INDICE INTRODUZIONE Pag. 03 PARTE 1 - FISIOPATOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE E DIAGNOSTICA DELLA DISFAGIA Pag. 05 Fisiopatologia della Deglutizione e Classificazione della Disfagia Patrizia Formigoni Pag. 07 Inquadramento Diagnostico con Esami Strumentali Riccardo Dal Zotto Pag. 14 Inquadramento Diagnostico con Test Clinici Renata Azzali Pag. 16 Pag. 19 Pag. 21 I Disturbi della Deglutizione nelle Malattie Neurologiche Norina Marcello Pag. 24 La Disfagia in Ambito Gastroenterologico Giovanni Fornaciari Pag. 28 Aspetti Psicologici della Disfagia Franca Martinelli Pag. 30 Valutazione dello Stato Nutrizionale nel Paziente Disfagico Nino Carlo Battistini Pag. 34 PARTE 3 - APPROCCIO TERAPEUTICO-RIABILITATIVO Pag. 35 La Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale: Alimentazione per os Salvatore Vaccaro Pag. 37 La Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale: Supporto Nutrizionale Artificiale Pag. 61 Sicurezza Igienica dei Cibi a Consistenza Modificata Maurizio Rosi Pag. 63 La Disfagia Neurogena: l’Approccio Riabilitativo Valentina Stigliano Pag. 66 Riabilitazione Logopedia nel Paziente Disfagico Immacolata Fusaro Pag. 68 PARTE 2 - LA DISFAGIA IN VARI AMBITI SPECIALISTICI La Disfagia in Ambito Pediatrico e le difficoltà nutrizionali nei bambini con grave handicap neuro-psico-motorio Sergio Amarri William Giglioli La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 1 La Pianificazione Infermieristica al Paziente Adulto affetto da Alterazioni della Deglutizione Maura Rovatti Pag. 74 Riabilitazione Infermieristica : Pazienti Stomizzati Lina Casoni Pag. 82 Il Follow-up Nutrizionale nel Paziente Disfagico Angela Mazzocchi Pag. 86 Progetto Disfagia: dall’Ospedale al Territorio (e viceversa) Angela Miriam Campani, Licia Notari Pag. 88 L’Impegno del Servizio Dietetico Ospedaliero verso i Pazienti Disfaici: Alimentazione a Consistenza Modificata Pag. Salvatore Vaccaro 92 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 2 1 2 3 4 5 6 La disfagia non è una malattia, ma è un sintomo che si manifesta in numerosi stati patologici. Spazia infatti dall’ambito neurologico a quello gastroenterologico portando ad una vera e propria menomazione fisica e psicologica. Rappresenta un rilevante problema psicofisico per la compromissione delle funzioni fisiologiche e per il peggioramento della qualità della vita. Un disagio grande, sia per il paziente che per i loro familiari, che porta spesso a fenomeni depressivi legati al calo della dell’autostima e della autosufficienza. Frequentemente la disfagia è l’inizio di un percorso, che se non affrontato precocemente, può portare alla malnutrizione, costituendo così un’ulteriore aggravamento della malattia artefice della disfagia stessa. Non dobbiamo infatti dimenticare che la malnutrizione è una malattia nella malattia, capace di instaurare rilevanti complicanze. La così alta frequenza della disfagia porta a numerosi ricoveri ospedalieri provocando ulteriore disagio al paziente, ai suoi familiari ed alle risorse della sanità. Molteplici sono le discipline mediche interessate nella diagnosi e nella terapia della disfagia, coinvolgendo in tal modo un rilevante numero di figure professionali: infermieri, logopedisti, operatori sanitari di corsia, medici ospedalieri, psicologi, medici di famiglia, tecnici radiologi e tanti altri. Da non dimenticare infine la fondamentale preparazione da impartire ai familiari. Questo “campo comune“ ci ha stimolato a scegliere la disfagia come tema delle “Seconde Giornate Reggiane di Dietetica e Nutrizione Clinica“, affinché il contributo di vari esperti del settore possa aiutare ad affrontare meglio questa gravosa condizione patologica. Dott. William Giglioli Coordinatore Team Nutrizione Artificiale ASMN La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 3 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 4 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Parte 1 Fisiopatologia della Deglutizione e Diagnostica della Disfagia La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 5 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 6 FISIOPATOLOGIA DELLA DEGLUTIZIONE E CLASSIFICAZIONE DELLA DISFAGIA Patrizia Formigoni Servizio di Foniatria - U.O. O.R.L. - ASMN - Reggio Emilia La deglutizione è l’abilità di convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno allo stomaco. La deglutizione è un atto neuromuscolare complesso che si lega indissolubilmente alla funzione respiratoria e condiziona fortemente altre funzioni vitali (deglutizione, respirazione,fonazione, articolazione). La regolazione centrale di tale funzione avviene a livello bulbare, è controllata dai centri corticali e sottocoticali e dalla sensibilità proveniente dagli effettori periferici ed è sincrona con quella del centro del respiro. Per meglio comprendere questo complesso atto neuromuscolare si è soliti suddividere la deglutizione in 5 fasi che caratterizzano sia il livello che la diversa funzione dei tratti coinvolti. • Fase 0 – preparazione extraorale del cibo: comprende tutte quelle funzioni che coadiuvano la fase di preparazione orale (1) ed orale (2). Essa fa riferimento alle tecniche di manipolazione (selezione, cottura, frantumazione, associazione tra diverse consistenze) che rendono fruibili alimenti vari in diverse età e stati clinici e che a volte vicaria la stessa fase di preparazione orale attraverso la preparazione di cibi frullati od omogeneizzati. A questa fase compete inoltre la funzione di preparare tutte le strutture deglutitorie e digestive a svolgere al meglio la loro funzione attraverso gli input sensoriali di vista, olfatto che associati alla memoria modificano la secrezione salivare e gastrica ed il tono della muscolatura liscia e striata. Alla associazione vista-olfattomemoria è legata anche una funzione protettiva dalla introduzione di alimenti nocivi. Non trascurabile, specialmente nelle età estreme quando la funzione appetitiva del cibo può venire a mancare, è anche la funzione posturale che si realizza come avvicinamento all’alimento e preparazione all’accoglienza. • Fase 1 – buccale o di preparazione orale: l’alimento viene introdotto attraverso le labbra (primo sfintere) che con il loro sigillo hanno la funzione di evitare cadute extraorali, viene esplorato ed elaborato dalla lingua, viene trasportato nella regione retrocanina per la masticazione e viene trasformato in bolo. I momenti caratterizzanti questa fase sono la salivazione e la triturazione del cibo attraverso la masticazione. I pattern motori variano a seconda della consistenza, viscosità e temperatura del cibo e coinvolgono i seguenti gruppi muscolari: - chiusura dello sfintere labiale per contrazione dell’orbicolare - movimento laterale e rotatorio della mandibola per azione sinergica dei muscoli - elevatori della mandibola (temporale, massetere e pterigoidei) in sincronia con gli antagonisti (sovra e sottoioidei) La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 7 - movimenti laterali e rotatori della lingua anteriorizzazione del palato molle ad opera del m. palatoglosso con riduzione della cavità orofaringea e riduzione del rischio di caduta di parti di alimento in faringe (caduta predeglutitoria) La lingua rappresenta indubbiamente l’elemento chiave di tutta la fase buccale sia nel fine controllo dell’alimento durante i ripetuti cicli masticatori che nella detersione del cavo orale dai detriti residui che nella veicolazione del bolo. La lingua circonda il bolo creando un solco centrale e rialzando i bordi e lo tiene nella parte centrale-anteriore del palato pronta ad iniziare la fase successiva. • Fase 2 - orale : il bolo preparato viene sospinto dalla lingua verso l’istmo delle fauci con un movimento di schiacciamento antero-posteriore della lingua contro il palato duro e sollevamento dei bordi linguali sulla faccia orale dell’arcata dentale superiore. Lo sfintere labiale rimane chiuso ed aumenta il tono della muscolatura buccale per evitare cadute di cibo nei solchi laterali. Quando il bolo raggiunge l’istmo delle fauci si elicita il riflesso della deglutizione e si conclude il controllo volontario del processo deglutitorio. • Fase 3 – faringea : è la fase più complessa e critica della deglutizione, inizia quando il bolo supera lo sfintere palatoglosso e si conclude, dopo circa un secondo, con il superamento dello sfintere crico-faringeo o esofageo superiore. L’elicitazione del riflesso della deglutizione determina una sequenza di funzioni motorie coordinate che si susseguono a cascata e consentono la progressione del bolo verso l’esofago. - apertura dello sfintere palatoglosso con passaggio del bolo in faringe - chiusura dello sfintere velo faringeo per evitare la fuga di cibo in rinofaringe - inizio della peristalsi faringea con contrazione dei costrittori faringei superiore e medio e “spremitura” del bolo verso il basso - elevazione dello ioide e della laringe con chiusura dello sfintere laringeo costituito da ribaltamento dell’epiglottide ed adduzione delle corde vocali vere e false - apertura dello sfintere crico-faringeo Se non viene elicitato il riflesso della deglutizione non vengono innescate le sequenze motorie decritte. La lingua può comunque sospingere il bolo in faringe ma esso si arresterà a livello delle vallecule glosso-epiglottiche con forte rischio di penetrazione nelle vie aeree. La fase faringea è il momento più crirtico e più indagato dell’intero ciclo deglutitorio perché è durante questa fase che si possono verificare inalazione di alimento nella via aerea con gravi conseguenze sulle funzioni vitali del soggetto. • Fase 4 – esofagea : è caratterizzata dalla formazione di onde peristaltiche della muscolatura liscia dell’esofago che si innescano con direzione cranio-caudale dopo l’apertura dello sfintere crico-faringeo (esofageo superiore) e trasportano il bolo fino allo sfintere esofageo inferiore in un tempo variabile tra 8 e 20 secondi. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 8 • Fase 5 – gastrica : il superamento dello sfintere faringeo inferiore trasporta il bolo all’interno dello stomaco dove subisce una ulteriore trasformazione mediata dalla secrezione gastrica e dall’azione della muscolatura liscia che esercita contrazioni coordinate mantenendo la contrazione tonica degli sfinteri pilorico ed esofageo inferiore. Alterazione di tono sfinteriale possono generare fenomeni di reflusso gastro-esofageo con non rare patologie flogistiche delle vie aere superiori, spasmi glottici o aspirazioni. La deglutizione si diversifica, specie nella sua fase orale, a seconda dell’età in: • deglutizione adulta : è la fenomenologia deglutitoria a cui ci si riferisce di norma quando si parla di fisiopatologia della deglutizione. Alla deglutizione dell’adulto si riferiscono pertano le sequenze, le tempistiche e le problematiche appena descritte. • deglutizione neonatale ed infantile o pedofagia: la deglutizione infantile presenta caratteristiche peculiari indotte dalle modificazioni anatomiche e fisiologiche che si verificano durante la crescita. Già intorno alla 11° settimana di età gestazionale, dopo la formazione del palato e la fusione del setto nasale e dei processi palatini, compaiono i primi atti deglutitori che diventano vera suzione solo intorno alla 1824° settimana parallelamente alla formazione del surfactant respiratorio. La suzione progressivamente si consolida e si coordina con la deglutizione tanto che il feto deglutisce quotidianamente circa la metà del liquido amniotico in cui è contenuto, ma solo intorno alla 32-34° settimana la suzione diventa funzionale all’allattamento al seno. Nel periodo fetale la circolazione placentare e l’assenza di respirazione polmonare non necessitano della coordinazione tra deglutizione e respirazione che sarà invece il punto focale della deglutizione successiva. Nei primi sei mesi di vita l’alimentazione avviene esclusivamente per suzione di latte dal seno materno o dalla tettarella del biberon. In tale periodo la suzione (suckling) avviene per spremitura delle arcate edentule sul capezzolo con movimenti linguali antero-posteriori, relativa ipotonia della muscolatura labiale e facciale, complesso iodo-laringeo fisso in posizione elevata favorito dalla posizione anatomica alta della laringe (C2). Alla nascita inizia il compito di coordinamento tra suzione, deglutizione e respirazione: la deglutizione sembra essere la funzione primaria in rapporto 1/1 con la suzione e con la respirazione ma mentre il coordinamento tra suzione e deglutizione, ampiamente sperimentato nel periodo fetale, si realizza costantemente, talvolta la coordinazione tra quest’ultima e la respirazione necessita di un breve periodo di rodaggio a scapito della buona respirazione. Caratteristica significativa della deglutizione neonatale è la presenza di riflessi orali quali il morso fasico, la protrusione e rotazione linguale, la rotazione del capo, che andranno in proscrizione dopo i 6-12 mesi. La presenza di riflessi orali è talvolta di grande aiuto nella riabilitazione deglutitoria neonatale quando si verficano difficoltà di accoglienza orale o di elaborazione orale di alimento. Al La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 9 contrario l’eccessivo protrarsi della loro presenza induce la necessità riabilitativa della loro soppressione. Dopo i sei mesi il pattern di suzione si modifica in relazione ai cambiamenti anatomici che intercorro in tale periodo. La muscolatura labiale si irrobustisce e viene utilizzata a ventosa intorno alla tettarella, si riducono i movimenti mandibolari e la lingua, più libera in una cavità più grande, si muove in senso supero-inferiore creando una pressione negativa all’interno del cavo orale (sucking) sostenuta dalla mobilità del complesso ioido-laringeo e dall’abbassamento della laringe che segue la posizione eretta. Intorno ai sei mesi iniziano dentizione e lallazione e l’alimentazione a cucchiaio con incremento delle consistenze dei preparati. La fine della alimentazione con tettarella o al seno si colloca intorno all’anno e tra i 3 e i 6 anni la masticazione raggiunge la completa maturazione. Entro i 6 anni la fase buccale, orale e la spinta linguale dovrebbero assumere le caratteristiche dell’adulto con enormi variabili interpersonali e rilevamenti di deglutizione infantile anche nella popolazione adulta. • deglutizione senile o presbifagia: a differenza della età evolutiva, la deglutizione nell’anziano non subisce sostanziali variazioni fenomenologiche. Tuttavia i dati epidemiologici affermano una forte prevalenza di diversi gradi di disfagia nella popolazione anziana sostenuti probabilmente dalla minore efficienza neuromotoria e muscolare con allungamento delle fasi critiche della deglutizione. La fase orale aumenta mediamente del 50% e diminuiscono gli atti deglutitori a causa di un aumento del tempo di elevazione ioidea durante la fase faringea con indebolimento nell’accoppiamento tra le due fasi e stasi di alimento nelle vallecule glossoepiglottiche. E’ inoltre noto il fisiologico declino delle funzioni olfattiva e gustativa che investe la fase di preparazione extraorale e la riduzione della efficacia masticatoria per modificazione della struttura dentale che induce il soggetto anziano a preferire consistenze sempre meno solide. Patologie della deglutizione Le patologie della deglutizione sono molto numerose ed una classificazione esaustiva è piuttosto complessa. La classificazione può essere condotta con criteri diversi (Piemonte ’99): • eziologico (eziologia infettiva, iatrogena, metabolica, malformativa, degenerativa, neoplastica, vascolare, traumatica, ecc.); • patogenetico (disfagia meccanica, motorie-neurogene, miogene-funzionali, respiratorie); • fisiopatologico (deficit della fase di preparazione extraorale, della fase buccale, della fase orale, della fase faringea o gastrica); • topografico (lesione del I motoneurone, del II motoneurone, compromissione dell’innervazione sensoriale, lesione dell’effettore muscolare). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 10 Ognuna di queste classificazioni è funzionale ad operatori sanitari diversi e nessuna è esaustiva di tutte le sfaccettature della patologia disfagia. La classificazione che verrà di seguito proposta ha l’obiettivo di descrivere un quadro nosografico che consenta di indicare le alterazioni anatomiche e fisiologiche da compensare attraverso un percorso riabilitativo e le ripercussioni di tali alterazioni sulle funzioni primarie e sulla quotidianità. Nosografia dei disturbi delle funzioni della deglutizione (da A.Schindler ’01, modificata): Fase di preparazione extraorale Iperprotezione buccale Inadeguatezze socio-culturali Fase buccale Ridotto range di movimento linguale laterale e verticale Ridotta tensione buccale/reazione cicatriziale Ridotto range di movimento mandibolare laterale Cattivo allineamento mascella/mandibola Ridotta chiusura labiale Ridotto coordinazione linguale per formazione, trattenimento e posizionamento di bolo Ridotta sensibilità orale Fase orale Aprassia della deglutizione Deglutizione infantile con spinta linguale semplice o complessa Ridotta elevazione linguale Ridotto o alterato movimento linguale antero-posteriore Ridotta aderenza linguo-palatale Fase faringea Ritardato innesco o assenza del riflesso della deglutizione Insufficiente chiusura dello sfintere velo-faringeo Ridotta peristalsi faringea Paralisi faringea unilaterale Osteofiti cervicali Reazioni cicatriziali di base lingua e parete del faringe Disfunzione crico-faringea Ridotta elevazione laringea Ridotta chiusura glottica Fase esofagea Ridotta peristalsi esofagea Diverticolo Ostruzione parziale/totale dell’esofago Fistola esofago-cutanea o esofago-tracheale Fase gastrica Reflusso gastroesofageo Vomito La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 11 In età evolutiva il quadro più comune di disturbo della deglutizione è quello della deglutizione atipica o persistenza di deglutizione infantile che si esplica con spinta linguale anteriore e posizionamento dell’apice tra gli incisivi, scialorrea, beanza del sigillo labiale, malocclusione dentale, palato ogivale, respirazione orale e frequente presenza di dislalie per i fonemi fricativi ed affricati. Tali quadri sono spesso generati da cattive abitudini alimentari (cibi “facili” a masticazione ridotta) e da abitudini orali viziate (suzione protratta di ciucci o biberon, di dito o lingua, onicofagia, mordicchiamento). Ogni condizione oligofrenica, genetica o di “ritardo mentale “ si accompagna a deglutizione atipica così come si riscontrano disturbi vari della deglutizione nelle PCI e nelle malformazioni congenite del cavo orale (schisi palatine) o nei gravi prematuri. In età adulta e senile sono le cause vascolari o neurologiche a prevalere nella eziologia della disfagia con grande variabilità sintomatologia e di esito funzionale. Un altro importante capitolo che prevale in queste fasce di età è la disfagia con stati di incoscienza o di coscienza alterata quale quella che si verifica negli stati di coma, nello stroke, nei traumi cranici e nelle sindromi demenziali. Una ulteriore complicazione è la presenza di canula tracheostomica associata alla disfagia e alla bassa responsività. E’ importante ricordare che la canula tracheale non protegge completamente la via aerea da eventuali inalazioni e che la cuffiatura, quando presente, può determinare decubiti tracheali e riduzione della reflessologia zonale. Tutta la chirurgia demolitiva del tratto cervico-facciale investe a diverso titolo la deglutizione. Gli interventi demolitivi sul cavo orale sono ad alto rischio di disfagia quando coinvolgono lingua, mandibola, pavimento orale e palato, meno se localizzati su guance e labbra. Sempre è presente disfagia quando gli interventi demolitivi riguardano base lingua, faringe e laringe con forte rischio inalatorio e contemporanea compromissione della vocalità e della articolazione del linguaggio. Ugualmente è possibile che si verifichino disturbi deglutitori quando la patologia oncologica del distretto cervico facciale viene sottoposto a terapia radiante come unica soluzione terapeutica o come completamento della terapia chirurgica. Valutazione clinica e strumentale La valutazione clinica del paziente disfagico (Bedside Swallowing Evaluation - BSE) è il primo livello di valutazione che consente un orientamento sullo stato generale del paziente sulla eventuale presenza di deficit motori o sensitivi a carico degli effettori della deglutizione e sul grado di protezione delle vie respiratorie durante l’atto deglutitorio (innalzamento laringeo, tosse protettiva). Questo grado di valutazione compete a tutti gli operatori sanitari che hanno in cura il paziente e permette loro di attivare, in caso di riscontro positivo, operatori esperti che promuoveranno i livelli successivi di valutazione. Il secondo livello prevede la somministrazione di boli di diverso volume e consistenza per valutare la eventuale comparsa di tosse, raschio o “gorgoglio” vocale. Solo dopo questa valutazione specifica si procederà, se necessario ad un approfondimento diagnostico di tipo strumentale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 12 Le indagini strumentali più usate nello studio della deglutizione sono quelle che ci consentono una visione dinamica del processo. In particolare l’esame che più si avvicina al gold standard è la videofluoroscopia (VFS) che offre una visione completa dell’intero atto deglutitorio anche se non sono comunque azzerati i rischi di falsi negativi. Spesso pertanto tale indagine viene affiancata dalla indagine endoscopica (Fiberoptic Endoscopic Evaluation of Swallowing - FEES) che offre indubbi vantaggi di ripetibilità, bassa invasività, facile esecuzione anche su pazienti non collaboranti, studio e gestione dei ristagni a fronte dello svantaggio di potere studiare la sola fase faringea. Gli esami strumentali, oltre a valutare l’integrità anatomica degli organi e la competenza motoria e sensitiva, consentono di visualizzare il transito del bolo e di documentarne la eventuale penetrazione (bolo sopra le corde vocali) o inalazione (bolo sotto le corde vocali) anche e soprattutto nei casi in cui l’inalazione non induce accessi di tosse (silente) o non si verifica contestualmente all’atto deglutitorio ( inalazione pre- o postdeglutitoria). Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. Farneti D., Valutazione Videoendoscopica, in Deglutologia, Ed. Omega, Torino,2001 Logemann J.A. , Evaluation and tratment of swallowing disorder, PRO_ED, Austin, Texas, 1983 Piemonte M. , Fisiopatologia della deglutizione, XIV Giornate di Otoneurologia, Milano 1997 Ruoppolo G et all.., La presbifagia e la pedofagia: dalla normalità alla devianza alla patologia, Acta Phoniatrica Latina, Vol.9,fasc.3-4, 2007 Schindler A . , Catalogo nosologico dei disturbi della deglutizione, in Deglutologia, Ed. Omega, Torino 2001 Schindler O., Schindler A., La disfagia un quadro multidisciplinare, suppl. Occhio Clinico, Utet Periodici, Milano 2001. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 13 INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CON ESAMI STRUMENTALI Riccardo Dal Zotto U.O. Radiologia - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia Deglutizione e disfagia Dopo che il bolo alimentare è stato masticato e rimescolato con la saliva, viene rapidamente spostato dalla bocca allo stomaco attraverso la faringe e l’esofago; il bolo alimentare si muove per effetto delle contrazioni dei muscoli scheletrici e lisci che si verificano in senso oro-caudale, integrati e controllati dal sistema nervoso. Il bolo alimentare viene spostato dalla bocca all’esofago attraverso la faringe in circa 1 secondo: • il dorso della lingua viene spinto verso il palato duro portando il bolo solido o liquido verso la parte posteriore della lingua; • il bolo viene forzato attraverso la faringe per contrazione dei muscoli scheletrici della gola; • il palato molle si solleva e chiude le vie nasali, la laringe si innalza, le corde vocali si avvicinano, l’epiglottide viene spinta verso la glottide, impedendo il passaggio del bolo nelle vie respiratorie inferiori; • dopo che il bolo è entrato nell’esofago, lo sfintere esofageo superiore si chiude, la glottide si apre, il palato molle si abbassa e la respirazione riprende. Disfagia è la difficoltà di deglutizione, quando non è dovuta a cause oro-faringee è un segno soggettivo di alterazioni esofagee, può essere limitata ai cibi solidi o anche ai liquidi, può essere dovuta a fenomeni funzionali di spasmo o a riduzione del lume per cause intrinseche o estrinseche, può essere continua o intermittente; la disfagia dolorosa è detta odinofagia. La disfagia di origine funzionale ha insorgenza improvvisa, è spesso scatenata da alimenti particolari, si manifesta a crisi che si risolvono spontaneamente, è sempre dolorosa. La disfagia da cause organiche generalmente inizia in modo lento e insidioso, interessa dapprima i solidi e successivamente anche i liquidi, è costante e progressivamente sempre più grave, può non essere dolorosa almeno nelle fasi iniziali. Diagnostica radiologica strumentale per lo studio della disfagia Poiché la deglutizione avviene in tre tempi successivi (fase orale, fase faringea e fase esofagea) lesioni neuro-muscolari e lesioni organiche intrinseche o estrinseche del cavo orale, della faringe e dell’esofago possono essere causa di disfagia. A nostra disposizione abbiamo varie metodiche per lo studio di questi distretti, da esami radiologici semplici quali la radiografia standard del rachide cervicale e del torace, ad esami più complessi come la tomografia assiale computerizzata, tuttavia esami specifici per lo studio del primo tratto del canale alimentare rimangono l’esame contrastografico dell’esofago La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 14 e dello stomaco, che consentono di evidenziare alterazioni anatomo-funzionali di questi visceri, e lo studio videodinamico delle fasi orale e faringea della deglutizione. Studio radiologico videodinamico della deglutizione Questa metodica consente di visualizzare la fase orale e faringea, fornisce utili elementi dell’entità e dei disordini della deglutizione e permette di programmare e monitorare una terapia rieducativa appropriata. L’esame consiste in un’osservazione preliminare della regione oro-faringea, senza mezzo di contrasto, a paziente seduto, generalmente in posizione laterale, sia a riposo sia in fase dinamica (fonazione e deglutizione), successivamente, sempre a paziente seduto in posizione laterale, si somministrano piccoli boli di contrasto radio-opaco, generalmente organoiodato idrosolubile, per valutare la funzionalità della lingua, del palato molle, dell’epiglottide, della faringe e l’apertura dello sfintere esofageo superiore; si può eseguire lo studio della deglutizione con bolo opaco anche in posizione frontale (antero-posteriore) per valutare il pavimento della lingua, le vallecule glosso-epiglottiche ed i seni piriformi. Lo studio radiologico videodinamico della deglutizione consente di valutare alterazioni del trattamento del bolo nel cavo orale, la perdita del bolo dal cavo orale, per incontinenza dell’istmo palato-linguale, eventuali rigurgiti nasali, ritenzione del bolo nella faringe, per inadeguata propulsione della contrazione faringea, aspirazione del bolo nelle vie aeree, per ritardo o deficit della laringe e/o alterata motilità dell’epiglottide, ed alterazioni della motilità dello sfintere esofageo superiore. Le informazioni, che si possono ottenere dallo studio radiologico videodinamico della deglutizione, consentono scelte terapeutiche e di rieducazione all’alimentazione per via orale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 15 INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CON TEST CLINICI Renata Azzali Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La disfagia è un sintomo comune nel soggetto con stroke che consiste nell’incapacità di far progredire alimenti solidi e liquidi dalla bocca allo stomaco. L’incidenza della disfagia nello stroke acuto si rileva nel 13-71% dei pazienti e si riduce al 50% entro la prima settimana. In generale uno stroke che causa lesione dell’emisfero sinistro può determinare aprassia della deglutizione con compromissione della fase orale, mentre una lesione dell’emisfero destro può determinare riduzione del transito orale, rallentamento e incoordinazione della fase faringea e una ridotta elevazione laringea. Numerose sono le complicanze a cui possono andare incontro i pazienti con disfagia: l’aspirazione di cibo o saliva che può causare infezioni polmonari, disidratazione e malnutrizione. Come conseguenza questi pazienti hanno un incremento della durata della degenza e una più elevata mortalità. Queste considerazioni indicano l’importanza di effettuare una attenta valutazione clinica della disfagia; e in questa tipologia di pazienti è problematica anche la somministrazione dei farmaci. Nel nostro ospedale è da più di un anno che si fa formazione sulla gestione del paziente con stroke; uno degli obiettivi è di attuare in modo sistematico la valutazione della disfagia. In questi ultimi anni la pulsiossimetria è utilizzata frequentemente nei pazienti con stroke al fine di monitorare una eventuale desaturazione che può essere correlata a inalazione. Tuttavia è da considerare che altri fattori possono determinare desaturazione come la tosse riflessa, le apnee, il cambio di postura, per cui l’ossimetria dovrebbe essere considerata strumento utile se integrata con altre valutazioni cliniche e strumentali. Il test di screening per valutare i disturbi della deglutizione BSA (Bedside Swallowing Assessment), detto anche Test dell’Acqua viene somministrato entro 24 ore dal ricovero da infermieri adeguatamente formati. Il paziente deve essere vigile, sveglio da almeno 15 min., mantenere la posizione seduta e avere il controllo del capo. Si osserva se il paziente presenta tosse volontaria, se parla, la qualità della voce, se ci sono deglutizioni spontanee, se c’è presenza di scialorrea. Per quanto riguarda le prassie bucco-linguo-facciali, è opportuno considerare la protrusione della lingua, quindi, dare al paziente un cucchiaio (5 ml) di acqua e considerare la presenza di tosse (o segni di soffocamento), se la voce diventa gorgogliante e se ci sono difficoltà respiratorie. I 5 ml. di acqua vanno somministrati per tre volte; se non si evidenziano problemi, somministrare al paziente 50 ml. di acqua con il bicchiere. Si possono effettuare prove di deglutizione con sostanze prive di rischio di inalazione a consistenza semisolida, come l’acqua gelificata, valutando l‘efficacia dei riflessi di protezione delle vie aeree (tosse volontaria, difficoltosa o assente). Se supera il test di screening, il paziente può assumere una dieta morbida che va monitorata per due pasti; se non supera il test di screening, il test va ripetuto ogni 12 ore per due giorni. Nel contempo l’igiene orale va fatta almeno due La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 16 volte al giorno con lo scopo di mantenere una pulizia ottimale, prevenire infezioni, favorire la deglutizione della saliva e stimolare la sensibilità orale. Se dopo due giorni il paziente non supera il test, si possono rieffettuare prove di deglutizione con sostanze prive di rischio di inalazione a consistenza semisolida. Se persiste il pericolo di inalazione, il pazienta ha una disfagia ad alto rischio e non deve perciò assumere nulla per os. L’equipe allora decide di nutrire artificialmente il paziente. Viene quindi richiesta una visita del fisiatra per attivare una consulenza della logopedista, al fine di effettuare un esame funzionale più dettagliato e iniziare le stimolazioni sensoriali. Se la sintomatologia persiste, entro una settimana verrà attivato il foniatra per una valutazione clinica strumentale più approfondita. Concludendo, si può affermare che la diagnosi e la riabilitazione del paziente con disfagia post-stroke richiede un intervento multiprofessionale (foniatra, otorinolaringoiatra, radiologo, neurologo, infermiere, psicologo, fisioterapista, logopedista e dietista), al fine di definire il più precisamente possibile la disfagia, e poter conseguentemente mettere in atto le migliori strategie riabilitative e gli eventuali rimedi. Va considerato che il nostro oggetto di valutazione non è la disfagia in quanto tale, ma è una persona che ha difficoltà di deglutizione; prima di ogni fare è importante stabilire una relazione con la persona creando un ambiente sereno e rassicurante, cioè creando un’Alleanza Terapeutica. Il counseling ai familiari (o ai caregivers) è di fondamentale importanza, in quanto essi, adeguatamente addestrati, sono una risorsa, e il loro ruolo va sempre riconosciuto. Dati i tempi che servono per alimentare per os un paziente disfagico, i familiari (o i caregivers) sono indispensabili. Infine non bisogna dimenticare la necessità di implementare un follow up nei pazienti con PEG per una possibile eventuale ripresa dell’alimentazione orale anche a distanza dall’evento ictale. Bibliografia • • • • • • • American Speech Language Hearing Association (ASHA). Medical Review Guidelines for Dysphagia Services. 2004. Modena Luciana (et all.), “Evidenced Based Speech Therapy. La presa in carico del Paziente con Disfagia neurologica post-Stroke in fase di ospedalizzazione”, Centro Studi EBN, 2007. Logemann, Jeri A., Evaluation and Treatment of Swallowing Disorders (2a ed.), Austin (Texas), PRO-ED, 1998. Reverberi Cristina, Lombardi Francesco (a cura di), Tracheostomia e disfagia nel grave cerebroleso. Scegliere, valutare e riabilitare, Tirrenia (PI), Edizione del Cerro, 2007. Schindler O., Ruoppolo G., Schindler A., Deglutologia, Torino, Ed. Omega, 2001. Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN). Management of patients with stroke, Identification and management of dysphagia. 2004. Available from url: http//:www.sign.ac.uk Travalca Cupillo B., Sukkar S., Spadola Bisetti M., Disfagia.eat Quando la deglutizione divnta difficile, Torino, Ed. Omega, 2001. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 17 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 18 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Parte 2 La Disfagia nei vari Ambiti Specialistici La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 19 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 20 LA DISFAGIA IN AMBITO PEDIATRICO E LE DIFFCIOLTÀ NUTRIZIONALI NEI BAMBINI CON GRAVE HANDICAP NEURO-PSICO-MOTORIO Sergio Amarri U.O. Pediatria - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia Negli ultimi anni è stata posta una maggiore attenzione nel ricercare le cause e nel curare la malnutrizione dei bambini con handicap neurologico. Spesso questi bambini, a causa della difficoltà ad assumere sufficienti quantità di cibi liquidi e solidi, sono nutriti attraverso sonde con un’alimentazione enterale. Il sondino naso-gastrico è impiegato spesso per nutrire questi bambini, ma si tratta di una pratica non priva d'importanti rischi e che può contribuire all’insorgenza di reflussi gastro-esofagei, vomiti e frequenti polmoniti. L’avvento della gastrostomia per via endoscopica (PEG) e l’impiego di sonde gastroduodenali ha aperto la strada ad una gestione più agevole e sicura per questi bambini. La malnutrizione è un problema frequente nei bambini con grave paralisi cerebrale, che spesso hanno problemi di masticazione e deglutizione, e che presentano spettanze di vita sempre maggiori (anche > 30 anni) e con una percentuale di decessi per anno ≤ 5%. Nel passato la maggioranza di questi bambini viveva in istituti, mentre attualmente la tendenza è a riportarli in comunità, pertanto un approccio sistematico alla nutrizione diventa ancora più sentito e importante. La malnutrizione non permette di raggiungere lunghezza e peso normali, inoltre è dimostrato un ulteriore peggioramento dello sviluppo neurologico. I bambini malnutriti tendono a manifestare avversione verso i pasti e ad essere molto agitati, situazioni che i genitori vedono scomparire quando lo stesso bambino raggiunge un adeguato stato di nutrizione. La famiglia inoltre può dedicare a quel punto più tempo ad altre attività educative e di gioco. Per questi motivi è raccomandabile un’attenta valutazione dello stato nutrizionale di questi bambini, con un pronto impiego della nutrizione enterale nel caso in cui i fabbisogni non siano soddisfatti dalla dieta per os. Esiste consenso nella comunità medica internazionale per affermare che è inaccettabile non trattare la malnutrizione secondaria in soggetti con handicap neurologico. L’impiego di PEG ha cambiato radicalmente l’approccio della nutrizione con sonde enterali ed è raccomandata da tutte le linee guida (Società Italiana di Nutrizione Enterale e Parenterale e American Society of Parenteral and Enteral Nurtiton), nei bambini che richiedano nutrizione enterale per periodi > 6-8 settimane. Questo tipo di trattamento è particolarmente raccomandato nei disturbi NC stabili, mentre nelle patologie a rapida progressione andrà valutata caso per caso l’indicazione. Esistono scarse informazioni sui fabbisogni nutrizionali dei soggetti con patologia neurologica cronica. Dai dati esistenti emerge che gli adolescenti con paralisi cerebrale hanno spese energetiche inferiori agli adolescenti sani, con un consumo oscillante tra 2900 e 4600 kJ/die. La raccomandazione è quindi quella di non utilizzare ampi apporti calorici, soprattutto nei pazienti che non deambulano, pena la comparsa d'obesità. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 21 L'usuale valutazione nutrizionale con percentili per peso e altezza può essere non facilmente applicabile nei bambini con neuropatie croniche che alterano la postura corporea. Sebbene siano stati fatti tentativi per utilizzare misure corporee scelte, come la misurazione di segmenti d'arti, esiste consenso sull’impiego delle pliche cutanee come migliore forma di valutazione nutrizionale. Il consiglio è di far riferimento ai valori normali di pieghe tricipitali, una corretta nutrizione deve portare i valori plicali all’interno del range di normalità. Gli esami bioumorali non forniscono grande aiuto, se si esclude il controllo dell'emoglobina e della sideremia. La valutazione della capacità di nutrirsi dovrebbe esaminare diversi fattori; vanno studiati il modo con cui il bambino si nutre, il succhiamento, l’uso del cucchiaio, il movimento delle labbra, etc., che andranno valutate con l’ausilio di logopediste e fisioterapiste. Molto importante è il tempo impiegato a nutrire il bambino, infatti, i disturbi più gravi possono portare la famiglia a spendere anche il 50% del tempo passato sveglio per assumere quantità non sempre sufficienti di cibo. L’anamnesi positiva per polmoniti da aspirazione è un dato che aumenta l’indicazione all’alimentazione enterale con sonda. Inoltre è fondamentale quantificare la frequenza, l’entità di eventuali vomiti e di segni di malattia da reflusso gastro-esofageo. Sebbene un’attenta anamnesi possa fornire utili informazioni, per quest’ultimo sospetto si deve ricorrere frequentemente ad indagini diagnostiche, come la pHmetria esofagea di lunga durata e l’esofagogastrocopia con biopsie per analisi istologiche. La PEG è utilizzata a partire dai primi anni 80 ed il suo impiego è in costante aumento. L’impiego della tecnica endoscopica è meno invasivo della procedura chirurgica, che può così essere evitata, somministrando anche necessarie terapie antiacide (H2 antagonisti o inibitori della pompa protonica) per eventuale malattia da reflusso gastro-esofageo. Il posizionamento di PEG è controindicato quando l’accostamento tra parete gastrica ed addominale può presentare problemi, come ad esempio precedenti interventi chirurgici addominali, epatomegalia, ascite. Controindicazioni relative sono invece l’aspettativa di vita molto breve, deficit di coagulazione e rischi generali anestesiologici. In talune situazioni di vomito incoercibile con rischio d'inalazione, può essere indicato introdurre attraverso la PEG un sondino digiunale per somministrare gli alimenti distalmente al piloro; sono disponibili appositi kit che permettono sia l’alimentazione digiunale sia la decompressione gastrica. La PEG può presentare delle complicanze, anche gravi e soprattutto nei pazienti in condizioni generali scadute. Vi sono delle complicanze correlate alla metodica: formazione di un ascesso della parete addominale nel sito d'introduzione della sonda, pneumoperitoneo, perforazione (del colon), sanguinamento gastrico. L’attenta gestione della stomia da parte di personale infermieristico specializzato consente di avere bassa incidenza di complicanze dopo l’inserzione della PEG. L’indicazione deve essere discussa all’interno di un team nutrizionale multidisciplinare, solitamente composto da un medico pediatra con esperienza in nutrizione e gastroenterologia, un dietista, un’infermiera professionale esperta nella gestione di stomie. Altre figure mediche solitamente coinvolte possono essere il radiologo e il chirurgo pediatra, oltre alla consulenza di un farmacista per la scelta della formula entrale da infondere. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 22 Le formule da privilegiare sono solitamente quelle con un alto rapporto nutrienti/energia, tipicamente utilizzate per la nutrizione sotto i sei anni di età. In caso d'intolleranze verso le proteine del latte vaccino andranno utilizzate formule anallergiche. Anche quando esista l’indicazione a iniziare la nutrizione entrale è da incoraggiare la somministrazione di cibi semisolidi, come puree o gelati per stimolare le attività motorie orali. Nei soggetti con disturbi di minore entità la nutrizione con sonde può essere solo parziale, ed il tentativo di reintroduzione di dieta orale è sempre possibile. Bibliografia • • • • • ASPEN guidelines for the use of parenteral and enteral nutrition in adult and pediatric patients. JPEN 2002; 26 (S1): 1-138 Trier E, Thomas AG. Feeding the disabled child. Nutrition 1998; 14: 801-5 Thomas AG, Akobeng AK. Technical aspects of feeding the disabled child. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2000; 3: 221-5. Eltumi M, Sullivan PB. Nutritional management of the disabled child: the role of percutaneous endoscopic gastrostomy. Baillieres Cin gastroenetrol 1997; 11: 529-46. Ekvall SW, Ekwall V. Pediatric nutrition in chronic diseases and developmental disorders. Oxford Univesrity Press 2nd editon 2005. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 23 I DISTURBI DELLA DEGLUTIZIONE NELLE MALATTIE NEUROLOGICHE Norina Marcello S.C. Neurologia - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia Nei cenni anatomici che riguardano la deglutizione è necessaria una visione, sia pure sommaria, dei territori d’innervazione del IX e X nervi cranici. L’innervazione sensorimotoria di palato, lingua e faringe è a carico del IX nervo cranico. Gli assoni motori innervano i muscoli stilo-mastoideo e il costrittore medio-faringeo. La parte sensitiva è costituita dalle afferenze gustative linguali e dall’intero arco afferente del riflesso della deglutizione, nonché dai riflessi vasomotorio, cardioinibitorio e respiratorio provenienti dal seno carotideo. L’innervazione del palato molle, di faringe e laringe è costituita dal nervo vago. In particolare la branca palatale innerva i muscoli elevatori che sollevano il palato, assicurando la chiusura della rinofaringe nell’atto della deglutizione. I rami nervosi faringei e laringei mediano afferenze sensitive e motorie da queste regioni. Data la forte interconnessione dei due territori nervosi, non è possibile testare isolatamente i due nervi. Solo la laringe possiede unicamente l’innervazione sensitivo motoria vagale. A questa innervazione bisogna aggiungere l’importante e, ancora in parte sconosciuta, innervazione dei sistemi orto e parasimpatico. Le fibre ortosimpatiche sinaptano nel gangli cervicali superiore e medio per le ghiandole nasofaringee e quelle parasimpatiche nei gangli sfenopalatino e sottomascellare (Jcl neurophis). L’inizio del riflesso della deglutizione è costituito dalla stimolazione della parete faringea o della base della lingua: il cibo è spinto nell’esofago, dall’azione degli archi palatini, della lingua, del palato molle, e della faringe. La presenza del bolo di cibo agisce come uno stimolo per la deglutizione. Anche la stimolazione periorbicolare della bocca evoca oltre che la protrusione labiale per la suzione anche il riflesso della masticazione e della deglutizione. (Baker, 2004) La disfagia è un sintomo causato dall’alterazione del normale processo di deglutizione e può essere presente in numerose malattie neurologiche: accidenti cerebrovascolari, paralisi cerebrali, sclerosi multipla, miastenia gravis e disturbi del movimento in genere (malattia di Parkinson, chorea, parkinsonismi atipici, tremore etc.). Anche una patologia come la demenza negli stati più avanzati comporta disfagia. Il motivo dell’alta frequenza di questo sintomo è dovuto al processo complesso che costituisce l’atto deglutitorio: ad esso partecipano, infatti, riflessi volontari e involontari, la sensorialità orale, l’integrazione sensorimotoria, la salivazione e la regolazione viscerale. La tradizionale fisiologia della deglutizione si basa sul ruolo del giro precentrale inferiore (IPCG) a livello biemisferico e della regione bulbare. Zald, tuttavia, nel 1999 dimostrò con studi PET come durante la deglutizione sia presente una forte attivazione a livello della regione insulare anteriore di destra, oltre che a livello dell’IPCG, bilateralmente, e dell’emisfero cerebellare di sinistra (Zald DH , Pardo JV; Ann Neurol 1999; 46:281-286) nonché a livello di putamen, claustro, cervelletto e talamo. Il principio di rete distribuita può quindi spiegare perché multiple lesioni encefaliche possano produrre disfagia. L’atto volontario della deglutizione rimane appannaggio delle aree bilaterali degli IPCG, La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 24 mentre le fasi, faringea ed esofagea possono essere più asimmetriche. La natura bilaterale dell’inizio volontario della deglutizione è tuttavia in contrasto con la possibilità che un terzo dei pazienti con stroke emiplegico unilaterale, presenti disfagia. Hamdy S. et altri dimostrarono con studi elettrofisiologici che questo accade quando la grandezza della rappresentazione motoria della faringe sull’emisfero non affetto, risulti inferiore. Tuttavia proprio la natura bilaterale di queste risposte spiega perchè con discreta frequenza nella patologia cerebrovascolare, possa recuperare e/o essere frequentemente transitoria (Hamdy S.; Lancet 1997;350:686-92). La disfagia può essere conseguente sia a problemi neuromotori sia a problemi meccanici. Per ognuno di questi aspetti ci può essere una componente orofaringea o una componente esofagea (LA Rolak “Secrets in neurology”, Mosby, 2001). La disfagia orofaringea avviene già durante la deglutizione e include la sensazione di corpo estraneo causata dalla presenza del cibo in una sede non congrua, dolore nel deglutire, rigurgito nasale e, se il bolo ostruisce la laringe si manifestano, con severo rischio, i sintomi del soffocamento. La disfagia può essere presente in un numero molto importante di malattie neurologiche: m. del motoneurone, tumori cerebrali, ictus, neuropatie, malattie demielinizzanti, m. degenerative (in particolare quelle spino-cerebellari, siringobulbia, miastenia gravis, miopatie, m. di Parkinson, discinesia tardiva, sindrome di Sjogren). Le cause di disfagia meccanica possono in alcuni casi (miopatie) concomitare: dislocazione dell’articolazione temporo-mandibolare, macroglossia. Altre patologie, quali spasmo esofageo diffuso, neuropatie autonomiche, polimiosite sono causa più frequente di disfagia esofagea . Il momento in cui il cibo è spinto nella faringe da molti autori è considerato un atto volontario. Studi molto recenti sulla disfagia nei pazienti con demenza lobare frontotemporale (Langmore SE et al.; Arch. Neurol. 2007;64:58-62) sull’analisi di predittori precoci della mortalità (FTLD) hanno dimostrato in una review retrospettiva che se il mutacismo o la disfagia precedono i disturbi comportamentali la prognosi di sopravvivenza è ridotta. Ciò è verosimilmente conseguente ad una più estesa degenerazione delle strutture corticali e sottocorticali infatti, nello studio citato, tutti i pazienti in seguito avevano sviluppato sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Nella sclerosi laterale amiotrofica la disfagia e le polmoniti ab ingestiis relative costituiscono il maggiore handicap per la qualità della vita; oltre al rischio di scarsa nutrizione ed idratazione che interviene più precocemente nei pazienti più anziani. Il meccanismo patofisiologico della disfagia nell’ALS fu estesamente studiato da Ertekin alla fine degli anni 90; i risultati indicarono come il disturbo sia principalmente associato con la degenerazione progressiva delle fibre piramidali corticobulbari, eccitatorie ed inibitorie, che controllano il centro bulbare della deglutizione. In uno studio pubblicato ancora da Ertekin nel 2000, di 35 pazienti che presentavano disfagia precocemente, 18 avevano predominanti segni pseudobulbari. Il loro quadro clinico preminente era l’aumento dei riflessi mesencefalici con difetto motorio linguale senza atrofia e riso e pianto spastico. Lo studio elettromiografico dimostrò anomalie nell’inizio del riflesso di deglutizione e nell’elevazione della laringe durante la fase orofaringea; altre anomalie furono registrate negli aspetti dinamici legati allo La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 25 sfintere cricofaringeo e all’assenza di coordinazione tra i muscoli elevatori della laringe (includendo la muscolatura sottomentoniera e i muscoli dello sfintere cricofaringeo) durante la fase orofaringea della deglutizione. Questi dati hanno portato alla conclusione che due meccanismi patofisiologici operano nella disfagia dell’ALS: il trigger del riflesso deglutitorio volontario è ritardato mentre sono preservate le deglutizioni spontanee fino a stadi avanzati. Lo sfintere cricofaringeo del segmento faringoesofageo diviene iperreflessico ed ipertonico; questo comporta che il sistema protettivo laringeo e il sistema di trasporto del bolo perdono la loro coordinazione durante le deglutizioni volontarie. Ciò accade, come si è detto, per la progressiva degenerazione delle fibre corticobulbari, eccitatorie ed inibitorie (Brain 2000;123, 125-140). La disfagia è un sintomo abbastanza frequente nel capitolo dei disturbi del movimento, tra cui prima è la malattia di Parkinson. Due scale di valutazione clinica, specifiche per la malattia, comprendono tra gli items il sintomo disfagia: la UPDRS (Unified Parkinson disease rating scale) tra le activities of daily living (speech, salivation, swallowing, handwriting, cutting food and handling utensils, dressing) e la Schwab and England activities of the daily living scale. Nella UPDRS lo score di valutazione è compreso tra 0 e 4: normale = 0, tosse rara = 1, tosse occasionale = 2, necessita di cibi soffici = 3, richiede sonda NG o alimentazione per gastrostomia = 4. Nella Schwab, invece, la disfagia viene considerata solo se “completa”, ovvero un sintomo della fase terminale, pari a 0% , in quanto l’item descrive “vegetative, functions such as swallowing, bladder,and bowel are not functioning. Bedridden“. In genere nei pazienti affetti da parkinsonismi atipici (Atypical Parkinsonian Disorders): Multisystem atrophy (MSA), dementia with Levy bodies (DLB), corticobasal de generation (CBD) e Progressive Supranuclear Palsy (PSP) la disfagia può essere più precoce e più grave. Muller J (Arch Neurol. 2001;58:259-264) analizzò retrospettivamente l’evoluzione temporale della disartria e della disfagia , tanto quanto il tempo di sopravvivenza media dopo l’insorgenza dei sintomi e la correlazione tra la latenza d’esordio della disfagia e il tempo totale di sopravvivenza in due popolazioni di pazienti, la prima con PD e l’altra con parkinsonismi atipici (APD) confermati postmortem. Inoltre, furono investigati la precoce comparsa di disartria o disfagia entro un anno dall’inizio della malattia. I risultati dimostrarono che nessuno dei pazienti con PD aveva sviluppato, entro il primo anno dalla diagnosi di malattia, disartria o disfagia. La disartria precoce era (entro o meno di un anno) caratteristica dell’APD (specificità 100%), per contrasto la sensibilità era bassa nel totale degli APD (19%) ma più alta nel MSA (27%). La disfagia era riportata soltanto in due pazienti con PSP e 1 paziente con MSA durante il primo anno d’insorgenza della malattia, rappresentando una scarsa sensibilità diagnostica (8 e 7% rispettivamente). In questo studio la disfagia era sempre associata con la concomitante disartria, in genere più precoce sintomo. L’insorgenza della disfagia prediceva un breve tempo di sopravvivenza nell’MSA, PSP e CBD. Alfonsi e coll. (Neurology 2007;68:583-590) hanno recentemente pubblicato uno studio EMG sulla durata di attività dei muscoli sopraioidei e sottomentonieri, valutando la durata del meccanogramma laringo-faringeo, la durata dell’inibizione dell’attività del La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 26 muscolo cricofaringeo e il tempo di reazione della deglutizione. Gli autori hanno concluso per un coinvolgimento del nucleo tegmentale peduncolo-pontino, con la susseguente disfunzione dei gangli basali e del pattern centrale del generatore midollare. Il metodo utilizzato è capace di identificare anomalie della deglutizione anche in pazienti asintomatici e di valutare la gravità della disfagia in tutti i pazienti. Se nelle malattie degenerative il sintomo disfagia riveste un ruolo preminente nel paziente cronico, spesso assistito presso il domicilio e/o in strutture protette, all’interno di settings ospedalieri per acuti, come nelle Stroke Units, i pazienti affetti da patologia cerebrovascolare molto spesso presentano gravi episodi d’ingestione; tale evento, purtroppo comune complicazione nei pazienti con stroke acuto, è fortemente associato a prognosi grave. La prevenzione delle ingestioni è quindi necessaria ma i test clinici per la disfagia, effettuati al letto del paziente non hanno alta specificità e sensibilità nello screening clinico. Recentemente Warnecke et al (JNNP, 2008 Mar;79(3):312-4) hanno sottoposto 100 pz, colpiti da stroke, al test di provocazione in due tempi “swallowing provocation test ( SPT)” e alla valutazione mediante endoscopia a fibre ottiche per rilevare il rischio di aspirazione entro 72 ore dall’insorgenza dello stroke. I risultati hanno dimostrato che l’incidenza di aspirazioni - endoscopicamente provate - era dell’81%. Il primo step di SPT aveva 74,1% e 100%, rispettivamente di sensibilità e di specificità, mentre nella seconda fase del test la sensibilità era più bassa. Nelle loro conclusioni gli autori hanno evidenziato come SPT sia attendibile se l’alterazione sia prevalente nella fase faringea, mentre per l’alterazione della fase orale, durante la quale si ha perdita di liquido nel seno piriforme senza ritardo dell’inizio della deglutizione, il test non è sufficientemente sensibile a rilevare il rischio d’ingestione. Uno studio personale condotto sulla disfagia nei pazienti affetti da Distrofia Muscolare di Duchenne nel 1995 ha evidenziato che il problema inizialmente ha maggiore carattere meccanico piuttosto che nervoso. Dopo la perdita del cammino i pazienti presentano degenerazione dei muscoli masticatori e nucali con sviluppo di mal occlusione e macroglossia nonché importante scoliosi. Le fasi di apertura rapida della mandibola e successiva occlusione degli incisivi sono impediti e l’intero processo della masticazione è compromesso a causa della diminuzione dei contatti occlusali e per la precoce degenerazione dei muscoli masseteri e paraspinali. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 27 LA DISFAGIA IN AMBITO GASTROENTEROLOGICO Giovanni Fornaciari U.O. Medicina IIIa e Gastroenterologia - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La disfagia può essere definita come una difficoltà o un ritardo nel passaggio del bolo alimentare. Deve essere distinta dagli altri sintomi legati al processo della deglutizione: • Afagia o impatto esofageo: ostruzione completa dell’esofago in situazione di emergenza; • Odinofagia: deglutizione accompagnata da dolore; • Bolo faringeo: sensazione di corpo estraneo nella gola senza alterazione della deglutizione; • Fagofobia e rifiuto spontaneo della deglutizione: presenti in patologie psichiatriche quali l’isteria ma anche nel tetano e nella rabbia. La disfagia non deve essere confusa con la fastidiosa sensazione di gonfiore epigastrico legata all’ingestione involontaria di aria. Può essere distinta in: • Meccanica: ostruzione reale del lume faringo-esofageo; • Motoria: difetto nel processo della deglutizione per alterazione della muscolatura liscia o striata. • • • • • • • • • • • • • • • • Le cause più comuni di disfagia meccanica sono le seguenti: Ingestione di boli di cibo troppo grossi; Corpo estraneo; Malattie infiammatorie dell’esofago (caustici, infezioni virali o da Candida); Anelli e membrane (sindrome di Plummer-Vinson, anello di Schatzki); Stenosi benigne (stenosi peptica, stenosi post ingestione di caustici, Crohn, esiti di radioterapia); Neoplasie dell’esofago (ADK, Kaposi, melanoma, linfoma); Metastasi esofagee; Tumori benigni dell’esofago (leiomioma, lipoma); Compressione ab estrinseco (spondilite cervicale, osteofiti vertebrali, masse retrofaringee, gozzo, diverticolo di Zenker, malformazioni vascolari, masse mediastiniche). Quelle della disfagia motoria sono invece: Lesioni o paralisi della lingua; Lesioni dei nervi cranici; Paralisi bulbare; Miastenia grave; Malattie muscolari (polimiosite, dermatomiosite); Alterazione della muscolatura striata (rabbia, tetano, paralisi pseudobulbare); Alterazione della muscolatura liscia (acalasia primaria, sclerodermia, neuromiopatia metabolica, spasmo esofageo diffuso, acalasia secondaria a Chagas, tumori). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 28 Nella pratica gastroenterologica le più comuni cause di disfagia sono l’acalasia, la sclerodermia, l’esofagite peptica, la stenosi da caustici e le neoplasie. La diagnosi si fonda sullo studio endoscopico e radiologico dell’esofago e sulla manometria (vedi altre relazioni). Un ruolo fondamentale è però ancora costituito dall’anamnesi che deve tenere conto di tre domande fondamentali: 1. che tipo di cibo (solido o liquido) causa la disfagia? 2. la disfagia è intermittente o progressiva? 3. vi sono altri sintomi associati? Una disfagia sia per i liquidi che per i solidi, intermittente e che si risolve completamente ripetendo l’atto della deglutizione porta a ipotizzare l’esistenza di una acalasia o di un’altra malattia motoria dell’esofago. Nell’acalasia, a differenza delle altre malattie motorie, vi è però rigurgito notturno e calo ponderale. Nella sclerodermia la disfagia è lentamente progressiva e si associa a sintomi da reflusso gastro-esofageo. Nella disfagia meccanica vi è disfagia per i solidi fin dall’esordio; se i sintomi sono intermittenti e vi è storia di pirosi retrosternale si può ipotizzare un anello di Shatzski o una stenosi su base peptica. Se invece la disfagia è progressiva, se vi è odinofagia e calo ponderale significativo l’ipotesi più probabile è quella del tumore dell’esofago. La terapia endoscopica e chirurgica dell’acalasia viene trattata a parte. Per quanto riguarda la terapia medica si fonda su nitrati e calcio-antagonisti somministrati prima dei pasti; questa terapia viene però utilizzata solo nei casi non candidabili a trattamenti endoscopici o chirurgici. Negli altri disturbi motori dell’esofago (ipermotilità esofagea) invece la terapia con dilatazione endoscopica non è di solito necessaria; in questi casi può essere utilizzato il calcio antagonista e si sono registrati risultati anche con gli antidepressivi. Nella sclerodermia l’alterazione motoria dell’esofago non è reversibile ed il trattamento è volto a prevenire le complicazioni legate al reflusso gastro-esofageo mediante l’utilizzo degli inibitori di pompa. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 29 ASPETTI PSICOLOGICI DELLA DISFAGIA Franca Martinelli U.O. Psicologia Clinica - Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia - Reggio Emilia Per affrontare le problematiche legate alla deglutizione dobbiamo considerare la deglutizione: • come una abilità primariamente alimentare complessa, dinamica, con macroevoluzioni (dalla deglutizione neonatale alla deglutizione adulta) e microevoluzioni (a seconda delle abitudini alimentari variabili dei gruppo di appartenenza - per es. asiatici versus occidentali - o del singolo individuo - in rapporto alla variabilità delle sue abitudini o necessità alimentari di tipo fisiologico o patologico); strettamente connessa ad altre funzioni; • collegata con un’altra funzioni biologica primaria quale la respiratoria con la quale sostanzialmente interferisce fino all'inibizione reciproca delle due funzioni; • sfruttante organi e funzioni che hanno primariamente o secondariamente significato comunicativo (così primariamente la bocca, nella sua posizione privilegiata di interfaccia con l'ambiente, ha significato di analizzatore sensoriale e cognitivo dell'esterno e di fruitore edonistico, mentre secondariamente il sistema naso-oro-faringolaringeo viene usato per l'espressione vocale-verbale). • • La patologia della deglutizione si divide in due capitoli ben distinti: la patologia della deglutizione nel suo trasformarsi da forma neonatale-infantile a forma adulta: in soggetti normali l'evoluzione della deglutizione può essere ritardata e/o distorta a causa di varie patologie; qualsiasi sia il tipo di patologia evolutiva della deglutizione essa automaticamente coinvolge le rimanenti e correlate funzioni con esplicito riguardo alla respirazione ed alla verbalità; la patologia della deglutizione adulta consolidata sostanzialmente per patologia della sua regolazione nervosa periferica e/o centrale, oppure per mutilazione, in genere jatrogena chirurgica. Con il termine disfagia, o turba della deglutizione, ci si riferisce a qualsiasi disagio nel deglutire (aspetto soggettivo del cliente) o a qualsiasi disfunzione deglutitoria obiettivamente rilevabile, direttamente o indirettamente per le sue conseguenze. Tale sintomo, isolato o associato in quadri sindromici, è oggi oggetto di una scienza medica, la deglutologia o fisiopatologia e clinica della deglutizione di recente nascita, risalente solo alla seconda metà degli scorsi anni Ottanta in rapporto a un crescente interesse per la deglutizione nella normalità e nella patologia. Le ragioni di tale interesse sono molteplici ma possono ricondursi al fatto che la disfagia ha alta morbilità e alta mortalità. Un capitolo della Deglutologia viene dedicato anche alla “Disfagia psicogena o bolo isterico o funzionale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 30 Quadro clinico ancora di una certa rilevanza e spesso di approccio complesso trattato prevalentemente dal medico psichiatra e dal medico di medicina generale lo si considera funzionale quando non si riscontra alcuna anormalità fisiologica specifica tale da spiegare questo sintomo, oppure quando l’intensità e la durata sono sproporzionati ai dati oggettivi. I dati clinici ne indicano la presenza prevalente nell’adolescenza e nelle donne. I sintomi assomigliano alla normale reazione che si ha quando ci si sente “strozzare”, una sensazione soggettiva di un nodo o di una massa in gola. I fattori psicologici svolgono un ruolo di rilievo, nonostante la iniziale terminologia di bolo isterico manca quasi sempre il carattere isterico, sono invece state riscontrate ansia, depressione, ipocondria, somatizzazione, ossessività. La letteratura attuale suggerisce di considerare il bolo funzionale non strettamente un sintomo di conversione (risposta somatica ad un conflitto psichico irrisolto), ma come risposta ad un disagio psicoemotivo, a situazioni traumatiche o luttuose, o come sintomo connesso a patologie ansiose, disturbi dell’umore e del comportamento. Qui il sintomo, come immagine somatica di un disagio psicologico, di una conflittualità affettiva e ambientale, si colloca nell’intersezione tra le due dimensioni che caratterizzano ogni essere umano: la psiche e il soma. Mente e corpo sono parti inscindibili, la cui non integrazione genera disagio che si può manifestare sia a livello psichico sia a livello fisico. Il corpo è infatti il primo mezzo con cui il bambino si pone in relazione con le figure significative e per questo motivo diviene luogo di veicolazione d’importanti significati riguardanti la qualità dei propri legami affettivi e della strutturazione del Sé, che lo accompagneranno anche nella vita adulta. “Il corpo è, per il bambino, lo strumento, il solo o quasi, prima del linguaggio, attraverso cui esprimere una sofferenza psicologica”. Nella sintomatologia psicogena è fondamentale l’intervento psicologico o psichiatrico che prevede il coinvolgimento del paziente nella presa di coscienza della reale eziologia e natura della sua affezione, per orientarlo e accompagnarlo al trattamento. Se nella disfagia psicogena le componenti psichiche e la loro comprensione sono rilevanti, sia nella fase diagnostica che di cura, anche nel trattamento della disfagia organica non possono essere ignorate, sia per i significati simbolici collegati al cibo e all’alimentarsi che per l’impatto che le patologie interessate hanno sulla qualità di vita del paziente”. L’evento malattia determina nell’uomo modificazioni non solo biologiche ma anche psicologiche, alterando il senso dell’identità personale e sociale e la progettazione ed innestando una serie di fantasie sul proprio essere malato. Il grado di queste alterazioni dipende dalla personalità del paziente, dalla gravità della malattia e dalle condizioni ambientali in cui il paziente si trova. Quando la patologia colpisce un organo o un distretto corporeo è l’intero mondo di rappresentazioni che sostengono l’immagine di quell’organo specifico ad essere scompaginato. Le particolarità psicologiche legate al canale alimentare riguardano specificatamente il gesto dell’ingestione del cibo, nella sua complessità di necessità fisiologica e di oggetto delle più arcaiche rappresentazioni mentali delle prime gratificazioni istintuali legate alla fase orale dello sviluppo libidico descritta da Freud (1886-1938). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 31 Attraverso il nutrirsi e l’alimentarsi si sviluppano le basi psicologiche dell’identità e della personalità, infatti la soddisfazione del bisogno permette la crescita e l’inizio dello scambio con l’ambiente esterno. Fino al momento della nascita, il bambino e la madre non hanno esperito di essere distinti, ma hanno vissuto una fusione; la nascita rompe la simbiosi fisica e segna l’inizio del percorso di separazione-individuazione per il bambino, ma anche per la mamma. Introdurre nel corpo il cibo è la primissima esperienza di differenziazione che il bambino compie, infatti mette dentro un qualcosa che è distinto da lui e che proviene da un esterno; inizia la differenziazione tra un dentro e un fuori, tra un Sé e qualcos’altro….. Inizia con la madre una complessa interazione basata sul soddisfacimento dei bisogni reciproci, anche del bisogno di nutrirsi e nutrire, che porterà alla formazione di una modalità interattiva denominata “relazione di attaccamento”. La relazione di attaccamento si instaura tra il bambino e il suo caregiver, in genere la madre, ed è una modalità interattiva che pervade tutti gli aspetti dello sviluppo psicologico, sociale, relazionale. Il caregiver infatti, attraverso la relazione di attaccamento, fornisce al bambino la base da cui partire per il suo viaggio verso l’indipendenza. Si comprende bene che l’alimentazione assume fin dai primissimi istanti di vita un’importanza notevole per quanto riguarda lo sviluppo oltre che fisico, anche psicologico e sociale della persona. Il cibo è il veicolo della relazione tra madre e figlio, assume carattere di piacere per il soddisfacimento dei bisogni primitivi della fame e del prendersi cura, permette lo scambio nella soddisfazione del bisogno relazionale e per questo motivo può diventare il mezzo attraverso cui “giocare” i momenti conflittuali e l’oppositività nei confronti del genitore. Tutto ciò che afferisce al canale alimentare riguarda, sul piano ontogenetico, le prime fasi dello sviluppo, quando la mente si organizza intorno alle prime impressioni sensoriali che derivano dal canale oro-esofageo. Il ripetersi ritmico del funzionamento alimentare, per la sua capacità di gratificazione e appagamento, è il primo ad acquisire un senso mentale. Le sensazioni relative al vissuto del funzionamento alimentare, anche se tra le più primitive, sono molto complesse e trovano origine nell’area periorale, nelle labbra, nel cavo orale, nella suzione, nella deglutizione, nella sensazione del bolo alimentare che scende nell’esofago, nella fame, nella sazietà. In questa prospettiva, l’intera sintomatologia legata alla presenza di malattia nel canale esofageo (ad esempio disfagia, odinofagia, rigurgito) con conseguenze quali impedimento e/o difficoltà ad ingoiare, in mancanza o in presenza di appetito, ha il potere di re-investire prepotentemente il distretto corporeo del canale alimentare, riportando il paziente ad una regressione forzata a quelle fasi precoci dello sviluppo in cui si erano instaurate le prime modalità psicofisiche con le quali il mondo esterno era stato introiettato, “messo dentro”. Il vissuto di malattia riattiva quindi la vita fantasmatica collegata alle prime fasi dello sviluppo, alle modalità con le quali sono state vissute le vicissitudini dell’equilibrio gratificazioni-frustrazioni rispetto all’alimentazione, provocando modalità regressive di risposta nelle relazioni col mondo. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 32 La regressione è un meccanismo di difesa che svolge un ruolo importante nelle situazioni di grave minaccia della propria integrità e designa il passaggio a modi di espressione e di comportamento a livello inferiore dal punto di vista della complessità, della strutturazione e della differenziazione dell’Io. La regressione indica un ritorno automatico ed involontario a modi di funzionamento psicologico che sono caratteristici di stadi più antichi, e interferisce nell’adulto con i processi di adattamento; il ritorno simbolico agli anni dell'infanzia consente alla persona di evitare l'avversità presente e di trattarla come se non fosse ancora accaduta. Clinicamente possiamo aspettarci, nel paziente, una chiusura e un ripiegamento narcisistico sul sé nel momento in cui la via del contatto con il mondo esterno è così attaccata e deteriorata dalla malattia e dalle eventuali metamorfosi chirurgiche rese necessarie dalla patologia. L’osservazione psicodinamica delle interazioni tra curanti e pazienti ha rilevato come l’intera équipe possa trovarsi, a causa dei potenti fenomeni contro-transferali legati al pathos suscitato da queste malattie, ad oscillare tra accettazione e rifiuto (cibo buono/cibo cattivo espulsione/assimilazione). La lettura psicologica di queste dinamiche può favorire un lavoro d’integrazione nell’équipe riducendo quei fenomeni che, nel linguaggio psicologico, vengono definiti “scissioni del transfert”, vere e proprie spaccature che il paziente opera sui sanitari che si prendono cura di lui e che lo portano a costruire attivamente un “capro espiatorio” in un membro dell’équipe curante o in una figura professionale proprio per controllare l’angoscia di una malattia che lo attacca invece dall’interno e su cui non può esercitare alcun controllo. L’instaurarsi di una relazione psicoterapeutica (non intesa nel senso classico di un setting tradizionale di una sequenza di sedute periodiche ma intesa in modo più ampio, come un modo dell’operatore “psi” di porsi come Io-ausiliario del paziente per aiutarlo a rielaborare la sua storia clinica e la sua storia di vita, anche semplicemente narrandola) si è dimostrata sempre utile a ridurre l’angoscia del paziente e quindi ad alleggerire il transfert su tutti gli altri operatori dell’équipe integrata e a evitare che finiscano in burnout. Nell’ambito della riabilitazione infatti può essere di supporto un lavoro psicologico di supervisione del team riabilitativo per raggiungere un’utile uniformità di intervento fra i componenti del team e anche per il sostegno agli operatori, soprattutto nell’approcciare il paziente molto problematico, che mostra poca compliance, scarsamente “adattato” e “adattabile” ai nuovi stili di vita imposti dalla malattia. L’integrazione psicologica del percorso riabilitativo gioca un ruolo decisivo anche nel reinserimento ambientale del paziente. L’intervento psicologico, insieme con la caratteristica della flessibilità dei percorsi, si definisce necessariamente attraverso la presa in carico degli aspetti psicologici o meglio psicosociali del paziente e della sua famiglia, binomio che viene doppiamente colpito e in casi di grave disabilità. L’adattamento assume un valore centrale nel percorso psicologico del paziente e le modalità di approccio possono di volta in volta essere scelte sulla base dei colloqui con gli altri specialisti in un assetto multidisciplinare La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 33 VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE DISFAGICO Nino Carlo Battistini, Marcella Malavolti Dipartimento di Scienze di Sanità Pubblica - Università degli Studi di Modena - Modena Lo stato nutrizionale dipende dall’introduzione, dall’assorbimento e dall’utilizzazione dei nutrienti introdotti attraverso la dieta. Questa affermazione è corretta per tutti gli individui, tuttavia occorre monitorare due variabili che, più o meno direttamente, influenzano ulteriormente lo stato di nutrizione: la variabile biologica, cioè le caratteristiche intrinseche e peculiari di ciascun individuo, e la variabile psico-sociale, cioè il rapporto, delicato e complesso, che si instaura tra psiche e ambiente. A questo punto non ci pare superfluo ricordare che il corretto inquadramento dello stato nutrizionale di una persona o di popolazioni richieda la presenza di una equipe formata almeno da un dietologo, un nutrizionista, un dietista e da uno psicologo esperto nei disturbi del comportamento alimentare. Fatte queste premesse dobbiamo anche considerare che, ormai da diversi anni, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) sottolinea la relazione biunivoca esistente tra stato di salute e stato nutrizionale. Possiamo quindi affermare che il deterioramento, per eccesso o per difetto, dello stato di nutrizione influenzi lo stato di salute e viceversa. Questo ci permette di superare la definizione iniziale di stato di nutrizione che mostra un contenuto limitato per quanto riguarda gli aspetti pratici della valutazione dello stato nutrizionale. Possiamo così elaborare una definizione “operativa” fondata sulla relazione esistente tra composizione corporea, funzionalità corporea, bilancio energetico, stato nutrizionale e stato di salute. Sia nel soggetto in area fisiologica che patologica la relazione biunivoca tra stato di salute e stato di nutrizione si sta imponendo in tutta la sua importanza in quanto assiste a rapide modificazioni metaboliche che possono essere monitorate e quantificate attraverso lo studio dello stato nutrizionale. Diventa quindi di fondamentale importanza saper cogliere, nelle metodiche che gli specialisti hanno a disposizioni, i relativi vantaggi e svantaggi. Il presente intervento pone l’attenzione ai metodi di valutazione dello stato nutrizionale nel paziente disfagico. Saranno individuati, in un tentativo d’interpretazione e di una concreta applicabilità, i diversi indicatori, clinici, bioumorali, antropometrici, strumentali, di rischio di malnutrizione, la storia dietetica, la valutazione del bilancio di energia e nutrienti, la valutazione dello stile di vita, quali parametri indispensabili per l'inquadramento dello stato nutrizionale e l'impostazione di un efficace programma dietetico per il paziente. Bibliografia • • Stratton R.J.,.Green C.J and Elia M. Disease Related Malnutrition: an evidence based approach to treatment. CABI Publishing USA 2005 Battistini N, Bedogni G (1999): Composizione corporea: modelli analitici di valutazione. In: Mariani Costantini A., Cannella C., Tomassi G., editors. Fondamenti di Nutrizione Umana. Il Pensiero Scientifico, 447 – 470 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 34 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Parte 3 Approccio Terapeutico-Riabilitativo La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 35 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 36 LA RIABILITAZIONE DIETETICO-NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE DISFAGICO: ALIMENTAZIONE PER OS Salvatore Vaccaro Servizio Dietetico - Azienda Ospedaliera “Arcispedale Santa Maria Nuova” - Reggio Emilia Il termine “Disfagia”, dal greco “dys (difficoltà) phajein (mangiare)”, viene impiegato in medicina per descrivere qualsiasi disagio, alterazione e/o compromissione di una o più fasi della deglutizione1 e consiste nell'impedimento o nel rallentamento della progressione di cibi, bevande, saliva, etc. dal cavo orale allo stomaco, attraverso il canale oro-faringo-esofageo. La Disfagia è una condizione anomala complessa che può essere causata da una patologia congenita o acquisita, riconoscendo principalmente cause meccaniche (resezione chirurgica, disfunzione degli organi della deglutizione per trauma, ostruzioni, neoplasie, etc.) o neurologiche (lesione della corteccia cerebrale, dei nervi cranici e del midollo allungato). Altri disordini della deglutizione possono dipendere da debolezza, senilità2, etc. I sintomi (avvertiti soggettivamente dall’individuo) ed i segni (riscontrabili oggettivamente) sono numerosi e vengono usualmente classificati in: Generali: assenza o debolezza di deglutizione volontaria, diminuzione dei movimenti della bocca e lingua, lingua protrusa, riflessi orali primitivi, difficoltà nel gestire le secrezioni orali (sbavature), sensazione di corpo estraneo in gola, cambiamenti del tempo e della modalità di alimentazione, perdita di appetito, modificazione di qualità/tono della voce (raucedine), schiarimenti di gola frequenti, espressioni di disagio sul viso (alterazioni della mimica facciale), igiene orale insufficiente, rialzo di temperatura, perdita di peso e/o disidratazione, frequenti infezioni toraciche; Avvertiti/Rilevabili mentre si mangia e/o beve: lentezza ad iniziare una deglutizione e/o ritardo a deglutire, masticazione o deglutizione non coordinate, ripetute deglutizioni per ogni boccone, ripetuta assunzione di liquidi tra un boccone e l'altro, blocco del cibo in gola con conseguente ritenzione nella cavità orale (impacchettamento di cibo nelle guance), rigurgiti orali e nasali di cibo e/o liquidi, sensazione di soffocamento da alimenti e/o liquidi, accessi di tosse o starnuti durante e/o dopo l’alimentazione (che compare dopo la deglutizione), dolore al petto quando si ingeriscono alimenti e/o liquidi, tendenza ad isolarsi durante i pasti; Avvertiti/Rilevabili dopo la consumazione di cibo o bevande: sonorità della voce bagnata o rauca, affaticamento, modificazione delle modalità di respirazione, bruciori e acidità di stomaco. Vi è una stretta correlazione tra disfagia e riduzione di attività psicologiche e sociali e il conseguente peggioramento della qualità di vita come espressione di riduzione di autostima, sicurezza, capacità lavorativa e di svago. 1 Definizione: transito parziale o totale di cibi, bevande, saliva, farmaci, flora batterica, contenuti gastrici e duodenali dagli osti narinali e labiali al duodeno (e viceversa). Fasi della deglutizione: orale, faringea, esofagea. 2 La Presbifagia è una forma fisiologica di difficoltà di deglutizione dovuta all’invecchiamento (anche in assenza di eziologia). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 37 Un disturbo della deglutizione determina spesso disabilità dal momento che può impedire il partecipare a diversi aspetti della vita sociale di relazione3: frequenti accessi di tosse provocati da bocconi andati di “traverso” con rigurgito di cibo dal naso e/o dalla bocca durante i pasti possono provocare imbarazzo, ansia e depressione, alcuni individui spesso preferiscono evitare di mangiare in compagnia, se non addirittura saltare completamente i pasti (senso di inadeguatezza, isolamento). Questa situazione può condurre ad inappetenza, assunzione alimentare inadeguata4, dimagrimento, disidratazione5 e malnutrizione proteico-calorica, esponendo tali soggetti ad altri rischi per la loro salute in conseguenza di uno stato nutrizionale deficitario, come ad esempio: ritardo nella cicatrizzazione delle ferite, maggiore predisposizione alle infezioni e disturbi delle funzioni mentali e fisiche. L'evento più temuto è la penetrazione di particelle alimentari solide e/o liquide nelle vie aree (Aspirazione), la quale è associata all'insorgenza di “polmoniti ab ingestis” ed altre infezioni delle vie respiratorie. Nei pazienti colpiti da ictus, proprio a causa delle polmoniti causate da problemi di deglutizione, è stimato un decesso del 20% dei casi ad un anno di distanza dall’ischemia e del 10-25% dei casi per ogni anno successivo. Per garantire una gestione corretta ed efficace del soggetto disfagico è indispensabile costituire un Team Multidisciplinare Disfagia, il quale disponendo di diverse figure professionali, ognuna con specifiche competenze (neurologo, otorinolaringoiatra, radiologo, nutrizionista, chirurgo, psicologo, dietista, fisioterapista, foniatra, logopedista, infermiere professionale, etc.) è in grado di prendere in carico il paziente ed assicurargli un trattamento condiviso su diverse sfere specialistiche delle varie sfaccettature, direttamente e/o indirettamente, indotte dalla disfagia. 3 L’indipendenza nell’alimentazione assume un importante significato simbolico di dignità e autoconsiderazione. Fattori che contribuiscono ad un’assunzione alimentare inadeguata: difficoltà di deglutizione, diminuzione del senso dell’olfatto e del gusto, riduzione dell’appetito e della produzione di saliva, incapacità a nutrirsi in modo autonomo, psicologici (paura di soffocare), effetti della terapia, della chirurgia e dei medicamenti. 5 Per ogni individuo l’apporto quotidiano di fluidi è assicurato per il 50% dal cibo consumato, una ridotta alimentazione può aumentare il rischio di disidratazione. 4 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 38 L’obiettivo riabilitativo comune è il recupero o il mantenimento di una deglutizione quanto più fisiologica e/o funzionale possibile, al fine di: Favorire una deglutizione funzionale sicura e priva di rischi, contrastando così il passaggio di particelle alimentari nelle vie respiratorie (prevenire l’aspirazione); Mantenere o recuperare uno stato nutrizionale e di idratazione idonei, nonostante le limitazioni dell’assunzione per via orale (prevenire la disidratazione e la malnutrizione proteico-calorica); Migliorare la qualità di vita favorendo l’autosufficienza del soggetto nel gestire in autonomia la propria condizione ed affrontare situazioni potenzialmente difficili6 (prevenire l’involuzione psicofisica). Gli approcci terapeutici-riabilitativi per ottenere tali obiettivi sono principalmente: Terapia chirurgica: può apportare un beneficio in un numero limitato di casi; Valutazione della terapia medica in atto: alcuni farmaci prescritti per altre patologie (come ad esempio quelli per l’epilessia, l’insonnia, la depressione, etc.) possono produrre un effetto ostacolante sulla deglutizione; Terapia fisica: esercizi, posture e/o manovre compensatorie possono rispettivamente migliorare la forza, la velocità, la resistenza dei movimenti deglutitori e/o favorire un transito corretto del bolo attraverso la bocca e il faringe; Terapia di supporto alla deglutizione; Modifica delle caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande: per ottenere una migliore risposta deglutitoria è consigliabile apportare una modifica ad una o più caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande somministrati. Sebbene possano risultare efficaci, alcuni di questi approcci danno per scontata una collaborazione attiva da parte del paziente, il quale molto spesso non è in grado di collaborare a causa della propria condizione. Per questo ci si affida principalmente alla “Modifica delle caratteristiche fisiche dei cibi e/o e delle bevande”. [vedi oltre] Si comprende facilmente l’importanza del contributo che i professionisti sanitari operanti nell’ambito Dietetico-Nutrizionale apportano all’interno del Team Multidisciplinare Disfagia, nonché del beneficio derivante dal fatto che tutti i pazienti disfagici possano (e debbano) essere sottoposti a Valutazione Dietetico-Nutrizionale. Ai professionisti operanti in ambito Dietetico-Nutrizionale, spetta il compito di: Valutare lo Stato Nutrizionale Viene classicamente definito come “la risultante dell'equilibrio tra l'apporto bilanciato ed adeguato di nutrienti e il fabbisogno dell'organismo”. In base alle funzioni svolte dai nutrienti (strutturali, energetiche e regolatorie) è stata proposta una definizione operativa, ossia “la risultante di tre entità tra loro strettamente correlate: la composizione corporea, il bilancio energetico e la funzionalità corporea”7. Scopi della valutazione dello stato nutrizionale sono: a) identificare i pazienti malnutriti (nutrition diagnosis); b) identificare i pazienti a rischio di complicanze, a seguito di un deficit nutrizionale o metabolico (nutrition prognosis); c) valutare l'efficacia della terapia nutrizionale (nutrition effectiveness). 6 Senso di preoccupazione nel consumare il pasto da solo e/o con altre persone, etc. La definizione classica è fondata sui tre momenti fondamentali del processo di nutrizione (introduzione, assorbimento ed utilizzazione dei nutrienti), mentre quella operativa è basata sulle funzioni svolte dai nutrienti e sulla relazione esistente tra lo stato nutrizionale e lo stato di salute. 7 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 39 L'inquadramento nutrizionale si fonda sulla valutazione di tutta una serie di parametri ed indici nutrizionali: Parametri antropometrici: peso corporeo, altezza, BMI, circonferenze corporee, pliche cutanee, etc.; Anamnesi ponderale: per determinare l'effetto della malattia sullo stato di nutrizione più che il peso attuale risulta preferibile utilizzare come valori di riferimento le variazioni ponderali, ossia bisogna conoscere il peso del soggetto prima della malattia o il peso abituale in buona salute. Peso attuale, peso abituale e peso ideale (in relazione ad età, sesso e costituzione fisica) permettono di ricavare dati molto utili per coloro che assistono il paziente dal punto di vista nutrizionale, in quanto la perdita di peso può essere valutata attraverso tre forme di valore percentuale: “% rispetto al peso ideale, % rispetto al peso abituale e % di modificazione ponderale”. Valutare sempre anche la tempistica dell’eventuale calo ponderale, a rischio nutrizionale se: ≥ 10% del peso abituale negli ultimi 3-6 mesi oppure > 5% del peso abituale nell’ultimo mese; Anamnesi alimentare: vanno indagati con accuratezza le abitudini ed i consumi alimentari attuali e pregressi. Può essere utile utilizzare un diario alimentare. A rischio nutrizionale se gli introiti alimentari < 50% dei fabbisogni per > 7-10 giorni. Alcune notizie legate all’alimentazione utili da indagare Sono presenti alterazioni del gusto, dell’olfatto, della vista che possono rendere problematica l’alimentazione? La persona possiede una dentizione naturale/protesi idonea? I movimenti delle mani per portare il cibo alla bocca sono alterati? La capacità di maneggiare utensili è normale? Lo stato cognitivo, cardiovascolare, respiratorio, etc. impediscono l’alimentazione? È presente rischio di aspirazione o rigurgito di materiale alimentare? È necessaria assistenza durante l’alimentazione? Vengono assunti tutti i principi nutritivi (glicidi, protidi, lipidi, minerali, vitamine) in quantità sufficienti? Vengono assunti liquidi in quantità sufficienti? Vengono assunti alimenti naturali o è necessario un pretrattamento (modifica consistenza)? La tipologia di cibi offerti al paziente risponde alle sue preferenze, abitudini e gusti alimentari? La presentazione dei cibi è sufficientemente stimolante? Quanto tempo è necessario per l’assunzione alimentare? Sono presenti stress o condizioni distraesti durante i pasti? Indagini biochimiche: proteine totali, albumina plasmatica, prealbumina, transferrina, linfociti totali circolanti, RBP, etc. Classificazione della Malnutrizione MALNUTRIZIONE DI GRADO: Parametro Lieve Moderata Grave Calo ponderale (% su peso abituale) 5-10 11-20 > 20 BMI (kg/m2) 17-18,4 16-16,9 < 16 99-80 79-60 < 60 ICA Se non è possibile acquisire informazioni sul peso abituale si può far riferimento al peso ideale. Decremento ponderale (% su P.I.) 10-20 21-40 > 40 Albumina (g/dl) 3,5-3,0 2,9-2,5 < 2,5 Transferrina (mg/dl) 200-150 149-100 < 100 Prealbumina (mg/dl) 18-22 10-17 < 10 RBP (mg/dl) 2,9-2,5 2,4-2,1 < 2,1 Linfociti Totali Circolanti (n./mm3) 1500-1200 1199-800 < 800 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 40 Definire i Fabbisogni Nutrizionali Bisogna tenere in considerazione: i fabbisogni nutrizionali del soggetto in condizioni di salute, l’attuale stato nutrizionale, le condizioni generali e l’entità della malattia, la capacità dell’organismo di immagazzinare alcuni nutrienti, eventuali perdite di sostanze nutritive, le interazioni farmaci-nutrienti e/o nutriente-nutriente, etc. Indicativamente: Energia: 22-25 kcal non proteiche/kg peso ideale/die (fino a 35 kcal se presente ipermetabolismo); Proteine: 0,8-1,2 gr/kg peso ideale/die (fino a 1,5 gr o più in presenza di ipercatabolismo o piaghe da decubito); Idrici: 30-35 ml/kg peso attuale/die, nell’anziano > 65 anni 20-25 ml/kg/die; Micronutrienti: secondo quanto indicato dai LARN (salva diversa indicazione). Scegliere la Via di Somministrazione dei Nutrienti più Idonea La scelta della via di somministrazione dei nutrienti va effettuata sulla base della funzionalità deglutitoria residua, dei rischi di aspirazione e della possibilità di coprire i fabbisogni nutrizionali. L’eventuale progressione da un punto all’altro della tabella sottostante avviene in tempi e modi diversi, in base al singolo caso. Il mantenimento dell’alimentazione per via naturale è di grande importanza clinica, nonché ai fini della qualità di vita e per prevenire l’involuzione psicofisica. Outcome Funzionale e Progressione seguita nella scelta della via di somministrazione dei nutrienti Disfagia nella Patologia Acuta Disfagia nella Patologia Cronica Esordio: Lento e Progressivo Esordio: Acuto Sintomatologia: in fase iniziale spesso non Sintomatologia: quasi sempre ben evidente, evidente, vaga, sfumata, non prontamente segnalata correlata alla sede e/o alla dimensione del danno Recupero Funzionale: Limitate possibilità Recupero Funzionale: Possibile (parziale o totale) Obiettivo: Mantenimento della Residua Funzione di Obiettivo: Recupero Deglutizione Fisiologica o Deglutizione Funzionale 1 2 3 4 5 ▼ ▼ ▼ ▼ ▼ Disfagia Grave Nutrizione Entrale Totale Nutrizione Enterale (come fonte principale) + Nutrizione Orale (integrazione) Nutrizione Orale (come fonte principale) + Nutrizione Enterale (integrazione) Nutrizione Orale Modificata (con alimenti di consistenza specifica) Nutrizione Orale (con minimi accorgimenti dietetici) Deglutizione Normale 5 4 3 2 1 ▲ ▲ ▲ ▲ ▲ Impostare il Programma Nutrizionale Personalizzato Nella pianificazione dell’alimentazione per via orale del paziente disfagico si devono: Scegliere alimenti che presentino particolari caratteristiche fisiche; Proporre cibi e/o ricette invitanti, curati nella loro presentazione ed adeguati ai gusti e alle abitudini del paziente; La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 41 Combinare quest’ultimi in programmi dietetici giornalieri8, che devono risultare nutrizionalmente completi ed equilibrati nel contenuto di tutti i nutrienti: proteine, grassi, carboidrati, vitamine, sali minerali, fibre ed acqua: Gruppo della carne, pesce, uova e rispettivi derivati: ricchi di proteine e ferro; Gruppo del latte e derivati: ricchi di proteine, calcio e fosforo; Gruppo dei legumi: ricchi di proteine vegetali e fibra; Gruppo dei grassi ed oli di condimento: ricchi di energia; Gruppo degli zuccheri e dei dolci: ricchi di energia a rapido assorbimento; Gruppo dei cereali e derivati e delle patate: ricci di carboidrati; Gruppo degli ortaggi e frutta: ricchi di acqua, vitamine, sali minerali e fibre; Gruppo delle bevande: ricche di acqua. Piramide Alimentare9 Programmare il Monitoraggio Nutrizionale nel Tempo Il programma nutrizionale formulato va periodicamente rivalutato ed adattato, in collaborazione con la logopedista, in funzione delle condizioni del soggetto (miglioramento o peggioramento della deglutizione, insorgenza di complicanze metaboliche, etc.). 8 Composti da colazione, pranzo, cena ed eventualmente due o più spuntini. La Piramide Alimentare è stata elaborata a partire dalle “Linee Guida per una Sana e Corretta Alimentazione”: è suddivisa in settori orizzontali, nei quali sono inseriti, a diversi livelli, gruppi di alimenti e seguendo le sue indicazioni si possono fare scelte alimentari più corrette, qualitativamente e quantitativamente. Alla base della Piramide ci sono gli alimenti da consumare più frequentemente; salendo verso il suo vertice, troviamo quelli da limitare e/o da consumare occasionalmente. 9 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 42 Questa relazione ha il compito di trattare la Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale nel Paziente Disfagico, approfondendo l’aspetto inerente l’Alimentazione per via Orale. Alimenti Specifici per la Riabilitazione della Disfagia Sostanze Feed Back (con tracheostomia) per la Valutazione della Disfagia Ghiaccioli Colorati Sciroppi (Menta) Coloranti per Alimenti Alimenti per la Laringoscopia a Fibre Ottiche Acqua Ghiaccio Acqua Gelificata Fredda Alimenti per la Videofluorografia Liquido: Bario Liquido Liquido Denso: Succhi di Frutta, Yogurt alla Vaniglia Cremoso o Frullato di Frutta Semisolido: Budino alla Vaniglia Solido: Biscotto Alimenti per il Trattamento della Deglutizione Acqua Ghiaccio Acqua Gelificata Fredda Granite Ghiaccioli Gelati Addensanti Yogurt Cremoso10 Coloranti per Alimenti Bibite: Coca Cola, Aranciata, Sprite Sciroppi: Menta, Arancia Rossa Succhi di Frutta Frullati Bastoncino di Liquirizia Tabella tratta da: P. Cancialosi - Riabilitazione del Cerebroleso Disfagico - Edizione Minerva Medica Pag. 13. Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale in Fase Acuta Eseguire una valutazione multidisciplinare entro 24 ore dal ricovero ed iniziare un supporto nutrizionale per via orale solo se sono mantenute attive le funzioni di vigilanza, la coordinazione motoria ed il riconoscimento del cibo. In seguito a valutazione logopedica (water swallow test) si seguono 3 steps nutrizionali: 1. Ritardo di innesco della deglutizione → Possibilità di integrazione nutrizionale per os; 2. Assenza del riflesso della deglutizione o tosse importante dopo somministrazione di acqua o voce gorgogliante dopo deglutizione → Nutrizione Artificiale; 3. Inizio del compenso deglutitorio → Svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale (Dieta Starter). La deglutizione funzionale non deve avere vincoli né di consistenza né di tempo. In questa fase procedere per steps, ricordandosi che i parametri da monitorare sono la consistenza, la coesività, la necessità di masticazione, la possibilità di assumere liquidi e il mantenimento di una forma autonoma di alimentazione. Dieta Starter. Somministrare un piatto unico (semolino o crema di cereali con Ia Fase omogeneizzato di carne o pesce, olio di oliva, formaggio grattugiato, verdura cotta frullata, patate frullate, brodo vegetale filtrato). Evitare preparazioni estemporanee, se proprio non se ne può far a meno bisogna filtrare con una garza il composto per limitare la presenza di grumi ed eventuali residui fibrosi. 10 Senza pezzi di frutta. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 43 IIa Fase IIIa Fase IVa Fase Va Fase VIa Fase Somministrare un piatto unico (semolino o crema di riso o di cereali con latte, formaggino, formaggio grattugiato, olio di oliva, verdura cotta frullata, patate frullate, prosciutto cotto frullato), purea di frutta (integrata con dietetico modulare) ed acqua gelificata o bevanda addensata. Somministrare un piatto unico (semolino, omogeneizzato di carne, brodo filtrato, formaggio grattugiato, olio di oliva, verdura cotta frullata, patate frullate), mousse di frutta o banana schiacciata o yogurt cremoso, budino con amaretti finemente sminuzzati o budino di riso e crema di frutti di bosco. Somministrare glutinata o pasta di piccolo formato al sugo (morbida ben cotta con carne frullata, olio di oliva, formaggio grattugiato), mousse di formaggio insaporita con aromi o pesce o carne frullata, gelato alla crema o centrifugati di frutta addensati. Somministrare creme di verdure o passati densi con fiocchi di cereali o pastina di piccolo formato (morbida ben cotta con sughi a base di carne e verdure passate, olio di oliva, formaggio grattugiato), polpette morbide o hamburger, pane morbido (al latte o da toast), acqua a piccoli sorsi. Dieta Morbida. Somministrare pasta di piccolo formato o glutinata al sugo o passati densi di legumi con fiocchi di cereali, arrosto morbido a pezzi o polpette morbide o hamburger, frutta a piccoli pezzi (sbucciata e privata di eventuali semi), acqua a temperatura ambiente. Progressione Dietetica in Ambito Ospedaliero: Diete a Struttura e Consistenza Modificata Il Prontuario Dietetico Ospedaliero, che raccoglie gli schemi delle diete ordinarie e speciali elaborate dal Servizio Dietetico, dovrebbe costituire una guida ed il punto di riferimento nella pianificazione dei regimi dietetici. In genere, per la disfagia si ritrovano le seguenti diete a struttura e consistenza modificata: Dieta Liquida Caratteristiche - Fornisce alimenti liquidi a temperatura ambiente. Il tipo di alimenti può variare a seconda delle condizioni cliniche del paziente. Indicazioni - Tutte quelle condizioni morbose in cui è presente un’incapacità o un’impossibilità a masticare e/o deglutire. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: disordini della masticazione e/o della deglutizione, pazienti sottoposti a chirurgia del cavo orale, substenosi esofagee o gastrointestinali, pazienti con cirrosi epatica dopo trattamenti endoscopici di sclerosi o legatura di varici esofagee, lievi stati infiammatori del tratto gastrointestinale, pazienti con malattie acute. Inoltre, viene impiegata nella prima fase di svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale. Limiti - Spesso carente in nutrienti ed energia (eccetto che per proteine, calcio, acido ascorbico). Nei pazienti con importanti problematiche nutrizionali o con patologie potenzialmente causa di malnutrizione dovranno essere programmati supporti nutrizionali con integratori oppure impostare una nutrizione entrale o parenterale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 44 Gruppo Alimentare Bevande Minestre Frutta Dessert Dolcificanti Miscellanea Integratori Alimenti Raccomandati Caffè e/o the (normali e/o decaffeinati/deteinati), bevande a base di cereali, bevande gasate*, bevande aromatizzate alla frutta Brodo di carne sgrassato o vegetale Succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna) Gelatine, ghiaccioli Zucchero, miele, caramelle Sale Integratori orali ipercalorici senza scorie * Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici ° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio. # Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao. Dieta Semi-Liquida Caratteristiche - Fornisce alimenti liquidi o semi-liquidi facilmente assorbibili nel tratto gastrointestinale con residuo minimo e con scarso contenuto calorico. Il tipo di alimenti può variare a seconda delle condizioni cliniche del paziente, dai test o delle procedure diagnostiche o della chirurgia specifica alla quale deve essere sottoposto. Indicazioni - Tutte quelle condizioni morbose in cui è presente un’incapacità o un’impossibilità a masticare e/o deglutire. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: passaggio iniziale e progressivo dall’alimentazione enterale/parenterale a quella orale, preparazione dietetica per esami endoscopici del tratto gastrointestinale, preparazione ad interventi chirurgici, disturbi acuti della funzione gastroenterica, primo momento verso la rialimentazione orale per pazienti gravemente debilitati. Limiti - Spesso inadeguata da un punto di vista calorico e di apporto di nutrienti essenziali. Utilizzabile per 2-3 giorni qualora sia l’unica fonte di nutrimento. Può essere integrata con supplementi orali o per via endovenosa. Gruppo Alimentare Bevande Minestre Carni Grassi Latticini Amidi Frutta Dessert Dolcificanti Miscellanea Supplementi Alimenti Raccomandati Caffè e/o the (normali e/o decaffeinati/deteinati), bevande a base di cereali, bevande gasate*, bevande aromatizzate alla frutta Brodo di carne sgrassato o vegetale, minestre e creme passate o frullate* Nessun tipo Burro, margarina, panna Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi# Cereali raffinati cotti Succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna) Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, gelati, creme#, dolci cremosi# Zucchero, miele, caramelle, aromi naturali Sale, pepe, speziature moderate se tollerate Formule per NE *Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici ° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio. # Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 45 Dieta Frullata Caratteristiche - Fornisce cibi passati, frullati o liquidi che non necessitano della masticazione e che sono facilmente deglutibili. Indicazioni - Lesioni anatomofunzionali delle prime vie digestive (in particolare dell’esofago) e dalla mancanza di dentizione. Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: post-operatorio in pazienti sottoposti di recente ad interventi sul cavo orale, sull’esofago, dopo radioterapia del cavo orale, del faringe o dell’esofago; infiammazioni, ulcere o deficit strutturali e motori della cavità orale o dell’esofago o per pazienti privi di dentizione; fornire cibi facilmente digeribili; in fase di svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale. Limiti - Le temperature elevate dei cibi sono generalmente non tollerate. Se sono necessarie siringhe o cannule per nutrire i pazienti può essere utile addizionare dei liquidi per diluire i cibi. Gruppo Alimentare Bevande Minestre Carni Formaggi Grassi Latticini Amidi Verdura Frutta Dessert Dolcificanti Miscellanea Alimenti Raccomandati Tutte Brodo di carne sgrassato o vegetale, minestre e creme passate o frullate* Carni rosse e bianche frullate o passate Utilizzati nelle salse, nelle minestre o nei cibi cotti in pentola e passati, formaggini schiacciati Burro, margarina, panna e suoi sostituti, olio, sugo d’arrosto, salse, panna montata Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi# Cereali raffinati cotti, purè di patate Passata o tritata, succhi di verdura Passata o frullata, succhi di frutta* (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna) Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, gelati, creme#, dolci cremosi# Zucchero, miele, gelatine, aromi naturali Condimenti e spezie * Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici ° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio. # Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao. Dieta Tritata Caratteristiche - Dieta normale unicamente modificata in consistenza, ideata per rendere l’alimentazione facilitata con cibi morbidi da masticare e deglutire in funzione della tollerabilità del paziente. Indicazioni - Diffusamente impiegata nei seguenti contesti: problemi di dentizione o privi di dentizione, difficoltà masticatorie, condizioni patologiche caratterizzate da disfagia, pazienti debilitati incapaci di masticare, pazienti con disfagia secondaria a disordini neurologici, esofagei, orali, laringei o a problemi chirurgici, pazienti con stenosi del tratto intestinale, pazienti sottoposti a trattamento laser o radioterapico della cavità orale, svezzamento dalla nutrizione artificiale a quella per via orale. Limiti - Spesso il pane e gli alimenti a base di pane possono essere mal tollerati, non bisogna somministrarli routinariamente ai pazienti che presentano difficoltà di deglutizione. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 46 Gruppo Alimentare Bevande Minestre Carni Grassi Latticini Amidi Verdura Frutta Dessert Dolcificanti Miscellanea Alimenti Raccomandati Tutte Brodo sgrassato, brodo di carne, minestre e creme a base di brodo Tritata o a dadini, carni o pollame al vapore, pesci in piccoli pezzi, uova, formaggi, burro di arachidi, spezzatini Burro, margarina, panna e suoi sostituti, olio, sughi di carne, condimenti per insalata Latte, bevande a base di latte°, yogurt cremosi# Cereali cotti, patate, riso, pasta, farina bianca tipo 00, pane di segale, cracker se tollerati Soffice, cotta, senza scorza o buccia dura (piselli, mais), tritata, succhi di verdura Cotta o sciroppata senza buccia o semi, banane, tritata, succhi di frutta (eccetto quelli con polpa, quelli omogeneizzati, i succhi di pomodoro e prugna), agrumi senza scorza Gelatine, ghiaccioli, sorbetti, budini, gelati#, creme#, dolci cremosi# Zucchero, miele, gelatine, caramelle, aromi naturali Condimenti e spezie * Le bevande gasate e i succhi possono non essere tollerati da molti pazienti chirugici ° Alcuni pazienti presentano una temporanea intolleranza al lattosio nel periodo postoperatorio. La dieta deve essere modificata con la sostituzione di latte con lattosio idrolizzato o prodotti senza lattosio. # Senza semi, noci, pezzi di frutta, cacao. Modifica delle caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande Per ottenere una migliore risposta deglutitoria è consigliabile apportare una modifica ad una o più delle seguenti caratteristiche fisiche dei cibi e/o delle bevande somministrati: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Consistenza o Densità Grado di Coesione Omogeneità Viscosità o Scivolosità Volume del Bolo Temperatura Colore Sapore Appetibilità La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Diagnostico 47 1. Consistenza o Densità Per rendere più facile la deglutizione, la consistenza degli alimenti va adeguata al tipo e al grado di disfagia presente. In base alla consistenza i cibi vengono classificati in: Liquidi: acqua11, the, caffè, infusi, tisane (se privi di zucchero presentano meno rischi di infezioni polmonari). Sono utili se la difficoltà del paziente risiede nella masticazione, più problematici in caso di disfagia12 (da assumere solo se indicati dai riabilitatori); Liquidi densi: succhi di frutta, latte, yogurt da bere (bevande che possono dare luogo a infiammazioni a carico dell’apparato broncopolmonare); Semiliquidi: gelati, granite, frullati di frutta, passati di verdura, yogurt cremosi, creme (un po’ più consistenti per la presenza di particelle in sospensione, ma nei quali prevale la % liquida; non richiedono la masticazione); Semisolidi: budini, mousse, formaggi cremosi, carni crude o frullate con gelatine, omogeneizzati, polenta morbida, creme di cereali, semolini, passati e frullati più densi, gelatine salate e dolci, uova alla coque, acqua gelificata (richiedono una preparazione orale e quindi una deglutizione più impegnativa rispetto ai liquidi e semiliquidi, ma non la masticazione); Solidi: gnocchi di patate ben cotti e ben conditi, pasta ben cotta e ben condita, pasta ripiena, pesce privo di lische, soufflé, verdure cotte senza filamenti, ricotta, banane e frutta matura, frutta cotta, pane da tramezzini (richiedono un impegno maggiore nella deglutizione e nella masticazione rispetto alle precedenti consistenze, devono essere morbidi, omogenei e scivolare con facilità, senza provocare attrito al passaggio sulle pareti del canale alimentare; riservati ai pazienti con compromissione di bassa entità). Compensi Dietetici in Funzione delle Alterazioni Duglutitorie Alterazioni Deglutitorie Chiusura insuff. delle labbra Deficit di masticazione Deficit sensibilità orale Ipomobilità della lingua Ritardo d’innesco della deglutizione faringea Paralisi faringea unilaterale Ridotta peristalsi faringea Paralisi laringea unilaterale Deficit di elevazione laringea Disfunzione dello sfintere esofageo superiore Caratteristiche del cibo per il trattamento Caratteristiche del cibo per l’alimentazione Liquidi densi Liquidi, liquidi densi e semisolidi Liquidi densi (► liquido) Liquidi densi Semisolidi Liquidi densi Liquidi densi (► liquido) Semisolidi Liquidi densi Liquidi densi Liquidi densi Liquidi densi addensati Semisolidi (► solido) Sostanze fredde o gasate Liquidi densi (► semisolido) Liquidi Solidi morbidi Semisolidi Liquidi densi Semisolidi (► solido) Liquidi densi (► liquido) Semisolidi Semisolidi Il simbolo ► indica “con tendenza al …” Tabella tratta da: P. Cancialosi - Riabilitazione del Cerebroleso Disfagico - Edizione Minerva Medica Pag. 53. 11 L’acqua è l’agente più a rischio, poiché è inodore, insapore ed incolore. I liquidi possono defluire nell’area faringea spontaneamente, senza che venga stimolato il riflesso della deglutizione e quindi entrare nelle vie respiratorie pervie. 12 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 48 In base alla fase deglutitoria disturbata varia la consistenza dei cibi da somministrare e/o consigliare: Fase orale (difficoltà di preparazione orale del bolo): gli alimenti solidi poiché richiedono maggior tempo di elaborazione nel cavo orale possono essere più rischiosi, così come gli impasti collosi (mollica e saliva). I latticini in genere stimolano la produzione di abbondante muco e saliva e possono così aiutare la preparazione del bolo; tuttavia bisogna prestare attenzione perché la produzione di saliva può essere anche uno svantaggio non indifferente, soprattutto nei soggetti affetti da ipersalivazione (parkinsoniani). Fase faringea (ritardo d’innesco del riflesso deglutitorio): le sostanze liquide poiché hanno un transito orofaringeo di breve durata vengono frequentemente aspirate in trachea. Si può testarne l’assunzione usando inizialmente ghiaccio tritato su un cucchiaino, progressivamente provando con una cannuccia fino ad usare il bicchiere solo se la deglutizione è sicura. Fase esofagea (difficoltà di progressione del bolo in esofago): gli alimenti solidi possono essere maggiormente rischiosi. Gli impasti collosi (riso, mollica di pane allo strutto, etc.) tendono a fermarsi lungo il transito. L’assunzione di liquidi durante il pasto deve avvenire con cautela, in quanto in caso di marcato rallentamento del bolo in esofago, quest’ultimo funge da tappo per il liquido in arrivo, con conseguente vomito. Tollerabilità alla Consistenza dei cibi Minore Liquido Minore Maggiore Semiliquido Frullato Semisolido Solido Tipologia di cibo da utilizzare Acqua, caffè, the, latte, brodo, etc. Yogurt da bere, succo di frutta, gelato, semolino liquido, etc. Budino, creme, passato di verdure, semolino denso, purea di patate, pasta frullata con brodo, etc. Merendine, gnocchi, polenta, ricotta, stracchino, carote lesse, etc. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo Pasta, pane, carne, biscotti, etc. 49 2. Grado di Coesione Il cibo servito deve garantire la coesione (compattezza) del bolo durante tutto il transito oro-esofageo senza sbriciolarsi o frammentarsi. Sono da evitare: cracker, grissini, biscotti, pastina in brodo, riso, frutta secca. 3. Omogeneità Il cibo servito deve essere costituito da particelle di uguale consistenza e dimensione. Modifica dell’omogeneità da solido a liquido: tritato, frullato, passato, omogeneizzato, centrifugato. Sono da evitare: minestrone di verdure in pezzi, pastina in brodo, latte e cereali, yogurt con pezzi di frutta. Sono consigliati: creme e frullati senza grumi. 4. Viscosità o Scivolosità Un cibo liscio ed untuoso favorisce il passaggio dal cavo orale all’esofago, poiché scivola con facilità e non provoca attrito al suo passaggio sulle pareti del canale alimentare. Sono da evitare: cibi secchi. Sono consigliati: condimenti untuosi (olio, burro, panna, maionese, besciamella). 5. Volume del Bolo La dimensione (volume) del boccone viene definita per ogni singolo paziente in funzione del tipo di alterazione della deglutizione. In genere, il bolo deve essere piccolo, con buona omogeneità e scivolosità. 6. Temperatura Per stimolare la deglutizione sono da preferire cibi che possiedono una temperatura più calda o più fredda di 36-37 C°. Una temperatura simile a quella corporea non stimola la percezione del boccone durante le fasi della deglutizione. 7. Colore Il colore del cibo servito è molto importante per i pazienti portatori di cannula tracheale, in quanto il colore del cibo deve essere differente e distinguersi dalle secrezioni tracheo-bronchiali. Possono essere usati coloranti per alimenti. 8. Sapore È di estrema importanza rispettare quanto più possibile i gusti e le preferenze alimentari del paziente. I sapori acido, amaro e piccante possono avere effetti contrastanti: da un lato possono aumentare il rischio di aspirazione per scarso controllo linguale e/o ipomobilità faringea, dall’altro possono aiutare in caso di ridotta sensibilità orale. Il sapore acido (ad esempio cibi serviti con limone) ha l’effetto di aumentare la secrezione salivare (da evitare in caso di scialorrea) ed attivare automaticamente il riflesso della deglutizione. Possono essere utilizzate sostanze aromatizzanti (naturali o artificiali). 9. Appetibilità Per stimolare l’appetito, la presentazione complessiva e l’aspetto dei cibi serviti devono essere ben curati. Per aumentare l’appetibilità bisogna tenere separate le puree di carne da quelle di verdure, si possono utilizzare verdure dai colori vivi (broccoli, spinaci), etc. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 50 Modificatori di consistenza La consistenza dei cibi può essere modulata ed adeguata alle esigenze del paziente tramite l’impiego di additivi modificatori di consistenza: addensanti, diluenti e lubrificanti. Addensanti: in commercio esistono diverse sostanze con potere addensante, le quali sono in grado di modificare la consistenza dei liquidi in cui vengono aggiunte (latte, the, caffè, bevande, brodo, etc.), di aumentare la coesione degli alimenti e renderli più scivolosi e facilmente deglutibili. A scopo addensante possono essere utilizzati i seguenti prodotti: Fecola di Patate13. È una farina composta dall’amido delle patate, impalpabile, di colore bianco, insapore ed inodore. Va aggiunta ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della somministrazione. Dà all’impasto una consistenza trasparente, altamente viscosa e ne evita la formazione di grumi. A seconda della concentrazione utilizzata durante il raffreddamento forma un gel o una pasta. Va conservata in luogo fresco ed asciutto, separatamente da merce con odori forti. Non contiene glutine. Fiocchi di Patate Liofilizzati. Si presentano in polvere, di colore giallo-crema, sapore ed odore di patate. Vanno aggiunti ai cibi (salati) durante la loro cottura o al momento della somministrazione. Amido di Mais, Riso o Frumento. È una farina composta rispettivamente dall’amido di mais, di riso o di frumento, di colore bianco, impalpabile, insolubile in acqua fredda. Va aggiunto ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della somministrazione. Disperso in liquidi freddi, sottoposto a successiva ebollizione si rigonfia con formazione di una pasta omogenea che raffreddandosi gelifica per retrogradazione. L’amido di frumento contiene glutine. Farine di cereali. Farine ottenute dai vari cereali di colore bianco, impalpabile, insolubile in acqua fredda. Vanno aggiunte ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della somministrazione. Farine Istantanee per Lattanti (lattea o di cereali). Ne esistono una vasta gamma. Vanno aggiunte ai cibi (dolci o salati) durante la loro cottura o al momento della somministrazione. Gelatine. Ne esistono di diversi tipi (in polvere, dadi o fogli). Vanno sciolte nei cibi (dolci o salati) a caldo o a freddo. Non aggiungere mai la gelatina a liquidi bollenti, poiché in tal caso andrebbe perduto il suo potere gelatinizzante. Le gelatine non devono mai essere congelate: dopo lo scongelamento perdono la loro consistenza elastica, diventando friabili. 13 Viene estratta dalle patate danesi con un procedimento speciale che utilizza la sola acqua del sottosuolo, conferendo così un alto grado di purezza (fisico, chimico e microbiologico). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 51 Valori Nutrizionali per 100 gr di alcuni Prodotti Naturali Fecola di Patate Fiocchi di Patate Amido di Mais Amido di Frumento Farina di Riso Farina di Frumento tipo 0 Farina Lattea Energia (kcal) 346 318 327 379 360 341 415 Proteine (gr) 1,4 9,1 0,3 0,4 7,3 11,5 13,2 Lipidi (gr) 0 0,8 0 0,2 0,5 1 6,3 Glicidi (gr) 90,7 73,2 86,8 100,1 87 76,2 81,5 Amido (gr) 74,2 71,0 76,7 100,1 79,1 67,7 27,8 Addensanti istantanei. Rappresentano un presidio alimentare particolarmente utile per la preparazione delle diete per il paziente disfagico. Vanno versati sull’alimento da addensare, in quantità variabile in funzione della consistenza desiderata mescolando fino a dissoluzione, la consistenza può essere modificata con l’aggiunta di ulteriore polvere o liquido. Presentano le seguenti caratteristiche: o Preparati in polvere, di colore bianco, a base di amido di mais modificato, privi di glutine e lattosio, con contenuto di minerali basso; o Solubilità istantanea in alimenti caldi o freddi, liquidi o semiliquidi; o Mantengono le proprietà degli alimenti, non alterando né sapore, né odore e né colore delle preparazioni; o Addensano in maniera omogenea, con possibilità di ottenere un grado di densità variabile in base alle caratteristiche di scompenso deglutitorio presente (sciroppo, crema o budino, rispettivamente paragonabili alla consistenza posseduta del succo di frutta, della frutta cotta o dello yogurt/budino); o La consistenza ottenuta non si modifica e perdura nel tempo; o I prodotti addensati possono essere conservati, congelati e successivamente scongelati senza presentare alcuna alterazione della consistenza. Diluenti: per diluire i cibi si può ricorrere ad acqua, the, latte, succhi di frutta o di verdura, brodi vegetali o di carne, etc. Lubrificanti: per lubrificare i cibi si può ricorrere a burro, margarina, olio, maionese, besciamella, etc. Riabilitazione Dietetico-Nutrizionale in Fase Cronica Disfagia e Livelli di Dieta Come è stato detto più volte, la Disfagia costituisce un grosso ostacolo alla regolare assunzione alimentare, a seconda della capacità di masticare, di deglutire alimenti di consistenza diversa e di deglutire liquidi sono stati proposti quattro livelli dietoterapici. Il Servizio Logopedico di concerto con il Servizio Dietetico indicano il livello di dieta consigliato e ne stabiliscono l’eventuale progressione da un livello a quello successivo, in funzione della capacità di assumere bevande sempre più fluide, di deglutire cibi di crescente disomogeneità, di deglutire cibi che richiedono una maggiore masticazione. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 52 Dieta di 1° Livello Trova indicazione nei soggetti che presentano un’incapacità a masticare e/o a deglutire cibi solidi o liquidi o difficoltà di transito del bolo alimentare dal cavo orale allo stomaco. Per diluire i cibi si possono aggiungere bevande a base di latte, brodo, sugo di carne, olio, margarina, burro, panna, salse. Gruppo di Alimenti Generalità (a seconda della tolleranza individuale) Cereali e derivati Carni Pesci Latte e yogurt Formaggi Uova Verdure Legumi Patate Frutta Grassi Dolci Bevande Alimenti Consigliati Cibi semiliquidi, omogenei con una consistenza variabile da quella del succo di frutta a quella di una zuppa cremosa. Tutti i tipi di cerali che possono essere ben frullati, crema di grano, crema di riso, semolino, farina d’avena. Tutte le carni frullate (tenere o cotte al forno con sughi o brodi per renderle più umide, private dei legamenti e filamenti); omogeneizzati e liofilizzati in commercio; prosciutto cotto frullato finemente. Tutti i tipi di pesce privati di lische, pelle, coda, testa, ben cotti, ridotti in paté molto cremosi. Omogeneizzati in commercio. Latte e yogurt cremosi. Panna, burro, latte e besciamella sono utilizzati per aumentare la quota calorica se aggiunti ad altre preparazioni. Tutti i formaggi a consistenza cremosa. I formaggi stagionati sono consigliati grattugiati, aggiunti ad altre preparazioni. Utili per preparare creme, flan o per arricchire minestre. Tutte le verdure senza buccia, semi e filamenti, ben cotte, in purea o passate o in creme; centrifugati addensati ed omogenei. Omogeneizzati in commercio. Tutti i tipi ben cotti, privati di bucce, passati al setaccio e frullati. Previa cottura, passate al setaccio fino ad ottenere una purea omogenea. Frullati o passati di frutta fresca o cotta, privata di semi, della buccia e del torsolo. Omogeneizzati in commercio. Olio, burro, panna. Creme, budini, flan, frappè e gelatine. Seguire le indicazioni specifiche. Le bevande possono essere eventualmente addensate. Alimenti Sconsigliati Cibi che si frantumano o si sbriciolano e quelli appiccicosi. Pane, grissini, cracker, cracottes, cereali a chicco (frumento, riso, orzo, farro), tutti i preparati da forno. Tutte le carni a consistenza filamentosa che non si prestano alla frullatura. Pesci che non possono essere ben privati di lische, pelle, coda e testa. Yogurt con pezzi di frutta. Formaggi a pasta filata (mozzarella, scamorza) o troppo appiccicosi, formaggi semistagionati (taleggio, fontina) se non disciolti in preparazioni. Uova sode, omelette e frittate. Tutte le verdure crude o cotte, intere o a pezzi. Legumi interi. Intere o a pezzi. Frutta fresca intera o a pezzi, frutta secca, frutta essiccata. Caramelle dure, gomme da masticare, biscotti, torte, brioches. Seguire le indicazioni specifiche. Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1° e 2° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 19. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 53 Dieta di 2° Livello Trova indicazione nei soggetti che presentano una ridotta capacità a masticare e una deglutizione fortemente compromessa. I liquidi (acqua) possono risultare pericolosi. Gli alimenti e le bevande possono essere addensati. Gruppo di Alimenti Generalità (a seconda della tolleranza individuale) Cereali e derivati Carni Pesci Latte e yogurt Formaggi Uova Verdure Legumi Patate Frutta Grassi Dolci Bevande Alimenti Consigliati Alimenti passati (consistenza di purea o di budino cremoso). Cibi con sapori forti (speziati o in agrodolce per stimolare la salivazione e favorire il transito del bolo e in particolare il riflesso della deglutizione) Tutti i tipi di farine e cerali che possono essere ben frullati, crema di grano, crema di riso, semolino, farina d’avena. Tutte le carni frullate (tenere o cotte al forno con sughi o brodi per renderle più umide, private dei legamenti e filamenti); carni con salse o passate o mosse; omogeneizzati e liofilizzati in commercio; prosciutto cotto frullato finemente. Tutti i tipi di pesce privati di lische, pelle, coda, testa, ben cotti e passati. Omogeneizzati in commercio. Latte e yogurt cremosi. Panna, burro, latte e besciamella sono utilizzati per aumentare la quota calorica se aggiunti ad altre preparazioni. Tutti i formaggi freschi e quelli a consistenza cremosa. I formaggi stagionati sono consigliati grattugiati, aggiunti ad altre preparazioni. Utili per preparare creme, flan o per arricchire minestre. Tutte le verdure senza buccia, semi e filamenti, ben cotte e passate. Omogeneizzati in commercio. Tutti i tipi ben cotti, privati di bucce, passati al setaccio fino ad ottenere una purea omogenea. Previa cottura, passate al setaccio fino ad ottenere una purea omogenea. Tutta la fresca privata di semi, della buccia e del torsolo, ben cotta o passata. Succhi di frutta addensati o nettari. Omogeneizzati in commercio. Olio, burro, panna. Creme, budini, flan di frutta, frappè, biscotti granulati disciolti in piccole quantità di liquidi. Seguire le indicazioni specifiche. Le bevande possono essere eventualmente addensate. Alimenti Sconsigliati Cibi in pezzi o interi, con doppia consistenza (minestrine, zuppe con crostini) o non compatti (carni tritate, riso, legumi, cracker, pane), alimenti che si sciolgono in bocca (gelati o gelatine). Pane, grissini, cracker, cracottes, cereali a chicco (frumento, riso, orzo, farro). Tutte le carni a consistenza filamentosa che non si prestano alla frullatura. Pesci che non possono essere ben privati di lische, pelle, coda e testa. Yogurt con pezzi di frutta. Formaggi a pasta filata (mozzarella, scamorza) o troppo appiccicosi, formaggi semistagionati (taleggio, fontina) se non disciolti in preparazioni. Uova sode, omelette e frittate. Tutte le verdure crude o cotte, intere o a pezzi. Legumi interi. Intere o a pezzi. Frutta fresca intera o a pezzi, frutta secca, frutta essiccata. Caramelle dure, gomme da masticare, biscotti, torte, brioches. Seguire le indicazioni specifiche. Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1° e 2° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 57. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 54 Dieta di 3° Livello Trova indicazione nei soggetti che presentano una masticazione limitata ed un’accettabile deglutizione dei cibi solidi e liquidi. I cibi devono essere ben cotti, tagliati in piccoli pezzi o tritati; inoltre, devono essere eliminati le bucce, i semi e le parti filamentose o coriacee. L’uso di salse e creme può essere utile per modificare la consistenza e la viscosità dei cibi. Gruppo di Alimenti Generalità (a seconda della tolleranza individuale) Cereali e derivati Carni Pesci Latte e yogurt Formaggi Uova Verdure Legumi Patate Frutta Grassi Dolci Bevande Alimenti Consigliati Cibi soffici che non è necessario frullare. Alimenti Sconsigliati Cibi secchi e croccanti, frutti freschi o secchi, cibi crudi. Pane morbido, cereali da prima colazione, cereali, cialde, frittelle, pasta. Tutte le carni prive di legamenti e filamenti ben cotte, rese tenere con sughi e tritate; carne cruda in insalata; prosciutto cotto ed insaccati cotti. Tutti i tipi di pesce privati di lische, pelle, coda, testa, ben cotti. Latte e yogurt. Panna, burro, latte e besciamella sono utilizzati per aumentare la quota calorica se aggiunti ad altre preparazioni. Tutti i formaggi freschi e quelli a consistenza cremosa. I formaggi stagionati sono consigliati grattugiati, aggiunti ad altre preparazioni. Utili per preparare creme, flan o per arricchire minestre. Tutte le verdure senza buccia, semi e filamenti, ben cotte. Tutte le verdure in scatola e surgelate. Tutti i tipi ben cotti e/o passati al setaccio. Previa cottura, passate al setaccio fino ad ottenere una purea omogenea. Tutta la frutta fresca, privata di semi, della buccia, del torsolo, cotta o passata. Succhi di frutta. Olio, burro, panna. Creme, budini, flan di frutta, frappè, gelato, biscotti e torte morbidi, merendine. Seguire le indicazioni specifiche. Le bevande possono essere eventualmente addensate. Riso, cereali croccanti, grissini, fiocchi d’avena. Tutte le carni filamentosa. a cracker, consistenza Pesci che non possono essere ben privati di lische, pelle, coda e testa. - Tutte le verdure eccessivamente filamentose, quali sedano, finocchi, spinaci, etc. Legumi interi. Intere o a pezzi. Frutta fresca con semi e bucce grossolane, frutta secca, frutta essiccata, frutta cruda. Caramelle dure, gomme da masticare, cioccolato con nocciole intere, biscotti con frutta secca, biscotti secchi. Seguire le indicazioni specifiche. Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 19. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 55 Dieta di 4° Livello Trova indicazione nei soggetti che possono assumere cibi facilmente masticabili e che deglutiscono solidi e liquidi. I cibi devono avere una consistenza morbida; inoltre, devono essere eliminate le bucce, i semi e le parti filamentose o coriacee. L’uso di addensanti è occasionale. Gruppo di Alimenti Generalità (a seconda della tolleranza individuale) Cereali e derivati Carni Pesci Latte e yogurt Formaggi Uova Verdure Legumi Patate Frutta Grassi Dolci Bevande Alimenti Consigliati Cibi morbidi non frullati, presentati anche in piccoli pezzi o tritati. Alimenti Sconsigliati Cibi crudi, secchi, croccanti, fritti. Pane morbido o leggermente tostato, cracker, cereali da prima colazione, cereali, frittelle, pasta, riso. Tutte le carni prive di legamenti e filamenti ben cotte; carne macinata; prosciutto cotto ed insaccati cotti. Tutti i tipi di pesce privati di lische, pelle, coda, testa, ben cotti. Latte e yogurt. Panna, burro, latte e besciamella sono utilizzati per aumentare la quota calorica se aggiunti ad altre preparazioni. Tutti i formaggi freschi e quelli a consistenza cremosa. I formaggi stagionati e semistagionati sono consigliati grattugiati, aggiunti ad altre preparazioni. Utili per preparare creme, flan o per arricchire minestre. Tutte le verdure senza buccia, semi e filamenti, ben cotte. Tutte le verdure in scatola e surgelate. Tutti i tipi ben cotti e/o passati al setaccio. Previa cottura, passate al setaccio fino ad ottenere una purea omogenea. Tutta la frutta fresca, privata di semi, della buccia, del torsolo, cotta o passata. Succo di frutta. Olio, burro, panna. Creme, budini, flan di frutta, frappè, gelato, biscotti e torte morbidi, merendine. Seguire le indicazioni specifiche. Preparati molto croccanti. Tutte le carni filamentosa. a consistenza Pesci che non possono essere ben privati di lische, pelle, coda e testa. - - Tutte le verdure eccessivamente filamentose, quali sedano, finocchi, spinaci, etc. Frutta fresca con semi e bucce grossolane, frutta secca, frutta essiccata, frutta cruda. Caramelle dure, gomme da masticare, cioccolato con nocciole intere, biscotti con frutta secca, biscotti secchi. Seguire le indicazioni specifiche. Tabella Tratta da: A.V. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis - Pag. 57. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 56 Cibi da evitare anche qualora si possono mangiare alimenti solidi Anche qualora si possono mangiare alimenti solidi sono da evitare tutti gli alimenti che si sbriciolano, che sono composti da piccoli pezzi, che hanno struttura fibrosa o filamentosa. Cereali e derivati: riso (bollito, risotto, insalata di riso, riso soffiato), mais dolce in chicchi, pastina (in brodo), orzo (minestre), toast, cracker, grissini, biscotti secchi, fette biscottate. Chicchi di riso o di orzo se ben cotti e riducibili in poltiglia possono essere accettati. Legumi: se interi, piselli, ceci, fagioli, lenticchie, fave, soia. Uova: sode, fritte con pezzi di verdure. Carne: tutti i tipi di carne asciutta e/o filamentosa, carne tritata, se non incorporata a purè o a sugo denso, polpettone. Verdure: minestre di verdure in pezzi, pomodori (anche in forma di sugo se non vengono privati di buccia e semi), sedano (in nessun modo), cipolla (cotta o cruda tritata), fagiolini verdi, verdure a foglia larga crude o cotte (spinaci, carciofi, etc.), patate (senza condimento, fritte, a pezzetti). Frutta: macedonia di frutta, noci, frutta secca, agrumi a spicchi, uva, kiwi, marmellata con pezzi di buccia. Dolci: torte o dolci asciutti e/o che si sbriciolano (es. torta margherita, pasta frolla, torta paradiso, panettone, etc.). Liquidi: alcolici Quali consigli si possono dare per la preparazione e la presentazione dei cibi? Vengono di seguito riportati alcuni consigli utili nella preparazione dei cibi da proporre e servire al soggetto disfagico, ricordando sempre che la consistenza da raggiungere è determinata dalla sua capacità deglutitoria. Per modificare la consistenza dei cibi ed ottenere un composto con densità omogenea e particelle di uguale dimensione è indispensabile utilizzare idoneamente un frullatore od un omogeneizzatore. Per assicurarsi che non siano presenti particelle solide o non uniformi bisogna sempre passare i cibi frullati od omogeneizzati in un setaccio o in un colino. Prima di essere frullati od omogeneizzati i cibi devono essere ben cotti fino a diventare morbidi, devono essere tagliati a bocconcini piccoli ed ammorbiditi con sughi, salse, maionese e condimenti. Cuocere la pasta oltre il tempo di cottura produce una maggiore idratazione della stessa rendendola più viscosa (scivolosa). Prima di essere frullata od omogeneizzata la carne deve essere ben cotta e tagliata in piccoli pezzi (meglio se macinata); successivamente bisogna filtrare il composto ottenuto per rimuovere eventuali frustoli. La carne può essere sostituita dal pesce o dal prosciutto, servendosi di verdure cotte (carote o zucchine) per la frullatura. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 57 Nel somministrare cibi frullati od omogeneizzati, specialmente agli individui non autosufficienti, bisogna valutare con attenzione la loro temperatura: temperature eccessive causano scottature alla bocca. I cibi estremamente freddi sono spesso mal tollerati Il sapore dolce e quello salato sono esaltati quando gli alimenti vengono frullati. Inoltre, alcuni condimenti che rendono normalmente i cibi più forti, possono essere intensificati dalla frullatura. In genere, i cibi molto dolci non vengono tollerati per lunghi periodi di tempo. I liquidi eventualmente impiegati per diluire i cibi vanno aggiunti gradualmente, poco per volta: un eccesso può modificare sia il sapore che la consistenza da raggiungere. Per diluire i cibi, invece dell’acqua, per migliorarne il sapore ed il valore nutrizionale, è preferibile utilizzare: latte, panna, succhi di frutta o di verdure, brodo, formaggi cremosi, salsa di pomodoro, etc. L’utilizzo del latte intero, rispetto quello scremato, migliora la consistenza dei cibi frullati e ne aumenta le calorie quando non vi siano altre indicazioni terapeutiche da seguire. Se si adopera della gelatina per addensare i cibi, quando di preparano pietanze o creme a base di kiwi, ananas, papaia e/o mango, bisogna cuocere brevemente a vapore la frutta o versarvi sopra dell'acqua bollente, poiché crudi contengono un enzima che scompone le proteine, rischiando di frammentare la gelatina. Una bustina di gelatina in polvere (9 gr) corrisponde a 6 fogli di gelatina. La gelatina in fogli (colla di pesce14), facilmente reperibile nei negozi di generi alimentari, va ammorbidita in acqua fredda (3 minuti), lasciata gonfiare (2-3 minuti) ed estrarre la gelatina gonfiata strizzandola delicatamente, la quale: a) per i liquidi (o composti) caldi può essere mescolata direttamente ad essi finché non si scioglie completamente; b) per i liquidi (o composti) freddi va prima sciolta in un contenitore a fiamma bassa (non deve mai arrivare a bollire, altrimenti perde il suo effetto), aggiungendo appena sciolta solo alcuni cucchiai del composto freddo e dopo mescolare tutto il resto del composto. Aggiungere sempre il composto freddo alla gelatina e non viceversa. La gelatina può essere facilmente sciolta anche nel forno a microonde, disponendola in una ciotola e lasciarla liquefare per circa 10 secondi (max potenza), quindi procedere con la preparazione, nelle stesse modalità esposte per sciogliere la gelatina nei piatti freddi. Una gelatina alternativa di origine vegetale è l’agar-agar15 (nota anche come kanten), con sapore tenue e molto nutriente (priva di calorie, ma ricca di minerali), non altera il sapore naturale dei cibi. Nelle preparazioni richiede solo una breve cottura, ma un tempo più lungo per la solidificazione (n. 1 ora a temperatura ambiente). Usata per preparazioni salate non necessita di grandi quantità, per addensare dolci ne occorrono quantità maggiori. 14 La colla di pesce o gelatina, utilizzata in cucina come addensante, è prodotta prevalentemente con cotenna di maiale e ossa e cartilagini bovine. Del pesce, quindi è rimasto solo il nome, che deriva dal fatto che originariamente si produceva in Russia, partendo dalle vesciche degli storioni. 15 Polisaccaride naturale ricavato dalle alghe rosse appartenenti a diversi generi, con un alto contenuto di mucillagini (65%) ed arginato (sostanza gelatinosa) La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 58 Per aumentare le proteine e/o le calorie dei cibi serviti possono essere aggiunti: a) formaggio grattugiato alle minestre, alle patate, alle pietanze e alle verdure (i formaggi cremosi si sciolgono più facilmente); b) latte in polvere alle pietanze, alla purea di patate, alle minestre, ai cereali cotti, ai dolci ed alle bevande a base di latte nelle quantità di 2 cucchiai da tavola per tazza; c) uova alle bevande a base di latte, alle pietanze e ai dolci; d) burro di arachidi ai dolci o ai frappè; e) dosi extra di condimenti (anche con azione lubrificante sul bolo alimentare); f) gelati, panna montata, zucchero, miele, marmellate, sciroppi, succhi di frutta, etc.. Per minimizzare il rischio da tossinfezione da salmonella è consigliabile l’utilizzo di uova congelate o pastorizzate, così come di sostituti dell’uovo. Poiché i cibi frullati rappresentano un eccellente mezzo di coltura per la crescita dei batteri, essi devono essere refrigerati o congelati nelle ore successive alla loro preparazione o mantenuti ad una temperatura superiore ai 65°C. Le quantità eccedenti possono essere conservate congelate in dosi equivalenti a quelle di un pasto o in adeguati contenitori ricoperti di ghiaccio. Se è permesso dai riabilitatori l’uso della cannuccia16, quelle in plastica con estremità flessibile sono più comode da utilizzare e hanno diametro maggiore. Può essere utile tagliare le cannucce alla base di 2-5 cm, poiché cannucce più corte richiedono minor forza di suzione. Servire il cibo in piccole porzioni e su piatti piccoli. Per facilitare ed accelerare la preparazione del pasto, oltre agli alimenti naturali, possono essere utilizzati alimenti destinati a fini medici speciali17 e/o integratori nutrizionali. In commercio è possibile trovare pietanze, minestre e dolci in scatola, purea di patate e di cereali istantanee, omogeneizzati e liofilizzati per la prima infanzia, integratori dietetici specifici pronti per l’uso o da ricostituire. 16 Per ridurre il rischio di aspirazione è da evitare l’uso di cannucce o siringhe per la difficoltà di controllare il flusso dei liquidi e semiliquidi. 17 Alimenti speciali per l’infanzia o a consistenza modificata (già pronti per l’uso o da ricostituire). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 59 Bibliografia G. Bedogni, A. Borghi, N. Battistini - Principi di valutazione dello stato nutrizionale - EDRA s.r.l. Medical Publishing & New Media - Giugno 1999. P. Cancialosi - Riabilitazione del cerebroleso disfagico - 2007 - Edizioni Minerva Medica. E. Comi - L’alimentazione nel malato oncologico. In E. Orsi, N. Musacchio - Nutrizione Clinica e Terapia Dietetica - Febbraio 1996 - McGraw-Hill Libri Italia s.r.l. - Pagg. 261-270. J. K. Nelson, K. E. Moxness, M. D. Jensen, C. E. Gastineau - Dietologia. Il Manuale della Mayo Clinic. Alimentazione normale e terapia dietetica per gli adulti – Centro Scientifico Editore - Pagg. 71-86. S. Riso - Aspetti Nutrizionali. In Atti del Simposio Satellite Novartis “Disfagia … Cronica?” Riunione Monotematica S.I.N.P.E. - Torino, 16 novembre 2006. O. Schindler, S. Raimondo - Linee guida sulla gestione del paziente disfagico adulto in foniatria e logopedia - Consensus Conference Torino 29 gennaio 2007 - La Garangola Padova. I. Springhetti, A. Palmo, R. Galletti - Alimentazione. In V. Noto - Manuale di Ausili e Cure del Paziente Geriatrico a Domicilio - Ottobre 2003 - UTET Scienze Mediche - Pagg. 1-53. L. Triolo - Medicina per Operatori Sanitari - PICCIN Nuova Libraria S.p.A. - Pag. 363. V.A. - Guida ai Pasti della Giornata - Dieta di 1°, 2°, 3° e 4° livello per la disfagia - Novartis. V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health, trimestrale d'informazione, Estate 2001. V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health, trimestrale d'informazione, Autunno 2001. V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health, trimestrale d'informazione, Inverno 2002. V. A. - NeS Nutrizione & Salute, numero speciale di Disfagia - Novartis Consumer Health, trimestrale d'informazione, Estate 2004. S. Vaccaro - L’alimentazione nel bambino disabile: suggerimenti ed ausili utili - Meeting Internazionale Milano Pediatria 2004 - CD-ROM Atti del Congresso. S. Vaccaro - La Nutrizione Artificiale nei Pazienti Critici della Rianimazione e Terapia Intensiva Tesi di Laurea in Dietistica 2004 - Università degli Studi Federico II° di Napoli. S. Vaccaro - “Dieta ipoproteica a consistenza modificata somministrata in corso di ospedalizzazione in soggetti affetti da IRC con difficoltà alla masticazione” - Nutritional Therapy & Metabolism SINPE News - Wichtig Editore - Ottobre/Dicembre 2007 - Pag. 20. G. Vannozzi, G. Leandro - Misure dietetiche aspecifiche e diete con modifica della consistenza. In G. Vannozzi, G. Leandro - Lineamenti di Dietoterapia e Nutrizione Clinica - Febbraio 1998 - Il Pensiero Scientifico Editore - Pagg. 117-121. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 60 LA RIABILITAZIONE DIETETICO-NUTRIZIONALE: SUPPORTO NUTRIZIONALE ARTIFICIALE William Giglioli UO Lungodegenza - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La Nutrizione Artificiale si divide in due grandi branche. Una è la Nutrizione Parenterale, che consiste nell’apporto di nutrimento nel sistema venoso, l’altra è la Nutrizione Entrale, che si attua somministrando gli alimenti direttamente nel tubo digerente. La via da prediligere, se l’apparato digerente è funzionante, è quella Enterale essendo una via più fisiologica e con meno possibilità di complicanze rispetto a quella Parenterale (completezza della dieta, minori complicanze metaboliche, mantenimento del trofismo della mucosa intestinale, mantenimento della secrezione biliare e pancreatica ). La Nutrizione Enterale inoltre ha minori costi rispetto alla Nutrizione Parenterale. Le principali controindicazione alla Nutrizione Entrale sono: ileo paralitico, diarrea cronica, subocclusione intestinale, vomito ricorrente ed ischemia intestinale cronica. Le vie di somministrazione della Nutrizione Entrale sono: Intubazione nasogastrica, Intubazione naso-duodeno/digiunale, Gastrostomia (Chirurgica o PEG), Digiunostomia. Fra i principali tipi di disfagia che possono necessitare di Nutrizione Entrale possiamo ricordare: Disfagia Neurologica, Disfagia Oncologica, Disfagia Funzionale e Disfagia da Mucosite. La Disfagia Neurologica si può dividere in Disfagia Neurologica Acuta e Cronica. Nella Disfagia Neurologica Acuta bisogna iniziare la Nutrizione Artificiale non oltre le 2472 ore, soprattutto se il paziente è malnutrito. Per le prime 3-4 settimane la via iniziale di scelta è il Sondino Naso-Gastrico, mentre se la disfagia si protrae è consigliabile passare alla Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG). Nella valutazione dell’Apporto Energetico è necessario calcolare il consumo energetico basale o metabolismo basale (MB). La formula è quella di Harris-Benedict. Una volta individuato il metabolismo basale, questo valore andrà moltiplicato per un coefficiente relativo alle caratteristiche del Paziente. Se infatti il soggetto è deambulante si moltiplicherà il MB per 1,37; se il soggetto invece starà solo seduto o allettato il MB verrà moltiplicato per 1,1. Se, al contrario, è presente severa malnutrizione si dovrà arrivare gradualmente ad una quantità calorica pari al MB moltiplicato per 1,7. L’Apporto Proteico sarà 0,8-1,3 gr/Kg/die; non vi sono infatti indicazioni specifiche per questa patologia e si comparano questi pazienti alla popolazione generale. Di solito le miscele nutritive contengono in proporzioni armoniche elettroliti, vitamine ed oligoelemmenti. E’ utile valutare spesso, come sempre quando si instaura la Nutrizione Artificiale, alcuni importanti parametri: la potassiemia, il cloro, la natriemia, la calcemia, la sideremia, il magnesio, la Vit. B12 e l’ac. folico. L’apporto Idrico di riferimento è 30-35 ml/Kg/die. Bisogna ricordare che nelle miscele per la Nutrizione Enterale l’acqua è circa 800 cc ogni 1000 cc della miscela stessa. E’ sempre necessario valutare la possibilità di deglutire la saliva e verificare la presenza o meno di ipertermia, sudorazione, diarrea, vomito e poliuria. In questi casi l’apporto di acqua dovrà essere maggiore. La Nutrizione Enterale verrà sospesa quando l’assunzione di alimenti per os diverrà attuabile e coprirà il 75 % del fabbisogno nutrizionale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 61 La Disfagia Neurologica Cronica, quando instaurata, necessiterà dei medesimi interventi nutrizionali di quella acuta.. Nella Disfagia Oncologica si dovrà iniziare la Nutrizione Artificiale in presenza di malnutrizione o quando si ritiene che per 7–10 giorni l’assunzione calorica sarà insufficiente. Nei Pazienti candidati a chemio-radioterapia è necessario iniziare la Nutrizione Artificiale molto precocemente. Nelle neoplasie del distretto cervico-cefalico sottoposte a radioterapia si instaura soventemente ipogeusia, mucosite, odinofagia, xerostomia, anoressia e disosmia. Quando è presente Disfagia da Mucosità è poco adatto il SNG mentre risulta più idonea la PEG. Nella Disfagia Oncologica si moltiplicherà il Metabolismo Basale per il coefficiente 1,3– ,5; oppure si potrà somministrerà, se il Pz è deambulante, un nutrimento di 30-35 Kcal/Kg di peso corporeo ideale, mentre la quota calorica dovrà essere 20-25 Kcal/ Kg di peso corporeo ideale se il Paziente è allettato o non deambulante. L’apporto proteico sarà di 1,2-1,5 gr/ Kg di peso corporeo ideale e per quanto riguarda l’apporto idrico dovrà attestarsi sui 30-35 cc/Kg di peso attuale. La Disfagia Funzionale si può manifestare quando sono presenti disordini funzionali gastrointestinali o disturbi motori delle alte vie digestive, oppure quando sono presenti problemi psicologici - psichiatrici. In queste patologie si dovrà iniziare la Nutrizione Artificiale quando l’assunzione di alimenti diminuirà del 20-30 % rispetto alla quantità necessaria. Nelle Patologie Psicologiche Psichiatriche la decisione di iniziare la Nutrizione Artificiale sarà molto delicata e dovrà essere iniziata solo in caso di stato nutrizionale molto compromesso. La via enterale è sempre da preferirsi rispetto a quella parenterale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 62 SICUREZZA IGIENICA DEI CIBI A CONSISTENZA MODIFICATA Maurizio Rosi SIAN - Dipartimento di Sanità Pubblica - AUSL di Reggio Emilia Alimentare un paziente con problemi di disfagia nelle strutture ospedaliere ed assistenziali è un’attività che, seppure con le difficoltà e le complessità del caso, presenta delle interessanti opportunità di intervento. Nelle tante linee di indirizzo per il trattamento di questi pazienti si suggerisce, con possibili variabili a seconda della gravità, l’utilizzo di una dieta rappresentata solo da cibi che possono essere masticati e deglutiti senza pericolo: gli alimenti dovrebbero avere una consistenza cremosa, evitando cibi appiccicosi che aderiscono al palato o cibi frammentati in piccoli pezzi che si disperdono nel cavo orale e aumentano la possibilità di soffocamento. Anche gli alimenti di consistenza liquida non sono indicati ed è bene siano resi più densi utilizzando delle sostanze addensanti. Purtroppo il problema non si risolve con qualche consiglio anche se appropriato. Il paziente disfagico è una persona che vive questo disturbo con molto disagio, che tende ad alimentarsi e ad idratarsi in modo insufficiente e che ha bisogno di ritrovare il piacere del mangiare, perciò occorrono alimenti appetitosi, attraenti, adatti nella consistenza e batteriologicamente sicuri. Il senso del gusto in tutto il mondo animale è uno dei più precoci e duraturi, il piacere generato dalla percezione del sapore dell’alimento stimola e influenza il nostro comportamento sin dai primi momenti di vita, il cibo è quasi sempre collegato al nostro vissuto, a partire dalla relazione affettiva e alimentare con la madre, per arrivare alla ritualizzazione di tutti gli eventi più significativi. Così il consumo dell’alimento viene ad assumere un significato ben più profondo di un semplice apporto di nutrienti: il cibo diventa un canale di relazione con esterno del paziente che ha capacità percettive compromesse, può essere un efficace strumento per migliorare il tono dell’umore attraverso il piacere gustastivo ed evocando il ricordo positivo. Differenziare il consumo dei vari alimenti a seconda delle ore della giornata o del calendario in base agli usi consolidati dal contesto culturale, può favorire il mantenimento della scansione temporale del giorno, delle settimane, delle stagioni, del succedersi delle festività religiose e tradizionali. Il cibo è un elemento fondamentale per l’equilibrio fisico e psichico dell’organismo umano, perciò anche per l’alimentazione del paziente disfagico è necessario ricercare prodotti e metodi di somministrazione che possano garantire per quanto possibile tutti gli effetti positivi sopra ricordati. Quindi si deve garantire un prodotto di consistenza adeguata, sicuro, in modo assolvere i bisogni nutrizionali, gradevole da soddisfare l’utente, variato nelle scelte a fronte molto spesso di risorse modeste. Un obiettivo forse ambizioso al cui raggiungimento possono concorrere diverse professionalità il nutrizionista, l’igienista, il cuoco l‘economo. Intanto possiamo approfondire gli aspetti di igiene della ristorazione cercando di evidenziare i rischi, ma anche le possibili opportunità. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 63 Come si è detto occorre proporre un menù con ricca offerta di sapori, colori, profumi diversi nella giornata e nelle settimane cercando di utilizzare tutti i prodotti che il mercato offre nonché la professionalità e la fantasia del cuoco ci possono mettere a disposizione: alimenti destinati ad alimentazione particolare (ex DLgs 111/92); alimenti preconfezionati convenzionali con caratteristiche adatte all’utilizzo; cibi prodotti appositamente presso la cucina della struttura. Per tutti possiamo assicurare la sicurezza batteriologica utilizzando i criteri del sistema HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point) ovvero un sistema di autocontrollo che, analizzando i possibili pericoli e stabilendo misure di controllo del rischio, previene l'insorgere di problemi sanitari legati all’alimento. Il sistema venne ideato negli anni sessanta negli Stati Uniti con l'intento di assicurare che gli alimenti forniti agli astronauti della NASA non avessero alcun effetto negativo sulla salute che potesse mettere a rischio missioni nello spazio. L’HACCP è stato introdotto in Europa nel 1993 con la direttiva 43/93/CEE (recepita in Italia con il decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155), che prevede l'obbligo di applicazione del protocollo HACCP per tutti gli operatori a qualsiasi livello della catena produttiva alimentare. Questa normativa è stata sostituita nel 2006 dal regolamento 852/2004. I punti fondamentali del sistema dell’HACCP sono identificabili in sette principi: 1. Individuazione dei pericoli ed analisi del rischio 2. Individuazione dei CCP (punti di controllo critici) 3. Definizione dei Limiti Critici 4. Definizione delle attività di monitoraggio 5. Definizione delle azioni correttive 6. Definizione delle attività di verifica 7. Gestione della documentazione Il sistema si integra perfettamente con i processi di accreditamento e certificazioni ISO 9001- 2000. Senza addentrarci approfonditamente nelle modalità di applicazione del sistema, già da tempo utilizzate nella produzione alimentare, possiamo ipotizzare per i prodotti per disfagici i punti di maggior rischio. Queste ipotesi devo essere intese come un semplice suggerimento per i necessari approfondimenti da effettuarsi direttamente nel contesto produttivo o di somministrazione all’atto della definizione del piano di autocontrollo. Il prodotto industriale destinato ad una alimentazione particolare e da utilizzarsi tal quale o previo eventuale riscaldamento, è di norma un prodotto sterilizzato o stabilizzato ad esempio con l’utilizzo combinato di un trattamento termico, riduzione dell’attività dell’acqua, con l’abbassamento del PH o con l’utilizzo di additivi chimici. Il rischio batteriologico è rappresentato dalla possibile contaminazione intervenuta dopo l’apertura del prodotto e dalla inadeguata conservazione successiva. Val la pena ricordare che tutti i La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 64 prodotti sterilizzati o come si usa chiamarli abitualmente “a lunga conservazione” una volta aperti vanno conservati a temperatura inferiore a + 4 °C così come i prodotti deperibili. I tempi di somministrazione a volte per problemi organizzativi, più spesso per le difficoltà tipiche del paziente, possono prolungarsi nella giornata con possibilità che questi alimenti rimangano alcune ore non protetti e a temperatura ambiente con possibile sviluppo batterico. La maggior parte dei batteri non raggiunge in poche ore una carica infettante significativa per un adulto sano, ma rischiosa per un paziente debilitato con immunità compromessa. Fra i prodotti convenzionali preconfezionati adatti all’alimentazione del disfagico, troviamo in commercio prodotti “a lunga conservazione” per i quali valgono le stesse considerazioni sopra esposte, prodotti cosioddetti “freschi”, per lo più pastorizzati, che devono essere mantenuti a temperatura di refrigerazione sia durante le fasi di stoccaggio e servizio, sia dopo l’apertura della confezione, prodotti surgelati da rigenerare mediante riscaldamento che vanno conservati a temperatura negativa di - 18°C nelle fasi di stoccaggio. Per cibi prodotti appositamente presso la cucina della struttura occorre rispettare i principi del sistema HACCP come per tutti gli alimenti prodotti, un possibile elemento di rischio aggiuntivo è rappresentato dall’uso di attrezzi che frantumano e omogenizzano i cibi. Queste fasi meritano particolare attenzione per due motivi: sono effettuate quando il prodotto è già cotto e non subirà più processi di risanamento prima del consumo; si utilizzano strumenti non sempre facilmente sanabili che, quando non perfettamente gestiti, possono essere veicolo di contaminazione crociata. Queste difficoltà non devono impensierire, ma spingere ad un’attenta analisi delle fasi del processo per individuare compiutamente i pericoli, certi che esistono sempre soluzioni che consentono il controllo dei rischi a garanzia della salute del malato. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 65 LA DISFAGIA NEUROGENA: L’APPROCCIO RIABILITATIVO Valentina Stigliano U.O. M.F.R. - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia Il Fisiatra è il medico che si occupa della diagnosi, terapia e riabilitazione della disabilità, intesa come limitazione della funzione neuromotoria e cognitivo-emotiva. La sua principale caratteristica è il lavoro multidisciplinare in TEAM volto al recupero dell’autonomia dell’individuo sfruttandone le sue capacità residue. Il TEAM, incentrato sui bisogni del paziente, è costituito da diverse figure professionali comprendenti il Medico Fisiatra, l’IP, il FT, il logopedista, l’assistente sociale, l’ota/oss, il tecnico ortopedico, dal confronto tra le quali nasce la condivisione del progetto riabilitativo e degli interventi da attuare, mirati ad un training diretto del deficit e delle ripercussioni funzionali dello stesso. La nostra Unità Operativa accoglie prevalentemente pazienti affetti da esiti di Stroke in fase acuta, attraverso un iter di trasferimento dai reparti di Neurologia e Medicina Interna. Lo stroke, ischemico o emorragico, è una patologia ad origine vascolare che si manifesta clinicamente con i segni e i sintomi dovuti ad una lesione cerebrale focale, com’è la disfagia. Questa, definita come la perdita di capacità di convogliare i cibi dalla bocca all’esofago, in genere tende ad avere una buona risoluzione nella prima settimana dopo l’evento acuto e la sua persistenza è correlata ad una maggiore mortalità e morbilità per malnutrizione e complicanze respiratorie, specie nell’anziano. Le sue complicanze più temibili sono infatti l’aspirazione tracheo-bronchiale, la malnutrizione, la disidratazione, la polmonite ab-ingestis che può risultare fatale. I problemi di deglutizione nel paziente con ictus sono causati da: • Alterazioni del tono: ipertono-ipotono della muscolatura del viso, bocca e collo del lato plegico; • Alterazioni della sensibilità: ipoestesia-anestesia del viso e interno della bocca del lato plegico; • Perdita di movimento selettivo: il paziente colpito da ictus può muovere le labbra, le guance e la lingua solo in schemi globali stereotipati. Quando il paziente giunge in MFR, il riconoscimento della problematica rappresenta il primo passo per la gestione clinica, di fondamentale importanza perché da essa dipende l’efficacia della presa in carico per la prevenzione delle suddette complicanze. Il team costituito dal fisiatra, dall’IP e dalla logopedista effettua la valutazione al letto del paziente, mediante l’utilizzo di protocolli valutativi standardizzati, la redazione di schede per l’informazione e la comunicazione, il colloquio tra operatori ed utilizzatori, pazienti e loro familiari. Si inizia con approfondite anamnesi ed esame obiettivo aventi ad oggetto: • condizioni neuropsicologiche (livello di coscienza, attenzione e concentrazione, livello comunicativo); La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 66 • • • valutazione morfodinamica degli organi coinvolti nella deglutizione, delle prassie bucco-facciali, della sensibilità, dei riflessi normali e patologici, mediante apertura e chiusura della bocca, motilità della lingua, capacità di mantenere la posizione seduta; condizioni respiratorie, disfonia e tosse volontaria, eventuale presenza di cannula e sue caratteristiche; stato nutrizionale e modalità di nutrizione: orale, se in atto, autonoma, supervisionata, indipendente di solidi/liquidi o semisolidi; presenza di SNG o PEG. I test di alimentazione analizzano prevalentemente le fasi orale e faringea. Per la fase orale si analizzano le abilità di suzione e masticazione. Per la fase faringea si eseguono prove con alimenti di consistenza diversa: liquidi (water swallow test) e semisolidi. In base a questa valutazione si decidono la via di nutrizione del paziente, le modalità di nutrizione e di follow-up e infine la necessità di un programma riabilitativo. Altri strumenti a nostra disposizione per il riconoscimento della disfagia comprendono anche la videofluoroscopia, la FEES o esame videoendoscopico delle vie aeree e digestive superiori con prove di deglutizione. Una recente revisione della letteratura indica che la combinazione di approcci di screening e diagnostici dà risultati superiori rispetto all’applicazione di uno solo di questi. La prima scelta consiste nella nutrizione orale attraverso una dieta di consistenza adeguata. La nutrizione enterale (NE) è indicata quando la nutrizione per os è insufficiente o non sicura, in presenza di una normale funzione gastrointestinale. La scelta della via d’accesso deriva dalla durata presunta del supporto nutrizionale: il SNG per periodi di tempo non superiori alle 3-4 settimane, la PEG per durate maggiori. È buona norma che il paziente venga periodicamente rivalutato in modo da stabilire se vi sono miglioramenti o peggioramenti che richiedono un cambiamento nella modalità di assunzione degli alimenti. Da qui nasce la necessità e l’importanza del lavoro in team, dove ciascuna figura professionale, ognuna con le sue competenze, coopera per un unico obiettivo in comune: il paziente. L’infermiera quindi si occupa dell’igiene orale e si assicura che il paziente si nutra a sufficienza; la fisioterapista mette il paziente in condizione di potersi alimentare usando se necessario degli ausili e si occupa della sua abilità a muoversi al fine di fargli acquisire la capacità di stare seduto correttamente; la logopedista lavora col paziente mediante l’assunzione di posture e l’impiego di manovre di compenso, la modificazione delle caratteristiche reologiche (ossia la consistenza, grado di coesione, omogeneità, volume, scivolosità, temperatura, colore e sapore, appetibilità) degli alimenti, esercizi di stimolazione sensoriale con rinforzo motorio. Inoltre sia il paziente e i suoi familiari sia il care-giver devono essere opportunamente informati e istruiti su alcuni comportamenti a valenza preventiva, che devono accompagnare il momento dell’alimentazione. In questi pazienti è indispensabile adottare modalità di comportamento clinicoassistenziale il più uniforme, meticoloso e condiviso possibile, in modo da ridurre l’impatto medico-sociale. I reparti di post-acuzie che accolgono pazienti disfagici, rappresentano la sede elettiva per monitorare l’impatto assistenziale della disfagia. Si potrà iniziare un progetto più ampio di educazione e formazione del personale e dei familiari per uniformare l’approccio e ridurre le pericolose complicanze di tale patologia. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 67 RIABILITAZIONE LOGOPEDICA DEL PAZIENTE DISFAGICO Immacolata Fusaro U.O. M.F.R. - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La Riabilitazione della disfagia, e in particolare quella neurogena, si basa su un’attenta valutazione clinica e strumentale che ci consente di ottenere non solo un inquadramento globale e un apprezzamento della gravità sintomatica, ma anche una caratteristica clinica esaustiva del soggetto disfagico e del suo contesto esistenziale, allo scopo di poter disporre di tutti gli elementi necessari per la stesura di un adeguato progetto che ci porti al raggiungimento di obiettivi ragionevoli a breve e medio termine mediante un programma di interventi multidisciplinari. Prima di affrontare più in specifico le tecniche riabilitative, bisognerebbe soffermarsi su una parte fondamentale del percorso riabilitativo che è rappresentata dal paziente disfagico e dai familiari. Negli ultimi anni, il ruolo svolto dal familiare, sia dal punto di vista relazionale ed emotivo che assistenziale (mancanza di autonomia), ha acquisito un’importanza cruciale. La famiglia è a tutti gli effetti parte integrante del team riabilitativo. Il familiare o care-givers, per quanto motivati, si ritrovano in condizioni oggettivamente difficoltose, sia dal punto di vista pratico, sia dal punto di vista umano, quindi il logopedista deve essere estremamente chiaro, esaustivo e semplice nelle informazioni che fornisce e negli addestramenti attraverso un approccio il più sereno possibile. Bisogna essere altresì sicuri nel comunicare le istruzioni sul controllo della situazione, in modo da creare nei familiari il corretto convincimento che le situazioni di rischio esistono e vanno conosciute, ma sono nello stesso tempo controllabili e gestibili. E’ molto importante considerare il paziente come un individuo non isolato, ma che fa parte di un sistema, cioè in stretto rapporto, oltre che con se stesso, con le altre persone, con il mondo esterno e con la salute/vita; appartenente ad un ambiente con le sue abitudini e culture che sempre più spesso sono molto diverse; quindi la necessità di attuare un approccio globale al paziente in quanto persona e basando il rapporto paziente\operatore sanitario sulla centralità del paziente; dovrebbe essere, o almeno in parte, il protagonista della sua riabilitazione e della sua vita, e che in maniera più o meno consapevole può fare delle scelte a favore o contro il proprio recupero: è per questo che è importante che egli e\o i familiari siano sempre sufficientemente informati e d’accordo con le proposte riabilitative. Affinché, quanto sopra esposto, possa generare stimoli sufficienti ed efficaci per il miglioramento del lavoro quotidiano, occorrerà porsi degli obiettivi riabilitativi specifici raggiungibili attraverso il proporre mete semplici, graduate, a valenza emotivo-relazionale e di gradimento (per es. partendo dai gusti preferiti), comprensibili e condivisibili dal paziente anche se minimamente responsivo, che richiedono sempre un minimo di accettazione e partecipazione attiva del paziente, realistiche e contestualizzate nel suo vissuto. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 68 Dopo aver definito gli obiettivi si passerà ad individuare le strategie o i compensi, gli strumenti, i metodi, e i tempi per raggiungerli, con il coinvolgimento dei familiari. Questo tipo di approccio, che inizialmente potrebbe risultare faticoso, permette una sempre maggiore chiarezza, appropriatezza e trasparenza nel nostro lavoro; lavorare in un gruppo o in un team interprofessionale significa passare da una suddivisione di compiti specifici ad una condivisione dei compiti per il raggiungimento di obiettivi comuni e un confronto interdisciplinare può stimolare e produrre maggiori stimoli verso innovazioni, conoscenze e riflessioni. E’ importante riuscire ad avere diversi o più punti di vista sul paziente e sulle sue disabilità, instaurare approcci riabilitativi differenziati, verificare comportamenti diversi del paziente con i diversi operatori in quanto ci definisce l’outcome come il risultato complessivo di tutti gli interventi riabilitativi, e non, di tutte le figure professionali che ruotano intorno al malato. Riassumendo, per una migliore riuscita degli interventi riabilitativi è fondamentale quindi un tipo di intervento multiprofessionale e multidisciplinare, a largo spettro, per competenze e professionalità, tutte estremamente necessarie per aiutare il paziente a superare il duro impatto psicologico ed emotivo con la patologia. La disfagia soprattutto quella neurogena, con i disagi che comporta, rappresenta una situazione altamente invalidante per il paziente che deve affrontare già tutta una serie di sofferenze causate dalla sindrome neurologica. In tali condizioni è indispensabile un sostegno adeguato in grado di favorire e migliorare soprattutto il livello di consapevolezza del paziente e il ripristino delle funzioni deficitarie. Nella riabilitazione del paziente disfagico, le comuni strategie terapeutiche comprendono sia l’ottimizzazione del comportamento alimentare, sia la modifica selettiva dei meccanismi di deglutizione mediante cambiamenti posturali di testa e collo con il giusto utilizzo della forza di gravità, per facilitare il decorso del bolo, nonché di tecniche deglutitorie mirate al rinforzo dei muscoli oro-faringei, per il miglioramento della velocità e escursione dei movimenti necessari ad una efficace deglutizione. Durante il training riabilitativo bisogna tenere conto di alcuni fattori relativi al paziente: • Le sue esigenze nutrizionali e cercare di mantenere un adeguato apporto nutrizionale per prevenire o correggere un’eventuale malnutrizione; • Le sue preferenze alimentari nei limiti consentiti, cercando di proporre cibi invitanti, curati nella presentazione ed adeguati ai gusti del paziente, associandoli a programmi alimentari giornalieri equilibrati; • Il suo grado di autonomia alimentare; • Il luogo in cui viene somministrato il pasto; • Il suo livello di sicurezza alimentare scegliendo adeguatamente le idonee consistenze degli alimenti per evitare rischi di aspirazione. Il progetto riabilitativo si basa sulla combinazione di vari elementi che spaziano dalla esatta definizione del deficit, l’indicazione del trattamento individuale fino alla scelta delle tecniche più appropriate; deve inoltre tenere conto di una serie di altre considerazioni derivanti dalla tipologia del malato, dall’uso di farmaci, dalle funzioni cognitive del paziente, dai fenomeni di affaticamento, dal contesto ambientale, dall’attuazione di misure La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 69 di emergenza per eventuale soffocamento (Manovra di Heimlich), la fondamentale collaborazione attiva dei care-givers quale figura di riferimento per l’assistenza del malato nel lungo periodo. Il tutto si deve svolgere in un setting terapeutico che deve avere delle caratteristiche ben definite; deve incentrarsi soprattutto sulla relazione tra operatorepaziente-familiare mirando ad una alleanza terapeutica in cui bisogna saper ascoltare, accogliere e riconoscere i bisogni del paziente ma anche del familiare. L’ambiente deve essere tranquillo, illuminato e non rumoroso privo per quanto è possibile di troppi elementi distraenti; i tempi, i modi e gli strumenti devono essere il più possibili ottimizzati e adeguati al paziente che si ha di fronte. In letteratura possiamo ormai trovare una concordanza in merito all’iter terapeutico che si segue per il trattamento logopedico del paziente con disfagia, il quale prevede come obiettivo terapeutico una deglutizione fisiologica, cioè una deglutizione che si avvicini il più possibile alla normalità oppure una deglutizione funzionale, caratterizzata invece da una maggior durata e da maggiori limitazioni dietetiche e posturali, nonché da un piano di trattamento logopedico individuale che prevede un programma suddiviso in tre aree di intervento: “generale, aspecifica e specifica”. Per “area generale” si intende un approccio logopedico che si caratterizza in un approccio globale (olistico) nel senso di stimolare il paziente in maniera multimodale, in modo da facilitarne l’interazione con l’ambiente: miglioramento della consapevolezza del paziente relativamente al proprio corpo e alle proprie condizioni cliniche, controllo del capo e del tronco, incremento funzionale della sua memoria di lavoro e delle sue capacità attentive. Molto importanti risultano le sue capacità comunicative e relazionali soprattutto nelle fasi iniziali in quanto il paziente entra in contatto con tante figure di riferimento quali il personale di assistenza, gli infermieri, i logopedisti, i fisioterapisti, i dietisti, i medici specialisti e gli stessi familiari. In questa area si istruiscono i pazienti e i familiari a delle norme comportamentali generali: Mangiare lentamente senza distrazioni e pensando solo a quello che si sta facendo; Assumere bocconi non troppo grandi e non introdurre in bocca niente altro se non si è deglutito il boccone precedente; Emettere 2-3 colpi di tosse volontaria seguiti da atti deglutitori a vuoto ad intervalli regolari per eliminare residui di cibo in gola; Assumere liquidi solo se permesso e solo quando non ci sono residui di cibo in bocca a sorsi singoli dal bicchiere oppure utilizzando il cucchiaio o la cannuccia a seconda delle indicazioni; Parlare solo dopo aver terminato il pasto. Per “area aspecifica” si intendono le tecniche logopediche che tendono a stimolare i deficit di sensibilità degli organi deputati alla ricezione, masticazione e controllo del bolo, con interventi proporzionati alla tipologia sindromica e alla gravità delle condizioni in cui si trova il paziente. Si tratta di esercizi che mirano alla stimolazione delle aree anatomiche che hanno perso la loro specifica funzionalità in modo attivo e passivo: Stimolazione vibro-tattile di labbra, lingua, palato e guance; Escursione, stiramento e protrusione delle labbra; Escursione laterale e rotazione della mandibola; La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 70 Protrusione, stiramento e di contro-resistenza della lingua graduati in forza, velocità e precisione; Esercizi per migliorare la chiusura della rima glottica; Per “area specifica” si intende una riabilitazione logopedica che prevede tre classi di intervento: 1. Le metodiche di compenso cioè particolari manovre di deglutizione e posture facilitanti che tendono a modificare il meccanismo della deglutizione senza eliminarne la causa di malfunzionamento. L’obiettivo è quello di rendere possibile il transito oro-faringeo del bolo ed una deglutizione senza inalazioni attraverso le vie aeree. Il paziente deve avere necessariamente il controllo volontario, anche se parziale, sui movimenti coinvolti nella deglutizione e competenze cognitive necessarie per comprendere ed eseguire le manovre proposte. Le posture facilitanti sono: flessione anteriore del capo: mento sullo sterno (in caso di riflesso deglutitorio ritardato, incompetenza glottica, sposta la base della lingua indietro e allarga le vallecole e facilita il ribaltamento epiglittico); flessione laterale del capo; rotazione laterale del capo verso il lato sano (tale posizione aumenta l’apertura del SES e facilita il transito del bolo dall’emifaringe mobile); rotazione del capo verso il lato leso ( paralisi faringea unilaterale restringendo l’emifaringe ipomobile deviandone il bolo verso il lato sano); estensione del capo, ed eventualmente anche del tronco (facilita la caduta del cibo verso il basso ma può essere pericolosa se non associata alla manovra di deglutizione sovraglottica); decubito laterale (si riduce il rischio di inalazione non essendoci la caduta gravitazionale verso il basso). Le manovre facilitanti sono: manovra di Mendelsson costituita da un prolungata elevazione ioidea dopo la deglutizione, per 2-3 secondi manualmente o facendo eseguire il suono “ch” muto, in caso di insufficiente apertura del SES che porta ad un insufficiente svuotamento dei seni piriformi; manovra di deglutizione sovraglottica costituita da un respiro profondo, apnea, deglutizione,espirazione forzata, deglutizione in caso di una ritardata o insufficiente chiusura glottica evidenziata anche da una disfagia predeglutitoria; manovra di deglutizione super-sopraglottica eseguita attraverso un respiro profondo, apnea, Valsalva durante la deglutizione, espirazione forzata, deglutizione, nei casi in cui le corde vocali non si adducono completamente; deglutizione forzata per diminuita forza muscolare della lingua; chiusura del naso durante la deglutizione per insufficiente chiusura del velo pendulo. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 71 2. Le tecniche rieducative attentamente adattate a seconda dei segni clinici e strumentali, rivolte al miglioramento del deficit neuromuscolare o sensoriale e sono: Stimolazioni sensoriali del cavo orale e peri-buccale (gustative, olfattive, termiche, tattili, visive, dolorifiche, acustiche); Evocazione del riflesso di deglutizione. 3. I provvedimenti adattativi alla dieta e alle precauzioni comportamentali. Consistono in provvedimenti ed accorgimenti utili a favorire e\o migliorare l’atto della deglutizione. In questo ambito sono molto importanti le indicazioni date ai familiari o caregivers (cercare di farlo mangiare seduto o il più possibile a 45°, non parlare mentre mangia, bere liquidi alla fine del pasto, rispetto dei tempi esecutivi per alimentarsi del paziente, igiene orale, ecc.). Quanto fino ora esposto va collocato e inserito in modo selettivo all’interno di ogni trattamento riabilitativo logopedico individuale a seconda se ci troviamo di fronte ad un paziente con diagnosi di disfagia grave (o alterazione della vigilanza e della collaborazione e le indicazioni sono “niente per os”), disfagia media (alimentazione mista entrale e per os) oppure di disfagia lieve (alimentazione per os con limitazioni e modificazioni). Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA GRAVE consiste sinteticamente in: - Stimolazione dei tempi di attenzione, di esplorazione ambientale ed emotive; - Stimolazione della sensibilità peri-buccale e orale termica, tattile, vibratorie; - Trattamento neuromotorio con massaggi e prassie bucco-facciali; - Evocazione del riflesso della deglutizione; - Gestione delle secrezioni (se portatore di cannula tracheostomica); - Counseling e informazioni ai familiari; - Monitoraggio della situazione e successiva programmazione del percorso più idoneo in caso di miglioramento. Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA MEDIA consiste in: - Stimolazioni attive e passive (come nel precedente trattamento); - Gestione delle secrezioni; - Osservazione dei tentativi di deglutizione con acquagel oppure, su indicazione del foniatra, con alimenti tipo mousse o omogeneizzati; - Counseling ai familiari\caregivers; - Consulenza del dietista per le consistenze degli alimenti; - Eventuali verifiche con esami strumentali (VFS, FEES); - Monitoraggio della situazione e successiva programmazione del percorso più idoneo in caso di miglioramento. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 72 Il trattamento riabilitativo per diagnosi di DISFAGIA LIEVE consiste in: - Impiego di posture facilitanti (seduto, capo flesso anteriormente, ecc.) - Consulenza del dietista per provvedimenti dietetici come la consistenza (semi-solida, tritata, morbida, ecc.) uso degli addensanti e\o diluenti (brodo), tipologia di dieta a seconda di patologie remote del paziente (diabete, ipertensione, ecc.), consigli su temperatura e sapore degli alimenti; - Tecniche di deglutizione con utilizzo delle manovre di Mendelsson, sopraglottica, supersopraglottica,ecc. - Counseling al paziente, familiari e\o caregivers con consegna di materiale informativo. Se ci troviamo, invece, di fronte ad un paziente che alla valutazione non ha mostrato nessun segno patologico e nessuna alterazione della deglutizione, sarà possibile farlo alimentare con una dieta libera, si richiederà una consulenza del dietista se sarà necessario e comunque si effettuerà un couseling al paziente, ai familiari e\o ai caregivers. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 73 LA PIANIFICAZIONE INFERMIERISTICA AL PAZIENTE ADULTO AFFETTO DA ALTERAZIONI DELLA DEGLUTIZIONE Maura Rovatti U.O. Lungodegenza - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia La disfagia è un disturbo della deglutizione ad esordio spesso subdolo, che rende difficoltoso o impossibile il transito dei liquidi o del cibo dalla bocca all’esofago; colpisce frequentemente la popolazione anziana con percentuali che raggiungono il 40% tra coloro che vivono in residenze protette. E’ presente nella normale evoluzione del processo di invecchiamento in circa il 20% della popolazione dopo i 50 anni, ma aumenta sensibilmente fra i soggetti istituzionalizzati, fra i portatori di esiti chirurgici della bocca e del collo o di patologie neurologiche. Si stima esservi una frequenza del 20-40% nella popolazione con ictus cerebrale e Morbo di Parkinson. Essa può essere causata da diversi fattori, alcuni dei quali transitori, quando il disturbo persiste può rappresentare il sintomo di patologie sistemiche o essere una alterazione specifica dell’orofaringe; più frequentemente risulta da una alterata funzionalità della lingua e/o del faringe, anche se può essere causata da alterazioni strutturali del cavo orale (edema post-intubazione, stenosi laringee, tumori dell’ipofaringe…). Nella maggior parte dei casi è conseguente a patologia o a decadimento neurologico con conseguente limitazione delle abilità dei pazienti a cooperare alla valutazione e alla terapia, viene in differenti protocolli di valutazione della disfagia prevista una attenta valutazione dello stato cognitivo della persona e si consiglia di effettuare una misurazione con scale di valutazione dedicate come il Mini Mental Status Exame. Le conseguenze della disfagia nell’anziano sono molteplici: ab-ingestis, infiammazioni polmonari, malnutrizione, didisdratazione che vanno a sommarsi ad uno stato di salute già fragile e precario. Spesso il disturbo si manifesta in presenza di caratteristiche tipiche della senilità quali ridotta mobilità delle strutture orali e faringee, scarsa salivazione, problemi di dentatura. Individuare e riconoscere precocemente tali sintomi è di primaria importanza per la salute e il benessere dell’anziano; spesso è sufficiente rivedere il piano alimentare con alcuni semplici accorgimenti che approfondiremo in seguito per scongiurare le principali complicanze della disfagia. “L’identificazione precoce e la richiesta di consulenza sono essenziali. Il ruolo dell’infermiere, in questo processo, è di osservare, valutare, monitorare e riferire. Per una precoce identificazione dei problemi di deglutizione sono necessari la conoscenza dei fattori di rischio e i segni della disfagia, insieme con l’osservazione delle abitudini nell’assunzione di cibi/bevande, la dieta e i segni di una adeguata idratazione e nutrizione. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 74 Un individuo a rischio di avere problemi di deglutizione deve essere segnalato ad un medico o logopedista per ulteriori valutazioni. Per evitare rischio di aspirazioni, l’assunzione orale deve essere negata fino a che non si intraprenda la valutazione specialistica.” Identificazione e gestione della disfagia nell’adulto con compromissione neurologica,The Joanna Briggs Institute, 2000. Infermieri qualificati possono essere istruiti ad eseguire uno screening valutativo per la deglutizione al fine di identificare i segni e sintomi di disfagia, sono stati sviluppati strumenti di screening per aiutare gli infermieri nella loro valutazione e includono i seguenti punti: Livello di coscienza e vigilanza; Consapevolezza, orientamento, memoria, livello attentivo e impulsività; Terapia farmacologia; Forza, movimento e simmetria dei muscoli facciali, lingua e muscoli orali; Sensibilità orale e facciale; Qualità della voce e del linguaggio; Riflesso della tosse, presenza e/o forza della tosse volontaria; Risposta deglutitoria e abilità nell’eseguire la deglutizione volontaria (per facilitare la valutazione del movmento laringeo e il tempo impegnato per deglutire, mettere due dita sopra e due sotto la cartilagine tiroidea); Storia dei problemi di deglutizione; Dieta attuale. Ci sono evidenze contrastanti riguardo la valutazione del riflesso del vomito, tuttavia; ci sono evidenze per suggerire che la presenza di tale riflesso non è connessa con le abilità della persona di deglutire con sicurezza. E’ importante ricordare che quelli che aspirano non sempre presentano segni clinici di disfagia.(livello IV). Alcuni sintomi possono dare utili informazioni circa la presenza o assenza di aspirazioni, possono definirsi buoni predittori isolati la fonazione umida (qualità della voce bagnata rauca)la ridotta elevazione laringea, la tosse volontaria, qualità della voce anomale, la febbre, il livello di coscienza basso, l’età avanzata. Sono bassi predittori isolati il “Gag reflex”, i disordini comunicativi, la tosse, le radiazioni toraciche, un buon livello di coscienza, la giovane età, la sede di lesione, la soggettiva negazione di malattia. Indicano bassa probabilità di aspirazione:un buon livello di coscienza, tosse volontaria normale e assenza di tosse con somministrazione di un cucchiaio di 5ml di acqua. Indicano alta probabilità di aspirazione la qualità della voce umida e rauca e debole “gag reflex”, una ridotta sensazione faringea e tosse o variazione della qualità della voce bevendo 50 ml di acqua, stroke bilaterale e un peggioramento della tosse volontaria. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 75 Molti autori ricordano che l’effettiva valutazione della disfagia richiede l’approccio di un team multidisciplinare di cui l’infermiere è un membro integrante (livello III e IV). All’interno di un team il ruolo dell’infermiere è di : • Assicurarsi che sostanza, consistenza e tipo di cibo e liquidi siano forniti come prescritto; • Assicurarsi che l’alimentazione sia intrapresa in accordo con le tecniche specifiche raccomandate o insegnate dal logopedista o dal medico; • Assicurarsi che i farmaci siano somministrati con sicurezza; • Monitorare l’assunzione orale ed assicurare un adeguato livello di idratazione e nutrizione, l’utilizzo di un diario alimentare in questi casi è altamente raccomandato dalla letteratura di riferimento; • Assicurarsi che tutti i membri dell’equipe siano consapevoli del livello di rischio e che vengano utilizzate tecniche di alimentazione specifiche. DIAGNOSI INFERMIERISTICA (NANDA 2005-2006) COMPROMISSIONE DELLA DEGLUTIZIONE. Definizione:anormale funzionamento del meccanismo della deglutizione associato a deficit strutturali o funzionali orali, faringei o esofagei. Caratteristiche definenti: compromissione della fase faringea:alterata posizione della testa, inadeguato sollevamento della laringe, rifiuto del cibo, febbre che non ha una spiegazione, deglutizione ritardata, infezioni polmonari ricorrenti, voce gorgogliante, reflusso nasale, soffocamento, tosse o conati di vomito, deglutizioni multiple, anormalità della fase faringea. Compromissione della fase esofagea: bruciore di stomaco o dolore epigastrico, alito acido, irritabilità che non ha spiegazione intorno all’orario dei pasti, vomito sul guanciale, “ruminare”, rigurgito di materiale gastrico o eruttazioni umide, bruxismo, tosse o risvegli notturni, iperestensione della testa, inarcamento durante o dopo i pasti, rifiuto del cibo, ematemesi, vomito. Compromissione della fase orale: mancata azione della lingua a formare il bolo, suzione debole, incompleta chiusura delle labbra, cibo spinto fuori dalla bocca, rallentata formazione del bolo, cibo che cade dalla bocca, prematuro ingresso del bolo, reflusso nasale, incapacità di liberare il cavo orale, lunghi pasti con scarso consumo di alimenti, tosse, soffocamento, conati. OBIETTIVO La persona riferirà una migliorata capacità di deglutire (Indicatori: la persona e/o i familiari descriveranno i fattori causali se conosciuti, le motivazioni e la procedura del trattamento); Controllo dell’aspirazione, stato della deglutizione (NOC). La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 76 INTERVENTI INFERMIERISTICI VOLTI AL MANTENIMENTO DELL’ALIMENTAZIONE E IDRATAZIONE PER VIA ORALE. Interventi generali Precauzioni nei confronti dell’aspirazione, trattamento della deglutizione, sorveglianza, ricorso agli altri operatori e servizi,posizionamento (NOC). Accertare la presenza dei fattori eziologici o contribuenti: paralisi o paresi muscolare, compromissione meccanica delle strutture orofaringee, alterazione della consapevolezza o delle capacità cognitive. Ridurre la possibilità di aspirazione: prima del pasto accertarsi che la persona sia adeguatamente sveglia e ricettiva, sia capace di controllare la bocca, abbia il riflesso della tosse e quello faringeo; sistemare la persona nel modo corretto, avendo cura di mantenere tale posizione da 1015 minuti prima del pasto e 10-15 minuti dopo; dare indicazioni affinché la persona mantenga l’attenzione sul compito fino a quando non ha terminato la deglutizione di ogni boccone, (“faccia un respiro, porti il cibo al centro della lingua, alzi la lingua fino al palato, deglutisca, tossisca”); mantenere la corretta igiene orale; iniziare con piccole quantità e poi progredire lentamente non appena la persona si dimostra in grado di gestire ciascun stadio (pezzetti di ghiaccio, contagocce parzialmente riempito d’acqua, succo al posto dell’acqua,1/2 cucchiaino di cibo semisolido, 1 cucchiaino di cibo semisolido, purea o alimenti preconfezionati per bambini, ½ craker, dieta morbida, dieta regolare; se la persona ha subito un ictus sistemare gli alimenti sul retro della lingua e dalla parte del viso che può controllare. Dare inizio all’educazione alla salute e fornire i riferimenti indicati: insegnare esercizi di rafforzamento (Grober, 1984) per labbra e muscolatura del viso (alternare un aggrgrottamento delle ciglia ad un ampio sorriso a labbrachiuse, gonfiare le guance e trattenere, soffiare fuori l’aria a labbra socchiuse, pronunciare u, m, b, p, v, succhiare forte un lecca-lecca) per la lingua (leccare un lecca-lecca, spingere la punta della lingua contro il palato e il pavimento della bocca, contare i denti con la lingua, pronunciare la la la, ta ta ta, d, n, z, s. L’RNAO nelle linee guida pubblicate nel 1997 per la gestione del paziente con stroke definisce alcune raccomandazioni sulla gestione del paziente disfagico: Un piano riabilitativo documentato o un piano di modificazione alimentare dovrebbe essere concordato con e comunicato al paziente, ai curatori e a tutti i membri del team assistenziale. (grado C) La documentazione sullo stato nutrizionale e di assunzione di liquidi dovrebbe essere riportata quotidianamente nella cartella clinica e in quella infermieristica e regolarmente aggiornate. (grado C) La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 77 Infermieri e medici dovrebbero ricevere una opportuna educazione sulla identificazione della disfagia, sulla prognosi e possibili complicanze. (grado B) Lo staff di cucina dovrebbe ricevere informazioni e formazione per essere in grado di apprezzare l’importanza della consistenza specifica dei cibi e di riprodurli con i supplementi nutrizionali richiesti. (grado B) Il Joanna Briggs Institute nella linea guida del 2000 sul paziente adulto disfagico classifica gli interventi infermieristici raccomandati in:considerazioni prima del pasto, posizionamento, dieta, tecniche per alimentare, farmaci, monitoraggio dopo l’alimentazione e istruzioni al gruppo e alla famiglia. Considerazioni prima del pasto: L’igiene orale può stimolare la salivazione e il gusto. Assicurare un ambiente tranquillo e piacevole senza distrazioni. Controllare che l’individuo sia vigile e reattivo, ben riposato e senza dolore. Se presente xerostomia provare a dare cibi agri o acidi prima dei pasti per stimolare la produzione di saliva. Se le secrezioni orali dense sono un problema dare enzimi proteolitici, ad esempio la papaia prima dei pasti. Posizionamento: La letteratura suggerisce che il paziente sia seduto in posizione eretta con la flessione dell’anca e del ginocchio ad angolo di 90°, piedi appoggiati orizzontalmente sul pavimento o su un sostegno, tronco e testa in linea mediana, testa leggermente flessa col mento in giù;possono essere necessari dei sostegni per la testa e per il tronco, se costretto a letto, usare un’elevata posizione di Fowler con testa e collo appoggiati e il collo leggermente flesso, se la testa è instabile una mano del caregiver può sostenere la fronte (sconsigliato il collare cervicale che può impedire la deglutizione). Dieta: La sicurezza nella deglutizione può essere aumentata usando liquidi più densi e una dieta semisolida con sostanza omogenea (cibo che mantenga e formi facilmente il bolo e che non si disperda nella cavità orale). L’uso di un bolo con caratteristiche sensoriali aumentate, come temperatura, aroma e sapore forte (per esempio cibi freddi, dolci o acidi) possono stimolare una migliore deglutizione. (E’ importante che non vengano usati cibi freddi se l’individuo ha riflessi ipertonici). Una dieta con calorie e valore nutritivo elevati è essenziale per compensare la ridotta assunzione di alimenti e l’ulteriore sforzo fisico necessario per mangiare e bere. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 78 Alimenti da evitare: Cibi e liquidi a temperature estreme. Liquidi molto fluidi. Latte (può contribuire ad una eccessiva produzione di muco). Prodotti che si fondono in bocca fino a diventare liquidi (frammenti di ghiaccio, alcuni prodotti gelatinosi,gelato). Cibi contenenti consistenze miste, come per esempio, la combinazione di consistenze diverse come si trova nelle zuppe vegetali (cibi solidi e liquidi insieme). Cibi secchi e friabili. Cibi che si frammentano in tante piccole unità (per esempio, riso, pani secchi). Cibi filamentosi. Cibi che richiedono una lunga masticazione. Cibi con semi. Cibi che impastano la bocca (p.e. burro di arachidi, banane, pane bianco morbido). Tecniche per alimentare: La persona che dà da mangiare dovrebbe stare a sedere allo stesso livello, o più in basso, degli occhi di chi mangia. Evitare di chiedere all’individuo di parlare mentre mangia. Dare da mezzo a un cucchiaino da tè di cibo solido oppure circa 10-15ml di liquidi alla volta. Se l’individuo ha paralisi unilaterale,posizionare il cibo nel lato della bocca non colpita. Evitare di toccare i denti o di posizionare il cibo troppo indietro nella bocca. Permettere un tempo adeguato per alimentarsi. Incoraggiare la tosse dopo la deglutizione. L’alternanza di liquidi e solidi può aiutare a pulire la gola. Il terapista occupazionale o il logopedista possono fornire gli strumenti adatti (come una scodella modificata per prevenire l’estensione del collo). Tecniche speciali di deglutizione possono essere raccomandate dal logopedista o dal medico specialista. Se l’affaticamento è un problema (specialmente nelle malattie neuro degenerative), può essere molto efficace fare 6 piccoli pasti al giorno e/o fare il pasto principale all’inizio del giorno. Controllare se c’è qualche residuo di cibo trattenuto in fondo alla bocca. Farmaci: Per coloro che hanno una malattia come il Morbo di Parkinson o la miastenia gravis, è importante che i farmaci siano loro somministrati in orari tali da raggiungere il picco di azione durante i pasti. La somministrazione sicura dei farmaci è essenziale. Consultare un farmacista sul metodo più appropriato per somministrare il farmaco (non tutte le compresse possono essere schiacciate senza correre rischi), usando posizione, tecnica di alimentazione e consistenza appropriate. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 79 Interventi specifici relativi all’individuo con trauma cranico o demenza: La stimolazione multisensoriale prima dei pasti può migliorare la vigilanza. Orientare l’individuo nell’ambiente circostante. Predisporre un ambiente tranquillo per mangiare, senza interruzioni. Utilizzare rinforzi verbali e visivi e/o incitamenti ripetuti. Rimuovere cibi/utensili inutili, per evitare distrazioni. Offrire piccole quantità di cibo per volta. Se l’individuo ha difficoltà a concentrarsi, ci potrebbe essere bisogno di pasti più piccoli e più frequenti (fino a 6 al giorno). Se ci sono riflessi ipertonici possono essere usate diete per la desensibilizzazione orale. Per i pazienti con un deficit di memoria preparare delle indicazioni scritte sulla consistenza e quantità del cibo, e sulle tecniche di alimentazione. Dopo l’alimentazione: Controllare che non siano presenti residui di cibo e provvedere all’igiene orale. Mantenere l’individuo alzato approssimativamente dai 30 ai 60 minuti. Monitoraggio: Controllare la quantità di cibo e liquidi ingeriti dal paziente e il peso per riconoscere segni di malnutrizione o disidratazione. Monitorare i rumori respiratori e la temperatura corporea per identificare segni di aspirazione. Rivalutare regolarmente l’abilità nella deglutizione. Specifici interventi per ridurre il rischio di aspirazione: Monitorare l’effetto di farmaci tranquillanti, antiepilettici, psicotropi e neurolettici. Evitare l’utilizzo di cannucce o siringhe per la difficoltà a controllare la quantità e il flusso di liquidi. Non lasciare il paziente solo durante i pasti. Non intraprendere l’alimentazione orale dopo la rimozione di una cannula endotracheale prima che sia intrapresa la valutazione della deglutizione. Aspirare le secrezioni in eccesso. Mantenere l’attrezzatura appropriata al trattamento d’emergenza del soffocamento a portata di mano. Riportiamo infine alcuni segni e sintomi predittori di insorgenza di aspirazioni tracheali che l’infermiere deve monitorare costantemente al fine di rilevare tempestivamente la complicanza insorta: comparsa di colpi di tosse anche leggera dopo o entro 2-3 minuti dalla alimentazione. comparsa di velatura di voce o raucedine dopo deglutizione del boccone. fuoriuscita di liquido o cibo dal naso. presenza di febbre, anche se non elevata (37,5°-38°) aumento della salivazione. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 80 presenza di catarro. nel paziente tracheostomizzato controllare che durante la deglutizione la cannula sia chiusa, dopo l’alimentazione aspirare e controllare il secreto, se segni di aspirazione sospendere l’alimentazione ed eseguire rivalutazione specialistica. Bibliografia Nanda diagnosi infermieristiche, definizione e classificazione 2005-2006, c. calamandrei, casa editrice ambrosiana, milano, 2006. Identificazione e gestione infermieristica della disfagia in individui con compromissione neurologica, best practice, vol.4, issue 2, 2000 issn 1329-1874( trad: l.modena.) The cochrane library, issue 2, 2001 , bath.pmw, smithard dg:intervention for dysphagia in acute stroke. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 81 LA RIABILITAZIONE INFERMIERISTICA: PAZIENTI STOMIZZATI Casoni Lina Centro Riabilitazione Stomizzati - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova Reggio Emilia La realizzazione di un programma di Nutrizione Artificiale indirizzato ad un paziente con difficoltà alla deglutizione prevede tecniche di somministrazione alimentare adeguate a garantire il miglior effetto terapeutico con il minor rischio di complicanze ed il massimo confort per il Paziente. In sostanza il sistema deve essere in grado di garantire: • Massima accettabilità possibile da parte del paziente • Possibile reversibilità • Economicità • Minimo impegno assistenziale L’assistenza Infermieristica al Paziente a cui è stata appena impianta una PEG comporta da parte dell’Infermiera Stomaterapista: • Informazioni generali allo stomizzato o al suo care-giver • Valutazione alimentare da parte del Medico Nutrizionista • Gestione della PEG ed addestramento dello stomizzato o del care-giver in collaborazione con il Servizio Infermieristico Domiciliare. MANUTENZIONE DELLA PEG: • Utilizzare sempre le miscele nutritive in commercio, come da consiglio del medico Nutrizionista • Introdurre farmaci solo in forma liquida, evitando così l’ostruzione della PEG • Effettuare frequenti lavaggi per impedire l’ostruzione della PEG • In caso si riscontrasse la necessità di provvedere ad una sostituzione della PEG, normalmente non la si effettua prima di 15 gg dal primo impianto • Gestione quotidiana con controlli accurati • Non pinzare mai la PEG, se non con il morsetto in dotazione. ADDESTRAMENTO E MANOVRE DELL’INFERMIERE NELL’ASSISTENZA DEL PORTATORE DI PEG Procurarsi il materiale occorrente: • Guanti monouso • Carta • Acqua e sapone liquido • Garza tagliata a y La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 82 PROCEDURA • Pulizia delle mani (applicazione dei guanti) • Sospensione dell’alimentazione, controllo del ristagno gastrico • Rimozione della precedente medicazione, controllo dell’aspetto della stessa e quindi della cute • Pulizia della cute • Controllo della posizione della sonda • Controllo della pervietà • Ripristino della medicazione • Ripristino dell’alimentazione. MANUTENZIONE DELLA SONDA GASTROSTOMICA DI SOSTITUZIONE: Sovrapponibile alla manutenzione della PEG, unica differenza, la sonda gastrostomica di sostituzione è ancorata all’interno dello stomaco con un dispositivo di bloccaggio cuffiato come quello di un catetere vescicole tipo Foley con 8 cc di Acqua per preparazioni iniettabili, da rinnovare ogni 10-15 gg. Dopo un adeguato addestramento, anche questa manovra può essere effettuata dal care-giver. GESTIONE DOMICILIARE Le informazioni fornite ai portatori di PEG, di cui è previsto il ritorno in struttura protetta, sono diverse rispetto alle informazioni fornite a quei pazienti che fanno ritorno al loro domicilio. La gestione domiciliare prevede l’addestramento alle manovre di gestione all’uso della PEG da parte del paziente o del care-giver e, da parte dell’infermiera sul territorio, della corretta preparazione dell’alimentazione da infondere e della gestione della pompa infusiva. Al paziente vengono poi forniti i vari contatti telefonici, in caso di necessità. Viene stilato il programma dei controlli: di gestione, nutrizionali e per la sostituzione della PEG. FOLLOW-UP Il Follow-up proposto ai portatori di stomia è nutrizionale, relativo all’aspetto dei controlli nutrizionali, e con lo stesso accesso, controllo di gestione. In caso di necessità il paziente viene indirizzato al controllo strumentale in Endoscopia Digestiva. COMPLICANZE NELLA GESTIONE DELLA PEG Possono essere: 1) OPERATIVE 2) MECCANICHE 3) NUTRIZIONALI La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 83 OPERATIVE Relative ad una scorretta gestione del punto d’inserzione della sonda. Dopo la stabilizzazione lo stoma va gestito con una pulizia quotidiana, con acqua e sapone, salvo diverse problematiche cutanee, nessun disinfettante, nessuna medicazione a piatto. In alcuni casi, a seguito di un rallentato svuotamento gastrico si può avere una secrezione abbondante di materiale gastrico che fuoriesce dal punto d’inserzione della PEG. In questa situazione purtroppo, se non trattato adeguatamente, si rischia la contaminazione ed infezione dell’accesso nutrizionale. Sarà compito del Medico eventualmente far effettuare un tampone colturale nella zona per controllare che non si instauri un’infezione. MECCANICHE L’ostruzione della sonda è una delle complicanze più frequenti, spesso causata dalla coagulazione della miscela nutrizionale o da insufficienti lavaggi, oppure da somministrazioni di farmaci non perfettamente diluiti o polverizzati. Per risolvere la situazione si può provvedere con un lavaggio di acqua minerale naturale tiepida oppure Sodio Bicarbonato 8,4%. Non è consigliato l’uso di bevande a base di Cola, succo di ananas o altre bevande dolcificate o gassate che possono contribuire alla deneturalizzazione delle proteine presenti nelle miscele nutrizionali. Anche un frequente e ricorrente inginocchiamento della sonda o l’alterazione strutturale della stessa può contribuire all’ostruzione del dispositivo. Per quei pazienti che fanno un’alimentazione mista, integrando l’alimentazione per bocca con l’alimentazione artificiale entrale, a volte si possono scegliere soluzioni alternative, infondendo l’alimento es. di notte. NUTRIZIONALI La diarrea è tra la causa principale di una velocità eccessiva d’infusione di somministrazione o la contaminazione della miscela o della linea d’infusione. Nausea e vomito sono fattori importanti di rischio per la polmonite ab-ingestis, attenzione alla velocità d’infusione di somministrazione dell’alimentazione. La stipsi, spesso presente in soggetti a lungo allettati. Sono tutti problemi del paziente che dobbiamo imparare a gestire unitamente al medico. COMPLICANZE PSICOLOGICHE Vari sono i fattori che contribuiscono all’adattamento alla nuova condizione: La nostra vita è scandita da ritmi regolati socialmente, i pasti, i tempi del lavoro, del riposo, ecc. Anche all’interno del nucleo familiare, la vita si concentra sulle attività legate alla preparazione e al consumo dei pasti. Molti degli incontri sociali si svolgono a tavola. Tutto questo viene molto limitato se c’è un problema legato all’alimentazione, e quindi dal punto di vista sociale lo stomizzato si sente un escluso o comunque un diverso. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 84 Inoltre il portatore di PEG mal sopporta questa sonda che quotidianamente gli ricorda la sua malattia e la sua impossibilità ad alimentarsi. I pazienti con PEG, affetti da patologie tumorali hanno subito un intervento molto demolitivo, faticano ad alimentarsi, in associazione hanno fatto, o fanno una terapia radiante, hanno quindi anche difficoltà di adattamento alla malattia. Lo stomizzato associa la sonda a tutto questo: una cosa in più da rimuovere rapidamente. Bibliografia 1. 2. 3. Sidoli O. Nursing del paziente in Nutrizione Entrale Domiciliare. RINPE 2003, Anno 21(2):71- 77 Linee Guida SINPE per la nutrizione artificiale ospedaliera 2002 “Evidence-Based Nursing in Nutrizione Artificiale” RINFE 2002(aggiornamento2003); 20S5:37-43 Sidoli O. Differenti aspetti della gestione infermieristica nella nutrizione entrale (NE) e nella nutrizione parenterale (NP) La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 85 IL FOLLOW-UP NUTRIZIONALE NEL PAZIENTE DISFAGICO Mazzocchi Angela AUSL RE. Coordinatore G.I.N.A. La diagnosi e la terapia della disfagia coinvolgono importanti aspetti nutrizionali poiché questa condizione si associa frequentemente a disidratazione, carenze nutrizionali, calo ponderale. La disfagia può conseguire a patologie neurologiche, neoplastiche, degenerative . Può presentare un esordio acuto, oppure lento e progressivo; il trattamento nutrizionale del paziente disfagico ed il suo monitoraggio saranno condizionati dalla modalità di presentazione Il piano nutrizionale deve essere approntato ed adeguato alla evoluzione clinica, in stretta collaborazione con il logopedista; deve tendere a favorire una alimentazione per os il più varia e naturale possibile mantenendo nel contempo un basso rischio di aspirazione. Quando non è ancora possibile la rialimentazione per os (patologie “acute”) o quando non è più possibile coprire i fabbisogni calorico/proteici con la sola alimentazione per os (malattie cronico-dgenerative o neoplastiche), occorre prendere in esame la opportunità di instaurare una Nutrizione Artificiale (NA). L’indicazione alla NA da proseguirsi nel tempo a domicilio (NAD) viene posta su base clinica, di adeguatezza ambientale, senza trascurare le implicazioni etiche “del mantenere in vita un malato per un tempo superiore alla storia naturale della malattia”. Vi è in corso un ampio dibattito sulla scelta di nutrire artificialmente pazienti affetti da patologie prive di possibilità di guarigione. Va sottolineato tuttavia che l’età e la patologia di base non costituiscono di per sé una controindicazione alla NAD. Il follow-up del paziente disfagico deve garantire l’efficacia e la sicurezza del trattamento al di fuori dell’ambiente ospedaliero, occorre pertanto che il paziente trattato al domicilio presenti un quadro clinico stabile e che vi siano idonee condizioni socioambientali per attuare la NAD Se queste condizioni non sussistono, il trattamento nutrizionale sarà erogato in Strutture Sanitarie o Residenziali adeguate. Il Piano di monitoraggio del paziente al domicilio prevede una stretta collaborazione tra il medico di medicina generale (MMG)/pediatra di libera scelta (PdLS) ed il team nutrizionale che è responsabile del percorso diagnostico-terapeutico nutrizionale. Fondamentale in questo passaggio di informazioni è il Servizio Infermieristico Domiciliare (SID), molto attivo nella nostra provincia e regione. Con cadenza prefissata o su richiesta del MMG/PdLS, il team è in grado di attuare una valutazione clinico-strumentale per indagare il rischio di aspirazione del paziente, potenziali bisogni di modificazioni dietetiche o di approcci alternativi all’alimentazione. Questa modalità di follow-up, qualificata e specializzata per il disfagico, si avvale delle competenze del logopedista, esperto nella gestione della disfagia orofaringea, e della dietista che fornisce il raccordo tra nutrizione orale e nutrizione artificiale. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 86 Queste consulenze vengono effettuate in ambulatorio (raramente al domicilio) o, per i casi più complessi,in regime di DH o di ricovero ordinario. Viene rilasciata una breve relazione che contiene istruzioni sul posizionamento/modalità di assistenza, sui consigli dietetici e nutrizionali, sulle modificazioni dietetiche e sull’uso di compensi. Queste relazioni sono conservate nella cartella nutrizionale del paziente, strumento necessario per il corretto monitoraggio del paziente, prevista dalle linee Guida per l’accreditamento dei centri di Nutrizione Artificiale Domiciliare Nella cartella, devono essere riportati tutti i parametri di valutazione utilizzati per l’identificazione dello stato di nutrizione del paziente, le notizie utili per favorirgli una appropriata alimentazione (compresa l’autonomia e la capacità di masticazione e di deglutizione), tutte le procedure attuate per l’impostazione delle terapie dietetiche e di nutrizione artificiale, dei relativi accessi, della loro gestione e monitoraggio. E’ nella cartella nutrizionale che vanno conservati il consenso informato del malato (che testimonia l’accettazione del trattamento prescritto), il modulo che attesta l’efficacia del programma di addestramento alla gestione della NAD (firmato dal paziente), il modulo di idoneità ambientale alla NAD (che il SID ha compilato prima dell’inizio del trattamento nutrizionale domiciliare). La cartella nutrizionale deve essere compilata dai vari componenti dei team nutrizionali, secondo le rispettive competenze; deve essere conservata nella sede del team o comunque in una sede identificabile; essa costituisce un atto pubblico che permette la valutazione anche a posteriori del corretto comportamento diagnostico-terapeutico. In sintesi è necessario rivalutare il paziente disfagico con cadenza periodica, stabilita in base alla criticità delle condizioni cliniche ed alla instabilità del quadro metabolico. Questo follow-up ha la finalità di prevenire/curare le complicanze della NA, di verificare l’ efficacia del trattamento instaurato, di valutare la qualità della vita dell’assistito che è strettamente dipendente dalla malattia di base e dalla terapia in corso. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 87 PROGETTO DISFAGIA: dall’OSPEDALE al TERRITORIO (e viceversa) Angela Miriam Campani, Licia Notari Ospedale S. Anna Castelnovo né Monti AUSL di Reggio Emilia Risulta difficile parlare del follow-up al domicilio di un paziente disfagico a rischio di malnutrizione senza prima accennare al percorso di presa in carico multidisciplinare che avviene durante il ricovero in ospedale, dove ha inizio il monitoraggio, la riabilitazione e l’educazione sanitaria che proseguirà, oltre la dimissione, al domicilio o nelle strutture del territorio. L’operato del Team logopedico/nutrizionale è stato inserito in un percorso che si fa totalmente carico del paziente con disturbi della deglutizione, e dei suoi familiari e/o care giver, e che si articola in varie tappe, iniziando dall’individuazione precoce di eventuali turbe disfagiche mediante test di screening ad opera del personale infermieristico. PERCORSO A: paziente che risulta essere negativo al test. • Inizia alimentazione per os; • Prima valutazione del rischio di malnutrizione da parte del personale infermieristico (tramite semplice osservazione introiti e test MNA che consente di individuare il rischio di malnutrizione): • Assenza di rischio, il paziente si alimenta per os a sufficienza: o non necessita di nessuna valutazione da parte del team; • Presenza di rischio, il paziente si ipoalimenta: o Segnalazione al Medico dell’unità operativa (UO); o profilo PNAD (indici ematici necessari per valutazione stato nutrizionale); o attivazione del Team Nutrizionale e monitoraggio introiti con diario alimentare di 1 settimana. Il TEAM nutrizionale effettua la valutazione dello stato nutrizionale del paziente, definisce i fabbisogni e l’introito alimentare. In base ai dati raccolti il TEAM da indicazioni al supporto orale con integratori, o alla nutrizione artificiale (NA) se necessario. PERCORSO B: paziente che risulta essere positivo al test. • Segnalazione al Medico dell’unità operativa (U.O.) o Attivazione consulenza logopedica Valutazione logopedica del deficit, mediante appositi protocolli valutativi. Presa in carico riabilitativa. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 88 B 1: Paziente che non può assumere alimenti per os (punteggio alla Dysphagia Outcome and Severity Scale 1 e 2): • Segnalazione al Medico UO tramite relazione della valutazione; • Attivazione del Team Nutrizionale e profilo ematico PNAD. B 2: Paziente che può assumere alimenti per os (punteggio alla Dysphagia Outcome and Severità Scale 3 e 4): • Co-gestione del paziente con il personale del reparto, con continuo passaggio di informazioni, attraverso apposita modulistica, rispetto alla consistenza dei cibi e liquidi permessi. • Richiesta pasto adattato • Prima valutazione del rischio di malnutrizione da parte del personale infermieristico (tramite semplice osservazione introiti e test MNA che consente di individuare il rischio di malnutrizione) o Assenza di rischio il paziente si alimenta per os a sufficienza: non necessita di nessuna valutazione da parte del team; o Presenza di rischio, il paziente si ipoalimenta: segnalazione al Medico dell’Unità Operativa (UO); profilo PNAD; attivazione del Team Nutrizionale e monitoraggio introiti con diario alimentare di 1 settimana. Il TEAM nutrizionale effettua la valutazione dello stato nutrizionale del paziente, definisce i fabbisogni e l’introito alimentare del paziente. In base ai dati raccolti il TEAM da indicazioni al supporto orale con integratori, o alla NA, definendo anche la via di accesso. In previsione della dimissione il percorso riabilitativo prevede l’educazione dei parenti, e/o care giver, alla corretta gestione del deficit disfagico, in stretta collaborazione tra la logopedista ed il personale infermieristico, soprattutto nel caso di rientro al domicilio. Viene inoltre fornito un opuscolo illustrato contenente consigli utili, quale promemoria dell’addestramento ricevuto. A questo proposito il gruppo logopediste-dietiste dell’azienda sta lavorando per arricchire l’opuscolo aggiungendo ai consigli utili, indicazioni alimentari personalizzate al grado di disfagia del paziente. L’idea è di integrare con ricette, dal primo piatto al dolce, per ogni grado di disfagia. Nel caso di trasferimento in RSA vengono passate le consegne al personale infermieristico, i pazienti vengono seguiti dalla logopedista fino a quando non vengono dimessi o si considera concluso il progetto riabilitativo. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 89 Il paziente dimesso può quindi a questo punto seguire tre percorsi differenti: 1. RIENTRO AL DOMICILIO (sono in genere i pazienti con minor problematiche cliniche) • lettera di dimissione al curante. • Monitoraggio logopedico (eventuale svezzamento) con contatti con i familiari e/o visite programmate con cadenze concordate. • Monitoraggio calo ponderale, se significativo: o Segnalazione al medico di medicina di base (MMG) o Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare e esami ematici PNAD) Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratore), o con NA, viene rivalutato automaticamente dal TEAM nutrizionale sul domicilio o ambulatorialmente, con scadenza di 1-3-6 mesi. 2. RIENTRO AL DOMICILIO SEGUITI DAL S.I.D. • lettera di dimissione al curante. • consegne al personale infermieristico che effettua il monitoraggio: o segni clinici relativi alla disfagia: se peggiora attivazione logopedista o calo ponderale, introiti alimentari (test MNA); se significativo peggioramento: Segnalazione al MMG Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare e esami ematici PNAD) Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratori), o con NA, viene rivalutato automaticamente dal TEAM nutrizionale sul domicilio o ambulatorialmente, con scadenza di 1-3-6 mesi. 3. INSERIMENTO IN STRUTTURA • lettera di dimissione al curante. • consegne al personale infermieristico che effettua il monitoraggio: o segni clinici relativi alla disfagia: se peggiora attivazione logopedista o calo ponderale, introiti alimentari (test MNA): se significativo peggioramento: - Segnalazione al MMG - Attivazione TEAM nutrizionale (previa raccolta diario alimentare e esami ematici PNAD) Se il paziente è gia stato preso in carico dal TEAM nutrizionale durante la degenza e dimesso con un supporto nutrizionale orale (integratore), o con NA, viene rivalutato automaticamente dal TEAM nutrizionale in struttura. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 90 Data la notevole estensione territoriale e le scarse risorse in termini di personale risulta evidente che il monitoraggio dei pazienti disfagici a rischio di malnutrizione sul territorio non potrebbe essere così capillare se non si avvalesse della preziosa, indispensabile collaborazione delle colleghe infermiere che già vi operano. La stretta interazione fra tali figure con logopedista e dietista nasce probabilmente da una comune visione del “bisogno” dei pazienti, ed è stata facilitata dalla scelta di chiamare logopedista, capo sala del S.I.D. e capo sala delle Case Protette a far parte del Team Nutrizionale, affiancando i più classici “attori” quali farmacista, medico nutrizionista e dietista. L’abitudine a lavorare in stretta collaborazione ha reso possibile anche la bidirezionalità del percorso, così che gli specialisti possano essere attivati, dal MMG e/o dalle capo sala del territorio, ad effettuare consulenze domiciliari od in casa protetta, anche per pazienti non conosciuti ai Servizi, che possono essere valutati e gestiti al loro domicilio, ma anche essere ricoverati quando le condizioni cliniche lo richiedono. Aggiungiamo infine che: l’operato del logopedista segue le linee guida sulla gestione del paziente disfagico adulto (Consensus Conference 2007) la modulistica usata dalle logopediste del Dipartimento di Riabilitazione (protocolli valutativi, scale di valutazione, consegne al personale, ecc.) è stata concordata e condivisa dal gruppo ed è di uso comune in tutti i presidi ospedalieri dell’Azienda. U. S. L.; il monitoraggio post-dimissione dei segni clinici disfagici avviene mediante apposita “scheda di segnalazione” concordata con il personale infermieristico; per l’individuazione del rischio di malnutrizione viene utilizzato il test MNA riconosciuto dalle linee guida SINPE; l’attività del TEAM nutrizionale in ospedale e sul territorio è definita da protocolli riconosciuti a livello aziendale e formulati sulle basi di linee guida SINPE; Il buon funzionamento di tale percorso è stato garantito dal profondo rapporto di collaborazione con il personale dei reparti e del territorio, iniziato con la condivisione del percorso stesso e con un progetto di formazione, che ha riguardato tutto il personale, infermieristico ed assistenziale, delle U.O. di: Medicina e Lungodegenza, Ortopedia, Chirurgia, ed inoltre S.I.D. , R.S.A. e Case Protette convenzionate. Senza questo, forse, non saremmo qui. La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 91 L’IMPEGNO DEL SERVIZIO DIETETICO OSPEDALIERO VERSO I PAZIENTI DISFAGICI: ALIMENTAZIONE A CONSISTENZA MODIFICATA Salvatore Vaccaro Servizio Dietetico - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova - Reggio Emilia Il Servizio Dietetico Ospedaliero dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia è particolarmente sensibile alla valutazione dei fabbisogni nutritivi delle diverse tipologie di pazienti e si fa garante del miglioramento continuo della qualità della ristorazione ospedaliera. Nell’ultimo biennio (2006/2007), le attività del Servizio Dietetico sono state riorganizzate, rivalutando le prestazioni che i professionisti sanitari di ambito dietetico-nutrizionale possono garantire ai degenti assistiti nelle diverse U.U.O.O. Tra le varie attività svolte, diverse sono state rivolte proprio ai soggetti affetti da disfagia, quali ad esempio: • Rivalutazione dei pasti a consistenza modificata (ampliata la scelta dei cibi, migliorata la composizione bromatologia e la parte organolettica, informate le U.O. sulle possibili scelte e sulle indicazioni dietetico-terapeutiche dei pasti semiliquidi, semisolidi e frullati, etc.); • Rivalutazione delle diete speciali a consistenza modificata (migliorate le caratteristiche organolettiche, le diete speciali disfagia 1-2-3-4, le diete speciali tritate, etc.); • Ampliamento delle attrezzature in cucina per eseguire la modifica della consistenza (acquisto omogeneizzatori di maggiore portata rispetto a quello in dotazione, etc.); • Formazione del personale della cucina (corso di formazione/aggiornamento per operatori addetti alla cucina dietetica sulla disfagia e sulla modifica della consistenza dei cibi); • Valutazione di diversi prodotti dietetici a consistenza modificata destinati a fini medici speciali (organizzate giornate di lavoro in cui sono stati invitati tutti i coordinatori e le logopediste per testare diversi prodotti dietetici, forniti campioni omaggio di prodotti da testare con i degenti disfaici, etc.); • Predisposizione di una pagina Intranet riportante le caratteristiche, le indicazioni, etc. dei prodotti su citati (Percorso: Servizio Dietetico, Dietetico Ospedaliero, Alimenti Destinati a Fini Medici Speciali, Alimentazione a Consistenza Modificata); • Predisposizione di una scheda per la richiesta dei prodotti speciali a consistenza modificata (Percorso: Servizio Dietetico, Modulistica, Richiesta Alimenti Destinati a Fini Medici Speciali); • Predisposizione di un Registro per la rintracciabilità ed il monitoraggio dei campioni dietetici omaggio all’interno dell’ASMN; • Etc. Pasti a Consistenza Modificata allestiti in Cucina (Pranzo+Cena) Semiliquida Semisolida Frullata Totale 1.002 4.156 2003 5.158 5.138 13.237 2004 18.375 4.430 12.228 9.650 2005 26.308 2.719 8.089 20.531 2006 31.339 2.291 4.832 26.651 2007 33.774 La Disfagia: dalla Diagnostica all’Approccio Terapeutico-Riabilitativo 92