LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco 12-12-2007 13:19 Pagina 24 Un frate cappuccino ligure domò il comandante del Lager Storia di Antonino Ronco LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco 12-12-2007 13:19 Pagina 25 Recentemente, tra le carte di casa, ho trovato un estratto dal bollettino “Padre Santo”, mensile dei Cappuccini liguri, di qualche anno addietro, con un articolo siglato G.B.L. intitolato “Annie Vivanti e Padre Teodosio da Voltri”. Nella pubblicazione dei Cappuccini si rievoca l’assistenza spirituale prestata dal frate genovese alla nota scrittrice negli ultimi tempi della sua vita quando lei stessa (nata a Londra, figlia di un garibaldino esule in Inghilterra ), cresciuta nella religione anglicana, chiese di abbracciare la fede cattolica. In quella occasione Padre Teodosio si adoperò per esaudirne il desiderio e alla Vivanti, prostrata da lutti dolorosi e gravemente inferma, nell’ospedale “Maria Vittoria” di Torino, impartì prima il battesimo, quindi la comunione e infine la cresima per la quale condusse nel nosocomio il cardinale arcivescovo Maurilio Fossati. L’articolo citato era corredato da una piccola foto in cui ritrovai le sembianze del frate che avevo conosciuto nel 1940 quando, impegnato nell’assistenza agli infermi del “Maria Vittoria”, venne più volte a trovare mio padre, suo compagno d’armi nella Grande Guerra, cui lo legava una fraterna amicizia maturata negli anni del conflitto. In quella piccola immagine ho rivisto, il volto sereno e lo sguardo fermo dell’uomo che mio padre ricordava al fronte, nella uniforme di tenente cappellano, del 42 Fanteria, Brigata Modena, mentre al varco della trincea di Quota 208 Sud, battuto dal fuoco nemico, impartiva le benedizione e l’assoluzione “in articulo mortis” ai fanti che andavano all’assalto. A Torino, nella quiete dell’ambiente familiare, tra lui e mio padre si intesseva una gara di ricordi, di rievocazioni, di commenti in cui i due com- Storia militoni, recuperavano, in una commossa e lucidissima narrazione a due voci, vicende ormai leggendarie, ma rese attuali dall’incombere di un’altra analoga e più immane tragedia. Nel 1917, quando sul nostro esercito si abbatté il dramma di Caporetto, ormai da quasi tre anni il tenente Cappellano e l’Aiutante Maggiore in Prima del reggimento tenente Francesco Ronco, dividevano la pagnotta del soldato nella zona d Gorizia; anche a loro, come a molti altri militari italiani toccò l’amaro boccone di cadere prigionieri mentre, nella piana di Lucinico tentavano di raggiungere i ponti sull’Isonzo per sottrarsi all’accerchiamento. Venne così alla luce, tra un caffè, un sigaro “Roma” e qualche ghiottoneria per stuzzicare la memoria, in tutti i suoi particolari, quell’episodio inedito della vita di Teodosio da Voltri che mio padre aveva più volte ricordato in famiglia, parlando della Grande Guerra, episodio ignorato e inedito che aggiungerà una forte pennellata al ritratto postumo del frate genovese. Padre Teodosio da Voltri. Cartolina postale in franchigia per i prigionieri: edizione tedesca viaggiata con interventi della censura. A fronte Padre Teodosio, in uniforme di tenente cappellano, accanto al Cardinale Pacelli, Nunzio Apostolico a Berlino, tra i prigionieri del Lager di Halle, nel 1918. Il tenente Ronco è il primo da sinistra in seconda fila). Ufficiali italiani, attorno a un tavolino intenti a giocare a scacchi tra le brande della camerata. 25 LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco 12-12-2007 13:19 Pagina 26 Cartoline in franchigia per prigionieri di diversi Lager (Russenlager, Mathausen, ecc.). Disarmati e scortati, i prigionieri italiani furono avviati verso una stazioncina da dove il viaggio sarebbe proseguito in tradotta. Marciarono per due giorni con tempo piovoso. Raggiunta la stazione, in attesa del treno, si accamparono all’aperto sul terreno umido, schiena contro schiena. Avevano freddo e fame; le poche riserve dei tascapane erano ormai esaurite e non c’era speranza di avere altro che pezzi di grossi pani di patate e una broda calda che spacciavano per caffè. Ad un tratto avanzò tra i prigionieri un sottufficiale tedesco, che in lingua italiana, sull’esterefatto uditorio lasciò cadere queste memorabili parole: “Chi volesse mangiare ancora una volta la pastasciutta, si presenti dietro la stazione”. Quella notizia ebbe su quella folla gri- 26 gioverde l’effetto di un soffio di vento tra gli arbusti, suscitando un grande brusio. La cronaca non registrò chi fu il primo a scuotere la testa ma, lentamente, il brusio si spense: chi si era alzato tornò a sedersi. Il tedesco passò tra i vari gruppi ripetendo il suo invito, ma pochi o degnarono di uno sguardo. Durante la notte i prigionieri presero posto sul treno e, passate le Alpi, all’alba, qualcuno si accorse che il convoglio viaggiava verso ponente, cosa che fece cadere l’ipotesi che la meta fosse un Lager denominato Mathausen, da dove arrivavano ai parenti cartoline di soldati italiani rimasti in mano agli austriaci. Loro erano stati catturati dai tedeschi e quindi erano, evidentemente, diretti in Germania. Viaggiarono per due giorni attraver- so la Foresta Nera, a strappi, con lunghe soste, per lasciare il passo ai convogli carichi di uomini, di cannoni, di cavalli avviati verso l’Italia per alimentare l’offensiva e incalzare gli italiani in ritirata verso il Piave. Al mattino, nel vagone degli ufficiali Padre Teodosio disse la Messa con gocce di vino mendicato da chi aveva potuto salvare la borraccia sporca. Nel secondo giorno, da un ferroviere tedesco che aveva lavorato sull’Oriente Express vennero finalmente a sapere che quel convoglio li avrebbe condotti a Rastatt, una città della valle del Reno. Li attendeva un grande Lager che, dai primi ospiti, aveva ereditato il poco allettante nome di Russenlager. Era una enorme e rudimentale struttura che veniva usata come centro di smistamento; la speranza che ci sarebbero rimasti poco fu l’unico aspetto confortante di quella tappa che, per il resto, lasciava soltanto la scelta tra freddo, fame, parassiti e disciplina ferrea. Dopo un mese e più, fu quindi salutato come un dono del Cielo l’annuncio che sarebbero stati presto trasferiti altrove. La nuova destinazione aveva, se non altro, un nome più rassicurante del “Russenlager” di Rastatt. Si trattava dell’Offizier Lager di Halle, sul fiume Saale, affluente dell’Elba, non lontano da Berlino. Ad Halle furono sistemati in antichi edifici, in camerate con pareti bianche e alte volte, brande da caserma, pagliericci e coperte. La zuppa calda venne considerata un progresso prima ancora di conoscerne gli ingredienti. Sembrava certo che lì avrebbero atteso la fine della guerra, comunque le cose fossero andate in Italia. Ma gli aspetti negativi della nuova sistemazione non tardarono a venire a galla: la quotidiana “sbobba” era calda, ma consisteva in un miscuglio di pezzi di patate, di rape, di torzoli di cavolo e carote bolliti e conditi con Storia LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco 12-12-2007 13:19 Pagina 27 Cartoline italiane per la spedizione di pane ai prigionieri. grasso di foca. Molti prigionieri soffrivano anche per la mancanza di tabacco per cui, i più disperati, si diedero a fumare la paglia dei pagliericci e certe misteriose misture di foglie secche, avvolte in carta da giornale, che circolavano per il campo. Queste inalazioni ebbero come conseguenza il moltiplicarsi dei casi di affezioni polmonari, con edema ed emottisi. Contribuivano ad aggravare queste sintomatologie le regole del campo, comandato da un colonnello, dove la giornata, con qualunque tempo, cominciava con un’adunata all’aperto nelle più fredde ore del giorno, adunata che spesso si prolungava per appelli, controlli, sopralluoghi nelle camerate e così via. Il problema più grave, per i prigionieri, era però la mancanza di pane. Ad ogni camerata veniva consegnata una specie di lingotto nero, chiamato pane, in realtà un impasto mal cotto di crusca e patate, che doveva essere diviso tra dieci o dodici uomini affamati: incarico che i tedeschi lasciavano volentieri ai prigionieri. L’impresa però era disperata: si reperirono dei doppi decimetri con i quali, apposite commissioni, democraticamente elette, provvedevano a suddividere il cosiddetto pane in fette il più possibile equivalenti; ma le proteste erano quasi quotidiane e i Commissari restavano poco in carica. Con il freddo di novembre e dicembre, le soste all’aperto, la paglia al posto del tabacco, la “sbobba” di patate e rape, nel campo si cominciò a morire. Le delegazioni incaricate di presentare le proteste “per via gerarchica” non ottenevano nulla; si stava determinando un’atmosfera pericolosa. E fu così che un mattino dalle file dei prigionieri usci un soldato con la croce sul petto e chiese un colloquio con il Comandante. Gli fu concesso per il giorno dopo a “l’ora della conta”. Storia Le rade lampade del campo lottavano con l’incerta luce dell’alba che apriva vuoti luminosi nel terreno bagnato, quando il colonnello si portò al centro del quadrato e fece cenno al sacerdote di avvicinarsi. Tramite l’interprete, che era un giovane ufficiale diventato, in seguito, un’alta personalità del regime nazista, Padre Teodosio avanzò la sua protesta concludendo: “Noi siamo prigionieri di guerra, protetti dagli accordi internazionali, non condannati a morte; il trattamento in questo campo è causa...”. A questo punto il Comandante lo interruppe con una frase che tutti compresero, anche se urlata in tedesco: “Io posso farla fucilare per questo, lei sobilla i prigionieri...”. Rispose Padre Teodosio: “So bene che lei può farmi fucilare, ma tenga presente che domani la cosa si saprà a Berlino e quindi in Vaticano...”. Intervenne l’interprete, il colloquio ebbe termine e il Comandante si allontanò visibilmente infuriato. I prigionieri schierati in quadrato, con temperature sottozero, avevano sulla fronte il sudore gelato. Caso volle che, mentre si attendevano le conseguenze di quel colloquio, giunse l’annuncio che si preparava una visita al Lager di Halle (e non solo a quello, ndr) del Cardinale Eugenio Pacelli, Nunzio Apostolico a Berlino. Il Prelato giunse infatti; celebrò la Messa, parlò con i prigionieri e accompagnato da Padre Teodosio e dall’interprete visitò l’infermeria, le camerate e assistette al rancio dei prigionieri, spie- 27 LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco 12-12-2007 gando che in Germania vigeva un rigoroso razionamento e che il cibo destinato ai prigionieri era poco diverso da quello per il personale del campo: assicurò comunque il suo interessamento. La visita del futuro Pontefice, che a Berlino godeva di grande stima, ebbe qualche riflesso positivo. Padre Teodosio (tra i tedeschi del campo perdurò la convinzione che fosse stato lui a provocare quella visita) ebbe, tramite l’interprete, qualche “severo consiglio” del Comandante, ma sotto alcuni aspetti la situazione generale migliorò. Fu cambiato il luogo e l’ora delle “adunate per la conta” e i prigionieri, con il sopraggiungere di una stagione più mite, ebbero l’autorizzazione ad uscire in gruppi scortati, e visitare la città. Questa concessione era subordinata ad un giuramento (con tessera bilingue e fotografia) che trasformava qualsiasi tentativo di fuga (un diritto normalmente riconosciuto ai militari prigionieri di guerra) in un reato da pena di morte. La questione delle razioni viveri, che 28 13:19 Pagina 28 restava sempre l’aspetto più dolente per i prigionieri, migliorò sensibilmente con il perfezionamento del servizio pacchi. Provvidenziale per i prigionieri fu la grande mobilitazione, in patria, di famiglie, enti e comitati assistenziali, impegnati a far giungere nei Lager viveri di ogni sorta e generi di conforto, attraverso il servizio gestito dalla Croce Rossa e assecondato da organizzazioni e Comitati sorti un po’ dovunque, tra cui un sevizio speciale per il pane. L’organizzazione assistenziale curò l’afflusso nei Lager (quello di Halle come Offizier Lager era forse tra i privilegiati) di viveri e indumenti, che alleviò sensibilmente le sofferenze dei militari. Un aspetto restò sempre precario (specie dopo Caporetto, per le migliaia di soldati rimasti in mano nemica) e cioè i tempi d’inoltro della enorme massa di pacchi di generi vari, diretti in Austria e in Germania, con il contenuto che arrivava al destinatario ormai deteriorato. Per fare un solo esempio, non certo isolato, un pacco spedito dalla Liguria ai primi di gennaio 1918 giunse ad Halle nel mese di aprile. Comunque l’arrivo dei pacchi (sempre controllati dai servizi di censura), cominciò ad affollare le mensole disposte sopra le brande con scatole, sacchetti, bottiglie, libri insieme a foto di fidanzate, mogli e neonati, fissate alle pareti. La possibilità di uscire dal campo dava poi modo, a chi aveva soldi, di acquistare libri, materiale di studio e cartoline (ma non spedirle). Qualcuno ne approfittò per imparare il tedesco, cosa che lo fece includere, dopo l’armistizio, tra gli incaricati di recuperare i militari italiani che avevano accettato di lavorare nelle fattorie e nelle industrie tedesche, qualcuno dei quali, che nel frattempo si era fatto una famiglia “tedesca”, chiese di restare in Germania, “vincitore e vinto insieme”. Cartoline illustrate con vedute della città di Halle acquistate da un prigioniero durante le uscite. Storia LA CASANA 024-029:24-29 Lagher-Ronco Storia 12-12-2007 13:19 Pagina 29 29