INSEGNAMENTO DI
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
LEZIONE VII
“COMPETENZE E RELAZIONI ESTERNE DELLA COMUNITÀ
EUROPEA”
PROF. GIUSEPPE RUBERTO
Diritto dell’Unione Europea
Lezione VII
Indice
1
Le competenze normative della Comunità europea. ---------------------------------------------- 3
1.1 Competenze esclusive e competenze concorrenti. -------------------------------------------------- 4
1.2 Il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. -------------------------------------- 5
2
Le relazioni esterne della Comunità. ----------------------------------------------------------------- 7
2.1 La personalità giuridica della Comunità europea. -------------------------------------------------- 7
2.2 Gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità. ----------------------------------------------- 8
2.3 Gli accordi internazionali conclusi dagli Stati membri.------------------------------------------ 10
2.4 Gli accordi misti. -------------------------------------------------------------------------------------- 11
3
Le competenze dell’Unione nel II e nel III pilastro. --------------------------------------------- 12
4
La cooperazione rafforzata. -------------------------------------------------------------------------- 13
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione VII
Le competenze normative della Comunità europea.
L’art. 5, par. 1, TCE dispone che: <<La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le
sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato>> (c.d. principio di
attribuzione delle competenze). Il Trattato non contiene tuttavia un elenco generale delle
competenze normative della Comunità, le quali si ricavano dalle norme che ne delineano i compiti
nei diversi settori o impongono obblighi agli Stati membri.
Le competenze della Comunità, peraltro,
non discendono solo dalle disposizioni del
Trattato. L’art. 308 TCE consente infatti alla Comunità di esercitare tutti i poteri necessari per il
raggiungimento dei suoi fini, sebbene non espressamente attribuiti dal Trattato. La norma dispone
testualmente: <<Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel
funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato
abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su
proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le decisioni del
caso>>.
La portata applicativa dell’art. 308 TCE è stata individuata dalla Corte di giustizia nel parere
2/94 del 28 marzo 19961, relativo all’adesione della Comunità alla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo. In esso la Corte afferma che l’art. 308 è diretto “a supplire all’assenza di poteri di
azione attribuiti espressamente o implicitamente alle istituzioni comunitarie da specifiche
disposizioni del Trattato, quando poteri di tal genere dovessero apparire non di meno necessari
affinché la Comunità possa svolgere i propri compiti ai fini della realizzazione degli obiettivi fissati
dal Trattato”. Tale disposizione, prosegue la Corte, “costituendo parte integrante di un
ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento
per ampliare la sfera dei poteri impliciti della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal
complesso delle disposizioni del Trattato, ed in particolare di quelle che definiscono i compiti e le
azioni della Comunità. Essa non può essere, in ogni caso, utilizzata quale base per l’adozione di
disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, ad una
modifica del Trattato che sfugga alla procedura all’uopo prevista nel Trattato medesimo”.
In definitiva, come evidenziato dal Gaja2, il ricorso all’art. 308 TCE costituisce un rimedio
quando esiste una competenza e non sono indicati i poteri per esercitarla; non offre invece una base
giuridica alternativa a quella risultante dalle disposizioni del Trattato.
1
2
CGCE 28 marzo 1996, parere 2/94, in Raccolta, 1996, p. I-1759.
G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, Bari, 2007, p. 86.
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Nella prassi le istituzioni comunitarie, per fondare le competenze della Comunità non
individuate specificamente da norme del Trattato, hanno fatto riferimento alla previsione dell’art. 2
del Trattato CE, contenente una descrizione molto generale degli scopi della Comunità. La norma
dispone, invero, che: <<La Comunità ha il compito di promuovere, nell’insieme della Comunità,
mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetarie e mediante
l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso,
equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione
sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di
competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente
ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della
vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri>>.
Attraverso il rinvio alla suddetta disposizione, data la sua estrema genericità, era possibile
far rientrare qualunque attività tra le competenze della Comunità. A questa prassi, tuttavia, non si è
fatto più ricorso da quando, nel marzo del 1980, il Governo danese obiettò al Consiglio che il
ricorso all’art. 308 TCE non poteva costituire il presupposto per l’avvio di nuove politiche della
Comunità, potendo lo stesso giustificare soltanto la prosecuzione dell’esercizio, già in corso, di una
competenza. Conseguentemente, considerata la necessità, ai sensi dell’art. 308 TCE, del voto
unanime del Consiglio per l’attribuzione di nuove competenze alla Comunità, da quel momento
l’attuazione di nuove politiche è avvenuta mediante l’adozione di modifiche del Trattato.
1.1 Competenze esclusive e competenze concorrenti.
Le competenze della Comunità europea si distinguono in competenze esclusive e
competenze concorrenti.
Nelle materie di competenza esclusiva della Comunità, gli Stati membri non possono
adottare atti normativi, a prescindere dalla circostanza che la competenza comunitaria sia stata o
meno esercitata pienamente. In quest’ambito, pertanto, l’intervento degli Stati membri è ammesso
solo in esecuzione di atti comunitari ovvero con l’autorizzazione delle istituzioni comunitarie.
Nelle materie di competenza concorrente non è invece preclusa l’attività degli Stati
membri. Tuttavia, man mano che la Comunità esercita la propria competenza, diminuisce lo
spazio di azione degli Stati membri i quali, in virtù del principio di leale collaborazione di cui
all’art. 10 TCE (secondo cui gli Stati membri <<si astengono da qualsiasi misura che rischi di
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compromettere la realizzazione degli scopi del presente trattato>>), devono astenersi dall’adottare
provvedimenti in materie già oggetto di disciplina comunitaria, salvo espressa previsione della
stessa. In tal modo una competenza inizialmente concorrente finisce per diventare esclusiva della
Comunità.
Va evidenziato che il Trattato non specifica la natura delle competenze comunitarie; per
individuarla occorre pertanto far riferimento agli scopi perseguiti dal Trattato con l’attribuzione alla
Comunità di determinati poteri. Seguendo questo criterio interpretativo, la Corte ha considerato
come esclusiva la competenza della Comunità in due sole materie: la politica commerciale
comune e la conservazione delle risorse biologiche del mare. Peraltro, la stessa Comunità, nel
novembre 1991, al momento di essere ammessa all’Organizzazione per l’alimentazione e
l’agricoltura (FAO), ha qualificato le suddette materie di competenza esclusiva.
In taluni settori è espressamente previsto che le competenze della Comunità e degli Stati
membri debbano coesistere: va dunque esclusa la possibilità di una sostituzione della competenza
comunitaria a quella degli Stati membri. Ad esempio l’art. 177, par. 1, TCE, dispone che: <<la
politica della Comunità nel settore della cooperazione allo sviluppo…integra quelle svolte dagli
Stati membri>>.
1.2
Il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità.
Il “principio di sussidiarietà” opera come criterio di ripartizione, tra la Comunità e gli
Stati membri, delle competenze concorrenti (non si applica dunque nell’ambito delle competenze
esclusive della Comunità). Esso è codificato nell’art. 5, par. 2, TCE, introdotto dal Trattato di
Maastricht, secondo cui: <<nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità
interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono
dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a
livello comunitario>>.
Con il Trattato di Amsterdam è stato adottato il Protocollo sull’applicazione dei
principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato istitutivo della Comunità europea,
al fine di assicurare una corretta applicazione di tali principi.
Il Protocollo, al paragrafo 4, prevede la necessità di esporre le motivazioni di ciascuna
proposta di normativa comunitaria <<onde giustificare la conformità della proposta ai principi di
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sussidiarietà e proporzionalità>>. Inoltre, prosegue la norma, <<le ragioni che hanno portato a
concludere che un obiettivo comunitario può essere conseguito meglio dalla Comunità devono
essere confortate da indicatori qualitativi o, ove possibile, quantitativi>>.
Il successivo paragrafo 5 esordisce ribadendo le condizioni in presenza delle quali l’art. 5
TCE giustifica l’esercizio dell’azione comunitaria (<<Affinché l’azione comunitaria sia giustificata,
devono essere rispettati entrambi gli aspetti del principio di sussidiarietà: gli obiettivi dell’azione
proposta non possono essere sufficientemente realizzati con l’azione degli Stati membri nel quadro
dei loro sistemi costituzionali nazionali e perciò possono dunque essere meglio conseguiti mediante
l’azione da parte della Comunità>>) e successivamente individua alcuni principi guida da applicare
per valutare il rispetto delle suddette condizioni:
• il primo è che la questione trattata presenti <<aspetti transnazionali che non
possono essere disciplinati in maniera soddisfacente mediante l’azione degli Stati
membri>>;
• il secondo consiste nella circostanza che <<le azioni dei soli Stati membri o la
mancanza di un’azione comune sarebbero in conflitto con le prescrizioni del trattato…o
comunque pregiudicherebbero in modo rilevante gli interessi degli Stati membri>>;
• il terzo va ricercato negli evidenti vantaggi che produrrebbe l’azione comunitaria
rispetto a quella degli Stati membri, in ragione della sua dimensione o dei suoi effetti.
I suddetti principi, come è facile intuire, hanno un contenuto piuttosto politico che
tecnico-giuridico. La ripartizione delle competenze concorrenti, in altre parole, risente delle
condizioni politiche del momento che possono tradursi in una difesa delle prerogative nazionali
ovvero in una accentuazione delle competenze della Comunità.
Altro principio contemplato dall’art. 5 TCE è il “principio di proporzionalità”. Esso
si applica a tutta l’attività normativa della Comunità, operando, quale limite al suo esercizio, non
solo nelle materie di competenza concorrente (nelle quali si affianca al principio di sussidiarietà) ma
anche in quelle di competenza esclusiva della Comunità. In virtù di tale principio l’azione
comunitaria non può andare al di là di quanto indispensabile per il perseguimento degli obiettivi
stabiliti dal Trattato.
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1 Le relazioni esterne della Comunità.
2.1
La personalità giuridica della Comunità europea.
L’art. 281 TCE riconosce espressamente alla Comunità europea personalità giuridica.
Questa si manifesta sia sul piano del diritto interno che sul piano del diritto internazionale.
In relazione alla personalità giuridica di diritto interno, l’art. 282 TCE dispone
che: <<in ciascuno degli Stati membri, la Comunità ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta
alle persone giuridiche dalle legislazioni nazionali; essa può in particolare acquistare o alienare
beni immobili e mobili e stare in giudizio. A tal fine, essa è rappresentata dalla Commissione>>. La
personalità giuridica di diritto interno della Comunità si manifesta dunque attraverso la possibilità
di stare in giudizio e di essere titolare di diritti ed obblighi contrattuali.
La soggettività giuridica internazionale della Comunità consiste invece nella sua
capacità di essere titolare di diritti e obblighi internazionali in maniera autonoma rispetto agli Stati
membri. Espressione della personalità giuridica di diritto internazionale della Comunità sono:
-
il diritto di inviare missioni diplomatiche in Stati terzi e di accreditare
rappresentanti diplomatici di altri Stati;
-
il diritto di intrattenere rapporti con Stati membri o organizzazioni
internazionali nonché di essere membro di organizzazioni internazionali;
-
il diritto di partecipare a conferenze internazionali;
-
la capacità di concludere accordi internazionali con Stati terzi o
organizzazioni internazionali.
Se la Comunità europea è dotata di personalità giuridica non può dirsi altrettanto per
l’Unione europea. L’art. 24 del Trattato sull’Unione europea, invero, prevede che il Consiglio possa
concludere accordi con uno o più Stati od organizzazioni internazionali in materia di Politica estera
e di sicurezza comune. Detti accordi, tuttavia, sono conclusi in nome degli Stati membri e non
dell’Unione, tant’è che il par. 5 dell’art. 24 contempla la possibilità che l’accordo non vincoli lo
Stato membro il cui rappresentante dichiari, in sede di Consiglio, che lo Stato cui appartiene deve
conformarsi alle prescrizioni della propria costituzione. Tuttavia, in dottrina, Daniele ha rilevato che
la previsione dell’art. 300, par. 7, TCE (secondo cui <<gli accordi conclusi alle condizioni indicate
dal presente articolo sono vincolanti per le istituzioni dell’Unione>>) e la prassi applicativa della
norma sembrano far propendere per un riconoscimento della personalità giuridica dell’Unione.
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Questa situazione di incertezza è destinata ad essere superata con l’entrata in vigore del
nuovo Trattato che, confermando la disposizione contenuta nell’art. I-7 della accantonata
Costituzione europea, riconosce espressamente la personalità giuridica dell’Unione.
2.2
Gli accordi internazionali conclusi dalla Comunità.
Come si è detto, la Comunità, in quanto soggetto di diritto internazionale, ha la capacità di
concludere autonomamente accordi con Stati terzi e organizzazioni internazionali.
In particolare, la Comunità, per espressa previsione del Trattato, è competente a concludere i
seguenti accordi internazionali:
-
accordi in materia di politica commerciale (art. 133 TCE);
-
accordi di associazione (art. 310 TCE);
-
accordi in materia di ricerca e sviluppo tecnologico (art. 170 TCE);
-
accordi in materia di ambiente (art. 174 TCE);
-
accordi in materia di cooperazione allo sviluppo (art. 181 TCE);
-
accordi in materia di cooperazione economica, finanziaria e tecnica con Paesi
terzi (art. 181A TCE).
Nella prassi, tuttavia, la Comunità ha concluso accordi anche in settori diversi da quelli
previsti dal Trattato. Tale prassi ha trovato riscontro favorevole nell’orientamento espresso dalla
Corte di giustizia la quale, in un parere reso il 26 aprile 19773, ha riconosciuto alla Comunità la
capacità di stipulare accordi internazionali anche in mancanza di espresse disposizioni al riguardo,
al fine di raggiungere obiettivi per il cui perseguimento il diritto comunitario ha attribuito alle
istituzioni comunitarie determinati poteri sul piano interno (c.d. principio del parallelismo tra
competenza interna ed esterna della Comunità).
Chiariti i confini della competenza esterna della Comunità occorre interrogarsi sulla sua
natura. A tal proposito va precisato che la competenza esterna della Comunità può avere carattere
esclusivo o concorrente, a seconda che la capacità della Comunità di stipulare accordi
internazionali in un settore impedisca o meno l’esercizio di analoghi poteri da parte degli Stati
membri.
3
parere 1/76 del 26 aprile 1977, in Raccolta, 1977, p. 741
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Orbene, la competenza esterna è esercitata in via esclusiva dalla Comunità nelle
stesse materie in cui essa ha competenza esclusiva sul piano interno, ossia in materia di politica
commerciale comune e di conservazione delle risorse biologiche del mare.
In tutti gli altri casi la competenza esterna della Comunità è concorrente con quella
degli Stati membri, nel senso che gli accordi internazionali possono essere stipulati, in queste
materie, sia dagli Stati membri che dalla Comunità o anche dalla Comunità insieme a uno o più
Stati membri (c.d. accordi misti). Tuttavia, come accade per la competenza interna concorrente, una
volta che la Comunità abbia contratto un accordo internazionale in una materia oggetto di
competenza concorrente, i corrispondenti poteri degli Stati membri saranno preclusi. In definitiva,
la competenza della Comunità a concludere accordi internazionali diviene esclusiva una volta
esercitata. Tale principio è stato affermato dalla Corte di giustizia, la quale ha si è espressa in questi
termini: “Tutte le volte che (per la realizzazione di una politica comune prevista dal Trattato) la
Comunità ha adottato delle disposizioni contenenti, sotto qualsivoglia forma, norme comuni (cioè
abbia esercitato una competenza interna), gli Stati membri non hanno più il potere – né
individualmente, né collettivamente – di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidano su
dette norme. Man mano che queste norme comuni vengono adottate, infatti, si accentra nella
Comunità la competenza ad assumere e ad adempiere – con effetto per l’intera sfera in cui vige
l’ordinamento comunitario – degli impegni nei confronti degli Stati terzi”4.
In relazione agli effetti degli accordi internazionali conclusi dalla Comunità, l’art.
300, par. 7, TCE prevede che essi <<sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati
membri>>. In tal modo, ha rilevato la Corte di giustizia, le disposizioni di siffatti accordi formano
“parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario”5, con il conseguente obbligo per gli Stati
membri e le istituzioni comunitarie di attuarne le disposizioni. Gli effetti degli accordi stipulati dalla
Comunità si producono inoltre in maniera automatica, senza la necessità di norme di attuazione.
Una normativa di esecuzione si rende necessaria solo per quelle disposizioni dell’accordo che
possono essere applicate solo previa integrazione del loro contenuto, da adottarsi, in linea di
principio, con atti comunitari6.
Dalla previsione dell’art. 300, par. 7, TCE consegue che l’atto comunitario
contrastante con un accordo stipulato dalla Comunità può essere annullato o dichiarato invalido.
4
sentenza 31 marzo 1971, Commissione c. Consiglio, causa 22/70, in Raccolta, 1971, p. 263.
CGCE, 30 aprile 1974, Haegeman, causa 181/73, in Raccolta, 1974, p. 449.
6
G. GAJA, Introduzione al diritto comunitario, cit., p. 168.
5
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Un’eccezione è però rappresentata dall’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del
commercio (OMC) e relativi allegati, i quali, secondo la Corte di giustizia, “non figurano in linea di
principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle
istituzioni comunitarie”7. In quest’ambito la risoluzione delle controversie, data la natura flessibile
di siffatti accordi, è rimessa ai negoziati tra le parti.
2.3
Gli accordi internazionali conclusi dagli Stati membri.
Gli Stati membri della Comunità possono stipulare autonomamente accordi
internazionali con Stati terzi o organizzazioni internazionali nelle materie che non rientrano nella
competenza esclusiva della Comunità o nelle quali non sia già intervenuto un accordo
internazionale stipulato da quest’ultima. Gli accordi stipulati dagli Stati membri non possono
comportare, tuttavia, il mancato rispetto degli obblighi comunitari.
Problemi potrebbero sorgere nel caso di accordi internazionali conclusi dagli Stati membri
prima dell’adesione al Trattato. In questi casi trova applicazione il principio di diritto internazionale
secondo cui il trattato concluso tra due Stati non può essere abrogato né emendato da un successivo
trattato stipulato da uno di essi con uno Stato terzo.
Questo principio è stato recepito dall’art. 307, comma 1, TCE, secondo cui: <<Le
disposizioni del presente trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni
concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della
loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra>>.
Lo stesso articolo, tuttavia, al fine di garantire il rispetto del Trattato, al secondo comma,
dispone che, qualora le convenzioni stipulate dagli Stati membri precedentemente alla loro adesione
siano incompatibili col Trattato, questi devono ricorrere <<a tutti mezzi atti ad eliminare le
incompatibilità constatate>>, fornendosi, ove occorra, <<reciproca assistenza per raggiungere tale
scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta>>.
Nel caso in cui, però, l’incompatibilità permanga, la Corte di giustizia ha affermato che la
previsione dell’art. 307, comma 1, TCE consente allo Stato membro di disapplicare la norma
comunitaria al fine di osservare i diritti e gli obblighi derivanti dall’accordo antecedente stipulato
con il Paese terzo (sentenza del 4 luglio 2000, Commissione c. Portogallo).
7
CGCE, 23 novembre 1999, Portogallo c. Consiglio, causa C-149/96, in Raccolta, 1999, p. I-8395.
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Il terzo comma dell’art. 307 TCE, infine, contiene una sorta di giustificazione del “vincolo
comunitario” a cui sono sottoposti gli Stati membri nell’esercizio della loro competenza esterna. La
norma, invero, dispone che, nell’applicazione delle convenzioni stipulate con Paesi terzi prima
dell’adesione al Trattato, <<gli Stati membri tengono conto del fatto che i vantaggi consentiti nel
presente trattato da ciascuno degli Stati membri costituiscono parte integrante dell’instaurazione
della Comunità e sono, per ciò stesso, indissolubilmente connessi alla creazione di istituzioni
comuni, all’attribuzione di competenze a favore di queste ultime e alla concessione degli stessi
vantaggi da parte di tutti gli Stati membri>>.
Un’ipotesi particolare riguarda gli accordi anteriori al Trattato relativi a materie di
competenza esclusiva della Comunità. In tal caso si è verificata una sostituzione della Comunità nei
diritti e obblighi degli Stati membri, i quali hanno continuato a rispettare l’accordo per conto della
Comunità. Ciò è avvenuto, ad esempio, rispetto al GATT (Accordo generale sulle tariffe doganali e
sul commercio, stipulato il 30 ottobre 1947), di cui, dopo l’attribuzione alla Comunità della
competenza in materia di politica commerciale, sono rimasti parte gli Stati membri, pur avendo la
Comunità preso, di fatto, il loro posto.
2.4
Gli accordi misti.
Gli accordi misti sono accordi internazionali conclusi congiuntamente dalla
Comunità e dagli Stati membri. Essi sono stipulati quando l’oggetto dell’accordo ricade in parte
nella competenza esclusiva della Comunità e in parte nella competenza esclusiva degli Stati membri
ovvero in parte nella competenza esclusiva della Comunità e in parte in quella concorrente e gli
Stati membri non intendano rinunciare ai loro poteri. In questi casi, ai fini della stipulazione
dell’accordo, è necessaria la partecipazione congiunta della Comunità e degli Stati membri.
Gli accordi misti sono conclusi, a nome della Comunità, dal Consiglio e sottoposti
alla ratifica degli Stati membri, secondo le rispettive norme costituzionali.
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Lezione VII
2 Le competenze dell’Unione nel II e nel III
pilastro.
Le competenze dell’Unione europea nel pilastro comunitario non trovano
rispondenza negli altri due pilastri, dove non è configurabile alcuna competenza esclusiva
dell’Unione, mentre quella concorrente riguarda il solo pilastro della Cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale.
Nel III pilastro, in particolare, esiste una competenza concorrente dell’Unione e degli
Stati membri in relazione alle decisioni-quadro adottate dal Consiglio per il ravvicinamento delle
disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri (art. 34, par. 2, lett. b), TUE). In
quest’ambito, analogamente a quanto accade per la competenza concorrente nel pilastro
comunitario, gli Stati membri possono agire liberamente finché l’Unione non eserciti la propria
competenza.
Nel settore della Politica estera e di sicurezza comune non esiste una vera e propria
competenza concorrente ma piuttosto un obbligo di coordinamento tra competenze dell’Unione e
degli Stati membri, in ossequio al principio di leale collaborazione. In particolare, l’art. 11, par. 2,
TUE, dispone che <<Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di
sicurezza dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca>>, astenendosi <<da
qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o tale da nuocere alla sua efficacia come
elemento di coesione nelle relazioni internazionali>>. In sintesi, l’adozione di atti dell’Unione
nell’ambito del II pilastro non esclude l’esercizio di una politica estera nazionale da parte degli Stati
membri, ma impone loro soltanto l’obbligo di coordinarsi e non entrare in conflitto con le decisioni
dell’UE.
Chiariti, in estrema sintesi, i confini delle competenze dell’Unione nel II e III
pilastro, occorre interrogarsi sulle conseguenze dell’adozione, da parte del Consiglio, di atti invasivi
delle competenze comunitarie. In tal caso spetterà alla Corte di giustizia verificare, in sede di
ricorso di annullamento ex art. 230 TCE, se gli atti in questione rientrino nelle competenze
dell’Unione relative al II o III pilastro oppure vadano annullati in quanto lesivi delle competenze
attribuite dal TCE alla Comunità europea.
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Lezione VII
3 La cooperazione rafforzata.
L’istituto della cooperazione rafforzata, come anticipato nel corso della prima lezione, è
stato introdotto dal Trattato di Amsterdam e potenziato dal Trattato di Nizza, che lo ha esteso anche
al secondo pilastro. Il suo scopo è di consentire ad un gruppo di Stati membri di attuare azioni
comuni non condivise da tutti gli Stati dell’Unione avvalendosi delle istituzioni, delle procedure e
dei meccanismi previsti dal TUE e dal TCE. Per dar vita ad una cooperazione rafforzata gli Stati
membri devono rispettare una serie di condizioni, indicate dall’art. 43 TUE.
In particolare la cooperazione:
- deve essere diretta a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione e
della Comunità, a proteggere e servire i loro interessi e a rafforzare il loro processo
d’integrazione;
- deve rispettare i Trattati, il quadro istituzionale unico dell'Unione e l’acquis
comunitario;
- deve rimanere nei limiti delle competenze dell'Unione o della Comunità e non
riguardare i settori di competenza esclusiva della Comunità;
- non deve recare pregiudizio al mercato interno o alla coesione economica e
sociale;
- non deve costituire un ostacolo né una discriminazione per gli scambi tra gli Stati
membri né provocare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi;
- deve riunire almeno otto Stati membri ed essere aperta a tutti gli Stati membri;
- deve rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi
partecipano.
Il ricorso alla cooperazione rafforzata è ammesso solo come extrema ratio, cioè quando si
stabilisca, in Consiglio, che gli obiettivi che essa si prefigge non possano essere conseguiti, entro un
termine ragionevole, con la partecipazione di tutti gli Stati membri (art. 43A TUE).
Nel primo e nel terzo pilastro la richiesta di istaurare una cooperazione rafforzata è avanzata
dagli Stati membri alla Commissione affinché essa formuli una proposta al riguardo. In mancanza,
l’istanza di autorizzazione deve essere sottoposta al Consiglio da almeno otto Stati.
L’autorizzazione è concessa dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata previa
consultazione del Parlamento europeo (è richiesto, invece, il parere conforme del Parlamento se la
cooperazione rafforzata riguarda una materia per la quale si applica la procedura di codecisione).
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto dell’Unione Europea
Lezione VII
Ogni Stato membro contrario all’instaurazione della cooperazione rafforzata può chiedere in
Consiglio che la questione sia sottoposta al Consiglio europeo. La richiesta ha solo l’effetto di
sospendere la procedura poiché la decisione finale spetta sempre al Consiglio che delibera a
maggioranza qualificata.
Nel pilastro PESC la richiesta di instaurare una cooperazione rafforzata è invece presentata
al Consiglio, che decide a maggioranza qualificata, previo parere della Commissione e dopo aver
informato il Parlamento. Uno Stato membro contrario all’instaurazione della cooperazione può però
opporsi alla decisione. In tal caso il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere
che della questione sia investito il Consiglio europeo affinché si pronunci all’unanimità.
L’adesione di nuovi Stati membri ad una cooperazione rafforzata già instaurata è decisa dal
Consiglio, previo parere della Commissione.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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competenze e relazioni esterne della comunità europea