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Nicola Viceconti
Due volte
ombra
(DoS veCeS Sombra)
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Nota
di
eStela Carlotto
l’autore narra con un linguaggio semplice e
diretto una storia di fantasia sulla realtà vissuta in
argentina durante l’ultima dittatura civile – militare
(1976 – 1983). affronta il tema del rapimento dei
neonati, una delle peggiori pratiche eseguite durante quel triste periodo. all’interno di un piano programmato e sistematico, l’appropriazione dei figli
degli oppositori politici rispondeva a quello che era
considerato bottino di guerra. la descrizione che
l’autore ha fatto di paula, la bambina protagonista di
questo racconto, e della sua vita, corrisponde alla
realtà vissuta dalla maggior parte dei bambini, oggi
adulti, che abbiamo recuperato come “abuelas de
plaza de mayo”. Questa metodologia di appropriazione di bambini per ragioni politiche è una ‘invenzione’ dei genocidi argentini.
Nicola viceconti ha colto con serietà e precisione
le caratteristiche dei torturatori, ladroni e assassini
che nella loro doppia vita potevano accarezzare i
figli delle loro vittime senza provare sentimenti.
Con ‘‘Due volte ombra’’, viceconti ha realizzato
una analisi sociopolitica di quell’epoca e, sebbene
nel romanzo potremmo correggere dal punto di
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vista storico alcune date e personaggi, emerge in
più parti la sua sensibilità e il suo contributo affinché
questa storia, non ancora risolta nel nostro paese,
sia conosciuta e attraversi le frontiere.
Gli esprimo il mio emozionato ringraziamento in
nome delle donne che stanno lottando per la ricerca di due generazioni.
eStela barNeS De Carlotto presiede l’associazione Civile
Nonne di plaza de mayo che ha sede centrale a buenos aires.
Il 12 maggio 2008 ha ottenuto una nomina al premio Nobel
per la pace. In maggio 2010 è stata ripresentata la sua candidatura allo stesso premio. Ha ricevuto lauree “Honoris Causa”
da università americane e argentine. In Italia è stata insignita
dell’ordine al merito della repubblica Italiana dal presidente
Carlo azeglio Ciampi e ha ricevuto il ‘‘premio per la pace’’ del
Comune di roma. Nel 2005 ha ricevuto a New york il ‘‘premio
Diritti umani’’ delle Nazioni unite.
ESTELA CARLOTTO E NICOLA VICECONTI
CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE, ROMA, 28 FEBBRAIO 2011
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preFazIoNe
di
maNuel GoNçalveS GraNaDa
Nel 1995 avevo diciannove anni e una vita ‘normale’. Sapevo di essere stato adottato e convivevo
con quella realtà senza grandi problemi. Non conoscere le mie origini però, era qualcosa che aveva un
peso molto importante per me, soprattutto perché
pensavo che mi avessero abbandonato, che nessuno della mia famiglia biologica mi avesse amato e
che proprio questo avesse determinato la mia adozione. pensare di essere stato abbandonato mi
toglieva il desiderio di sapere da dove provenivo. In
quel periodo vivevo con elena, mia madre adottiva,
e mi chiamavo Claudio Novoa.
un pomeriggio arrivò a casa un antropologo
forense per parlare con me. Quel signore, che guardavo con diffidenza, mi raccontò tutta una verità che
neanche immaginavo. mi disse che avevo una nonna
che mi cercava da diciannove anni, un fratello, una
famiglia biologica che mi voleva bene e che mio
padre e mia madre erano scomparsi.
Fu un giorno molto strano per me. Dal momento
che mi stavo rendendo conto di avere una nonna
che non aveva mai smesso di cercarmi, cominciavo
a capire il dolore delle desapariciones e la certezza
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che non avrei mai conosciuto i miei veri genitori.
Quello fu l’inizio di una nuova vita, una vita che mi
aveva sorpreso e che è molto difficile descrivere a
parole.
Dovetti imparare a convivere con la mia nuova
identità, a comprendere che la mia storia personale
era parte della storia più dura e dolorosa
dell’argentina, che era parte della lotta delle
“abuelas de plaza de mayo” e che quella vita che
avevo condotto per diciannove anni non aveva
niente a che vedere con questo presente.
tutto iniziò a passare rapidamente e in pochi
giorni conobbi mia nonna matilde, che come il resto
delle “Nonne”, fin dai tempi della dittatura, aveva
lottato e affrontato un’infinità di situazioni per
potermi incontrare.
la prima volta che la vidi guardavo fisso la porta
dell’ascensore, aspettando che lei scendesse per
aprirmi. ero andato a conoscerla nel suo appartamento e quando la porta finalmente si aprì, l’immagine di quella signora dai capelli bianchi e un camminare tipico da nonna mi rimase impressa nella
mente per sempre. Ci abbracciammo con grande
emozione, mi invitò a entrare nel suo appartamento e mi offrì tante cose da mangiare come fanno
normalmente le nonne.
mia nonna conservava tanti ricordi dei miei genitori, me li raccontò successivamente permettendomi di conoscerli un po’ di più e di iniziare a comprendere me stesso dalle mie origini.
In poco tempo mi ero reso conto che non avrei
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mai potuto ricambiare né a mia nonna, né alle
abuelas, tutto quello che loro avevano fatto per me.
Non c’era modo di restituire tanto amore.
alcuni giorni dopo l’incontro suonò il telefono di
casa e, quando risposi, una voce sconosciuta mi
disse: « Sono Gastón, tuo fratello... ».
Fu una delle grandi sorprese che questa nuova
vita mi stava dando. per diciannove anni ero stato
figlio unico, non sapevo cosa significasse avere un
fratello, ma sembrava che conoscere la mia verità
rendesse tutto possibile.
la prima volta che ci vedemmo restammo a parlare per otto ore. avevamo bisogno di conoscerci,
recuperare il tempo che ci avevano rubato. l’intesa
fu immediata. per prima cosa ci abbracciammo, ci
guardammo, ci domandammo come stavamo, tornammo ad abbracciarci e qualche istante dopo ci
rivolgemmo la nostra grande domanda: « Di che
squadra sei? ».
tutti e due rispondemmo: « Del boca! ».
In quella risposta piena di sorrisi iniziammo a trovare qualcosa in comune: eravamo del boca, proprio come nostro padre.
mio fratello era già padre di tre figli e questo mi
fece diventare zio immediatamente. Inoltre, era bassista del gruppo musicale “los pericos”, molto famoso in america latina. lo avevo già visto in vari concerti, le sue canzoni mi avevano accompagnato da
molti anni e avevo perfino i suoi cd.
la vita continuava a darmi emozioni che mai
avrei immaginato. Dentro di me iniziava una rivolu
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zione che ancora oggi si mantiene viva. Il recupero
della mia vera identità è un processo che iniziò quel
pomeriggio del 1995 e che mi accompagnerà per
sempre.
ogni giorno sento che recupero la mia identità
sapendo chi sono e scegliendo cosa fare con la mia
vita. prima stavo dove gli assassini dei miei genitori
avevano deciso che stessi, con un nome e una storia che non erano i miei.
la dittatura ebbe un piano sistematico di rapimento di neonati che furono strappati alle madri nei centri clandestini di detenzione. Nei casi in cui, per differenti circostanze, i rapitori non potevano rimanere
con i bambini, gli sostituivano l’identità consegnandoli ad altre famiglie, con la collaborazione di alcuni
giudici, affinché non ritornassero mai più con le loro
famiglie biologiche. la mia famiglia adottiva agì in
buona fede e senza conoscere la mia origine, per
questo con loro continuo a mantenere la stessa relazione che avevo prima di sapere la verità e le sono
grato per l’affetto e lo sforzo con cui mi ha cresciuto.
oggi mi sento appagato come persona perché
ho potuto scegliere cosa fare con la mia storia, e nel
percorso che mi sono scelto ho deciso di aiutare
“las abuelas de plaza de mayo” in tutto quello che
posso.
Nell’ottobre 2004 mi sono presentato davanti alla
giustizia affinché indagasse su quello che era accaduto a mio padre e mia madre e affinché si portassero a giudizio i responsabili della loro scomparsa e
del loro assassinio. Da quel momento mi sono
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messo in contatto con i compagni di militanza dei
miei genitori, anche con quelli che erano stati
sequestrati insieme a mio padre. tutti mi hanno aiutato e le loro valorose testimonianze hanno permesso che portassimo a giudizio, per il caso di mio
padre, cinque imputati per i quali stiamo aspettando le condanne entro aprile di quest’anno. anche il
processo per l'uccisione di mia madre inizierà quest'anno e così, finalmente, sapremo i fatti che accaddero la mattina del 19 novembre del 1976, quando
quaranta uomini delle forze congiunte dell’esercito
e della polizia circondarono la casa dove vivevamo
mia madre e io, insieme a una coppia e ai loro due
figli di tre e cinque anni. Quest'ultima famiglia era
arrivata a casa nostra per scappare dal terrorismo di
Stato che aveva già sequestrato mio padre il 24
marzo del ’76, il primo giorno del golpe militare.
Io, che nel novembre del ‘76 avevo appena cinque mesi, fui l’unico a salvarmi grazie a mia madre
che mi nascose in un armadio a muro tra i cuscini
per proteggermi dai gas lacrimogeni, mentre tutti
gli altri furono assassinati. Quando i militari mi trovarono nell’armadio, mi portarono all’ospedale
situato a pochi isolati, dato che a causa dei gas
stavo per morire asfissiato. passai quasi cinque
mesi isolato in una camera, con un agente di
custodia che mi sorvegliava costantemente.
Successivamente il giudice dei minori mi dette in
adozione senza prendere nessuna misura per restituirmi alla mia famiglia biologica.
Così persi la mia vera identità.
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per molto tempo avevo pensato che i miei veri
genitori mi avessero abbandonato perché non mi
amassero. ora, invece, so che non solo non mi avevano abbandonato ma che sono vivo grazie a mia
madre, che mi ha salvato la vita alcuni momenti
prima di essere uccisa.
Non c’è giorno in cui non pensi a quell’episodio e
a lei che, ad appena 23 anni, ebbe il coraggio di
affrontare la dittatura insieme al giovane amore
della sua vita, mio padre Gastón, che al momento
del sequestro aveva solo 26 anni.
In tutti questi anni ho ripercorso gli stessi luoghi
che hanno avuto a che fare con le miei origini, perché questo mi ha fatto sentire più vicino a mia
madre e mio padre.
Ho sentito la necessità di tornare alla casa di San
Nicolás, di parlare con i vicini che non hanno mai
dimenticato gli scoppi delle granate e il rumore
delle mitragliatrici. Questi stessi vicini saranno testimoni nel giudizio che finalmente si svolgerà quest’anno visto che in argentina, dopo la caduta delle
leggi di “obediencia debida y punto final”, è arrivata
la fine dell’impunità che per molti anni ha impedito
di condannare i genocidi.
oggi il nostro paese è un esempio di memoria,
verità e Giustizia che ha permesso il rafforzamento
delle istituzioni democratiche affinché, non si ripetano mai più violazioni dei diritti umani.
Sento che la ricerca di giustizia per i trentamila
detenuti scomparsi, non solo permette di chiudere
un poco le nostre ferite ma è anche il miglior appor
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to che possiamo dare alle future generazioni.
Denunciare quelle atrocità e dare impulso al "juicio
y castigo" dei responsabili di tutta questa dolorosa
storia è un modo per recuperare la mia identità.
Sono felice di essere tornato a chiamarmi manuel,
che è il nome che avevano scelto per me mia madre
e mio padre e che mai avrei dovuto perdere.
Questa storia mi ha permesso di conoscere molte
persone coraggiose che in differenti paesi ci hanno
aperto le loro braccia, anche quando in argentina
l’impunità era ‘moneta corrente’. per questo apprezzo e rispetto l’impegno con il quale Nicola viceconti
ha saputo raccontare la nostra storia.
leggendo ‘‘Due volte ombra’’ mi sono identificato, ho ammirato la sua capacità di mostrare, attraverso un racconto, la complessa trama della sostituzione d’identità.
Il suo romanzo è un nuovo contributo alla diffusione della lotta delle “abuelas de plaza de mayo”
che ancora oggi stanno cercando quattrocento giovani, alcuni dei quali potrebbero anche essere in
Italia. per questo voglio ringraziare Nicola e dirgli
che lo considero un compagno e un amico.
(marzo 2011).
maNuel GoNçalveS GraNaDa, argentino, è uno dei nietos trovati
dalle abuelas de plaza de mayo. Figlio di desaparecidos, solo
anni dopo essere stato affidato a un’altra famiglia ha scoperto
la sua vera storia personale. Collabora con l’associazione delle
abuelas partecipando a dibattiti e conferenze. Quando possibile viaggia in rappresentanza dell’associazione.
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MANUEL GONÇALVES GRANADA,
MATILDE PÉREZ
SUA FIGLIA
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MARTINA
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E SUA NONNA
ANA MARÍA GRANADA E GASTÓN GONÇALVES, GENITORI DI MANUEL
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Nota
di
JorGe ItHurburu
Nei romanzi di Nicola viceconti noi argentini ogni
tanto ci troviamo a disagio. Ci sentiamo scrutati e
descritti da più angolazioni, in dettagli che preferiremmo diversi e che non vorremmo mai vedere.
In genere, uno specchio ci mostra anche qualche
ruga che non sentiamo di avere e ci dà un’immagine
che non rende conto del nostro mondo interiore. lo
specchio di viceconti, invece, cerca di dar conto a sentimenti e condotte che molti argentini avrebbero preferito non essere stati costretti a vivere. mi riferisco a
un’identità lacerata e sofferente che è la nostra realtà
in continua costruzione individuale e collettiva.
“Due volte ombra” affronta il tema dei figli dei desaparecidos e delle adozioni illegali avvenute durante
l’ultima dittatura argentina. Il dramma che coinvolge
paula, la protagonista, è quello di molti altri giovani
che potenzialmente potrebbero trovarsi in qualsiasi
parte del mondo.
In un recente incontro a Cosenza uno studente ha
chiesto a estela Carlotto se aveva trovato il nipote
rubato dai militari a sua figlia laura. In quella occasione erano presenti due dottorande argentine che studiavano all’università calabrese. estela ha risposto che
non aveva trovato suo nipote ma che lo stava cercanDue volte omBRa
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do, lo stava cercando anche in quel momento perché
suo nipote poteva essere un dottorando argentino
che si stava specializzando in Italia, e che pertanto
bisognava cercarlo anche qui, parlando e incontrando
i giovani, rilasciando interviste, organizzando mostre e
spettacoli, facendosi aiutare da giornalisti, registi, scrittori, avvocati e magistrati.
Cercare un bimbo rubato poche ore dopo la sua
nascita è un compito difficile, ma qualcosa possiamo
farlo tutti: partecipando, leggendo, parlando e scrivendo.
Il lavoro di Nicola viceconti s’inserisce con grande
generosità in questo sforzo per accompagnare il lavoro delle “Nonne” e per non lasciare solo chi, anche in
Italia, porta in sé un dubbio.
JorGe ItHurburu è nato a las Heras, argentina, il 5 agosto 1959.
vive in Italia dal 1980. attualmente risiede a roma. Si è opposto alla legislazione dell’impunità argentina, all’interno della
lega per i Diritti dei popoli di milano, insieme a Sandro Sessa,
attraverso le azioni giudiziarie che hanno poi portato alle
sentenze del 6 dicembre 2000 (riveros) e 14 marzo 2007. Ha
collaborato con l’aNFIm (e Giulia Spizzichino) per ottenere
l’estradizione e condannare in Italia erich priebke, nazista
delle S.S. rifugiatosi in argentina. Dal 1987 ha lavorato al
Comune di milano occupandosi dell’organizzazione dei Corsi
l’altro (sulle culture extra-europee) e di corsi sui Diritti umani
(per volontari e operatori del diritto). poi è stato comandato
presso la Commissione Diritti umani della presidenza del
Consiglio dei ministri e attualmente lavora all’uf ficio
relazioni Internazionali del Comune di roma. presiede le
associazioni 24marzo onlus e rete per l’Identità-Italia.
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Duevolte
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la Favola DI Greta luz
buenos aires, giugno 1983
« Quando Hala, il vecchio guardiano del castello stregato, chiuse il portone dietro di sé, la piccola Greta si ritrovò
in uno stanzone freddo e buio. rimase immobile dalla
paura, si rannicchiò in un angolo e trattenne il respiro per
non farsi scoprire. anche il più piccolo rumore le sarebbe
stato fatale. In lontananza sentiva la voce dei genitori che
la chiamavano ma non poteva rispondere; ormai era prigioniera di ofelia, la strega senza occhi, che per vendicarsi
dell’atroce destino che l’aveva segnata, rendeva cieco per
la vita chiunque si addentrasse nel proprio castello.
eppure, in quella stanza enorme doveva esserci un passaggio segreto: Jill, il suo amico folletto, ne era sicuro. le
aveva anche raccontato del labirinto magico e dei muri
che cambiavano forma all’improvviso. per Greta trovare la
via di uscita non era un’impresa facile, lì dentro era così
buio che non riusciva a vedere a un palmo dal naso... ».
« Non poteva scappare dalla porta? » domandò paula.
« No. era chiusa a chiave e poi, al buio, avrebbe urtato
contro una delle tante armature sparse nel salone... Hala,
intanto, era lì immobile a fare la guardia ».
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nicola viceconti
« e poi? Come ha fatto a uscire? Dai, racconta ».
Nonostante fosse visibilmente spaventata, paula era
troppo curiosa per lasciare in sospeso il finale di un altro
episodio di Greta luz, il suo personaggio preferito, e supplicò maria, la tata, di continuare a leggere. Glielo chiese
con voce tremante da sotto le coperte che, nel frattempo, aveva tirato su afferrandole con entrambe le mani.
aveva la faccia coperta per metà. Dal suo rassicurante
nascondiglio spuntavano solo gli occhi verdi, in risalto
sulla pelle chiara del viso, e i capelli riccioluti, scuri, lucidi
come la seta.
mancavano pochi minuti alle dieci quando maria si
tolse gli occhiali e chiuse il libro, facendo attenzione però
a non perdere il segno.
« S’è fatto tardi e domani devi andare a scuola, finirò
di raccontartela un’altra volta ».
Con un tono quasi di preghiera paula replicò.
« Se mi dici come va a finire, ti prometto che dopo mi
addormenterò subito ».
Facevano così ogni sera, era il loro rituale prima della
buona notte.
maria infilò di nuovo gli occhiali, riaprì il libro e continuò a leggere.
« la piccola Greta iniziò a muoversi lentamente spostandosi un centimetro alla volta, carponi, come un
gatto. arrivò così fino al muro di fronte, poi si alzò in piedi
e tolse le scarpe per non fare rumore. lo toccò, era freddo e ruvido. era il suo unico punto di riferimento e, per
non perdersi, pensò bene di avanzare anticipando con le
mani ogni piccolo passo. ogni tanto si fermava e controllava i movimenti della parete passando le dita tra le fessure delle pietre, sperava in un improvviso spostamento
di queste per avere un’altra possibilità, uno spiraglio di
salvezza. Greta era vittima di un macabro gioco con la
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la favola Di gReta luz
strega: se fosse rimasta ancora chiusa in quella stanza
non avrebbe avuto scampo. Il movimento dei muri era
una delle tante stranezze di quel castello. Formava un
labirinto mobile dove gli spazi all’interno si ricreavano
ogni volta ed era impossibile uscirne. Di colpo, l’eco di
una agghiacciante risata risuonò per tutta la stanza. era
ofelia che, dal fondo del corridoio, veniva ad accogliere
la sua nuova ospite. Camminava con una fiaccola in
mano che le illuminava il volto sfigurato, la propria
ombra riflessa sul soffitto la rendeva ancora più spettrale.
Greta istintivamente si accovacciò di nuovo a terra mentre Hala, sghignazzando, andava incontro alla sua padrona. la piccola iniziò a tremare dalla paura, sapeva che di
lì a poco la strega l’avrebbe sottoposta al più spietato
degli incantesimi togliendole la vista per sempre. Hala e
ofelia erano ormai a pochi metri quando Greta iniziò a
piangere chiamando invano sua madre. era seduta a
terra, aggrappata con entrambe le braccia allo schiniere
di una vecchia armatura... ».
« Cos’è lo schiniere? » chiese paula, attenta a non
lasciarsi sfuggire il significato di ogni singola parola di
quel racconto spaventoso.
« È la parte della corazza dei guerrieri che protegge il
ginocchio e la caviglia » le spiegò maria. « Greta, in preda
al panico, ci si era aggrappata con tutte le proprie forze ».
« ti prego Greta, non farti scoprire! » esclamò paula.
« e non sai come va a finire! adesso ti racconto... ».
la bambina era in apprensione. Questa volta la sua
beniamina si era proprio cacciata in un bel pasticcio.
maria le accarezzò i capelli per tranquillizzarla e riprese a
leggere.
« Quando Greta toccò lo schiniere successe qualcosa di
inaspettato. Senza volerlo azionò l’apertura di una grande
botola di legno sulla quale era seduta e ruzzolò lungo un
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cunicolo fino alla cantina. anche lì era buio ma, in fondo al
corridoio, s’intravedeva uno spiraglio di luce ».
« allora era quello il passaggio segreto che diceva Jill! »
disse paula.
maria le fece un cenno affermativo sollevando le
sopracciglia.
« proprio quello » disse, « c’era caduta dentro per caso ».
« oltre quella porta Greta trovò la libertà. ad aspettarla c’era il suo amico folletto con il quale attraversò il
bosco e raggiunse finalmente i propri genitori ».
paula restò in silenzio, poi fece una domanda alla
quale maria aveva già risposto altre volte e sempre allo
stesso modo.
« anche io potrò rivedere il mio papà? ».
« un giorno lo riabbraccerai, ma non dimenticare che
lui è sempre vicino a te, anche se non riesci a vederlo ».
ma come poteva capire una bambina di appena sei
anni la scomparsa di suo padre?
Il pensiero di maria andò a quella mattina di febbraio
quando due poliziotti si erano presentati alla porta della famiglia torres per comunicare la notizia del tragico incidente.
« potrai sempre abbracciare la tua mamma... » aggiunse.
paula, in tutta risposta, fece una smorfia, si girò su un
fianco e chiuse gli occhi. un’altra avventura di Greta luz
era terminata.
Il mattino seguente Cristina, sua madre, entrò nella
stanza mentre lei stava ancora dormendo. Scostò la
tenda e tirò giù le coperte.
« Forza paula, la colazione è pronta ».
la baciò sulla fronte e uscì frettolosamente lasciando dietro di sé una scia di Shalimar, il suo profumo preferito.
Camminava a passo svelto e il ticchettio delle sue scarpe sul
parquet risuonava per tutta la casa. erano già le otto e rischiava di far tardi a un importante appuntamento di lavoro.
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la favola Di gReta luz
Dapprima paula protestò borbottando qualche parola.
lo fece con il cuscino sulla faccia per ripararsi dalla luce,
poi, con aria rassegnata, si alzò. Se non l’avesse fatto,
Cristina avrebbe iniziato una delle sue solite prediche.
Dopo aver messo i piedi a terra, con aria assonnata, gli
occhi ancora socchiusi, provò ad avanzare trascinando le
pantofole a forma di orsetto e cercando di sfiorare con le
mani tutto quello che incontrava. proprio come la sua
eroina nel castello di ofelia. toccò il grande quadro sulla
parete del corridoio, lo specchio, l’attaccapanni, il portaombrelli. passò un dito sul ripiano della libreria e contò a
bassa voce tutti i libri. ricordava a memoria la disposizione dei mobili nella stanza e riconosceva gli oggetti sparsi
qua e là: persino la borsa di sua madre sul tavolino e la statua degli angioletti accanto al telefono. riconobbe anche
le chiavi della macchina nel piatto di ceramica. Scopriva
un mondo differente fatto di forme e materiali. I suoni non
le sembravano più gli stessi. I passi di sua madre nell’altra
stanza, l’acqua che scorreva dal rubinetto della cucina, il
volume della radio erano come amplificati. Si fermò un
istante ad assaporare quella nuova sensazione che aveva
scoperto per gioco, imitando Greta luz ma di colpo la
magia venne interrotta dalla voce di sua madre.
« Sbrigati, altrimenti farai tardi a scuola! ».
Cristina l’afferrò per un braccio e l’accompagnò in cucina dove ad attenderla c’era maria che aveva già preparato
la colazione.
« pensaci tu! Io devo andare » disse sua madre alla tata.
Chiuse la porta dietro di sé e raggiunse il suo socio in ufficio.
« Hai visto che so fare come Greta? » disse paula con
aria soddisfatta.
« e chi mi lo dice che non hai barato e che avevi davvero gli occhi chiusi? » ridacchiò maria.
Iniziarono a scherzare.
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paula era cresciuta con lei, avevano istaurato un legame molto stretto. Quando maria, quasi quarantenne, era
stata assunta, paula aveva un mese di vita e Cristina era
impegnata nella ricerca di una persona fidata disposta a
lavorare a tempo pieno. Con anni di esperienza alle spalle, maria aveva accettato l’incarico di buon grado.
adorava i bambini e poi i signori torres erano benestanti e l’avrebbero pagata bene. Fu subito considerata una
di casa, soprattutto da Fernando, il papà di paula. Fatta
eccezione per alcune ferree regole imposte i primi tempi
da Cristina, la cura e la crescita della bambina furono affidate completamente a maria. tra quelle regole c’era ad
esempio l’abolizione di qualunque, seppur breve, passeggiata all’aperto, persino appena fuori dal cortile della
loro abitazione, oppure il divieto assoluto di fare avvicinare degli estranei alla piccola.
Fernando e Cristina avevano desiderato per molto
tempo un figlio. le frequenti e prolungate assenze di lui,
dovute a impegni di lavoro all’estero, per diversi anni
avevano vanificato le possibilità di veder realizzato il loro
sogno. una sera, in occasione di una festa tra amici,
Cristina aveva finalmente annunciato la bella notizia. Nel
bel mezzo della cena si era alzata in piedi, si era avvicinata a Fernando che era completamente all’oscuro della
sua gravidanza, e richiamando l’attenzione dei presenti
aveva battuto una posata sul bicchiere.
« un momento di attenzione, per favore. approfitto di
questa serata con tutti voi per comunicare una notizia
importante. Io e Fernando aspettiamo un figlio, ne ho
avuto la certezza pochi giorni fa ».
era seguito un attimo di silenzio tra gli invitati, poi era
scattato un lungo applauso. Cristina, rivolgendosi a suo
marito sottovoce, aveva detto: « Sono già al terzo mese!
Hai visto, amore? Ce l’abbiamo fatta! ».
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Fernando era rimasto senza parole. Si erano abbracciati lungamente e si erano tenuti stretti, consapevoli
che la loro vita da quel momento sarebbe cambiata.
Quell’abbraccio sembrò durare in eterno.
mentre Fernando fantasticava già sul nome da scegliere, Cristina, con aria soddisfatta, aveva accennato un
sorriso a Carmen rossetti, la sua vecchia amica d’infanzia,
che le stava seduta di fronte. era il 1976, la fine di giugno,
e Fernando doveva partire per gli Stati uniti. In quell’occasione sarebbe rimasto lontano da casa almeno sei
mesi. Si trattava di un viaggio di lavoro programmato da
tempo per la conclusione di importanti affari. Cristina,
che avrebbe trascorso la gravidanza da sola, sembrava
non preoccuparsene affatto. anzi, era lei a tranquillizzare
suo marito promettendogli di trasferirsi nella casa a mar
del plata, dove la sua cara amica le avrebbe fatto visita
tutti i giorni. In ogni caso, Fernando sarebbe rientrato a
buenos aires prima di Natale, giusto in tempo per assistere alla nascita di suo figlio. le cose però andarono
diversamente.
Il sei dicembre, infatti, con tre settimane di anticipo
rispetto al giorno previsto per il parto, Cristina diede alla
luce una femmina. Quando Fernando la vide per la prima
volta, rimase stupito per quanto sua figlia fosse così
bella. aveva le guance paffute e gli occhi verdi, il nasino
leggermente all’insù e la pelle del viso liscia, luminosa,
non grinzosa come quella che spesso hanno i neonati.
Sembrava più grande della sua età. Decisero di chiamarla paula. Così, a quarantadue anni, Fernando appagava il
suo desiderio di paternità che aveva quasi accantonato
cercando in modo ossessivo la propria realizzazione sul
lavoro. Si propose di cambiar vita per trascorrere più
tempo accanto alla piccola. Interruppe i viaggi all’estero
ed entrò in affari con una delle tante società americane
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che operavano in argentina per effetto della politica
economica adottata dal nuovo governo militare. Fu un
cambiamento non di poco conto per lui, ma lo superò
con successo, sfruttando il proprio intuito e l’appoggio di
alcune conoscenze nell’ambiente finanziario. la famiglia
torres, del resto, era una famiglia importante. era nota in
tutto il paese per aver stipulato importanti accordi commerciali con diverse multinazionali. Come tutta la classe
medio-alta della società argentina, aveva appoggiato
l’intervento della Junta militar e il suo programma di
riorganizzazione nazionale, una serie di riforme sociali e
politiche presentate al paese come una risposta decisa
alla grave recessione economica di quegli anni.
~
Quel giorno maria andò a prendere paula a scuola. la
trovò seduta in classe con gli occhi lucidi, si vedeva che
aveva smesso da poco di piangere. la sua divisa era in
disordine, la tasca della giacca strappata e mancavano
due bottoni dalla camicia. vicino a lei sedeva ana, una
sua compagna, ridotta più o meno nelle stesse condizioni. Si erano azzuffate e la maestra le aveva punite lasciandole in aula, mentre il resto della classe era uscito a giocare in giardino.
tra le due bambine già in passato si erano verificati
episodi simili, ma il graffio sulla guancia adesso rendeva
la cosa più grave: in qualche modo paula avrebbe dovuto giustificare la vicenda a sua madre.
maria la prese per mano e s’incamminarono verso
casa. all’improvviso iniziò a piovere.
« mi dici cos’è successo? » le domandò maria.
paula non rispose, continuò a camminare a testa
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bassa, facendo attenzione a non mettere i piedi nelle
pozzanghere. era arrabbiata, aveva i muscoli del viso
contratti, le sopracciglia aggrottate e la bocca serrata.
Diventava così quando si sentiva punita ingiustamente.
« perché avete litigato? possibile che non si può sapere? »
insistette maria.
« Ha rubato! » rispose paula a voce bassa, senza nemmeno alzare la testa. « Ha preso la merenda di Carmen,
ne ha mangiato un pezzetto e poi l’ha buttata per terra,
e Carmen ha pianto. ecco cos’ha fatto! ».
la tata cercò di minimizzare, ma in cuor suo provava
un grande senso di ammirazione per quello che la bambina era stata capace di fare. era compiaciuta per la forza
con cui aveva difeso la propria amichetta e per il senso di
giustizia mostrato anche in quell’occasione.
Non la pensava invece allo stesso modo Cristina che
dedicò solo pochi minuti ad ascoltare quello che era
successo.
« Che questo ti serva da lezione! » proruppe con tono
tagliente. « la prossima volta impara a non metterti in
mezzo a questioni che non ti riguardano e poi ti ho detto
mille volte di non alzare mai le mani. Non sei un animale! ».
Se Fernando fosse stato ancora vivo, di sicuro Cristina
si sarebbe rivolta a lei diversamente. Suo marito non tollerava simili maniere, ne faceva una questione di etichetta e sentiva forte il dovere di trasmettere a sua figlia
modelli di comportamento confacenti alla sua classe
sociale.
tuttavia, non era la prima volta che Cristina si rivolgeva a paula a quel modo, e dopo la morte del marito la
situazione era decisamente peggiorata. Nonostante
avesse desiderato per anni un figlio, pareva non mostrare alcun attaccamento materno. la sua disaffezione finiva con l’affiorare quotidianamente, attraverso un atteg-
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giamento fin troppo distaccato e privo di amorevoli
attenzioni nei confronti di sua figlia. Spesso, solo i sensi
di colpa la spingevano a recuperare il rapporto con lei,
ma i tentativi che ne scaturivano risultavano immancabilmente goffi e sterili.
anche questa volta paula commentò la sua risposta.
Non davanti a sua madre, naturalmente, ma la sera, nel
letto, prima che maria iniziasse a leggere un’altra favola
di Greta luz.
« Hai visto? mia mamma fa sempre così, te l’avevo
detto, no? ».
maria cercò una qualche giustificazione al comportamento di Cristina, facendo riferimento ancora una volta
ai suoi molteplici e irrinunciabili impegni di lavoro, al nervosismo che ne derivava, alla stanchezza, cercando così
di convincere la bambina sul fatto che sua madre, in
fondo e indubitabilmente, le voleva bene. paula però
non si lasciava convincere tanto facilmente. Continuò a
parlare di sua madre con una punta di ironia, lasciando
intendere che, anche quando passava le giornate in casa,
non giocava mai con lei. e, in effetti, quello del lavoro era
solo un pretesto. Cristina aveva preso il posto del marito
soltanto da pochi mesi.
Il fatto era che paula non aveva ancora sette anni e,
oltre alla sofferenza per la perdita improvvisa di suo
padre, doveva fare anche i conti con una madre quasi
assente. l’unica certezza, in quel momento delicato della
sua vita, era la presenza costante di maria che accompagnava le sue giornate e ogni suo pensiero. Con maria al
suo fianco, paula si sentiva al sicuro e riusciva a tenere
sotto controllo le paure, proprio come faceva Greta nelle
sue incredibili avventure. aveva anche la fortuna di vivere una grande passione per la musica, così in essa poteva trovare spesso evasione e consolazione. lo studio del
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pianoforte la impegnava molto. prendeva lezioni due
volte a settimana, in una vecchia sala a rodriguez peña
dove, in altri tempi, si era ballato il tango. l’idea di avvicinarla alla musica fin da piccola era stata di suo padre.
Fernando in cuor suo era convinto che sarebbe diventata una grande pianista. anche lui, in qualche modo, si
reputava un artista. appassionato di pittura, nei rari
momenti liberi amava dipingere schizzi su tela, paesaggi
argentini, ritratti di Cristina, scene di fantasia e creazioni
astratte. paula quindi, ad appena tre anni, aveva iniziato
a frequentare le lezioni di Nora, una maestra specializzata nell’insegnamento ai bambini, che proponeva un
approccio allo strumento del tutto singolare.
Frequentare le sue lezioni significava andare a “giocare al
pianoforte”, anche se naturalmente non si trattava solo
di questo, bensì di molto di più.
Nel corso degli incontri con Nora, paula non solo
apprendeva le basi del linguaggio musicale, ma sviluppava le proprie sensazioni uditive e imparava a liberare la
fantasia. ogni martedì e giovedì maria l’accompagnava
in quella vecchia sala e restava lì tutto il tempo seduta ad
ammirarla. adorava assistere alle lezioni, soprattutto
quando l’insegnante proponeva l’esercizio dell’ascolto,
durante il quale paula, dopo aver udito un brano, doveva descrivere le sensazioni che provava. alla musica,
rispondeva con le emozioni. ogni tanto Nora, al contrario, le chiedeva di suonare una breve composizione sulla
base dell’umore del momento. In quei casi la piccola trasferiva le proprie emozioni in ogni nota: quando era serena, le sue mani delicate sfioravano delicatamente i tasti,
producendo un suono morbido, leggero, fatto di note
che volavano via come farfalle. Suonava con la testa alta
e lo sguardo rivolto in avanti. altre volte pigiava con forza
sulla tastiera e assumeva una posizione leggermente
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ricurva, come se volesse scaricare, a ogni singola nota, le
proprie tensioni. Nell’uno e nell’altro caso, alla fine della
lezione, paula tornava a casa di buon umore. maria diceva che quello era il potere della musica. anche lei da piccola aveva desiderato imparare a suonare uno strumento, ma la sua famiglia non era benestante e non disponeva di soldi per mandarla a scuola. Sua madre era casalinga, suo padre un semplice contadino e con quello che
racimolavano, a malapena riuscivano ad arrivare a fine
mese. Così non aveva goduto della stessa fortuna di
paula che era nata in una famiglia ricca di buenos aires e
viveva a recoleta, una delle zone più prestigiose della
città.
la casa della famiglia torres era disposta su due piani
in un palazzo signorile e aveva un terrazzo enorme dove
in estate, prima della morte di Fernando, erano soliti
organizzare cene all’aperto. tra gli invitati dei signori
torres c’erano famiglie di industriali, ufficiali della marina, banchieri e altri esponenti dell’aristocrazia porteña. In
quelle occasioni, mentre paula e gli altri bambini giocavano, si era soliti discutere di politica, delle conseguenze
catastrofiche della guerra alle malvinas, della salita al
potere di reynaldo bignone, il nuovo presidente, e ci si
interrogava sullo stato d’incertezza che stava colpendo la
loro classe sociale.
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Due volte ombra - Nicola Viceconti