Pastorale Vocazionale Diocesi di Faenza-Modigliana
con il patrocino del Centro Regionale Vocazioni e dell’ISSR S. Apollinare (Forlì)
DALL’OCCASIONE AL PERCORSO
CORSO DI FORMAZIONE PER L’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
Forlì, 12 novembre 2011
Dall’occasione… costruire un percorso
1. Primo intervento: Un po’ di “pars destruens”
1. 1. L’occasione
Dall’occasione al percorso… E’ un titolo che non nasconde una prospettiva nella quale noi
abitualmente ci poniamo. L’occasione è un incontro, un’esperienza dalla quale potrebbe nascere
un cammino. Non può essere lasciata isolata: occorre che a seguito di questa occasione si dia vita
ad un percorso, ad una via sulla quale sia possibile camminare perché l’occasione non rimanga
momento isolato e quindi, quasi inevitabilmente infruttuoso, perché soffocato dalla miriadi di
esperienze e stimoli che ne infiacchiscono l’efficacia, come avviene per il seme gettato in mezzo ai
rovi.
Tuttavia mi permetto di sottoporre questo titolo ad una serie di critiche, da diversi punti di vista.
Lo faccio non per evitare di affrontare il tema che mi è stato affidato e di rispondere alle vostre
domande, ma per allargare la prospettiva e collocarci in un’ottica più liberante.
Rischiando l’ovvietà, anzitutto, ricordo che Dio non aspetta a porre la vocazione quando noi
pensiamo che sia giunto il tempo giusto, ma chiama quando vuole. In altre parole questo significa
quello che un famoso pastoralista (F. Arnold) affermava: la mediazione di salvezza, cioè la nostra
azione pastorale che propone il cammino di salvezza donato da Dio, non coincide con il processo di
salvezza, cioè con quanto Dio fa e come lo fa. Dio agisce liberamente e con tempi e modi che sono
suoi; certo egli si serve anche delle nostre mediazioni, ma è infinitamente più grande di esse e ha
più fantasia. Sceglie tempi e modi che non sono i nostri, simboli e accessi che noi non
immaginiamo. Il volto di Dio non coincide con l’agire della chiesa. E la sua chiamata attraversa
occasioni e ipotizza percorsi che non sono i nostri. Siamo chiamati a riconoscerli, più che a
progettarli. A servirli perché non vengano ostacolati, più che a realizzarli.
L’occasione: di quale occasione parliamo? Di un evento, che abbiamo costruito noi per favorire il
dialogo tra il Signore che parla e il cuore di un giovane, oppure stiamo parlando di una venuta del
Signore nella vita di un ragazzo o di una ragazza, di un suo incontro intimo e personalissimo, di una
esperienza interiore profonda che va poi assunta, meditata, letta alla luce della Parola di Dio? Nel
primo caso siamo noi a “costruire l’occasione”, nel secondo è il Signore stesso che sorprende,
perché, oltre ogni attesa, si manifesta come occasione imprevedibile. Noi siamo esperti nel
costruire occasioni (incontri) ma poco attrezzati ad accogliere occasioni: gli ingressi, cioè,
imprevedibili di Dio nella vita di un giovane. E’ come se fossimo noi a definire orari e modi degli
appuntamenti, mentre invece è Dio a dare appuntamento dove e quando vuole Lui. Ma noi, che
spazio di disponibilità abbiamo per le visite non previste di Dio? Perché Dio nella sua “pastorale
vocazionale” non si decide a seguire il nostro calendario?
1
1.2. Il percorso
Il percorso: anche qui occorre che poniamo qualche domanda, che ci consenta di fare alcune
precisazioni. Parlando di percorso, noi di solito immaginiamo un percorso pastorale, di
accompagnamento attraverso l’annuncio e la catechesi, la preghiera di interiorizzazione, la
direzione spirituale, o anche qualche esperienza di tirocinio, cioè di servizio accompagnato. Non
sono certo qui a negare l’opportunità e a volte la necessità di percorsi di questo genere.
Pongo tuttavia due domande.
- La prima, più semplice e sulla linea di quanto dicevo sopra: l’accesso alla vocazione può essere
frutto di un percorso programmato e definito dal formatore? Nei racconti della Scrittura –
pensiamo ad esempio alla vocazione di Paolo, narrata tre volte negli atti degli Apostoli e una volta
direttamente da lui nella lettera ai Galati (1, 15-17), appare chiaro che il “percorso” è inenarrabile:
nel raccontarlo gli Atti mettono in luce elementi differenti. Nel racconto di Galati, come nel terzo
racconto degli Atti (26, 1-23), la sua vocazione appare come un percorso personalissimo, di chi si
sente chiamato fin dal seno di sua madre (Gal 1,15); invece negli altri due racconti di Atti (9, 1-19 e
22, 1-21) viene posto in luce il ruolo della comunità di Damasco nell’accompagnare il cammino e
l’azione di Anania. In altre parole, lo sforzo di descriverne il percorso e rivelarne il come rimane
piuttosto relativo, perché il senso di questo percorso lo coglie colui che racconta nel momento in
cui avviene la sua rilettura 1. Non diversamente avviene per noi, quando un giovane che ha
partecipato ad infiniti percorsi vocazionali, racconta, poi, con quale itinerario è giunto alla
decisione: magari svaniscono del tutto incontri, appuntamenti, esperienze fatte e guidate da noi
per lasciar emergere altri elementi non programmati da noi, ma nei quali lui/lei ha riletto
indicazioni utili per il cammino.
- La seconda è più articolata e riguarda esplicitamente i nostri percorsi di annuncio e
accompagnamento vocazionale.
Quando noi facciamo animazione o accompagnamento vocazionale proponiamo dei ruoli. Questo
non significa che vogliamo proporre o educare ad un mestiere, ma significa che vogliamo
trasmettere una mentalità di vita che quei ruoli dovrebbero veicolare. Cerchiamo cioè di educare
ad un modo particolare di spendere la propria vita, un modo che può trovare nella scelta di essere
prete/suora/missionario un efficace articolazione.
Proporre questi ruoli, significa quindi indicare una identità possibile: la vocazione, infatti, che altro
non è se non la proposta di una nuova identità, che nasce da una imprevista chiamata? E’ questo
del resto il senso del cambiamento del nome, che di solito era previsto una volta entrati in
vocazione ed emessi i propri voti religiosi.
Ma che cosa sta tra la proposta di questo ruolo e l’identità che si forma nel soggetto? Quale il
medium tra ruolo presentato ed identità immaginata? Il medium sono i simboli attraverso i quali
noi vogliamo condurre all’identità vocazionale prevista dal ruolo.
Ecco il problema di tanti nostri percorsi di animazione o di accompagnamento vocazionale: i
simboli che vengono mediati dalla proposta e che plasmano l’identità.
Ragionare sui percorsi di proposta e di accompagnamento vocazionale, significa anzitutto
ragionare sui simboli che vengono mediati in queste proposte.
Non voglio ora esaminare, come qualcuno ha giustamente fatto 2, i simboli mediati da queste
proposte: sono a volte simboli che non innescano cammini di conversione, simboli, che senza che
ce ne rendiamo conto “suonano” bene perché sembrano intercettare il mondo giovanile, ma poi
1
2
E. BIANCHI, Itinerario della vocazione, Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2001, pp. 17-18.
A. MANENTI, A proposito di pastorale vocazionale, in “Tredimensioni” VI (2009), 3, pp. 290-299
2
rischiano di deformare l’identità vocazionale, perché non fanno crescere il soggetto in senso
cristiano. L’articolo che vi lascio per l’approfondimento personale chiarirà che cosa intendo dire.
A me interessa sottolineare che i nostri percorsi debbono mediare simboli che consentano loro di
essere autentici spazi in cui possa avvenire la vocazione come evento. Certo il realizzarsi
dell’evento non dipende da noi: a noi sta la responsabilità di creare le condizioni perché l’evento si
possa, eventualmente, realizzare. Ecco quindi alcune condizioni necessarie perché i simboli
necessari a creare le condizioni dell’incontro siano offerti:
- La prima è che si ripensi la vocazione personale all’interno della chiamata all’esistenza e della
chiamata alla santità che è di tutto il popolo di Dio. E in questa seconda chiamata sarà necessario
non opporre mai più nel popolo di Dio la vocazione alla vita cristiana comune che è di tutti i fedeli
alla vocazione alla vita di perfezione: questo non è secondo il vangelo. Le forme della vocazione
sono diverse perché dipendono dalla distribuzione dei doni dello Spirito Santo, ma le esigenze
evangeliche sono le stesse per tutti e tutti sono chiamati a seguire con disponibilità radicale il
Signore;
- La seconda è che i percorsi di animazione e accompagnamento vocazionale siano occasioni di
incontro, luoghi dove l’evento di Dio nella vita di una persona possa accadere. Se Dio nella sua
libertà, vuol fare accadere una vocazione, anzitutto accade un incontro, una relazione: si tratta di
rendere i giovani “attenti” a cogliere una presenza; si tratta di aiutarli ad ascoltare una Parola, a
saper ascoltare; si tratta di educarli a saper guardare nel proprio cuore. Non dunque indicazione di
ruoli, non “scelta” di una identità possibile da acquistare sul “mercato vocazionale”, ma attenzione
alla realtà, ascolto di Dio e consapevolezza dei propri desideri. Ecco, a mio avviso, gli ingredienti
indispensabili di ogni percorso di animazione e accompagnamento vocazionale;
- La terza è che i nostri percorsi debbono avere un carattere di provvisorietà: essi non sono la via
maestra del discernimento della vocazione, ma occasioni di accompagnamento. Occasioni
transitorie, disponibili al bisogno e non costrittive: questo perché non è l’uomo che pone le
condizioni perché si crei l’evento della vocazione, ma è Dio che quando lo vuole lo pone, anche se
la disponibilità di colui che è chiamato non è ancora presente. I tempi di Dio non coincidono con i
tempi dell’uomo, ma Dio sa aspettare!.
I pericoli dei nostri percorsi vocazionali sono quindi molti: ma facendo sintesi ne indico due. Quello
di “forzare” contenuti, modi e tempi della proposta; quello di offrire simboli che non danno
accesso alla vocazione in quanto tale, ma solo a precise definizioni dei ruoli vocazionali.
1.3. Dall’occasione a percorso
Provo quindi ad indicare tre esigenze per passare dall’occasione al percorso, riprendendo così da
vicino la consegna di questo incontro.
- La prima esigenza che mi pare di identificare è quella di fare spazio. Un impedimento al cammino
vocazionale e al discernimento è sicuramente oggi l’attivismo che si vive nella chiesa. Viviamo in
un clima nel quale la pastorale e l’organizzazione delle comunità richiedono sempre più ai giovani
un impegno concreto e attivo nel fare il bene. Certamente tutto questo è buono, ma nella ricerca
della volontà di Dio e della vocazione occorre stare attenti a non anteporre i propri impegni e la
propria volontà di fare il bene. Perché il rischio è che non sia più Gesù Cristo il Signore della vita,
ma piuttosto il proprio idolo, mascherato nella forma dell’impegno e del servizio. Una chiesa
troppo attiva, efficace, protagonista non è più una chiesa che ascolta: e se i giovani abitano questa
chiesa non possono cogliere la chiamata del Signore.
Le stesse iniziative vocazionali non possono essere “incastrate” – passatemi il termine – all’interno
di una miriade di impegni pastorali, educativi, caritativi, che dovrebbero esser tutte palestre di
discernimento. Fare spazio significa dare priorità, non occupare tutto il tempo e predisporre un
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ordine che consenta effettivamente al Signore di fare udire la sua voce. Altrimenti il rischio è di
sentire solo la propria, gratificati di quanto si opera, ma senza più cogliere il novum che Dio viene a
portare.
- La seconda esigenza è che i giovani trovino un accompagnamento spirituale che costituisca una
vera esperienza di paternità. Non basta che esistano accompagnatori spirituali: occorre, per un
giovane o una ragazza, trovare il proprio padre, colui sappia esercitare una funzione carismatica
nella chiesa, quella funzione che gli consente di accompagnare l’ascolto della chiamata e che sa
creare spazi perché la vocazione riceva risposta.
Dobbiamo riconoscere che i giovani vivono oggi, anche nella chiesa, una profonda esperienza di
orfanità3. Molti giovani cercano negli adulti un riferimento strutturante, una autorità con cui
confrontarsi o contro la quale scontrarsi. Spesso – in modo nascosto – cercano un adulto che si
iscriva nella loro storia, un padre, qualcuno da imitare… Come mai noi non sappiamo offrire
questo ministero di paternità?
“Ad adempiere questo ruolo di adulto di riferimento possono concorrere tutti gli adulti che
incrociano l’adolescente lungo i tornanti in salita della sua crescita; a volte basta un incontro per
ricevere la nomina e restare fotografati per molto tempo nella memoria profonda
dell’adolescente, che dedica le proprie imprese al patto segreto stipulato nel breve incontro in cui
s’è detto e dato tutto” (…).
“Bisogna ammettere che si tratta di una funzione complessa, promossa da una domanda flebile e
controversa, da eseguire senza dare nell’occhio, neppure pronunciare il nome dell’azione,
fingendo di essere lì per caso, di passaggio, senza uno scopo preciso: con gli adolescenti bisogna
lasciare loro l’illusione che tutto ciò che fanno sia stato da loro stessi sognato e molto
desiderato”4.
Abbiamo bisogno di uomini e donne capaci di ascoltare i giovani e di trasmettere loro l’urgenza
della risposta alla vocazione, capaci di saldezza e di annunciare che la vocazione è una grazia,
un’avventura meravigliosa. Come mai noi presbiteri siamo così incapaci di questa funzione? E
perché sorgono così pochi laici padri nello Spirito per i giovani?
- La terza esigenza è di offrire cammini di senso, che non si preoccupino di preordinare il percorso,
ma piuttosto di aprire interrogativi. Ci sono cammini vocazionali che hanno tutto il sapore
dell’accalappiamento. Se in un invito vocazionale si annunciano le messe con le quali si intende
proporre il percorso e si identificano i titoli di questi passaggi nel modo seguente, come si può non
ritenere che si tratti di un accalappiamento manipolatorio?
21 gennaio: la colpa; 28 gennaio: l’attrazione;
4 febbraio: l’orgoglio; 11 febbraio: la stima;
18 febbraio: la fuga; 3 marzo: la disponibilità;
10 marzo: la lotta; 17 marzo: la sottomissione;
24 marzo: la resistenza; 31 marzo: l’obbedienza;
21 aprile: l’indecisione; 28 aprile: il coraggio 5.
Un cammino di senso, invece, apre le questioni che animano la ricerca di vita di un giovane e le
mette in dialogo con la proposta del vangelo. Non preordina i passi attraverso i quali si giunge
all’esito scontato di trovare il “coraggio” di prendere il largo. Esso piuttosto assume seriamente gli
R. TONELLI, Una pastorale giovanile alle prese con problemi nuovi?, in NPG XXXVII (2003), 8, p. 40.
G. PIETROPOLLI CHARMET, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte alla sfida, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, 48 e
51.
5
Tratto da: A. MANENTI, A proposito, cit., p. 293.
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4
interrogativi e i desideri orientandoli in senso cristiano. Senza forzature, manipolazioni, esiti
preordinati.
1.4. Per concludere
Se l’evangelizzazione in quanto tale non è mai opera dell’uomo, e il suo successo mai prodotto dei
nostri sforzi, ma sempre frutto dell’azione di Dio e del suo Spirito, se un cristiano che nasce (o
rinasce) non è mai un prodotto, ma solo un dono da ricevere con gioia, tanto più la proposta di un
percorso vocazionale sarà sempre offerta gratuita alla libertà imprevedibile di ogni soggetto.
E come mai nell’evangelizzazione si deve cadere nella tentazione di “mettere le mani sul risultato”,
volendo verificare quanti rimangono dopo la cresima, quale sia il numero di coloro che aderiscono
alla fede… tanto più in questo ambito della pastorale vocazionale, che ancora più da vicino tocca
l’ambito della coscienza personale e mette in gioco la libertà del soggetto, si può cedere a questa
tentazione.
Porre le condizioni dell’incontro: ecco l’unica nostra responsabilità. Ma una responsabilità grande
che ci interpella sulla capacità di saper dire con efficacia e pienezza di senso l’appello del vangelo
alla sequela di Gesù, l’imprevedibilità del suo proporsi a noi, alla nostra libertà, l’urgenza da parte
dell’uomo di rispondere con la totalità di se stesso. E saper presentare non solo l’esigenza
evangelica, ma anche la sua promessa: sì, di quale promessa siamo capaci nei nostri percorsi
vocazionali? Di una promessa illusoria e manipolatoria o delle promesse del vangelo?
5
2. Secondo intervento: Costruire percorsi o accompagnare cammini?
2.1. Costruire un percorso: un cammino di ricerca di senso
H. U. von Balthasar ha scritto che “Ci sono concetti cristiani fondamentali che, a dire il vero, sono
sempre stati presenti alla coscienza della cristianità e che tuttavia, in una determinata epoca della
sua storia, emergono alla luce in modo tale da essere scoperti come per la prima volta”. Uno di
questi concetti cristiani è quello di vocazione, concetto, dice ancora il grande teologo di Basilea,
che oggi va liberato dalla “ferrea morsa della teologia della predestinazione agostiniano-calvinistagiansenista”6.
In altre parole: si è a lungo pensato che solo chi trova un certo status (matrimoniale, religioso,
presbiterale) stia onorando la vocazione. La vocazione intesa come “collocazione” stabilita dagli
imperscrutabili ed inaccessibili disegni divini e destinata alla creatura, la quale dovrebbe trovarla in
una logica da “gratta e vinci”, quasi per magia. E allora ecco i giovani alla caccia dei “segni”, per
trovare la vocazione “giusta” che poi, necessariamente sempre necessitano di una interpretazione
e quindi sono tutt’altro che oggettivi, come invece in questa logica si pretenderebbe! Questa
logica è estranea al vangelo e anche deresponsabilizzante 7.
Possiamo, invece, chiamare la ricerca vocazionale come “cammino del senso”, ricerca cioè del
senso offerto da Dio alla propria vita e del senso da dare ad essa. In un dialogo: dove Lui per primo
apre scenari inediti e che mettono in cammino; e dove il giovane arrischia a percorrere vie che non
conosceva e non gli erano familiari. Ma comunque, sia nell’imprevista “occasione” offerta da Dio,
come nell’impensabile azzardo compiuto dal giovane, tutto è ricerca di senso, desiderio di dare
significato, di orientare la vita, di riempirla di valore e bellezza.
2.2. Vocazione come volontà di Dio: cioè?
Va ripensato, quindi, anche ciò che intendiamo quando, nei nostri percorso di animazione e
accompagnamento vocazionale, parliamo di volontà di Dio.
Per sé la volontà di Dio è la vita dell’uomo, sua creatura, una vita piena, da assumere con
responsabilità, da valorizzare e da giocare nell’amore e nella fiducia in Lui. Non si tratta certo di
“una volontà predeterminata e che il giovane deve scoprire in seguito ad una ricerca perigliosa e
presumibilmente angosciosa”…8.
Discernere la volontà non significa mettersi alla ricerca di astrusi progetti, ma piuttosto percorrere
la via dei propri desideri alla luce dell’ascolto del vangelo. E’ l’incontro tra le precise esigenze del
vangelo e i desideri propri della creaturalità di ciascuno il luogo nel quale si propone la volontà di
Dio. E’ lì che si realizza un evento spirituale, contrassegnato dalla libertà, da quel “se vuoi” che
suscita la libertà di una persona. Suscita, cioè, l’unica vera obbedienza, che non è cieca assunzione
di una volontà estranea, ma libero assenso ad una offerta, ad una intuizione.
2.3. Continuità interiore: occasioni di un percorso personale e non manipolabile
H. U. VON BALTHASAR, Vocazione, Roma, 1982, p. 15 e p. 18.
L. MANICARDI, L’umanità della fede, Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2005, p. 22.
8
Idem.
6
7
6
A questo punto appare chiaro che passare dall’occasione al percorso significa non tanto
predisporre “percorsi” nei quali inserire chi ha percepito un indizio di chiamata, o chi ha
partecipato per la prima volta con interesse ad una occasione di proposta vocazionale.
Significa, invece, dentro le occasioni che possono essere offerte da una diocesi, una congregazione
religiosa, saper costruire percorsi, necessariamente personalizzati e rispondenti alle esigenze
personalissime di ciascuno.
Dall’occasione al proprio percorso, dunque: un percorso che può prevedere anche la
partecipazione ad incontri programmati, ma che non sono mai il cuore del percorso stesso.
Si tratta di accompagnare cammini, più che di costruire percorsi.
Penso che per mettersi a servizio di un percorso personale di cammino vocazionale occorrano due
attenzioni “particolari”.
- predisporre gli ostacoli, anziché facilitare il percorso! Sì. L’ideale vocazionale non può essere
qualcosa di troppo “a portata di mano”, qualcosa di facilmente disponibile, così presentato per
“incoraggiare” il cammino del neo-discepolo. Si tratta di presentare l’ideale vocazionale in tutta la
sua grandezza, certo, senza renderlo umanamente inaccessibile, ma senza infiacchirne la bellezza
e l’altezza. Si tratta di predisporre gli ostacoli, e a volte – mi si passi l’esempio – di far cogliere che
“forse non è per te”… Vi è una forma di invidia che sollecita la ricerca, che attiva le energie perché
quel bene divenga raggiungibile! Non possiamo rimpicciolire il Vangelo e le sue esigenze: privato
della sua radicalità il vangelo è privato anche della sua speranza e della promessa che conserva per
noi!;
- la seconda, conseguenza di questa, è l’accompagnamento all’incontro con il proprio limite: un
incontro da vivere non per scoraggiare, ma per condurre il giovane alla verità di se stesso. E’ la
conoscenza del limite, infatti, che attiva il desiderio. Il fatto di infiacchire il limite, di non
incontrarlo, immiserisce il desiderio: perché desiderio e limite sono le due facce della stessa realtà.
L’incontro con il limite è anche occasione di scoperta grata che accogliere e vivere la vocazione è
grazia, è dono, è cammino sempre rinnovato dalla fiducia incondizionata di Dio. Lui chiama ed è
fedele alla sua chiamata, davanti al discepolo infedele. Così la vocazione viene vissuta come un
andare “da un inizio ad un nuovo inizio” (Gregorio di Nissa). E questo insegna che non si tratta di
“iniziare” un cammino che poi andrà avanti quasi per scontato sulla via già impostata: dieci anni
dopo e soprattutto a 40, 50, 60 anni i motivi per cui si persevera nella vocazione, per cui la si
sceglie di nuovo sono molto diversi da quelli iniziali! E guai se non fosse così, significa che non si
sarebbe affatto cresciuti.
2.4. Un metodo: Accogliere – far entrare – lasciar ripartire
Ma veniamo, finalmente, ad una indicazione di metodo per i nostri percorsi. Che cosa fare per
accendere o meglio, una volta che si sia accesa la ricerca?.
Credo che i tre verbi indicati da Enzo Biemmi nel cammino dell’evangelizzazione degli adulti,
facciano al nostro caso9.
2.4.1. Accogliere
Gesù accostando le persone accoglie senza condizioni; accoglie, ma non accarezza; fa spazio in
modo sorprendente, ma non accondiscende al male. Va a mensa con i peccatori, ma non trascura
le esigenze della legge; si fa accogliere dalla samaritana suscitando in lei sorpresa per il gesto
audace e la proposta di una pari dignità, ma le dice “va a chiamare tuo marito… quello che hai ora
non è tuo marito” (Gv 4, 16-17); si fa accogliere dallo scomunicato Zaccheo ed ecco che quegli
9
E. BIEMMI, Compagni di viaggio, EDB, Bologna, 2001, p.
7
cambia non soltanto osservando la legge, ma superandola ampiamente (“do la metà dei beni ai
poveri… restituisco quattro volte tanto” Lc 19, 8).
Accogliere: significa non preselezionare i destinatari a seconda delle loro scelte, delle loro
esperienze di vita, delle loro domande. Nessuno è troppo lontano per non essere raggiunto dal
Vangelo e dalla chiamata del Signore. Siamo noi ad essere lontani dai giovani per non
raggiungerli… il fatto che loro si siano allontanati, che non gradiscano più la nostra compagnia, non
significa che non si debba uscire incontro a loro, come il padre della parabola (Lc 15, 20). Occorre
saper accogliere le loro domande e le loro ribellioni: prima di giudicarle lasciare loro il tempo di
approfondirle, di autenticarle; è in questo cammino di approfondimento, di autenticazione che
queste domande possono essere purificate e sollecitate a cercare con maggior sincerità. Anche nei
percorsi più distorti c’è una domanda di senso che si è smarrita e tradita per vie ingannevoli. Chi sa
che non siano i giovani più “lontani” quelli più sensibili al vangelo e quindi alla vocazione?
Il Vangelo è ancora forte. Ci sono ragazzi, adolescenti e giovani che lo accolgono, che vengono
guidati da famiglie credenti, che incontrano preti saggi e attenti, che godono di educatori formati e
vigilanti, che crescono in gruppi centrati sugli elementi importanti della formazione cristiana, che
fruiscono delle proposte diocesane come alimento per il loro cammino.
Ma il vangelo subisce anche la debolezza e questa si rivela nell’abbandono massiccio, non solo
dopo la cresima, ma anche prima di moltissimi giovani; si rivela nell’indifferenza dinanzi al
messaggio cristiano, nelle scelte di ripiegamento egoistico o addirittura di rifiuto della vita; si rivela
nella povertà di quantità e di qualità delle vocazioni alla vita cristiana; nel declino della capacità
delle parrocchie di essere luogo di incontro per i giovani.
Pensiamo spesso che per evangelizzare sia necessario “accogliere”. Ma forse commettiamo un
errore. Accogliere significa che noi siamo i protagonisti di un gesto positivo e gratuito verso l’altro.
In tal modo l’altro rimane subalterno, passivo, destinatario, appunto di qualcosa che dipende da
noi. Gesù nel Vangelo anziché accogliere rischia di più, decide di “farsi accogliere”: non è lui che
invita a cena, ma si lascia invitare, non è lui che con condiscendenza fa spazio all’altro, ma chiede
all’altro di fare spazio per lui. Si fa accogliere da Zaccheo (devo fermarmi a casa tua), dalla
Samaritana, dagli amici di Betania, negli infiniti banchetti… Dice all’altro: “Tu sei importante, puoi
accogliermi, sei il protagonista dell’incontro”.
Noi dobbiamo farci accogliere dai giovani se vogliamo che poi loro si lascino accogliere da noi e
dalle nostre parole. Farci accogliere dentro le loro esperienze, il loro modo di vivere e di
esprimersi. Farci accogliere anziché valutare, giudicare, accoglierli dentro i nostri spazi già
preordinati10.
2.4.2. Far entrare
Far entrare qualcuno in casa è aprirgli il tesoro della nostra vita. Fuori dall’immagine, il secondo
atteggiamento di accompagnamento vocazionale è di far incontrare il Vangelo, mettendo a
disposizione dei giovani tutto il patrimonio che ci fa vivere.
E' una specie di visita guidata ai documenti fondamentali della fede, quelli biblici, liturgici, della
tradizione, e quelli viventi. Una visita guidata alle esperienze di vita cristiana che sono state una
scommessa per il vangelo. In questa visita guidata l’accompagnatore non è colui che sa, ma colui
che continuamente mostra e riapprende quello che lo supera. Egli è uno che ha la mappa, e che
prende gusto e gioia di riscoprire ogni volta per sé, facendo riscoprire agli altri, quella Presenza
traboccante e straripante che sola può riempire le nostre crepe. Far incontrare è dunque non
condurre a sé, alle proprie parole, ma condurre a Lui e alla sua Parola.
FOSSION A., Quale annuncio del Vangelo per il nostro tempo, relazione al convegno “C’è spazio per la parola che
salva?”, Verona, 8 maggio 2004.
10
8
Io mi chiedo come e in che senso “facciamo entrare”. Si tratta, infatti, di mettere a contatto con
un’esperienza che sia a servizio della ricerca del giovane e non a servizio dell’istituzione
vocazionale. C’è un far entrare a senso unico che non è buono, che è “interessato”, perché si cerca
un esito preciso, quello cioè dell’ingresso in vocazione, secondo la nostra attesa del giovane che
“facciamo entrare”. Invece la vocazione è evento personalissimo, inviolabile, di cui noi siamo solo
a servizio. Si fa entrare per lasciare liberi!
2.4.3. Lasciar ripartire
Ecco perché la terza parola è “lasciar ripartire”. Lasciar ripartire è permettere che ognuno ridica e
rielabori alla propria maniera quello che ha scoperto. Lasciar ripartire è l'atteggiamento costante
di chi ha rinunciato una volta per tutte a mettere le mani sul risultato, di chi si è liberato
dell'angoscia della risposta. Ognuno risponde secondo la sua misura e secondo la sua libertà. E
secondo quella chiamata di cui non siamo padroni, ma servitori.
Lasciar ripartire è coltivare la gioia di vedere che, secondo i tempi e le misure di Dio, ognuno
cammina: grati per i piccoli passi raggiunti, pazienti nella speranza per quelli ancora da fare.
Ma per essere a servizio di questo ripartire occorre lanciare sfide: significa che dobbiamo avere la
capacità di fare proposte. Proposte forti, ma non interessate; proposte impegnative, ma anche
significative, accattivanti; proposte di sacrificio, ma con il sapore della libertà. Concretizzo:
♦ forti, ma non interessate: cioè di servizio, ma non necessariamente dentro la comunità
(pensate nella nostra pastorale: il solito esito di diventare catechista o animatore);
♦ impegnative, quindi costose, faticose, ma anche cariche di bellezza e di idealità: spendersi
ok, ma per qualcosa di grande, di carico di futuro. Per qualcosa che sia anzitutto compreso come
rilevante;
♦ di sacrificio, perché il Vangelo è “a caro prezzo”, ma secondo la proposta del “se vuoi” e non
del “tu devi”: fare proposte non significa “avere pretese”, ma saper motivare le esigenze alte del
Vangelo. Il “se vuoi” è appello alla libertà. Perciò la proposta deve essere forte, un appello
vigoroso, motivato, esigente, ma mai giocato sul “tu devi” (che non appartiene al Vangelo), ma
solo sul “se vuoi”. L’esigenza del vangelo non è la pretesa! Il Vangelo esige di esser accolto, ma
non pretende. C’è un mistero di non accoglienza che non dipende solo dalla cattiva volontà, ma
anche dallo scandalo arrecato al Vangelo dalle nostre caricature e interpretazioni falsificate.
Pastorale Vocazionale Diocesi di Faenza-Modigliana
con il patrocino del Centro Regionale Vocazioni e dell’ISSR S. Apollinare (Forlì)
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DALL’OCCASIONE AL PERCORSO
CORSO DI FORMAZIONE PER L’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE
Forlì, 12 novembre 2011
Dall’occasione… costruire un percorso
don Ivo Seghedoni
1. Primo intervento: Un po’ di pars destruens
1. 1. L’occasione
La mediazione di salvezza non coincide con il processo di salvezza (F. Arnodl)
Perché Dio nella sua “pastorale vocazionale” non si decide a seguire il nostro calendario?
1.2. Il percorso
E alla fine, che ne è del nostro percorso?
Quale il medium tra ruolo presentato ed identità immaginata?
1.3. Dall’occasione a percorso
La preoccupazione di fare spazio
Offrire una vera esperienza di paternità
Avviare cammini di senso
Un esempio:
21 gennaio: la colpa; 28 gennaio: l’attrazione;
4 febbraio: l’orgoglio; 11 febbraio: la stima;
18 febbraio: la fuga; 3 marzo: la disponibilità;
10 marzo: la lotta; 17 marzo: la sottomissione;
24 marzo: la resistenza; 31 marzo: l’obbedienza;
21 aprile: l’indecisione; 28 aprile: il coraggio
2. Secondo intervento: Costruire percorsi o accompagnare cammini?
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2.1. Costruire un percorso: un cammino di ricerca di senso
Vocazione come “collocazione”?
2.2. Vocazione come volontà di Dio: cioè?
Non si tratta certo di “una volontà predeterminata e che il giovane deve scoprire in seguito ad una
ricerca perigliosa e presumibilmente angosciosa”…
2.3. Continuità interiore: occasioni di un percorso personale e non manipolabile
Si tratta di accompagnare cammini, più che di costruire percorsi.
- predisporre gli ostacoli, anziché facilitare il percorso!
- accompagnamento all’incontro con il proprio limite
2.4. Un metodo: Accogliere – far entrare – lasciar ripartire
2.4.1. Accogliere
Accogliere o farsi accogliere?
2.4.2. Far entrare
Far entrare senza accalappiare.
2.4.3. Lasciar ripartire
Non mettere le mani sul risultato.
Lanciare sfide, forti, impegnative, di sacrificio.
Sì alle esigenze del vangelo, no alle pretese.
BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA
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E. BIEMMI, Compagni di viaggio, EDB, Bologna, 2001.
A.FOSSION, Quale annuncio del Vangelo per il nostro tempo, relazione al convegno “C’è spazio per la
parola che salva?”, Verona, 8 maggio 2004.
A. MANENTI, A proposito di pastorale vocazionale, in “Tredimensioni” VI (2009), 3, pp. 290-299.
L. MANICARDI, L’umanità della fede, Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2005.
G. PIETROPOLLI CHARMET, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte alla sfida, Raffaello Cortina Editore,
Milano 2000.
R. TONELLI, Una pastorale giovanile alle prese con problemi nuovi?, in NPG XXXVII (2003), 8.
H. U. VON BALTHASAR, Vocazione, Roma, 1982.
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