suo positivo rapporto con l’ambiente. A tale ambito di
ricerca appartengono le scienze naturali, la storia e la morale.
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La teologia e la religione
Nei Dialoghi sulla religione naturale Hume prende le
distanze circa l’esistenza di una sostanza sovrasensibile
quale il Dio delle tradizioni religiose. Anzitutto confuta le
prove a posteriori dell’esistenza di Dio e in particolare
quella che, a partire dalla meravigliosa perfezione del
mondo, deduce l’esistenza di una sua intelligenza creatrice
e ordinatrice. Dei molti argomenti che Hume oppone a tale
prova, il più rilevante sembra essere la considerazione che il
male e il dolore presenti nel mondo non ne fanno
quell’essere sommamente perfetto che appare ai teologi.
36
Contro la prova a priori
La prova a priori che deduce l’esistenza di Dio
dal concetto di un ente assolutamente perfetto
è secondo Hume erronea. Infatti l’esistenza è
materia di fatto che non può essere dedotta
confrontando idee in base al loro rapporto
incontraddittorio, ma se ne deve mostrare il
riferimento ad un impressione che, riguardo a
Dio, è palesemente assente.
37
Funzione della religione
La religione, quindi, non ha motivazioni razionali
anche se viene da un bisogno psicologico di
indagare il mistero della vita e della morte, di
alimentare la speranza e placare i timori
dell’uomo di fronte a ciò che non conosce. In
ciò, malgrado qualche rischio di intolleranza
dovuta al dogmatismo delle credenze,
soprattutto quelle monoteistiche ed «esclusive»,
ha una sua funzione positiva.
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Le passioni
La seconda parte del Trattato è dedicata alle passioni, alla sfera emotiva
della vita umana. Tale indagine è premessa necessaria per una coerente
analisi della vita morale.
Piacere e dolore sono alla radice della vita emotiva umana e quindi da
loro derivano tutte le passioni. Esse sono impressioni assegante ad un
oggetto esterno che provoca la passione. Quest’ultima si caratterizza per
essere una riflessione sull’impressione di piacere o dolore. Per esempio:
«Il dolore prodotto dal mal di denti è un’impressione di sensazione (cioè
assegnata ad un oggetto esterno, n.d.r.); il senso di disagio prodotto da
questo dolore, la speranza che passi presto, la paura che si ripeta, sono
impressioni di riflessione (cioè impressioni dovute alla riflessione sulle
impressioni provenienti da un oggetto esterno, n.d.r.), ovvero passioni».
39
Dal piacere e dal dolore…
Direttamente dal piacere derivano: gioia desiderio e speranza.
Direttamente dal dolore derivano tristezza, avversione, paura.
Le passioni che derivano invece indirettamente da piacere e
dolore corrispondono a quelle dirette con l’interpolazione di
qualche altra idea, per esempio quella del mio io o quella di un
altro soggetto.
- Se io alla gioia unisco l’idea del mio io, ottengo l’orgoglio,
- se alla stessa gioia unisco l’idea di un altro soggetto, ottengo
l’amore.
Orgoglio, umiltà, amore e odio sono le passioni indirette più
importanti.
40
La simpatia
La simpatia risulta essere una passione
estremamente importante dal punto di vista
sociale. Si tratta della nostra disposizione a sentire
dentro di noi le inclinazioni e i sentimenti altrui,
nonostante essi siano diversi, lontani o contrari ai
nostri. Tale passione mostra che per natura l’uomo
vive in relazione con gli altri, con i quali aspira
anche eventualmente a condividere la sua felicità.
41
Volontà e passione
L’uomo prova passioni, sente qualcosa in relazione a
determinati oggetti. Ma questo sentire non è solo un
prendere atto: esso genera anche la volizione. Gli
oggetti che producono le impressioni che noi
chiamiamo passioni a loro volta si vogliono. Ma che
cosa è esattamente la volontà. Anche la volontà è
un’impressione. Si tratta della percezione interna che si
genera a partire dalla consapevolezza di un nuovo
movimento del corpo o di una nuova percezione della
mente.
42
La volontà come percezione
interna
Quando faccio qualcosa con il mio corpo e/o penso
qualcosa di nuovo, il mio fare e il mio pensiero sono rivolti
al loro oggetto (ciò che faccio e non stavo facendo prima o
ciò che penso e non stavo pensando prima).
L’oggetto, producendo la passione, genera anche un moto
del corpo o della mente. Tale moto del corpo o del
pensiero è da me percepito internamente come volizione
ed il loro oggetto è oggetto della volizione e suo movente
nel senso che senza l’oggetto non vi sarebbe il moto
suddetto.
43
Passioni e libero arbitrio 1
Le passioni sono impressioni interne a loro volta
determinate (causate) dalla presenza (percepita) di un
dato oggetto. La passione, alla presenza di un oggetto,
genera il moto della volontà, che dunque è sempre
riferito ad un oggetto peculiare come suo movente.
Questo deve indurci a parlare di una necessità,
ovviamente nei limiti del nostro potere conoscitivo, cioè
nei limiti entro i quali parliamo di una necessità causale
nell’ambito della natura.
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Passioni e libero arbitrio 2
«Si è già osservato che in nessun caso particolare l’ultima
connessione di un oggetto con un altro può essere scoperta dai
nostri sensi o dalla ragione e che noi non possiamo mai
penetrare tanto addentro nell’essenza e nella struttura dei corpi
da percepire il principio su cui si fonda il loro reciproco influsso.
Noi conosciamo soltanto la loro costante unione ed è dalla
unione costante che nasce la necessità, quando la mente è
determinata a passare da un oggetto a quello che solitamente lo
accompagna e ad inferire l’esistenza dell’uno dall’esistenza
dell’altro. (D. Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana, tr. it. di
M. Dal Pra in: AaVv., Hume. Vita, pensiero, opere scelte, Il Sole24ore
spa, Milano, 2007, pp. 320-375, qui p. 336).
45
Passioni e libero arbitrio 3
Dunque se noi chiamiamo necessità il rapporto di causa
effetto tra i corpi, malgrado non vi possa essere
conoscenza certissima del loro nesso. Egualmente,
dall’unione costante della volontà con i suoi moventi,
dobbiamo chiamare la loro relazione «necessaria». La
libertà in quanto è intesa come il contrario dell’essere
necessitati da moventi è un’illusione, mentre è plausibile
e accettabile l’idea di libertà come spontaneità, cioè
come mancanza di costrizioni esterne al movimento della
nostra volontà e a ciò che essa decide di compiere in base
a moventi.
46
Le passioni e la ragione
Le passioni possono interagire con le idee, ma queste ultime non hanno
alcun potere sulle passioni stesse. Di fronte ad un oggetto si genera una
passione, non di fronte ad un idea. L’unica cosa che può influire è un
eventuale giudizio su un oggetto che potrebbe ingenerare una passione:
se io non capisco la natura pericolosa o piacevole di un oggetto, non so se
fuggirlo o desiderarlo. La ragione può dunque presentare un oggetto
all’uomo in un dato modo piuttosto che in un altro e questo può generare
passioni e moti volitivi diversi. Tuttavia la ragione non può discriminare
tra le passioni, non può indicarci quali soddisfare e quali no. La ragione
indica e conosce stati di cose, non come dovrebbero essere le cose, può
individuare la struttura delle passioni, ma non quali passioni dovremmo
provare. Pertanto nella nostra vita quotidiana la ragione segue le passioni
piuttosto che dominarle.
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I giudizi morali
Se la ragione non può discriminare tra le
passioni, non avendo voce in capitolo nella
dinamica che dall’oggetto porta alla passione e
poi alla volizione, da dove derivano i nostri
giudizi sulle azioni? Da dove deriva il senso di
bene e male connesso ad un oggetto della
volontà? Come mai noi distinguiamo tra vizi e
virtù?
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Il sentimento morale
Ciò che promuove il giudizio di bene e male
relativamente alle azioni e ai loro oggetti è un
sentimento che costantemente si prova in
relazione a quell’azione o a quell’oggetto. Il
sentimento può essere compiaciuto, e in
questo caso il giudizio morale è positivo, o di
rifiuto, e in questo caso il giudizio morale è
negativo.
49
Morale e simpatia
Ma i giudizi morali non si esprimono solo per questioni che
riguardano noi stessi: le nostre azioni o gli oggetti con cui noi
veniamo in contatto, bensì anche su azioni e vicende di altri
soggetti. La passione che sta alla base di tali giudizi è la simpatia,
cioè la compartecipazione naturale alle vicende altrui. Essa ci
permette di provare i sentimenti che generano i giudizi in modo
disinteressato, tanto che talora capita di apprezzare gli atti di chi ci
è nemico o ci odia. La funzione della simpatia è quella di
universalizzare il sentimento morale, che grazie ad essa viene
sganciato dagli specifici interessi dell’individuo, anche se non dal
sentimento di piacere o rifiuto che l’individuo prova grazie alla
simpatia che lo mette in contatto con cose che direttamente non lo
riguardano.
50
Il gusto
Affine al sentimento morale è anche il sentimento
che ci permette di elaborare giudizi di gusto, relativi
cioè agli oggetti belli o brutti. Essi generano piacere
o dispiacere per una capacità innata nella natura
umana a godere di cose che hanno una data forma
e aspetto. Pertanto non vi è anche qui una
universalità razionale del giudizio, ma una
universalità dovuta ad una natura umana che prova
determinati sentimenti.
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