UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE ALL’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO SCIENTIFICO MATEMATICO FISICO INFORMATICO classe A049 matematica e fisica Unità didattica LA TEORIA DELLA RELATIVITÁ Dott. Mario Sandri Matricola 117039 Anno Accademico 2005/2006 La teoria della Relatività Mario Sandri INDICE DEI CONTENUTI Pagina 4 Destinatari Pagina 4 Prerequisiti Pagina 4 Accertamento dei prerequisiti Pagina 5 Obiettivi Pagina 5 Obiettivi generali Pagina 5 Obiettivi trasversali Pagina 6 Obiettivi specifici Pagina 6 Conoscenze (obiettivi cognitivi) Pagina 6 Competenze (obiettivi operativi) Pagina 6 Capacità (obiettivi metacognitivi) Pagina 7 Pagina 8 Sviluppo dei contenuti La vita e le opere di Albert Einstein Pagina 8 Primi anni di vita Pagina 9 La sua opera scientifica Pagina 12 Gli ultimi anni di vita Pagina 14 La teoria della Relatività Pagina 14 Scopo della relatività Pagina 16 Relatività speciale Pagina 18 I postulati della relatività speciale Pagina 20 La relatività del tempo e la dilatazione del tempo Pagina 24 Viaggi spaziali e invecchiamento biologico Pagina 24 Il decadimento del muone Pagina 25 Esempio Pagina 25 Esempio Pagina 26 Esempio Pagina 27 Esempio Pagina 29 Pagina 32 Pagina 33 La relatività delle lunghezze e la contrazione delle lunghezze Esempio La composizione relativistica delle velocità Pagina 35 Esempio Pagina 35 Esempio Pagina 2 La teoria della Relatività Pagina 37 Mario Sandri Quantità di moto e massa relativistiche Pagina 40 Esempio Pagina 40 Esempio Energia relativistica ed E = mc2 Pagina 42 Pagina 43 Materia e antimateria Pagina 44 Energia cinetica relativistica Pagina 46 Esempio Pagina 46 Esempio Pagina 47 Esempio Pagina 48 L’Universo relativistico Pagina 49 L’esperimento di Michelson-Morley Pagina 52 Il principio di equivalenza e la curvatura dello spazio-tempo Pagina 53 Relatività generale Pagina 55 Cosmologia Pagina 58 Metodologie didattiche Pagina 58 Materiali e strumenti utilizzati Pagina 59 Controllo dell’apprendimento Pagina 59 Valutazione Pagina 59 Recupero e approfondimento Pagina 59 Tempi dell’intervento didattico Pagina 60 Bibliografia Pagina 3 La teoria della Relatività Mario Sandri DESTINATARI Questa unità didattica è rivolta a studenti del 5° anno del Liceo Scientifico e del Liceo Scientifico P.N.I. PREREQUISITI • Conoscere i fondamenti della meccanica • Conoscere i fondamenti dell’elettromagnetismo • Conoscere i fondamenti della meccanica galileiana • Conoscere la terminologia fisica • Conoscere la composizione dei moti • Conoscere i moti relativi • Conoscere il concetto di spazio, tempo e velocità • Conoscere le derivate • Saper fare calcoli letterari • Saper fare calcoli numerici ACCERTAMENTO DEI PREREQUISITI Questa unità didattica prevede che l’alunno abbia completamente acquisito nelle unità didattiche precedenti le conoscenze e le competenze sui concetti fondamentali della meccanica e sulla terminologia specifica della disciplina, nonché su concetti fondamentali dell’elettromagnetismo, della cinematica, quali composizione dei moti, spazio e tempo, e della matematica, quali il calcolo letterale e numerico. Come accertamento dei prerequisiti si accettano i risultati delle verifiche sommative delle unità didattiche precedenti, pur ritenendo necessario condurre una lezione dialogata, durante la quale l’insegnante verifica ulteriormente le conoscenze ponendo alcune domande opportune. Alcuni punti essenziali e di strategica importanza sono da rivedere, integrare e rinforzare in classe, durante la prima ora dell’unità didattica, con modalità dialogica-interattiva. Gli studenti carenti in determinati argomenti, saranno invitati, entro la successiva lezione, a rivedere le tematiche in questione. Pagina 4 La teoria della Relatività Mario Sandri OBIETTIVI Obiettivi generali • Acquisire le conoscenze, competenze e capacità previste dall’unità didattica per l’argomento la teoria della relatività • Contribuire a sviluppare e soddisfare l’interesse degli studenti per la fisica, in generale, e per la meccanica, in particolare • Saper utilizzare consapevolmente procedure matematiche nell’ambito fisico • Riconoscere il contributo dato dalla meccanica allo sviluppo delle scienze umane • Migliorare l’abilità di lettura di eventi fisici evidenziando in tal senso anche capacità critiche • Motivare gli alunni ad attività di studio teorico degli aspetti quotidiani della fisica • Contribuire a rendere gli studenti in grado di affrontare situazioni problematiche di natura meccanica avvalendosi dei modelli più adatti alla loro rappresentazione • Condurre ad un appropriato utilizzo del lessico specifico della fisica e a saper argomentare con proprietà di espressione e rigore logico • Sviluppare il senso critico e la capacità di correggere errori • Acquisire un’adeguata conoscenza e comprensione dei contenuti proposti insieme alla consapevolezza del proprio stile di apprendimento • Possedere e migliorare il metodo di studio • Abituare ad un metodo autonomo di lavoro, consolidando la capacità progettuale ed organizzativa Obiettivi trasversali • Educare gli alunni ad un comportamento corretto e responsabile verso compagni ed insegnanti e al rispetto reciproco nei rapporti interpersonali • Sviluppare attitudine alla comunicazione favorendo lo scambio di opinioni tra docente e allievo e tra allievi • Proseguire ed ampliare il processo di preparazione scientifica e culturale degli studenti • Contribuire a sviluppare lo spirito critico e l’attitudine a riesaminare criticamente ed a sistemare logicamente le conoscenze acquisite Pagina 5 La teoria della Relatività Mario Sandri Obiettivi specifici Conoscenze (obiettivi cognitivi) • Conoscere le trasformazioni di Lorentz • Conoscere i postulati della relatività speciale • Conoscere la dilatazione dei tempi • Conoscere la contrazione delle lunghezze • Conoscere la composizione delle velocità relativistica • Conoscere la quantità di moto relativistica • Conoscere la relazione tra massa ed energia • Conoscere l’energia cinetica relativistica Competenze (obiettivi operativi) • Saper determinare le trasformazioni delle coordinate • Saper determinare la velocità relativa relativistica • Saper determinare la dilatazione del tempo • Saper determinare la contrazione della lunghezza • Saper determinare la quantità di moto relativistica • Saper determinare l’energia cinetica relativistica Capacità (obiettivi metacognitivi) • Riconoscere la stretta analogia tra relatività e mondo fisico • Acquisire la capacità di leggere ed interpretare fenomeni del mondo reale e fisico, applicando le competenze matematiche acquisite • Saper utilizzare le conoscenze e le competenze acquisite per risolvere problemi • Essere in grado di riconoscere in contesti diversi la presenza di fenomeni relativistici ed essere in grado di trarre informazioni sul fenomeno che rappresentano, utilizzando le conoscenze e competenze acquisite. Pagina 6 La teoria della Relatività Mario Sandri SVILUPPO DEI CONTENUTI "There was this huge world out there, independent of us human beings and standing before us like a great, eternal riddle, at least partly accessible to our inspection and thought. The contemplation of that world beckoned like a liberation." "It is almost a miracle that modern teaching methods have not yet entirely strangled the holy curiosity of inquiry; for what this delicate little plant needs more than anything, besides stimulation, is freedom." "When the Special Theory of Relativity began to germinate in me, I was visited by all sorts of nervous conflicts... I used to go away for weeks in a state of confusion." "It followed from the special theory of relativity that mass and energy are both but different manifestations of the same thing -- a somewhat unfamiliar conception for the average mind. Furthermore, the equation E is equal to m c-squared, in which energy is put equal to mass, multiplied by the square of the velocity of light, showed that very small amounts of mass may be converted into a very large amount of energy and vice versa. The mass and energy were in fact equivalent, according to the formula mentioned before. This was demonstrated by Cockcroft and Walton in 1932, experimentally." "The physicist cannot simply surrender to the philosopher the critical contemplation of the theoretical foundations; for he himself knows best and feels most surely where the shoe pinches.... he must try to make clear in his own mind just how far the concepts which he uses are justified... The whole of science is nothing more than a refinement of everyday thinking." "Dear Mother, -- Good news today. H.A. Lorentz has wired me that the British expeditions have actually proved the light deflection near the sun." Pagina 7 La teoria della Relatività Mario Sandri LA VITA E LE OPERE DI ALBERT EINSTEIN Il fisico Albert Einstein, nato in Germania, poi cittadino svizzero e quindi statunitense (Ulm, Württemberg 1879 - Princeton, New Jersey 1955), contribuì più di qualsiasi altro scienziato alla moderna visione della realtà fisica del sec. XX. Sulla scia degli eventi della prima guerra mondiale, le teorie di Einstein, specialmente la sua teoria della relatività, sembrarono a molte persone la via per giungere a una qualità di pensiero libera e incontaminata, che la guerra e le sue conseguenze avevano praticamente eliminato. Raramente uno scienziato ha suscitato tanto interesse nell’opinione pubblica per la sua dedizione all’accrescimento della conoscenza. Primi anni di vita Quando Einstein era bambino, i suoi genitori, ebrei non osservanti, si trasferirono da Ulm a Monaco di Baviera. La sua famiglia si occupava della fabbricazione di apparecchi elettrici, ma nel 1894 la ditta fallì e quindi gli Einstein andarono a vivere a Milano. Fu in questo periodo che Albert Einstein decise ufficialmente di rifiutare la sua cittadinanza tedesca. L’anno seguente, senza aver ancora terminato la scuola secondaria, Einstein non riuscì a superare l’esame di ammissione a un corso di ingegneria elettrica presso l’Istituto federale svizzero per la tecnologia (il Politecnico di Zurigo). Passò quindi l’anno successivo nei pressi di Aarau, frequentando la scuola secondaria cantonale, dove trovò insegnanti eccellenti e ottime opportunità per lo studio della fisica. Einstein tornò quindi nel 1896 al Politecnico di Zurigo dove ebbe tra i suoi maestri il fisico Hermann Minkowski e dove nel 1900 conseguì il diploma per l’insegnamento della matematica e della fisica nelle scuole secondarie. Nel 1901, assunta la cittadinanza svizzera, si sposò con una studentessa di origine serba. Dopo circa due anni ottenne un posto all’ufficio brevetti svizzero di Berna. Il lavoro lo occupava molto, ma proprio durante questo periodo, dal 1902 al 1909, Einstein pubblicò una sorprendente serie di articoli di fisica teorica, scrivendo la maggior parte di questi lavori nei ritagli di tempo e senza avere la possibilità di contatti con la letteratura scientifica e con altri fisici teorici. Einstein presentò uno di questi scritti all’Università di Zurigo per il conseguimento del dottorato, che ottenne nel 1905. Tre anni più tardi spedì un secondo lavoro all’Università di Berna, diventando libero docente, o lettore, di quella Università. Infine, l’anno successivo, Einstein ricevette un incarico di professore associato di fisica all’Università di Zurigo. Nel 1909 Einstein fu riconosciuto studioso e pensatore scientifico di primo piano in tutta l’Europa di lingua tedesca. In rapida successione, tenne insegnamenti di fisica all’Università tedesca di Praga e al Politecnico di Zurigo. Nel 1914 arrivò a ricoprire l’incarico più prestigioso e meglio retribuito che un fisico teorico potesse ottenere in Europa: professore alla Kaiser Wilhelm Gesellschaft di Berlino. Sebbene Pagina 8 La teoria della Relatività Mario Sandri Einstein avesse un doppio incarico di insegnamento all’Università di Berlino, da questo periodo in poi non tenne più alcun corso universitario regolare. Rimase però all’interno dell’Università fino al 1933 e da quell’anno fino al 1955, anno della sua morte, ricoprì un equivalente incarico di ricerca presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey. La sua opera scientifica Nel primo dei tre lavori pubblicati nel 1905, Einstein esaminò il fenomeno scoperto da Max Planck, per il quale l’energia elettromagnetica sembra essere emessa dagli oggetti radianti in quantità discrete. L’energia di queste entità, i cosiddetti quanti di luce, era direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione. Questa circostanza dava abbastanza da pensare perché la teoria elettromagnetica classica, basata sulle equazioni di Maxwell e sulle leggi della termodinamica, aveva stabilito che l’energia elettromagnetica consisteva in onde propagantisi in un mezzo che pervade tutto lo spazio, “l’etere luminifero", e che le onde avrebbero potuto contenere quantità qualsiasi di energia, anche quantità comunque piccole. Einstein utilizzò l’ipotesi quantistica di Planck per descrivere la radiazione elettromagnetica visibile, cioè la luce. Secondo il pensiero euristico di Einstein, la luce può essere immaginata come formata da particelle discrete di radiazione. Einstein si servì poi di questa interpretazione per spiegare l’effetto fotoelettrico, per il quale certi metalli emettono elettroni quando vengono colpiti da radiazioni luminose di determinate frequenze. Questa teoria e la sua seguente elaborazione, sviluppata dallo scienziato stesso, ha costituito la base di gran parte della meccanica quantistica. Il secondo dei lavori che Einstein pubblicò nel 1905 una memoria negli Annalen der Physik, intitolata Zur Elektrodynamik bewegter Körper, nella quale erano esposti i principi della sua teoria oggi nota della relatività ristretta che doveva sconvolgere le concezioni della fisica classica gettando le basi per una nuova impostazione delle ricerche scientifiche: la teoria si basa sul principio che le leggi fisiche devono essere le stesse per ogni sistema di riferimento inerziale e che la velocità della luce nel vuoto è una costante ed è indipendente da quella della sorgente luminosa. Einstein in quel periodo era a conoscenza della teoria dell’elettrone sviluppata da Hendrick Antoon Lorentz, secondo la quale la massa di un elettrone aumenta se la sua velocità si avvicina a quella della luce. Inoltre Einstein sapeva che la teoria dell’elettrone, basata sulle equazioni di Maxwell, presupponeva l’esistenza dell’etere, ma che i tentativi fatti per determinarne le proprietà fisiche non avevano avuto successo. Einstein perciò formulò l’ipotesi che le equazioni che descrivono il moto di un elettrone possano in effetti descrivere il moto non accelerato di qualsiasi particella e di qualsiasi corpo opportunamente definito come rigido. Basò la sua nuova cinematica sulla reinterpretazione del principio di relatività classico, Pagina 9 La teoria della Relatività Mario Sandri cioè che le leggi della fisica devono avere la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento. Come seconda ipotesi fondamentale Einstein suppose che la velocità della luce rimanesse costante in tutti i sistemi di riferimento, come era previsto dalla teoria maxwelliana classica, e abbandonò l’ipotesi dell’etere cosmico, dato che non aveva alcun ruolo nella sua cinematica e nella sua reinterpretazione della teoria dell’elettrone di Lorentz. Una conseguenza della teoria di Einstein è il fenomeno della dilatazione del tempo, per cui il tempo, analogamente a ciò che avviene per la lunghezza e la massa, è funzione della velocità del sistema di riferimento. Alcuni mesi più tardi, ma sempre nel 1905, Einstein elaborò la teoria secondo la quale, in un certo senso, massa ed energia sono equivalenti. Einstein non fu il primo a proporre tutti gli elementi che facevano parte della teoria della relatività speciale, ma fu il primo a unificare importanti enunciazioni della meccanica classica e dell’elettrodinamica maxwelliana. Il terzo lavoro di Einstein, pubblicato nel 1905, riguardava la meccanica statistica, un campo di studio elaborato tra gli altri da Ludwig Boltzmann e Josiah Willard Gibbs. Senza conoscere le ricerche di Gibbs, Einstein sviluppò il lavoro di Boltzmann e calcolò la traiettoria media di una particella microscopica urtata in collisioni casuali dalle molecole di un fluido o di un gas. Einstein osservò che i suoi calcoli potevano spiegare il fenomeno del moto browniano, cioè il movimento disordinato del polline immerso in un liquido, osservato per la prima volta dal botanico inglese Robert Brown. Il lavoro di Einstein dimostrò l’esistenza di molecole di dimensioni atomiche, esistenza che aveva già dato origine a numerose discussioni teoriche. I suoi risultati furono ottenuti indipendentemente anche dal fisico polacco Marian von Smoluchowski e più tardi vennero rielaborati dal fisico francese Jean Perrin. Grazie a tale teoria fu possibile ottenere una diversa e diretta valutazione del numero di Avogadro. Questi studi gli valsero la nomina a professore ordinario di fisica teorica presso l’università tedesca di Praga (1911-1912) e poi quella di professore ordinario di matematiche superiori presso il politecnico di Zurigo (1912-1913); nel 1913, senza rinunciare alla cittadinanza svizzera, accettò l’incarico per l’insegnamento della fisica e della matematica presso l’Accademia delle scienze prussiana; nel 1914 si stabilì definitivamente in Germania e nello stesso anno succedette a J. E. Van’t Hoff nella direzione del Kaiser Wilhelm Institut, a Berlino: passò quindi a seconde nozze con una sua cugina. Dopo il 1905, Einstein continuò a lavorare in tutti e tre questi campi. Contribuì largamente agli sviluppi della teoria quantistica, ma cercò soprattutto di ampliare la teoria della relatività speciale, estendendola ai fenomeni concernenti l’accelerazione. La chiave per questa elaborazione vide la luce nel 1907 con l’enunciazione del principio di equivalenza, secondo il quale l’accelerazione gravitazionale non si può distinguere a priori dall’accelerazione causata da forze meccaniche: la massa gravitazionale è perciò identica alla massa inerziale. Einstein elevò questo principio, che è Pagina 10 La teoria della Relatività Mario Sandri implicito nelle teorie di Isaac Newton, a principio guida del suo tentativo di spiegare sia l’accelerazione elettromagnetica che quella gravitazionale come facenti parte di un unico insieme di leggi fisiche. Così nel 1907 propose che, se la massa è equivalente all’energia, il principio di equivalenza richiede che la massa gravitazionale interagisca con la massa apparente della radiazione elettromagnetica, compresa quella della radiazione luminosa. Nel 1911 Einstein fu in grado di prevedere che un raggio di luce proveniente da una stella lontana, passando vicino al Sole, viene attratto, e leggermente deviato, in direzione della massa solare. Allo stesso modo, la luce che si irradia dal Sole interagisce con la massa solare e il risultato di questa interazione è una leggera variazione dello spettro ottico solare verso la sua estremità infrarossa. A questo punto Einstein sapeva anche che ogni nuova teoria della gravitazione avrebbe dovuto tenere conto di una piccola ma persistente anomalia del moto del pianeta Mercurio intorno al Sole. Verso il 1912 Einstein iniziò una nuova fase delle sue ricerche sulla gravitazione con l’aiuto del matematico Marcel Grossman, suo amico, per riformulare le sue teorie utilizzando il calcolo tensoriale, elaborato da Tullio LeviCivita e Gregorio Ricci-Cubastro. Il calcolo tensoriale facilitava enormemente i calcoli nello spazio-tempo a quattro dimensioni. Einstein ricavò questa nozione, da un’elaborazione matematica della sua teoria della relatività speciale fatta da Hermann Minkowski. Nel 1916 nella memoria intitolata: Die Grundlagen der allgemeinen Relativitätstheorie, espose in forma definitiva la sua teoria della relatività generale, dove, in base al postulato dell’equivalenza fra tutti i sistemi inerziali e non inerziali, formulò una nuova teoria della gravitazione in cui il campo gravitazionale generato da ogni corpo materiale è rappresentato come una modificazione delle proprietà geometriche dello spazio fisico. Come conseguenza di ciò, la geometria euclidea risultò insufficiente a descrivere le leggi secondo le quali i corpi si comportano nello spazio: infatti, la curvatura dello spazio, ipotizzata dalla teoria, induce a considerare la retta, il piano e le altre entità geometriche, il principio d’inerzia e le altre leggi classiche della teoria newtoniana della gravitazione universale, come casi limite validi solo, con grandissima approssimazione, per lo spazio del nostro sistema planetario. La formulazione matematica della teoria fu possibile, in quanto Einstein adottò la nuova matematica non euclidea formulata da Riemann. In essa il campo gravitazionale era espresso da equazioni covarianti, perché così, come per le equazioni di Maxwell, le equazioni del campo assumono la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento equivalenti. Dimostrando la propria validità fin dall’inizio, le equazioni covarianti del campo fornirono il moto osservato di Mercurio intorno al Sole. La teoria della relatività generale di Einstein nella sua forma originale è stata verificata in numerose occasioni, e in particolar modo nelle spedizioni per le eclissi solari, le quali permisero di verificare la previsione di Einstein per la deflessione della luce dovuta al campo gravitazionale. Pagina 11 La teoria della Relatività Mario Sandri Gli ultimi anni di vita Quando le spedizioni inglesi, in occasione dell’eclissi solare del 29 marzo 1919, confermarono le previsioni di Einstein, lo scienziato venne lungamente celebrato dalla stampa popolare. Anche la sua etica personale aveva acceso l’immaginazione della gente. Einstein, che dopo il suo ritorno in Germania nel 1914 non richiese la cittadinanza tedesca rifiutata anni prima, entrò a far parte del piccolo gruppo di professori tedeschi pacifisti che non appoggiava la politica degli armamenti della Germania. Dopo la fine della guerra, quando gli alleati vittoriosi tendevano a escludere gli scienziati tedeschi dagli incontri internazionali, Einstein, un ebreo che viaggiava con passaporto svizzero, fu considerato accettabile come rappresentante tedesco. La sua visione politica di pacifista e sionista, lo fece entrare in conflitto con i conservatori tedeschi che lo bollarono di tradimento e disfattismo. I riconoscimenti pubblici tributati alla sua teoria della relatività gli valsero anche, negli anni Venti, furiosi attacchi da parte dei fisici antisemiti Johannes Stark e Philipp Lenard, uomini che, dopo il 1932 cercarono di fondare in Germania la cosiddetta fisica ariana. Le circostanze in cui Einstein ricevette il premio Nobel nel 1921 dimostrano come la teoria della relatività rimanesse discutibile e controversa per i fisici più rigidi e chiusi; infatti il premio fu assegnato ad Einstein, non per la relatività, ma per il suo lavoro del 1905 sull’effetto fotoelettrico. Con l’avvento del nazismo in Germania, Einstein si trasferì negli Stati Uniti e abbandonando il suo pacifismo, convenne, sia pure con riluttanza, che il nuovo stato di cose poteva essere cambiato soltanto con la forza delle armi. In questo contesto Einstein inviò una lettera al presidente Roosevelt, con la quale lo spingeva a istituire un programma di ricerca per la realizzazione della bomba atomica, prima che lo facesse la Germania. La lettera, scritta dall’amico di Einstein, Leo Szilard, fu uno dei molti scambi di opinioni avuti tra Einstein e la Casa Bianca e contribuì alla decisione di Roosevelt di fondare il progetto Manhattan. Sebbene fosse considerato dall’opinione pubblica un eroe delle cause impopolari, come la sua opposizione negli anni Cinquanta alla Commissione sulle attività antiamericane del senatore McCarthy, le sue iniziative a favore del disarmo nucleare, le maggiori energie di Einstein erano comunque rivolte ancora ai problemi della fisica. All’età di 59 anni, quando altri fisici teorici avevano ormai abbandonato da tempo le ricerche scientifiche originali, Einstein insieme ai suoi collaboratori Leopold Infeld e Banesh Hoffmann giunse a nuovi e importanti risultati nella teoria della relatività. Fino al termine della sua vita Einstein cercò di elaborare una teoria unificata dei campi, con la quale i fenomeni della gravitazione e dell’elettromagnetismo potessero essere derivati da un unico gruppo di equazioni. Pochi fisici seguirono la strada di Einstein negli anni dopo il 1920, dato che la loro attenzione fu attirata più della fisica quantistica che dalla relatività. Da parte sua, Einstein non riuscì mai ad accettare la nuova meccanica quantistica con il suo principio di indeterminazione formulato da Werner Heisenberg ed elaborata in un nuovo modello Pagina 12 La teoria della Relatività Mario Sandri epistemologico da Niels Bohr. Sebbene le ultime idee di Einstein siano state abbandonate per diversi anni, adesso i fisici si stanno dedicando seriamente e con grande impegno alla realizzazione del sogno di Einstein: una grande unificazione delle teorie fisiche. Nel 1950 pubblicò un’appendice alla terza edizione del suo libro The Meaning of Relativity, in cui formulava alcune ipotesi sul problema cosmologico affermando, tra l’altro, che l’asserzione di un inizio dell’espansione dell’universo va considerata solo una singolarità in senso matematico; che lo spazio quadridimensionale è isotropo rispetto a tre dimensioni; che l’universo va inteso come un’entità finita in espansione; che l’età dell’universo è maggiore di quella della Terra (ipotesi, questa, poi confermata). Nel 1953 pubblicò una seconda appendice alla stessa opera con la quale esponeva i principi di una generalizzazione della teoria della relatività (teoria del campo unificato), mediante cui erano legate in una sola relazione le teorie della gravitazione e dell’elettromagnetismo, il che ricondurrebbe a un unico sistema tutti i fenomeni fisici macroscopici. Non fu possibile per Einstein giungere a controllare l’esattezza delle sue formulazioni, poiché non esiste una matematica in grado di risolvere il sistema di equazioni proposto per la verifica sperimentale della nuova teoria. Convinto della giustezza delle sue idee, lo scienziato finì con l’isolarsi dalla maggior parte dei fisici, che egli giudicava soggetti a una concezione statica della materia e legati all’interpretazione probabilistica dei fenomeni fisici, da lui ritenuta, pur essendone uno degli ideatori, non soddisfacente. Per la genialità delle sue concezioni, per la profondità di pensiero, per l’influsso esercitato su intere generazioni di studiosi, Einstein deve essere considerato uno dei maggiori, se non il più grande, scienziato di tutti i tempi. Pagina 13 La teoria della Relatività Mario Sandri LA TEORIA DELLA RELATIVITA’ La teoria della relatività di Albert Einstein ha dato origine alla più grande rivoluzione nel campo della fisica e della astronomia del sec. XX. Essa ha introdotto nel pensiero scientifico il concetto di "relatività" (la nozione che nell’universo non vi è nessun moto assoluto, ma soltanto moto relativo) sostituendo in tal modo la teoria della meccanica di Isaac Newton, formulata 200 anni prima. Einstein ha mostrato che noi non viviamo in uno spazio euclideo piatto e nel tempo assoluto e uniforme dell’esperienza quotidiana, ma in un ambiente diverso; lo spazio-tempo curvo. La teoria ha giocato un ruolo importante negli sviluppi della fisica che hanno portato all’era nucleare (con tutte le sue potenzialità, sia per quanto riguarda i benefici che per quanto riguarda le distruzioni) e che hanno reso possibile una comprensione del microcosmo delle particelle elementari e delle loro interazioni. Essa ha anche rivoluzionato il nostro punto di vista sulla cosmologia, con le sue predizioni di fenomeni astronomici apparentemente strani, come a esempio il big bang, le stelle di neutroni, i buchi neri, e le onde gravitazionali. Scopo della relatività La teoria della relatività è un’unica teoria che comprende la teoria dello spazio-tempo, della gravitazione e della meccanica. Essa, tuttavia, è generalmente considerata come formata di due parti separate, teoricamente indipendenti: la relatività speciale, o ristretta, e la relatività generale. Un motivo di questa divisione è senz’altro il fatto che Einstein presentò la relatività speciale nel 1905, mentre la relatività generale non venne pubblicata, nella sua forma finale, fino al 1916. Un’altra ragione risiede nei campi di applicazione molto diversi delle due parti della teoria: la relatività speciale nel campo della fisica microscopica, la relatività generale nel campo dell’astrofisica e della cosmologia. Un terzo motivo risiede nel fatto che i fisici hanno accettato e compreso la relatività speciale fin dagli inizi degli anni Venti. Essa divenne rapidamente uno strumento di lavoro per i teorici e per gli sperimentatori nei campi, allora nascenti, della fisica atomica e nucleare e della meccanica quantistica. Questa rapida accettazione non ebbe luogo, tuttavia, per la relatività generale. La teoria infatti non sembrò avere lo stesso diretto collegamento con l’esperienza come la teoria speciale; la maggior parte delle sue applicazioni si avevano su scala astronomica, ed essa si limitava in apparenza ad aggiungere minuscole correzioni alle previsioni della teoria della gravitazione di Newton; il suo influsso sulla cosmologia non si sarebbe sentito per un altro decennio ancora. Inoltre il livello di comprensione della matematica, che interveniva nella teoria, era portato a un grado di difficoltà estremamente alto. All’astronomo inglese sir Arthur Eddington, uno dei primi a comprendere interamente la teoria nei suoi dettagli, fu chiesto una volta se era vero che Pagina 14 La teoria della Relatività Mario Sandri soltanto tre persone al mondo comprendevano la relatività generale. Si dice che egli avesse risposto: "Chi è la terza?". Questo stato di cose perdurò per quasi quarant’anni. La teoria della relatività generale veniva considerata un argomento di grande impegno, adatto non per i fisici, ma per i matematici puri e per i filosofi. Verso il 1960, tuttavia, cominciò a rinascere un notevole interesse per la relatività generale, che in tal modo è diventata una branca importante della fisica e dell’astronomia (nel 1977 la battuta di Eddington venne ricordata a una conferenza sulla relatività generale, alla quale erano presenti più di 800 ricercatori in quel campo). Questo sviluppo ha le sue radici, in primo luogo, nell’applicazione, iniziata attorno al 1970, di nuove tecniche matematiche allo studio della relatività generale. Tali tecniche hanno semplificato in modo ragguardevole i calcoli e hanno permesso di estrarre dalla complessità matematica i concetti fisici significativi. In secondo luogo tale sviluppo è dovuto alla scoperta di fenomeni astronomici fuori del comune in cui la relatività generale poteva giocare un ruolo importante; tra questi si includono i quasar (1963), il fondo di radiazione a microonde a 3 K (1965), le pulsar (1967), e la probabile scoperta dei buchi neri (1971). Inoltre, il rapido sviluppo tecnologico degli anni Sessanta e Settanta ha fornito ai fisici sperimentali nuovi strumenti di alta precisione per verificare se la teoria della relatività generale fosse la corretta teoria della gravitazione. La distinzione tra la relatività speciale e lo spazio tempo curvo della relatività generale è in larga misura una questione di gradualità. In realtà, la relatività speciale è un’approssimazione allo spazio tempo curvo valida in regioni dello spazio-tempo sufficientemente piccole, nella stessa maniera in cui la superficie totale di una mela è curva anche se una piccola regione di essa può essere considerata approssimativamente piatta. Perciò la relatività speciale può venire usata ogni volta che la scala dei fenomeni studiati è piccola in confronto alla scala su cui la curvatura dello spazio-tempo (gravitazione) comincia a manifestarsi. Per la maggior parte delle applicazioni nella fisica atomica o nucleare quest’approssimazione è così accurata che la relatività speciale può considerarsi esatta; in altre parole si può ammettere che la gravità sia completamente assente. Da questo punto di vista la relatività speciale e tutte le sue conseguenze possono venire "dedotte" da un unico semplice postulato. In presenza della gravità, tuttavia, può manifestarsi la natura approssimata della relatività speciale stessa e quindi è necessario introdurre il principio di equivalenza per determinare la maniera in cui la materia si comporta nello spazio tempo curvo. Infine, per capire in che modo lo spazio-tempo viene incurvato dalla presenza della materia, è necessario applicare la relatività generale. Pagina 15 La teoria della Relatività Mario Sandri Relatività speciale I due concetti fondamentali della relatività speciale sono il sistema inerziale e il principio di relatività. Un sistema di riferimento inerziale è una qualsiasi regione dello spazio, come a esempio un laboratorio in caduta libera in cui tutti i corpi si muovono in linea retta con velocità uniforme. Tale regione è esente da effetti di gravitazione e viene detta sistema galileiano. Il principio di relatività postula che il risultato di un qualsiasi esperimento fisico eseguito all’interno di un laboratorio in un sistema inerziale è indipendente dalla velocità uniforme del sistema stesso. In altre parole, le leggi della fisica devono avere la stessa forma in qualsiasi sistema inerziale. Un corollario che ne discende è che la velocità della luce deve essere la stessa in ogni sistema inerziale (dal momento che la misura della velocità della luce è un esperimento fisico) indipendentemente dalla velocità della sorgente e da quella dell’osservatore. In definitiva tutte le leggi e tutte le conseguenze della relatività generale possono venir dedotte da questi concetti. La prima conseguenza importante è la relatività della simultaneità. Poiché una definizione operativa di eventi simultanei in punti diversi dello spazio implica l’invio di segnali luminosi tra essi, si deduce che due eventi simultanei in un sistema inerziale possono non essere simultanei quando sono osservati da un sistema di riferimento che risulti in moto relativo rispetto al primo. Questa conclusione ha permesso di rigettare il concetto newtoniano di un tempo assoluto e universale. Un’altra conseguenza della relatività è che la legge di trasformazione, che permette il passaggio dalle coordinate x, y, z, t, di un sistema di riferimento inerziale alle coordinate x’, y’, z’, t’, di un altro sistema di riferimento, che si muove con velocità v rispetto al primo (a esempio nella direzione x), non è più la legge di trasformazione galileiana, bensì la trasformazione di Lorentz dove c è la velocità della luce (300.000 Km/s). x − vt ⎧ ⎪x ' = v2 ⎪ 1− 2 ⎪ c ⎪y' = y ⎪⎪ ⎨z ' = z ⎪ v⋅x ⎪ t− 2 ⎪t ' = c ⎪ v2 ⎪ 1− 2 ⎪⎩ c Questa legge di trasformazione fu ottenuta nel 1895 da Hendrik A. Lorentz come risultato del suo lavoro sull’elettromagnetismo e sulla teoria degli elettroni. Einstein dimostrò che tale legge era Pagina 16 La teoria della Relatività Mario Sandri una proprietà fondamentale dello spazio tempo. Un effetto previsto dalle trasformazioni di Lorentz è la contrazione di Fitzgerald-Lorentz, che consiste in un’apparente diminuzione, della lunghezza di una bacchetta in movimento rispetto a una bacchetta identica in quiete. Questo effetto fu proposto per la prima volta nel 1892 da George F. Fitzgerald allo scopo di spiegare l’insuccesso dell’esperimento di Michelson e Morley, eseguito nel 1887 per rivelare la dipendenza della velocità della luce dal moto della Terra attraverso il cosiddetto etere, cioè il mezzo nel quale si pensava che la luce dovesse propagarsi. Einstein puntualizzò che il principio di relatività rendeva superfluo il concetto di etere, dal momento che il risultato di Michelson e Morley poteva venire spiegato usando un qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Un altro effetto della relatività speciale è l’apparente dilatazione degli intervalli temporali misurati da un orologio in movimento rispetto a quelli misurati da un orologio in quiete. Questa "dilatazione temporale" è stata confermata con un elevato grado di precisione da numerosi esperimenti eseguiti in laboratorio, compreso uno del 1966 in cui dei muoni instabili (mesoni mu), che si muovevano a una velocità di 0,997 c, avevano una vita media esattamente 12 volte più lunga di quella dei muoni a riposo. Quando si modifica la meccanica di Newton, che è invariante per una trasformazione di Galileo, per renderla invariante per una trasformazione di Lorentz, si ottiene come conseguenza che la quantità di moto di una particella la cui massa di riposo è m, non è più mv, ma la massa della particella aumenta con il progressivo aumentare della sua velocità. Questo aumento relativistico dell’inerzia impedisce alle particelle di venire accelerate fino, e oltre, alla velocità della luce. Tale effetto è stato osservato innumerevoli volte negli acceleratori di particelle ad alta energia. Einstein ha inoltre mostrato che ciò che in un sistema di riferimento inerziale appare come energia si può manifestare come massa in un altro sistema di riferimento; quindi entrambe sono manifestazioni della stessa entità e sono collegate fra loro dalla famosa equazione E = mc². Le più importanti conseguenze e conferme della relatività speciale emergono in varie maniere quando essa viene associata alla meccanica quantistica; si hanno in tal modo molte previsioni in accordo con gli esperimenti, come a esempio lo spin delle particelle elementari, la struttura fine dell’atomo, l’antimateria ecc. I fondamenti matematici della relatività speciale vennero posti nel 1908 dal matematico tedesco Hermann Minkowski, che introdusse il concetto di uno "spazio-tempo quadridimensionale" nel quale il tempo, cioè la quarta dimensione dello spazio-tempo di Minkowski, è trattato alla stessa stregua delle tre dimensioni dello spazio. Pagina 17 La teoria della Relatività Mario Sandri I postulati della relatività speciale Può sorprenderci il fatto che la teoria della relatività di Einstein sia basata su due semplici postulati e che l’algebra sia l’unica conoscenza matematica richiesta per ottenere i risultati più importanti. I postulati della relatività ristretta formulati da Einstein possono essere espressi nel seguente modo: • Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. • La velocità della luce nel vuoto, c = 3,00 · 108 m/s, è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali ed è indipendente dal moto della sorgente e da quello dell’osservatore. Il primo postulato è sicuramente ragionevole. Ricordiamo che un sistema di riferimento inerziale è un sistema nel quale valgono le leggi del moto di Newton. In particolare, un corpo sul quale non agiscono forze, ha un’accelerazione nulla in tutti i sistemi inerziali. Il primo postulato di Einstein non fa altro che estendere questa nozione di sistema inerziale per coprire tutte le leggi della fisica, comprese quelle della termodinamica, dell’elettricità, del magnetismo e delle onde elettromagnetiche. Per esempio, un esperimento di meccanica eseguito sulla superficie della Terra (che approssimativamente possiamo considerare un sistema inerziale) fornisce gli stessi risultati che fornirebbe se fosse fatto a bordo di un aereo che viaggia a velocità costante. Inoltre, il comportamento del calore, dei magneti e dei circuiti elettrici è il medesimo sull’aereo e a terra. Tutti i sistemi di riferimento inerziali si muovono l’uno rispetto all’altro con velocità costante (che vuol dire accelerazione nulla). Quindi, la teoria della relatività ristretta è “ristretta” nel senso che limita le considerazioni a sistemi non accelerati. Il caso più generale, nel quale viene preso in considerazione il moto accelerato, è l’argomento della teoria della relatività generale. Nel caso della Terra, le accelerazioni associate al suo moto orbitale e di rotazione sono abbastanza piccole da poter essere trascurate nella maggior parte degli esperimenti. Perciò, salvo avviso contrario, considereremo la Terra e i corpi in movimento con velocità costante rispetto a essa come sistemi di riferimento inerziali. Il secondo postulato della relatività è meno intuitivo del primo. In particolare, esso stabilisce che la luce viaggia nel vuoto sempre alla stessa velocità c, indipendentemente dal fatto che la sorgente oppure l’osservatore siano in movimento. Per comprendere le implicazioni di questa affermazione, consideriamo per un momento le onde nell’acqua. Immaginiamo un osservatore fermo rispetto all’acqua e due sorgenti, A e B, in movimento che generano onde. Sia le onde prodotte da A sia quelle prodotte da B, una volta generate, viaggiano alla velocità caratteristica va, delle onde Pagina 18 La teoria della Relatività Mario Sandri nell’acqua. Perciò l’osservatore vede una velocità delle onde che è indipendente dalla velocità della sorgente, proprio come postulato per la luce. Per contro, supponiamo che l’osservatore sia in moto con una velocità v rispetto all’acqua. Se l’osservatore si muove verso destra e le onde dell’acqua si muovono verso sinistra con velocità va le onde passano davanti all’osservatore con velocità v + va. Analogamente, se anche le onde dell’acqua si muovono verso destra l’osservatore troverà che viaggiano a una velocità v - va. Chiaramente, il fatto che l’osservatore sia in moto rispetto al mezzo nel quale viaggiano le onde (in questo caso l’acqua) ci fa capire che la velocità osservata delle onde nell’acqua dipende dalla velocità dell’osservatore. Prima della teoria della relatività di Einstein, era generalmente accettato che una simile situazione valesse anche per le onde luminose. In particolare, si pensava che la luce si propagasse attraverso un ipotetico mezzo, chiamato etere luminifero o più brevemente “etere”, che permeava tutto lo spazio. Dato che la Terra ruota intorno al suo asse a circa 1500 km/h e orbita intorno al Sole con una velocità di circa 100000 km/h, ne consegue che deve muoversi rispetto all’etere. Se ciò è vero, deve essere possibile rivelare questo moto misurando la velocità della luce che si propaga in direzioni diverse, come nel caso delle onde nell’acqua. I fisici americani A.A. Michelson (18521931) ed E. W. Morley (1838-1923) condussero dal 1883 al 1887, a questo scopo, esperimenti estremamente precisi. Non riuscirono a rivelare alcuna differenza nella velocità della luce. Più recenti e accurati esperimenti hanno portato alla medesima conclusione, permettendoci di affermare che il secondo postulato della relatività è una descrizione accurata del comportamento della luce. Per vedere quanto possa essere poco intuitivo il secondo postulato, esaminiamo la seguente situazione. Un raggio di luce si propaga verso destra con velocità c rispetto ad un osservatore fermo. Un secondo osservatore si muove anch’esso verso destra con velocità 0,9 c. Sebbene sembri naturale pensare che il secondo osservatore veda il raggio di luce passare a una velocità di solo 0,1 c, non è così. Egli, come tutti gli osservatori in sistemi di riferimento inerziali, vede il raggio viaggiare con la velocità della luce c. Perchè le osservazioni fatte siano valide, cioè perchè entrambi gli osservatori misurino la stessa velocità della luce, il comportamento dello spazio e quello del tempo, quando le velocità si avvicinano a c, devono essere diversi dall’esperienza quotidiana. Questo è quanto avviene effettivamente, come vedremo in dettaglio. Nelle situazioni quotidiane la fisica descritta dalle leggi di Newton è perfettamente adeguata. In effetti le leggi di Newton sono valide per velocità molto piccole, mentre la teoria della relatività di Einstein fornisce risultati corretti per tutte le velocità, da zero alla velocità della luce. Poiché tutti gli osservatori inerziali misurano la stessa velocità della luce, essi hanno tutti ugualmente ragione quando affermano di essere in quiete. Per esempio, il primo osservatore del caso precedente può dire di essere in quiete e che l’altro osservatore si sta muovendo con velocità di Pagina 19 La teoria della Relatività Mario Sandri 0,9 c verso destra. Anche quest’osservatore è ugualmente nel giusto quando afferma di essere in quiete e che il primo osservatore è in moto verso sinistra con velocità di 0,9 c. Dal punto di vista della relatività entrambi hanno ragione. Non esiste una quiete assoluta o un moto assoluto, ma soltanto un moto rispetto a qualcos’altro. Infine, osserviamo che non avrebbe senso per il secondo osservatore avere una velocità maggiore di quella della luce. Se fosse così, non sarebbe possibile per la luce sorpassare l’osservatore, tanto meno sorpassarlo con la velocità c. Perciò, concludiamo che la massima velocità nell’Universo è la velocità della luce. La relatività del tempo e la dilatazione del tempo Generalmente pensiamo che il tempo fluisca in avanti a velocità costante, come ci suggerisce la nostra esperienza di tutti i giorni. Tuttavia, non è così quando abbiamo a che fare con velocità che si avvicinano alla velocità della luce. Se, per esempio, osservassimo una navicella spaziale che si muove rispetto a noi con una velocità di 0,5 c, vedremmo che gli orologi nella navicella sono rallentati rispetto al nostro, anche se sono identici in tutti gli altri aspetti. Per calcolare la differenza tra un orologio in movimento e uno in quiete, consideriamo “l’orologio a luce”. In questo orologio, un ciclo inizia quando viene emesso un lampo di luce dalla sorgente S: la luce percorre la distanza d fino allo specchio, dove viene riflessa, torna indietro per una distanza d fino al rivelatore D e fa partire il lampo successivo. Potremmo pensare che ogni viaggio di andata e ritorno di un raggio di luce sia un “tic” dell’orologio. Iniziamo con il calcolare l’intervallo di tempo fra i tic di questo orologio quando è in quiete, cioè quando la sua velocità rispetto all’osservatore è nulla. Poiché la luce percorre una distanza 2d con una velocità costante c, il tempo fra due tic è: ∆t 0 = 2d c L’indice 0 indica che l’orologio è in quiete (v = 0 m/s) nel momento in cui effettuiamo la misura. Al contrario, consideriamo lo stesso orologio a luce che si muove con una velocità v. La luce ora deve seguire un percorso a zigzag per completare un tic. Poiché questo percorso è più lungo di 2d e la velocità è sempre la stessa, per quanto affermato dal secondo postulato della relatività, il tempo fra due tic deve essere maggiore di ∆t0. Poiché il tempo fra due tic è maggiore, l’orologio rallenta. Chiamiamo questo fenomeno dilatazione del tempo, perché l’intervallo fra due tic è Pagina 20 La teoria della Relatività Mario Sandri aumentato, cioè dilatato. Per calcolare il tempo dilatato ∆t, osserviamo che nel tempo ∆t/2 l’orologio si è mosso orizzontalmente di un tratto v∆t/2, che è a metà fra la posizione iniziale e quella finale (cioè alla fine del tic). La distanza percorsa dalla luce in tale tempo è c∆t/2. Applicando il teorema di Pitagora a questo triangolo troviamo la relazione seguente: 2 ⎛ ∆t ⎞ ⎛ ∆t ⎞ 2 ⎜v ⎟ + d = ⎜c ⎟ ⎝ 2 ⎠ ⎝ 2 ⎠ 2 Ricaviamo il tempo ∆t: ∆t = Ricordando che ∆t0 = 2d c2 − v2 2d = c 1− v2 c2 2d , possiamo legare tra loro i due intervalli di tempo come segue: c ∆t = ∆t0 1− v2 c2 Osserviamo che, per v = 0 m/s, ∆t = ∆t0, come deve essere. Per velocità v che sono maggiori di zero, ma minori di c, il denominatore nell’ultima equazione è minore di 1. Di conseguenza, ∆t è maggiore di ∆t0. Infine, a mano a mano che la velocità v si avvicina alla velocità della luce, osserviamo che il denominatore dell’equazione tende a zero e l’intervallo di tempo ∆t tende all’infinito. Questo comportamento è illustrato in figura sottostante, dove è mostrato il rapporto ∆t/∆t0 in funzione del rapporto della velocità v/c. Il fatto che ∆t tenda all’infinito significa che occorre un tempo infinito per avere un tic; in altre parole, a mano a mano che v si avvicina a c, l’orologio rallenta, fino a fermarsi. Chiaramente, quindi, la velocità della luce fornisce un limite superiore naturale alla possibile velocità di un corpo. La relazione è valida per qualsiasi tipo di orologio e non solo per quelli a luce. Se non fosse così, se cioè orologi differenti funzionassero a velocità differenti quando sono in moto a velocità costante, sarebbe violato il primo postulato della relatività. Pagina 21 La teoria della Relatività Mario Sandri 8 7 6 t/t0 5 4 3 2 1 0 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 v/c Introduciamo alcuni termini comunemente utilizzati in relatività. Innanzitutto, un evento è un avvenimento fisico che accade in uno specificato posto in uno specificato istante. In tre dimensioni, per esempio, specifichiamo un evento fornendo i valori delle coordinate x, y e z e del tempo t. Se due eventi accadono nello stesso posto, ma in momenti diversi, l’intervallo di tempo fra di essi viene detto tempo proprio: Il tempo proprio è l’intervallo di tempo che separa due eventi che avvengono nello stesso posto. Il tempo proprio fra i tic di un orologio a luce, per esempio, è il tempo fra una emissione di luce (evento 1) e la sua rivelazione (evento 2) quando l’orologio è in quiete rispetto all’osservatore. Perciò ∆t0 nell’equazione precedente è il tempo proprio e ∆t è il corrispondente tempo quando l’orologio si muove rispetto all’osservatore con velocità v. Nelle situazioni della vita quotidiana le velocità non raggiungono mai valori nemmeno prossimi a metà della velocità della luce: la massima velocità che un essere umano può ragionevolmente raggiungere al giorno d’oggi è la velocità dello Space Shuttle in orbita. Questa velocità è “solo” 7700 m/s circa, ovvero 28000 km/h. Sebbene questa sia una velocità considerevole, è ancora soltanto 1/39000 della velocità della luce. Per trovare la dilatazione del tempo in un caso come questo, non possiamo sostituire semplicemente v = 7700 m/s nell’ equazione, poiché una normale calcolatrice probabilmente non ha Pagina 22 La teoria della Relatività Mario Sandri abbastanza cifre decimali per fornire la risposta corretta. Infatti, se proviamo a fare questo calcolo, otteniamo un risultato sbagliato: ∆t uguale a ∆t0. Troveremo la risposta giusta utilizzando lo sviluppo in serie e riscrivendo l’equazione nel seguente modo: ∆t = ⎛ 1 v2 ⎞ ≈ ∆t 0 ⎜ 1 + + ... ⎟ 2 v2 ⎝ 2c ⎠ 1− 2 c ∆t0 Sostituendo la velocità dello Space Shuttle e la velocità della luce, troviamo: ⎡ 1 ⎛ 7700 m / s ⎞ 2 ⎤ −10 ∆t ≈ ∆t0 ⎢1 + ⎜ ⎟ ⎥ = ∆t0 1 + 3,3 ⋅10 8 ⋅ 2 3, 00 10 m / s ⎢⎣ ⎝ ⎠ ⎥⎦ ( ) Perciò un orologio a bordo dello Space Shuttle va più lentamente di un fattore 1,00000000033. Con questo ritmo, occorrono almeno 100 anni perché l’orologio sullo Shuttle perda 1 s rispetto a un orologio sulla Terra. Chiaramente, una differenza di tempo così piccola non può essere misurata con un orologio normale, perciò, negli ultimi anni, sono stati costruiti orologi atomici con una precisione sufficiente per poter effettuare un test diretto sulla relatività. I fisici J.C. Hafele e R.E. Keating hanno effettuato nel 1971 questo test, mettendo un orologio atomico a bordo di un jet e un altro identico in quiete in laboratorio. Dopo aver fatto volare l’orologio in moto per molte ore, i ricercatori trovarono che era andato più lentamente di quello lasciato nel laboratorio. La differenza misurata nei tempi era in accordo con la previsione della relatività. Oggi, se viene trasportato un orologio atomico da un posto a un altro, bisogna tener conto degli effetti relativistici della dilatazione del tempo, altrimenti l’orologio fornirà un tempo inferiore a quello corretto. Un altro aspetto della dilatazione del tempo è il fatto che osservatori diversi sono in disaccordo sulla simultaneità. Per esempio, supponiamo che l’osservatore 1 noti che due eventi in posizioni diverse avvengono nello stesso istante. Per l’osservatore 2, che si muove rispetto all’osservatore 1 con velocità v, questi stessi due eventi non sono simultanei. Perciò, per osservatori diversi, la relatività non solo cambia il modo di fluire del tempo, ma cambia anche l’intervallo di tempo che separa due eventi. Pagina 23 La teoria della Relatività Mario Sandri Viaggi spaziali e invecchiamento biologico Finora abbiamo discusso della dilatazione del tempo applicandola solamente agli orologi, ma questi non sono gli unici oggetti che mostrano una dilatazione del tempo. Infatti la dilatazione relativistica del tempo vale in modo uguale per tutti i processi fisici, incluse le reazioni chimiche e le funzioni biologiche. Un astronauta che viaggia nello spazio invecchia più lentamente di uno sulla Terra, e precisamente dello stesso fattore che vale per un orologio che, trovandosi sulla nave spaziale, va più lentamente di uno in quiete. Per l’astronauta, tuttavia, il tempo sembra scorrere come al solito. Il decadimento del muone Un esempio particolarmente interessante di dilatazione del tempo riguarda particelle subatomiche chiamate muoni, che vengono create dalla radiazione cosmica nell’alta atmosfera terrestre. Un muone è una particella instabile; infatti un muone a riposo in media esiste soltanto per circa 2,2 · 10-6 s prima di decadere. Supponiamo, per esempio, che un muone venga creato a un’altitudine di 5 km rispetto alla superficie della Terra; se viaggia verso il suolo con una velocità di 0,995 c, può coprire soltanto una distanza di 657 m prima di decadere. Potremmo, quindi, concludere che i muoni prodotti a grandi altitudini non possono raggiungere la superficie terrestre. Invece, un gran numero di muoni raggiunge effettivamente il suolo. La ragione è che essi invecchiano molto lentamente a causa del loro moto. Pagina 24 La teoria della Relatività Mario Sandri Esempio Una nave spaziale che trasporta un orologio a luce si muove con una velocità di 0,500 c rispetto a un osservatore che si trova sulla Terra. Secondo questo osservatore, quanto tempo occorre all’orologio sulla nave spaziale per avanzare di 1 secondo? Soluzione Sostituendo ∆t = 1,00 s e v = 0,500 c nell’equazione otteniamo ∆t = ∆t0 1− v2 c2 = 1, 00 s ( 0,500 c ) 1− 2 = 1, 00 s = 1,15 s 1 − 0, 25 c2 Anche a questa alta velocità, l’effetto relativistico è abbastanza piccolo, solo il 15% circa. Esempio L’astronauta Luigi viaggia verso Vega, la quinta stella più luminosa nel cielo notturno, lasciando la sua sorella gemella Stefania, di 35 anni, sulla Terra. Luigi viaggia con una velocità di 0,990 c, e Vega è a 26,4 anni-luce dalla Terra. Trova: a) quanto dura il viaggio dal punto di vista di Stefania; b) l’età che avrà Luigi quando arriverà su Vega. Soluzione I due eventi salienti di questo problema sono la partenza dalla Terra e l’arrivo su Vega. Per Stefania questi due eventi avvengono chiaramente in due luoghi diversi. Ne consegue che l’intervallo di tempo per lei è ∆t e non il tempo proprio ∆t0. Per Luigi, invece, i due eventi avvengono nello stesso posto, cioè fuori dalla porta dell’astronave (in effetti, dal punto di vista di Luigi l’astronave è in quiete e le stelle sono in moto). Pertanto, l’intervallo di tempo misurato da Luigi è il tempo proprio ∆t0. Infine, ∆t e ∆t0 sono legati dall’equazione vista precedentemente. (Ricordiamo che un anno-luce è la distanza percorsa dalla luce che viaggia alla velocità c in un anno, cioè 1 anno-luce = c · 1 anno.) L’astronave copre la distanza d in un tempo ∆t con una velocità v = 0,990 c. Utilizzando v = d/∆t0 per ricavare ∆t Pagina 25 La teoria della Relatività Mario Sandri v= ∆t = d ∆t d 26, 4 al 26, 4 c ⋅1 a = = = 26, 7 a v 0,990 c 0,990 c Ricaviamo ora ∆t0: ∆t = ∆t0 v2 1− 2 c ∆t0 = ∆t 1 − v2 c2 Sostituiamo v = 0,990 c e ∆t = 26,7 anni per trovare ∆t0: v2 ∆t0 = ∆t 1 − 2 = 26, 7 a c ( 0,990 c ) 1− c2 2 = 3, 77 a Quando Luigi raggiunge Vega ha solo 38,8 anni, mentre Stefania, che è rimasta sulla Terra, ha 61,7 anni. Dal punto di vista di Luigi, il viaggio è durato 3,77 anni a una velocità di 0,990 c. Di conseguenza, egli direbbe che la distanza percorsa nel viaggio verso Vega era soltanto (3,77 anni) (0,990 c) = 3,73 anni-luce. Esempio Un astronauta, che viaggia con velocità v rispetto alla Terra, misura i battiti del suo cuore e trova che hanno un intervallo di 0,850 s. ll controllo missione sulla Terra, che sta monitorando le attività del suo cuore, osserva un battito ogni 1,4 s. Calcola la velocità dell’astronauta rispetto alla Terra. Pagina 26 La teoria della Relatività Mario Sandri Soluzione Identifichiamo il tempo proprio ∆t0 e il tempo dilatato ∆t0 ∆t0 = 0,850 s ∆t = 1,40 s Ricaviamo v: ∆t 0 2 v = c 1− 2 ∆t Sostituiamo i valori numerici v = 0, 795 c Esempio Consideriamo i muoni che viaggiano verso la Terra con una velocità di 0,995 c dal punto in cui sono stati creati, a un’altitudine di 5,00 km. a) Trova la loro vita media, assumendo che un muone a riposo abbia una vita media di 2,2 ·10-6 s. b) Calcola la distanza media che questi muoni possono percorrere prima di decadere. Soluzione I due eventi da considerare in questo caso sono la creazione del muone e il decadimento del muone. Dal punto di vista di un osservatore sulla Terra, questi due eventi avvengono in posizioni diverse. Ne consegue che il tempo corrispondente è ∆t. Dal punto di vista del muone, la Terra si muove verso di esso, che è fermo, a una velocità di 0,995 c. Quindi per il muone i due eventi avvengono nello stesso posto e il tempo fra essi è ∆t0 = 2,20 · 10-6 s. Possiamo trovare il tempo ∆t. Sostituiamo v = 0,995c e ∆t0 = 2,20 · 10-6 s Pagina 27 La teoria della Relatività Mario Sandri ∆t = ∆t0 1− 2 v c2 = 2, 20 ⋅10−6 s 1− ( 0,995 c ) = 22, 0 ⋅10−6 s 2 c2 Moltiplichiamo v = 0,995 c per il tempo ∆t = 22,0 · 10-6 s per trovare la distanza media percorsa ( )( ) d m = 0,995 c 22, 0 ⋅10 −6 s = 6570 m La dilatazione relativistica del tempo consente ai muoni di percorrere uno spazio circa 10 volte maggiore (6570 m invece di 657 m) di quello che ci aspettiamo da una fisica non relativistica. Il risultato è che i muoni vengono rilevati sulla superficie terrestre. Pagina 28 La teoria della Relatività Mario Sandri La relatività delle lunghezze e la contrazione delle lunghezze Così come viene alterato il tempo per un osservatore in moto con una velocità vicina a quella della luce, altrettanto succede per le lunghezze. Per esempio, un metro che si muove con una velocità di 0,5 c apparirebbe in modo evidente più corto di un metro in quiete. A mano a mano che la velocità del metro si avvicina a c, la sua lunghezza diminuisce fino a zero. Per vedere perché le lunghezze si contraggono e per calcolare l’entità della contrazione, ricordiamo l’esempio dei gemelli Luigi e Stefania e il viaggio verso Vega. Dal punto di vista di Stefania sulla Terra, il viaggio di Luigi è durato 26,7 anni e ha percorso una distanza di (0,990 c) (26,7 anni) = 26,4 anni-luce. Dal punto di vista di Luigi, invece, il viaggio dura solo 3,77 anni. Poiché entrambi i gemelli concordano sulla loro velocità relativa, Luigi nel suo viaggio percorre una distanza di solo (0,990 c) (3,77 anni) = 3,73 anni-luce. Perciò dal punto di vista dell’astronauta la Terra e Vega si muovono a una velocità di 0,990 c e la distanza fra essi non è 26,4 anni-luce, ma 3,73 anni-luce. Questo è un esempio di contrazione delle lunghezze. In generale, vogliamo determinare la lunghezza contratta L di un corpo che si muove con una velocità v. Quando un corpo è a riposo (v = 0 m/s), diciamo che la sua lunghezza è la lunghezza propria L0. La lunghezza propria è la distanza fra due punti misurata da un osservatore che è in quiete rispetto a loro. Nell’esempio precedente, Stefania è in quiete rispetto alla Terra e a Vega. Di conseguenza, la distanza fra i due gemelli, che lei stessa misura, è la lunghezza propria, cioè L0 = 26,4 anni-luce. La lunghezza contratta, L = 3,73 anni-luce, è quella misurata da Luigi. Come per i tempi misurati per il viaggio spaziale, dal punto di vista di Stefania i due eventi (l’evento 1 = partenza dalla Terra; l’evento 2 = arrivo a Vega) avvengono in posti diversi. Di conseguenza, lei misura il tempo dilatato, ∆t = 26,7 anni, anche se misura la lunghezza propria L0. Al contrario, Luigi misura il tempo proprio, ∆t0 = 3,77 anni, e la lunghezza contratta L. Dobbiamo stare molto attenti nel determinare, dalle definizioni date, quale osservatore misura il tempo proprio e quale osservatore misura la lunghezza propria, e non si deve mai presumere che, per esempio, poiché un osservatore misura il tempo proprio, allora lo stesso osservatore misura anche la lunghezza propria. Utilizzeremo ora queste osservazioni per ottenere un’ espressione generale che leghi L a L0. Per cominciare, notiamo che entrambi gli osservatori misurano la stessa velocità relativa v. Per Stefania Pagina 29 La teoria della Relatività Mario Sandri la velocità è v = L0/∆t e per Luigi la velocità è v = L/∆t0. Uguagliando queste due velocità, otteniamo: v= L0 L = ∆t ∆t0 Ricavando L in funzione di L0, troviamo L = L0 (∆t0/∆t). Infine, se utilizziamo l’equazione vista precedentemente per esprimere ∆t in funzione di ∆t0, otteniamo la seguente relazione: L = L0 1 − v2 c2 Osserviamo che, se nell’equazione poniamo v = 0 m/s, troviamo L = L0. Se v si avvicina alla velocità della luce, la lunghezza contratta tende a zero. In generale, la lunghezza di un corpo in moto è sempre minore della sua lunghezza propria. In figura è mostrata la lunghezza L di un metro in funzione della velocità v e vediamo di nuovo che la velocità della luce è la massima velocità possibile. 1 0,9 0,8 Lunghezza L (m) 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 v/c Pagina 30 0,6 0,7 0,8 0,9 1 La teoria della Relatività Mario Sandri Riprendiamo per un attimo l’esempio del muone visto precedentemente. Illustriamo l’effetto della contrazione delle lunghezze nel caso del muone che viaggia verso la superficie della Terra. Dal punto di vista di un osservatore sulla Terra, il muone percorre una distanza di 5 km alla velocità di 0,995 c e, per coprire questa distanza, deve vivere circa 10 volte più a lungo di quando è a riposo. Dal punto di vista del muone, la Terra si muove verso l’alto con una velocità di 0,995 c, e la distanza ( che L = 5, 00 km ) essa deve ( 0,995 c ) 1− c2 percorrere per raggiungere il muone è soltanto 2 = 499 m . La Terra può facilmente coprire questa distanza durante la vita media del muone, che è di 2,2 µs. Possiamo concludere dicendo che la contrazione delle lunghezze che abbiamo calcolato con l’equazione precedente, si riferisce soltanto a lunghezze nella direzione del moto relativo. Le lunghezze perpendicolari alla direzione del moto relativo non ne risentono. Il fatto che lunghezze in direzioni diverse si contraggano in modo differente ha effetti interessanti sul modo con il quale un corpo che si muove rapidamente appare ai nostri occhi. Ulteriori effetti sono legati al tempo finito che impiega la luce ad arrivare agli occhi di un osservatore provenendo dalle diverse parti del corpo. Pagina 31 La teoria della Relatività Mario Sandri Esempio Trova la velocità per la quale la lunghezza di un metro diventa 0,500 m. Soluzione L = 0,500 m. Il metro in quiete ha la sua lunghezza propria, L0 = 1,00 m. Possiamo trovare la velocità richiesta ricavando v dall’equazione precedente e sostituendo i valori dati di L e L0. L = L0 1 − v = c 1− ( v2 c2 L2 L0 2 ) ) 2 0,500 m L2 = 0,866 c v = c 1− 2 = c 1− 2 L0 1, 00 m ( Una persona che viaggia assieme al metro in movimento lo vede di una lunghezza pari alla sua lunghezza propria di 1,00 m. Pagina 32 La teoria della Relatività Mario Sandri La composizione relativistica delle velocità Supponiamo di guidare un’astronave nello spazio profondo, viaggiando verso un asteroide con una velocità di 25 m/s. Per mandare un segnale a un collega sull’asteroide attiviamo un fascio di luce sulla punta dell’astronave e lo puntiamo nella direzione del moto. Poiché la luce nel vuoto viaggia con la stessa velocità relativa c rispetto a tutti gli osservatori inerziali, la velocità del fascio luminoso rispetto all’asteroide è semplicemente c e non c + 25 m/s. Chiaramente, allora, la semplice addizione delle velocità, che sembra funzionare benissimo per le velocità ordinarie della vita quotidiana, non è più corretta. Il modo corretto di comporre le velocità, valido per tutti i valori delle velocità, da zero a c, fu ottenuto da Einstein. Immaginiamo che l’astronave si muova con velocità v1 rispetto all’ asteroide. Se qualcosa si muove lungo la stessa direzione con una velocità v2 rispetto all’ astronave, la sua velocità v rispetto all’asteroide è data dalla seguente espressione: v= v1 + v2 vv 1 + 1 22 c Nel caso precedente, la velocità dell’astronave rispetto all’asteroide è v1 e la velocità del fascio di luce rispetto all’astronave è v1 = c. Per trovare la velocità del fascio di luce rispetto all’asteroide utilizziamo l’equazione precedente: ⎛v ⎞ c ⎜ 1 + 1⎟ v +v v +c c ⎠ =c v= 1 2 = 1 = ⎝ vv vc v 1 + 1 22 1 + 12 1+ 1 c c c Perciò, come ci aspettiamo, sia l’osservatore nell’astronave sia quello sull’asteroide misurano la stessa velocità per il fascio di luce, indipendentemente dalla loro velocità relativa v1. L’equazione fornisce il risultato corretto per un fascio di luce, ma come funziona se viene applicata a velocità molto minori di quella della luce? Supponiamo che una persona sull’astronave lanci una palla con una velocità di 15 m/s nella direzione dell’asteroide. Secondo la composizione delle velocità classica (non relativistica), la velocità della palla rispetto all’asteroide è 15 m/s + 25 m/s = 40 m/s. L’applicazione dell’equazione relativistica ci fornisce il seguente risultato: v = 39,99999999999997m/s Pagina 33 La teoria della Relatività Mario Sandri Perciò, con entrambi i calcoli la velocità della palla rispetto all’asteroide è sempre 40 m/s. Concludiamo quindi che il risultato classico, v = v1 + v2, anche se non rigoroso, per piccole velocità è appropriato. Per prendere maggiore confidenza con la composizione relativistica delle velocità, consideriamo un’astronave inizialmente in quiete, che aumenta la sua velocità di 0,1 c quando accende i suoi razzi. All’inizio la velocità dell’astronave cresce linearmente con il numero di accensioni dei razzi, come è indicato dalla linea blu in figura. A mano a mano che la velocità dell’astronave si avvicina a quella della luce, le ulteriori accensioni dei razzi hanno sempre minore effetto, come vediamo dalla curva rossa. In un tempo infinito, con un infinito numero di accensioni dei razzi, la velocità dell’astronave si avvicina a c, senza peraltro raggiungerla mai. 1,4 1,2 1 v/c 0,8 0,6 0,4 0,2 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Numero di accensioni razzi Nei seguenti esempi applicheremo la composizione relativistica delle velocità a una serie di sistemi fisici. Pagina 34 La teoria della Relatività Mario Sandri Esempio Un’astronave si avvicina a un asteroide con una velocità di 0,750 c. Supponi che l’astronauta lanci verso l’asteroide una sonda con una velocità di 0,800 c rispetto all’astronave stessa; qual è la velocità della sonda rispetto all’asteroide? Soluzione Sostituendo v1 = 0,750 c e v2 = 0,800 c nell’equazione precedente, otteniamo v= v1 + v2 0, 750 c + 0,800 c = = 0,969 c v1v2 c c 0, 750 0,800 1+ 2 1+ c c2 ( )( ) Come ci potevamo aspettare, la velocità rispetto all’asteroide è minore di c. Esempio Alla base stellare Faraway Point osservi due astronavi che si avvicinano provenendo dalla stessa direzione. L’astronave LaForge viaggia a una velocità di 0,606 c e la Picard a una velocità di 0,552 c. Trova la velocità della La Forge rispetto alla Picard. Soluzione La chiave per risolvere un problema come questo è scegliere le velocità v1 e v2 in modo coerente. Per esempio, scegliamo v1 come velocità della Picard rispetto alla base stellare, v2 come velocità della LaForge rispetto alla Picard e v come velocità della LaForge rispetto alla base stellare. Ricavando la velocità incognita v2 dall’equazione vista, otteniamo il risultato voluto. Ricaviamo la velocità v2 v= v1 + v2 vv 1 + 1 22 c v2 = v − v1 vv 1 − 21 c Pagina 35 La teoria della Relatività Mario Sandri Sostituiamo v1 = 0,552 c e v = 0,606 c per trovare la velocità v2 della LaForge rispetto alla Picard v2 = v − v1 0, 606 c − 0,552 c = = 0, 0811 c vv1 c c 0, 606 0,552 1− 2 1− c c2 ( )( ) Come verifica del nostro risultato, osserviamo che la composizione relativistica della velocità v1 = 0,552 c con la velocità v2 = 0,0811 c fornisce la velocità v = 0,606 c, come previsto. Pagina 36 La teoria della Relatività Mario Sandri Quantità di moto e massa relativistiche Il primo postulato della relatività afferma che le leggi della fisica sono le stesse per tutti gli osservatori in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Fra le leggi più importanti ricordiamo la conservazione della quantità di moto e la conservazione dell’energia in un sistema isolato. Se consideriamo lo strano modo in cui si sommano relativisticamente le velocità, non è sorprendente che l’espressione classica della quantità di moto, p = mv, non valga per tutte le velocità. È noto che, se una massa grande che viaggia a una velocità v urta elasticamente una massa piccola ferma, la massa piccola acquista una velocità 2v. Chiaramente, questo non può avvenire se la velocità della massa grande è maggiore di 0,5 c, poiché la massa piccola non può avere una velocità finale maggiore della velocità della luce. Perciò la relazione non relativistica p = mv deve essere modificata per velocità confrontabili con c. Con un’analisi dettagliata possiamo dimostrare che l’espressione relativistica corretta della quantità di moto è: p= mv 1− v2 c2 A mano a mano che v si avvicina alla velocità della luce, la quantità di moto relativistica (linea rossa) diventa significativamente più grande di quella classica (linea blu), divergendo all’infinito quando v → c. Per piccole velocità i risultati classico e relativistico corrispondono. Pagina 37 Mario Sandri Quantità di moto p La teoria della Relatività 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 v/c Un modo conveniente di pensare alla quantità di moto data dall’ equazione precedente è considerare una massa che aumenta con la velocità. Supponiamo, per esempio, che un corpo abbia una massa m0 quando è in quiete: diciamo quindi che la sua massa a riposo è m0. Se la velocità del corpo è v, la sua quantità di moto è: ⎛ ⎜ m0 v m0 p= =⎜ v2 ⎜ v2 1− 2 ⎜ 1− 2 c c ⎝ Se m = m0 1 − ⎞ ⎟ ⎟v ⎟ ⎟ ⎠ v2 rappresenta la massa relativistica, possiamo scrivere la quantità di moto nel c2 modo seguente: p = mv Pagina 38 La teoria della Relatività Mario Sandri Perciò l’espressione classica della quantità di moto può essere utilizzata per tutte le velocità se semplicemente interpretiamo la massa come qualcosa che aumenta con la velocità secondo l’espressione: v2 m = m0 1 − 2 c Osserviamo che, per v che tende a c, m tende all’infinito. Quindi una forza costante che agisce su un corpo genera un’accelerazione a = F/m, sempre più piccola, a mano a mano che ci avviciniamo alla velocità della luce. Ciò ci fornisce un ulteriore modo di vedere il fatto che la velocità della luce non può essere superata. Pagina 39 La teoria della Relatività Mario Sandri Esempio Una massa di 2,4 kg si muove con una velocità di 0,81 c. Trova la quantità di moto classica e relativistica. Soluzione Calcoliamo p = mv ( ) ( ) p = mv = 2, 4 kg ( 0,81) 3, 00 ⋅108 m / s = 5,8 ⋅108 kg ⋅ m / s Calcoliamo p = mv v2 1− 2 c p= : 1− ( 2, 4 kg ) ( 0,81) ( 3, 00 ⋅10 = ( 0,81 c ) 1− 8 mv 2 v c2 2 m / s) = 9,9 ⋅108 kg ⋅ m / s c2 Come ci aspettavamo, la quantità di moto relativistica è più grande di quella classica. Esempio Un satellite, inizialmente in quiete nello spazio profondo, esplode in due pezzi. Uno ha una massa di 150 kg e si muove dal punto in cui è avvenuta l’esplosione con una velocità di 0,76 c. L’altro pezzo si muove in direzione opposta con una velocità di 0,88 c. Trova la massa del secondo pezzo del satellite. Soluzione L’idea di base in questo sistema è che, poiché sul satellite non agiscono forze esterne, la quantità di moto totale deve conservarsi. La quantità di moto iniziale è zero, quindi anche la quantità di moto finale deve essere zero. Ciò significa che i due pezzi si muovono in direzioni opposte, come afferma il testo del problema, e hanno quantità di moto di uguale modulo. Perciò iniziamo con il calcolare il modulo della quantità di moto del primo pezzo del satellite, poi uguagliamo i due moduli delle quantità di moto e ricaviamo la massa cercata. Pagina 40 La teoria della Relatività Mario Sandri Calcoliamo il modulo della quantità di moto del pezzo di satellite che ha massa m1 = 150 kg e velocità v1 = 0,76 c p1 = m1v1 1− 2 1 2 v c (150 kg ) ( 0, 76 ) ( 3, 00 ⋅10 = ( 0, 76 c ) 1− 8 m / s) 2 = 5,3 ⋅1010 kg ⋅ m / s c2 Uguagliamo la quantità di moto del secondo pezzo del satellite a quella del primo pezzo p2 = m2v2 v2 1 − 22 c = p1 Ricaviamo la massa m2 del secondo pezzo del satellite dalla relazione precedente e sostituiamo i valori numerici v2 = 0,88 c e p1 = 5,3 · 1010 kg m/s ⎛p ⎞ v 2 ⎡ 5,3 ⋅1010 kg ⋅ m / s m2 = ⎜ 1 ⎟ 1 − 22 = ⎢ c ⎢⎣ ( 0,88 ) 3, 00 ⋅108 m / s ⎝ v2 ⎠ ( ) ( ⎤ 0,88 c ⎥ 1− c2 ⎥⎦ ) 2 = 95 kg Il calcolo classico, per cui p = mv, fornisce il risultato errato di 130 kg per la massa del secondo pezzo del satellite. Pagina 41 La teoria della Relatività Mario Sandri Energia relativistica ed E = mc2 Si è visto che la massa di un corpo cresce con l’aumentare della sua velocità. Pertanto, se viene effettuato del lavoro su un corpo, una parte del lavoro aumenta la velocità e un’altra aumenta la sua massa. Ne consegue che la massa è un’altra forma di energia. Questo risultato, come la dilatazione del tempo, era completamente imprevedibile prima dell’introduzione della teoria della relatività. Consideriamo, per esempio, un corpo che ha massa ma quando è in quiete, Einstein dimostrò che, quando il corpo è in movimento con velocità v, la sua energia totale E, è data dalla seguente espressione: E= m0 c 2 1− 2 v c2 = mc 2 Questo è il più famoso risultato della teoria della relatività di Einstein, cioè E = mc2, dove m è la massa relativistica. Osserviamo che l’energia totale E, non svanisce quando la velocità tende a zero, come avviene per l’energia cinetica classica. L’energia di un corpo in quiete, cioè la sua energia a riposo E0, è invece: E = m0 c 2 Essendo la velocità della luce così grande, il prodotto della massa di un corpo per il quadrato della velocità della luce è una quantità enorme di energia. Questa espressione illustra il principio base del funzionamento delle centrali nucleari, nelle quali piccole diminuzioni di massa, dovute a varie reazioni nucleari, vengono trasformate in energia. Il tipo di reazione utilizzata in questi impianti si chiama fissione nucleare: un nucleo pesante si divide in due nuclei più leggeri, più alcuni neutroni. Per esempio, il nucleo di un atomo di uranio-235 può decadere in due nuclei più piccoli e un certo numero di neutroni. Poiché la massa del nucleo di uranio è maggiore della somma delle masse dei prodotti del decadimento, la reazione rilascia un’ enorme quantità di energia. Infatti, mezzo chilogrammo di uranio può produrre circa 3.106 kWh di energia elettrica, mentre dalla combustione della stessa quantità di carbone possiamo produrre solo l kWh . Anche il Sole è alimentato dalla trasformazione della massa in energia, ma in questo caso l’energia viene prodotta dalla fusione nucleare, reazione nella quale due nuclei molto leggeri si combinano per formarne uno più pesante. Pagina 42 La teoria della Relatività Mario Sandri Materia e antimateria Di particolare interesse nell’equivalenza massa-energia è l’esistenza dell’antimateria. Per ogni particella elementare conosciuta, esiste una particella corrispondente di antimateria che ha esattamente la stessa massa, ma carica opposta. Per esempio, un elettrone ha massa me = 9,11 · 10-31 kg e carica e = -1,6 · 10-19 C; un antielettrone ha massa di 9,11 · 10-31 kg e carica uguale a + 1,6 · 1019 C. Poiché un antielettrone ha una carica positiva, viene generalmente chiamato positrone. L’antimateria viene frequentemente creata negli acceleratori, dove le particelle si urtano a velocità prossime a quella della luce. In effetti, è possibile creare in laboratorio antiatomi costituiti interamente di antimateria. È un’ipotesi affascinante pensare che l’Universo possa realmente contenere antigalassie di antimateria. Se è effettivamente così, bisognerebbe stare attenti a visitare tali galassie, perché le particelle di materia e antimateria, quando si incontrano, si annichilano. Il risultato della collisione è che le particelle cessano di esistere, il che soddisfa la conservazione della carica, poiché la carica totale del sistema è zero sia prima sia dopo l’annichilazione. Per la conservazione dell’energia, la massa delle due particelle è trasformata in due raggi gamma, simili ai raggi X ma più energetici. Ognuno dei raggi gamma deve avere un’energia pari almeno a E = mec2. Perciò, nell’annichilazione materia-antimateria le particelle svaniscono in un lampo di radiazione. L’annichilazione elettrone-positrone è alla base della tecnica diagnostica chiamata “tomografia elettrone-positrone” o “tomografia a emissione di positroni” (PET, dall’inglese position emission tomography), che è spesso utilizzata per esaminare processi biologici all’interno del cervello, del cuore o di altri organi. In una tipica PET per esaminare il cervello, per esempio, si inietta nel paziente del glucosio (che è la sorgente primaria di energia per l’attività del cervello) che contiene traccianti radioattivi. Questi traccianti emettono positroni, che a loro volta incontrano nel cervello elettroni e si annichilano. I raggi gamma originati dal processo vengono monitorati dall’analizzatore PET, che li trasforma in immagini a falsi colori, che mostrano i livelli del metabolismo del glucosio all’interno del cervello. La trasformazione fra massa ed energia può avvenire anche in altri modi. Possiamo trasformare un raggio gamma, che non ha massa, in una coppia particella-antiparticella: trasformiamo un raggio gamma, con un’energia di almeno (2me)c2, in una coppia elettrone-positrone, cioè convertiamo l’energia del raggio gamma nell’energia a riposo delle due particelle. Pagina 43 La teoria della Relatività Mario Sandri Energia cinetica relativistica Se compiamo un lavoro su un corpo isolato, accelerando lo dalla quiete a una velocità finita v, la sua energia totale aumenta. Chiamiamo l’aumento di energia del corpo energia cinetica. Perciò, l’energia totale E, di un corpo è la somma della sua energia a riposo, m0c2, più l’energia cinetica K. In particolare: m0 c 2 E= 1− 2 v c2 = m0 c 2 + K Ricavando l’energia cinetica, troviamo: K= m0 c 2 1− 2 v c2 − m0 c 2 Come verifica, osserviamo che l’energia cinetica è nulla se la velocità è zero. Nella figura è Energia cinetica K mostrato un confronto fra l’energia cinetica relativistica e quella classica. 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 v/c Pagina 44 0,6 0,7 0,8 0,9 1 La teoria della Relatività Mario Sandri Sebbene l’espressione nell’equazione precedente non assomigli a quella classica 1 2 mv , il 2 valore che assume approssima l’altro per basse velocità. Come verifica sviluppiamo l’equazione per piccole velocità, utilizzando lo sviluppo in serie. Il risultato è il seguente: ⎡ ⎢ m0 c 1 2 2 ⎢ K= − m0 c = m0 c ⎢ v2 v2 1− 2 ⎢ 1− 2 c c ⎣ 2 ⎤ ⎥ 2 2 2 ⎡ ⎤ ⎥ − m0 c 2 = m0 c 2 ⎢1 + 1 ⎛⎜ v ⎞⎟ + 3 ⎛⎜ v ⎞⎟ + ...⎥ − m0 c 2 2 2 ⎥ ⎢⎣ 2 ⎝ c ⎠ 8 ⎝ c ⎠ ⎥⎦ ⎥ ⎦ Il secondo termine nelle parentesi quadre è, per velocità usuali, molto più piccolo del primo. Per esempio, se la velocità v è uguale a 0,00001 c (circa 10000 km/h, valore già notevole rispetto alle velocità usuali), il secondo termine è soltanto un decimilionesimo per cento del primo termine. I termini successivi sono ancora più piccoli. Quindi, per tutti gli scopi pratici, l’energia cinetica per basse velocità è: ⎡ 1 ⎛ v2 ⎞⎤ 1 K = m0 c 2 ⎢1 + ⎜ 2 ⎟ ⎥ − m0 c 2 = m0 c 2 + m0 v 2 − m0 c 2 2 ⎣ 2 ⎝ c ⎠⎦ Eliminando l’energia a riposo, m0c2, troviamo: K= 1 m0 v 2 2 Osserviamo che l’indice 0 in questa espressione sottolinea il fatto che la massa da utilizzare è la massa a riposo. Ancora una volta vediamo che la velocità della luce è la massima velocità possibile per un corpo di massa a riposo finita. Come appare evidente, l’energia cinetica di un corpo tende all’infinito se la sua velocità si avvicina a c. Perciò per accelerare un corpo alla velocità della luce, occorrerebbe una quantità di energia infinita. Qualsiasi quantità di lavoro finita farà aumentare la velocità portandola a un valore comunque minore di c. Pagina 45 La teoria della Relatività Mario Sandri Esempio Trova l’energia a riposo di una mela di 0,12 kg. Soluzione Sostituendo m0 = 0,12 kg e c = 3,00 · 108 m/s nell’equazione dell’energia a riposo troviamo ( )( E0 = m0 c 2 = 0,12 kg 3, 00 ⋅108 m / s ) 2 = 1,1 ⋅1016 J Per valutare il risultato, confrontiamo lo con l’energia totale utilizzata negli Stati Uniti in un anno, che è circa 1020 J. Questo significa che se l’energia a riposo di una mela potesse essere trasformata interamente in una forma di energia utilizzabile, potrebbe coprire il fabbisogno energetico degli interi Stati Uniti per circa un’ora. Se inoltre potessimo utilizzare l’energia a riposo di una mela per tenere accesa una lampada da 100 W, questa rimarrebbe accesa per circa 10 milioni di anni. Esempio Il Sole irraggia energia a un ritmo di 3,92 · 1026 W. Calcola la corrispondente diminuzione della massa del Sole per ogni secondo di irraggiamento. Soluzione Se l’energia irraggiata dal Sole in 1,00 s è ∆E, la corrispondente variazione di massa è data da ∆m = ∆E / c 2 . Per trovare ∆E, ricordiamo) che la potenza è l’energia nell’unità di tempo P = ∆E / ∆t , perciò l’energia irraggiata dal Sole in 1,00 s è ∆E = P ⋅ ∆t , con ∆t = 1,00 s. Calcoliamo l’energia irraggiata dal Sole in 1,00 s ∆E = P ⋅ ∆t = ( 3,92 ⋅1026 J / s )(1, 00 s ) = 3,92 ⋅10 26 J Dividiamo ∆E per il quadrato della velocità della luce c2, per trovare la diminuzione della massa ∆m = 3,92 ⋅1026 J ∆E = = 4,36 ⋅109 kg c 2 ( 3, 00 ⋅108 m / s )2 Pagina 46 La teoria della Relatività Mario Sandri Il Sole perde ogni secondo una notevole quantità di massa, uguale a circa 2000 Space Shuttle, ma avendo una massa di 1,99 · 1030 kg, la quantità che perde in 1500 anni è soltanto 10-10 della sua massa totale. Anche dopo 1,5 miliardi di anni di irraggiamento a questo ritmo, il Sole avrà perso solo lo 0,01 % della sua massa. Chiaramente, il Sole non evaporerà nello spazio in breve tempo! Esempio Un osservatore guarda un’astronave che passa ad alta velocità, e nota che un orologio a bordo è rallentato di un fattore l,50. Se la massa a riposo dell’orologio è 0,320 kg, qual è la sua energia cinetica? Soluzione Iniziamo utilizzando l’equazione relativa ai tempi e il fattore di dilatazione del tempo, ∆t/∆t0 = l,50, per trovare la velocità v. Poi utilizziamo questa velocità per trovare l’energia cinetica. Ricaviamo v: ∆t0 ∆t = 1− v2 c2 ∆t 0 2 ∆t 2 v = c 1− Sostituiamo ∆t0/∆t = 1/l,50, poiché il tempo dilatato ∆t è maggiore del tempo proprio ∆t0 di un fattore 1,5 2 ⎛ 1 ⎞ v = c 1− ⎜ ⎟ = 0, 745 c ⎝ 1,50 ⎠ Sostituiamo v = 0,745 c e m0 = 0,320 kg nell’equazione dell’energia: K= 1− ( 0,320 kg )( 3, 00 ⋅10 = ( 0, 745 c ) 1− 8 m0 c 2 2 v c2 − m0 c 2 m/s 2 ) 2 ( )( − 0,320 kg 3, 00 ⋅108 m / s c2 In confronto, l’energia cinetica classica a questa velocità sarebbe 7,99 · 1015 J. Pagina 47 ) 2 = 1, 44 ⋅1016 J La teoria della Relatività Mario Sandri L’Universo relativistico È molto riduttivo dire che la relatività ha rivoluzionato la nostra comprensione dell’Universo. Se ripensiamo ai risultati presentati nei paragrafi precedenti (dilatazione del tempo, contrazione delle lunghezze, aumento della massa, equivalenza massa-energia), è chiaro che la relatività ci rivela un Universo molto più ricco e più vario nei suoi comportamenti di quanto non si fosse mai immaginato prima. Infatti si sente spesso dire che l’Universo non solo è più strano di quanto si immagini, ma è anche più strano di quanto si possa immaginare. È quasi come se avessimo passato la nostra vita in una piccola isola all’equatore: non conosceremmo la neve, ne i deserti o le montagne. La nostra conoscenza della Terra sarebbe comunque valida per la nostra piccola isola, ma avremmo una immagine incompleta del mondo. La nostra posizione rispetto alla relatività è simile. Prima avevamo una conoscenza dell’Universo fisico che dava buoni risultati; le leggi di Newton e gli altri principi fondamentali della fisica ci permettevano di comprendere qualsiasi cosa accadeva. Quello che Einstein rivelò con la sua teoria fu che noi stavamo guardando solo una piccola parte del tutto e che il comportamento osservato per le piccole velocità non poteva essere esteso a quelle alte. Potrebbe sembrare che la relatività non influenzi molto la nostra vita quotidiana, poiché non ci muoviamo a velocità prossime a quella della luce. Per molti aspetti questa osservazione è corretta, la relatività non viene utilizzata per progettare automobili migliori o aeroplani, ne viene impiegata per calcolare le orbite necessarie per spedire gli astronauti sulla Luna o su Marte. D’altra parte, in alcuni ospedali importanti, nei sotterranei, ci sono degli acceleratori di particelle, per produrre elementi radioattivi utilizzati per svariati tipi di trattamenti. Gli acceleratori portano le particelle a velocità molto vicine a quella della luce e quindi gli effetti relativistici non possono essere ignorati. Perciò un acceleratore lavora correttamente solo quando è costruito tenendo conto degli effetti relativistici. Ormai viviamo in un mondo nel quale la relatività è veramente una parte della nostra vita quotidiana. Pagina 48 La teoria della Relatività Mario Sandri L’esperimento di Michelson-Morley Precedentemente abbiamo presentato l’ipotesi di Einstein, adesso ben verificata, che, nel vuoto, la luce si propaga con la stessa velocità c, qualunque sia la velocità relativa della sorgente rispetto all’osservatore. Abbiamo osservato come questa ipotesi fosse in disaccordo con il modo di considerare la propagazione ondulatoria da parte dei fisici del diciannovesimo secolo. Fu difficile, per questi fisici, abituati ai problemi della meccanica classica di quel tempo, concepire che un ‘onda si potesse propagare senza un mezzo. Se si fosse potuto stabilire il mezzo di propagazione la velocità della luce sarebbe stata considerata come velocità rispetto a questo mezzo, così come la velocità del suono è sempre riferita ad un mezzo come ad esempio l’aria. Sebbene non fosse ovvio in quale mezzo si propagasse la luce, i fisici ne postularono uno, chiamato “etere luminifero”, e fecero l’ipotesi che le proprietà dell’etere fossero tali da non poterlo rivelare con mezzi ordinari come, ad esempio, pesandolo. Nel 1881, (24 anni prima dell’ipotesi di Einstein) A.A. Michelson si assunse il compito di mettere in evidenza l’etere, ammesso che esistesse, assoggettandolo ad una verifica fisica diretta. In particolare, Michelson, in seguito affiancato da E. W. Morley, cercò di misurare la velocità u con la quale la terra si muove nell’etere. Se la Terra si muoveva effettivamente attraverso l’etere, la velocità di un raggio di luce misurata sulla Terra sarebbe dipesa dalla sua direzione, in modo molto simile al modo in cui la velocità di un nuotatore dipende dal fatto che egli nuoti secondo la corrente, contro la corrente o trasversalmente a essa. Michelson allora un progettò apparecchio, chiamato interferometro, che poteva questo Schematicamente, rivelare effetto. un interferometro consiste in due sezioni diritte poste ad angolo retto tra loro. Ogni braccio porta a una estremità uno specchio. Pagina 49 La teoria della Relatività Mario Sandri Nel punto di intersezione, dove i bracci si congiungono, uno specchio semiargentato divide un fascio di luce in due. Ciascuna metà del fascio diviso percorre un braccio di lunghezza d ed è riflessa all’indietro dallo specchio posto nella parte terminale. Quando i due raggi si ricombinano essi interferiscono in modo da produrre un caratteristico diagramma di frange che dipende dall’entità della differenza del tempo impiegato da ciascun raggio a compiere il percorso di andata e ritorno. Se si ruota lo strumento di 90°, i bracci parallelo e perpendicolare si scambiano di posto e le frange di interferenza si dovrebbero spostare. L’interferometro che si muove insieme alla terra con velocità u rispetto all’etere, è equivalente ad un interferometro fermo rispetto al quale l’etere si muove con velocità -u. Consideriamo un ‘onda luminosa che si muove lungo il percorso R1CR1 ed un ‘altra che si muove lungo il percorso R1R2R1. L’analogo classico della prima onda è il vogatore che copre una distanza d, prima nel verso della corrente e dopo in verso opposto; l’analogo della seconda onda è il vogatore che percorre avanti e indietro una distanza d, muovendosi perpendicolarmente alla corrente. Nell’ipotesi che esista l’etere la velocità della luce nel tratto R1C è c + u e nel tratto di ritorno CR1 è c - u. Il tempo necessario per il percorso completo è: t1 = d d 2c 2d + =d 2 = 2 c+u c−u c −u c 1 v2 1− 2 c La velocità della luce, nell’ipotesi che esista l’etere, lungo il tratto R1R2 è c 2 − u 2 . La stessa velocità si ha pure nel tratto R2R1, per cui il tempo richiesto per compiere tutto il cammino è: t2 = 2d c −u 2 2 = 2d c 1 1− v2 c2 La differenza di tempo impiegato nei due percorsi è: 2d ∆t = t1 − t2 = c 1 ⎡ 2 −1 2 −2 ⎤ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ v v ⎢ 1− − ⎜1 − 2 ⎟ ⎥ ⎢⎜⎝ c 2 ⎟⎠ ⎝ c ⎠ ⎥⎥ ⎢⎣ ⎦ Se u / c 1 , possiamo sviluppare le quantità contenute all’interno delle parentesi quadrate in serie binomiale, arrestandoci ai primi due termini. Si ottiene così: Pagina 50 La teoria della Relatività Mario Sandri ∆t = ⎤ ⎡ 1 v2 ⎤ ⎪⎫ 2d 1 v 2 du 2 2d ⎧⎪ ⎡ v 2 1 + + ... − 1 + + ... = 3 ⎨⎢ ⎥ ⎢ ⎥⎬ = 2 2 c ⎩⎪ ⎣ c 2 c ⎦ ⎣ 2c ⎦ ⎪⎭ c 2 c Se l’intero interferometro è fatto ruotare di 90° il cammino R1CR1 diventa perpendicolare ad u e R1R2R1 parallelo. Anche il ritardo fra due onde che arrivano all’occhio è invertito; questo provoca uno sfasamento fra le onde che si combinano e sposta le posizioni dei massimi di interferenza. L’esperimento consiste nell’osservare spostamenti delle frange di interferenza, quando si ruota il dispositivo. La variazione della differenza di tempo è 2∆t, che corrisponde ad uno spostamento di frange che si prevede debba spostarsi per una rotazione di 90° è: ∆N = 2 ∆t 2 ∆t c 2 d ⎛ v ⎞ = = λ λ ⎜⎝ c ⎠⎟ T 2 Il valore aspettato per lo spostamento delle frange era di quattro decimi di lunghezza d’onda; invece non si osservò neppure uno spostamento dieci volte minore. L’esperimento venne ripetuto numerose volte da altri ricercatori e l’assenza di spostamento fu sempre confermata. L’analogia tra un’onda luminosa nell’etere e un battello che si muove nell’acqua, che nel 1881 sembrava tanto ovvia, è sbagliata, come pure è sbagliato il risultato che si ottiene per le onde luminose basandosi su questa analogia. Quando si ripete l’analisi dell’esperimento tenendo conto dell’ipotesi di Einstein, il risultato negativo ottenuto nell’esperimento si può facilmente prevedere, dato che la velocità della luce è c per tutti i percorsi. Il moto della terra attorno al Sole e la rotazione di 90° dell’interferometro non influenzano, in base all’ipotesi di Einstein, la velocità della luce nell’interferometro. Dovrebbe essere chiaro che, sebbene l’ipotesi di Einstein sia in accordo completo con l’esperianza di Michelson-Morley, questo esperimento, da solo, non può provare l’ipotesi di Einstein. Diceva Einstein che un numero comunque grande di esperimenti non avrebbe potuto dimostrare l’esattezza dell’ipotesi, e che sarebbe stato sufficiente il disaccordo con un solo esperimento per dimostrare che l’ipotesi era sbagliata. La nostra attuale fiducia nell’ipotesi di Einstein è basata sul fatto che essa è consistente con un gran numero di esperimenti che sono stati progettati per verificarne la validità. Nessun esperimento, finora, ha dimostrato che l’ipotesi di Einstein sia sbagliata. Pagina 51 La teoria della Relatività Mario Sandri Il principio di equivalenza e la curvatura dello spazio-tempo Lo spazio-tempo di Minkowski della relatività speciale è incompatibile con l’esistenza della gravità. Un sistema di riferimento, che è supposto inerziale per una particella situata lontano dalla Terra, in una regione dove il campo gravitazionale è trascurabile, non sarà più inerziale quando la particella si troverà vicino alla Terra. Si può ottenere tuttavia una compatibilità approssimata tra i due sistemi a causa di una notevole proprietà della gravitazione, che prende il nome di principio di equivalenza debole (PED): tutti i corpi di dimensioni sufficientemente piccole che si trovano in un dato campo gravitazionale esterno, cadono con la stessa accelerazione, indipendentemente dalla loro massa, dalla loro composizione e dalla loro struttura. La validità di questo principio è stata verificata sperimentalmente da Galileo, Newton e Friedrich Bessel, e, nei primi anni del sec. XX, dal barone Roland von Eötvös (da cui tali esperimenti hanno preso il nome). Per un osservatore all’interno di un ascensore che cade liberamente in un campo gravitazionale tutti i corpi all’interno dell’ascensore dovrebbero muoversi uniformemente in linea retta come se la gravità non esistesse, dal momento che essi stanno cadendo alla stessa maniera dell’osservatore. Viceversa, in un ascensore accelerato nello spazio libero tutti i corpi all’interno di esso devono cadere con la stessa accelerazione (a causa della loro inerzia), come se vi fosse un campo gravitazionale. La grande intuizione di Einstein fu quella di postulare che questo "annullarsi della gravità" nella caduta libera si deve applicare non solo al moto meccanico, ma a tutte le leggi della fisica, come a esempio l’elettromagnetismo. In ogni sistema di riferimento in caduta libera, perciò, le leggi della fisica devono assumere (almeno localmente) la loro espressione prevista dalla relatività speciale. Questo postulato prende il nome di principio di equivalenza di Einstein (PEE). Una conseguenza di esso è lo spostamento verso il rosso per effetto della gravitazione, cioè uno spostamento della frequenza di un raggio luminoso che si propaga verso l’alto di un tratto h in un campo gravitazionale. Questo effetto può essere descritto in maniera equivalente come uno spostamento relativo delle frequenze di due orologi identici che si trovano a due altezze diverse. Una seconda conseguenza del PEE è data dalla curvatura dello spazio-tempo. Consideriamo, a esempio, il caso di due sistemi di riferimento in caduta libera, che si trovano su lati opposti della Terra. Secondo il PEE lo spaziotempo di Minkowski è valido localmente in ciascun sistema di riferimento; tuttavia, poiché i due sistemi di riferimento si muovono di moto accelerato l’uno verso l’altro, i due spazi-tempi di Minkowski non possono venire prolungati fino a incontrarsi, nel tentativo di farli combaciare. In presenza della gravità lo spazio tempo è piatto solo localmente, ma nella sua globalità deve essere curvo. Ogni teoria della gravità che soddisfi il principio di equivalenza di Einstein viene detta "metrica" (secondo il punto di vista di una gravità "geometrica" in uno spazio-tempo curvo). Poiché il principio di equivalenza è un’ipotesi fondamentale per questo modo di vedere le cose, esso è stato Pagina 52 La teoria della Relatività Mario Sandri verificato molto accuratamente. Alcune versioni dell’esperimento di Eötvös, eseguite a Princeton nel 1964 e a Mosca nel 1971, hanno verificato il PEE con la precisione di 1012. Misure di spostamento verso il rosso per effetto della gravità con l’uso di raggi gamma che si propagavano verso l’alto in una torre del campus dell’Università di Harvard (1965), o con l’uso di luce emessa dalla superficie del Sole (1965), e infine con l’uso di orologi atomici posti su aeroplani e razzi in movimento (1976), hanno verificato questo effetto con una precisione maggiore dell’1%. Relatività generale Il principio di equivalenza e la sua conferma sperimentale mostrano che lo spazio-tempo viene incurvato dalla presenza della materia, ma non indicano quale sia l’entità della curvatura dello spazio-tempo prodotta effettivamente dalla materia. La determinazione di questa curvatura richiede un’opportuna teoria metrica della gravità, come a esempio la relatività generale, la quale fornisce un insieme di equazioni che permettono di effettuare il calcolo della curvatura dello spazio-tempo a partire dalla conoscenza di un’assegnata distribuzione della materia. Queste equazioni vengono chiamate equazioni del campo. Lo scopo di Einstein era quello di trovare le equazioni del campo più semplici che potessero venire formulate in termini della curvatura dello spazio-tempo e che avessero come sorgente la distribuzione della materia. Il risultato di questo lavoro è rappresentato da un gruppo di dieci equazioni. D’altra parte questa non rappresenta l’unica possibile teoria metrica. Nel 1960 C.H. Brans e Robert Dicke formularono una teoria metrica che, oltre alle equazioni del campo per la curvatura, forniva delle equazioni per un campo gravitazionale addizionale, il cui ruolo era quello di mediare e accrescere i modi con cui la materia dà origine al fenomeno della curvatura. Tra il 1960 e il 1976 tale teoria si presentò come una valida alternativa alla relatività generale. Inoltre, a partire dal 1976, sono state proposte molte altre teorie metriche. Un problema importante è perciò quello di sapere se la relatività generale rappresenta effettivamente la corretta teoria della gravità. La sola maniera di rispondere a questa questione è quella di ricercare la conferma sperimentale. Negli anni scorsi gli scienziati parlavano usualmente delle tre classiche verifiche sperimentali proposte da Einstein: lo spostamento verso il rosso per effetto della gravitazione, la deflessione della luce e lo spostamento del perielio di Mercurio. Lo spostamento verso il rosso rappresenta tuttavia una verifica del principio di equivalenza e non della relatività generale in se stessa. Inoltre due nuovi importanti verifiche sperimentali sono state scoperte dal tempo di Einstein: il ritardo temporale, da parte di I.I. Shapiro (1964) e l’effetto Nordtvedt, da parte di K. Nordtvedt jr. (1968). La verifica della deflessione dei raggi luminosi provenienti dalle stelle da parte del Sole, ottenuta durante l’eclisse solare del 1919, rappresentò uno Pagina 53 La teoria della Relatività Mario Sandri dei momenti trionfali per la relatività generale e procurò a Einstein una fama universale. Secondo la teoria, un raggio di luce che si propaga attraverso lo spazio-tempo curvo in prossimità del Sole deve venire deflesso dalla sua direzione iniziale di 1,75 arc/s ogni volta che rasenta la superficie solare. Sfortunatamente, le misure della deflessione di radiazione ottica proveniente dalle stelle sono molto difficili (in parte per la necessità di un’eclisse di Sole per oscurare la luce proveniente dal Sole) e serie ripetute di misure eseguite tra il 1919 e il 1973 hanno fornito risultati poco rassicuranti. Questo metodo è stato sostituito da misure della deviazione di onde radio provenienti da quasar lontani, eseguite con metodi di interferometria radiotelescopica, che possono essere fatte in pieno giorno. Tra il 1969 e il 1975 dodici misure eseguite nella maniera sopra descritta hanno mostrato un sostanziale accordo, con varianti che rientrano entro l’1%, con la deviazione prevista dalla relatività generale. L’effetto di ritardo temporale consiste in un piccolo ritardo temporale nel percorso del ritorno di un segnale luminoso attraverso lo spazio-tempo curvo, in vicinanza del Sole. Esso viene inviato a un pianeta o a un veicolo spaziale, che si trova dalla parte opposta del Sole, e da questo restituito alla Terra. Per un raggio luminoso che rasenta la superficie solare il ritardo temporale è di 200 milionesimi di secondo. A partire dal 1964 un programma sistematico di cammini radar eseguito con i pianeti Mercurio e Venere, con i veicoli spaziali Mariner 6, 7 e 9, e con i Viking che hanno orbitato intorno a Marte dove sono atterrati, è stato capace di confermare questa previsione con una precisione maggiore dello 0,5%. Un altro dei primi successi della relatività generale è rappresentato dalla spiegazione che essa ha saputo dare del problema dell’orbita di Mercurio. Dopo che si sono presi in considerazione gli effetti delle perturbazioni di tutti gli altri pianeti sull’orbita di Mercurio rimane ancora inspiegabile uno spostamento della direzione del suo perielio (cioè il punto di maggior vicinanza al Sole) di 43 arc/s per secolo; tale spostamento ha costituito un rompicapo per gli astronomi della fine del sec. XIX. La relatività generale ha spiegato lo spostamento del perielio di Mercurio come un effetto naturale del moto di Mercurio nello spazio-tempo curvo attorno al Sole. Recenti misure radar del moto di Mercurio hanno confermato questo accordo con una precisione di circa lo 0,5%. L’effetto Nordtvedt è un effetto che non si presenta soltanto nella relatività generale, ma viene previsto da molte teorie metriche alternative della gravità, compresa la teoria di Brans e Dicke. Esso rappresenta una possibile violazione dell’uguaglianza dei valori dell’accelerazione di corpi massivi, come a esempio i pianeti e le stelle, che sono tenuti insieme dalla gravitazione. L’esistenza di un effetto simile non violerebbe il principio di equivalenza debole, che è stato usato come un fondamento dello spazio-tempo curvo, dal momento che tale principio è valido solo per oggetti di dimensioni limitate le cui forze interne di legame, dovute alla gravitazione, sono trascurabili. Una delle proprietà più notevoli della relatività generale è che essa soddisfa il principio di equivalenza di Einstein per ogni tipo di forza. Se dovesse verificarsi l’effetto Pagina 54 La teoria della Relatività Mario Sandri Nordtvedt, la Terra e la Luna dovrebbero venire attratte dal Sole con accelerazioni leggermente differenti. Ne deriverebbe una piccola perturbazione nell’orbita lunare che potrebbe essere rivelata da misure di distanze lunari con il laser: una tecnica per la misura della distanza dalla Luna che fa uso di impulsi laser riflessi da un sistema di specchi deposti sulla Luna dagli astronauti della missione Apollo. Nei dati sperimentali presi fra il 1969 e il 1976 non è stata riscontrata la presenza di una perturbazione simile, entro un limite di precisione di 30 cm, in completo accordo con un risultato nullo previsto dalla relatività generale e in disaccordo con la previsione della teoria di Brans e Dicke. Durante l’ultimo decennio è stato eseguito inoltre un certo numero di verifiche secondarie di effetti gravitazionali più sottili. La relatività generale li ha superati tutti con successo, mentre molte delle teorie antagoniste hanno dato previsioni sbagliate. E’ importante continuare la verifica sperimentale della relatività generale, allo scopo di rafforzare la fiducia nel suo uso come un mezzo efficace per analizzare molti dei fenomeni scoperti recentemente nell’astronomia e nell’astrofisica. Cosmologia Le prime applicazioni astronomiche della relatività generale si sono avute nell’area della cosmologia. La teoria prevede che l’universo potrebbe trovarsi attualmente in uno stato di espansione derivante dall’esplosione di uno stato iniziale condensato, processo questo che è conosciuto come il big bang. Nonostante molte difficoltà (inclusa la popolarità della teoria dello stato stazionario durante gli anni Cinquanta), il big-bang è attualmente accettato come il modello standard dell’universo. Questa conclusione viene rafforzata da tre importanti prove sperimentali messe insieme principalmente dopo gli anni Sessanta: 1) misure più raffinate della velocità di espansione dell’universo (determinata per la prima volta da Edwin Hubble nel 1929) le quali mostrano che il big bang è avvenuto tra 10.000 e 20.000 milioni di anni fa; 2) la scoperta nel 1965 del fondo di radiazione a microonde di 3 K (3 °C al di sopra dello zero assoluto), vale a dire un "mare" uniforme di radiazione elettromagnetica prodotto dalla primitiva fase calda dell’universo (700.000 anni dopo il big-bang); 3) l’avere evidenziato che la presenza di elio osservata nel cosmo (dal 20 al 30% in peso) è necessariamente compatibile con una condizione di big-bang. Un aspetto del modello che è tuttora incerto è se l’universo continuerà a espandersi indefinitamente o se rallenterà l’espansione ed eventualmente si ricomprimerà in una big crunch. Una risposta può giungere dalle osservazioni astronomiche. Un’altra applicazione importante di relatività generale riguarda le stelle di neutroni, corpi i quali sono stati talmente compressi dalle forze gravitazionali che la loro densità è confrontabile con quella esistente all’interno del nucleo atomico e la loro Pagina 55 La teoria della Relatività Mario Sandri composizione è principalmente fatta di neutroni (una stella di neutroni la cui massa è uguale a quella del Sole ha un raggio di appena 10 Km). Si pensa che le stelle di neutroni si formino in conseguenza di fenomeni violenti, come a esempio la generazione di supernove e altre implosioni gravitazionali di stelle. Le pulsar, scoperte per la prima volta nel 1967, sono generalmente considerate come stelle di neutroni in rapida rotazione: si tratta di oggetti che emettono impulsi di radioonde a intervalli regolari, compresi tra 1/30.000s e 3s; fino a tutto il 1979 ne sono state scoperte 200. Secondo un modello, la stella di neutroni si comporta come un faro che emette un ristretto fascio di radiazione dalla sua superficie; tale fascio, mentre esegue una pulsazione, viene rivelato da un telescopio in osservazione, una volta per ogni periodo di rotazione. Una delle previsioni più singolari della relatività generale riguarda il buco nero. L’implosione di stelle con massa estremamente grande può andare oltre la configurazione delle stelle di neutroni. Man mano che la materia continua a concentrarsi, la superficie che la racchiude, supposta sferica, arriva a coincidere con una superficie sferica immaginaria che prende il nome di evento-orizzonte, il cui raggio è dato da 2 MG/c², dove M è la massa che si è concentrata e G è la costante di gravitazione di Newton; per una massa pari a quella del Sole questo raggio è di circa 3 Km. Una volta che si è all’interno dell’evento-orizzonte, niente può uscirne fuori, neppure la luce. La geometria dello spazio-tempo esterno al buco nero è descritta dalla soluzione dell’equazione di campo di Schwarzschild se non c’è rotazione, e dalla soluzione di Kerr se il buco nero è in rotazione (tali soluzioni furono scoperte rispettivamente nel 1916 da Karl Schwarzschild e nel 1963 da R. Kerr). Attualmente esistono prove sperimentali abbastanza ben fondate che nella costellazione del Cigno è presente una stella doppia formata dalla stella denominata HDE 226868 e da un buco nero. Secondo il modello teorico più seguito attualmente, il gas proveniente dall’atmosfera della stella HDE 226868 viene attirato dal campo gravitazionale del buco nero, si riscalda mentre viene convogliato verso il buco ed emette una copiosa quantità di radiazione X prima di immergersi all’interno dell’evento orizzonte. I raggi X provenienti da questa sorgente, chiamata Cygnus X 1, furono rivelati nel 1971 da un telescopio posto su un satellite detto Uhuru. Alcuni fisici teorici hanno proposto che dei buchi neri supermassivi possano essere presenti al centro di alcuni ammassi di stelle e di alcune galassie inclusa forse la nostra galassia. Una previsione della relatività generale non è stata ancora verificata: la radiazione gravitazionale, cioè un’onda di forza gravitazionale che si propaga con la velocità della luce, trasporta energia e induce un moto relativo tra coppie di particelle che si trovano sulla sua traiettoria, oppure produce deformazioni all’interno dei corpi. Gli astrofisici credono che la radiazione gravitazionale possa venire emessa da sorgenti dinamiche, come a esempio le supernove, i sistemi di stelle doppie e i buchi neri, durante la loro formazione o le loro collisioni. Per quanto alcuni esperimenti eseguiti verso il 1970, nei quali venivano usati dei Pagina 56 La teoria della Relatività Mario Sandri cilindri di alluminio di 1,5 t che erano predisposti a rivelare delle deformazioni, abbiano dato risultati interpretabili in termini di esistenza di onde gravitazionali, esperimenti successivi, eseguiti da altri gruppi di ricercatori, non hanno confermato tale indicazione. Attualmente si sta sviluppando una collaborazione in tutto il mondo per costruire antenne di radiazione gravitazionale, non soltanto allo scopo di rivelare questo fenomeno, ma anche, in ultima analisi, per fare uso di esso come un nuovo mezzo di indagine per studiare l’universo. In tempi recenti si è avuta una prova indiretta dell’esistenza di radiazione gravitazionale in un sistema conosciuto come una pulsar binaria, cioè una pulsar che esegue un’orbita attorno a un’altra stella. Misure accurate del moto delle pulsar, eseguite con radiotelescopi, hanno mostrato che la pulsar diminuisce la sua energia lungo l’orbita e l’orbita stessa si restringe con una velocità uguale a quella che ci si aspetta dalla diminuzione di energia mediante l’emissione di onde gravitazionali da parte del sistema binario. Pagina 57 La teoria della Relatività Mario Sandri METODOLOGIE DIDATTICHE Le strategie didattiche che si intendono adottare sono prevalentemente la lezione frontale, limitata ad una breve parte dell’ora di lezione per sfruttare al meglio i tempi di attenzione, la lezione interattiva che stimoli gli allievi a porre e a porsi domande, a collegare situazioni e a ricercare soluzioni. Per la presentazione dei nuovi contenuti e per lo svolgimento di esercizi significativi si farà uso di lezioni frontali; per la risoluzione di ulteriori esercizi in collaborazione insegnate-allievi si farà uso invece di lezioni dialogiche, con lo scopo di coinvolgere gli studenti nella realizzazione delle lezioni, sollecitandoli con opportune domande. I momenti di lezione frontale e dialogica non saranno rigidamente distinti, ma si potranno alternare nell’ambito della stessa ora di lezione. Alla presentazione di ogni nuovo concetto o metodo di risoluzione di problemi, seguirà lo svolgimento di esempi numerici. Talvolta sarà più opportuno partire da esempi significativi per giungere alla formulazione di proprietà generali. Inoltre la correzione in classe degli esercizi farà da spunto per nuove riflessioni e argomentazioni. MATERIALI E STRUMENTI UTILIZZATI • Lavagna, gessi colorati • Libro di testo. Questo strumento dovrà presentare un linguaggio adeguato all’età, evidenziare i nodi concettuali evitando nel contempo pericolose banalizzazioni, sostenere uno studio individuale e le attività in classe. Il testo andrà usato in modo critico, adattandolo ed eventualmente semplificandolo, cercando un punto di contatto tra gli obiettivi della programmazione in classe e le abilità possedute dagli alunni. La difficoltà di un testo può essere legata ai contenuti, alle operazioni cognitive, agli aspetti linguistici o agli aspetti grafici. Per questo motivo, spesso emerge la necessità di completare, ridurre, schematizzare ed evidenziare quanto contenuto nel testo. • Personal computer. Sarà possibile utilizzare semplici simulazioni atte a spiegare i concetti fondamentali della relatività. • Videoregistratore con televisione. L’importanza dell’argomento offre il vantaggio di poter reperire facilmente videocassette esplicative su alcuni esperimenti particolarmente significativi riguardanti sia la relatività speciale che generale. Pagina 58 La teoria della Relatività Mario Sandri CONTROLLO DELL’APPRENDIMENTO L’insegnante potrà valutare l’andamento dell’attività didattica e controllare la comprensione dell’argomento da parte degli alunni attraverso verifiche formative costituite da esercizi mirati, di difficoltà crescente, da svolgere a casa. Tali esercizi saranno successivamente discussi in classe, puntando principalmente su quelli in cui gli studenti hanno riscontrato maggiori difficoltà. VALUTAZIONE La valutazione dell’apprendimento si attua attraverso prove orali. RECUPERO E APPROFONDIMENTO Si prevedono attività di recupero per integrare e completare l’attività didattica. L’insegnamento è in ogni caso orientato alla continua ripresa degli argomenti su cui gli studenti incontrano maggiori difficoltà. Gli argomenti da recuperare sono individuati attraverso le prove orali. Le forme di recupero previste sono: • Recupero svolto in classe attraverso la ripresa di concetti non ben assimilati e lo svolgimento di esercizi chiarificatori; • Attività pomeridiane con gli studenti interessati (“sportello” e ”ascolto didattico”); • Assegnazione allo studente di esercizi mirati alla difficoltà da recuperare e guidati nella risoluzione. TEMPI DELL’INTERVENTO DIDATTICO Viene proposta una descrizione del susseguirsi delle attività didattiche con i tempi necessari a ciascuna attività. Questa proposta va comunque considerata in maniera elastica, in quanto l’attività dipende molto dalle esigenze degli studenti. Accertamento dei prerequisiti 1h Vita e opere di Albert Einstein 1h La relatività speciale 4h La relatività generale 2h Esempi ed esercizi 2h Prove orali Pagina 59 La teoria della Relatività Mario Sandri BIBLIOGRAFIA A. Fontana – Appunti del corso di Esperimentazioni di Fisica II L. Nobili – Astrofisica relativistica - Cleup A. Einstein - Come io vedo il mondo. La teoria della relatività - Newton editore C. Mencuccini, V. Silvestrini – Fisica I. Meccanica Termodinamica – Liguori editore J.S. Walzer – Fisica vol. II – Zanichelli editore A. Einstein – Il significato della relatività – Newton editore A. Caforio, A. Ferilli – Physica 2 – Le Monnier E. Cassirer – Teoria della relatività di einstein – Newton editore Pagina 60