Obblighi del responsabile del procedimento, e nello specifico in materia di redazione e comunicazione degli atti di Maurizio Lucca Il Responsabile del procedimento ha una molteplicità di compiti per consentire che la p.a. possa validamente provvedere, accanto a funzioni istruttorie e decisionali deve saper esprimersi con chiarezza, precisione ed esattezza utilizzando una comunicazione interna ed esterna comprensibile e con un linguaggio coerente all’universo dei destinatari, anche attraverso l’uso dei sistemi informatici e una grafica “accattivante” per l’utente finale. Ratio dell’istituzione del responsabile del procedimento La Legge 241 del 1990 ha canonizzato all’articolo 4, e seguenti del Capo secondo, ... la figura del Responsabile del procedimento come quel soggetto (fisico) che ha il compito di portare a conclusione l’azione della pubblica amministrazione, e più in generale si presenta nell’espressione della c.d. personalizzazione dell’interlocutore pubblico che agisce sia internamente (al procedimento) che esternamente alla p.a., con obiettivi di razionalizzazione, efficienza ed efficacia per definire e concludere le decisioni e le istanze provvedimentali, in un processo di democratizzazione che attribuisce ad un singolo la responsabilità pubblica, senza margini di incertezza alcuna. Ed è questa necessità di individuazione immediata dell’interlocutore pubblico a cui demandare i compiti istruttori e decisori che permette di affermare che sia superata la struttura sequenziale del procedimento, dovendo rilevare che l’istituzionalizzazione del Responsabile del procedimento - per ogni azione pubblica - consente di acclarare un centro di imputazione di responsabilità (certo), indipendentemente dalla sequenza e dalla complessità del procedimento, del riparto delle competenze, dell’organizzazione amministrativa di una data amministrazione (o sostenibilità)(1). Giova, allora constatare che la mancata comunicazione del nominativo del Responsabile del procedimento al soggetto interessato all’emanazione del provvedimento amministrativo non assurge a motivo di invalidità (derivata), e tale omissione sanabile rappresenta (diversamente) una mera irregolarità insuscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto, potendosi sempre supplire alla lacuna in relazione al chiaro dettato normativo (ex comma 2, dell’articolo 5 della legge 241/90), considerando responsabile il funzionario preposto alla competente unità organizzativa(2). Titolarità e unicità di responsabilità In dipendenza di ciò, risulta inevitabile che il Responsabile del procedimento è il titolare di una competenza aperta, ed è portatore di una molteplicità di compiti propri (e autonomi) che tendono a valorizzare il coordinamento e l’esecuzione procedimentale, anche in assenza di una specifica individuazione, essendo sempre possibile risalire al soggetto responsabile dell’istruttoria oltre che guida dell’intero iter amministrativo, rappresentando tale soggetto pubblico il parametro costituzionale di garanzia del buon funzionamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa (ex art.97 Cost.), oltre a ricondurre a unicità un concetto diversificato di responsabilità(3) a quei procedimenti che si compongono di più subprocedimenti(4). Il Responsabile del procedimento possiede, quindi una propria competenza che deve proiettarsi nel ricercare la migliore soluzione per il raggiungimento dello scopo pubblico, per non aggravare immotivatamente la fase decisionale, per perseguire in 1 termini economici l’interesse pubblico in un dialogo (competitivo) che privilegia la massima apertura alla disponibilità con il richiedente, dovendo spontaneamente coinvolgere il privato (l’istante) affinché questi presenti un’istanza corretta e valida, senza ricercare l’errore o la carenza documentale per rinviare le proprie determinazioni, ma all’opposto agevolando alla regolarizzazione rectius semplificazione – integrazione (documentale, non alterando la c.d. par condicio nei casi concorsuali)(5). Non deve sorprendere, in questa linea interpretativa, che i compiti del Responsabile del procedimento sono compiti attivi di impulso (per es. convoca la conferenza dei servizi), di vigilanza, di coordinamento, di risoluzione, ed in particolare d’iniziativa d’ufficio con un potere - dovere di acquisire tutti gli elementi utili per giungere a dare una risposta (valida) al richiedente secondo i canoni civilistico della tutela della buona fede e dell’affidamento del cittadino, invitando l’interessato a partecipare al procedimento con memorie, documenti, o regolarizzando l’istanza irregolare in tempi certi, in ossequio ai principi generali di leale cooperazione(6), efficacia, efficienza ed economicità (oltre che eticità) dell’azione amministrativa, meglio individuati tra i dettami dell’articoli 1, primo comma, della legge 241: ad ogni istanza (purch& egrave; non emulativa o irrazionale) corrisponde un precetto di risposta(7). Responsabile del procedimento e soggetto competente all’adozione dell’atto In questo senso logico, il Legislatore della legge n.15 del 2005 ha stabilito che qualora il Responsabile del procedimento non sia anche colui che è titolare della competenza finale all’adozione dell’atto, l’organo legittimato dovrà attenersi alle risultanze istruttorie condotte dal primo, e nell’eventualità che intenda discostarsene dovrà indicare le motivazioni nel provvedimento finale, motivazioni che dovranno dare la c.d. prova di resistenza, segnando in termini di fatto e di diritto le ragioni di questa nuova e diversa valutazione determinativa (ex lettere e), comma 1, dell’articolo 6 della legge 241), con conseguente traslazione di responsabilità dal Responsabile del procedimento al soggetto titolare della competenza finale (adozione dell’atto). Attraverso questo processo partecipato la p.a. può concludere il procedimento amministrativo ed emanare il provvedimento finale, e il Responsabile del procedimento dovrà prima di esprimersi negativamente aver garantito la partecipazione, e valutato le osservazioni dell’interessato (ex art.10 bis) non potendo agire quando non abbia interpellato il richiedente, e richiesto precisazioni documentali atte a integrare l’istanza irregolare o ritenuta insufficiente (o semplicemente non compatibile), giacché in caso di incertezze e/o dubbi sulla portata della documentazione prodotta (o sui presupposti) l’onere del giusto procedimento richiede (e questo è un dovere del Responsabile del procedimento) il contraddittorio sostanziale e la partecipazione - “il primo ostacolo alla par condicio dei cittadini verso l’amministrazione” – che consiste nell’armonizzare attività com plesse, eliminando contrasti e modi diversi di intendere l’azione pubblica(8). Pare giusto rilevare che questi compiti istruttori attribuiscono al Responsabile del procedimento un compito di intervento significativo per il buon esisto dell’istanza rivolta alla p.a., dovendo sostenere che in presenza di una richiesta non conforme ai parametri di accoglibilità, esista un dovere di informazione che abilità il Responsabile del procedimento a dare le opportune spiegazioni, con apposita (e personale) comunicazione e a procedimento aperto, circa l’effettività di un esisto positivo dell’istanza, invitando il richiedente a rivedere le proprie posizioni (con una nuova valutazione della richiesta stessa) od obbligarlo a conformarsi al diritto a pena dell’inammissibilità o rigetto dell’istanza. Questo modo di procedersi non risulta essere una facoltà del Responsabile del procedimento azionabile a discrezione, o a mero arbitrio ma trattasi di misure che rientrano tutte nei poteri - doveri del Responsabile del procedimento ricavabili dal 2 tessuto generale dei principi cogenti della legge 241 del 1990 riformata, ai fini di un’azione amministrativa conforme e coerente con gli obblighi di massima cooperazione fra Amministrazione e cittadini, in sintonia con l’impostazione egualitaria che congiunge i rapporti tra apparati pubblici e soggetti privati, soprattutto in sede istruttoria, per neutralizzare le insidie dello strapotere insito nel concentrare (in un solo soggetto) l’autorità - potere decidente e/o deliberante, che viceversa risulta arricchito del contributo che deriva dalle speciali competenze di ciascuno: Responsabile del procedimento e istante(9). Obblighi del Responsabile del procedimento Diciamolo allora, la figura del Responsabile del procedimento ha una portata generale e del tutto innovativa rispetto ad un regime precedente, ed opera su tutta l’attività amministrativa e “la disciplina che ad esso si riferisce risponde ad un principio generale che investe ogni procedimento amministrativo” per essere il coordinatore di ogni procedura amministrativa, il vero dominus delle fasi procedurali, o più semplicemente il protagonista pubblico dell’agire amministrativo: l’impersonificazione del potere amministrativo visto dal lato pratico del suo agire concreto(10). A supporto di ciò, la lettura dell’articolo 6, lettera b), della legge 241 porta a ritenere che la dizione “può chiedere….” debba essere intesa in modo compiuto come potere discrezionale solo per la scelta dei mezzi, ovvero come possibilità di cercare il miglior sistema per perseguire l’interesse pubblico alla realizzazione del bene alla vita (interesse che oltre a perseguire la finalità pubblica deve soddisfare anche l’interesse del privato istante), non però relativamente “alla sostanza del dovere del funzionario (ritenuto comportamento vincolato) di attivarsi per chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete, e per esperire accertamenti tecnici ed ispezioni e ordinare esibizioni documentali”, il tutto per consentire al richiedente di ottenere il beneficio richiesto e/o atteso nell’istanza risolva all’Autorità pubblica(11). Da quanto prospettato, si ricava un obbligo giuridico che incombe nel Responsabile del procedimento ad assolvere compiti specifici di istruttoria negoziale (nel senso di scambio interlocutorio con il richiedente) proiettati a dare una sicura risposta al richiedente, e qualora l’esito si presenti non sufficientemente certo, sussistono doveri di iniziativa per regolarizzare e/o per integrare e/o conformare l’istanza alle esigenze di quel determinato procedimento (su iniziativa di parte o d’ufficio), rispondendo in termini pratici all’esigenza di imparzialità e buon andamento che governa l’azione della pubblica amministrazione semplificandone la portata precettiva, ma soprattutto con l’obiettivo di dare sempre e comunque una risposta consensuale e certa (favorevole al richiedente in adesione ai principi di conservazione). La Direttiva sulla semplificazione Cristallizzando questi principi di legalità, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha recentemente emanato una Direttiva che si presenta di primario interesse per il Responsabile del procedimento, poiché opera su due diversi e connessi piani dispositivi, cioè sia verso l’interno della struttura pubblica (tra gli uffici amministrativi e la tecno - struttura complessa) che verso l’esterno, ovvero verso tutti coloro che non sono p.a., imponendo (o cercando di imporre) un linguaggio comprensibile a tutti, inteso a semplificare i rapporti e le relazioni tra soggetti che lavorano nella p.a. e che con la p.a. devono interloquire(12). E sono proprio questi principi di legalità che hanno indotto il Dipartimento della Funzione Pubblica a emanare una Direttiva – primariamente - per il Responsabile del 3 procedimento, imponendo a questi di esprimersi in un linguaggio comprensibile, inteso cioè a semplificare i rapporti e le relazioni sicuramente tra soggetti che lavorano nella p.a., ma soprattutto tra la p.a. e il cittadino nel tentativo di diminuire le distanze sin dal primo momento partecipativo che è quello dell’informare, pubblicizzare e rendere trasparente l’agire pubblico: conoscibile e comprensibile a tutti (anche a coloro che sono ben lontani dall’ambiente pubblico). Dalla lontananza di questi miraggi di incomprensibilità verso una chiarezza espositiva si potrebbe affermare che l’azione amministrativa “sembra spesso rispondere al principio della fisica detto “principio di indeterminazione”, per cui quando si sa dove si trova non si sa dove va, e quando si sa dove va non si sa dove si trova”, risultando “evidente che l'esigenza di semplificazione diventa una condizione di funzionamento, prima ancora che di miglioramento e di modernizzazione, del sistema”, dovendo investire ancora molto sulla più elementare forma di apprendimento (relazione) che sin da principio ha caratterizzato l’evoluzione umana, ovvero la forma scritta (la scrittura) veicolo di promozione della “cultura e della civiltà” di un popolo, sostitutiva della forma orale (tralasciando di richiamare Gutenberg e la diffusione della stampa per segnare il v ero passo verso l’importanza dello scritto)(13). Detto questo, la Direttiva, del 24 ottobre 2005(14), premette che il dialogo con i cittadini richiede un ulteriore passo in avanti, sia per lo stile che per mentalità, ritenendo che sia corretto esprimersi in modi diversi (da quelli sino ad ora usati), per non ritrovarsi lontani dalla percezione comune, e obbligando, così facendo, le pubbliche amministrazioni a comunicare con veridicità e trasparenza, dovendo perciò pensare, parlare e scrivere con chiarezza (sempre), ovvero semplificare il linguaggio(15) che secondo il “Palazzi - Folena” significa “rendere semplice o più semplice”, e semplice significa “che non è composta da parti, ma è formato da un solo elemento, non complesso, elementare, e quindi di immediata comprensione, facile”. Il mito delle “Dodici tavole” A tal proposito, si potrebbe richiamare il mito delle “Dodici tavole”, per esprimere l’esigenza di chiarezza e semplificazione nel governare, comprendendo che la chiarezza e la sinteticità delle norme non è solo un’esigenza attuale (o moderna) ma è radicata nel tempo come tentativo di liberare sia gli amministrati che chi amministra dalla complessità delle norme, complessità che viene ostruita dalla difficoltà interpretativa (lessicale) “che Marco Tullio Cicerone antepose alle biblioteche di tutti i filosofi. E in verità hanno espresso con tale eleganza di parole, con assoluta concisione e con la più inscindibile semplicità gli istituti sia del diritto pubblico, sia del diritto privato… al punto che molti ritennero che non si potesse fare nulla di più perfetto. Quelle poche Tavole dunque… comprendevano brevemente e sapientemente… tutto il diritto pubblico e privato e la perfetta costituzione della città… Felice Roma, se si fosse accontentata di queste poche leggi e avesse cercato poche novità… nei tempi recenti in cui la legislazione è aumentate in misura così sorprendente… e l’ordinamento pubblico della città è stato corrotto dall’accumularsi di tante leggi”(16). Obiettivi di chiarezza tra Responsabile del procedimento e terzi Partendo da queste esigenze di chiarezza linguistica si può giungere anche a migliorare il rapporto tra le parti (tra il Responsabile del procedimento e il terzo), e il documento governativo si occupa proprio di insegnare e istruire il Responsabile del Procedimento (ovvero, colui che opera nella p.a., ma anche tutti coloro che scrivono testi amministrativi) quando si rivolge al cittadino, ma anche quando le pubbliche amministrazioni comunicano tra loro e al loro interno, chiarendo che al rigore di chi scrive deve corrispondere la comprensione di chi legge, che in parole vulgate significa usare un linguaggio semplice, chiaro e comprensibile a tutti (già oggetto di ampio e storico dibattito del legislatore) per concorrere a realizzare i processi di decision 4 making politico di coloro che occupa posti di comando istituzionale. Risulta invero che le amministrazioni pubbliche che devono scrivere atti amministrativi sia in forma cartacea tradizionale che elettronica (informatica) dovranno rispettare alcune regole base, regole che si richiamano ai principi enunciati dalla legge 241 del 1990 (rivista dalla legge 15 del 2005) in relazione alla validità del provvedimento, provvedimento (non atto) che deve avere tutti gli elementi essenziali (individuati, quindi dalla Direttiva) per giungere ad esistenza e produrre effetti giuridici sul destinatario, sull’esempio evidente del codice civile, che all’art.1325 prevede quali siano i requisiti del contratto, e all’art. 1418 stabilisce che la loro mancanza o illiceità o indeterminabilità dà luogo a nullità(17). Atto chiaro e valido Si potrebbe dire che lo scopo è anche quello di condurre il Responsabile del procedimento a stendere un atto che oltre ad essere comprensibile sia valido sotto i più diversi profili(18), rispondendo in termini di regolarità lessicale e sintattica ma anche rispettoso della c.d. forma (che deve rispecchiare la previsione normativa necessaria per avere l’esistenza e riconoscibilità dell’atto o imputabilità alla p.a.), ma ritornando alla prima parte nell’individuazione delle regole redazionali per scrivere l’atto in modo chiaro e comprensibile, la Funzione Pubblica così riassume le proprie indicazioni(19): a) l’atto dovrà esprimere in modo chiaro le finalità che sono gli obiettivi ultimi da perseguire, e tali finalità elencano come l’interesse pubblico viene espresso concretamente, non potendo l’amministrazione perseguire iniziative che non rispettino tali fine precettivo, ed è per questo che i contenuti del testo devono tralasciare ogni ambiguità che a volte le norme e le procedure sottendono in via diretta e/o indiretta, per consentire ai destinatari finali di accedere ai servizi senza problemi o malintesi, in piena trasparenza e partecipazione (sapendo quello che viene proposto, fornito o reso); b) l’atto dovrà identificare con esattezza i destinatari, e questo obbligo deve essere rimarcato soprattutto in relazione ai precetti dall’articolo 21 bis della legge 241 quando il provvedimento sia limitativo della sfera giuridica del soggetto inciso, denotando come il Responsabile del procedimento non possa dimenticare che ogni provvedimento deve avere un destinatario certo, e di riflesso in presenza di un numero di destinatari incerto o di una moltitudine di destinatari la comunicazione dovrà essere adeguata e idonea allo scopo (comunicazione o pubblicità nei procedimenti di massa) per assicurare la piena visibilità all’azione amministrativa nel momento della sua formazione e di garantire al contempo la partecipazione del destinatario dell’atto finale alla fase istruttoria preordinata alla sua adozione, senza esclusione alcuna. L’identificazione del destinatario consente di garantire la par tecipazione al procedimento, e la redazione di un testo che identifichi il destinatario con certezza e non in astratto si traduce nella predisposizione di testi che non siano di ostacolo alla comprensione da parte di questi, cioè devono rapportarsi per linguaggio, consuetudini e prassi alla fruibilità del destinatario (anche a quello meno istruito) e al suo universo, in relazione al fatto che l’atto sia rivolto agli addetti ai lavori, ai singoli cittadini, ad un gruppo di essi; c) l’atto dovrà necessariamente essere leggibile, e per essere leggibile la Direttiva si pronuncia su due diversi piani, un primo è quello lessicale con la scelta di parole del linguaggio comune, possibilmente brevi ed evitando il ricorso alle sigle (o acronimi), riducendo i termini tecnico – specialistici (e, questo è un vero processo culturale di semplificazione che dovrà sostituire “oblazione” con “pagamento”, “istanza” con “richiesta”, “ingiunzione” con “ordine”, “obliterare” con “annullare” o “timbrare”), rinunciando a perifrasi non necessarie (come ad esempio, invece di usare la dicitura “provvedimento esecutivo di rilascio” si dovrà scrivere “sfratto”, al posto di 5 “condizione ostativa” usare “impedimento”), così come si dovranno evitare parole non italiane potendo usare quelle straniere entrate nel linguaggio comune, rinunciando ad arcaismi, neologismi, latinismi (sostituendo “dianzi” con “poco prima”, “all’uopo” con “allo scopo”, “esternalizzare” con “affidare all’esterno”, “conviventi more uxorio” con “coppie conviventi”), potendo utilizzare, quando è necessario e utile, note esplicative per specificare ulteriormente il contesto del provvedimento e/o dell’intervento(20). Il secondo piano per essere leggibili è quello della sintassi, con la redazione di frasi brevi formate da meno di 15 parole, e non più di 40 parole, privilegiando la coordinazione rispetto alla subordinazione, servendosi soprattutto del modo indicativo ed usando la forma attiva, evitando l’uso della costruzione impersonale che allontana la parte dal reale contenuto e scopo dell’atto; d) l’atto dovrà essere comprensibile e per questo dovrà essere fondato su un impianto logico e lineare, e sull’assenza di riferimenti impliciti, ricorrendo a una chiara sequenza degli argomenti ed evidenziando le informazioni più importanti rispetto a quelle secondarie e non utili per la comprensione del testo, ovvero privilegiando il caso generale rispetto all’eccezione evitando i riferimenti a norme, questioni, fatti non esplicitati nel testo o presumibilmente ignoti alla parte, utilizzando sempre l’ausilio di note di chiarimento, peraltro non indispensabili se il testo è in sé chiaro. Queste considerazioni precettive delineano un sillabario, un decalogo, un breviario per il Responsabile del procedimento che dovrà abbandonare quel linguaggio “serioso” (o tecnico – amministrativo) che non denota chiarezza, sinteticità, certezza (ma anche una certa nascosta ignoranza al dialogo, un individualismo o autarchia ormai in evidente recesso sui modelli di aperta partecipazione - consensualità) ma al contrario alimenta la lontananza, il disagio, la disparità tra l’agire pubblico e l’agire civile, dove i rapporti dovrebbero essere improntati alla fiducia, alla correttezza, alla diligenza: alla buona fede. Accanto a questi temi di evidente interesse e qualità informativa, sono indicati gli elementi necessari per costruire un valido e legittimo atto amministrativo e documento informativo (compresi gli allegati) che risponda a requisiti di leggibilità e di chiarezza (ma anche a quelli elementi essenziali individuati dall’articolo 21 septies della legge 241) dovendo, quindi prevedere: a) l’indicazione del soggetto che produce l’atto, ovvero il Responsabile del procedimento o l’organo abilitato ex lege; b) l’oggetto dell’atto; c) la decisione assunta o il dispositivo volitivo, quello cioè che esprime la volontà decidente; e) le motivazioni o ragioni (l’interesse pubblico perseguito o scopo finale); f) gli eventuali adempimenti per l’attuazione e/o esecuzione, specie se con l’intervento del privato. La comunicazione interna ed esterna La Direttiva non tralascia nemmeno la comunicazione interna che rafforza l’identità delle pubbliche amministrazioni e favorisce il funzionamento della loro struttura, sollecitando la consapevolezza dei processi relazionali e decisori, attraverso una chiarezza espositiva, una connessione logica, una essenzialità del preambolo, una esplicitazione dei riferimenti e una grafica adeguata, sicché quando la comunicazione si rivolge agli addetti ai lavori non si dovrà rinunciare necessariamente all’efficacia di riferimenti lessicali consolidati, proprio perché questi possono garantire certezza e concisione del messaggio oltre immediata relazione tra lo scopo e l’oggetto dell’atto (questo può comportare una differenziazione degli stili lessicali e delle forme comunicative) evitando, comunque ipertecnicismi, oscurità e arcaismi tipici del linguaggio burocratico. Altro caso è la comunicazione esterna, quella rivolta alla generalità dei destinatari (comprese anche le altre pubbliche amministrazioni, diverse da quella del Responsabile del procedimento) essa dovrà spiegare il funzionamento dell’istituzione, illustrare le novità di riforme e di norme, riferire su servizi, opportunità ed eventi, 6 avviare campagne di sensibilizzazione civile usando una grafica che valorizzi il nucleo essenziale del messaggio, sottolinei le informazioni ineliminabili e spieghi i riferimenti impliciti (normativi, sociali, storici, culturali ecc.). La comunicazione innovativa Tutti questi sistemi di comunicazione efficace dovranno essere resi anche con le forme più innovative, con le tecniche della scrittura digitale ma pure con internet, che dilata in modo straordinario l’orizzonte comunicativo, e su questa particolare forma di comunicazione la Funzione Pubblica chiarisce che internet avvicina il cittadino alle amministrazioni con un colpo di mouse, consentendo alla p.a. diampliare la propria capacità di dialogo in modo flessibile, ed è per questo che la tipica struttura delle pagine web permette, infatti di “navigare” dentro un documento con una lettura attiva e interattiva, oltre all’uso di un di scelta lessicali appropriate, una struttura sintattica aderente al mezzo, e alla connessione logica, il tutto anche attraverso una grafica coerente che permette di incrociare informazioni, scaricare testi (o loro parti), moduli, allegati, domande, facsimil e di istanze, richiedere chiarimenti (con la posta elettronica). La redazione delle pagine web dovrà essere particolarmente curata(21), i testi dovranno perciò rispondere alla specifica struttura di queste pagine (con le opportunità della grafica e dei link a temi collaterali e/o a informazioni aggiuntive e, in modo specifico, un sistema di video scrittura utile a un facile “scaricamento” del testo, una accurata disposizione degli spazi pieni e di quelli bianchi, un uso appropriato dei corpi e dei colori dei caratteri, una attenta segnalazione delle “parole calde” o più cliccate, una corretta illustrazione di tabelle, grafici, indici, supporti video o iconici) non potendo, cioè riproporre in modo identico testi destinati ad altre vie comunicative: il destinatario può fermarsi al contenuto essenziale, ma può pure integrarlo con altri riferimenti e informazioni (la pagina web insomma consente una lettura attiva del destinatario del messaggio). Questi meccanismi di miglioramento del sistema comunicativo per via telematica può essere implementato con idonee professionalità di ausilio del Responsabile del procedimento, a cui spetta in ultima analisi la responsabilità e il controllo del prodotto realizzato dal personale allo scopo incaricato. La Direttiva termina invitando il Responsabile del procedimento a rileggere il testo una volta scritto (sia utilizzando programmi informatici di analisi testuale, che facendolo leggere ad altri), e non si tratta (si legge) solo di correggere gli errori materiali, perché la revisione attenta di un documento consente di migliorarlo, oltre a controllare la sequenza dell’argomentazione; la presenza di ridondanze e di ripetizioni; la lunghezza delle parole e delle frasi; l’uso delle forme verbali; la possibilità del ricorso ai punti elenco; l’impaginazione; il corpo, lo stile e gli effetti dei caratteri a stampa (ma anche a riflettere sull’idoneità del mezzo per lo scopo voluto, cioè rivalutare il percorso logico – argomentativo più corrispondente e coerente con le aspettative dalla p.a. ma necessariamente anche quelle del destinatario finale). Riflessi sul Responsabile del procedimento Si può concludere che l’uso di un linguaggio chiaro e sintetico, ma soprattutto comprensibile ai più risulta essere un dovere primario che incombe in primis sul Responsabile del procedimento, al di là e prima ancora del rispetto delle regole di legalità formale e sostanziale, dovere di chiarezza e sinteticità che risponde ai principi generali dell’attività amministrativa enunciati all’articolo 1 della legge del procedimento, non espressamente canonizzati in un testo normativo ma frutto di osservazioni, inviti, e direttive che rispecchiano il momento attuale di applicazione, e che sono legate ad una costante di ogni periodo storico: l’esigenza primaria di essere capiti e compresi per non disperdere risorse, opportunità, aspettative, a fronte di 7 eventuali incertezze interpretative (ed oscuri obiettivi degli organi di governo) ma in primo luogo per assicurare la trasparenza, la pa rtecipazione, la libertà di fronte all’esercizio del potere (discrezionale) dell’amministrazione pubblica, non sempre coerente con gli scopi di pubblico interesse enunciati (chiaramente) negli intenti di chi amministra. Un ulteriore spunto prospettico è quello riflesso che si può incontrare con un linguaggio comprensibile che possa esprimere nell’immediato la volontà sicuramente del Responsabile del procedimento, chiamato come organo gestionale a realizzare gli obiettivi dell’organo elettivo, ma anche quella del messaggio politico che - per antonomasia - delinea la strada dell’interesse pubblico perseguito (perseguibile). Milita in tale orientamento che più è chiaro il Responsabile del procedimento, più evidenzia la comprensibilità dell’agire amministrativo con atti redatti correttamente, sia dal punto formale che sostanziale e linguistico, e più si avvicina il rapporto tra l’istituzione pubblica e gli amministrati, e se questo rapporto non è ancora chiaro bisogna (allora) chiedersi se sia solo sufficiente (per la Funzione Pubblica) obbligare il Responsabile del procedimento a seguire le regole redazionali, o sia invece necessario riformulare (rifondare) i poteri della pubblica amministrazione. Rifondare la p.a. significa fornire all’apparato amministrativo (al servizio esclusivo della Nazione, ex art.98 Cost.) i mezzi per governare (liberamente) l’azione pubblica senza strumentalità, senza secondi fini (consorterie), senza limiti che non quelli della “legge dell’interesse pubblico” (e non del consenso immediato), in una prospettiva di effettiva riforma per non attribuire (immotivatamente) responsabilità, inefficienze, incomprensioni a chi opera con diligenza, rispetto e lealtà verso l’istituzione: è compito del Legislatore assicurare l’organizzazione efficiente della Repubblica (nel suo insieme di Comuni, Province, Regioni, Città metropolitane e Stato) dando leggi semplici, chiare e poche, sarà poi compito del Responsabile del procedimento attuarle con le risorse e i beni messi a sua disposizione. ---------(1) Cfr. LUCCA, Il responsabile del procedimento, in a cura TESSARO, Il nuovo procedimento amministrativo. Commentario coordinato con la Legge 241/90 riformata dalla Legge 11 febbraio 2005, n.15 e dalla Legge 14 maggio 2005, n.80, Rimini 2005, pag.339, dove si teorizzano tali funzioni nel concetto di competenza procedimentale, che si dipana come responsabilità procedurale per l’istruttoria e per ogni altro adempimento procedurale, anche qualora il Responsabile del procedimento sia soggetto diverso da colui che - per legge - adotta l’atto, “quando cioè il responsabile ricerca il contatto con l’autorità decidente al fine di porla in condizioni di esercitare il proprio potere”, segnando come il Responsabile del procedimento una volta completata l’istruttoria, “debba porre l’autorità decidente ne lla condizione di pronunciarsi rettamente e tempestivamente sull’esito della procedura”, evidenziando l’unicità di questa figura ai fini procedurali. (2) Infatti, in base alla normativa vigente, il dirigente o il funzionano investito della relativa funzione (indipendentemente da ogni attribuzione specifica) è responsabile sia della fase istruttoria, sia della emanazione del provvedimento finale del procedimento e non può sottrarsi a tale responsabilità impostagli dalla legge, astenendosi da una delle due fasi, T.A.R. Marche, 4 febbraio 2005, n.128; ex multis T.A.R. Lazio, sez.I quater, 30 agosto 2005, n.6359, idem T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, sez. II, 5 settembre 2005, n.1510. (3) PERIN, Sulla responsabilità amministrativa del presidente della commissione di gara che, anche nella veste di funzionario, ha poi assunto la determinazione di affidamento dell'appalto, successivamente annullata dal Tar violazione delle regole sulla par condicio della gara, in http://www.lexitalia.it/., 2005, n.11, ove si esplicita la reale portata della responsabilità in capo all’organo di gestione dell’ente, “nell’ambito di una corretta cultura della responsabilizzazione che un paese moderno e tecnologicamente avanzato deve avere (per progredire) è necessario, quando nello svolgimento delle funzioni pubbliche si arrecano danni a terzi (risarciti dalla p.a.), che i responsabili siano chiamati a risponderne, sempre con il rispetto di tutte le garanzie previste dall’ordinamento… , con esclusione degli stati psicologici colposi di minore intensità come la colpa lieve o lievissima. D’altra parte, quest’impostazione risponde all’esigenza (più volte sottolineata dalla dottrina) di assicurare il rispetto dell’art. 28 della Costituzione, norma che configura un sistema globale di garanzia dei diritti dei terzi con la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti, affiancata alla responsabilità civile dello Stato e degli Enti pubblici, ma anche di guardare attentamente al principio del buon andamento dell’art. 97, comma 2°, alla luce del quale è necessario che vengano azionate le responsabilità proprie 8 degli agenti pubblici, per evitare un’immagine negativa della p.a. come struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile né responsabilizzata”. (4) Cfr. ZITO, Brevi riflessioni sul ruolo del responsabile del procedimento nei processi decisionali delle pubbliche amministrazioni dopo la legge 11 febbraio 2005, n. 15, in http://www.giustamm.it/., 2005, n.11, il quale evidenzia come il Responsabile del procedimento “ha costituito il naturale precipitato delle acquisizioni da tempo sviluppate e fatte proprie dalla scienza del diritto amministrativo in tema di teoria dell’organizzazione e teoria dell’azione riguardate alla luce dei precetti costituzionali”, stabilendo che questi realizza una gestione unitaria del procedimento e “garantisce una migliore funzionalità della macchina amministrativa in termini di efficienza e dall’altro favorisce un rapporto più trasparente e partecipato con i destinatari dell’azione amministrativa, con sentendo loro di confrontarsi e dialogare con un unico referente”. (5) In questo senso, la verifica della regolarità della documentazione rispetto ad una procedura concorsuale o rispetto ad una semplice richiesta non va condotta con lo spirito della caccia all’errore, ma tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento in favore della semplificazione e del divieto di aggravamento degli oneri burocratici, dovendo prevalere la partecipazione attiva della p.a. rispetto all’inerzia e/o al silenzio, così Cons. Stato, sez. V, 21 settembre 2005, n.4941. Inoltre, questa necessità di ausilio della parte non può eccedere e non può essere confusa con il regolare funzionamento delle procedure negoziali, quando il Responsabile del procedimento invece di garantire la regolarità concorsuale ne altera la par condicio, con conseguente danno ai soggetti partecipanti alla gara, sussistendo “la colpa grave d el funzionario responsabile del servizio tecnico lavori pubblici di un Comune, il quale ha consentito ad una ditta partecipante alla gara di affidamento di integrare, e, comunque, di variare l'offerta, concedendo arbitrariamente alla medesima ditta di modificare” le condizioni stabilite nella lex specialis con inescusabile negligenza per la violazione del divieto di rinegoziare dell’offerta, precetto “contenuto in numerose circolari ministeriali ed è, in ogni modo, elementare riflesso del divieto di trasformare un procedimento di evidenza pubblica in uno negoziato, pena le possibili implicite distorsioni della imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa”, Corte Conti, sez. giur. Regione Veneto, 22 settembre 2005, n.1273, cfr .Corte Conti, sez. Regione Abruzzo, 24 ottobre 2005, n.730; Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2004, n.4360. (6) Diviene doveroso precisare che il principio di leale cooperazione tra amministrazione e cittadini è ricondotto al rango di norma particolare dalla legge n. 241 del 1990, la quale, all'art. 6, prevede che il responsabile del procedimento valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti per l'emanazione del provvedimento, Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2004, n.695. (7) In altri versi, in presenza di una richiesta (regolare o non) si profila un legittimo affidamento nell’istante circa l’adempimento della stessa per opera della p.a. (attraverso il Responsabile del procedimento), con la conseguenza di indurre il richiedente nel confidare nella positiva realizzazione del bene alla vita, senza alcuna intrusione negativa che non sia proceduta da un apposito contraddittorio (ergo giusto procedimento), giacché nei rapporti tra privati e p.a., va sempre assicurato il rispetto del principio della tutela dell’affidamento (incolpevole) del privato, ed è proprio su tale principio che si deve correlare e integrare il rapporto con la pubblica amministrazione e, più in generale, nella dialettica tra quest’ultima e gli amministrati, espressione consolidata del principio costituzionale di buon andamento “che, pena la sua intrinseca negazione, non può che essere riferito all’apparato amministrativo della Repubblica unitariamente considerato, con l’effetto che, seguendo un’esegesi costituzionalmente orientata, non può pervenirsi a far ricadere in danno dell’amministrato le conseguenze di un errore dell’amministrazione, a prescindere dalla formula organizzatoria della pluralità delle persone giuridiche pubbliche che notoriamente è adottata dal sistema vigente”, C.G.A., sez. giurd., 5 settembre 2005, n.590; cfr. T.A.R. Sardegna, sez.II, 3 ottobre 2005, n.1984; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 7 luglio 2003, n.5991; Cass. civ., sez. V, 10 dicembre 2002, n.17576; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 21 febbraio 2001, n.810. (8) PUBUSA, Considerazioni sulla imparzialità amministrativa nella legge 7 agosto 1990, n.241, in Scritti in onore di VIRGA, Milano,1994, II, pag.1454. (9) Si leggeva così sin dall’inizio gli aspetti innovativi della legge 241 che opera “contemporaneamente su due versanti: quello garantista nei riguardi del cittadino e quello dell’efficienza e della trasparenza dell’esercizio del potere amministrativo, alla ricerca di un assetto procedurale e organizzativo... in condizione di corrispondere alle esigenze di una società nuova che concepisca in termini diversi dal passato le relazioni tra collettività e pubblico potere”,CASETTA, Profili della evoluzione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, n. 1, Milano 1993, pag.5. (10) Corte Cost., 7 novembre 95, n.482. Cfr. OLIVERI, La riforma della Legge sul procedimento amministrativo: profili attuativi e applicativi (aggiornato alla legge 14 maggio 2005, n.80), Matelica, 2005, pag.63, ove sintetizza come tale figura sia “essenzialmente un controller delle attività e dei soggetti che debbono espletarle, nell’ambito di un coordinamento derivante dalla collocazione fisica organizzativa di dette attività in una certa unità organizzativa e di un singolo specifico procedimento”. (11) Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2005, n.4057. (12) Vedi la legge 7 giugno 2000, n. 150, e l’emanazione del regolamento di attuazione del 21 settembre 2001, n. 422 in materia di comunicazione pubblica. 9 (13) TORCHIA, La conferenza di servizi e l'accordo di programma ovvero della difficile semplificazione, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, n.7, pag.675. (14) Cfr. TESSARO, A proposito della semplificazione del linguaggio della pubblica amministrazione, in La gazzetta degli enti locali, 8 novembre 2005, ove si chiede acutamente se “è questa la reale semplificazione di cui ha bisogno il cittadino medio?”, rispondendo che “non sembra questo il reale rimedio, la ricetta giusta per porre argine al cattivo rapporto del cittadino con la macchina e più in generale con il funzionamento della pubblica amministrazione. È questo piuttosto – come vedremo - un lifting (che va per la verità molto di moda a tutti i livelli…) di un corpo non già usurato dalla vecchiaia, bensì gravemente malato di ben altra e più importante malattia. Come è stato osservato anche in dottrina, infatti,l’analisi economica delle regole è rimasta a lungo fuori dal dibattito politico - istituzionale sulla normazione e la produzione delle leggi è stata, specie all’inizio, fortemente influenzata da un’impostazione di tipo “giuridico”, non sempre attenta agli effetti che si dispiegano sui destinatari delle regole”, per riaffermare che la p.a. prima ancora di semplificare il linguaggio (sicuramente utile strumento di relazione) deve rinnovarsi nelle regole di azione, “l’amministrazione deve essere meno autoreferenziale e soddisfare le esigenze che vengono dagli “amministrati”; l’erogazione dei servizi al pubblico — di tipo burocratico (certificati) o imprenditoriale (forniture di servizi) — deve essere efficiente ed economicamente competitiva”, dovendo imporre al legislatore un chiaro obiettivo normativo che è quello di consentire alla p.a. di lavorare con “regole più flessibili e certe: occorrono norme più c hiare, meno confusionarie, meno caotici rinvii a altre disposizioni per consentire una effettiva semplificazione di rapporti tra utenza e chi è chiamato dalla legge a prestare loro i servigi” (e gli esempi non mancano, specie nelle ultime leggi finanziarie che con un semplice comma riscrivono una moltitudine di leggi). (15) Semplificare il linguaggio che può in via diretta ma anche in via strumentale ridurre le difficoltà di relazione con la p.a., e su questa linea di semplificazione il Dipartimento della Funzione Pubblica ha istituito (il 24 ottobre 2005) un numero verde antisprechi per segnalare irregolarità, inadempienze, ritardi della burocrazia nella Pubblica Amministrazione, per aiutare il cittadino a rappresentare, sinteticamente e in tempi rapidi, la situazione che ritiene di subire ingiustamente, o più semplicemente per indicare le difficoltà e/o il provvedimento di cui si lamenta. (16) PAGANO F.M., Il mito “delle Dodici Tavole”: le leggi poche e chiare, in Politicum universae Romanorum nomothesiae examen, 1768. È noto, per altri versi, che i princìpi della produzione normativa moderna sono quelli di leggi che devono essere chiare, certe, inalterate e poche, “niente sarebbe più facile di un codice le cui leggi fossero espresse con chiarezza, precisione e semplicità, e indicassero i principii generali di tutte le cose appartenenti alla società”, GRAZIOSI A., Testamento forense di un magistrato o sia saggio sul cadimento del foro napoletano, 1806. Il Codice Napoleonico risponde a queste esigenze di chiarezza, e con lo scopo di semplificare e razionalizzare l’ordinamento civile uniformò le regole che, nell’Ancien Régime, erano divise e frammentate in una miriade di norme e privilegi territoriali e personali, arcaici e recenti, frutto di storiche franchigie o di meno antiche negoziazioni con il sovrano, ma allo stesso tempo incomprensibili nell’applicazione concreta; l’unificazione delle discipline con la creazione di Testi Unici si presentava così come una risposta alle esigenze di semplificazione, e come ricaduta diretta del principio rivoluzionario (giacobino) di eguaglianza e, al tempo stesso, come elemento di modernizzazione dell’intero sistema giuridico per renderlo comprensibile ed esportabile a tutti (e a tutte le Nazioni dell’Impero). È anche vero che già il Preambolo delle Leggi e Costituzioni di S.M. Vittorio Amedeo del 1723 recepiva la necessità di semplificare il linguaggio quando sosteneva che “per grazia di Dio Re… si stabilisca una Legge facile, e chiara, e resa la spedizione degl’affari più pronta, restino sepolte quelle inutili superfl uità che partorivano si spessi, e sì gravi sconcerti”, segnando (già nei primi decenni del Settecento) che la complessità, la dispersione, la discordanza e l’“illeggibilità” (anche linguistica) del sistema normativa cominciava ad essere al centro di un ampio dibattito per ovviare agli inconvenienti del governare. (17) Il riferimento è quello del primo comma, dell’articolo 21 septies, della legge 241, e i richiami sono quelli che comunemente la dottrina elenca come elementi essenziali del l’esistenza dell’atto e la sua non nulità: l’accordo o soggetto, la causa o motivazione o scopo (sempre correlato all’interesse pubblico), l’oggetto (possibile, determinato o determinabile) e il contenuto (persona o bene inciso dal provvedimento), la forma (se prevista dalla legge a pena di nullità) o il silenzio (il silenzio o forma scritta o modalità prescritte per il compimento del provvedimento, rilevando che nella p.a. la forma è prevalentemente scritta ad substantiam), cfr. CARDARELLI – ZENCOVICH, Osservazioni sulla “nullità” del provvedimento amministrativo e sulla sua autonomia teorica e normativa dalla “nullità” civilistico, in http://www.giustamm.it/., 2005, n.10. (18) In modo eloquente la Direttiva 8 maggio 2002 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica “Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi”, osservava che “Le amministrazioni pubbliche utilizzano… un linguaggio molto tecnico e specialistico, lontano dalla lingua parlata dai cittadini che pure ne sono i destinatari. Invece, tutti i testi prodotti dalle amministrazioni devono essere pensati e scritti per essere compresi da chi li riceve e per rendere comunque trasparente l'azione amministrativa. I numerosi atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni, sia interni (circolari, ordini di servizio,bilanci) sia esterni, devono prevedere l'utilizzo di un linguaggio comprensibile, evitando espressioni burocratiche e termini tecnici. Anche gli atti amministrativi in senso stretto, che producono effetti giuridici diretti e im mediati per i destinatari, devono essere progettati e 10 scritti pensando a chi li legge. Oltre ad avere valore giuridico, però, gli atti amministrativi hanno un valore di comunicazione e come tali devono essere pensati. Devono, perciò, essere sia legittimi ed efficaci dal punto di vista giuridico, sia comprensibili, cioè di fatto efficaci, dal punto di vista comunicativo”. (19) Il mancato rispetto di queste regole potrebbe corrisponde alla violazione dei doveri di diligenza, lealtà e d'imparzialità, che qualificano il corretto svolgimento della prestazione lavorativa non aderente ad una condotta che non si uniformi ai principi di buon andamento e di imparzialità dell'Amministrazione, e che costituisce la premessa ad inadempienze e comportamenti censurabili sotto il profilo disciplinare, come evidenziato nel Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, adottato con decreto della Funzione pubblica del 28 novembre 2000, “in estrema sintesi, si avverte l'esigenza di portare al massimo dell'espressione il principio della legalità nello svolgimento della quotidiana attività amministrativa, fornendo ai cittadini utenti, in forma singola o associata, servizi che per qualità e quantità siano co rrispondenti alla domanda”, Circolare F.P. 12 luglio 2001, n. 2198/M1/1D/MZ, ricomprendendo (in questa logica) la corretta e comprensibile stesura degli atti, premessa di ogni ulteriore e successivo esercizio della funzione pubblica “il tutto nel quadro di rapporti che debbono essere caratterizzati da disponibilità e correttezza, nel rispetto dell'esercizio dei diritti di ciascuno”. (20) Vedi anche OLIVERI, Ancora sulla semplificazione del linguaggio nelle p.a., in La Gazzetta degli enti locali, 24 novembre 2005, che osserva come “la particolare insistenza sulla necessità di rendere più comprensibile il linguaggio delle pubbliche amministrazioni, però, desta l’impressione che le tante parole spese fin qui non siano servite a nulla che proprio nella pubblica amministrazione si annidi una cospirazione contro ciò che è chiaro e comprensibile”, ritenendo, tuttavia che “non è altrettanto vero ritenere che solo la pubblica amministrazione tenda a criptare in codice il proprio linguaggio. Chiunque abbia la ventura di leggere un contratto bancario o di un ente erogatore di energia o servizi o una polizza di assicurazione, invoca una direttiva sulla semplificazione e sulla comprensibilit& agrave; del linguaggio nella contrattualistica privata”, concludendo che “una forma più comune, meno sacrale certamente indurrebbe all’utilizzo di parole semplici o, comunque, tecnicismi normativi permettendo, più vicini al linguaggio comune”. (21) È da segnalare sul punto che la legge 9 gennaio 2004, n.4 (e il D.P.R. 1 marzo 2005, n.75 di esecuzione) ha stabilito che deve essere tutelato e garantito, in particolare, il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, dove per “accessibilità” s’intende “la capacità dei sistemi informatici, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari”. 11