Dipartimento di Morfologia Umana Università degli Studi dell’Insubria Ospedale di Circolo di Varese Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia Diagnostica Divisione Italiana della International Academy of Pathology XIX INCONTRO SCIENTIFICO ANNUALE DEL GRUPPO ITALIANO DI PATOLOGIA ULTRASTRUTTURALE SIAPEC-IAP (GIPU) Varese, 20-21 febbraio 2009 AULE DIDATTICHE Università degli Studi dell’Insubria Via Monte Generoso, 71 VARESE Con il supporto di e di PROGRAMMA Venerdi 20 febbraio 2009 13.45 Registrazione dei partecipanti 14.00 Apertura del convegno 14.15-15.00 La telemicroscopia: possibili applicazioni in telepatologia. P. L. Fabbri (Modena) L’impiego della microscopia elettronica nella patologia neoplastica e non neoplastica. I sessione Moderatore Prof. Carlo Capella (Varese) 15.00-15.20 Localizzazione immunoistochimica ed ultrastrutturale dell’enzima BACE2 nel pancreas. C.Placidi, G. Finzi, F. Franzi, F. Acquati, E. Palumbo*, A. Russo*, R. Taramelli, F. Sessa°, S.La Rosa. (Varese- *Padova- °Milano) 15.20-15.40 Carcinoma a piccole cellule del rene: studio morfologico, immunoistochimico, ultrastrutturale e citogenetico. G.Finzi, S. La Rosa, B. Bernasconi, D.Micello, C. Capella. (Varese) 15.40-16.00 Angiosarcoma cardiaco: clinica, immunoistochimica ed ultrastruttura. C. Placidi, V. Bertolini, C. Facco, G. Finzi, D. Lumia, Genovese, C. Capella. (Varese) 16.00-16.20 Neoplasia epilettogena con aspetti di astrocitoma ed ependimoma. M. Palumbo, A. Cimmino, P.I. D’Urso, M.G. Fiore, R. Rossi, L. Resta. (Bari) 16.20-16.40 Valutazione dei miofibroblasti attivati nello stroma del carcinoma mammario. R. Rossi, G. Simone, A. Malfettone, D. Piscitelli, L. Resta, A. Mangia (Bari) 16.40-17.00 Nuove e vecchie proposte per la microscopia elettronica. L. Mariani FEI Company 17.00-17.30 COFFEE BREAK II Sessione Moderatore Prof. Carlo Dell’Orbo (Varese) 17.30-17.50 Quando il gioco si fa duro…Lo studio della placca aterosclerotica calcificata. D. Quacci, T. Congiu, L. Guasti, F. Marino, M. Tozzi, S. Uccella. (Varese) 17.50-18.10 Studio della capacità rigenerativa del muscolo scheletrico in pazienti affetti da SLA. A. Scaramozza, V. Papa, L. Tarantino, E. Pegoraro*, G. Sorarù*, C. Angelini*, G.N. Martinelli, G. Cenacchi. (Bologna- *Padova) 18.10-18.30 Ruolo della Microscopia Elettronica nella definizione delle cosiddette “miopatie vacuolari”. L. Tarantino, V. Papa, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, G. N. Martinelli e G. Cenacchi. (Bologna) 18.30-18.50 Un caso di “Action Myoclonus-Renal Failure syndrome”: studio ultrastrutturale e prospettive terapeutiche. V. Papa, L. Tarantino, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, L.Vergani*, E. Pegoraro*, C. Angelini*, G. N. Martinelli e G. Cenacchi. (Bologna- *Padova) 18.50-19.10 1 Il Microscopio Elettronico a Scansione nella paleopatologia. Osservazioni di un caso. C. Dell’Orbo, P. Basso, T. Congiu, A Sassi. (Varese) 19.10 Assemblea del gruppo GIPU 20.30 Cena sociale Sabato 21 febbraio 2009 L’impiego della microscopia elettronica nella patologia sperimentale. Moderatore Prof. Gianandrea Pasquinelli (Bologna) 9.00-9.20 Caratterizzazione ultrastrutturale dei progenitori endoteliali circolanti. A. Pacilli, C. Orrico, L. Foroni, C. Gamberini, C. Muscari, G. Pasquinelli. (Bologna) 9.20-9.40 Infezione produttiva da parvovirus B19 delle cellule endoteliali placentali. L. Foroni, F. Bonvicini, N. Salfi, G. Gallinella, G. Pasquinelli. (Bologna) 9.40-10.00 Cellule coltivate su supporti nanofibrosi elettrofilati: utilizzo di tecniche istologiche e ultrastrutturali per lo studio della adesione, proliferazione, sopravvivenza e immunofenotipizzazione cellulare. S. Valente, L. Foroni, G. Dirani, C. Gualandi, ML. Focarete, G. Pasquinelli. (Bologna) 10.00-10.20 Terapia cellulare per la riparazione tessutale: utilizzo di microsfere di PGLA farmacologicamente attive come veicolo di cellule mesenchimali (staminali) stromali. C. Orrico, L. Foroni, S. Valente, F. Bonafè, E. Fiumana, C. Montero-Menei, C. Muscari, G. Pasquinelli. (Bologna) 10.20-10.40 Lo smascheramento antigenico con il calore in immunocitochimica ultrastrutturale. G. Finzi (Varese) 10.45-11.30 Aspetti ultrastrutturali delle glomerulonefriti. G. Mazzucco (Torino) L’impiego della microscopia elettronica nella diagnosi delle glomerulonefriti. Moderatore Prof. Giovanna Cenacchi (Bologna) 11.30-11.50 Ruolo della microscopia elettronica in un caso di glomerulonefrite a depositi strutturati, ad IgA prevalente, e connettivite indifferenziata. A. Tosoni, S. Caruso, A. Ferri, A. Genderini, M. Nebuloni, GL. Vago, G. Barbiano di Belgiojoso. (Milano) 11.50-12.10 Nefropatia a membrane basali sottili o sindrome di Alport: casi spesso irrisolti. P. Preda (Bologna) 12.10 Chiusura dei lavori 2 La telemicroscopia: possibili applicazioni in telepatologia. Pier Luigi Fabbri C.I.G.S. - “Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti” Università di Modena e R.E. Email: [email protected] Il C.I.G.S. è un centro interdipartimentale di servizi dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Il principale compito istituzionale del Centro è quello di gestire e mettere a disposizione della comunità scientifica locale un certo numero di laboratori scientifici di notevole complessità, difficilmente acquisibili e gestibili da un singolo gruppo di ricerca. Al momento il Centro dispone di 25 laboratori che vanno dalla microscopia ottica, elettronica e a scansione di sonda fino alla spettroscopia ottica alla risonanza magnetica nucleare e alla diffrattometria a raggi x. In fase di avanzata realizzazione è un importante laboratorio multidisciplinare di spettrometria di massa organica ed inorganica per applicazioni multidisciplinari nel campo della “proteomica” e dell’agro-alimetare. Oltre alla disponibilità delle attrezzature il Centro mette a disposizione dei ricercatori personale altamente qualificato nelle varie tecniche strumentali. All’interno del Centro si sono inoltre sviluppate competenze informatiche di prim’ordine che hanno permesso lo sviluppo di una serie di tools specifici per la acquisizione, la archiviazione e la gestione remota dei dati. Negli ultimi anni, l’interesse nella possibilità di avere un completo controllo remoto delle apparecchiature è cresciuto moltissimo. Nella nostra esperienza, la esigenza principale è stata, inizialmente, legata a scopi didattici, ma sempre più spesso si è sentita la necessità di poter seguire da remoto lo svolgersi di un esperimento e, in alcuni casi di poter interagire con lo strumento da postazioni remote. Con il diffondersi di connessioni a banda larga e la progressiva completa “informatizzazione” di molte apparecchiature scientifiche è ora possibile realizzare sistemi di controllo remoto utilizzando diversi strumenti software anche di pubblico dominio, i più diffusi dei quali sono Microsoft Remote Desktop (MRD) e VNC. Il primo è già parte integrante dei sistemi operativi Microsoft di ultima generazione, il secondo è un software di pubblico dominio molto diffuso, scaricabile gratuitamente dalla rete e può essere utilizzato anche su piattaforme “non Microsoft”. La scelta fra i due sistemi dipende da vari fattori ma, nel caso si debba “cooperare” con un operatore locale che operi direttamente sullo strumento, la scelta di sistemi tipo VNC e obbligata. Anche se si è ancora lontani da poter raggiungere prestazioni tali da rendere indistinguibile per la sensazione di lavorare in locale o in remoto, per molte apparecchiature scientifiche il “grado di operabilità” in remoto è arrivato a livelli decisamente più che accettabili. Le cose si complicano un poco nel caso dei sistemi per microscopia sia ottica che elettronica in quanto le richieste di velocità di trasferimento dati sono particolarmente pressanti e asimmetriche ma, con opportune scelte di compromesso, in termini di compressione e riduzione delle dimensioni delle immagini trasferite, possono essere realizzate connessioni di controllo remoto con prestazioni discrete. Un aspetto importante e poi quello della sicurezza. Chiunque abbia la responsabilità della gestione di una apparecchiatura scientifica ha la assoluta necessità di conoscere con certezza la identità di chi dovrà utilizzare lo strumento in remoto e il suo grado di esperienza nell’utilizzo del medesimo. In questa breve presentazione verranno effettuate alcune dimostrazioni pratiche di sessioni remote SEM e TEM che potrebbero essere applicate a livello routinario, a vari livelli, anche nella telepatologia e verranno esaminate anche le soluzioni adottate per mantenere il più alto grado di sicurezza possibile. 4 Localizzazione immunoistochimica ed ultrastrutturale dell’enzima BACE 2 nel pancreas. C.Placidi, G. Finzi, F. Franzi, F. Acquati, E. Palumbo*, A. Russo*, R. Taramelli, F. Sessa°, S.La Rosa. (Dipartimento di Patologia‐Ospedale di Circolo di Varese, Dipartimento di Morfologia Umana‐ Università dell’Insubria di Varese‐ *Dipartimento di Biologia‐Università di Padova ‐ °Dipartimento di Patologia‐ Multimedica Milano) Il diabete di tipo II è caratterizzato dall’insulino‐resistenza dei tessuti periferici e da un progressivo deterioramento delle cellule β che sono sottoposte ad una continua stimolazione della secrezione insulinica, che alla lunga porta ad una riduzione della loro funzione. Oltre a questo stato di iperstimolazione funzionale, numerosi altri fattori contribuiscono alla progressiva riduzione della capacità di secrezione insulinica. Tra questi l’amiloidosi insulare (AI) sembra giocare un ruolo di primaria importanza. L’AI è caratterizzata da depositi di materiale eosinofilo amorfo, che presenta la tipica birifrangenza verde quando viene osservato a luce polarizzata. Agli inizi i depositi sono intorno ai capillari, ma con il perdurare della malattia tendono ad accumularsi in abbondanza fino ad arrivare a sostituire ed obliterare completamente le isole. L’amiloide è formata dall’accumulo di una proteina 5 di 37 aminoacidi denominata amilina o IAPP (islet amyloid polipeptide). Questa proteina è prodotta dalle cellule beta e co‐secreta con l’insulina. Nell’uomo, nella scimmia e nel gatto, ma non nei roditori, l’amilina contiene una sequenza peptidica amiloidogenica, che la predispone a precipitare formando amiloide, specialmente quando prodotta e secreta in eccesso. E’ stato dimostrato che una ipersecrezione di amilina ed insulina, che si riscontra come risposta compensatoria delle cellule β pancreatiche alla insulinoresistenza del diabete di tipo II, conduce alla formazione di depositi intra ed extra‐citoplasmatici di amilina. I depositi di amiloide possono causare danni alle cellule beta sia tramite un effetto tossico causato dalle fibrille extracellulari, sia disturbando le interazioni intercellulari e la captazione delle sostanze nutritive. Le fibrille di amiloide possono essere anche incorporate nella membrana cellulare, causando un aumento dei livelli di calcio intracellulare che porta la cellula verso l’apoptosi . Comunque, tutti i meccanismi coinvolti nel processo di precipitazione di amiloide a livello insulare non sono ancora del tutto chiari. Una parte del nostro studio si è focalizzata sul possibile ruolo della proteasi BACE2 nella formazione della AI. BACE2 è una proteina omologa a BACE1, che è un enzima in grado di clivare a livello dei siti β la proteina precursore dell’amiloide (“β‐site amyloid precursor protein‐APP” cleaving enzyme) che si deposita nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer. Entrambe le proteine sono coinvolte nella patogenesi di due malattie muscolari caratterizzate dalla vacuolizzazione delle fibre muscolari con deposito di una proteina simile a quella che si riscontra nella malattia di Alzheimer che risulta positiva alla colorazione Rosso Congo: miosite a corpi inclusi, sia sporadica che ereditaria. BACE2 è una proteina ampiamente espressa nei tessuti, tra cui il pancreas, tuttavia la sua esatta localizzazione cellulare nel pancreas non è stata ancora definita. L’interesse per l’espressione e la localizzazione di BACE 2 nel tessuto pancreatico è basato sul suo ruolo nella formazione di amiloide. La sua presenza a livello delle cellule pancreatiche di tipo β potrebbe infatti suggerire nuovi meccanismi che portano al deposito di AI nei pazienti con diabete mellito di tipo II. Lo studio sull’espressione di BACE2 nel pancreas è stato condotto su tessuti di topo e ratto. Tutti i campioni sono stati processati in modo routinario sia per l’esame di microscopia ottica che elettronica. L’immunoreattività per BACE 2 è risultata intensa e localizzata a livello citoplasmatico nelle cellule della porzione centrale delle isole pancreatiche. Utilizzando studi di colocalizzazione antigenica (doppie colorazioni immunoistochimiche e studio di sezioni seriate) abbiamo dimostrato che BACE2 colocalizza con l’insulina e l’amilina nelle cellule β, mentre non è presente nelle cellule alfa, PP, delta e nelle cellule esocrine del pancreas. A livello ultrastrutturale l’immunoreattività per BACE 2 è stata localizzata nei granuli secretori delle cellule β, particolarmente concentrata a livello dei cori cristallini caratteristici dei granuli ad insulina maturi. I nostri risultati suggeriscono che BACE 2, per la sua colocalizzazione sia con l’insulina che con l’amilina, potrebbe avere un ruolo nel clivaggio del pro‐ peptide IAPP favorendo la formazione dell’amiloide. 6 Carcinoma renale a piccole cellule Studio morfologico, immunoistochimico, ultrastrutturale e citogenetico Giovanna Finzi*, Stefano La Rosa*, Barbara Bernasconi, Donata Micello, Carlo Capella *Ospedale di Circolo di Varese, Università dell’Insubria I carcinomi a piccole cellule sono tumori neuroendocrini scarsamente differenziati, che possono svilupparsi in diverse sedi, sebbene siano più comuni nel polmone. Nel rene sono molto rari (meno dell’1% dei carcinomi renali, i casi descritti in letteratura sono solo 45), si sviluppano in età adulta ed hanno una prognosi molto brutta(sopravvivenza media 8 mesi). Abbiamo studiato un caso di carcinoma renale a piccole cellule con le tecniche di immunoistochimica, microscopia elettronica e citogenetica. Il tumore mostrava cordoni di cellule piccole con nuclei marcatamente ipercromatici tondi o ovali, piccolissimi nucleoli, scarso citoplasma con i bordi indistinti, e aree di necrosi e di invasione dei vasi linfatici e del grasso peri-renale. L’indice mitotico e quello proliferativi erano elevati, e le cellule erano immunoreattive per sinaptofisina, CD56, cromogranina A, VMAT1 e VMAT2, e p53. Al microscopio elettronico, le cellule, sebbene piuttosto mal conservate, mostravano dei nuclei abbastanza regolari, contenenti cromatina densa periferica, ed uno scarso citoplasma in cui si osservavano dei granuli secretori elettrondensi omogenei di dimensioni di 100-200 nm. Con la tecnica di FISH su nuclei interfasici si osservava un alto grado di instabilità cromosomica (CIN) e perdita allelica di p53, caratteristiche dei carcinomi neuroendocrini scarsamente differenziati di altre sedi, e polisomie del cromosoma 8 e amplificazione del gene myc, come osservato nei carcinomi papillari renali di tipo 2. Non si osservavano invece le alterazioni citogenetiche caratteristiche del carcinoma a cellule chiare renale (perdita del braccio corto del cromosoma 3) e dei carcinoidi. Questi dati dimostravano che il carcinoma neuroendocrino scarsamente differenziato del rene è una neoplasia con caratteristiche genetiche ben distinte, differenti dal carcinoma a cellule chiare e più simili al carcinoma papillare di tipo 2. In conclusione l’impiego di diverse tecniche di indagine, dalla microscopia ottica alla microscopia elettronica e alla citogenetica, si è rivelato estremamente utile, sia per la diagnosi che per una migliore comprensione della biologia e dell’istogenesi di questa neoplasia. 7 Angiosarcoma cardiaco: clinica, immunoistochimica ed ultrastruttura. Presentazione di un caso. C. Placidi,* V. Bertolini, C. Facco, G. Finzi, D. Lumia, Genovese, C. Capella. (Ospedale di Circolo di Varese, Università degli Studi dell’Insubria-Varese, * Dipartimento di Patologia-Multimedica Milano) I tumori primari cadiaci, ad eccezione dei mixomi atriali, sono molto rari (incidenza di 0,001-0,028% in autopsie randomizzate). Circa il 75% di questi sono benigni, il rimanente 25% sono maligni e sono rappresentati da sarcomi ad origine mesenchimale. I più comuni sarcomi cardiaci sono: angiosarcomi, rabdomiosarcomi, mesoteliomi maligni e fibrosarcomi. L’angiosarcoma è un tumore maligno con differenziazione endoteliale, rappresenta circa un terzo delle neoplasie cardiache primarie e si manifesta a qualsiasi età con un picco di incidenza intorno ai 40 anni. Tipicamente questo tumore è localizzato nell’atrio destro e frequentemente invade le strutture adiacenti, come il pericardio, la vena cava o la valvola tricuspide. Spesso al momento della diagnosi il tumore primitivo è già metastatizzato principalmente a livello polmonare, epatico e cerebrale e la prognosi risulta infausta con una soppravvivenza media di soli 6 mesi. Riportiamo un caso di angiosarcome cardiaco diagnosticato all’autopsia, sul quale è stato possibile effettuare, oltre ad analisi radiologiche, analisi istologiche, immunoistochimiche ed ultrastrutturali. Paziente maschio di 47 anni, insegnante, con anamnesi cadiologica negativa. Si presenta al pronto soccorso per dispnea acuta e dolore toracico; dopo riscontro di versamento pleurico e pericardico, viene effettuata una pericardiocentesi con prelievo di 1300cc di fluido ematico. L’analisi citologica dà esito non diagnostico mentre l’analisi microbiologica riporta titoli elevati di anticorpi antiMycoplasma Pneumoniae. La TC non mostra segni di lesioni focali o cardiache. La diagnosi è: pleuropericardite con tamponamento cardiaco. Il paziente viene trattato con ASA e Claritromicina e viene dimesso dopo dieci giorni in buone condizioni generali. Dopo 5 mesi viene nuovamente ricoverato nell’Unità di Cardiologia per dolore toracico ingravescente, viene sottoposto ad ultrasonografia trans-toracica cardiaca che evidenzia la presenza di una massa ecogenica e disomogenea (9x6,5 cm) che occupa l’atrio destro, confermata da ecografia trans-esofagea. La TAC con mezzo di contrasto e la RMN riportano la presenza di una massa cardiaca neovascolarizzata, con aree di emorragia e necrosi occupante l’atrio dx e dislocante la vena polmonare ed il piano tricuspidale. Viene ffettuata una biopsia trans-toracica con esito non diagnostico, un’emocoltura con esito negativo e un’analisi dei principali markers neoplastici (CEA, CA19.9, βHCG, CYFRA 21.1, αFP) che risultano nella norma. 30 giorni dopo il ricovero il paziente presenta dispnea severa, disfasia e disorientamento e viene quindi sottoposto ad angio-TAC con mezzo di contrasto e CT scan cerebrale. L’esito riporta: presenza versamento pleurico dx, noduli polmonari bilaterali, piccolo nodulo epatico e lesioni ipodense multiple a livello cerebrale. Vengono effettuate una biopsia intracardiaca e una biopsia stereotassica delle lesioni cerebrali che risultano non diagnostiche. Il paziente muore per deterioramento delle condizioni generali. Viene effettuato l’esame autoptico nel quale si riscontrano: una massa estesamente necrotico-emorragica (diametro 13 cm e peso 900 g) occupante il mediastino, includente l’atrio destro, la porzione superiore del ventricolo destro e infiltrante il parenchima polmonare destro e sinistro; un versamento emorragico di 1500 cc nella cavità pleurica destra; numerosi noduli polmonari (diametro max 0,5 cm); numerosi noduli necrotico-emorragici in entrambi gli emisferi cerebrali (diametro max 4 cm). Campioni cardiaci, polmonari e cerebrali vengono processati routinariamente per la microscopia ottica. L’esame morfologico al microscopio ottico 8 riporta il quadro caratteristico dell’angiosarcoma: proliferazione atipica di cellule epitelioidi fusate disposte a formare piccoli vasi anastomizzati. L’analisi immunoistochimica, effettuata sui campioni di tessuto cardiaco e cerebrale, mostra l’immunoreattività delle cellule tumorali per i principali marcatori endoteliali (CD31, CD34, Fattore VIII, ULEX, D2.40) e un indice proliferativo (calcolato su sezioni immunoreattve per anti-Ki67 MIB1) del 50%. L’analisi ultrastrutturale è stata effettuata solo su tessuto cardiaco. Nonostante il campione fosse autoptico, è stato possibile individuare le caratteristiche morfologiche dell’angiosarcoma e cioè: perdita della morfologia vascolare, perdita delle giunzioni cellulari, membrana basale fine, irregolare e discontinua. Inoltre le cellule tumorali endoteliali mostravano: citoplasma voluminoso, flocculento e con bordi irregolari, vescicole endocitotiche, cisterne di reticolo endoplasmatico dilatate, numerosi filamenti intermedi intracitoplasmatici, nuclei irregolari con condensazione periferica della cromatina e perdita di nucleoli evidenti. Caratteristiche peculiari a livello ultrastrutturale erano la presenza di citolisosomi e mielinosomi, e la perdita dei corpi di Weibel Palade caratteristici delle cellule endoteliali vascolari. In conclusione il nostro lavoro risulta interessante in quanto riporta un quadro completo sia delle caratteristiche cliniche e radiologiche, sia di quelle morfologiche ed ultrastrutturali dell’angiosarcoma cardiaco. Neoplasia epilettogena con aspetti di astrocitoma ed ependimoma. M. Palumbo, A. Cimmino, P.I. D’Urso*, M.G. Fiore, R. Rossi, L. Resta Dipertimento di Anatomia Patologica e Clinica Neurochirurgia*, Università degli studi di Bari Il valore dell’indagine ultrastrutturale nella diagnosi delle neoplasie cerebrali trova ampio consenso, specie quando si presentano neoplasie rare o con linee cellulari differenti non apprezzabili alla microscopia ottica o alla valutazione immunoistochimica. Case report Paziente maschio di 62 anni con episodio critico di clonia alla guancia destra e afasia motoria transitoria. La RMN effettuata al momento dell’episodio e ripetuta 6 mesi dopo, ha evidenziato area 9 di alterato segnale iperintenso in corrispondenza del giro precentrale e minuta lesione in sede giunzionale. All’intervento, aperta la dura madre, il parenchima cerebrale si presentava edematoso con tessuto verosimilmente neoplastico in corrispondenza del giro precentrale. Il tumore, pluriframmentato, mostrava istologicamente un aspetto prevalente a cellule fusate bipolari astrocitarie accanto ad altre simil-oligodendrogliomatose. In un minuto frammento erano presenti aspetti ependimali con atteggiamento vagamente rosettoide e con aggregazione perivascolare delle cellule neoplastiche solo in rare aree. E’ stata eseguito un pool di Immunoistochimica per GFAP(+++), Sinaptofisina (++), EMA (+ dotlike) e Ki67 4%. L’ultrastruttura, eseguita su campione fissato in glutaraldeide, ha mostrato una duplice popolazione cellulare intimamente connessa. Da un lato cellule con citoplasma ricco di microtubuli, reticolo e lumi ghiandolari provvisti di numerosi e lunghi microvilli e ben strutturate ciglia, con apparati giunzionali complessi “zip-like”. Dall’altro erano evidenti cellule con citoplasma ricco in fibrille sottili, talora aggregate in strutture simil-cristalline elettrondense. Sulla base delle caratteristiche cliniche, morfologiche, immunoistochimiche e soprattutto ultrastrutturali è stata posta la diagnosi di glioma angiocentrico. Tale neoplasia, illustrata per la prima volta nel 2005, è caratterizzata dalla proliferazione di cellule sia astrocitarie che ependimali, con conseguente organizzazione angiocentrica. Alla formulazione della diagnosi risulta essenziale la distinzione della duplice differenziazione cellulare dimostrata dall’indagine ultrastrutturale. Sulla base delle poche segnalazioni attualmente esistenti in letteratura, il riscontro di tale neoplasia nei soggetti anziani risulta oltremodo raro. Valutazione dei miofibroblasti attivati nello stroma del carcinoma mammario. R. Rossi,G. Simone*, A. Malfettone*, D. Piscitelli, L. Resta, A. Mangia* Dipartimento di Anatomia Patologica, università degli Studi di Bari *U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari L’interazione tra cellule neoplastiche e cellule stromali risulta particolarmente importante per la progressione, l’infiltrazione e il potenziale metastatico della neoplasia. In questa prospettiva sono state ricercate e valutate diverse cellule stromali tra cui miofibroblasti, fibroblasti, cellule muscolari lisce, periciti, ecc. Attualmente esistono pareri differenti sulla possibilità di differenziare tali cellule sulla base di indagini immunoistochimiche e/o ultrastrutturali. Per verificare le possibilità di identificazione della popolazione cellulare stromale abbiamo studiato 10 casi di carcinoma mammario in collaborazione con l’U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica dell’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari. Al momento dell’intervento sono stati prelevati tre campioni rispettivamente a livello del tumore (T), della regione peritumorale (PT) e del parenchima mammario a distanza (PM). Ogni campione è stato diviso in due metà, ottenendo due frammenti speculari dei quali uno è stato avviato per lo studio istologico e immunoistochimico e l’altro per lo studio ultrastrutturale. Su campione fissato in formalina e incluso in paraffina si è proceduto alla valutazione dell’espressione di CD 34 (clone Q-bend-10, Ventana, diluizione 1:50) e di α-SMA (clone 1A 4 , Santa Cruz, diluizione 1:100). Con l’indagine immunoistochimica si è evidenziata una maggiore presenza di cellule α-SMA+ nel campione T, con una percentuale di elementi positivi del 43% (range 21.2-62.2%) rispetto al totale 10 delle cellule mesenchimali presenti. Cellule α-SMA+ sono state dimostrate solo su 3 dei10 campioni peritumorali e in nessun caso del campione a distanza. Al contrario le cellule stromali ed endoteliali CD34+ rappresentavano il 92% delle cellule stromali nel campione a distanza, l’83% nel prelievo peritumorale e il 19% nello stroma del tumore. L’indagine ultrastrutturale ha dimostrato la presenza di elementi cellulari compatibili con la morfologia dei miofibroblasti solo nel campione prelevato a livello della neoplasia. Tali cellule mostravano un citoplasma fortemente allungato, ricco di rER, fibrille contrattili e vescicole periferiche, evidente fibronexus e assenza di lamina basale. Le cellule assumevano stretti rapporti tra di loro, con altre cellule stromali e con le cellule tumorali. Nei campioni prelevati al di fuori del tumore le cellule fusate assumevano le caratteristiche proprie dei fibroblasti e dei periciti. Il nostro studio ha dimostrato come gli elementi strettamente riconducibili ai miofibroblasti rappresentino una condizione strettamente correlata con la crescita locale della neoplasia. Cellule simili, positive per α-SMA, presenti a distanza non presentano le caratteristiche ultrastrutturali evidenti nei miofibroblasti stromali. In conclusione, l’indagine ultarstrutturale risulta indispensabile per dimostrare la reale identità delle cellule interstiziali associate alla neoplasia. 11 Quando il gioco si fa duro… Lo studio della placca aterosclerotica calcificata. *Quacci D.,*Congiu T, *Uccella S, **Tozzi M, ***Guasti L, ***Marino F. *Dipartimento di Morfologia Umana, **Dipartimento di Scienze Chirurgiche, ***Dipartimento di Medicina Clinica- Università degli Studi dell’Insubria, Varese La calcificazione della placca aterosclerotica è un evento critico nella stabilità della parete vasale ed è, da tempo, importante oggetto di studio. L’approccio morfologico risulta però tanto più difficile in relazione alla durezza del core mineralizzato senza ricorrere alla decalcificazione del campione con la conseguente perdita di informazioni fondamentali alla comprensione dello sviluppo della placca stessa. In questo studio presentiamo l’uso del Microscopio Elettronico a Scansione (MES) affiancato alla microanalisi a raggi X (EDAX) per la descrizione della parti mineralizzate della placca aterosclerotica. I campioni di carotide provenienti da 6 pazienti sottoposti a tromboarterectomia sono stati suddivisi in corrispondenza della placca indurita e trattati seguendo le tecniche di macerazione in tetrossido di osmio/ferrocianuro di potassio e NaOH 1N. I risultati mostrano un notevole aumento del tessuto connettivo in corrispondenza della lesione e il progressivo aumento del deposito di fosfato calcico (idrossiapatite), facilmente individuato mediante l’EDAX, nelle tonache intima e media del vaso. La massa calcificata mostra un inizio di crescita intorno alla presenza di cristalli di colesterolo seguita da uno sviluppo “minerale” che le conferisce una consistenza particolarmente dura. Inoltre, l’esposizione delle fibre collagene mediante macerazione in NaOH 1N, ha evidenziato la particolare interfaccia tra lo stroma e la massa calcificata. Riteniamo che il MES abbia mostrato, grazie alla sua ben conosciuta versatilità, di essere uno strumento particolarmente indicato nelle indagini su campioni “difficili” Bibliografia Schembri L., Congiu T., Tozzi M., Guasti L., Cosentino M., Marino F. Images in cardiovascular medicine. Scanning electron microscopy examination and elemental analysis of atherosclerotic calcifications in a human carotid plaque. Circulation, 2008 Jun 10;117(23):479-80 12 Studio della capacita’ rigenerativa del muscolo scheletrico in pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) A. Scaramozza1,2, V. Papa1, L. Tarantino1, E. Pegoraro3, C. Angelini3, G.N. Martinelli1 e G. Cenacchi1 1Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche ed Istocitopatologiche, Università di Bologna; 2CRBA, Centro Unificato di Ricerca Biomedica Applicata, Policlinico S.Orsola‐Malpighi Bologna 3Dipartimento di Scienze Neurologiche e VIMM, Venetian Institute of Molecular Medicin, Università di Padova La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) rappresenta una delle più comuni patologie degenerative del motoneurone, con un’incidenza di 1-2 casi ogni 100.000 individui l’anno. Tale malattia, le cui cause rimangono ancora sconosciute, è caratterizzata da una selettiva disfunzione, prematura degenerazione e morte del secondo motoneurone a livello spinale e/o bulbare e del primo motoneurone corticale, con conseguente denervazione, atrofia e paralisi del tessuto muscolare scheletrico. Normalmente le fibre muscolari danneggiate vanno incontro ad un processo riparativo/rigenerativo guidato da una popolazione di cellule staminali adulte, le cellule satelliti (CS). Tuttavia nei soggetti affetti da SLA sembra che tale attività rigenerativa sia insufficiente per ristabilire un adeguato equilibrio morfofunzionale. Al fine di approfondire i meccanismi molecolari e patogenici che caratterizzano il coinvolgimento del muscolo scheletrico nella SLA, sono state allestite delle colture primarie di CS ottenute da biopsie di 7 pazienti anziani affetti da SLA e 6 pazienti anziani sani di controllo. Sono state valutate le caratteristiche morfologiche, immunofenotipiche e ultrastrutturali delle CS mediante tecniche di immunocitochimica (ICC) e microscopia elettronica (TEM); inoltre è stata analizzata la capacità proliferativa e differenziativa in vitro delle CS, attraverso lo studio, mediante RT-PCR, dell’espressione dell’RNA messaggero dei fattori di regolazione miogenica (MRFs), principali responsabili delle differenti fasi di attivazione, proliferazione e differenziamento del muscolo scheletrico. Le CS dei pazienti affetti sembrano mantenere inalterato il proprio potenziale proliferativo mantenendo caratteristiche tipiche delle CS attive dei soggetti giovani sani. Tuttavia tali cellule una volta differenziate, diversamente dai controlli anziani sani, vanno incontro a fenomeni di necrosi probabilmente dettati dai meccanismi patogenetici della SLA. Ruolo della Microscopia Elettronica nella definizione delle cosiddette “ miopatie vacuolari ”. L.Tarantino, V. Papa, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, G. N. Martinelli e G. Cenacchi. Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, Università di Bologna Molte delle malattie neuromuscolari mostrano aspetti miopatologici aspecifici con le colorazioni istoenzimatiche di routine. Nella fibra muscolare le alterazioni morfologiche principali includono disorganizzazione miofibrillare, associata o meno alla presenza di corpi inclusi e presenza di vacuoli. 13 Il reperimento di strutture vacuolari all’interno della fibra muscolare può essere messo in relazione con numerose forme patologiche; la loro presenza e soprattutto le loro caratteristiche morfologiche, possono rendere queste strutture patognomoniche di un particolare disturbo muscolare, possono esserne indicative o viceversa risultare aspecifiche. L’identificazione di vacuoli a livello ottico non risulta sempre facile o perlomeno non sempre è possibile definirne la natura. L’analisi ultrastrutturale ci permette di dividere in modo più preciso le “alterazioni vacuolari” in due principali classi: la prima caratterizzata dalla presenza di aree citoplasmatiche non delimitate da membrana, come le alterazioni vacuolari delle miopatie da accumulo di lipidi, delle glicogenosi non lisosomiali e delle miopatie con “rimmed vacuoles”; le seconde dalla presenza di vacuoli circondati da membrana, come nelle malattie lisosomiali ereditarie e nelle miopatie associate a vacuoli autofagici. L’analisi ultrastrutturale, pur con i limiti insiti nella tecnica, legati soprattutto alla capacità della cellula di reagire in modo stereotipato ad una serie di insulti diversi, ci permette di approfondire le alterazioni morfologiche identificabili a livello ottico, di cogliere lesioni precoci e quindi non identificabili con colorazioni istologiche, ci consente di effettuare una correlazione morfo-funzionale delle strutture anomale individuate ed inoltre può guidarci verso un approfondimento diagnostico più preciso, come l’analisi genetico-molecolare. In conclusione, la microscopia elettronica rappresenta un interessante strumento di studio della patologia muscolare. In ambito diagnostico risulta particolarmente efficace sia per le forme miofibrillari, sia per quelle vacuolari. Un caso di “Action myoclonusrenal failure syndrome(AMRF)”: studio ultrastrutturale e prospettive terapeutiche. V. Papa, L. Tarantino, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, L. Vergani*, E. Pegoraro*, C. Angelini*, G. N. Martinelli e G. Cenacchi Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche ed Istocitopatologiche, Università di Bologna *Dipartimento di Scienze Neurologiche e VIMM, Università di Padova L’ “Action myoclonus-renal failure syndrome (AMRF)” è una forma letale ereditaria di epilessia mioclonica progressiva associata a danno renale. Il difetto genico responsabile di tale sindrome è stato ipotizzato e studiato solo recentemente in una mutazione nonsenso del gene SCARB2 avente effetto pleiotropico. Tale gene codifica per il recettore LIMP-2 che lega, a livello del reticolo endoplasmatico, la β-Glucocerebrosidasi(β-GCasi), enzima responsabile del catabolismo lisosomiale del glucosilceramide. Studi autoptici in pazienti affetti da AMRF hanno evidenziato la presenza di materiale insolito e non ben caratterizzabile accumulato a livello cerebrale. Inoltre, recenti studi condotti su topi LIMP-2 knockout hanno evidenziato l’accumulo di glucosilceramide a livello epatico e polmonare mentre non sono stati rilevati accumuli a livello della milza, dei reni e del cervello. Abbiamo studiato una biopsia muscolare e cutanea di un paziente affetto da AMRF con sintomatologia renale. L’analisi ottica della biopsia muscolare ha messo in luce solo una predominanza delle fibre di tipo II. A livello ultrastrutturale si evidenziano aree con disarray prominente ed aree deprivate di mitocondri a conferma dell’ unico dato emerso dall’analisi ottica. Non sono presenti inclusi di alcun 14 genere a livello della miocellula. Tuttavia, sono stati evidenziati isolati e rari fibroblasti caratterizzati da vacuoli a contenuto elettrondenso simil-lipofuscinico. Nel prelievo di cute sono state identificate, sempre a carico dei fibroblasti, strutture lisosomiali contenenti particelle granulari elettrondense, simil-ceroidolipofuscine, strutture tubulari Gaucher-like e microcristalli elettrontrasparenti, quali esteri del colesterolo. E’ stata ipotizzata la natura mista delle inclusioni. Inoltre, è stato condotto uno studio parallelo su colture di fibroblasti dello stesso paziente, per valutare meglio la natura degli inclusi. A livello ultrastrutturale i fibroblasti si presentano di notevoli dimensioni, con citoplasma ampio e nucleo eccentrico. Sono presenti numerose inclusioni vacuolari lisosomiali contenenti strutture mieliniche di vario grado a conferma della natura mista delle inclusioni. Dai dati raccolti è possibile concludere che nonostante si tratti di una patologia sistemica, la miocellula risulta priva di accumuli rilevanti, eccetto che nei fibroblasti; la cute e soprattutto i fibroblasti messi in coltura mostrano invece un grado eterogeneo di inclusi tali da identificare la AMRF come una sindrome associata all’ accumulo di materiale misto. Il Microscopio Elettronico a Scansione nella Paleopatologia. Osservazioni di un caso Dell’Orbo C., Congiu T., Sassi A., Basso P. Dip. Morfologia Umana, Università degli Studi dell’Insubria, Varese Nel 2002, durante gli scavi archeologici condotti presso la chiesa di San Giulio.in Cassano Magnano (Va), fu rinvenuto uno scheletro medioevale completo e composto il cui femore sinistro appariva affetto da una evidente iperostosi. Le notevoli differenze in lunghezza e spessore con il femore controlaterale (a prima vista normale) e le tracce di alterazione della vascolarizzazione periostale hanno suggerito indagini ulteriori. L’esame radiologico confermò la differenza strutturale tra i femori evidenziando, per il sinistro, l’aspetto cotonoso dell’osso corticale e la marcata invasione del canale midollare. Dalla diafisi femorale fu prelevato un campione poi decalcificato per ottenere un preparato istologico. L’osservazione portò a riconoscere nello spessore aree di osso lamellare normale circondato da una matrice dall’aspetto cavernoso localizzata intorno ai canali vascolari. Un secondo campione, contiguo al primo, fu dedicato all’osservazione al Microscopio Elettronico a Scansione (MES). Il trattamento ha comportato la semplice esposizione di una sezione completa dello spessore diafisario da periostio ad endostio senza la necessità della decalcificazione. Le immagini hanno mostrato una matrice mineralizzata alterata costituita da una complessa struttura tubulare tortuosa ed strettamente connessa ai canali di Havers. A maggiori ingrandimenti sono state documentate cavità relazionabili ad attività microbica a indicazione di una prima azione demolitrice e di una successiva rideposizione di idrossiapatite da parte di microrganismi. L’osservazione al MES di un campione prelevato dalla diafisi del femore destro, apparentemente normale ai raggi X, ha rivelato lo stesso pattern descritto per il sinistro. In conclusione, le osservazioni suggeriscono la presenza di un processo di diagenesi postmortem del tessuto osseo che si è venuto a sovrapporre alle precedenti alterazioni, in vita, legate ad eventi patologici. Bibliografia 15 M. Jackes, R. Sherburne, D. Lubell, C. Barker, M. Wayman Destruction of Microstructure in Archaeological Bone: a Case Study from Portugal (2001) Int. J. Osteoarchaeol. 11: 415–432 A. Canci, D. Marchi, D. Caramella, G. Fornaciari, S. M. Borgognini Tarli Brief Communication: Coexistence of Melorheostosis and DISH in a Female Skeleton From Magna Graecia (Sixth Century BC), (2005) Am. J. Phys. Anth. 126:305–310. Caratterizzazione ultrastrutturale dei progenitori endoteliali circolanti. *Pacilli A, *Orrico C,* Foroni L,** Gamberini C.,** Muscari C., ***Pasquinelli G. * Dipartimento di Scienze Chirurgiche ed Anestesiologiche, Policlinico Sant’Orsola‐Malpighi, Università di Bologna; ** Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Università di Bologna; *** Dipartimento di Scienze Radiologiche ed Istocitopatologiche, Università di Bologna. Recenti studi hanno dimostrato che il fenomeno della vasculogenesi non è limitato allo sviluppo embrionale, ma avviene anche nell’organismo adulto in condizioni sia fisiologiche che patologiche. L’integrità del sistema vascolare è fondamentale per la vitalità dell’organismo in toto. La continua esposizione a stress meccanici e fisici di dilatazione, contrazione e shear stress a lungo termine possono alterare la struttura e la funzionalità del vaso; l’endotelio è la parte più colpita, soprattutto nelle regioni di ramificazione dell’albero vascolare dove perde la sua integrità favorendo l’insorgenza di eventi patologici come l’aterosclerosi. Nei danni di lieve entità, la proliferazione delle cellule vicine a quelle danneggiate o in necrosi è sufficiente per mantenere l’integrità tissutale, ma, poiché sono terminalmente differenziate, il loro contributo è limitato. Nei casi di danneggiamento diffuso o nelle regioni con un elevato turnover cellulare, la presenza di cellule residenti non è sufficiente per rimpiazzare le cellule morte, per cui si richiede il supporto di una sorgente di cellule staminali residente o presente in altri tessuti. A seguito di lesioni vascolari vengono rilasciati in circolo chemochine e citochine che richiamano progenitori endoteliali (EPCs) da sedi periferiche come il midollo osseo e ne stimolano la migrazione verso l’area danneggiata, la proliferazione e il differenziamento verso un fenotipo più maturo prevenendo l’insorgenza di complicazioni secondarie. Le EPCs circolanti costituiscono una piccola frazione delle cellule mononucleate del sangue periferico e possono essere isolate mediante diverse procedure di sorting per poter essere studiate più nel dettaglio; esse rappresentano una classe cellulare eterogenea in cui si riconoscono cellule con fenotipo più immaturo simile a quello dell’ emangioblasto e cellule con fenotipo più differenziato. A seconda delle loro caratteristiche queste danno un diverso contributo alla neoangiogenesi in vivo. Dagli studi effettuati sinora le EPCs vengono distinte in due principali categorie: le early‐EPCs e le late‐ EPCs a seconda del tempo di comparsa in vitro sotto forma di colonie, della morfologia, del tempo di sopravvivenza e di proliferazione in vitro. Dal punto di vista immunofenotipico e di funzionalità le due categorie sono state ben caratterizzate e studiate sia in vitro che in vivo, meno esplorate sono le caratteristiche ultrastrutturali. In questo studio abbiamo analizzato il profilo morfologico ultrastrutturale di cellule progenitrici endoteliali "early" isolate da sangue periferico di pazienti sani 16 (donatori di sangue) e differenziate in senso endoteliale seguendone le variazioni nel corso del tempo e confrontandole con cellule endoteliali di controllo immature (CD34+ isolate da tessuto adiposo) e mature (HUVEC). Nel corso della maturazione, le variazioni principali sono visibili a livello citoplasmatico dove si ritrova un apparato di Golgi sempre più sviluppato e la comparsa di corpi di Weibel Palade e di introflessioni citoplasmatiche articolate per ottimizzare il volume cellulare che nelle cellule più mature si assemblano in modo tale da originare strutture luminari che ricordano l’organizzazione strutturale di cellule endoteliali capillari. Le prospettive di impiego delle EPCs in clinica nell’ambito della medicina rigenerativa e della terapia cellulare stanno accrescendo notevolmente l’interesse per questa tipologia di cellule che risulta essere molto promettente; con questo studio abbiamo voluto fornire informazioni aggiuntive sulle EPCs dal punto di vista ultrastrutturale; infatti, dal momento che il profilo immunofenotipico delle cellule nei vari step maturativi potrebbe essere sovrapponibile, la microscopia elettronica a trasmissione può essere impiegata per differenziare le classi di EPCs ed individuare quella più funzionale per un mirato intervento terapeutico in vivo. 17 Infezione produttiva da Parvovirus B19 delle cellule endoteliali placentali. Foroni L.1, Bonvicini F.2, Salfi N.3, Gallinella G.2, Pasquinelli G3,4. 1 Chair of Vascular Surgery ‐ Dept of Specialistic Surgical and Anestesiological Sciences, University of Bologna, Bologna, Italy; 2 Division of Microbiology ‐ Dept of Clinical and Experimental Medicine, University of Bologna, Bologna, Italy; 3 Surgical Pathology ‐ Dept of Radiological and Histocytopathological Sciences, University of Bologna, Bologna, Italy; 4 Clinical Pathology ‐ Dept of Radiological and Histocytopathological Sciences, University of Bologna, Bologna, Italy Il Parvovirus B19, responsabile della quinta malattia in età infantile, può venire trasmesso in gravidanza per via placentale (30% dei casi) con eventuale sviluppo di idrope fetale o morte intrauterina del feto per grave anemia. Il meccanismo patogenetico alla base dell’ idrope fetale o della morte intrauterina si basa sul marcato tropismo del virus per i precursori fetali degli eritrociti in attiva replicazione. L’ infezione dei cardiomiociti fetali è stata documentata come ulteriore meccanismo patogenetico contribuente al danno fetale, mentre l’ infezione diretta e produttiva delle cellule placentali materne deve essere ancora dimostrata. In questo studio, viene descritto un caso clinico di una donna di 34, gravida alla 26 settimana di gestazione, che ha abortito spontaneamente a seguito della morte intrauterina del feto. L’esame autoptico ha confermato la diagnosi di idrope fetale senza alcuna presenza di malformazioni. La Real time PCR, eseguita sul campione bioptico di placenta, ha dimostrato la presenza di DNA virale. L’ esame istologico mostrava la presenza di villi edematosi con presenza di blasti eritroidi nei capillari fetali mentre non sono stati osservati infiltrati infiammatori. L’ibridizzazione in situ (B19‐DNA), l’immunoistochimica (VP1‐VP2, CD34, vWF), la doppia immunofluorescenza e la microscopia elettronica a trasmissione hanno dimostrato la concomitante infezione produttiva sia dei precursori eritroidi fetali sia delle cellule endoteliali placentali. In conclusione lo studio dimostra la possibilità da parte del B19 di infettare anche le cellule endoteliali placentali; tale evento può risultare critico sia localmente, contribuendo all’ alterazione degli scambi sanguigni materno ‐ fetali sia per la trasmissione sistemica dell’ infezione al feto. 18 Cellule coltivate su supporti nanofibrosi elettrofilati: utilizzo di tecniche istologiche ed ultrastrutturali per lo studio di adesione, proliferazione, sopravvivenza e immunofenotipizzazione cellulare. Valente S.*, Foroni L.*, Dirani G.*, Focarete ML.°, Gualandi C.°, Pasquinelli G.^ *Cattedra di Chirurgia Vascolare, Dipartimento di Scienze Chirurgiche ed Anestesiologiche, Università di Bologna; °Dipartimento di Chimica “Ciamician”, Università di Bologna; ^Patologia Clinica, Dipartimento di Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, Bologna L'ingegneria tissutale, campo multidisciplinare in rapida crescita, sfrutta i principi della biologia e dell’ingegneria al fine di ottenere supporti (scaffolds) biocompatibili e biodegradabili per la rigenerazione, il mantenimento e il miglioramento di tessuti o organi del corpo umano gravemente danneggiati. Recentemente nell’ambito della ingegneria dei tessuti, l’attenzione si è focalizzata sulla realizzazione di scaffolds nano‐strutturati di dimensioni eccezionalmente ridotte (su scala nanometrica) per mimare la matrice extracellulare, ambiente naturale/fisiologico che modula le vie di traduzione dei segnali regolandone la sopravvivenza, la proliferazione e il differenziamento cellulare. Una metodica innovativa ed emergente per la produzione di supporti nanofibrosi è quella dell’ elettrofilatura che, sfruttando un elevato campo elettrostatico, permette di filare un fluido polimerico fino ad ottenere fibre nanometriche in forma di tessuto‐non‐tessuto (mats) con orientamento casuale o definito per consentire la crescita cellulare nelle tre dimensioni. Finora lo studio dei processi di adesione, proliferazione, sopravvivenza e differenziamento cellulare si è avvalso di tecniche di immunofluorescenza e di microscopia elettronica a scansione. In questo studio, utilizzando scaffolds a base di acido poli‐L‐lattico (PLLA) su cui sono state seminate cellule staminali mesenchimali e cellule endoteliali derivate dai vasi del cordone ombelicale, abbiamo sviluppato una metodica che consente di migliorare alcuni limiti metodologici presenti in letteratura (difficile manipolazione del supporto polimerico, scarsa definizione dei preparati, risultati confondenti legati alla autofluorescenza dei polimeri, etc). Tale metodica, di agevole uso, ha il vantaggio di ottenere sezioni en face o sezioni longitudinali facilmente utilizzabili per valutare le interazioni, penetrazione e colonizzazione cellula/ scaffold nanostrutturati, che date le molteplici proprietà, rappresentano il futuro delle nanotecnologie applicate all’ingegneria tissutale. Terapia cellulare per la riparazione tessutale: utilizzo di microsfere di PGLA farmacologicamente attive come veicolo di cellule mesenchimali (staminali) stromali. *Orrico C., *Foroni L.,**** Valente S., Bonafè F., Fiumana E., Montero-Menei C., **Muscari C., 19 ***Pasquinelli G. * Dipartimento di Scienze Chirurgiche ed Anestesiologiche, Policlinico Sant’Orsola‐Malpighi, Università di Bologna; ** Dipartimento di Biochimica “G. Moruzzi”, Università di Bologna; *** Dipartimento di Scienze Radiologiche ed Istocitopatologiche, Università di Bologna; ****Cattedra di Chirurgia Vascolare, Dipartimento di Scienze Chirurgiche ed Anestesiologiche, Università di Bologna. La terapia cellulare e l’ingegneria tissutale rappresentano nuove promettenti strategie per la riparazione di organi e tessuti danneggiati. Il trasferimento in clinica di queste nuove pratiche terapeutiche richiede il superamento di numerosi ostacoli di natura etica, biologica, tecnica e procedurale; tra le problematiche biologiche ad esempio non è ancora noto per quanto tempo le cellule somministrate rimangano vitali nei tessuti riceventi, quale debba essere il loro grado di staminalità o commissionamento e quale la modalità di integrazione nei tessuti ospitanti. I fattori di crescita possono essere impiegati per far fronte a questi problemi, ma la loro somministrazione rimane ancora una sfida tecnologica a causa della loro breve emivita nonché delle loro azioni pleiotropiche. Per ovviare a questo limite, è stato sviluppato un approccio metodologico di rilascio sito-specifico che prevede l’impiego di particelle sferiche di acido poli-lattico-co-glicolico (PGLA) come veicoli. Queste microsfere (1-90 µm) farmacologicamente attive (PAM), sono biocompatibili e biodegradabili e, in quanto rivestite con molecole di adesione, possono servire come supporto per colture cellulari ed essere utilizzate per il trasporto di cellule, permettendo un controllato e continuo rilascio di proteine attive. In questo studio abbiamo caratterizzato tridimensionalmente le microsfere, valutato le interazioni tra cellule e PAM ed osservato il differenziamento “in vitro” delle cellule aderenti alle PAM. A tale scopo sono state allestite delle colture di PAM e cellule in sospensione, utilizzando microsfere rivestite di fibronectina e cellule mesenchimali stromali isolate da arteria femorale umana (hMSCs) di donatore multi organo a cuore battente. Sono state quindi effettuate delle valutazioni ultrastrutturali mediante il microscopio elettronico sia a trasmissione (TEM) che a scansione (SEM). L’osservazione al SEM di una sospensione di PAM, ha permesso di stabilire come le sfere presentino una superficie porosa ed una certa variabilità dimensionale (1-3 µm). Dopo 4 ore dalla semina in piastra di coltura di PAM e cellule, le cellule aderivano alle PAM quasi completamente come visualizzato al microscopio ottico invertito e, ripetendo a 24 ore l’osservazione, le hMSCs avevano formato veri e propri sferoidi contenenti al loro interno le PAM. La formazione di questi grossi aggregati è stata confermata dall’osservazione al SEM. Dopo 3 giorni di coltura, uno sferoide delicatamente recuperato è stato fissato e processato per la microscopia elettronica a trasmissione. L’analisi ultrastrutturale al TEM ha dimostrato che le hMSCs aderenti alle PAM sono vitali con nuclei integri e nucleoli prominenti; esse inoltre rimangono indifferenziate mantenendo le loro caratteristiche di cellule mesenchimali, quali filamenti intermedi di vimentina disposti in modo lasso e cisterne di reticolo endoplasmatico rugoso ben sviluppate. Poche cellule contenevano nel citoplasma frammenti di PAM fagocitati, senza peraltro mostrare alcun segno di degenerazione cellulare a conferma del fatto che le PAM sono inerti ed atossiche. A conclusione delle osservazioni condotte, risulta evidente che le cellule mesenchimali derivanti da arteria femorale umana aderiscono efficacemente alle microsfere di PGLA rivestite con molecole di adesione, dando origine a degli sferoidi prevalentemente multicellulati. Le hMSCs pur essendo esposte alla fibronectina hanno mantenuto le caratteristiche indifferenziate native nel corso della coltura e questo elemento costituisce una condizione favorevole per commissionarne il differenziamento in vivo. Tuttavia la formazione di ampi aggregati multicellulari costituisce tuttora il limite maggiore all'esplorazione dell'efficacia del sistema nei modelli animali. 20 Lo smascheramento antigenico con il calore in immunocitochimica ultrastrutturale. Giovanna Finzi, Ospedale di Circolo di Varese Lo smascheramento antigenico è necessario in molte reazioni immunoistochimiche, ed agisce determinando una rottura dei legami con il fissativo, oppure denaturando le proteine, o ancora rimuovendo gli ioni calcio che si legano ai gruppi idrossimetile formatisi durante la fissazione. L’impiego del calore per smascherare gli antigeni è utilizzato già da tempo in microscopia ottica (Shi, 1991), e, più recentemente, in microscopia elettronica (Brorson, 2001; Fossmark, 2005). Abbiamo provato a smascherare due antigeni diversi su tessuti fissati in parafrmaldeide 2% e glutaraldeide 0.5%, post-fissati in tetrossido di osmio ed inclusi in una miscela di Epon e Araldite, mediante l’impiego di un forno a microonde e di un’autoclave, che permette il raggiungimento di temperature più elevate (126°C): ‐L’immunoreattività per la cromogranina A della mucosa gastrica è risultata migliorata con l’impiego di forno a microonde utilizzando tampone citrato pH 6, ma un sensibile aumento dell’immunoreattività è stato ottenuto con l’impiego di autoclave, con tampone EDTA pH10. ‐Anche l’immunoreattività per il BACE2, un enzima localizzato nelle isole di Langerhans del pancreas di ratto, è migliorata molto con l’impiego dell’autoclave, con tampone EDTA pH10, dando luogo a una reazione più intensa e pulita. Nel pancreas di topo e nel pancreas di uomo, invece, con autoclave la reazione è risultata più aspecifica. In quest’ultimo caso, in particolare, l’espressione di BACE2 sembrava molto intensa e specifica, ma poiché questo dato non trova riscontro né nell’immunoistochimica in microscopia ottica, né nelle indagini di biologia molecolare, dobbiamo 21 concludere che si tratti di una falsa positività, dovuta allo smascheramento di siti antigenici aspecifici (Solberg, 2005). In conclusione lo smascheramento antigenico con il calore è una tecnica che può essere impiegata anche in microscopia elettronica, poiché può notevolmente migliorare la sensibilità e la specificità delle reazioni immunocitochimiche, ma a condizione di confrontare i risultati con quelli ottenuti con altre metodiche di indagine, per evitare delle interpretazioni sbagliate. Bibliografia. Shi - J Histochem Cytochem 39;6:741-748,1991 Brorson – Micron 32:591-597,2001 Fossmark – APMIS 113:506-512,2005 Solberg – Micron 37:347-354,2006 Ruolo della microscopia elettronica in un caso di glomerulonefrite a depositi strutturati, ad IgA prevalente, e connettivite indifferenziata. A Tosoni°, S Caruso*, A Ferri°, A Genderini*, M Nebuloni°°, GL Vago°°, G Barbiano di Belgiojoso*. Anatomia Patologica° e Nefrologia* Ospedale “L Sacco”; °°Dipartimento di Scienze Cliniche “L Sacco” Università degli Studi di Milano. Nell’ambito della diagnostica delle glomerulopatie l’esame ultrastrutturale è in grado di identificare e specificare la distribuzione di depositi e anche di definirne lo stato di organizzazione strutturale. La presenza di depositi organizzati o strutturati in fibrille o microtubuli è descritta sia per immunocomplessi che per depositi non immuni (TAB1). La diagnosi differenziale delle glomerulonefriti (GN) a depositi strutturati è in parte ancora materia di intenso dibattito. Essa si basa principalmente sulla caratterizzazione morfologica ultrastrutturale e sulla tipizzazione istochimica ed immunoistochimica, in associazione ai dati clinici. In questa presentazione verrà discusso l’iter diagnostico di un caso di GN a depositi fibrillari (FGN) in una donna di 45 anni con persistente proteinuria in range non nefrosico, ematuria, ed una storia clinica di connettivite indifferenziata. DATI CLINICI E DI LABORATORIO: Diagnosi di connettivite indifferenziata effettuata nel Novembre 2007 con sintomatologia compatibile già presente nel 2005. Nel 2008: proteinuria 280-300 mg/dì, ematuria (analisi del sedimento: 5 GR/ HPF), non ipertensione, titolo ANA 1:320, CRP 8,5 mg/dl, IgG 728 mg/dl, IgA 256 mg/dl, IgM 139 mg/dl, normocomplementemia, nessuna evidenza sierologica di paraproteinemia (componenti immunoglobuline monoclonali, crioglobuline), funzione renale normale. Risultano inoltre negativi i test sierologici per: HCV, HBV, ANCA, ENA. Ai fini di un approfondimento diagnostico la paziente viene sottoposta a biopsia renale. ESAME ISTOLOGICO ED IMMUNOISTOCHIMICO: Istologia: l’esame delle sezioni colorate con EE PAS AFOG e colorazione argentica (Silver Methenamine) mostra 3 su 20 glomeruli jalini e circa il 45% dei rimanenti con: lesioni segmentali di tipo sclerotico, adesioni flocculocapsulari, semilune fibrose o fibrocellulari, ed alcune immagini di necrosi focale-segmentale, talvolta in associazione a proliferazione delle cellule epiteliali. Si osserva inoltre focale segmentale aumento moderato degli assi mesangiali. La colorazione argentica non segnala particolari ispessimenti delle membrane dei capillari. La colorazione con rosso congo non evidenzia depositi di amiloide. 22 Immunofluorescenza: si osservano diffusa positività per IgA e C3 mesangiale –granulalare- e periferica -granulare e pseudo lineare-, quest’ultima particolarmente intensa. La deposizione di K risulta meno marcata ma con stessa distribuzione di IgA. Si osserva inoltre: focale segmentale positività per fibrinogeno e solo tracce di lambda, IgG ed IgM. C1q: negativo. PRIMA DIAGNOSI: Il quadro complessivo a questo punto delle indagini è suggestivo di una GN a depositi IgA con segni focali di sclerosi e necrosi, importanti per una valutazione prognostica, e con una positività periferica inusualmente marcata. Nell’ambito delle IgA nefropatie (IgAN), tipicamente con IgA mesangiali, la presenza aggiuntiva di positività periferica è in genere inferiore a quella mesangiale. L’associazione di IgAN con patologie sistemiche di tipo infiammatorio è stata descritta in vari casi, anche se mai in pazienti con connettivite indifferenziata. ANALISI ULTRASTRUTTURALE: Si osservano numerosi depositi principalmente in sede mesangiale e sub-epiteliale e, più rari, in sede sub-endoteliale. Tali depositi sono costituiti da materiale elettrondenso finemente granulare frammisto a corte e rigide fibrille di circa 10-25 nm di diametro, non ramificate, a distribuzione prevalentemente casuale ma occasionalmente appaiate. Le fibrille osservate si distinguono da amiloide per il diamentro mediamente maggiore e per una maggiore elettrondensità. DIAGNOSI DEFINITIVA E DISCUSSIONE: L’identificazione di depositi fibrillari rimette in discussione l’inquadramento diagnostico di questo caso. Depositi strutturati di tipo immune sono descritti sia in forme idiopatiche che secondarie associate a paraproteinemie (TAB 2). Specifiche caratteristiche ultrastrutturali (presenza di un lume, diametro, aggregazione, grado di definizione dei profili, elettrondensità) permettono una classificazione morfologica dei depositi. La dimostrazione ultrastrutturale di depositi organizzati in fibrille o microtubuli, previa determinazione della natura immunoglobulinica su base istochimica ed immunoistochimica, pone come diagnosi differenziale quella di una GN o glomerulopatia fibrillare/immunotattoide (FGN/ITG). Vari autori hanno cercato di definire le caratteristiche distintive di queste entità, anche in relazione alla struttura fibrillare (FGN) o tubulare (ITG) dei depositi (TAB 2). Tuttavia sono frequenti le eccezioni e manca un accordo generale su quale sia la più opportuna distinzione morfologica utile ai fini diagnostici. Il caso riportato potrebbe essere definito come una FGN con una inusuale prevalenza di depositi IgA/ K, associata ad una patologia sistemica diversa da quelle già descritte in letteratura, e con paraproteinemia non dimostrabile, comunque in un possibile contesto di oligoclonalità/monoclonalità IgA/K, dimostrata in sede glomerulare. TABELLA 1: depositi strutturati (Alpers et Al. Schwartz et al.) Depositi strutturati non immuni: Caratteristiche morfologiche Componenti note Patologie associate Fibrille, diametro 8-15 nm, non ramificate, a amiloide A (AA) distribuzione random o a fasci sub-epiteliali componete sierica, (spikes), in istologia birifrangenti con rosso congo sostanza P e tioflavina. Fibrille elettronlucenti, periodicità evidenziata da collagene colorazioni per collagene. Fibrille, diametro circa 10-14 nm fibronectina Amiloidosi AA, secondaria Fibrille mesangiali, diametro 5-20 nm, densità moderata, distribuzione random. Depositi strutturati di natura immune: matrice Diabete, altre condizioni associate a sclerosi Caratteristiche morfologiche dei depositi Componenti note Patologie associate Tubuli, corti, curvilinei e appaiati, diametro circa Crioglobuline 20-30 nm, profili poco definiti, spesso subendoteliali ed in pseudotrombi. Segnalate varie morfologie ed aggregazioni alternative. Nail-patella sindrome (rara) GN con depositi di fibronectina (rara) GN associate a forme con crioglubulinemia tipo II o I (infezioni da HCV, leucemia linfocitaria cronica, mieloma multiplo, altre) 23 Aggregati a profili poco definiti con immagini immunoglobuline tipo fingerprints. –IgFibrille: diametro < 30 nm, orientamento random. Ig monoclonali o Microtubuli: diametro 19-51 nm più oligoclonali, frequentemente > 30 nm, lunghe, orientamento complemento focalmente a fasci paralleli. LES GN a depositi immunotattoidi (microtubulari) o, meno frequentemente, fibrillari associate a discrasie plasmacellulari e disproteinemie di tipo benigno o neoplastico Glomerulopatie immunotattoidi idiopatiche fibrillari o microtubulari Fibrille: diametro < 30 nm, orientamento random. Ig senza evidenze di Microtubuli: diametro 19-51nm più paraproteinemia, frequentemente > 30 nm, lunghe, orientamento complemento focalmene a fasci paralleli. Fibrille di tipo amiloideo (vedi amiloide A). catene leggere delle Ig Amiloidosi AL primaria od associata (amiloide L), sostanza a mieloma P NB: spesso i depositi strutturati sono frammisti a depositi elettrondensi non strutturati. TABELLA 2: caratteristiche distintive FGN/ITG (Alpers et al.) FGN ITG Morfologia fibrille Microtubuli Diametro 12-24 nm In genere > 30nm Arrangiamento random Random e a fasci paralleli Componenti Ig Usualmente policlonale, meno frequente oligloclonale o monoclonale IgG/K Non comune Monoclonali o policlonali comunemente IgG/K 0,5 - 1% 10 volte inferiore a FGN Associazione a disfunzioni linfoplasmocitarie Prevalenza Frequente NB: i casi con depositi tubulari con diametro < 30 nm sono rari e le loro caratteristiche distintive poco definite. Nella nostra esperienza depositi strutturati tubulari di diametro circa 25 nm sono relativamente frequenti in pazienti con glomerulopatia ad infezione da HCV-HIV. BIBLIOGRAFIA: Schwartz MM, J Am Soc Nephrol 2002; 13:1390-1397. Kronz JD, Clin Nephrol 1998; 50(4):218-223. Pronovost PH, Nephrol Dial Transplant 1996; 11:837-842. Markowitz GS, J Am Soc Nephrol 1998; 9:2244-52. Alpers CE, J Am Soc Nephrol 2008; 19:34-37. Rosenstock JL, Kidney Int 2003; 63:1450-61. Bridoux F, Kidney Int 2002; 62(5):1764-75. Esparza AR, Am J of Surg Phatol 1991; 15(7):632-643. Yang GC, Am J Pathol 1992; 141(2):409-19. Barbiano di Belgiojoso G, J Nephrol 2002; 15(5):469-79. Nefropatia a membrane basali sottili o sindrome di Alport: casi spesso irrisolti. 24 Paola Preda U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, Settore di Patologia e Diagnostica Subcellulare Azienda Ospedaliera S.Orsola-Malpighi, Bologna La nefropatia a membrane basali sottili è una nefropatia ereditaria caratterizzata clinicamente da ematuria persistente ed asintomatica senza manifestazioni extrarenali e patologicamente da un diffuso assottigliamento delle membrane basali glomerulari, prevalentemente a carico della lamina densa, all’esame ultrastrutturale. La nefropatia a membrane basali sottili e la sindrome di Alport possono essere considerate malattie genetiche coinvolgenti il network α3/ α4/ α5 del collagene IV. Mutazioni dei geni COL4A3-COL4A4COL4A5 possono portare alla perdita totale o parziale di questo network. La diagnosi della nefropatia a membrane basali sottili è problematica in parte a causa dell’ampio range di spessore delle membrane basali glomerulari nella popolazione normale (sesso, età, metodi di preparazione e misurazione) e in parte per la mancanza di criteri diagnostici standardizzati per definire il grado di estensione dell’assottigliamento. Inoltre le modificazioni delle membrane basali in corso di Alport talora mimano una nefropatia a membrane basali sottili. La diagnosi differenziale tra sindrome di Alport e nefropatia a membrane basali sottili a causa dell’eterogeneità genetica, clinica, immunoistochimica ed ultrastrutturale rimane una sfida diagnostica: una corretta diagnosi, infatti, è fondamentale in considerazione della diversa prognosi di queste due condizioni. Abbiamo effettuato una revisione delle 650 biopsie renali pervenute al nostro servizio dal gennaio 2001 al dicembre 2008 per l’esame al microscopio elettronico. In 33 biopsie si evidenziava un assottigliamento di entità variabile delle membrane basali glomerulari. Escludendo le nefropatie a depositi di IgA che frequentemente sono associate a membrane sottili (13 casi), 3 sporadici casi di GN membranosa, in corso di LES e di lesioni minime, e 2 diagnosi certe di sindrome di Alport, 15 casi risultavano compatibili con una nefropatia a membrane basali sottili genericamente concluse come probabili nefropatie ereditarie. In nessuno di questi ultimi casi è stato comunque possibile formulare una diagnosi sicura sulla base dei soli dati morfologici ultrastrutturali e delle scarse notizie cliniche e di storia familiare in possesso, anche se la microscopia elettronica è considerata indispensabile per la diagnosi di tali nefropatie. La diagnosi di nefropatia a membrane basali sottili non è sempre agevole e deve essere posta la massima cura per distinguerla dalla sindrome di Alport, in particolare nelle fasi precoci di tale malattia o in soggetti di sesso femminile dove la riduzione dello spessore delle membrane basali può essere l’unico dato morfologico. Una sicurezza in più potrebbe essere data, oltre che dall’analisi genetica, dallo studio immunoistochimico delle catene alfa del collagene IV, che dovrebbe essere sistematicamente eseguito in tutti i casi di nefropatia a membrane basali sottili. Questi pazienti sono in ogni caso da seguire nel follow‐up vista la possibilità di peggioramento della funzione renale nel corso degli anni, la possibile evoluzione in sindrome di Alport, la possibile insorgenza di una GN immunologica e, non ultima, la possibilità di trasmettere la forma autosomica recessiva della sindrome di Alport. 25