CIRCOLARE N. 40
Roma, 17 luglio 2007
Il finanziamento della Società a responsabilità limitata
SOMMARIO
1. Il finanziamento dei soci all’impresa e la fattispecie dell’art. 2467 c.c.
2. La qualificazione e l’àmbito del finanziamento anomalo dei soci
3. La regola della postergazione
4. Il diritto di credito dei soci finanziatori nella procedura concorsuale
5. I creditori postergati nel sistema delle classi dei creditori
6. Il rimborso del finanziamento
7. L’emissione di titoli di debito
8. La categoria dei titoli di debito
9. Analisi della disciplina
PROVVEDIMENTI COMMENTATI
art. 2467 c.c.
art. 2483 c.c.
Il finanziamento della Società a responsabilità limitata
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ALLE ASSOCIATE
La riforma del diritto societario ha ampliato le modalità di finanziamento delle società di
capitali. In particolare, con riferimento alle società a responsabilità limitata, accanto ai
tradizionali canali finanziari – il credito bancario e l’autofinanziamento – si aggiunge per la
prima volta l’emissione di strumenti di debito.
Le modifiche mirano a favorire la crescita e la competitività delle piccole e medie
imprese, tutelando, al contempo, i creditori sociali dal rischio di comportamenti opportunistici
dei soci. In particolare, rispondono a queste finalità due nuove disposizioni nella disciplina
delle s.r.l.: gli articoli 2467 e 2483 c.c.
L’art. 2467 c.c. prevede che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società
sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. La norma comporta, da un lato,
il pieno riconoscimento della legittimità dei rapporti creditizi tra socio e società, quale utile
strumento per accrescere la flessibilità della struttura finanziaria e conseguire, entro limiti
prefissati dal legislatore, vantaggi fiscali. D’altro lato, la disposizione mira a impedire che i
soci possano ricorrere a forme di finanziamento diverso dall’apporto di capitale di rischio per
trarre vantaggio dal minor rigore del regime dei prestiti rispetto a quello dei versamenti a
capitale, a scapito degli altri creditori sociali, nelle situazioni di crisi dell’impresa1.
L’art. 2483 c.c. prevede la possibilità per le s.r.l. di ricorrere all’emissione di strumenti
finanziari di debito; l’apertura al mercato è, però, contemperata dalle esigenze di tutela dei
terzi, per cui i titoli di debito possono essere destinati ai soli investitori professionali soggetti
a vigilanza prudenziale.
Comune alle due norme è la tutela rafforzata dei terzi in caso d’insolvenza della
società. Nel caso di finanziamenti dei soci, grazie alla regola della postergazione, il creditore
sociale non vede diminuire il patrimonio netto della società su cui rivalersi, in sede di
procedure concorsuali o esecuzione collettiva; nel caso di emissione di titoli di debito, gli
investitori professionali sono tenuti a garantire il credito nei confronti di tutti i soggetti che non
ottengano dalla società il rimborso dei titoli di debito.
Il favore del legislatore verso forme plurime di finanziamento per la s.r.l. emerge anche
dal regime dei conferimenti, in particolare dalla possibilità per i soci di conferire prestazioni
d’opera e servizi, garantite da polizza di assicurazione o fideiussione bancaria (art. 2464
c.c.).
La nuova disciplina della s.r.l., per il carattere personalistico che la connota
maggiormente dopo la riforma, sembra quasi privilegiare la possibilità di partecipare alla
compagine societaria mediante prestazioni spiccatamente personali, quali la propria opera o
le proprie conoscenze, rispetto a una partecipazione fondata sul solo diritto di proprietà del
capitale2.
Nell’esame della disposizioni citate, assume rilievo la disciplina fiscale, come riformata
dal d.lgs. 344/2003, che ha previsto, all’art. 98 T.u.i.r.3, l’istituto della thin capitalization: esso
limita la deducibilità degli oneri finanziari riferibili ai finanziamenti erogati o garantiti,
1
IL MECCANISMO SU CUI SI BASA IL SISTEMA DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI E I RISCHI DI COMPORTAMENTI ANOMALI DEI
SOCI È ILLUSTRATO CON CHIAREZZA E INCISIVITÀ DA G.PRESTI, IN CODICE COMMENTATO DELLE S.R.L, ART. 2467, TORINO,
2006, P.98.
2
P. Scandizzo, DI CHI È LA PICCOLA IMPRESA?, IN AGE 2/2003, 246 SS
3
D.LGS N. 344/2003.
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direttamente o indirettamente, da un socio qualificato o da una sua parte correlata, qualora
l’indebitamento della società nei confronti dei soci superi un determinato limite, ovvero il
rapporto tra patrimonio netto e indebitamento superi il valore di un quarto.
Da ultimo, con riguardo al tema del finanziamento alle imprese, è opportuno segnalare
che la l. 15/2007, che ha recepito le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE in materia di
adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi4, ha introdotto
nel nostro ordinamento, tra l’altro, nuovi requisiti concernenti la valutazione dell’adeguatezza
patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento. I nuovi criteri di misurazione del
rischio creditizio sono destinati a incidere sul costo dell’accesso al finanziamento bancario.
La valutazione del merito creditizio si baserà, infatti, su elementi oggettivi quali la
trasparenza della struttura organizzativa, la capitalizzazione e gli strumenti di controllo della
gestione.
1. Il finanziamento dei soci all’impresa e la fattispecie dell’art. 2467 c.c.
I rapporti patrimoniali tra soci e società sono disciplinati dal codice civile con riguardo ai
conferimenti. L’assenza di disciplina non implica, tuttavia, che siano vietati altri rapporti a
carattere finanziario. La giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’ammissibilità e la legittimità
di finanziamenti in forma di mutuo del socio alla società5. Analogo riconoscimento discende
implicitamente dall’assenza nel codice di una disposizione che richieda alla società una
dotazione patrimoniale adeguata rispetto all’attività indicata nell’oggetto sociale6.
Il finanziamento del socio rappresenta, dunque, uno strumento flessibile per gestire la
dotazione finanziaria dell’impresa e può favorire anche la soluzione di uno stato di crisi.
Infatti la possibilità di ottenere il credito dai propri soci risulta più conveniente per la società,
con riferimento sia ai tempi sia ai costi dell’operazione, rispetto al ricorso al credito bancario.
La riforma del diritto societario non ha introdotto una disciplina organica dei
finanziamenti dei soci, ma ha previsto, con l’art. 2467 c.c., una regolamentazione per quei
finanziamenti che presentino caratteri di “anormalità”.
Il prestito dei soci può prestarsi ad abusi e comportare l’alterazione dell’equilibrio nella
ripartizione dei rischi d’impresa tra soci e creditori. Nel caso del prestito, il socio finanziatore
concorre con gli altri creditori nel recupero del proprio credito, anche in caso di fallimento;
nell’ipotesi di conferimento di capitale, invece, il rimborso di quanto conferito dal socio è
subordinato al pagamento integrale dei creditori sociali.
L’art. 2467 c.c. stabilisce, al primo comma, che il rimborso dei finanziamenti dei soci a
favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto
nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. I finanziamenti
cui si applica la norma sono quelli concessi «in un momento in cui, anche in considerazione
4
Si segnala inoltre la circolare 27 dicembre 2006, n. 263 – Nuove Istruzioni di vigilanza prudenziale per
le banche, emanata dalla Banca d'Italia per recepire "Basilea II" (Nuovo Accordo del Comitato di Basilea sul
capitale e direttive comunitarie 2006/48/CE e 2006/49/CE).
5
TRIB. MILANO, 5 DICEMBRE 1988, RIV. DIR COMM., 1990, II, 75 SS.
6
IL TEMA PRESENTA DELLE CONNESSIONI CON DUE DEI TEMI OGGI MAGGIORMENTE DIBATTUTI: I) IL RUOLO DEL
CAPITALE SOCIALE, POSTO CHE IN ALCUNI STATI EUROPEI, CON SPECIFICO RIFERIMENTO AL TIPO SOCIALE S.R.L., IL CAPITALE
SOCIALE MINIMO È STATO SOPPRESSO (FRANCIA); II) I NUOVI PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI, CHE HANNO ELIMINATO
NELLA VALUTAZIONE DELLE POSTE DI BILANCIO IL PRINCIPIO DELLA PRUDENZA, PREFERENDO UN SISTEMA CHE PRIVILEGIA
L’INFORMAZIONE SULL’ANDAMENTO GESTIONALE, NEL CORSO DELL’ESERCIZIO, A PRESCINDERE DAGLI EFFETTI SULLE
DISTRIBUZIONI AGLI AZIONISTI, RIDUCENDO COSÌ IL NESSO TRA PATRIMONIO NETTO RISULTANTE DAL BILANCIO E ATTITUDINE
DELLA SOCIETÀ AD ADEMPIERE ALLE PROPRIE OBBLIGAZIONI.
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del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento
rispetto al patrimonio netto oppure una situazione finanziaria della società nella quale
sarebbe stato ragionevole un conferimento» (art. 2467, comma 2, c.c.). In questo senso l’art.
2467 c.c. non sembra determinare una riqualificazione imperativa del finanziamento in
conferimento – come, invece, ritiene una parte della dottrina – ma impone l’effetto della
postergazione per i crediti dei soci in presenza di specifiche circostanze7 ( v. § 3).
La subordinazione del credito del socio a quello del terzo creditore si giustifica anche in
una prospettiva di analisi economica, in quanto tende a ridurre nelle società “chiuse” lo
squilibrio contrattuale tra il socio e il creditore sociale: infatti, la postergazione del credito
riduce i costi di controllo e monitoraggio per i creditori8. In quest’ottica è opportuno precisare
che la regola della postergazione trova applicazione anche nell’ambito dei rapporti di gruppo,
ex art. 2497-quinquies. Le ragioni dell’applicazione di questa disciplina si rinvengono, infatti,
là dove sono maggiormente concentrati il potere e il controllo sulle scelte gestionali, in
considerazione del carattere personalistico della partecipazione (s.r.l.) o per l’esercizio di
attività di direzione e coordinamento (gruppo di società).
Alla luce di queste considerazioni, ci si può chiedere se sia possibile estendere l’àmbito
di applicazione delle regole in esame anche alle s.p.a. “chiuse”, pur in assenza di una
specifica disposizione legislativa, in ragione delle analogie che queste ultime presentano con
il modello sociale delle s.r.l. e della sussistenza di simili esigenze di tutela. Se si accede alla
tesi, che riteniamo preferibile, secondo cui nell’àmbito delle s.r.l. tutti i finanziamenti dei soci
sono soggetti all’applicazione dell’art. 2467 c.c., a prescindere dalle quote di partecipazioni
sociali possedute e dal coinvolgimento nella gestione della società ( su cui più
approfonditamente v. § successivo), non appare possibile l’estensione della disciplina anche
nelle s.p.a. chiuse9. Sebbene l’art. 2467 c.c. sancisca un principio di corretto finanziamento
delle società di capitali, come precisato da autorevole dottrina10, la valorizzazione della
specificità dei modelli societari disegnati dalla riforma del 2003 conduce alla necessità di
valutare, in concreto, ragioni ed esigenze di tutela sottese all’applicazione della regola della
postergazione.
2. La qualificazione e l’àmbito del finanziamento anomalo dei soci
L’art. 2467 presenta alcune criticità nell’individuazione della fattispecie indicata al
secondo comma.
Ai fini della postergazione – enuncia la norma – sono rilevanti i finanziamenti dei soci a
favore della società che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione
7
Vi è chi ritiene che la norma in esame determini comunque una riqualificazione del finanziamento in
conferimento, in quanto la funzione della postergazione sarebbe quella di creare due classi nel quadro del
rimborso del capitale proprio: una dei creditori soci e l’altra dei soci, con la preferenza dei primi rispetto ai
secondi. PORTALE, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca borsa e titoli di credito, 2003, 679;
ZOPPINI, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata e i prestiti provenienti
da terzi, in Riv. dir. Priv., 2/2004, 15.
Sostengono la tesi contraria PRESTI, op. cit., p. 112 e con argomenti diversi TERRANOVA, art. 2467,
Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini, Stagno, D’Alcontres, Napoli 2004, p..
8
NEL CASO DI SPECIE LA GARANZIA CHE, IN CASO DI INSOLVENZA I CREDITI DEI SOCI NON CONCORRANO CON QUELLI
DEI CREDITORI SOCIALI, COSTITUISCE PER I CREDITORI UNA GARANZIA ULTERIORE, CHE LI METTE A RIPARO DA
COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI DEI SOCI.
9
Balp, I FINANZIAMENTI DEI SOCI SOSTITUTIVI DEL CAPITALE DI RISCHIO: RICOSTRUZIONE DELLA FATTISPECIE E
QUESTIONI INTERPRETATIVE, IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU RIV. SOC.
10
Portale, OP. CIT., 681.
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dell’attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto
al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe
stato ragionevole un conferimento.
In primo luogo, occorre chiarire se i due criteri richiamati dal legislatore – di
indipendenza finanziaria e ragionevolezza del finanziamento – vadano letti come cumulativi
o alternativi11. In dottrina sono state sostenute entrambe le tesi.
Secondo una prima opinione, per la corretta interpretazione del finanziamento del
socio è centrale il criterio di ragionevolezza, in forza del quale si individua il comportamento
tipico del normale operatore del mercato, anche alla luce degli usi commerciali del settore in
cui opera. L’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto svolge,
dunque, la funzione di specificare il contenuto del criterio di ragionevolezza. Di conseguenza,
la norma farebbe riferimento a una nozione unitaria, in quanto i due criteri costituiscono «due
facce del medesimo principio»12.
Al contrario, altra dottrina ritiene più corretto leggere i due criteri come tra loro
autonomi, non solo per il dato letterale della norma, ma anche perché la differenza tra
squilibrio patrimoniale e situazione di illiquidità13 è sostanziale. La sussistenza di uno
squilibrio patrimoniale non determina necessariamente l’irragionevolezza del finanziamento,
non potendosi escludere che la società possa godere di credito presso terzi, pur versando in
una situazione di sbilancio patrimoniale14. Il criterio della ragionevolezza avrebbe quindi,
secondo questa lettura, un carattere residuale rispetto all’indebitamento finanziario.
Vi è anche chi evidenzia una certa incoerenza tra i due criteri: da una parte il
legislatore limita l’àmbito dei finanziamenti postergati nel rimborso; dall’altra, con il criterio
della ragionevolezza, rende flessibili i confini della categoria15.
In realtà, il criterio di ragionevolezza svolge un ruolo fondamentale nel modo di
intendere una determinata operazione economica, cosicché l’assunzione di un rischio che
difficilmente un creditore consapevole sarebbe disposto a assumere indurrà a configurare il
finanziamento del socio come un apporto di capitale di rischio. Appare inoltre chiaro che,
nella valutazione della ragionevolezza del conferimento si dovranno tenere in debita
considerazione anche circostanze fattuali, le quali rendono “anomalo” il finanziamento16 (si
pensi, ad esempio, all’assenza di forme di garanzia o alla durata prolungata del contratto
oppure ancora a un tasso d’interesse fissato al di sotto della soglia di mercato).
Il riferimento dell’art. 2467 c.c. ai soli finanziamenti effettuati dai soci necessita di
alcune precisazioni quanto all’àmbito soggettivo di applicazione. In primo luogo, occorre
chiarire che il prestito concesso da un terzo divenuto socio in un momento successivo non
costituisce ipotesi di finanziamento anomalo ai sensi dell’art. 2467 c.c. Allo stesso modo, i
11
Il legislatore ha quindi seguito un criterio tipologico, al contrario di quanto previsto nell’ambito della
disciplina fiscale ove si stabilisce che è indeducibile dal reddito imponibile la remunerazione dei finanziamenti
rilevanti eccedenti qualora il rapporto tra la consistenza media di detti finanziamenti e il patrimonio netto contabile
rettificato sia superiore a quello di 4 a 1.
12
Presti, OP. CIT.
13
Terranova, OP. CIT., P. 1449 SS.
14
Vassalli - DIRITTO FALLIMENTARE, 1994, I, TORINO - AFFERMA CHE LA NOZIONE DI INSOLVENZA NON PUÒ
RIDURSI AD UNA SITUAZIONE DI SBILANCIO PATRIMONIALE. IL FINANZIAMENTO DOVREBBE CONSIDERARSI RAGIONEVOLE NON
SOLO PER SUPERARE UN MOMENTO DI CRISI, MA ANCHE PER ASSECONDARE PROGRAMMI DI SVILUPPO DELLA SOCIETÀ, CHE
SOTTENDONO PARTICOLARI ESIGENZE DI NUOVA FINANZA - D. Scano, I FINANZIAMENTI DEI SOCI, IN AA.VV., LA NUOVA S.R.L.
PRIME LETTURE E PROPOSTE INTERPRETATIVE, A CURA DI FARINA,IBBA, RACUGNO, SERRA, MILANO, 2004, 377 SS..
15
Fico, FINANZIAMENTO DEI SOCI E SOTTOCAPITALIZZAZIONE, IN LE SOCIETÀ 11/2006,1374, IL QUALE OSSERVA
CHE LA GENERICITÀ DEI CRITERI RENDERÀ NECESSARIO L’INTERVENTO DELLA GIURISPRUDENZA PER DELIMITARE I CONFINI
DELL’ECCESSO E DELLA IRRAGIONEVOLEZZA.
16
Balp, OP. CIT.,nt. 9.
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finanziamenti effettuati da società fiduciarie o in ragione del rapporto di mandato non
ricadono nell’àmbito di applicazione della norma in esame. Il fiduciario non è il titolare del
rapporto associativo, cosicché solamente nel caso in cui il fiduciario sia il reale titolare delle
partecipazione societarie potrà trovare applicazione la duplice regola del rimborso e della
postergazione17. Sul punto la riforma societaria ha seguìto una strada diversa rispetto alla
disciplina fiscale, la quale equipara ai finanziamenti effettuati da soci qualificati quelli
concessi da parti correlate (D.lgs 344/2003).
Occorre, poi, chiedersi se sia possibile operare una distinzione, ai fini dell’applicazione
della norma in esame, per i finanziamenti effettuati da parte dei “soci di minoranza”, vale a
dire di soci estranei alla gestione societaria, come previsto dalla disciplina tedesca18 e dalle
norme tributarie19.
L’art. 2467 c.c. non prevede una discriminazione tra soci. Il dato testuale suggerisce,
dunque, che per il legislatore la posizione che il socio ricopre all’interno della società è
indifferente ai fini dell’applicazione della disciplina. Infatti, il ruolo e il potere esteso di
controllo che il socio, anche di minoranza, assume all’interno della s.r.l. comporta che
quest’ultimo sia in grado di conoscere la reale situazione finanziaria della società20,
eventualmente anche di abusarne. Non rileva, quindi, che il socio di minoranza non sia
titolare di poteri amministrativi o abbia una partecipazione residuale al capitale sociale, in
quanto il socio di una s.r.l. è, a prescindere dalla quota posseduta, un socio informato
sull’andamento della gestione societaria.
Il secondo comma dell’art. 2467 c.c. assoggetta alla regola della postergazione i
finanziamenti dei soci «in qualsiasi forma effettuati». L’ambito di applicazione oggettiva
riguarda tutti i rapporti patrimoniali in cui sia previsto un obbligo di rimborso delle somme
inizialmente trasferite al debitore. La norma comprende, dunque, qualsiasi forma di sostegno
finanziario concesso dai soci in favore della società. Ne consegue che la disciplina in esame
trova applicazione non solo nel caso di mutuo, ma anche di altre forme giuridiche di
finanziamento, come la dilazione di pagamento, l’apertura di credito, il leasing finanziario, il
factoring e l’acquisto pro solvendo di crediti della società verso terzi.
Più complesso è stabilire se rientrino nell’àmbito della disciplina in esame le prestazioni
di garanzia offerte dai soci. Il problema investe il ricorso frequente, soprattutto nelle s.r.l., alla
cd. outside collateral, ovvero una garanzia che grava sui beni personali dei soci anziché sugli
assets dell’impresa. Il ricorso a questo strumento è richiesto soprattutto dagli intermediari
creditizi nei confronti delle società di minori dimensioni: la presenza di garanzie personali dei
soci costituisce lo strumento che incentiva a concedere il credito a queste società.
In realtà, la concessione di garanzia realizza un finanziamento del socio, anche se
indiretto, pertanto, se la garanzia è prestata alle condizioni di cui all’art. 2467, comma 2, si
17
SUL PUNTO SI VEDA DIFFUSAMENTE Zoppini, OP. CIT., NT. 9, 5 SS.
IL LEGISLATORE TEDESCO AL PARAGRAFO 32° DEL GMBHGESETZ HA PREVISTO CHE IL SOCIO TITOLARE DI UNA
PARTECIPAZIONE PARI E INFERIORE AL 10% DEL CAPITALE SOCIALE, E NON ABBIA PARTECIPATO ALLA GESTIONE DELLA
SOCIETÀ NON È SOGGETTO ALLA REGOLA DELLA POSTERGAZIONE DEL FINANZIAMENTO.
19
L’ART. 98 TUIR CONSIDERA RILEVANTI AI FINI DELL’APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA FISCALE DI CONTRASTO AL
FENOMENO DELLA SOTTOCAPITALIZZAZIONE, SOLAMENTE I FINANZIAMENTI EROGATI O GARANTITI DAI SOCI CC.DD. QUALIFICATI,
OSSIA CHE DETENGONO, DIRETTAMENTE O INDIRETTAMENTE, UNA PARTECIPAZIONE DI ALMENO IL 25% DEL CAPITALE SOCIALE,
O DA SOGGETTI A LUI COLLEGATI, SICCHÉ I FINANZIAMENTI FATTI DA SOCI NON QUALIFICATI NON SONO INTERESSATI DALLA
DISCIPLINA.
20
SUL PUNTO SI EVIDENZIA CHE AUTOREVOLE DOTTRINA – Angelici, LA RIFORMA DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI,
PADOVA 2003, 49; Vassalli, SOTTOCAPITALIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ E FINANZIAMENTO DEI SOCI, IN RIV. DELL’IMPRESA,
2004, 271 – HA ARGOMENTATO CHE LA FATTISPECIE DEI PRESTITI ANOMALI NON È SUSCETTIBILE DI APPLICAZIONE
NELL’IPOTESI DEI FINANZIAMENTI EFFETTUATI DAI SOCI DI MINORANZA, IN QUANTO HANNO UNA POSIZIONE MARGINALE SUL
PIANO DELLA PARTECIPAZIONE AL CAPITALE O DELLA TITOLARITÀ DI POTERI AMMINISTRATIVI.
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dovrebbe applicare la regola di postergazione. A tale proposito, la disciplina fiscale prevede
che i finanziamenti garantiti personalmente o realmente dai soci qualificati siano equiparati a
quelli erogati dagli stessi direttamente.
Esulano, invece, dall’àmbito di applicazione della norma la concessione di beni in
godimento e le prestazioni d’opera e servizi. Siffatte forme di sostegno finanziario non
implicano, infatti, un diritto alla restituzione di un importo finanziario e non sono, pertanto,
qualificabili come finanziamento ai fini della disciplina in esame. La pretesa volta alla
restituzione di una cosa specifica viene soddisfatta in natura, senza interferenze con le
pretese degli altri creditori21.
3. La regola della postergazione
Occorre chiarire se il rimborso è postergato solo nella fase di liquidazione o anche nel
corso dell’attività sociale. Sono emerse, al riguardo, due diverse tesi.
La tesi cd. sostanzialistica inquadra la postergazione nel complesso dei presidî posti a
tutela della struttura finanziaria della società; la seconda tesi, cd. processualistica, considera
la postergazione come una regola posta a tutela della parità di trattamento tra i creditori
sociali nell’àmbito delle procedure concorsuali.
I sostenitori della tesi sostanzialistica ritengono che la postergazione si debba
applicare nei confronti di qualsivoglia finanziamento effettuato da un socio, anche nell’ipotesi
in cui l’impresa sia in bonis. In altri termini, il diritto del socio al rimborso del finanziamento
sorge solo nell’ipotesi in cui siano stati rimborsati tutti i creditori della società; nell’art. 2467
c.c. manca, infatti, qualsiasi riferimento al presupposto dello stato d’insolvenza. L’art. 2467
c.c. troverebbe applicazione anche al di fuori della specifica ipotesi di apertura di una
procedura concorsuale, ogni qualvolta la società non sia meritevole di credito.
In quest’ottica, ogni finanziamento del socio in favore di una società “sottocapitalizzata
nominalmente”22 avrebbe una funzione sostitutiva del capitale sociale, con la conseguente
applicazione delle regole ad esso relative. Discende da ciò che il socio non ha diritto alla
restituzione di quanto erogato, né potrà essere ammesso allo stato passivo23.
La riqualificazione del prestito in conferimento sarebbe, però, parziale, potendo essere
rimborsati i crediti ai soci, nel corso della vita sociale, nei casi in cui la situazione finanziaria
della società non sia più critica. Allo stesso modo, i crediti scaduti, ma non riscossi, possono
essere soggetti ad una riqualificazione imperativa nell’ipotesi in cui la situazione finanziaria
della società versi nuovamente in una fase critica.
Ancora nell’ottica dell’applicabilità della norma nel corso dell’attività sociale, vi è chi
sostiene che il socio conservi il diritto al rimborso dei propri finanziamenti alla scadenza
prevista, salvo, però, il diritto del creditore sociale, insoddisfatto a causa del rimborso del
21
Terranova, OP. CIT., 1481.
LA SOCIETÀ SI TROVA IN UNA SITUAZIONE DI SOTTOCAPITALIZZAZIONE NOMINALE QUANDO È MUNITA DEI MEZZI
NECESSARI AL PERSEGUIMENTO DELL’OGGETTO SOCIALE, MA QUESTO AVVIENE NON GIÀ ATTRAVERSO IL CONFERIMENTO DEI
MEZZI PROPRI ADEGUATI, BENSÌ ATTRAVERSO LA CONCESSIONE DI FINANZIAMENTI, SPROPORZIONATI RISPETTO AL CAPITALE
SOCIALE, DA PARTE DEI SOCI.
23
Galgano, IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO, IN TRATTATO DI DIRITTO COMMERCIALE, E DI DIRITTO PUBBLICO
DELL’ECONOMIA, DIRETTO DA GALGANO, VOL. XXIX, 2004, 14, SOSTIENE CHE IL RIMBORSO DEI FINANZIAMENTI AVVENUTO
ENTRO L’ANNO ANTERIORE AL FALLIMENTO È SANZIONATO DA UNA AZIONE REVOCATORIA “SEMPLIFICATA”, FERMO RESTANDO
CHE IL RIMBORSO OTTENUTO IN EPOCA ANTECEDENTE ALL’ANNO PUÒ ESSERE SOGGETTO ALL’AZIONE REVOCATORIA
FALLIMENTARE.
22
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finanziamento in favore del socio finanziatore, di agire direttamente anche nei confronti di
quest’ultimo.
Per questa via, si ampliano le garanzie patrimoniali operanti in sede di liquidazione, in
quanto « nella fase attiva la postergazione non altera l’esigibilità del credito al rimborso, e
dunque non solo non esclude la liceità della sua effettuazione da parte degli amministratori,
ma nemmeno la subordina alla ricorrenza di determinate circostanze, al contrario nella fase
di liquidazione, la situazione si modifica »24.
Tuttavia, la tesi sostanzialistica (e le sue varianti) appare smentita dalla previsione di
un’azione revocatoria nei confronti del rimborso effettuato nell’anno precedente la
dichiarazione di fallimento, cosa che offre un valido argomento contro l’applicabilità della
regola della postergazione nella fase fisiologica della vita sociale. Come attenta dottrina ha
rilevato, infatti, «la ripetibilità del rimborso ottenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento è del tutto compatibile con la qualificazione del finanziamento come diritto di
credito, anzi la presuppone»25.
Inoltre, la ratio della regola della postergazione è quella di tutelare i creditori futuri
rispetto al finanziamento, piuttosto che i creditori attuali della società26, visto che questi ultimi
hanno già fatto affidamento sul patrimonio netto della società, tra l’altro rafforzato dallo
stesso finanziamento non immediatamente rimborsabile.
Non vi sarebbe, poi, ragione alla postergazione del rimborso nell’ipotesi in cui non si
registri né una situazione di liquidazione ordinaria né concorsuale, in quanto la società
stessa, nel pieno della propria attività imprenditoriale, non avrebbe intaccato il patrimonio
sociale.
Gli amministratori non potrebbero, dunque, validamente opporre eccezioni alla
richiesta di rimborso da parte dei soci, in quanto questa facoltà spetta agli altri creditori della
società27. Diversamente, gli amministratori dovrebbero rifiutare il pagamento quando la
società si trovi in una situazione di crisi o insolvenza, anche evidenziata dall’impossibilità di
poter regolarmente adempiere le proprie obbligazioni nei confronti dei soci finanziatori.
Appare, pertanto, preferibile la tesi cd. processualistica, che ritiene applicabile la regola
della postergazione solo laddove vi sia un conflitto “attuale” tra creditori e socio finanziatore.
In tal caso, la norma potrà produrre i suoi effetti non solo nell’ipotesi di crisi o insolvenza
della società, ma anche nel caso di esecuzione individuale di un creditore, con intervento di
altri creditori.
Non appare, invece, condivisibile l’applicazione della regola della postergazione
nell’ipotesi di liquidazione volontaria dell’impresa – ove non si apre, di per sé, alcun concorso
tra creditori – in quanto i creditori debbono essere soddisfatti individualmente del loro credito,
al momento della scadenza dello stesso28.
24
G.Ferri jr., IN TEMA DI POSTERGAZIONE LEGALE, RIV. DIR COMM. , 2004, 991SS..
Presti, ART. 2467 FINANZIAMENTO DEI SOCI, IN CODICE COMMENTATO DELLE S.R.L., 112 SS..
26
Panzani, LA POSTERGAZIONE DEI CREDITI NEL NUOVO CONCORDATO PREVENTIVO, VI, 2006, 66 SS..
27
LA POSTERGAZIONE COSTITUISCE UNA QUALITÀ INTRINSECA DEL CREDITO, COSÌ CHE NON POSSONO GLI
AMMINISTRATORI OPPORRE, DURANTE SOCIETATE, ALCUNA OBIEZIONE ALLA RICHIESTA DI RIMBORSO DA PARTE DEL SOCIO. IN
REALTÀ L’UNICA POSSIBILITÀ PER GLI AMMINISTRATORI DI RIFIUTARE IL PAGAMENTO CONSISTE NEL FAR ACCERTARE LO STATO
DI CRISI O DI INSOLVENZA DELLA SOCIETÀ DETERMINATO DALL’ADEMPIMENTO DELL’OBBLIGO DI RIMBORSO DEL FINANZIAMENTO
DEL SOCIO. LA RESTITUZIONE DEL PRESTITO AL SOCIO POTREBBE DETERMINARE IL PASSAGGIO DELLA SOCIETÀ DA UNA
SITUAZIONE DI SOTTOCAPITALIZZAZIONE NOMINALE, AD UNA DI SOTTOCAPITALIZZAZIONE MATERIALE.
28
IN REALTÀ, DIVERSA DOVREBBE ESSERE LA SOLUZIONE ALL’APPLICABILITÀ DELL’ART. 2467 C.C. ANCHE IN IPOTESI
DI LIQUIDAZIONE VOLONTARIA QUALORA SI RITENESSE, COME È STATO SOSTENUTO IN DOTTRINA, Rescigno M., CONTRIBUTO
ALLO STUDIO DELLA PAR CONDICIO CREDITORUM, IN RIV. DIR. CIV., 1984, I, 359 SS. CHE SOSTIENE CHE LA LIQUIDAZIONE
VOLONTARIA SI SVOLGA CONCORSUALMENTE.
25
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Infatti, il principio di postergazione del credito vantato dal socio finanziatore nei
confronti della società, in base alla fattispecie delineata dall’art. 2467, comma 2, in deroga al
principio generale della par condicio creditorum29, è applicabile nel solo presupposto della
sussistenza di una situazione di criticità della società stessa, sia pure transitoria e connessa
a squilibri fisiologici e occasionali recati dalla gestione dell’impresa, ma tale da rendere
improcrastinabile il reperimento di nuovi fondi e/o conferimenti.
La postergazione legale presuppone, quindi, che vi sia un danno per i creditori sociali,
determinato dall’influenza dei soci e amministratori sulle decisioni strategiche.
Coerentemente con questo presupposto l’applicazione della regola in esame andrebbe
ricondotta nell’àmbito delle procedure concorsuali, in quanto è in quello specifico momento
che l’incapienza del patrimonio sociale implica un danno per il creditore sociale.
4. Il diritto di credito dei soci finanziatori nella procedura concorsuale
Stabilito che il finanziamento del socio non viene riqualificato in conferimento e che,
quindi, concorre con gli altri crediti, occorre chiarire quale sia il rapporto che intercorre fra
questo credito e quello degli altri creditori sociali.
L’art. 2467 distingue il diritto di credito del socio da quello degli altri creditori sotto due
profili: a) il rimborso al socio effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento è
inefficace e va restituito; b) il credito del socio è postergato a quello dei terzi creditori.
I crediti dei soci costituiscono una sotto categoria dei crediti chirografari di cui all’art.
111, n. 3, l.fall., postergati a tutti gli altri, e non possano formare oggetto di compensazione
con eventuali debiti che il socio abbia verso la società.
Quanto al momento in cui possono essere sollevate eccezioni in ordine all’operatività
della postergazione, appare coerente con la ratio della disciplina sollevare la questione non
solo nella fase di accertamento dello stato passivo, ma anche nella fase successiva della
ripartizione dell’attivo e della collocazione del credito del socio finanziatore sul ricavato della
liquidazione. La regola della postergazione ha efficacia reale e si applicherà anche nei
confronti dei creditori particolari del socio o degli acquirenti dal medesimo.
Da ultimo, merita di essere menzionato il rapporto che intercorre tra postergazione
legale e postergazione convenzionale, con riferimento alla priorità nel riparto dell’attivo. A
questo proposito, sembrerebbe doversi graduare l’ordine dei rimborsi, dando precedenza al
credito legalmente postergato su quello convenzionalmente subordinato: in quanto nel primo
caso la postergazione è una libera scelta delle parti, mentre nella seconda ipotesi è
29
L’art. 2741 c.c. stabilisce, infatti, che i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del
debitore, salvo le cause legittime di prelazione.
La sussistenza di un conflitto tra creditori costituisce, dunque, il presupposto per l’applicazione del
principio della par condicio creditorum, che si atteggerà diversamente a seconda che l’azione esecutiva sia
individuale o collettiva.
NEL PRIMO CASO SI PREVEDE LA POSSIBILITÀ DI UN INTERVENTO DEI CREDITORI NELL’ESECUZIONE INDIVIDUALE
PROMOSSA DA ALTRO CREDITORE, CON EGUALE DIRITTO ALLA SODDISFAZIONE DELLA PRETESA CREDITORIA. AL CONTRARIO,
NELL’ÀMBITO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI, È LA LEGGE A PREVEDERE LA PARITÀ DI TRATTAMENTO DEI CREDITORI,
PONENDO IL DIVIETO DI AGIRE IN ESECUZIONE INDIVIDUALE PER IL SODDISFACIMENTO DEL PROPRIO CREDITO. REGOLA QUESTA
CHE CONCORRE CON ALTRE PREVISIONI NORMATIVE - SI PENSI ALLE SANZIONI IN IPOTESI DI BANCAROTTA PREFERENZIALE O
ALL’AMMISSIONE AL PASSIVO CON RISERVA -, AL FINE DI PRESERVARE IL PRINCIPIO DELLA PAR CONDICIO CREDITORUM.
I CREDITORI NON POTRANNO COSÌ INIZIARE NÉ PROSEGUIRE AZIONI ESECUTIVE INDIVIDUALI, MA PARTECIPERANNO
ALLA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO DALL’ESPROPRIAZIONE DAL PATRIMONIO DEL FALLITO.
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l’intervento legale che con la qualifica di quel credito, interviene a correggere gli effetti
negoziali dell’operazione.
5. I creditori postergati nel sistema delle classi dei creditori
La regola della postergazione è applicabile anche nell’ipotesi di concordato preventivo,
là dove l’impresa si trova in uno stato di crisi non irrimediabile e irreversibile.
Alla luce delle novità introdotte dalla riforma (l. 2006 n. 5), occorre distinguere l’ipotesi
in cui il debitore abbia suddiviso in classi i creditori, da quella in cui, invece, non abbia
formato alcuna classe nella proposta. A tale proposito, l’art. 160 l. fall. prevede che il piano
proposto dal debitore possa indicare «c) la suddivisione dei creditori in classi secondo
posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra creditori
appartenenti a classi diverse».
In primo luogo, la norma prevede la possibilità di trattamenti differenziati tra creditori
appartenenti a classi diverse, senza distinguere tra creditori chirografari e privilegiati. Al
riguardo, occorre chiedersi se sia possibile creare una classe dei finanziatori postergati
anche nell’ipotesi di non integrale soddisfazione degli altri creditori della società. Dalla prima
casistica giurisprudenziale non emerge un orientamento comune sul punto.
Il Tribunale di Messina30, ad esempio, ha omologato una proposta di concordato che
non prevedeva il pagamento dei crediti chirografari postergati. La decisione è stata motivata
dai giudici siciliani sul presupposto che non fosse possibile prevedere la soddisfazione dei
creditori postergati se la proposta di concordato non contemplava il pagamento integrale
degli altri creditori chirografari.
Al contrario, il Tribunale di Bologna31 ha ritenuto legittimo un piano di concordato
preventivo che prevedeva la soddisfazione dei creditori postergati, nonostante la
soddisfazione non integrale degli altri creditori chirografari. I giudici bolognesi hanno ritenuto
sufficiente un diverso trattamento tra creditori chirografari e postergati per rispettare il nuovo
dettato legislativo, posto che è stata abrogata ogni soglia minima nella promessa satisfattiva
rivolta alle varie tipologie di chirografari. Inoltre, i giudici bolognesi rilevano la diversità
dell’interesse economico dei creditori “postergati” rispetto agli altri creditori chirografari, tale
da giustificare un diverso trattamento giuridico e un diverso ordine nel diritto al rimborso.
Le pronunce citate offrono due diverse interpretazioni del testo normativo riformato. La
prima pronuncia sembra rispecchiare in modo più fedele i principî tradizionali in materia di
soddisfazione dei crediti; la decisione del Tribunale di Bologna sembra, invece, attuare la
volontà del legislatore della riforma di favorire le soluzioni concordate della crisi con
l’introduzione di una maggiore flessibilità dei criteri del piano concordatario, finalizzati alla
soddisfazione degli interessi specifici e concreti dei creditori dell’impresa. A conferma di
questo orientamento, per altro verso, il Tribunale di Bologna ha omologato una proposta di
concordato che prevedeva una classe di creditori postergati in cui erano compresi i
sottoscrittori del prestito obbligazionario convertibile, anche in assenza di una soddisfazione
integrale degli altri creditori chirografari.
La previsione di una classe dei creditori postergati non determina necessariamente
una situazione di conflitto d’interesse. E’, infatti, possibile che le quote del socio siano già
state pignorate dai creditori particolari dello stesso in sede di esecuzione individuale,
30
31
TRIB. MESSINA 29 DICEMBRE 2005, IN IL FALLIMENTO, 6/2006, 66.
TRIB. BOLOGNA, 26 GENNAIO 2006, IBIDEM, 6/2006, 67.
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cosicché chiamati a pronunciarsi sulla proposta di concordato sarebbero soggetti diversi
dagli stessi soci. I creditori particolari del socio, così come i cessionari, saranno postergati
nella soddisfazione del credito, in quanto la qualificazione di postergazione legale del credito
ha efficacia reale, cosicché sarà produttiva di effetti anche nei confronti del successivo
cessionario.
La postergazione non implica un’esclusione dal concorso, ma costituisce, semmai, un
privilegio negativo, cosicché il titolare del credito postergato avrà diritto ad essere soddisfatto
in misura sussidiaria rispetto agli altri creditori, anche prescindendo dall’integrale
soddisfazione dei creditori chirografari. Non si capirebbe, in caso contrario, il riferimento che
il legislatore opera nell’art. 160, l.fall., alla differente posizione giuridica, quale presupposto
per la creazione di differenti classi dei creditori. La postergazione esplica, quindi, la funzione
di creare a favore dei creditori chirografari non postergati, una prelazione nel pagamento,
non escludendo, però, dal riparto dell’attivo i creditori postergati.
6. Il rimborso del finanziamento
L’art. 2467 c.c. prevede, infine, l’obbligo in capo al socio di restituire il rimborso del
finanziamento avvenuto nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento.
Una parte della dottrina ha qualificato l’obbligo di restituzione del rimborso come
un’ipotesi di indebito oggettivo, per cui il pagamento eseguito in pendenza di una condizione
legale di efficacia – la postergazione – deve reputarsi non dovuto. A differenza dell’azione
revocatoria fallimentare, infatti, l’anomalia che giustifica il rimborso non sussiste nel
momento in cui viene compiuto l’atto suscettibile di revoca (il rimborso, appunto), ma nel
momento in cui viene concesso il finanziamento.
La reazione alla restituzione degli apporti dei soci non deve, quindi, considerasi
conclusa con gli art. 2467 c.c. e 65, l.fall., in quanto anche quando queste due norme non
trovano applicazione, le pretese alla restituzione sono azionabili sulla base delle regole
sull’indebito oggettivo. In quest’ottica, appare possibile che l’amministratore agisca per la
restituzione anche dei crediti ultrannuali, qualora fornisca la prova che la ripetizione sia
avvenuta durante uno stato di crisi. Ne consegue che il rimborso deve considerasi ripetibile.
Infatti, gli stessi amministratori potrebbero essere considerati civilmente responsabili
se, nel corso della vita della società, rimborsassero i finanziamenti dei soci e siffatto rimborso
fosse determinato da un errore di valutazione della situazione societaria o da un
comportamento doloso32.
Tuttavia, altra dottrina ha osservato che la fattispecie dell’indebito oggettivo richiede
l’assenza di un titolo che giustifichi il pagamento, mentre, nel caso di specie, il titolo esiste, è
liquido, esigibile e certo33. Il rimborso non è condizionato alla presenza di liquidità per la
soddisfazione dei creditori sociali, ma alla sopraggiunta dichiarazione di fallimento.
Appare, dunque, preferibile ritenere che l’art. 2467 c.c. preveda una nuova figura di
revocatoria ex lege, posto che l’unica differenza fra le due ipotesi consiste nella conoscenza
della situazione di crisi. Nel caso dell’art. 2467 c.c. questa è presunta iuris et de iure dal
legislatore, cosicché il curatore non dovrebbe dimostrare la conoscenza del socio dello stato
d’insolvenza della società. E’ pur vero che la prova della conoscenza dello stato di
32
33
Presti, OP. CIT., 116 ss
Zoppini, OP. CIT., 19 ss.
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insolvenza da parte del socio di s.r.l. non dovrebbe presentare particolari problemi, dato il
potere di controllo che lo stesso detiene sullo svolgimento dell’attività societaria.
La stabilità degli effetti del rimborso si manifesta una volta decorso l’anno dalla
dichiarazione di fallimento della società, in quanto le uniche azioni proponibili sono quelle
dell’art. 2467 c.c. e 65, l. fall.. La funzione della restituzione risiede, infatti, nel ripristino della
par condicio, in quanto la restituzione del rimborso è strumentale all’applicazione della regola
della postergazione nel concorso fra più creditori. La restituzione della somma consente di
allargare l’attivo residuo su cui i creditori sociali possono far valere le proprie ragioni.
7. L’emissione di titoli di debito
Come si è detto, la riforma incentiva nuove forme di finanziamento per le piccole e
medie imprese, preservando il carattere di società “chiusa” e personale del modello sociale
della s.r.l.. In quest’ottica vanno lette le disposizioni dell’art. 2483 c.c..
L’art. 2483 consente alla s.r.l. l’emissione di titoli di debito, vietata invece dalla
previgente disciplina (art. 2486, comma 3, c.c.)34. Il divieto rappresentava il riflesso della
volontà del legislatore di precludere alle srl la possibilità di ricorrere al mercato dei capitali.
La s.r.l. veniva dunque considerata incompatibile con la raccolta di risorse finanziarie presso
il pubblico dei risparmiatori, in quanto le caratteristiche della s.r.l. l’esiguità del capitale
minimo, minor rigore delle forme di pubblicità e di controllo degli atti gestionali, la possibilità
di una più accentuata personalizzazione della sua struttura non sembravano offrire, secondo
il legislatore del ’42, piene garanzie di solvibilità. La legge consentiva alle sole s.p.a. e
s.a.p.a. di emettere obbligazioni, sul presupposto che la struttura di dette società fosse, per
solidità organizzativa e patrimoniale, maggiormente idonea a fornire le garanzie che questa
operazione necessitava35.
La struttura privata della s.r.l. implica, però, la necessità che gli operatori finanziari
deputati a comprendere e valutare il rischio dell’investimento siano i soli capaci di offrire
idonee garanzie di solidità patrimoniale al mercato e, in particolare, ai terzi acquirenti dei titoli
di debito che non siano, a loro volta, investitori o soci della società. La raccolta di capitale di
debito è infatti riservata ad operatori professionali, soggetti a vigilanza prudenziale36. Il
legislatore non prevede l’entità e il limite temporale della garanzia prestata dagli investitori
professionali. Ciò nonostante, si deve ritenere che siffatta garanzia di solvenza operi nei
confronti di tutti i soggetti che non ottengano dalla società il rimborso dei titoli di debito (su
cui v. infra § 9).
34
“ALLE SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA NON È CONSENTITA L’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI”.
NEL PENSIERO DEL LEGISLATORE DEL ’42 LA S.R.L. ERA UN TIPO SOCIETARIO DESTINATO ALLA GESTIONE
PREVALENTEMENTE SU BASE FAMILIARE DI IMPRESE DI PICCOLE E MEDIE DIMENSIONI.
36
LA DIRETTIVA MIFID 2006/73/CE DISTINGUE TRE DIVERSE CATEGORIE DI INVESTITORI, RIPENSANDO ANCHE LA
DEFINIZIONE DI OPERATORE QUALIFICATO PREVISTA DALL’ART. 31 REGOLAMENTO INTERMEDIARI CONSOB N. 11522. SONO,
INFATTI, INDIVIDUATE TRE DISTINTE CATEGORIE DI INVESTITORI, ANCHE DEFINITI CLIENTI: CLIENTI AL DETTAGLIO, CLIENTI
PROFESSIONALI E CONTROPARTI QUALIFICATE. SECONDO LA DEFINIZIONE DELLA DIRETTIVA MIFID SI DEFINISCE
PROFESSIONALE IL CLIENTE CHE “… POSSIEDE L’ESPERIENZA, LE CONOSCENZE E LA COMPETENZA NECESSARIE PER
PRENDERE LE PROPRIE DECISIONI IN MATERIA DI INVESTIMENTI E VALUTARE CORRETTAMENTE I RISCHI CHE ASSUME”. LA
NOZIONE DI CLIENTE PROFESSIONALE COMPRENDE QUINDI GLI ENTI CREDITIZI, LE IMPRESE DI INVESTIMENTO, LE IMPRESE DI
ASSICURAZIONE, GLI O.I.C.R. (ORGANISMI DI INVESTIMENTO COLLETTIVO DEL RISPARMIO), LE S.G.R. (SOCIETÀ DI GESTIONE
DEL RISPARMIO), I FONDI PENSIONE, I GOVERNI NAZIONALI E REGIONALI, GLI ENTI PUBBLICI INCARICATI DELLA GESTIONE DEL
DEBITO PUBBLICO, LE BANCHE CENTRALI, LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI E SOPRANAZIONALI. ALLO STESSO MODO LA NOZIONE
35
DI CLIENTE PROFESSIONALE PUÒ ESSERE ATTRIBUITA ANCHE A IMPRESE PRIVATE E PERSONE FISICHE A PATTO CHE LE STESSE
RISPETTINO DETERMINATI PARAMETRI.
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La disposizione dell’art. 2483 è dunque coerente con la previsione dell’art. 2468 che
ribadisce la vocazione chiusa della s.r.l. affermando che «le partecipazioni dei soci non
possono essere rappresentate da azioni, né possono essere oggetto di sollecitazione
all’investimento» e consentendo la personalizzazione del rapporto sociale, con la facoltà
riconosciuta ai soci di decidere l’attribuzione a uno o più di essi di particolari diritti, a
prescindere dal conferimento effettuato.
8. La categoria dei titoli di debito
L’art. 2483 fa riferimento ai ‘titoli di debito’, ma nulla è detto quanto al contenuto
concreto di questi titoli.
Nell’ambito dell’ordinamento, un riferimento esplicito alla categoria dei titoli di debito lo
si rinviene solamente all’art. 1 del d.lgs. 58/98, ove si precisa che i titoli di debito, le
obbligazioni e i titoli di Stato costituiscono una species del genere degli strumenti finanziari37.
Pertanto, la ricerca di un contenuto di tali titoli deve prendere le mosse da alcune
considerazioni di fondo. Innanzitutto, l’espressione «titolo di debito» significa che il titolo
deve essere rappresentativo di un debito, contratto dall’emittente nei confronti del
sottoscrittore, che comporta un obbligo di restituzione della prestazione all’investitore; ciò
implica che il rapporto sottostante deve essere un contratto di mutuo o a causa mista. Tale
rapporto non può esaurirsi nella sola categoria delle obbligazioni, così come disciplinate dal
legislatore agli artt. 2410 ss.. Tuttavia, nonostante la differenza di disciplina e di modello
legale tra s.p.a. e s.r.l., appare inevitabile fare riferimento alla categoria delle obbligazioni
nel delineare un contenuto positivo dei titoli di debito.
L’identificazione del contenuto dei titoli di debito non potrà prescindere, poi, dalla
premessa del carattere privato della s.r.l. e della rilevanza centrale della persona del socio
all’interno della compagine sociale, richiamata dalla stessa relazione governativa. In questo
senso, occorre chiedersi se il divieto posto dall’art. 2468 c.c. – secondo cui le partecipazioni
dei soci non possono essere costituite da azioni, né possono essere oggetto di sollecitazione
all’investimento – riguardi solo le quote di partecipazione sociale, o anche gli strumenti
finanziari e certe tipologie obbligazionarie.
A rendere più difficile individuare concretamente il possibile contenuto dei titoli di debito
concorre il fenomeno, attuato dapprima nella prassi e ora formalizzato dal legislatore, della
previsione di strumenti ibridi di capitalizzazione. La recente riforma del diritto societario ha
segnato il tramonto del precedente modello codicistico relativo alla struttura finanziaria delle
società di capitali, costruito sul dualismo tra partecipazione azionaria e obbligazione38.
Ulteriore elemento di complicazione discende dalla scelta di offrire la più ampia libertà
ai redattori dello statuto in ordine a fattispecie nuove, che la legge si limita solo ad
abbozzare.
Alla luce delle considerazioni appena svolte, appare ragionevole sostenere che i titoli di
debito ben possono avere un contenuto analogo alle obbligazioni di s.p.a., disciplinate dai
primi due commi dell’art. 2411 c.c..
37
PER "STRUMENTI FINANZIARI" SI INTENDONO: … “B) LE OBBLIGAZIONI, I TITOLI DI STATO E GLI ALTRI TITOLI DI
DEBITO NEGOZIABILI SUL MERCATO DEI CAPITALI”.
38
LA RIFORMA DEL DIRITTO DELLE SOCIETÀ HA, INFATTI, APERTO NUOVI SPAZI DI MANOVRA ALL’AUTONOMIA
STATUTARIA, NEL RISPETTO PERÒ DELLE ESIGENZE PRIMARIE DI TUTELA DEL MERCATO.
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Invero, alcuni dubbi sono stati sollevati in dottrina con riferimento alle obbligazioni
subordinate e partecipanti, là dove è previsto un diritto di rimborso della somma in favore
dell’ obbligazionista, subordinato all’andamento della gestione societaria. La subordinazione
o la partecipazione degli obbligazionisti al rischio dell’impresa non implica, però,
l’attribuzione di specifici diritti amministrativi, non rilevando alcuna forma di partecipazione
endosocietaria.
Ancora è discusso se le obbligazioni convertibili in partecipazioni sociali possano
costituire un modello per i titoli di debito. In dottrina sono state prospettate due tesi diverse.
Da una parte39 si confuta l’ammissibilità dell’emissione di titoli di debito che incorporino la
facoltà di conversione in una quota della partecipazione sociale, in quanto ciò costituirebbe
elusione del divieto di incorporazione della quota di cui all’art. 2468 c.c..
Infatti, l’incorporazione della quota in un titolo consentirebbe la circolazione dello
stesso nel mercato e la possibilità dell’ingresso di nuovi soggetti all’interno della struttura
societaria, senza che i soci possano svolgere un’attività di controllo.
Altra dottrina ritiene, invece, ammissibile l’emissione di titoli di debito convertibili in
quote partecipative, in quanto ciò non costituirebbe un’ipotesi di sollecitazione
all’investimento: il collocamento dovrebbe avvenire senza un’offerta al pubblico e il
regolamento di emissione dovrebbe precludere ai sottoscrittori-investitori professionali di
trasferire i titoli mediante sollecitazione all’investimento40.
Più complessa è la questione dei titoli ibridi di capitalizzazione, ovvero degli strumenti
finanziari partecipativi, introdotti dal legislatore con la riforma del 2003.
La complessità discende dalla molteplicità delle sedi in cui il legislatore analizza e
disciplina gli strumenti finanziari nell’ambito del codice civile, cosicché è oggettivamente
difficile declinare una categoria unitaria degli stessi: insieme agli strumenti finanziari
partecipanti all’affare (2447-ter c.c.), vi sono gli strumenti partecipativi (art. 2346 c.c.) e gli
strumenti quasi obbligazionari (2411 c.c.).
La categoria dei titoli di debito, previsti per la s.r.l., non sembra coincidere con gli
strumenti finanziari partecipativi della s.p.a., i quali attribuiscono non solo un diritto alla
restituzione del capitale, ma anche una posizione di carattere sociale.
Più complessa è la questione relativa agli strumenti finanziari quasi obbligazionari. In
primo luogo, vi è l’obiettiva difficoltà per l’interprete di distinguere questa figura dalla
fattispecie obbligazionaria, così come delineata nella prassi. In realtà, gli strumenti finanziari
quasi obbligazionari si caratterizzano per accordare il diritto alla restituzione del capitale,
anche se questo è parametrato alle sorti economiche della società. L’incertezza sul diritto al
rimborso non risiede sull’an, bensì sul quantum e sul quando.
Alla luce di queste considerazioni, si deve ritenere che gli strumenti finanziari quasi
obbligazionari, non assumendo un valore organizzativo endosocietario, non attribuiscano
poteri amministrativi in grado di influenzare la gestione societaria e, in quanto tali, possano
costituire un modello per i titoli di debito della s.r.l..
39
Spada, L’EMISSIONE DEI TITOLI DI DEBITO NELLA SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA, RIV. DELLE SOCIETÀ,
2003, 799 ss;Patriarca, I TITOLI DI DEBITO DELLA S.R.L. TRA OPPORTUNITÀ E PROBLEMI INTERPRETATIVI,MILANO, 2006, 27
SS; Fimmanò, GLI STRUMENTI FINANZIARI NELLA SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA, IN BANCA BORSA E TITOLI DI
CREDITO, 2005, I, 101 SS..
40
Cabras, I TITOLI DI DEBITO, COMMENTARIO A CURA DI PICCOLINI E STAGNO D’ALCONTRES, SOCIETÀ DI CAPITALI,
NAPOLI, 2004,1697.
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9. Analisi della disciplina
L’art. 2483 c.c. consente, attraverso apposita previsione statutaria, l’emissione di titoli
di debito41 anche alle s.r.l.. La sottoscrizione di tali titoli è riservata a investitori professionali
soggetti a vigilanza prudenziale, i quali sono tenuti a garantire il credito nei confronti di tutti i
soggetti che non ottengano dalla società il rimborso dei titoli di debito, salva l’ipotesi di
successiva circolazione dei titoli in capo ai soci o altri investitori istituzionali.
L’art. 2483 non indica quale organo sia competente a deliberare l’emissione dei titoli di
debito, a differenza di quanto previsto dall’art 2410 c.c. in tema di emissione di titoli
obbligazionari42nelle s.p.a.. Spetta, pertanto, all’atto costituivo stabilire se tale potere
competa all’organo amministrativo o ai soci, nonché la maggioranza richiesta, ai fini della
validità della delibera.
In assenza di specifica disposizione, si dovrebbe applicare in via suppletiva l’art. 2479
c.c., in forza del quale la competenza può essere riconosciuta all’organo amministrativo,
secondo le modalità e le maggioranze previste per le altre scelte di carattere gestionale43.
L’art. 2483 c.c. rimette poi all’atto costituivo la facoltà di inserire dei limiti all’emissione dei
titoli di debito.
Se si volge lo sguardo alla disciplina delle obbligazioni, in particolare all’art. 2412,
comma 2 c.c., si osserva un’analogia tra la suddetta disciplina e l’emissione dei titoli di debito
nelle s.r.l.. Infatti, tale norma consente alle s.p.a. di emettere obbligazioni per una somma
eccedente il doppio del capitale sociale e delle riserve legali e disponibili, a patto che le
stesse siano acquisite da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale e che gli
stessi rispondano della solvenza della società. Di conseguenza l’assenza di un limite
quantitativo all’emissione di titoli di debito trova spiegazione nel ruolo di garanzia svolto dagli
intermediari soggetti a vigilanza prudenziale, in ipotesi di insolvenza della società emittente,
cosicché il legislatore non ha ritenuto opportuno prevedere anche un limite alla libertà della
società di emettere titoli di debito44.
L’art. 2483 c.c. non prevede la costituzione di un’organizzazione di categoria per i
sottoscrittori dei titoli di debito, diversamente da quanto previsto dalla disciplina in materia di
obbligazioni di s.p.a..
Al contrario, il comma 3 dell’articolo prevede che, previo il consenso della maggioranza
dei sottoscrittori dei titoli di debito, le condizioni del prestito e le modalità di rimborso possano
41
SI TRATTA DI TITOLI DI MASSA, IN QUANTO SONO EMESSI IN SERIE NELL’AMBITO DI UNA OPERAZIONE FINANZIARIA
LA CUI CAUSA È COSTITUITA DA UNA UNICA OPERAZIONE ECONOMICA.
42
Spada, CLASSI E TIPI DI SOCIETÀ DOPO LA RIFORMA ORGANICA, IN RIV. DIR.CIV., 2003, I, 489 SS.- SOTTOLINEA
PERÒ CHE L’AFFRANCAMENTO DELLA DISCIPLINA DELLA S.R.L. DA QUELLA DELLE S.P.A. NON INFICIA L’APPARTENENZA DELLE
S.R.L. ALLA FAMIGLIA DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI. SULLA SCELTA LESSICALE EFFETTUATA DAL LEGISLATORE È CRITICO Di
Sabato, STRUMENTI DI PARTECIPAZIONE A SPECIFICI AFFARI CON PATRIMONI SEPARATI E OBBLIGAZIONI SOTTOSCRITTE DAGLI
INVESTITORI FINANZIARI, IN BANCA, BORSA E TITOLI DI CREDITO, 2004, I, 29 IL QUALE NON COMPRENDE LA DIFFERENZA TRA I
TITOLI DI DEBITO E LE OBBLIGAZIONI DI S.P.A. COSÌ CONTESTANDO IL RICORSO A UN TERMINE PIÙ AMPIO, SOLO NELLA FORMA E
NON NELLA SOSTANZA.
43
I DATI STATISTICI MOSTRANO UNA CERTA DIFFIDENZA DA PARTE DELLE SOCIETÀ A PREVEDERE SIFFATTA FACOLTÀ.
DA UNA PRIMA INDAGINE, PUBBLICATA SUL SITO WWW.ARISTEIA.IT DOCUMENTO N. 54 SI EVIDENZIA COME SOLTANTO IL 7%
DELLE SOCIETÀ ABBIA INTRODOTTO QUESTA PREVISIONE STATUTARIA.
44
LA DIFFERENZA TRA L’EMISSIONE DI TITOLI DI DEBITO E EMISSIONE OBBLIGAZIONARIA CONSISTE NEL FATTO CHE,
NEL PRIMO CASO LA NORMA È IMPERATIVA, IN QUANTO PRESCRIVE CHE SOTTOSCRITTORI DI QUESTI TITOLI POSSANO ESSERE
SOLAMENTE GLI INVESTITORI QUALIFICATI, MENTRE NELLA SECONDA IPOTESI QUESTA È SOLO UNA FACOLTÀ ULTERIORE CHE
VIENE CONCESSA ALLA SOCIETÀ EMITTENTE, CHE PUÒ INVECE RIVOLGERSI DIRETTAMENTE AL PUBBLICO MERCATO Campobasso, I TITOLI DI DEBITO DELLE S.R.L. FRA AUTONOMIA PRIVATA E TUTELA DEL RISPARMIO, IN IL NUOVO DIRITTO
DELLE SOCIETÀ, III, 2007, 747 SS . I TITOLI DI DEBITO COSTITUISCONO, INFATTI, UNA RACCOLTA DEL RISPARMIO, MA NON GIÀ
PRESSO IL PUBBLICO DEI RISPARMIATORI, MA SOLAMENTE PRESSO INVESTITORI PROFESSIONALI.
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essere modificate dalla società. Ciò non esclude che nell’atto costitutivo si possa prevedere
la creazione di un’organizzazione dei titolari di titoli di debito, sulla falsariga di quanto
previsto nell’ambito delle s.p.a..
La previsione di un’organizzazione dei sottoscrittori dei titoli di debito non appare
necessaria nella s.r.l., in quanto il numero dei sottoscrittori può essere relativamente
modesto, essendo l’emissione dei titoli di debito rivolta ai soli investitori istituzionali, i quali
restano i soli responsabili dell’inadempimento della società. In caso di successiva
circolazione dei titoli di debito presso cessionari non qualificati, la responsabilità per la
solvenza è sempre in capo all’investitore istituzionale. La garanzia di solvenza opera nei
confronti di tutti i successivi acquirenti, salvo che il trasferimento avvenga a favore di
investitori professionali o dei soci della società emittente. In questa seconda ipotesi si dovrà
verificare se, in concreto, la cessione ai soci dei titoli di debito possa costituire elusione
dell’art. 2467 c.c.. Nel caso di specie occorre analizzare il rapporto tra capitale di debito e
capitale di credito al momento dell’emissione dei titoli di debito con un vincolo soggettivo alla
circolazione. Il rischio consiste nel manifestarsi in via indiretta di un fenomeno di
sottocapitalizzazione nominale, senza che possa trovare applicazione la duplice regola della
postergazione e del rimborso del finanziamento.
Da un punto di vista economico, la garanzia di solvenza del prestito comporta un
aumento dei costi del servizio, posto che gli intermediari dovranno adottare misure di
prevenzione più costose e forse risarcire danni più ampi di quelli cui sarebbero tenuti per il
solo inadempimento di obblighi informativi dell’intermediario45.
Al fine di ridurre tali costi, appare peraltro sempre possibile limitare il trasferimento dei
titoli di debito ai soli investitori professionali e ai soci della società emittente, attraverso la
previsione nello statuto di una clausola che preveda limiti alla circolazione dei titoli di debito
ai sensi dell’art. 2483 c.c..
Il costo complessivo dell’operazioni di emissione dovrebbe però essere mitigato dalla
riconduzione nell’ambito della raccolta privata del risparmio dell’emissione di titoli di debito. Il
ruolo degli investitori istituzionali implica, infatti, l’inutilità di misure di protezione per
l’investitore, quale il prospetto informativo. Un investitore istituzionale dovrebbe essere
meglio in grado di valutare il rischio dell’investimento e la solvibilità dell’impresa.
Le ipotesi di offerta indiretta, ovvero i casi in cui l’intermediario acquisti titoli da
un’emittente con l’intento di ridistribuirli tra il pubblico non sembrano porre particolari
problemi sotto il profilo della tutela dei soggetti coinvolti. La sollecitazione all’investimento è
privata se l’investimento in valori mobiliari non è funzionale a un collocamento dei valori
medesimi tra il pubblico dei risparmiatori. Se detti valori sono sottoscritti o acquisiti con
l’intenzione di procedere, subito dopo o una volta decorso un periodo di tempo, alla
distribuzione tra i risparmiatori, anche l’originaria sollecitazione dovrà essere qualificata
come pubblica.
45
IN QUESTO SENSO SI PUÒ UTILIZZARE COME PARAMETRO DI RIFERIMENTO L’AMPIO CONTENZIOSO INNESCATO DAI
DEFAULT CIRIO E PARMALAT, LÀ DOVE ALCUNE PRONUNCE DEI TRIBUNALI DI MERITO HANNO DETERMINATO LA NULLITÀ DEI
CONTRATTI SOTTOSCRITTI DAGLI INVESTITORI RETAIL PER VIOLAZIONE DI OBBLIGHI INFORMATIVI, DA PARTE DEGLI
INTERMEDIARI FINANZIARI.
QUESTA SCELTA INTERPRETATIVA DI PARTE DELLA GIURISPRUDENZA IMPLICA CHE L’INVESTITORE RECUPERA TUTTA LA SOMMA
INVESTITA CON L’AGGIUNTA DEGLI INTERESSI LEGALI, ANDANDO, COSÌ, IMMUNE DALLE POSSIBILE PERDITE PATRIMONIALI,
DIRETTA CONSEGUENZA DI UN’OPERAZIONE EFFETTUATA IN UN MOMENTO DI ANDAMENTO NEGATIVO DEL MERCATO. IL RISCHIO
CHE DISCENDE DA QUESTE SOLUZIONI CONSISTE NELL’INCENTIVARE COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI DA PARTE DELLA
CLIENTELA RETAIL CON EFFETTI DIROMPENTI SUL COSTO DELL’EMISSIONE DEGLI STRUMENTI FINANZIARI, PER IL SOGGETTO
EMITTENTE.
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La responsabilità solidale che grava sull’intermediario professionale dovrebbe
scoraggiare possibili comportamenti opportunistici nell’ipotesi di successivo collocamento dei
titoli presso investitori retail, in assenza di un prospetto informativo e di una chiara
descrizione della natura dell’investimento e del rischio sotteso, rendendo inutile ricorrere alla
figura dell’offerta indiretta, a cui ha fatto richiamo invece parte della giurisprudenza di merito
nelle controversie sorte dopo il crac Cirio e Parmalat.
In tal senso il nuovo art. 100-bis TUF, così come modificato dal legislatore, prevede
che, se entro 12 mesi dal collocamento riservato a investitori professionali, gli strumenti
finanziari vengano sistematicamente rivenduti al pubblico, sempre che siano superati anche i
limiti quantitativi di esenzione previsti dall’articolo 100 TUF, si presume l’esistenza di una
sollecitazione.
IL DIRETTORE GENERALE
Micossi
Sede di ROMA - 00187 Piazza Venezia 11 - tel.06695291 - fax 066790487 / 066781254
Ufficio di MILANO - 20123 Milano - Via Santa Maria Segreta 6 - tel. +39 0286997450 - fax +39 0286997009
Ufficio di BRUXELLES - 1040 Bruxelles - Rue Belliard 4-6 - tel. +32 2 2307254 - fax +32 2 2305362
[email protected]
www.assonime.it
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CC art. 2467. Finanziamenti dei soci.
2467. Finanziamenti dei soci.
Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e,
se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.
Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati,
che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta
un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società
nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento
(1)
.
----------------------(1)
Il Capo VII del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2472 a 2497-bis, è stato così sostituito, a
decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo VII, comprendente gli articoli da 2462 a 2483, dall'art. 3, D.Lgs. 17
gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto
legislativo è riportato nella nota al capo VI.
CC art. 2483. Emissione di titoli di debito.
2483. Emissione di titoli di debito.
Se l'atto costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di debito. In tal caso l'atto costitutivo attribuisce la relativa
competenza ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la
decisione.
I titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a
vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce
risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci
della società medesima.
La decisione di emissione dei titoli prevede le condizioni del prestito e le modalità del rimborso ed è iscritta a cura degli
amministratori presso il registro delle imprese. Può altresì prevedere che, previo consenso della maggioranza dei
possessori dei titoli, la società possa modificare tali condizioni e modalità.
Restano salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società e alle riserve di attività
(1)
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Il Capo VII del Titolo V del Libro V, comprendente in origine gli articoli da 2472 a 2497-bis, è stato così sostituito, a
decorrere dal 1° gennaio 2004, con l'attuale Capo VII, comprendente gli articoli da 2462 a 2483, dall'art. 3, D.Lgs. 17
gennaio 2003, n. 6. Il testo del presente articolo in vigore prima della sostituzione disposta dal suddetto decreto
legislativo è riportato nella nota al capo VII.
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art. 2467 c.c. art. 2483 c.c.