“DISEGNI E MODELLI (PARTE PRIMA)”
PROF. GUIDO BEVILACQUA
Università Telematica Pegaso
Disegni e modelli (parte prima)
Indice
1
IL PROGRESSIVO AVVICINAMENTO DEI DISEGNI E MODELLI ORNAMENTALI ALLE OPERE
DELL’INGEGNO PROTETTE DAL DIRITTO D’AUTORE --------------------------------------------------------------- 3
2
LA DIRETTIVA 78/71/CE E LA NUOVA DISCIPLINA DEI DISEGNI E MODELLI ORNAMENTALI - 6
3
FINE DELLO “SPECIALE ORNAMENTO” ---------------------------------------------------------------------------- 7
4
I PRODOTTI COMPLESSI ------------------------------------------------------------------------------------------------ 10
5
LA FUNZIONE TECNICA ------------------------------------------------------------------------------------------------- 12
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Disegni e modelli (parte prima)
1 Il progressivo avvicinamento dei disegni e
modelli ornamentali alle opere dell’ingegno
protette dal diritto d’autore
Dopo l’ampia revisione della disciplina delle invenzioni industriali operata con il d.p.r. n.
338/1979 per armonizzarla con quella della Convenzione sul Brevetto Europeo, la distinzione fra
invenzioni e modelli era ormai da considerare un dato irreversibile dal momento che si era deciso di
non eliminare la figura del modello di utilità che, contrapposta a quella dell’invenzione, non trovava
in verità nella Convenzione una figura corrispondente. Rimasta nell’ordinamento nazionale la figura
del modello di utilità, questa non poteva che essere assimilata a quella delle invenzioni industriali e,
per contro, differenziata da quella del disegno o modello ornamentale. A tale diversificazione si è
fatto luogo con la legge 14 febbraio 1987, n. 60 contenente le norme per l’attuazione dell’Accordo
dell’Aia 6 novembre 1925 e per l’armonizzazione della disciplina interna a quella della suddetta
Convenzione. Con il provvedimento in questione il Legislatore ha preso atto che i brevetti per
invenzione e per modello di utilità si distinguono dai disegni e modelli ornamentali come la
tecnologia si distingue dal design industriale. In attuazione del programma diretto a differenziare la
disciplina dei disegni e modelli ornamentali da quella delle invenzioni e dei modelli di utilità, già
nel 1987 il titolare del disegno o modello è stato affrancato dall’onere di attuazione e dalle
conseguenze dell’inosservanza di tale onere. Conseguentemente è stata soppressa la decadenza per
mancata attuazione senza sostituzione con l’applicazione delle norme sulla licenza obbligatoria.
Questa scelta è stata operata sulla base del rilievo che il disegno o modello ornamentale si discosta
radicalmente dal modello di utilità e dall’invenzione proprio in quanto il campo della sua
applicazione è quello dell’estetica nel quale la creatività è bensì meritevole di compenso per
l’apporto che dà al patrimonio delle forme idonee a rendere più gradevole la produzione industriale
ma nel quale, al contempo, questo compenso ottenuto con la concessione della privativa non
implica necessariamente il contrappeso dell’attuazione come onere da imporre a tutela di interessi
generali. La protezione del disegno o modello ornamentale, sotto il profilo dell’assenza di un onere
di attuazione, è divenuta così analoga alla protezione del diritto d’autore e questa analogia rafforza
la convinzione che opere del industrial design e modelli ornamentali devono formare oggetto di una
tutela omogenea distinguibile soltanto in funzione dei diversi modelli di protezione.
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La scelta di distinguere nettamente il modello di utilità da quello ornamentale, per assimilare
il primo alle invenzioni e contrapporlo al secondo, è stata ulteriormente adottata a proposito della
pubblicazione della domanda di brevetto. Mentre infatti, prima del 1987, la pubblicazione avveniva
unicamente nella forma della messa a disposizione del pubblico e cioè 18 mesi dopo la data di
deposito o di priorità oppure 90 giorni dopo il deposito per chi avesse dichiarato di volere
l’immediata messa a disposizione del pubblico, la nuova disciplina varata nel 1987 (nuovo testo
dell’art. 10, r.d. 25 agosto 1940, n. 1411) ha mantenuto immutata la regola limitatamente al modello
di utilità mentre, per il modello o disegno ornamentale, è stata introdotta la nuova regola della
pubblicazione immediata, sempre nella forma della messa a disposizione del pubblico, salva
contraria istanza del richiedente e pertanto con facoltà per quest’ultimo di mantenere segreta la
domanda benché per un periodo non superiore a trenta mesi dal deposito (artt. 38.4 e 5 c.p.i.).
Soltanto i disegni e modelli ornamentali possono godere del beneficio del cd. deposito
multiplo ma, mentre il testo dell’art. 6, r.d. n. 1411/1940 anteriore alla Riforma del 1987 disponeva
che con una sola domanda poteva essere chiesto il brevetto per non più di 50 modelli o disegni
purché nell’insieme costituissero “un tutto o una serie omogenea”, la norma nel testo del 1987 non
soltanto raddoppia da 50 a 100 il numero dei modelli e disegni suscettibili di unica brevettazione,
ma sostituisce il concetto di “tutto” e di “serie omogenea” con il diverso concetto che deriva
dall’applicazione dell’Accordo di Locarno dell’8 ottobre 1968 e successive modificazioni ratificato
con la L. 22 maggio 1974, n. 348. Mentre sotto il vigore del regime anteriore al 1987 (artt. 102,103
e 104 del regolamento Modelli – r.d. 31 ottobre 1941, n. 1354) all’origine dell’unicità della
brevettazione era posta l’unicità della creazione intellettuale costituita dal design industriale (si
faceva riferimento per esempio ai servizi di posateria, ai servizi di caffè, ai modelli di uno stesso
ambiente e così via) sotto il vigore della nuova disciplina introdotta nel 1987 – ed ora trasferita
nell’art. 39 del Codice della Proprietà Industriale – il deposito multiplo è consentito per ciò solo che
i disegni e modelli siano destinati ad essere incorporati in oggetti inseriti nella medesima classe
della classificazione internazionale: classificazione che, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo di Locarno,
ha di per sé carattere esclusivamente amministrativo e non vincola i Paesi dell’Unione in particolare
quanto alla natura ed ai limiti della protezione del disegno o modello in tali paesi.
Il deposito multiplo costituisce un’eccezione al principio secondo il quale ogni domanda
deve avere per oggetto una sola invenzione e questa regola è stata ribadita anche nella materia dei
disegni e modelli – oltre che in quella dei modelli di utilità – dalla nuova disciplina introdotta nel
1987 (art. 6 nuovo testo r.d. n. 1411/1940) ed ora trasferita nell’art. 39 del Codice della Proprietà
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Industriale, di guisa che non è consentito né presentare una domanda per più brevetti né presentare
una domanda per ottenere un solo brevetto per più modelli. Conseguentemente, quando questa
regola non dovesse essere rispettata dal richiedente l’Ufficio è tenuto a procedere invitando
l’interessato a limitare la domanda ad un solo modello o disegno con facoltà di presentare, per i
rimanenti disegni e modelli, altrettante domande che avranno effetto dalla data della domanda
primitiva: procedura di limitazione questa che può essere attivata anche su istanza del richiedente.
Qualora il richiedente presenti un’unica domanda per una molteplicità di trovati oppure
unica domanda per un trovato che abbia al tempo stesso i requisiti di una valida brevettazione come
modello o disegno ornamentale e come modello di utilità compete all’Ufficio di attuare la procedura
divisionale con l’invito allo stesso richiedente di sdoppiare la domanda stessa (art. 40 c.p.i.).
Infine un’ulteriore diversificazione della disciplina dei brevetti per modelli e disegni
ornamentali rispetto a quella dei modelli di utilità si è avuta nel 1987 estendendo l’ipotesi della
predivulgazione non opponibile, e cioè di una predivulgazione che non intacca la novità del
modello, non soltanto al caso in cui la predivulgazione avvenga in una delle Esposizioni fra quelle
contemplate nella Convenzione di Parigi del 1928 – come avviene per le invenzioni ed i modelli di
utilità – ma ad ogni altra esposizione ufficiale o ufficialmente riconosciuta tenuta nel territorio dello
Stato o nel territorio di uno Stato estero che accordi reciprocità di trattamento (art. 34.5 c.p.i.).
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2 La direttiva 78/71/CE e la nuova disciplina dei
disegni e modelli ornamentali
Con l’entrata in vigore e la conseguente attuazione mediante d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95,
della direttiva comunitaria sui disegni e modelli, la disciplina nazionale ha avuto un radicale
sommovimento, essendosi dovuta uniformare a principi che sono completamente estranei a quelli
regolativi della materia secondo la legislazione precedente dovendo dare luogo, conseguentemente,
ad una regolamentazione completamente innovativa e, per certi versi, antinomica. Volendo
esprimere sinteticamente quello che potrebbe essere definito il punto di frattura fra l’ordinamento
precedente dei disegni e modelli e quello scaturito dall’attuazione della direttiva si potrebbe dire che
nell’ordinamento precedente i disegni e i modelli erano configurati come creazioni intellettuali
capaci di determinare un rilevante progresso nell’estetica dei prodotti industriali mentre i disegni e
modelli secondo il nuovo ordinamento sono nient’altro che gli strumenti di un marketing creativo, e
cioè di un marketing che confida in un successo di mercato in tutto o in parte riconducibile alla
configurazione formale del prodotto. In altri termini, mentre nel precedente ordinamento disegni e i
modelli erano opere dell’ingegno applicate alla produzione industriale, nel nuovo ordinamento sono
innovazioni capaci puramente e semplicemente di distinguere i prodotti ai quali sono applicate dai
prodotti concorrenti.
Questo radicale mutamento di prospettiva nell’organizzazione della materia ha comportato
un considerevole sommovimento sistematico riguardante la protezione dell’intera materia delle
forme tridimensionali e bidimensionali della produzione industriale.
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3 Fine dello “speciale ornamento”
L’art. 5 della vecchia Legge – Modelli (r.d. 25 agosto 1940, n. 1411), disponeva che
“possono costituire oggetto di brevetti per modelli e disegni ornamentali i nuovi modelli e disegni
atti a dare a determinati prodotti industriali uno speciale ornamento, sia per la forma, sia per una
particolare combinazione di linee, di colori o di altri elementi”. In base a questa norma la tutela di
tipo brevettuale doveva essere accordata alle vere e proprie manifestazioni artistiche applicate
all’industria, tipologicamente individuabili in funzione della capacità di conferire al prodotto uno
“speciale ornamento”. Questo requisito dello “speciale ornamento” aveva assunto, per effetto di una
tesi sostenuta dalla migliore dottrina e condivisa dalla giurisprudenza, un rilievo sistematico
particolarmente pregnante proprio perché era stato configurato come capace di porre la linea di
demarcazione fra la tutela brevettuale del design industriale e la tutela concorrenziale contro
l’imitazione servile. Muovendo infatti dal principio dell’alternatività delle tutele aventi per oggetto
la forma bidimensionale o tridimensionale di un prodotto (per evitare che la tutela più favorevole
venga a soppiantare quella meno favorevole) si era ritenuto che la tutela brevettuale fosse riservata
a forme particolarmente innovative, e cioè capaci di conferire al prodotto il requisito – appunto –
dello “speciale ornamento”. In presenza dunque di questo requisito la protezione della forma
bidimensionale (disegno) o tridimensionale (modello) poteva essere ottenuta soltanto mediante la
brevettazione (ora registrazione). Le forme che si collocassero – per contro- sotto la soglia dello
“speciale ornamento” potevano beneficiare della protezione concorrenziale contro l’imitazione
servile, purché fossero forme capaci di svolgere funzione distintiva, e perciò forme tali che la loro
imitazione avrebbe comportato la violazione del diritto ad una leale differenziazione sul mercato.
Questa teorizzazione, denominata dei diversi modelli di protezione, era riuscita dunque ad
ottenere il coordinamento fra due tutele di segno diverso attribuendo a ciascuna di esse un proprio
spazio: al brevetto per modello ornamentale era riservato lo spazio di quello che oggi verrebbe
definito il design “di alta gamma”; alla tutela contro l’imitazione servile lo spazio delle forme
distintive, non certo necessariamente brutte, ma semplicemente diverse da quelle dei concorrenti e
scelte per organizzare su di esse una efficace politica di differenziazione sul mercato.
L’art. 31 del Codice della Proprietà Industriale dispone ora che “possono costituire oggetto
di registrazione come disegni e modelli l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale
risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della
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struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento”. La norma
recepisce – come prima – la tradizionale ripartizione fra disegni e modelli che si contrappongono in
funzione del fatto che i primi sono bidimensionali ed i secondi sono tridimensionali e ripropone la
distinzione fra la creazione intellettuale oggetto della protezione ed il prodotto al quale la creazione
stessa inerisce in funzione della sua idoneità a conferirgli non più uno “speciale ornamento” e
neppure uno “ornamento”, bensì un puro e semplice “aspetto” che può essere dell’intero prodotto
oppure di una sua parte. La creazione intellettuale dunque non è proteggibile per l’apporto che
fornisce all’estetica dei prodotti industriali migliorandola secondo un giudizio che, se è tale, non
può che essere critico e valutativo, ma puramente e semplicemente in funzione del fatto che incide
sulle caratteristiche esteriori di tale prodotto e, naturalmente, in questa ottica totalmente agnostica,
non c’è distinzione tra i fattori che possono determinare tale incidenza visiva potendo trattarsi –
come la norma sottolinea puntigliosamente – delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della
struttura superficiale e/o dei materiali e, per di più, in tutti questi fattori inerenti al prodotto e/o al
suo ornamento con ciò rendendo ancora più chiaro che l’ornamento è il possibile ma non necessario
scopo della innovazione formale. Non essendo più la ratio della protezione dei disegni e dei modelli
quella di premiare lo “speciale ornamento”, e cioè il contributo al miglioramento dell’estetica dei
prodotti industriali, è necessario concludere che il diritto alla differenziazione sul mercato, che
prima era collocato nell’ambito della tutela concorrenziale contro la confondibilità, ora è collocato
nell’ambito dei diritti di proprietà industriale “titolati”. Si tratta peraltro di una conseguenza di
carattere sistematico tutto sommato compatibile con le linee – guida che caratterizzano il nuovo
Codice della Proprietà Industriale, dal momento che le forme distintive verrebbero considerate a
tutti gli effetti come segni distintivi atipici suscettibili di formare oggetto di un titolo di protezione.
Poiché la forma secondo la nuova disciplina dei disegni e modelli altro non è che un segno
distintivo atipico tridimensionale del prodotto, lo spostamento della tutela dall’ambito della
concorrenza sleale a quello dei diritti di proprietà industriale è sostanzialmente omogeneo a ciò che,
nell’inquadramento sistematico del Codice, è avvenuto per il marchio di fatto, oggetto esso pure di
un diritto di proprietà industriale ma con la differenza che mentre il marchio di fatto è oggetto di un
diritto non titolato il marchio di fatto tridimensionale o bidimensionale è suscettibile di essere
considerato oggetto di un diritto “titolato”. Il titolo della registrazione può configurarsi dunque sia
come registrazione di marchio di forma sia come registrazione di disegno e/o modello ma, in questo
caso, il principio della alternatività delle tutele non trova applicazione perché si tratta di tutele
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omogenee sicuramente cumulabili rispetto alle quali il problema che si pone è quello di evitare
interpretazioni confliggenti.
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4 I prodotti complessi
Si rimane pur sempre nella problematica concernente l’oggetto della protezione se si passa
all’esame del II comma dell’art. 31 c.p.i. il quale, posta la necessaria correlazione fra il design come
creazione formale ed il prodotto al quale la creazione inerisce, ha specificato che “per prodotto si
intende qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi tra l’altro i componenti che devono
essere assemblati per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli
grafici e caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaborare”. Il III comma della stessa norma
specifica ulteriormente che “per prodotto complesso si intende un prodotto formato da più
componenti che possono essere sostituiti, consentendo lo smontaggio ed il nuovo montaggio del
prodotto”. Il riferimento ai componenti che devono essere assemblati per formare un prodotto
complesso ed al prodotto complesso come quello formato da più componenti che possono essere
sostituiti ha il significato di ammettere esplicitamente la registrabilità dei “body panels”, e cioè
delle parti staccate della carrozzeria delle automobili che, in Italia ed in altri paesi, formano oggetto
dell’attività industriale delle imprese dei c.d. ricambisti indipendenti i quali fabbricano e vendono le
parti suddette come pezzi di ricambio non originali. La direttiva, in altri termini, considera
validamente registrabili come modelli i componenti sostituibili dei prodotti complessi e - perciò anche le parti staccate della carrozzeria delle automobili. Questa scelta di politica legislativa,
ancorché non necessitata, è stata certamente favorita dalla scelta logicamente precedente di non più
attribuire rilevanza alla “funzione ornamentale” degli oggetti suscettibili di registrazione come
disegni o modelli. La scelta comunitaria ha ribaltato la tesi accolta dalla Suprema Corte italiana, che
risolveva in favore delle imprese dei ricambisti indipendenti il conflitto che le opponeva alle case
automobilistiche. Ed invero la Suprema Corte era pervenuta alla conclusione che le parti staccate
della carrozzeria di un automobile (un parafango, paraurto, ecc.) non erano idonei a colpire il senso
estetico dell’osservatore, e perciò non erano suscettibili di valida brevettazione. Le case
automobilistiche hanno fatto prevalere, nel corso dei lavori preparatori della direttiva, una soluzione
che – in linea di principio – è diametralmente opposta a quella fatta propria dalla Suprema Corte di
Cassazione italiana.
La codificazione del principio secondo il quale sono registrabili le parti staccate della
carrozzeria dell’automobile è “passata” nel quadro del cd. “market approach” ma la resistenza dei
ricambisti indipendenti ha imposto al legislatore comunitario di inserire nella direttiva la cd.
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“clausola di riparazione”, la quale, dopo essere stata inserita nel d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95, è ora
trasfusa nell’art. 241 c.p.i. con la seguente formulazione: “Fino a che la direttiva 97/71/CE sulla
protezione giuridica dei disegni e modelli non sarà modificata su proposta della Commissione a
norma dell’art. 18 della direttiva medesima, i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto
complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei componenti
stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l’aspetto originario”. In altri
termini – e per concludere – se il market approach ha indotto il legislatore comunitario a negare
qualsiasi rilevanza al risultato estetico della creazione intellettuale, il conflitto degli interessi
imprenditoriali ha reso necessario introdurre una eccezione per garantire la sopravvivenza delle
imprese dei ricambisti indipendenti nei paesi in cui – come l’Italia – esse beneficiavano di una
interpretazione favorevole della disciplina nazionale.
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5 La funzione tecnica
La individuazione tipologica dell’oggetto della protezione non può prescindere dalla norna
(art. 36 c.p.i.) che vieta la registrazione delle caratteristiche dell’aspetto del prodotto che sono
determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso. La norma sembra voler porre la
linea di demarcazione fra i diritti di proprietà industriale che hanno per oggetto la tecnologia, e
quindi la funzione tecnica del prodotto, ed i diritti di proprietà industriale che hanno per oggetto, se
non il pregio ornamentale, quantomeno l’aspetto esteriore del prodotto stesso: e ciò nell’ottica
dell’alternatività delle tutele e cioè di una interpretazione sistematica tendenzialmente contraria ad
ammettere il cumulo per evitare che le condizioni eventualmente più favorevoli di una forma
titolata di protezione possa trasferirsi su una forma di protezione diversa disattendendone i limiti.
Non c’è dubbio che, se fosse registrabile come modello la caratteristica funzionale del prodotto
brevettabile come invenzione, sarebbe molto più conveniente ricorrere alla registrazione che ha una
durata di cinque anni rinnovabili fino a quella complessiva di venticinque anni, anziché ricorrere
alla brevettazione come invenzione industriale che, nel massimo ha una durata di vent’anni. Non
diversamente se fosse consentito registrare come marchio di forma la caratteristica funzionale del
prodotto brevettabile come invenzione, è evidente che la registrazione come marchio sarebbe
preferita a causa della sua tendenziale perpetuità. Poste queste premesse, non può non meravigliare
che la disposizione del I comma dell’art. 36, pur vietando la registrazione delle caratteristiche
funzionali del prodotto come modello, la vieta soltanto quando la forma è determinata unicamente
dalla funzione tecnica, mentre non la vieta quando la funzione tecnica può essere conseguita con
una forma diversa, di guisa che – in definitiva – sotto il profilo della sua valenza funzionale quella
forma è derogabile. La ratio della contro-limitazione (inoperante nel campo dei marchi di forma di
cui è vietata la registrazione se la forma è necessaria per ottenere un risultato tecnico) rispetto alla
limitazione relativa al divieto di registrare le forme funzionali è evidente, ed è sicuramente quella di
ampliare l’ambito della registrabilità dei modelli dato che le forme funzionali sono quasi sempre
derogabili nel senso che la funzione tecnica del prodotto può essere conseguita anche con una forma
diversa da quella oggetto della registrazione. Se pertanto fosse stata esclusa la registrazione di tutte
le forme funzionali ancorché derogabili certamente l’ambito di protezione dei modelli si sarebbe
ridotto a ben poche possibilità. Si è già avuto occasione di sottolineare che l’abbandono dello
“speciale ornamento” come presupposto della registrazione dei modelli toglie spazio alla tutela
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concorrenziale contro l’imitazione servile e determina l’attrazione nel campo della proprietà
industriale titolata della protezione contro la concorrenza sleale per confondibilità. Si deve ora
aggiungere che il divieto posto nell’art. 36 di registrare come modelli solo quelle caratteristiche
dell’aspetto del prodotto che sono determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto
stesso, mentre le rimanenti e ben più numerose caratteristiche possono essere validamente registrate
e quindi possono appartenere al titolare della registrazione per venticinque anni, rafforza di riflesso
la tesi giurisprudenziale secondo la quale anche la tutela contro la imitazione servile si estende alle
forme derogabili, o meglio alle forme la cui funzione tecnica può essere conseguita con forme
alternative: questa tesi spesso definita delle “varianti innocue” che impone all’imitatore di astenersi
dal riprodurre la forma anche funzionale del prodotto concorrente se l’effetto tecnico di tale forma
può essere conseguito con forme equivalenti.
Un profilo specifico della esclusione dalla registrazione per ragioni tecniche è quello che
vieta la registrazione delle cd. forme di interconnessione e cioè di quelle forme che è necessario
riprodurre, anche nelle esatte dimensioni (quote di montaggio), per reintegrare il prodotto
complesso con una parte avente un aspetto diverso rispetto a quello della parte originaria quando
quest’ultimo non fosse registrabile perché già registrata frazionatamente. La libertà di
interconnessione non è stata applicata per vietare la registrazione dei cd. sistemi modulari (come ad
esempio il gioco dei mattoncini “Lego”) i quali perciò beneficiano della tutela accordata mediante
la registrazione ancorché l’elemento essenziale che caratterizza tali sistemi sia soltanto quella della
interconnessione.
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