Dipartimento di Morfologia Umana
Università degli Studi dell’Insubria
Ospedale di Circolo di Varese
Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia Diagnostica
Divisione Italiana della International Academy of Pathology
XIX INCONTRO SCIENTIFICO
ANNUALE DEL GRUPPO ITALIANO DI
PATOLOGIA ULTRASTRUTTURALE
SIAPEC-IAP (GIPU)
Varese, 20-21 febbraio 2009
AULE DIDATTICHE
Università degli Studi dell’Insubria
Via Monte Generoso, 71
VARESE
Con il supporto di
e di
PROGRAMMA
Venerdi 20 febbraio 2009
13.45 Registrazione dei partecipanti
14.00 Apertura del convegno
14.15-15.00
La telemicroscopia: possibili applicazioni in telepatologia.
P. L. Fabbri (Modena)
L’impiego della microscopia elettronica nella patologia neoplastica e non neoplastica.
I sessione
Moderatore Prof. Carlo Capella (Varese)
15.00-15.20
Localizzazione immunoistochimica ed ultrastrutturale dell’enzima BACE2 nel pancreas.
C.Placidi, G. Finzi, F. Franzi, F. Acquati, E. Palumbo*, A. Russo*, R. Taramelli, F. Sessa°, S.La Rosa.
(Varese- *Padova- °Milano)
15.20-15.40
Carcinoma a piccole cellule del rene: studio morfologico, immunoistochimico, ultrastrutturale e
citogenetico.
G.Finzi, S. La Rosa, B. Bernasconi, D.Micello, C. Capella. (Varese)
15.40-16.00
Angiosarcoma cardiaco: clinica, immunoistochimica ed ultrastruttura.
C. Placidi, V. Bertolini, C. Facco, G. Finzi, D. Lumia, Genovese, C. Capella. (Varese)
16.00-16.20
Neoplasia epilettogena con aspetti di astrocitoma ed ependimoma.
M. Palumbo, A. Cimmino, P.I. D’Urso, M.G. Fiore, R. Rossi, L. Resta. (Bari)
16.20-16.40
Valutazione dei miofibroblasti attivati nello stroma del carcinoma mammario.
R. Rossi, G. Simone, A. Malfettone, D. Piscitelli, L. Resta, A. Mangia (Bari)
16.40-17.00
Nuove e vecchie proposte per la microscopia elettronica.
L. Mariani FEI Company
17.00-17.30 COFFEE BREAK
II Sessione
Moderatore Prof. Carlo Dell’Orbo (Varese)
17.30-17.50
Quando il gioco si fa duro…Lo studio della placca aterosclerotica calcificata.
D. Quacci, T. Congiu, L. Guasti, F. Marino, M. Tozzi, S. Uccella. (Varese)
17.50-18.10
Studio della capacità rigenerativa del muscolo scheletrico in pazienti affetti da SLA.
A. Scaramozza, V. Papa, L. Tarantino, E. Pegoraro*, G. Sorarù*, C. Angelini*, G.N. Martinelli, G.
Cenacchi. (Bologna- *Padova)
18.10-18.30
Ruolo della Microscopia Elettronica nella definizione delle cosiddette “miopatie vacuolari”.
L. Tarantino, V. Papa, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, G. N. Martinelli e G. Cenacchi. (Bologna)
18.30-18.50
Un caso di “Action Myoclonus-Renal Failure syndrome”: studio ultrastrutturale e prospettive
terapeutiche.
V. Papa, L. Tarantino, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, L.Vergani*, E. Pegoraro*, C. Angelini*, G. N.
Martinelli e G. Cenacchi. (Bologna- *Padova)
18.50-19.10
1
Il Microscopio Elettronico a Scansione nella paleopatologia. Osservazioni di un caso.
C. Dell’Orbo, P. Basso, T. Congiu, A Sassi. (Varese)
19.10 Assemblea del gruppo GIPU
20.30 Cena sociale
Sabato 21 febbraio 2009
L’impiego della microscopia elettronica nella patologia sperimentale.
Moderatore Prof. Gianandrea Pasquinelli (Bologna)
9.00-9.20
Caratterizzazione ultrastrutturale dei progenitori endoteliali circolanti.
A. Pacilli, C. Orrico, L. Foroni, C. Gamberini, C. Muscari, G. Pasquinelli. (Bologna)
9.20-9.40
Infezione produttiva da parvovirus B19 delle cellule endoteliali placentali.
L. Foroni, F. Bonvicini, N. Salfi, G. Gallinella, G. Pasquinelli. (Bologna)
9.40-10.00
Cellule coltivate su supporti nanofibrosi elettrofilati: utilizzo di tecniche istologiche e ultrastrutturali
per lo studio della adesione, proliferazione, sopravvivenza e immunofenotipizzazione cellulare.
S. Valente, L. Foroni, G. Dirani, C. Gualandi, ML. Focarete, G. Pasquinelli. (Bologna)
10.00-10.20
Terapia cellulare per la riparazione tessutale: utilizzo di microsfere di PGLA farmacologicamente
attive come veicolo di cellule mesenchimali (staminali) stromali.
C. Orrico, L. Foroni, S. Valente, F. Bonafè, E. Fiumana, C. Montero-Menei, C. Muscari, G.
Pasquinelli. (Bologna)
10.20-10.40
Lo smascheramento antigenico con il calore in immunocitochimica ultrastrutturale.
G. Finzi (Varese)
10.45-11.30
Aspetti ultrastrutturali delle glomerulonefriti.
G. Mazzucco (Torino)
L’impiego della microscopia elettronica nella diagnosi delle glomerulonefriti.
Moderatore Prof. Giovanna Cenacchi (Bologna)
11.30-11.50
Ruolo della microscopia elettronica in un caso di glomerulonefrite a depositi strutturati, ad IgA
prevalente, e connettivite indifferenziata.
A. Tosoni, S. Caruso, A. Ferri, A. Genderini, M. Nebuloni, GL. Vago, G. Barbiano di Belgiojoso.
(Milano)
11.50-12.10
Nefropatia a membrane basali sottili o sindrome di Alport: casi spesso irrisolti.
P. Preda (Bologna)
12.10 Chiusura dei lavori
2
La
telemicroscopia:
possibili
applicazioni
in
telepatologia.
Pier Luigi Fabbri
C.I.G.S. - “Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti” Università di Modena e R.E.
Email: [email protected]
Il C.I.G.S. è un centro interdipartimentale di servizi dell’Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia. Il principale compito istituzionale del Centro è quello di gestire e mettere a disposizione della
comunità scientifica locale un certo numero di laboratori scientifici di notevole complessità,
difficilmente acquisibili e gestibili da un singolo gruppo di ricerca. Al momento il Centro dispone di
25 laboratori che vanno dalla microscopia ottica, elettronica e a scansione di sonda fino alla
spettroscopia ottica alla risonanza magnetica nucleare e alla diffrattometria a raggi x. In fase di
avanzata realizzazione è un importante laboratorio multidisciplinare di spettrometria di massa organica
ed inorganica per applicazioni multidisciplinari nel campo della “proteomica” e dell’agro-alimetare.
Oltre alla disponibilità delle attrezzature il Centro mette a disposizione dei ricercatori personale
altamente qualificato nelle varie tecniche strumentali.
All’interno del Centro si sono inoltre sviluppate competenze informatiche di prim’ordine che hanno
permesso lo sviluppo di una serie di tools specifici per la acquisizione, la archiviazione e la gestione
remota dei dati.
Negli ultimi anni, l’interesse nella possibilità di avere un completo controllo remoto delle
apparecchiature è cresciuto moltissimo. Nella nostra esperienza, la esigenza principale è stata,
inizialmente, legata a scopi didattici, ma sempre più spesso si è sentita la necessità di poter seguire da
remoto lo svolgersi di un esperimento e, in alcuni casi di poter interagire con lo strumento da
postazioni remote. Con il diffondersi di connessioni a banda larga e la progressiva completa
“informatizzazione” di molte apparecchiature scientifiche è ora possibile realizzare sistemi di controllo
remoto utilizzando diversi strumenti software anche di pubblico dominio, i più diffusi dei quali sono
Microsoft Remote Desktop (MRD) e VNC. Il primo è già parte integrante dei sistemi operativi
Microsoft di ultima generazione, il secondo è un software di pubblico dominio molto diffuso,
scaricabile gratuitamente dalla rete e può essere utilizzato anche su piattaforme “non Microsoft”. La
scelta fra i due sistemi dipende da vari fattori ma, nel caso si debba “cooperare” con un operatore
locale che operi direttamente sullo strumento, la scelta di sistemi tipo VNC e obbligata.
Anche se si è ancora lontani da poter raggiungere prestazioni tali da rendere indistinguibile per la
sensazione di lavorare in locale o in remoto, per molte apparecchiature scientifiche il “grado di
operabilità” in remoto è arrivato a livelli decisamente più che accettabili. Le cose si complicano un
poco nel caso dei sistemi per microscopia sia ottica che elettronica in quanto le richieste di velocità di
trasferimento dati sono particolarmente pressanti e asimmetriche ma, con opportune scelte di
compromesso, in termini di compressione e riduzione delle dimensioni delle immagini trasferite,
possono essere realizzate connessioni di controllo remoto con prestazioni discrete. Un aspetto
importante e poi quello della sicurezza. Chiunque abbia la responsabilità della gestione di una
apparecchiatura scientifica ha la assoluta necessità di conoscere con certezza la identità di chi dovrà
utilizzare lo strumento in remoto e il suo grado di esperienza nell’utilizzo del medesimo. In questa
breve presentazione verranno effettuate alcune dimostrazioni pratiche di sessioni remote SEM e TEM
che potrebbero essere applicate a livello routinario, a vari livelli, anche nella telepatologia e verranno
esaminate anche le soluzioni adottate per mantenere il più alto grado di sicurezza possibile.
4
Localizzazione
immunoistochimica
ed
ultrastrutturale
dell’enzima
BACE
2
nel
pancreas.
C.Placidi,
G.
Finzi,
F.
Franzi,
F.
Acquati,
E.
Palumbo*,
A.
Russo*,
R.
Taramelli,
F.
Sessa°,
S.La
Rosa.
(Dipartimento
di
Patologia‐Ospedale
di
Circolo
di
Varese,
Dipartimento
di
Morfologia
Umana‐
Università
dell’Insubria
di
Varese‐
*Dipartimento
di
Biologia‐Università
di
Padova
‐
°Dipartimento
di
Patologia‐
Multimedica
Milano)
Il
diabete
di
tipo
II
è
caratterizzato
dall’insulino‐resistenza
dei
tessuti
periferici
e
da
un
progressivo
deterioramento
delle
cellule
β
che
sono
sottoposte
ad
una
continua stimolazione
della
secrezione
insulinica,
che
alla
lunga
porta ad
una
riduzione
della
loro
funzione.
Oltre
a
questo
stato
di
iperstimolazione
funzionale,
numerosi
altri
fattori
contribuiscono
alla progressiva riduzione
della
capacità di
secrezione
insulinica.
Tra
questi
l’amiloidosi
insulare
(AI)
sembra
giocare
un
ruolo
di
primaria importanza.
L’AI
è
caratterizzata
da
depositi
di
materiale
eosinofilo
amorfo,
che
presenta
la
tipica
birifrangenza verde
quando
viene
osservato
a luce
polarizzata.
Agli
inizi
i
depositi
sono
intorno
ai
capillari,
ma
con
il
perdurare
della
malattia
tendono
ad
accumularsi
in
abbondanza
fino
ad
arrivare
a
sostituire
ed
obliterare
completamente
le
isole.
L’amiloide
è
formata
dall’accumulo
di
una
proteina
5
di
37
aminoacidi
denominata
amilina
o
IAPP
(islet
amyloid
polipeptide).
Questa
proteina
è
prodotta
dalle
cellule
beta
e
co‐secreta
con
l’insulina.
Nell’uomo,
nella
scimmia
e
nel
gatto,
ma
non
nei
roditori,
l’amilina
contiene
una sequenza peptidica
amiloidogenica,
che
la predispone
a
precipitare
formando
amiloide,
specialmente
quando
prodotta
e
secreta
in
eccesso.
E’
stato
dimostrato
che
una
ipersecrezione
di
amilina
ed
insulina,
che
si
riscontra
come
risposta
compensatoria
delle
cellule
β
pancreatiche
alla
insulinoresistenza
del
diabete
di
tipo
II,
conduce
alla
formazione
di
depositi
intra
ed
extra‐citoplasmatici
di
amilina.
I
depositi
di
amiloide
possono
causare
danni
alle
cellule
beta
sia
tramite
un
effetto
tossico
causato
dalle
fibrille
extracellulari,
sia
disturbando
le
interazioni
intercellulari
e
la captazione
delle
sostanze
nutritive.
Le
fibrille
di
amiloide
possono
essere
anche
incorporate
nella
membrana
cellulare,
causando
un
aumento
dei
livelli
di
calcio
intracellulare
che
porta
la
cellula
verso
l’apoptosi
.
Comunque,
tutti
i
meccanismi
coinvolti
nel
processo
di
precipitazione
di
amiloide
a
livello
insulare
non
sono
ancora
del
tutto
chiari.
Una
parte
del
nostro
studio
si
è
focalizzata
sul
possibile
ruolo
della
proteasi
BACE2
nella
formazione
della AI.
BACE2
è
una
proteina
omologa
a
BACE1,
che
è
un
enzima
in
grado
di
clivare
a
livello
dei
siti
β
la
proteina
precursore
dell’amiloide
(“β‐site
amyloid
precursor
protein‐APP”
cleaving
enzyme)
che
si
deposita nel
cervello
dei
pazienti
con
malattia di
Alzheimer.
Entrambe
le
proteine
sono
coinvolte
nella
patogenesi
di
due
malattie
muscolari
caratterizzate
dalla
vacuolizzazione
delle
fibre
muscolari
con
deposito
di
una
proteina simile
a
quella
che
si
riscontra
nella
malattia
di
Alzheimer
che
risulta
positiva
alla
colorazione
Rosso
Congo:
miosite
a corpi
inclusi,
sia
sporadica
che
ereditaria.
BACE2
è
una
proteina
ampiamente
espressa nei
tessuti,
tra
cui
il
pancreas,
tuttavia
la
sua
esatta
localizzazione
cellulare
nel
pancreas
non
è
stata
ancora
definita.
L’interesse
per
l’espressione
e
la localizzazione
di
BACE
2
nel
tessuto
pancreatico
è
basato
sul
suo
ruolo
nella formazione
di
amiloide.
La
sua
presenza a livello
delle
cellule
pancreatiche
di
tipo
β
potrebbe
infatti
suggerire
nuovi
meccanismi
che
portano
al
deposito
di
AI
nei
pazienti
con
diabete
mellito
di
tipo
II.
Lo
studio
sull’espressione
di
BACE2
nel
pancreas
è
stato
condotto
su
tessuti
di
topo
e
ratto.
Tutti
i
campioni
sono
stati
processati
in
modo
routinario
sia
per
l’esame
di
microscopia
ottica
che
elettronica.
L’immunoreattività
per
BACE
2
è
risultata
intensa
e
localizzata
a
livello
citoplasmatico
nelle
cellule
della
porzione
centrale
delle
isole
pancreatiche.
Utilizzando
studi
di
colocalizzazione
antigenica
(doppie
colorazioni
immunoistochimiche
e
studio
di
sezioni
seriate)
abbiamo
dimostrato
che
BACE2
colocalizza
con
l’insulina
e
l’amilina
nelle
cellule
β,
mentre
non
è
presente
nelle
cellule
alfa,
PP,
delta
e
nelle
cellule
esocrine
del
pancreas.
A
livello
ultrastrutturale
l’immunoreattività
per
BACE
2
è
stata
localizzata
nei
granuli
secretori
delle
cellule
β,
particolarmente
concentrata
a
livello
dei
cori
cristallini
caratteristici
dei
granuli
ad
insulina
maturi.
I
nostri
risultati
suggeriscono
che
BACE
2,
per
la
sua
colocalizzazione
sia
con
l’insulina
che
con
l’amilina,
potrebbe
avere
un
ruolo
nel
clivaggio
del
pro‐
peptide
IAPP
favorendo
la
formazione
dell’amiloide.
6
Carcinoma
renale
a
piccole
cellule
Studio
morfologico,
immunoistochimico,
ultrastrutturale
e
citogenetico
Giovanna Finzi*, Stefano La Rosa*, Barbara Bernasconi, Donata Micello, Carlo Capella
*Ospedale di Circolo di Varese, Università dell’Insubria
I carcinomi a piccole cellule sono tumori neuroendocrini scarsamente differenziati, che possono
svilupparsi in diverse sedi, sebbene siano più comuni nel polmone. Nel rene sono molto rari (meno
dell’1% dei carcinomi renali, i casi descritti in letteratura sono solo 45), si sviluppano in età adulta ed
hanno una prognosi molto brutta(sopravvivenza media 8 mesi).
Abbiamo studiato un caso di carcinoma renale a piccole cellule con le tecniche di
immunoistochimica, microscopia elettronica e citogenetica. Il tumore mostrava cordoni di cellule
piccole con nuclei marcatamente ipercromatici tondi o ovali, piccolissimi nucleoli, scarso citoplasma
con i bordi indistinti, e aree di necrosi e di invasione dei vasi linfatici e del grasso peri-renale. L’indice
mitotico e quello proliferativi erano elevati, e le cellule erano immunoreattive per sinaptofisina, CD56,
cromogranina A, VMAT1 e VMAT2, e p53.
Al microscopio elettronico, le cellule, sebbene piuttosto mal conservate, mostravano dei nuclei
abbastanza regolari, contenenti cromatina densa periferica, ed uno scarso citoplasma in cui si
osservavano dei granuli secretori elettrondensi omogenei di dimensioni di 100-200 nm.
Con la tecnica di FISH su nuclei interfasici si osservava un alto grado di instabilità cromosomica
(CIN) e perdita allelica di p53, caratteristiche dei carcinomi neuroendocrini scarsamente differenziati
di altre sedi, e polisomie del cromosoma 8 e amplificazione del gene myc, come osservato nei
carcinomi papillari renali di tipo 2. Non si osservavano invece le alterazioni citogenetiche
caratteristiche del carcinoma a cellule chiare renale (perdita del braccio corto del cromosoma 3) e dei
carcinoidi. Questi dati dimostravano che il carcinoma neuroendocrino scarsamente differenziato del
rene è una neoplasia con caratteristiche genetiche ben distinte, differenti dal carcinoma a cellule chiare
e più simili al carcinoma papillare di tipo 2.
In conclusione l’impiego di diverse tecniche di indagine, dalla microscopia ottica alla microscopia
elettronica e alla citogenetica, si è rivelato estremamente utile, sia per la diagnosi che per una migliore
comprensione della biologia e dell’istogenesi di questa neoplasia.
7
Angiosarcoma
cardiaco:
clinica,
immunoistochimica
ed
ultrastruttura.
Presentazione
di
un
caso.
C. Placidi,* V. Bertolini, C. Facco, G. Finzi, D. Lumia, Genovese, C. Capella. (Ospedale di Circolo di
Varese, Università degli Studi dell’Insubria-Varese, * Dipartimento di Patologia-Multimedica Milano)
I tumori primari cadiaci, ad eccezione dei mixomi atriali, sono molto rari (incidenza di 0,001-0,028%
in autopsie randomizzate). Circa il 75% di questi sono benigni, il rimanente 25% sono maligni e sono
rappresentati da sarcomi ad origine mesenchimale. I più comuni sarcomi cardiaci sono: angiosarcomi,
rabdomiosarcomi, mesoteliomi maligni e fibrosarcomi.
L’angiosarcoma è un tumore maligno con differenziazione endoteliale, rappresenta circa un terzo delle
neoplasie cardiache primarie e si manifesta a qualsiasi età con un picco di incidenza intorno ai 40 anni.
Tipicamente questo tumore è localizzato nell’atrio destro e frequentemente invade le strutture
adiacenti, come il pericardio, la vena cava o la valvola tricuspide. Spesso al momento della diagnosi il
tumore primitivo è già metastatizzato principalmente a livello polmonare, epatico e cerebrale e la
prognosi risulta infausta con una soppravvivenza media di soli 6 mesi.
Riportiamo un caso di angiosarcome cardiaco diagnosticato all’autopsia, sul quale è stato possibile
effettuare, oltre ad analisi radiologiche, analisi istologiche, immunoistochimiche ed ultrastrutturali.
Paziente maschio di 47 anni, insegnante, con anamnesi cadiologica negativa. Si presenta al pronto
soccorso per dispnea acuta e dolore toracico; dopo riscontro di versamento pleurico e pericardico,
viene effettuata una pericardiocentesi con prelievo di 1300cc di fluido ematico. L’analisi citologica dà
esito non diagnostico mentre l’analisi microbiologica riporta titoli elevati di anticorpi antiMycoplasma Pneumoniae. La TC non mostra segni di lesioni focali o cardiache. La diagnosi è:
pleuropericardite con tamponamento cardiaco. Il paziente viene trattato con ASA e Claritromicina e
viene dimesso dopo dieci giorni in buone condizioni generali. Dopo 5 mesi viene nuovamente
ricoverato nell’Unità di Cardiologia per dolore toracico ingravescente, viene sottoposto ad
ultrasonografia trans-toracica cardiaca che evidenzia la presenza di una massa ecogenica e
disomogenea (9x6,5 cm) che occupa l’atrio destro, confermata da ecografia trans-esofagea. La TAC
con mezzo di contrasto e la RMN riportano la presenza di una massa cardiaca neovascolarizzata, con
aree di emorragia e necrosi occupante l’atrio dx e dislocante la vena polmonare ed il piano
tricuspidale. Viene ffettuata una biopsia trans-toracica con esito non diagnostico, un’emocoltura con
esito negativo e un’analisi dei principali markers neoplastici (CEA, CA19.9, βHCG, CYFRA 21.1,
αFP) che risultano nella norma. 30 giorni dopo il ricovero il paziente presenta dispnea severa, disfasia
e disorientamento e viene quindi sottoposto ad angio-TAC con mezzo di contrasto e CT scan cerebrale.
L’esito riporta: presenza versamento pleurico dx, noduli polmonari bilaterali, piccolo nodulo epatico e
lesioni ipodense multiple a livello cerebrale. Vengono effettuate una biopsia intracardiaca e una
biopsia stereotassica delle lesioni cerebrali che risultano non diagnostiche. Il paziente muore per
deterioramento delle condizioni generali. Viene effettuato l’esame autoptico nel quale si riscontrano:
una massa estesamente necrotico-emorragica (diametro 13 cm e peso 900 g) occupante il mediastino,
includente l’atrio destro, la porzione superiore del ventricolo destro e infiltrante il parenchima
polmonare destro e sinistro; un versamento emorragico di 1500 cc nella cavità pleurica destra;
numerosi noduli polmonari (diametro max 0,5 cm); numerosi noduli necrotico-emorragici in entrambi
gli emisferi cerebrali (diametro max 4 cm). Campioni cardiaci, polmonari e cerebrali vengono
processati routinariamente per la microscopia ottica. L’esame morfologico al microscopio ottico
8
riporta il quadro caratteristico dell’angiosarcoma: proliferazione atipica di cellule epitelioidi fusate
disposte a formare piccoli vasi anastomizzati. L’analisi immunoistochimica, effettuata sui campioni di
tessuto cardiaco e cerebrale, mostra l’immunoreattività delle cellule tumorali per i principali marcatori
endoteliali (CD31, CD34, Fattore VIII, ULEX, D2.40) e un indice proliferativo (calcolato su sezioni
immunoreattve per anti-Ki67 MIB1) del 50%. L’analisi ultrastrutturale è stata effettuata solo su tessuto
cardiaco. Nonostante il campione fosse autoptico, è stato possibile individuare le caratteristiche
morfologiche dell’angiosarcoma e cioè: perdita della morfologia vascolare, perdita delle giunzioni
cellulari, membrana basale fine, irregolare e discontinua. Inoltre le cellule tumorali endoteliali
mostravano: citoplasma voluminoso, flocculento e con bordi irregolari, vescicole endocitotiche,
cisterne di reticolo endoplasmatico dilatate, numerosi filamenti intermedi intracitoplasmatici, nuclei
irregolari con condensazione periferica della cromatina e perdita di nucleoli evidenti. Caratteristiche
peculiari a livello ultrastrutturale erano la presenza di citolisosomi e mielinosomi, e la perdita dei corpi
di Weibel Palade caratteristici delle cellule endoteliali vascolari. In conclusione il nostro lavoro risulta
interessante in quanto riporta un quadro completo sia delle caratteristiche cliniche e radiologiche, sia
di quelle morfologiche ed ultrastrutturali dell’angiosarcoma cardiaco.
Neoplasia
epilettogena
con
aspetti
di
astrocitoma
ed
ependimoma.
M. Palumbo, A. Cimmino, P.I. D’Urso*, M.G. Fiore, R. Rossi, L. Resta
Dipertimento di Anatomia Patologica e Clinica Neurochirurgia*,
Università degli studi di Bari
Il valore dell’indagine ultrastrutturale nella diagnosi delle neoplasie cerebrali trova ampio consenso,
specie quando si presentano neoplasie rare o con linee cellulari differenti non apprezzabili alla
microscopia ottica o alla valutazione immunoistochimica.
Case report
Paziente maschio di 62 anni con episodio critico di clonia alla guancia destra e afasia motoria
transitoria. La RMN effettuata al momento dell’episodio e ripetuta 6 mesi dopo, ha evidenziato area
9
di alterato segnale iperintenso in corrispondenza del giro precentrale e minuta lesione in sede
giunzionale. All’intervento, aperta la dura madre, il parenchima cerebrale si presentava edematoso
con tessuto verosimilmente neoplastico in corrispondenza del giro precentrale.
Il tumore, pluriframmentato, mostrava istologicamente un aspetto prevalente a cellule fusate bipolari
astrocitarie accanto ad altre simil-oligodendrogliomatose. In un minuto frammento erano presenti
aspetti ependimali con atteggiamento vagamente rosettoide e con aggregazione perivascolare delle
cellule neoplastiche solo in rare aree.
E’ stata eseguito un pool di Immunoistochimica per GFAP(+++), Sinaptofisina (++), EMA (+ dotlike) e Ki67 4%.
L’ultrastruttura, eseguita su campione fissato in glutaraldeide, ha mostrato una duplice popolazione
cellulare intimamente connessa. Da un lato cellule con citoplasma ricco di microtubuli, reticolo e
lumi ghiandolari provvisti di numerosi e lunghi microvilli e ben strutturate ciglia, con apparati
giunzionali complessi “zip-like”. Dall’altro erano evidenti cellule con citoplasma ricco in fibrille
sottili, talora aggregate in strutture simil-cristalline elettrondense.
Sulla base delle caratteristiche cliniche, morfologiche, immunoistochimiche e soprattutto
ultrastrutturali è stata posta la diagnosi di glioma angiocentrico. Tale neoplasia, illustrata per la prima
volta nel 2005, è caratterizzata dalla proliferazione di cellule sia astrocitarie che ependimali, con
conseguente organizzazione angiocentrica. Alla formulazione della diagnosi risulta essenziale la
distinzione della duplice differenziazione cellulare dimostrata dall’indagine ultrastrutturale. Sulla
base delle poche segnalazioni attualmente esistenti in letteratura, il riscontro di tale neoplasia nei
soggetti anziani risulta oltremodo raro.
Valutazione
dei
miofibroblasti
attivati
nello
stroma
del
carcinoma
mammario.
R. Rossi,G. Simone*, A. Malfettone*, D. Piscitelli, L. Resta, A. Mangia*
Dipartimento di Anatomia Patologica, università degli Studi di Bari
*U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Istituto Tumori “Giovanni Paolo II”, Bari
L’interazione tra cellule neoplastiche e cellule stromali risulta particolarmente importante per la
progressione, l’infiltrazione e il potenziale metastatico della neoplasia. In questa prospettiva sono state
ricercate e valutate diverse cellule stromali tra cui miofibroblasti, fibroblasti, cellule muscolari lisce,
periciti, ecc. Attualmente esistono pareri differenti sulla possibilità di differenziare tali cellule sulla
base di indagini immunoistochimiche e/o ultrastrutturali.
Per verificare le possibilità di identificazione della popolazione cellulare stromale abbiamo studiato 10
casi di carcinoma mammario in collaborazione con l’U.O. di Anatomia Patologica e Citodiagnostica
dell’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari. Al momento dell’intervento sono stati prelevati tre
campioni rispettivamente a livello del tumore (T), della regione peritumorale (PT) e del parenchima
mammario a distanza (PM). Ogni campione è stato diviso in due metà, ottenendo due frammenti
speculari dei quali uno è stato avviato per lo studio istologico e immunoistochimico e l’altro per lo
studio ultrastrutturale. Su campione fissato in formalina e incluso in paraffina si è proceduto alla
valutazione dell’espressione di CD 34 (clone Q-bend-10, Ventana, diluizione 1:50) e di α-SMA (clone
1A 4 , Santa Cruz, diluizione 1:100).
Con l’indagine immunoistochimica si è evidenziata una maggiore presenza di cellule α-SMA+ nel
campione T, con una percentuale di elementi positivi del 43% (range 21.2-62.2%) rispetto al totale
10
delle cellule mesenchimali presenti. Cellule α-SMA+ sono state dimostrate solo su 3 dei10 campioni
peritumorali e in nessun caso del campione a distanza. Al contrario le cellule stromali ed endoteliali
CD34+ rappresentavano il 92% delle cellule stromali nel campione a distanza, l’83% nel prelievo
peritumorale e il 19% nello stroma del tumore.
L’indagine ultrastrutturale ha dimostrato la presenza di elementi cellulari compatibili con la
morfologia dei miofibroblasti solo nel campione prelevato a livello della neoplasia. Tali cellule
mostravano un citoplasma fortemente allungato, ricco di rER, fibrille contrattili e vescicole
periferiche, evidente fibronexus e assenza di lamina basale. Le cellule assumevano stretti rapporti tra
di loro, con altre cellule stromali e con le cellule tumorali. Nei campioni prelevati al di fuori del
tumore le cellule fusate assumevano le caratteristiche proprie dei fibroblasti e dei periciti.
Il nostro studio ha dimostrato come gli elementi strettamente riconducibili ai miofibroblasti
rappresentino una condizione strettamente correlata con la crescita locale della neoplasia. Cellule
simili, positive per α-SMA, presenti a distanza non presentano le caratteristiche ultrastrutturali
evidenti nei miofibroblasti stromali. In conclusione, l’indagine ultarstrutturale risulta indispensabile
per dimostrare la reale identità delle cellule interstiziali associate alla neoplasia.
11
Quando
il
gioco
si
fa
duro…
Lo
studio
della
placca
aterosclerotica
calcificata.
*Quacci D.,*Congiu T, *Uccella S, **Tozzi M, ***Guasti L, ***Marino F.
*Dipartimento di Morfologia Umana, **Dipartimento di Scienze Chirurgiche, ***Dipartimento di
Medicina Clinica- Università degli Studi dell’Insubria, Varese
La calcificazione della placca aterosclerotica è un evento critico nella stabilità della parete vasale ed è,
da tempo, importante oggetto di studio.
L’approccio morfologico risulta però tanto più difficile in relazione alla durezza del core mineralizzato
senza ricorrere alla decalcificazione del campione con la conseguente perdita di informazioni
fondamentali alla comprensione dello sviluppo della placca stessa.
In questo studio presentiamo l’uso del Microscopio Elettronico a Scansione (MES) affiancato alla
microanalisi a raggi X (EDAX) per la descrizione della parti mineralizzate della placca aterosclerotica.
I campioni di carotide provenienti da 6 pazienti sottoposti a tromboarterectomia sono stati suddivisi in
corrispondenza della placca indurita e trattati seguendo le tecniche di macerazione in tetrossido di
osmio/ferrocianuro di potassio e NaOH 1N. I risultati mostrano un notevole aumento del tessuto
connettivo in corrispondenza della lesione e il progressivo aumento del deposito di fosfato calcico
(idrossiapatite), facilmente individuato mediante l’EDAX, nelle tonache intima e media del vaso. La
massa calcificata mostra un inizio di crescita intorno alla presenza di cristalli di colesterolo seguita da
uno sviluppo “minerale” che le conferisce una consistenza particolarmente dura. Inoltre, l’esposizione
delle fibre collagene mediante macerazione in NaOH 1N, ha evidenziato la particolare interfaccia tra
lo stroma e la massa calcificata.
Riteniamo che il MES abbia mostrato, grazie alla sua ben conosciuta versatilità, di essere uno
strumento particolarmente indicato nelle indagini su campioni “difficili”
Bibliografia
Schembri L., Congiu T., Tozzi M., Guasti L., Cosentino M., Marino F.
Images in cardiovascular medicine. Scanning electron microscopy examination and elemental analysis
of atherosclerotic calcifications in a human carotid plaque. Circulation, 2008 Jun 10;117(23):479-80
12
Studio
della
capacita’
rigenerativa
del
muscolo
scheletrico
in
pazienti
affetti
da
sclerosi
laterale
amiotrofica
(SLA)
A.
Scaramozza1,2,
V.
Papa1,
L.
Tarantino1,
E.
Pegoraro3,
C.
Angelini3,
G.N.
Martinelli1
e
G.
Cenacchi1
1Dipartimento
Clinico
di
Scienze
Radiologiche
ed
Istocitopatologiche,
Università
di
Bologna;
2CRBA,
Centro
Unificato
di
Ricerca
Biomedica
Applicata,
Policlinico
S.Orsola‐Malpighi
Bologna
3Dipartimento
di
Scienze
Neurologiche
e
VIMM,
Venetian
Institute
of
Molecular
Medicin,
Università
di
Padova
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) rappresenta una delle più comuni patologie degenerative del
motoneurone, con un’incidenza di 1-2 casi ogni 100.000 individui l’anno. Tale malattia, le cui cause
rimangono ancora sconosciute, è caratterizzata da una selettiva disfunzione, prematura degenerazione
e morte del secondo motoneurone a livello spinale e/o bulbare e del primo motoneurone corticale, con
conseguente denervazione, atrofia e paralisi del tessuto muscolare scheletrico. Normalmente le fibre
muscolari danneggiate vanno incontro ad un processo riparativo/rigenerativo guidato da una
popolazione di cellule staminali adulte, le cellule satelliti (CS). Tuttavia nei soggetti affetti da SLA
sembra che tale attività rigenerativa sia insufficiente per ristabilire un adeguato equilibrio morfofunzionale.
Al fine di approfondire i meccanismi molecolari e patogenici che caratterizzano il coinvolgimento del
muscolo scheletrico nella SLA, sono state allestite delle colture primarie di CS ottenute da biopsie di 7
pazienti anziani affetti da SLA e 6 pazienti anziani sani di controllo. Sono state valutate le
caratteristiche morfologiche, immunofenotipiche e ultrastrutturali delle CS mediante tecniche di
immunocitochimica (ICC) e microscopia elettronica (TEM); inoltre è stata analizzata la capacità
proliferativa e differenziativa in vitro delle CS, attraverso lo studio, mediante RT-PCR,
dell’espressione dell’RNA messaggero dei fattori di regolazione miogenica (MRFs), principali
responsabili delle differenti fasi di attivazione, proliferazione e differenziamento del muscolo
scheletrico.
Le CS dei pazienti affetti sembrano mantenere inalterato il proprio potenziale proliferativo
mantenendo caratteristiche tipiche delle CS attive dei soggetti giovani sani. Tuttavia tali cellule una
volta differenziate, diversamente dai controlli anziani sani, vanno incontro a fenomeni di necrosi
probabilmente dettati dai meccanismi patogenetici della SLA.
Ruolo
della
Microscopia
Elettronica
nella
definizione
delle
cosiddette
“
miopatie
vacuolari
”.
L.Tarantino, V. Papa, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, G. N. Martinelli e G. Cenacchi.
Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche e Istocitopatologiche, Università di Bologna
Molte delle malattie neuromuscolari mostrano aspetti miopatologici aspecifici con le colorazioni istoenzimatiche di routine. Nella fibra muscolare le alterazioni morfologiche principali includono
disorganizzazione miofibrillare, associata o meno alla presenza di corpi inclusi e presenza di vacuoli.
13
Il reperimento di strutture vacuolari all’interno della fibra muscolare può essere messo in relazione con
numerose forme patologiche; la loro presenza e soprattutto le loro caratteristiche morfologiche,
possono rendere queste strutture patognomoniche di un particolare disturbo muscolare, possono
esserne indicative o viceversa risultare aspecifiche. L’identificazione di vacuoli a livello ottico non
risulta sempre facile o perlomeno non sempre è possibile definirne la natura.
L’analisi ultrastrutturale ci permette di dividere in modo più preciso le “alterazioni vacuolari” in due
principali classi: la prima caratterizzata dalla presenza di aree citoplasmatiche non delimitate da
membrana, come le alterazioni vacuolari delle miopatie da accumulo di lipidi, delle glicogenosi non
lisosomiali e delle miopatie con “rimmed vacuoles”; le seconde dalla presenza di vacuoli circondati da
membrana, come nelle malattie lisosomiali ereditarie e nelle miopatie associate a vacuoli autofagici.
L’analisi ultrastrutturale, pur con i limiti insiti nella tecnica, legati soprattutto alla capacità della cellula
di reagire in modo stereotipato ad una serie di insulti diversi, ci permette di approfondire le alterazioni
morfologiche identificabili a livello ottico, di cogliere lesioni precoci e quindi non identificabili con
colorazioni istologiche, ci consente di effettuare una correlazione morfo-funzionale delle strutture
anomale individuate ed inoltre può guidarci verso un approfondimento diagnostico più preciso, come
l’analisi genetico-molecolare.
In conclusione, la microscopia elettronica rappresenta un interessante strumento di studio della
patologia muscolare. In ambito diagnostico risulta particolarmente efficace sia per le forme
miofibrillari, sia per quelle vacuolari.
Un
caso
di
“Action
myoclonus­renal
failure
syndrome(AMRF)”:
studio
ultrastrutturale
e
prospettive
terapeutiche.
V. Papa, L. Tarantino, R. Salaroli, L. Badiali De Giorgi, L. Vergani*, E. Pegoraro*, C. Angelini*, G.
N. Martinelli e G. Cenacchi
Dipartimento Clinico di Scienze Radiologiche ed Istocitopatologiche, Università di Bologna
*Dipartimento di Scienze Neurologiche e VIMM, Università di Padova
L’ “Action myoclonus-renal failure syndrome (AMRF)” è una forma letale ereditaria di epilessia
mioclonica progressiva associata a danno renale. Il difetto genico responsabile di tale sindrome è stato
ipotizzato e studiato solo recentemente in una mutazione nonsenso del gene SCARB2 avente effetto
pleiotropico. Tale gene codifica per il recettore LIMP-2 che lega, a livello del reticolo endoplasmatico,
la β-Glucocerebrosidasi(β-GCasi), enzima responsabile del catabolismo lisosomiale del
glucosilceramide. Studi autoptici in pazienti affetti da AMRF hanno evidenziato la presenza di
materiale insolito e non ben caratterizzabile accumulato a livello cerebrale. Inoltre, recenti studi
condotti su topi LIMP-2 knockout hanno evidenziato l’accumulo di glucosilceramide a livello epatico
e polmonare mentre non sono stati rilevati accumuli a livello della milza, dei reni e del cervello.
Abbiamo studiato una biopsia muscolare e cutanea di un paziente affetto da AMRF con sintomatologia
renale. L’analisi ottica della biopsia muscolare ha messo in luce solo una predominanza delle fibre di
tipo II. A livello ultrastrutturale si evidenziano aree con disarray prominente ed aree deprivate di
mitocondri a conferma dell’ unico dato emerso dall’analisi ottica. Non sono presenti inclusi di alcun
14
genere a livello della miocellula. Tuttavia, sono stati evidenziati isolati e rari fibroblasti caratterizzati
da vacuoli a contenuto elettrondenso simil-lipofuscinico. Nel prelievo di cute sono state identificate,
sempre a carico dei fibroblasti, strutture lisosomiali contenenti particelle granulari elettrondense,
simil-ceroidolipofuscine, strutture tubulari Gaucher-like e microcristalli elettrontrasparenti, quali esteri
del colesterolo. E’ stata ipotizzata la natura mista delle inclusioni. Inoltre, è stato condotto uno studio
parallelo su colture di fibroblasti dello stesso paziente, per valutare meglio la natura degli inclusi. A
livello ultrastrutturale i fibroblasti si presentano di notevoli dimensioni, con citoplasma ampio e nucleo
eccentrico. Sono presenti numerose inclusioni vacuolari lisosomiali contenenti strutture mieliniche di
vario grado a conferma della natura mista delle inclusioni. Dai dati raccolti è possibile concludere che
nonostante si tratti di una patologia sistemica, la miocellula risulta priva di accumuli rilevanti, eccetto
che nei fibroblasti; la cute e soprattutto i fibroblasti messi in coltura mostrano invece un grado
eterogeneo di inclusi tali da identificare la AMRF come una sindrome associata all’ accumulo di
materiale misto.
Il
Microscopio
Elettronico
a
Scansione
nella
Paleopatologia.
Osservazioni
di
un
caso
Dell’Orbo C., Congiu T., Sassi A., Basso P.
Dip. Morfologia Umana, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
Nel 2002, durante gli scavi archeologici condotti presso la chiesa di San Giulio.in Cassano Magnano
(Va), fu rinvenuto uno scheletro medioevale completo e composto il cui femore sinistro appariva
affetto da una evidente iperostosi. Le notevoli differenze in lunghezza e spessore con il femore
controlaterale (a prima vista normale) e le tracce di alterazione della vascolarizzazione periostale
hanno suggerito indagini ulteriori. L’esame radiologico confermò la differenza strutturale tra i femori
evidenziando, per il sinistro, l’aspetto cotonoso dell’osso corticale e la marcata invasione del canale
midollare. Dalla diafisi femorale fu prelevato un campione poi decalcificato per ottenere un preparato
istologico. L’osservazione portò a riconoscere nello spessore aree di osso lamellare normale circondato
da una matrice dall’aspetto cavernoso localizzata intorno ai canali vascolari. Un secondo campione,
contiguo al primo, fu dedicato all’osservazione al Microscopio Elettronico a Scansione (MES). Il
trattamento ha comportato la semplice esposizione di una sezione completa dello spessore diafisario
da periostio ad endostio senza la necessità della decalcificazione. Le immagini hanno mostrato una
matrice mineralizzata alterata costituita da una complessa struttura tubulare tortuosa ed strettamente
connessa ai canali di Havers. A maggiori ingrandimenti sono state documentate cavità relazionabili ad
attività microbica a indicazione di una prima azione demolitrice e di una successiva rideposizione di
idrossiapatite da parte di microrganismi. L’osservazione al MES di un campione prelevato dalla diafisi
del femore destro, apparentemente normale ai raggi X, ha rivelato lo stesso pattern descritto per il
sinistro. In conclusione, le osservazioni suggeriscono la presenza di un processo di diagenesi
postmortem del tessuto osseo che si è venuto a sovrapporre alle precedenti alterazioni, in vita, legate
ad eventi patologici.
Bibliografia
15
M. Jackes, R. Sherburne, D. Lubell, C. Barker, M. Wayman
Destruction of Microstructure in Archaeological Bone: a Case Study from Portugal (2001) Int. J.
Osteoarchaeol. 11: 415–432
A. Canci, D. Marchi, D. Caramella, G. Fornaciari, S. M. Borgognini Tarli
Brief Communication: Coexistence of Melorheostosis and DISH in a Female Skeleton From Magna
Graecia (Sixth Century BC), (2005) Am. J. Phys. Anth. 126:305–310.
Caratterizzazione
ultrastrutturale
dei
progenitori
endoteliali
circolanti.
*Pacilli
A,
*Orrico
C,*
Foroni
L,**
Gamberini
C.,**
Muscari
C.,
***Pasquinelli
G.
*
Dipartimento
di
Scienze
Chirurgiche
ed
Anestesiologiche,
Policlinico
Sant’Orsola‐Malpighi,
Università
di
Bologna;
**
Dipartimento
di
Biochimica
“G.
Moruzzi”,
Università
di
Bologna;
***
Dipartimento
di
Scienze
Radiologiche
ed
Istocitopatologiche,
Università
di
Bologna.
Recenti
studi
hanno
dimostrato
che
il
fenomeno
della
vasculogenesi
non
è
limitato
allo
sviluppo
embrionale,
ma
avviene
anche
nell’organismo
adulto
in
condizioni
sia
fisiologiche
che
patologiche.
L’integrità
del
sistema
vascolare
è
fondamentale
per
la
vitalità
dell’organismo
in
toto.
La
continua
esposizione
a
stress
meccanici
e
fisici
di
dilatazione,
contrazione
e
shear
stress
a
lungo
termine
possono
alterare
la struttura
e
la
funzionalità
del
vaso;
l’endotelio
è
la
parte
più
colpita,
soprattutto
nelle
regioni
di
ramificazione
dell’albero
vascolare
dove
perde
la
sua
integrità favorendo
l’insorgenza
di
eventi
patologici
come
l’aterosclerosi.
Nei
danni
di
lieve
entità,
la
proliferazione
delle
cellule
vicine
a
quelle
danneggiate
o
in
necrosi
è
sufficiente
per
mantenere
l’integrità
tissutale,
ma,
poiché
sono
terminalmente
differenziate,
il
loro
contributo
è
limitato.
Nei
casi
di
danneggiamento
diffuso
o
nelle
regioni
con
un
elevato
turnover
cellulare,
la
presenza
di
cellule
residenti
non
è
sufficiente
per
rimpiazzare
le
cellule
morte,
per
cui
si
richiede
il
supporto
di
una
sorgente
di
cellule
staminali
residente
o
presente
in
altri
tessuti.
A
seguito
di
lesioni
vascolari
vengono
rilasciati
in
circolo
chemochine
e
citochine
che
richiamano
progenitori
endoteliali
(EPCs)
da
sedi
periferiche
come
il
midollo
osseo
e
ne
stimolano
la migrazione
verso
l’area
danneggiata,
la
proliferazione
e
il
differenziamento
verso
un
fenotipo
più
maturo
prevenendo
l’insorgenza
di
complicazioni
secondarie.
Le
EPCs
circolanti
costituiscono
una
piccola
frazione
delle
cellule
mononucleate
del
sangue
periferico
e
possono
essere
isolate
mediante
diverse
procedure
di
sorting
per
poter
essere
studiate
più
nel
dettaglio;
esse
rappresentano
una classe
cellulare
eterogenea in
cui
si
riconoscono
cellule
con
fenotipo
più
immaturo
simile
a
quello
dell’
emangioblasto
e
cellule
con
fenotipo
più
differenziato.
A
seconda
delle
loro
caratteristiche
queste
danno
un
diverso
contributo
alla
neoangiogenesi
in
vivo.
Dagli
studi
effettuati
sinora
le
EPCs vengono
distinte
in
due
principali
categorie:
le
early‐EPCs
e
le
late‐
EPCs
a
seconda
del
tempo
di
comparsa
in
vitro
sotto
forma
di
colonie,
della
morfologia,
del
tempo
di
sopravvivenza
e
di
proliferazione
in
vitro.
Dal
punto
di
vista
immunofenotipico
e
di
funzionalità
le
due
categorie
sono
state
ben
caratterizzate
e
studiate
sia
in
vitro
che
in
vivo,
meno
esplorate
sono
le
caratteristiche
ultrastrutturali.
In
questo
studio
abbiamo
analizzato
il
profilo
morfologico
ultrastrutturale
di
cellule
progenitrici
endoteliali
"early"
isolate
da sangue
periferico
di
pazienti
sani
16
(donatori
di
sangue)
e
differenziate
in
senso
endoteliale
seguendone
le
variazioni
nel
corso
del
tempo
e
confrontandole
con
cellule
endoteliali
di
controllo
immature
(CD34+
isolate
da
tessuto
adiposo)
e
mature
(HUVEC).
Nel
corso
della
maturazione,
le
variazioni
principali
sono
visibili
a
livello
citoplasmatico
dove
si
ritrova
un
apparato
di
Golgi
sempre
più
sviluppato
e
la
comparsa
di
corpi
di
Weibel
Palade
e
di
introflessioni
citoplasmatiche
articolate
per
ottimizzare
il
volume
cellulare
che
nelle
cellule
più
mature
si
assemblano
in
modo
tale
da
originare
strutture
luminari
che
ricordano
l’organizzazione
strutturale
di
cellule
endoteliali
capillari.
Le
prospettive
di
impiego
delle
EPCs
in
clinica nell’ambito
della
medicina
rigenerativa
e
della
terapia
cellulare
stanno
accrescendo
notevolmente
l’interesse
per
questa tipologia
di
cellule
che
risulta
essere
molto
promettente;
con
questo
studio
abbiamo
voluto
fornire
informazioni
aggiuntive
sulle
EPCs
dal
punto
di
vista
ultrastrutturale;
infatti,
dal
momento
che
il
profilo
immunofenotipico
delle
cellule
nei
vari
step
maturativi
potrebbe
essere
sovrapponibile,
la
microscopia elettronica
a
trasmissione
può
essere
impiegata
per
differenziare
le
classi
di
EPCs
ed
individuare
quella
più
funzionale
per
un
mirato
intervento
terapeutico
in
vivo.
17
Infezione
produttiva
da
Parvovirus
B19
delle
cellule
endoteliali
placentali.
Foroni
L.1,
Bonvicini
F.2,
Salfi
N.3,
Gallinella
G.2,
Pasquinelli
G3,4.
1
Chair
of
Vascular
Surgery
‐
Dept
of
Specialistic
Surgical
and
Anestesiological
Sciences,
University
of
Bologna,
Bologna,
Italy;
2
Division
of
Microbiology
‐
Dept
of
Clinical
and
Experimental
Medicine,
University
of
Bologna,
Bologna,
Italy;
3
Surgical
Pathology
‐
Dept
of
Radiological
and
Histocytopathological
Sciences,
University
of
Bologna,
Bologna,
Italy;
4
Clinical
Pathology
‐
Dept
of
Radiological
and
Histocytopathological
Sciences,
University
of
Bologna,
Bologna,
Italy
Il
Parvovirus
B19,
responsabile
della quinta
malattia
in
età
infantile,
può
venire
trasmesso
in
gravidanza
per
via
placentale
(30%
dei
casi)
con
eventuale
sviluppo
di
idrope
fetale
o
morte
intrauterina
del
feto
per
grave
anemia.
Il
meccanismo
patogenetico
alla
base
dell’
idrope
fetale
o
della
morte
intrauterina
si
basa sul
marcato
tropismo
del
virus
per
i
precursori
fetali
degli
eritrociti
in
attiva
replicazione.
L’
infezione
dei
cardiomiociti
fetali
è
stata documentata
come
ulteriore
meccanismo
patogenetico
contribuente
al
danno
fetale,
mentre
l’
infezione
diretta
e
produttiva delle
cellule
placentali
materne
deve
essere
ancora dimostrata.
In
questo
studio,
viene
descritto
un
caso
clinico
di
una donna
di
34,
gravida
alla 26
settimana
di
gestazione,
che
ha
abortito
spontaneamente
a
seguito
della morte
intrauterina
del
feto.
L’esame
autoptico
ha
confermato
la
diagnosi
di
idrope
fetale
senza
alcuna
presenza di
malformazioni.
La
Real
time
PCR,
eseguita
sul
campione
bioptico
di
placenta,
ha dimostrato
la
presenza
di
DNA
virale.
L’
esame
istologico
mostrava la
presenza
di
villi
edematosi
con
presenza
di
blasti
eritroidi
nei
capillari
fetali
mentre
non
sono
stati
osservati
infiltrati
infiammatori.
L’ibridizzazione
in
situ
(B19‐DNA),
l’immunoistochimica
(VP1‐VP2,
CD34,
vWF),
la
doppia
immunofluorescenza
e
la
microscopia
elettronica
a
trasmissione
hanno
dimostrato
la
concomitante
infezione
produttiva
sia
dei
precursori
eritroidi
fetali
sia
delle
cellule
endoteliali
placentali.
In
conclusione
lo
studio
dimostra
la
possibilità
da
parte
del
B19
di
infettare
anche
le
cellule
endoteliali
placentali;
tale
evento
può
risultare
critico
sia
localmente,
contribuendo
all’
alterazione
degli
scambi
sanguigni
materno
‐
fetali
sia
per
la
trasmissione
sistemica
dell’
infezione
al
feto.
18
Cellule
coltivate
su
supporti
nanofibrosi
elettrofilati:
utilizzo
di
tecniche
istologiche
ed
ultrastrutturali
per
lo
studio
di
adesione,
proliferazione,
sopravvivenza
e
immunofenotipizzazione
cellulare.
Valente
S.*,
Foroni
L.*,
Dirani
G.*,
Focarete
ML.°,
Gualandi
C.°,
Pasquinelli
G.^
*Cattedra
di
Chirurgia
Vascolare,
Dipartimento
di
Scienze
Chirurgiche
ed
Anestesiologiche,
Università
di
Bologna;
°Dipartimento
di
Chimica
“Ciamician”,
Università
di
Bologna;
^Patologia
Clinica,
Dipartimento
di
Scienze
Radiologiche
e
Istocitopatologiche,
Bologna
L'ingegneria
tissutale,
campo
multidisciplinare
in
rapida
crescita,
sfrutta
i
principi
della
biologia
e
dell’ingegneria
al
fine
di
ottenere
supporti
(scaffolds)
biocompatibili
e
biodegradabili
per
la
rigenerazione,
il
mantenimento
e
il
miglioramento
di
tessuti
o
organi
del
corpo
umano
gravemente
danneggiati.
Recentemente
nell’ambito
della
ingegneria
dei
tessuti,
l’attenzione
si
è
focalizzata
sulla
realizzazione
di
scaffolds nano‐strutturati
di
dimensioni
eccezionalmente
ridotte
(su
scala
nanometrica)
per
mimare
la
matrice
extracellulare,
ambiente
naturale/fisiologico
che
modula
le
vie
di
traduzione
dei
segnali
regolandone
la
sopravvivenza,
la proliferazione
e
il
differenziamento
cellulare.
Una
metodica innovativa
ed
emergente
per
la
produzione
di
supporti
nanofibrosi
è
quella
dell’
elettrofilatura
che,
sfruttando
un
elevato
campo
elettrostatico,
permette
di
filare
un
fluido
polimerico
fino
ad
ottenere
fibre
nanometriche
in
forma
di
tessuto‐non‐tessuto
(mats)
con
orientamento
casuale
o
definito
per
consentire
la crescita cellulare
nelle
tre
dimensioni.
Finora
lo
studio
dei
processi
di
adesione,
proliferazione,
sopravvivenza e
differenziamento
cellulare
si
è
avvalso
di
tecniche
di
immunofluorescenza
e
di
microscopia elettronica
a
scansione.
In
questo
studio,
utilizzando
scaffolds
a
base
di
acido
poli‐L‐lattico
(PLLA)
su
cui
sono
state
seminate
cellule
staminali
mesenchimali
e
cellule
endoteliali
derivate
dai
vasi
del
cordone
ombelicale,
abbiamo
sviluppato
una
metodica che
consente
di
migliorare
alcuni
limiti
metodologici
presenti
in
letteratura
(difficile
manipolazione
del
supporto
polimerico,
scarsa
definizione
dei
preparati,
risultati
confondenti
legati
alla autofluorescenza
dei
polimeri,
etc).
Tale
metodica,
di
agevole
uso,
ha
il
vantaggio
di
ottenere
sezioni
en
face
o
sezioni
longitudinali
facilmente
utilizzabili
per
valutare
le
interazioni,
penetrazione
e
colonizzazione
cellula/
scaffold
nanostrutturati,
che
date
le
molteplici
proprietà,
rappresentano
il
futuro
delle
nanotecnologie
applicate
all’ingegneria
tissutale.
Terapia
cellulare
per
la
riparazione
tessutale:
utilizzo
di
microsfere
di
PGLA
farmacologicamente
attive
come
veicolo
di
cellule
mesenchimali
(staminali)
stromali.
*Orrico C., *Foroni L.,**** Valente S., Bonafè F., Fiumana E., Montero-Menei C., **Muscari C.,
19
***Pasquinelli G.
*
Dipartimento
di
Scienze
Chirurgiche
ed
Anestesiologiche,
Policlinico
Sant’Orsola‐Malpighi,
Università
di
Bologna;
**
Dipartimento
di
Biochimica
“G.
Moruzzi”,
Università
di
Bologna;
***
Dipartimento
di
Scienze
Radiologiche
ed
Istocitopatologiche,
Università
di
Bologna;
****Cattedra
di
Chirurgia
Vascolare,
Dipartimento
di
Scienze
Chirurgiche
ed
Anestesiologiche,
Università
di
Bologna.
La terapia cellulare e l’ingegneria tissutale rappresentano nuove promettenti strategie per la
riparazione di organi e tessuti danneggiati. Il trasferimento in clinica di queste nuove pratiche
terapeutiche richiede il superamento di numerosi ostacoli di natura etica, biologica, tecnica e
procedurale; tra le problematiche biologiche ad esempio non è ancora noto per quanto tempo le cellule
somministrate rimangano vitali nei tessuti riceventi, quale debba essere il loro grado di staminalità o
commissionamento e quale la modalità di integrazione nei tessuti ospitanti. I fattori di crescita possono
essere impiegati per far fronte a questi problemi, ma la loro somministrazione rimane ancora una sfida
tecnologica a causa della loro breve emivita nonché delle loro azioni pleiotropiche. Per ovviare a
questo limite, è stato sviluppato un approccio metodologico di rilascio sito-specifico che prevede
l’impiego di particelle sferiche di acido poli-lattico-co-glicolico (PGLA) come veicoli. Queste
microsfere (1-90 µm) farmacologicamente attive (PAM), sono biocompatibili e biodegradabili e, in
quanto rivestite con molecole di adesione, possono servire come supporto per colture cellulari ed
essere utilizzate per il trasporto di cellule, permettendo un controllato e continuo rilascio di proteine
attive. In questo studio abbiamo caratterizzato tridimensionalmente le microsfere, valutato le
interazioni tra cellule e PAM ed osservato il differenziamento “in vitro” delle cellule aderenti alle
PAM. A tale scopo sono state allestite delle colture di PAM e cellule in sospensione, utilizzando
microsfere rivestite di fibronectina e cellule mesenchimali stromali isolate da arteria femorale umana
(hMSCs) di donatore multi organo a cuore battente. Sono state quindi effettuate delle valutazioni
ultrastrutturali mediante il microscopio elettronico sia a trasmissione (TEM) che a scansione (SEM).
L’osservazione al SEM di una sospensione di PAM, ha permesso di stabilire come le sfere presentino
una superficie porosa ed una certa variabilità dimensionale (1-3 µm). Dopo 4 ore dalla semina in
piastra di coltura di PAM e cellule, le cellule aderivano alle PAM quasi completamente come
visualizzato al microscopio ottico invertito e, ripetendo a 24 ore l’osservazione, le hMSCs avevano
formato veri e propri sferoidi contenenti al loro interno le PAM. La formazione di questi grossi
aggregati è stata confermata dall’osservazione al SEM. Dopo 3 giorni di coltura, uno sferoide
delicatamente recuperato è stato fissato e processato per la microscopia elettronica a trasmissione.
L’analisi ultrastrutturale al TEM ha dimostrato che le hMSCs aderenti alle PAM sono vitali con nuclei
integri e nucleoli prominenti; esse inoltre rimangono indifferenziate mantenendo le loro caratteristiche
di cellule mesenchimali, quali filamenti intermedi di vimentina disposti in modo lasso e cisterne di
reticolo endoplasmatico rugoso ben sviluppate. Poche cellule contenevano nel citoplasma frammenti
di PAM fagocitati, senza peraltro mostrare alcun segno di degenerazione cellulare a conferma del fatto
che le PAM sono inerti ed atossiche.
A conclusione delle osservazioni condotte, risulta evidente che le cellule mesenchimali derivanti da
arteria femorale umana aderiscono efficacemente alle microsfere di PGLA rivestite con molecole di
adesione, dando origine a degli sferoidi prevalentemente multicellulati. Le hMSCs pur essendo esposte
alla fibronectina hanno mantenuto le caratteristiche indifferenziate native nel corso della coltura e
questo elemento costituisce una condizione favorevole per commissionarne il differenziamento in
vivo. Tuttavia la formazione di ampi aggregati multicellulari costituisce tuttora il limite maggiore
all'esplorazione dell'efficacia del sistema nei modelli animali.
20
Lo
smascheramento
antigenico
con
il
calore
in
immunocitochimica
ultrastrutturale.
Giovanna Finzi, Ospedale di Circolo di Varese
Lo smascheramento antigenico è necessario in molte reazioni immunoistochimiche, ed agisce
determinando una rottura dei legami con il fissativo, oppure denaturando le proteine, o ancora
rimuovendo gli ioni calcio che si legano ai gruppi idrossimetile formatisi durante la fissazione.
L’impiego del calore per smascherare gli antigeni è utilizzato già da tempo in microscopia ottica (Shi,
1991), e, più recentemente, in microscopia elettronica (Brorson, 2001; Fossmark, 2005).
Abbiamo provato a smascherare due antigeni diversi su tessuti fissati in parafrmaldeide 2% e
glutaraldeide 0.5%, post-fissati in tetrossido di osmio ed inclusi in una miscela di Epon e Araldite,
mediante l’impiego di un forno a microonde e di un’autoclave, che permette il raggiungimento di
temperature più elevate (126°C):
‐L’immunoreattività per la cromogranina A della mucosa gastrica è risultata migliorata con l’impiego
di forno a microonde utilizzando tampone citrato pH 6, ma un sensibile aumento dell’immunoreattività
è stato ottenuto con l’impiego di autoclave, con tampone EDTA pH10.
‐Anche l’immunoreattività per il BACE2, un enzima localizzato nelle isole di Langerhans del pancreas
di ratto, è migliorata molto con l’impiego dell’autoclave, con tampone EDTA pH10, dando luogo a
una reazione più intensa e pulita. Nel pancreas di topo e nel pancreas di uomo, invece, con autoclave
la reazione è risultata più aspecifica. In quest’ultimo caso, in particolare, l’espressione di BACE2
sembrava molto intensa e
specifica, ma poiché questo dato non trova riscontro né
nell’immunoistochimica in microscopia ottica, né nelle indagini di biologia molecolare, dobbiamo
21
concludere che si tratti di una falsa positività, dovuta allo smascheramento di siti antigenici aspecifici
(Solberg, 2005).
In conclusione lo smascheramento antigenico con il calore è una tecnica che può essere impiegata
anche in microscopia elettronica, poiché può notevolmente migliorare la sensibilità e la specificità
delle reazioni immunocitochimiche, ma a condizione di confrontare i risultati con quelli ottenuti con
altre metodiche di indagine, per evitare delle interpretazioni sbagliate.
Bibliografia.
Shi - J Histochem Cytochem 39;6:741-748,1991
Brorson – Micron 32:591-597,2001
Fossmark – APMIS 113:506-512,2005
Solberg – Micron 37:347-354,2006
Ruolo
della
microscopia
elettronica
in
un
caso
di
glomerulonefrite
a
depositi
strutturati,
ad
IgA
prevalente,
e
connettivite
indifferenziata.
A Tosoni°, S Caruso*, A Ferri°, A Genderini*, M Nebuloni°°, GL Vago°°, G Barbiano di Belgiojoso*.
Anatomia Patologica° e Nefrologia* Ospedale “L Sacco”; °°Dipartimento di Scienze Cliniche “L
Sacco” Università degli Studi di Milano.
Nell’ambito della diagnostica delle glomerulopatie l’esame ultrastrutturale è in grado di identificare e
specificare la distribuzione di depositi e anche di definirne lo stato di organizzazione strutturale. La
presenza di depositi organizzati o strutturati in fibrille o microtubuli è descritta sia per
immunocomplessi che per depositi non immuni (TAB1). La diagnosi differenziale delle
glomerulonefriti (GN) a depositi strutturati è in parte ancora materia di intenso dibattito. Essa si basa
principalmente sulla caratterizzazione morfologica ultrastrutturale e sulla tipizzazione istochimica ed
immunoistochimica, in associazione ai dati clinici.
In questa presentazione verrà discusso l’iter diagnostico di un caso di GN a depositi fibrillari (FGN) in
una donna di 45 anni con persistente proteinuria in range non nefrosico, ematuria, ed una storia clinica
di connettivite indifferenziata.
DATI CLINICI E DI LABORATORIO:
Diagnosi di connettivite indifferenziata effettuata nel Novembre 2007 con sintomatologia compatibile
già presente nel 2005. Nel 2008: proteinuria 280-300 mg/dì, ematuria (analisi del sedimento: 5 GR/
HPF), non ipertensione, titolo ANA 1:320, CRP 8,5 mg/dl, IgG 728 mg/dl, IgA 256 mg/dl, IgM 139
mg/dl, normocomplementemia, nessuna evidenza sierologica di paraproteinemia (componenti
immunoglobuline monoclonali, crioglobuline), funzione renale normale. Risultano inoltre negativi i
test sierologici per: HCV, HBV, ANCA, ENA. Ai fini di un approfondimento diagnostico la paziente
viene sottoposta a biopsia renale.
ESAME ISTOLOGICO ED IMMUNOISTOCHIMICO:
Istologia: l’esame delle sezioni colorate con EE PAS AFOG e colorazione argentica (Silver
Methenamine) mostra 3 su 20 glomeruli jalini e circa il 45% dei rimanenti con: lesioni segmentali di
tipo sclerotico, adesioni flocculocapsulari, semilune fibrose o fibrocellulari, ed alcune immagini di
necrosi focale-segmentale, talvolta in associazione a proliferazione delle cellule epiteliali. Si osserva
inoltre focale segmentale aumento moderato degli assi mesangiali. La colorazione argentica non
segnala particolari ispessimenti delle membrane dei capillari. La colorazione con rosso congo non
evidenzia depositi di amiloide.
22
Immunofluorescenza: si osservano diffusa positività per IgA e C3 mesangiale –granulalare- e
periferica -granulare e pseudo lineare-, quest’ultima particolarmente intensa. La deposizione di K
risulta meno marcata ma con stessa distribuzione di IgA. Si osserva inoltre: focale segmentale
positività per fibrinogeno e solo tracce di lambda, IgG ed IgM. C1q: negativo.
PRIMA DIAGNOSI:
Il quadro complessivo a questo punto delle indagini è suggestivo di una GN a depositi IgA con segni
focali di sclerosi e necrosi, importanti per una valutazione prognostica, e con una positività periferica
inusualmente marcata. Nell’ambito delle IgA nefropatie (IgAN), tipicamente con IgA mesangiali, la
presenza aggiuntiva di positività periferica è in genere inferiore a quella mesangiale. L’associazione di
IgAN con patologie sistemiche di tipo infiammatorio è stata descritta in vari casi, anche se mai in
pazienti con connettivite indifferenziata.
ANALISI ULTRASTRUTTURALE:
Si osservano numerosi depositi principalmente in sede mesangiale e sub-epiteliale e, più rari, in sede
sub-endoteliale. Tali depositi sono costituiti da materiale elettrondenso finemente granulare frammisto
a corte e rigide fibrille di circa 10-25 nm di diametro, non ramificate, a distribuzione prevalentemente
casuale ma occasionalmente appaiate. Le fibrille osservate si distinguono da amiloide per il diamentro
mediamente maggiore e per una maggiore elettrondensità.
DIAGNOSI DEFINITIVA E DISCUSSIONE:
L’identificazione di depositi fibrillari rimette in discussione l’inquadramento diagnostico di questo
caso. Depositi strutturati di tipo immune sono descritti sia in forme idiopatiche che secondarie
associate a paraproteinemie (TAB 2). Specifiche caratteristiche ultrastrutturali (presenza di un lume,
diametro, aggregazione, grado di definizione dei profili, elettrondensità) permettono una
classificazione morfologica dei depositi.
La dimostrazione ultrastrutturale di depositi organizzati in fibrille o microtubuli, previa
determinazione della natura immunoglobulinica su base istochimica ed immunoistochimica, pone
come diagnosi differenziale quella di una GN o glomerulopatia fibrillare/immunotattoide (FGN/ITG).
Vari autori hanno cercato di definire le caratteristiche distintive di queste entità, anche in relazione alla
struttura fibrillare (FGN) o tubulare (ITG) dei depositi (TAB 2). Tuttavia sono frequenti le eccezioni e
manca un accordo generale su quale sia la più opportuna distinzione morfologica utile ai fini
diagnostici.
Il caso riportato potrebbe essere definito come una FGN con una inusuale prevalenza di depositi IgA/
K, associata ad una patologia sistemica diversa da quelle già descritte in letteratura, e con
paraproteinemia non dimostrabile, comunque in un possibile contesto di oligoclonalità/monoclonalità
IgA/K, dimostrata in sede glomerulare.
TABELLA 1: depositi strutturati (Alpers et Al. Schwartz et al.)
Depositi strutturati non immuni:
Caratteristiche morfologiche
Componenti note
Patologie associate
Fibrille, diametro 8-15 nm, non ramificate, a
amiloide A (AA)
distribuzione random o a fasci sub-epiteliali
componete sierica,
(spikes), in istologia birifrangenti con rosso congo sostanza P
e tioflavina.
Fibrille elettronlucenti, periodicità evidenziata da collagene
colorazioni per collagene.
Fibrille, diametro circa 10-14 nm
fibronectina
Amiloidosi AA, secondaria
Fibrille mesangiali, diametro 5-20 nm, densità
moderata, distribuzione random.
Depositi strutturati di natura immune:
matrice
Diabete, altre condizioni associate a
sclerosi
Caratteristiche morfologiche dei depositi
Componenti note
Patologie associate
Tubuli, corti, curvilinei e appaiati, diametro circa Crioglobuline
20-30 nm, profili poco definiti, spesso subendoteliali ed in pseudotrombi. Segnalate varie
morfologie ed aggregazioni alternative.
Nail-patella sindrome (rara)
GN con depositi di fibronectina (rara)
GN associate a forme con
crioglubulinemia tipo II o I (infezioni
da HCV, leucemia linfocitaria cronica,
mieloma multiplo, altre)
23
Aggregati a profili poco definiti con immagini
immunoglobuline
tipo fingerprints.
–IgFibrille: diametro < 30 nm, orientamento random. Ig monoclonali o
Microtubuli: diametro 19-51 nm più
oligoclonali,
frequentemente > 30 nm, lunghe, orientamento complemento
focalmente a fasci paralleli.
LES
GN a depositi immunotattoidi
(microtubulari) o, meno
frequentemente, fibrillari associate a
discrasie plasmacellulari e
disproteinemie di tipo benigno o
neoplastico
Glomerulopatie immunotattoidi
idiopatiche fibrillari o microtubulari
Fibrille: diametro < 30 nm, orientamento random. Ig senza evidenze di
Microtubuli: diametro 19-51nm più
paraproteinemia,
frequentemente > 30 nm, lunghe, orientamento complemento
focalmene a fasci paralleli.
Fibrille di tipo amiloideo (vedi amiloide A).
catene leggere delle Ig Amiloidosi AL primaria od associata
(amiloide L), sostanza a mieloma
P
NB: spesso i depositi strutturati sono frammisti a depositi elettrondensi non strutturati.
TABELLA 2: caratteristiche distintive FGN/ITG (Alpers et al.)
FGN
ITG
Morfologia
fibrille
Microtubuli
Diametro
12-24 nm
In genere > 30nm
Arrangiamento
random
Random e a fasci paralleli
Componenti Ig
Usualmente policlonale, meno
frequente oligloclonale o
monoclonale IgG/K
Non comune
Monoclonali o policlonali
comunemente IgG/K
0,5 - 1%
10 volte inferiore a FGN
Associazione a disfunzioni
linfoplasmocitarie
Prevalenza
Frequente
NB: i casi con depositi tubulari con diametro < 30 nm sono rari e le loro caratteristiche distintive poco definite. Nella
nostra esperienza depositi strutturati tubulari di diametro circa 25 nm sono relativamente frequenti in pazienti con
glomerulopatia ad infezione da HCV-HIV.
BIBLIOGRAFIA:
Schwartz MM, J Am Soc Nephrol 2002; 13:1390-1397.
Kronz JD, Clin Nephrol 1998; 50(4):218-223.
Pronovost PH, Nephrol Dial Transplant 1996; 11:837-842.
Markowitz GS, J Am Soc Nephrol 1998; 9:2244-52.
Alpers CE, J Am Soc Nephrol 2008; 19:34-37.
Rosenstock JL, Kidney Int 2003; 63:1450-61.
Bridoux F, Kidney Int 2002; 62(5):1764-75.
Esparza AR, Am J of Surg Phatol 1991; 15(7):632-643.
Yang GC, Am J Pathol 1992; 141(2):409-19.
Barbiano di Belgiojoso G, J Nephrol 2002; 15(5):469-79.
Nefropatia
a
membrane
basali
sottili
o
sindrome
di
Alport:
casi
spesso
irrisolti.
24
Paola Preda
U.O. di Anatomia e Istologia Patologica, Settore di Patologia e Diagnostica Subcellulare
Azienda Ospedaliera S.Orsola-Malpighi, Bologna
La nefropatia
a
membrane
basali
sottili
è
una
nefropatia ereditaria
caratterizzata
clinicamente
da
ematuria
persistente
ed
asintomatica
senza
manifestazioni
extrarenali
e
patologicamente
da
un
diffuso
assottigliamento
delle
membrane
basali
glomerulari,
prevalentemente
a
carico
della
lamina
densa,
all’esame
ultrastrutturale.
La nefropatia a membrane basali sottili e la sindrome di Alport possono essere considerate malattie
genetiche coinvolgenti il network α3/ α4/ α5 del collagene IV. Mutazioni dei geni COL4A3-COL4A4COL4A5 possono portare alla perdita totale o parziale di questo network.
La diagnosi della nefropatia a membrane basali sottili è problematica in parte a causa dell’ampio range
di spessore delle membrane basali glomerulari nella popolazione normale (sesso, età, metodi di
preparazione e misurazione) e in parte per la mancanza di criteri diagnostici standardizzati per definire
il grado di estensione dell’assottigliamento. Inoltre le modificazioni delle membrane basali in corso di
Alport talora mimano una nefropatia a membrane basali sottili.
La diagnosi
differenziale
tra
sindrome
di
Alport
e
nefropatia
a
membrane
basali
sottili
a
causa
dell’eterogeneità
genetica,
clinica,
immunoistochimica
ed
ultrastrutturale
rimane
una
sfida
diagnostica:
una
corretta
diagnosi,
infatti,
è
fondamentale
in
considerazione
della diversa
prognosi
di
queste
due
condizioni.
Abbiamo
effettuato
una
revisione
delle
650
biopsie
renali
pervenute
al
nostro
servizio
dal
gennaio
2001
al
dicembre
2008
per
l’esame
al
microscopio
elettronico.
In
33
biopsie
si
evidenziava
un
assottigliamento
di
entità variabile
delle
membrane
basali
glomerulari.
Escludendo
le
nefropatie
a
depositi
di
IgA
che
frequentemente
sono
associate
a
membrane
sottili
(13
casi),
3
sporadici
casi
di
GN
membranosa,
in
corso
di
LES
e
di
lesioni
minime,
e
2
diagnosi
certe
di
sindrome
di
Alport,
15
casi
risultavano
compatibili
con
una nefropatia a
membrane
basali
sottili
genericamente
concluse
come
probabili
nefropatie
ereditarie.
In
nessuno
di
questi
ultimi
casi
è
stato
comunque
possibile
formulare
una diagnosi
sicura
sulla
base
dei
soli
dati
morfologici
ultrastrutturali
e
delle
scarse
notizie
cliniche
e
di
storia
familiare
in
possesso,
anche
se
la
microscopia
elettronica
è
considerata
indispensabile
per
la
diagnosi
di
tali
nefropatie.
La
diagnosi
di
nefropatia a
membrane
basali
sottili
non
è
sempre
agevole
e
deve
essere
posta
la
massima cura
per
distinguerla
dalla
sindrome
di
Alport,
in
particolare
nelle
fasi
precoci
di
tale
malattia o
in
soggetti
di
sesso
femminile
dove
la
riduzione
dello
spessore
delle
membrane
basali
può
essere
l’unico
dato
morfologico.
Una sicurezza
in
più
potrebbe
essere
data,
oltre
che
dall’analisi
genetica,
dallo
studio
immunoistochimico
delle
catene
alfa
del
collagene
IV,
che
dovrebbe
essere
sistematicamente
eseguito
in
tutti
i
casi
di
nefropatia
a
membrane
basali
sottili.
Questi
pazienti
sono
in
ogni
caso
da
seguire
nel
follow‐up
vista
la
possibilità
di
peggioramento
della
funzione
renale
nel
corso
degli
anni,
la possibile
evoluzione
in
sindrome
di
Alport,
la
possibile
insorgenza di
una
GN
immunologica
e,
non
ultima,
la
possibilità
di
trasmettere
la
forma
autosomica
recessiva
della
sindrome
di
Alport.
25
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