Il libro dei Proverbi
Il libro dei Proverbi appartiene al gruppo di libri dell’Antico Testamento conosciuto con il nome di
"Letteratura sapienziale" (insieme a Giobbe ed Ecclesiaste). Nella civiltà del mondo biblico antico,
il proverbio era una forma letteraria facile da imparare a memoria che comunicava, si trasmettevano
preferibilmente a viva voce, da padre in figlio. Formulare un proverbio significava dire tutto in una
scheggia, con un risultato a volte ovvio, a volte geniale. I proverbi altro non erano che la sapienza
ottimistica di un popolo semplice escluso dalle scuole (le quali erano invece destinate ai principi e
ai funzionari dello stato). Il loro uso e la loro trasmissione rappresentava una sorta di scuola
popolare.
TERMINOLOGIA
I termini saggezza o sapienza, saggio o sapienziale, derivano, in un modo o in un altro, dai vocaboli
latini sapientia, sapiens che a loro volta si rifanno al verbo sapere: gustare, percepire, comprendere,
assaporare. Nella Vulgata sapientia e sapiens rendono o traducono di solito i termini greci della
versione dei Settanta e del NT sophía e sophós, la cui radice è di etimologia sconosciuta.
LE FORME DI ESPRESSIONE
Anche le forme attraverso le quali la sapienza si esprime sono le stesse dovunque. Nella Bibbia
troviamo la forma dell’adagio: «Quale la madre, tale la figlia» (Ez 16,44); «Pelle per pelle» (Gb
2,4); «Medico, cura te stesso» (Lc 4,23); incontriamo dei proverbi: «Dai malvagi esce malvagità!»
(1Sam 24,14); «Chi indossa le armi non si vanti come chi le depone» (1Re 20,11: quattro parole in
ebraico); o ancora: «I padri hanno mangiato l’agresto e i denti dei figli si sono allegati» (Ger 31,29;
Ez 18,2). Accanto a queste forme semplici c’è poi l’enigma, come quello proposto da Sansone: «Da
colui che mangia è venuto fuori cibo. Dal forte è uscito qualcosa di dolce» (Gdc 14,14).
SALOMONE MODELLO DEI SAGGI
La Bibbia collega la fioritura della sapienza in Israele alla persona del re Salomone (972-932).
Salomone domandò a Dio, fin dall’inizio del suo regno, «un cuore saggio e perspicace» per
governare (1Re 3,4-15; 2Cr 1,3-12). La sapienza di Salomone si manifestò nelle sue qualità di
giudice (1Re 3,15-28: il famoso giudizio di Salomone), nelle capacità di amministratore (1Re 4,1–
5,8), di costruttore del tempio (1Re 5,15–8,66). Organizzò i lavori pubblici (1Re 9,15-24) e il
commercio con l’estero (1Re 9,26 – 10,13: la visita della regina di Saba), accumulando un’enorme
fortuna (1Re 10,14-25). Ma il regno di Salomone non fu senza ombre: l’oppressione del popolo in
funzione dei suoi progetti, il fasto della corte e soprattutto la sua infedeltà religiosa gli procurarono
dei nemici, tanto che alla sua morte il regno si divise. L’accoglienza delle culture straniere fu
probabilmente uno dei motivi del successo della politica del re.
Le parti del testo
Il libro è costituito da due raccolte: la prime intitolata «Proverbi di Salomone», e la seconda
introdotta con «ed ecco ancora alcuni proverbi di Salomone che trascrissero gli uomini di Ezechia».
Queste due parti possiedono delle appendici e vengono precedute da una lunga introduzione in cui
un padre dà raccomandazioni di saggezza a suo figlio. Il libro si conclude con un poema alfabetico
che loda la donna perfetta. Le parti principali sono costituite da brevi sentenze caratterizzate dalla
forma primitiva dei proverbi. Le appendici presentano una forma più evoluta.
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Le parti più antiche (10-22 e 25-29) sono attribuite al re Salomone che, secondo 1 Re 5,12,
«pronunciò tremila proverbi» e che fu sempre considerato come il più grande saggio di Israele. Non
si sa con certezza se il re scrisse questi proverbi, ma è noto che risalgono al tempo in cui lui visse.
Alcuni temi trattati dal testo
All’interno del libro dei proverbi c’è di tutto: dall’anti-femminismo, al buon senso frutto di luoghi
comuni, ristrettezza mentale, carenza di cultura; l’umorismo più geniale, sconfinante a volte in una
polemica contro il potere, condotta sul filo dell’ironia per evitare il rischio della censura e della
mannaia. Il tema della “donna” divertiva tanto gli uomini ecco perché tra i proverbi si legge:
«Meglio abitare nel deserto che vivere con una moglie irritabile e litigiosa». Ma è scritto pure:
«Fallàce è la grazia e vana è la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare. Datele del frutto
delle sue mani e le sue stesse opere la lodino alle porte della città». Altro tema era quello del vino.
«Per chi i guai? Per chi i lamenti? Per chi i litigi? Per chi i gemiti? A chi le percosse per futili
motivi? A chi gli occhi rossi? Per quelli che si perdono dietro al vino e vanno a gustare vino puro».
Dei figli si dice: «il figlio saggio rende lieto il padre; il figlio stolto contrista la madre»; «Correggi il
figlio e ti farà contento e ti procurerà consolazioni»; «Corona dei vecchi sono i figli dei figli, onore
dei figli i loro padri».
Scopo del libro dei Proverbi
Dio ha cura di rivelarci il suo pensiero su argomenti che riguardano la vita di ogni giorno. Queste
cose sono scritte «per farti conoscere cose certe, parole vere» (22:21). Nel mondo di oggi, in cui
tutto è rimesso in discussione, abbiamo più che mai bisogno di norme di vita sicure, di origine
divina. Il Libro dei Proverbi è particolarmente utile per fornircele, e per rimettere in sesto ciò che in
noi è così facilmente deformato dall’influenza del mondo.
La saggezza
La saggezza non è data all’uomo alla sua nascita. Al contrario, «la follia è legata al cuore del
bambino» (22:15). La saggezza, quindi, è tutta da acquistare. È Dio che la dà (2:6), ma non la dà se
non a quelli che la cercano con impegno: «Se la cerchi come l’argento, e ti dai a scavarla come un
tesoro… Acquista la saggezza; sì, a costo di quanto possiedi… » (2:4-5, 4:7). La saggezza non è
data una volta per sempre, ma in modo progressivo: «Il saggio ascolterà e accrescerà il suo sapere»
(1:5). E anche chi è già considerato saggio ha ancora bisogno di essere ripreso (9:8).
Dà prova di saggezza chi ascolta l’insegnamento dei genitori (13:1), chi si lascia consigliare
(13:10), colui che vedendo il male teme di cadere, lo evita e si nasconde (14:16, 22:3), chi è lento
all’ira (19:11), chi dirige il suo cuore per la retta via invece di lasciarsi dirigere dal suo cuore
(23:19), chi è padrone delle sue labbra (10:19). Il saggio non si stima saggio da se stesso; c’è più da
sperare da uno stolto che da chi si crede saggio (26:12). Poiché è Dio che li istruisce, i saggi sono in
grado di comunicare ad altri la preziosa conoscenza ricevuta; la loro lingua è ricca di scienza (15:2).
I saggi sanno anche tenere in serbo la saggezza (10:14) e spargerla al momento opportuno (15:7).
«Il principio della saggezza è il timore dell’Eterno» (9:10).
Le parole
«La bocca dello stolto è la sua rovina» (18:7); egli prende piacere a manifestare ciò che ha nel cuore
(18:2). Senza alcun ritegno, la sua bocca sgorga follia (15:2) e si compiace nelle cose basse (26:11).
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Se gli capita di dire una parola saggia, questa è senza forza e senza effetto alcuno (26:7 e 9).
Per contro, la bocca del giusto è una fonte di vita (10:11), la sua lingua è argento eletto (10:20), le
sue labbra conoscono ciò che è grato (10:32) e pascono molti (10:21). «Le parole gentili sono un
favo di miele; dolcezza all’anima, salute alle ossa» (16:24). «Le parole dette a tempo sono come
frutti d’oro in vasi d’argento cesellato» (25:11).
Poiché la bocca può far uscire parole di valore diverso, in bene o in male, bisogna custodirla (13:3).
«Chi sorveglia la sua bocca e la sua lingua preserva sé stesso dall’angoscia» (21:23). Bisogna
evitare la precipitazione (29:20), meditare la risposta (15:28), moderare le proprie parole (17:27) e
non pronunciarne troppe (10:19). Così esse sono fonte di gioia per chi le pronuncia e per chi le
ascolta. «Le parole della bocca di un uomo sono acque profonde; la fonte di saggezza è un ruscello
che scorre perenne» (18:4).
Le influenze
I contatti che abbiamo con l’uno e con l’altro, specie se sono frequenti, esercitano su noi
un’influenza e lasciano un’impronta, sia nel bene che nel male. È dunque importante scegliere bene
le persone che frequentiamo. «Chi va con i saggi diventa saggio, ma il compagno degli insensati
diventa cattivo» (13:20). È un prezioso incoraggiamento a ricercare la compagnia di quelli che
hanno acquisito saggezza alla scuola di Dio; molto utili e preziosi sono i contatti con credenti anche
di età differenti.
«Non fare amicizia con l’uomo collerico, non andare con l’uomo violento, perché tu non impari le
sue vie ed esponga te stesso a un’insidia» (22:24-25). Che si tratti degli empi e dei malvagi (4:1415), dello stolto (14:7) o dell’uomo violento (16:29) o anche di chi apre troppo le labbra (20:19), è
sempre grande il pericolo di lasciarsi trascinare; per questo siamo esortati a fuggire, a non
immischiarci, ad andarcene lontano. Se temiamo il Signore e non confidiamo nel nostro proprio
cuore (28:26) eviteremo il più possibile ogni rapporto d’amicizia con quelli che non hanno la vita di
Dio o che disprezzano l’insegnamento divino. Che ci sia una testimonianza da rendere e un servizio
da compiere verso quelli che Satana sta trascinando alla perdizione, è certo (24:11-12), ma ciò non
significa che dobbiamo camminare con loro.
Il matrimonio
Le istruzioni concernenti il matrimonio sono presentate dal punto di vista dell’uomo, non della
donna, sia perché è l’uomo il rappresentante dinanzi a Dio della razza umana, sia perché è lui
responsabile della scelta della sua compagna (alcuni traducono Proverbi 30:19: «la traccia
dell’uomo verso la giovane»). «Non desiderare in cuor tuo la sua bellezza» (6:25) poiché «una
donna bella, ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grifo di un porco» (11:22) e «la grazia è
ingannevole e la bellezza è cosa vana» (31:30). Ma se la donna che fa vergogna è un tarlo nelle ossa
di suo marito (12:4), una donna virtuosa è la sua corona. «La donna che teme l’Eterno è quella che
sarà lodata» (31:30); il suo pregio «sorpassa di molto quello delle perle» (31:10). «Chi la troverà?»
Domanda solenne! Che i nostri ragazzi si affidino a Dio perché sia Lui a farla trovar loro. «Una
moglie giudiziosa è un dono dell’Eterno» (19:14); Dio non rifiuterà questo favore (18:22) a chi
confida in Lui e gli è fedele. Nell’attesa di aver messo in ordine gli affari di fuori e in buon stato i
suoi campi (24:27), e nell’attesa del momento scelto da Dio, sappia il giovane custodire il suo cuore
più d’ogni altra cosa «poiché da esso provengono le sorgenti della vita» (4:23).
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La correzione dei figli
La disciplina di un padre verso il suo figlio, figura di quella di Dio verso i suoi, è la prova di un
vero amore (3:12). Questa disciplina non si limita a una riprensione a parole: c’è anche la verga:
«La verga e la riprensione danno saggezza» (29:15). «Chi risparmia la verga odia suo figlio, ma chi
lo ama, lo corregge per tempo» (13:24). È un lavoro paziente, da compiere con diligenza nel timore
e nella fiducia in Dio, che porterà il suo frutto (22:15, 23:13-14, 29:17). «Insegna al ragazzo la
condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà» (22:6).
La riprensione
I figli non sono i soli ad aver bisogno di riprensione. Essa è necessaria ad ogni uomo, anche al
saggio (9:8) e all’intelligente (17:10, 19:25). Beato chi ascolta la riprensione (15:31-32), chi dà retta
(13:18 e 15:5) ! Diventerà saggio, acquisterà buon senso, sarà onorato, «abiterà tra i saggi»
(15:31).Per contro, «chi odia la riprensione è uno stupido» (12:1). «L’uomo che, dopo essere stato
spesso ripreso, irrigidisce il collo, sarà abbattuto all’improvviso e senza rimedio» (29:1). Il modo
con cui un uomo accoglie la riprensione è un test del suo stato naturale; «il beffardo non ama che
altri lo riprenda» (15:12), mentre il saggio lo ama (9:8). «L’uomo che corregge sarà, alla fine, più
accetto di chi lusinga con la sua lingua» (28:23). «Chi ama ferisce, ma rimane fedele» (27:6). È in
questo modo che l’amore può coprire moltitudine di peccati (10:12; Giacomo 5:19-20). L’amore
cerca sempre di ricondurre quelli che si sviano.
La retribuzione
I Proverbi ci insegnano che la benedizione di Dio è su quelli che camminano secondo i suoi
insegnamenti, mentre il suo giudizio è sospeso su quelli che fanno il male, ed è eseguito quando la
pazienza divina giunge al termine (3:33, 11:8, 13:21, 16:7, 21:12). «Chi chiude l’orecchio al grido
del povero, griderà anch’egli, e non gli sarà risposto» (21:13); «chi scava una fossa vi cadrà, e la
pietra torna addosso a chi la rotola» (26:27). Chi rifiuta di ascoltare quando Dio chiama, griderà un
giorno e Dio non gli darà risposta (1:24-28). Dio «schernisce gli schernitori» ma anche «fa grazia
agli umili» (3:24). Dio eleva chi si abbassa (15:33, 29:23), e riempie di abbondanza i granai di chi
lo onora coi suoi beni (3:9-10). «Chi ha pietà del povero presta all’Eterno, che gli contraccambierà
l’opera buona» (19:17).
La fiducia
«Chi confida nel proprio cuore è uno stolto» (28:26). Chi confida nelle ricchezze cadrà (11:28)
benché, nella sua immaginazione, le consideri come una «roccaforte» (18:11). Ma colui che confida
nell’Eterno è beato (16:20) e sarà saziato (28:25). È lui che, nel giorno cattivo, troverà un alto
rifugio (18:10, 29:25). «Confida nell’Eterno con tutto il cuore e non ti appoggiare sul tuo
discernimento. Riconoscilo in tutte le tue vie ed egli appianerà i tuoi sentieri» (3:5-6).
Verso la Rivelazione di Cristo
L’insegnamento dei proverbi è stato certo superato da quello di Cristo, sapienza di Dio, benché
alcune massime annunzino già la morale evangelica. Bisogna altresì ricordarsi che la vera religione
si sviluppa su un fondo di onestà umana e che il frequente uso che il Nuovo Testamento fa del libro,
impone a noi cristiani un grande rispetto per questi pensieri dei vecchi sapienti di Israele.
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