Il patriarcato di Aquileia: una formazione politica originale1 Elisabetta Scarton Quando – ormai alcuni mesi fa – fui contattata per partecipare a questa giornata di studi, manifestai perplessità sul tema che mi era stato assegnato: ‘Istituzioni patriarcali’. Cosa significava? In che modo avrei potuto declinare l’argomento? Dentro di me pensai che tutto sommato non doveva essere così difficile, in fondo avevo davanti un ‘istituto’ sul quale sono stati versati fiumi di inchiostro. Tralasciando la sua funzione principale, quella ecclesiastica (il primo a portare il titolo di patriarca di Aquileia fu Paolino, dal 568 d.C.), il potere temporale fu posto nelle mani dei presuli aquileiesi quasi mille anni fa: l’attribuzione della contea del Friuli al patriarca Sicardo da parte dell’imperatore Enrico IV risale infatti al 1077. Uno pensa che in 936 anni (tanti sono quelli che oggi ci separano da quella data) l’argomento sia stato sviscerato e non ci sia più molto da dire. In realtà non è affatto così. Innanzitutto perché la storia, come ebbe a osservare Marc Bloch, esamina il passato in funzione del presente e il presente in funzione del passato, quindi è normale che un argomento non venga mai esaurito. A seconda delle epoche, dei processi storici in atto, ma anche del progredire delle ricerche, gli studiosi vi si accostano con spirito sempre diverso; del resto, a volte basta cambiare di poco l’angolazione e l’immagine appare distorta, oppure più nitida. Quello che oggi delineerò è un profilo nato dalla lettura di tanti lavori di colleghi che mi hanno preceduta. Oltre ai vecchi ma ancora validi interventi di Paschini e Leicht, ho preso in esame saggi e volumi di studiosi dell’Università di Udine (Tilatti e De Vitt), dell’Università di Trieste (Cammarosano, Degrassi e Zacchigna, con alcuni loro allievi, tra cui Davide e Brunettin) e un interessantissimo e recente parallelo tra la realtà aquileiese e il principato vescovile di Trento, curato dal collega Bellabarba dell’Università di Trento. Non entro invece nel merito dell’ormai vasta bibliografia settoriale, che spazia dagli studi sulla cancelleria (con l’ormai imponente mole di documenti notarili editi per cura dell’Istituto Pio Paschini) a quelli sulla zecca. 1 Relazione tenuta alla giornata di studi Città della strada, città della spada: Udine medioevale, 29 novembre 2013, presso la sede della Società Filologica Friulana (Palazzo Mantica, UD), promossa dall’Accademia Udinese di Scienze, Lettere e Arti; dall’ADSI Friuli Venezia Giulia; dal Centro di Studi Storici ‘Giacomo di Prampero’; dalla Deputazione di Storia Patria per il Friuli e dalla Società Filologica Friulana ‘Graziadio Isaia Ascoli’. 1 Cos’era il patriarcato di Aquileia? Oggi quando parliamo di patriarcato di Aquileia prima di tutto balza alla mente una realtà territoriale tanto ampia quanto indefinita. Geograficamente – ed è un errore frequente – tendiamo a sovrapporlo all’attuale cartina del Friuli, forse perché negli ultimi due secoli di vita come organismo politico, prima della conquista veneziana del 1420, fu grossomodo sui territori che oggi corrispondono alla nostra regione che si concentrarono il potere e l’azione dei preusli. Ma la situazione originale fu ben più complessa e la difficoltà è insita proprio nel duplice ruolo: l’essere contemporaneamente un’entità religiosa e un’entità politica. Sono due realtà che si intersecano, a tratti si sovrappongono; i loro confini sono estremamente fluidi e non così facilmente rappresentabili. Come ha giustamente osservato Donata Degrassi, «né barriere geografiche come le Alpi, né frontiere consolidate da lunghissimo tempo come quelle del Regnum Italiae, venivano considerate come confini immutabili e imprescindibili» 2 , figuriamoci quindi quelli linguistici, religiosi o politici del patriarcato, che era parte di un dominio sovranazionale. Pensiamo alla sua collocazione: lo vogliamo considerare come una propaggine meridionale del Regnum Germanicum – una sorta di ‘ernia’ al di qua delle Alpi, che offriva lo sbocco sull’alto Adriatico e quindi l’apertura ai commerci marittimi –, oppure la punta più settentrionale del Regnum Italicum, da quando il patriarcato entrò nell’orbita guelfa, quindi più legato al papato? Cartina rielaborata tratta da CORBANESE, Il Friuli, Atlante, vol. I. Anche se per tutti i secoli centrali e finali del Medioevo il Patriarcato è stato al centro di un intreccio assai fitto di domìni e di interessi sia imperiali che papali, da un punto di vista politico esso fu indubbiamente una creatura imperiale, incardinata nel regno di Germania. C’è tra l’altro un’interessante interpretazione numismatico-araldica, secondo cui la stessa aquila rappresentata su numerose monete e sigilli patriarcali, da Wolfger in poi, non sarebbe simbolo né DEGRASSI D., Frontiere, confini e interazioni transconfinarie nel Medioevo: alcuni esempi nell’area nordorientale d’Italia, in «ASI», CLX (2002), p. 208. 2 di Aquileia né del casato dei presuli, ma simbolo imperiale, della vicinanza all’Impero (piuttosto che alla Chiesa, nella fase ghibellina) o, in senso più esteso, del potere temporale concesso ai patriarchi 3 . Già da un punto di vista ecclesiastico il patriarcato si manifestava in tutta la sua complessità. Il suo capo spirituale era prima di tutto vescovo di Aquileia: ciò significa che sotto la sua giurisdizione cadeva il territorio della diocesi, di per sé sterminata 4 , come mostra la cartina. La diocesi di Aquileia nel IX secolo. Cartina rielaborata tratta da TAGLIAFERRI, Le diocesi di Aquileia e Grado (Spoleto 1981). Ancora alla fine del sec. XV in alcune lettere patriarcali si sosteneva che la chiesa di Aquileia «in partibus occidentalibus» fosse la seconda per grandezza, dopo Roma 5 . A questo ruolo si sommava quello di metropolita, che rendeva il presule responsabile di una vasta provincia ecclesiastica, alla quale facevano riferimento molte diocesi suffraganee (17 nel momento di massimo splendore, tra XII e XIII secolo) 6 . Su alcuni di quei territori, dal X secolo i patriarchi esercitavano anche poteri temporali. È soprattutto su questo spazio che noi focalizzeremo l’attenzione. La data che di solito usiamo per far iniziare il potere temporale dei presuli sul Friuli è il 1077: in quell’anno l’imperatore Enrico IV, di ritorno da Canossa, aveva attribuito al patriarca Sicardo la titolarità della contea del Friuli, segno tangibile di riconoscenza per il sostegno avuto nel duro scontro che lo aveva contrapposto a papa Gregorio VII. Allineandoci al pensiero di Paolo Cammarosano, riteniamo che il 1077 non segni una cesura così importante 7 , infatti c’erano state altre date altrettanto significative che avevano condotto fino a lì, in un crescendo. La donazione di Enrico IV ingloba tutte le precedenti e, in un certo senso, le fa scomparire. Vediamo le principali tappe della costruzione del feudo patriarcale: PASSERA L., Alcune considerazioni sul tipo dell’aquila, MSF, 83 (2003); ID., Stemmi, sigilli e monete dei Patriarchi di Aquileia (XIIIXV secc.) tra potere religioso e potere imperiale, in corso di stampa. Ringrazio Lorenzo per aver condiviso con me le sue indagini. 4 I confini della diocesi erano il Tagliamento (a ovest); a nord correvano lungo l’alto corso del Piave e la valle del Gail, fino alla Drava; a est la diocesi comprendeva l’attuale Slovenia e il bacino della Sava; infine a sud il limite era segnato dal corso della Culpa, dalla diocesi di Trieste e dal litorale adriatico: cfr. CAMMAROSANO P., Patriarcato, Impero e Sede Apostolica, in ID. (a cura di), Il Patriarcato di Aquileia. Uno Stato nell’Europa Medievale, Udine 1999, pp. 28-29. 5 TILATTI A., La provincia di Aquileia (secoli XIII-XIV), in Storia della Chiesa in Europa tra ordinamento politico-amministrativo e strutture ecclesiastiche, a cura di L. Vaccaro, Brescia 2005, p. 222. 6 ID., La provincia, p. 218. 7 CAMMAROSANO P., L’Alto Medioevo: verso la formazione regionale, in ID. (a cura di), Storia della società friulana. Il Medioevo, Udine 1988, p. 90. 3 964: Ottone I dona al patriarca Rodaldo il castello di Cormons. 967: donazione dell’abbazia di Sesto con tutte le sue pertinenze. 1001: Ottone III concede alla chiesa di Aquileia i diritti giurisdizionali sulla metà rispettivamente del castello di Salcano e del villaggio di Gorizia, cui si sommavano, tra le altre cose, la giurisdizione su tutti quei villaggi (e sulle loro pertinenze fino a un raggio di due miglia) sorti nella contea del Friuli, nei territori del vescovado di Concordia e dell’abbazia di Sesto per opera degli stessi presuli durante e in seguito al periodo delle invasioni ungare. L’altra metà del villaggio di Gorizia e del castello di Salcano furono quasi contemporaneamente affidati al conte del Friuli. 1028: Corrado II attribuisce al patriarca il diritto di coniare moneta e il godimento delle prerogative imperiali sulle aree boschive della contea del Friuli. 1077: Enrico IV affida al presule Sicardo la contea del Friuli con tutti i diritti e i benefici un tempo goduti dal conte, il villaggio di Lucinicco, la contea dell’Istria e la marca di Carniola. Rimane esclusa la contea di Gorizia, affidata al duca di Carinzia. Cartine rielaborate tratta da CORBANESE, Il Friuli, Atlante, vol. I. Come si può vedere, il grosso del nucleo si costituisce nel volgere di un secolo, per mano di diversi imperatori, ma non si esaurisce. I confini sono appunto fluidi e ne è un esempio la donazione dell’episcopato e della contea di Belluno che nel 1160 Federico I Barbarossa fece a Pellegrino I, poi revocata e nuovamente confermata vent’anni più tardi (1180). Rielaborazione da CORBANESE, Il Friuli, Atlante, I, tav. 113. A questo punto vediamo quale fosse la situazione all’altezza dell’XI secolo, con una rappresentazione in cui sulla carta della diocesi – amplissima e dallo sviluppo orizzontale – andiamo a innestare quella del feudo, più compatto e verticalizzato. 4 Tappa dopo tappa i presuli si erano conquistati la stima e la fiducia degli imperatori e le concessioni ottenute avevano portato stabilità e potere. Ma spazi così vasti da gestire, con funzioni di controllo religioso e politico tanto ampie e stratificate, richiesero una devoluzione. Tanto più che, se guardiamo alla cartina, la sede patriarcale ufficiale, Aquileia, ha una posizione molto marginale 8 . Inizia così un processo che nella storia si ripresenta con ciclicità: i poteri, faticosamente concentrati nelle mani di uno solo, vengono poco alla volta ceduti. I motivi possono essere diversi: dall’impossibilità di controllo capillare (se non attraverso funzionari cui delegare parte dei poteri), al voler ripagare per la fedeltà dimostrata pedine strategicamente rilevanti. Tra X e XI secolo il passaggio era avvenuto dall’imperatore ai patriarchi. Nel corso del XII secolo, dopo essersi consolidato, soprattutto nei territori della ex contea del Friuli, sarà il potere patriarchino a iniziare una sua personale devoluzione. Lo ha ben spiegato Cammarosano nel seguente passaggio: «La formazione del principato ecclesiastico comportò […] dopo una prima fase di accumulazione e di accentramento verticistico, svolta entro il sec. XI, una “redistribuzione” a laici, coinvolti nella gestione del potere» 9 . Ne derivò una serie di reti istituzionali tra presuli, chiese e monasteri, signori feudali e comunità, che furono la forza del patriarcato, ma che a lungo andare ne determinarono la debolezza. Ciascuno di quegli intrecci rappresentava altrettanti possibili nodi di conflitto. E ne derivò una carta geografica nuova, a pelle di leopardo, in cui i possedimenti dei signori di Gorizia (che erano anche conti di Tirolo) paiono allargarsi più di tutti gli altri e inesorabilmente a scapito del potere patriarchino. Avvocati della chiesa aquileiese, per quasi tutto il basso Medioevo essi si contrapposero ai presuli, cercando di ritagliarsi una énclave di potere che si ispirava ai modelli veneti delle signorie dei da Carrara e dei da Camino 10 . Cartina rielaborata tratta da: DEGRASSI, Frontiere, p. 213. Sia ben inteso: non è che l’aristocrazia friulana si prenda quello che le spetta di diritto. Il processo di maturazione dell’aristocrazia da un lato, e di progressivo sgretolamento dell’unità patriarcale dall’altro – perché è di questo che si tratta –, passa attraverso concessioni che vengono sempre dall’alto. È il In passato ho usato per il Friuli il concetto di ‘città diffusa’, a sottolineare il crescere delle varie terre in cui i presuli risiedevano di volta in volta, ben consapevole del fatto che in questo periodo la corte fosse itinerante: SCARTON E., L’amministrazione civica nel Trecento, in Storia di Cividale nel Medioevo. Economia, società, istituzioni. a cura di B. Figliuolo, Cividale del Friuli, 2012, p. 307. 9 CAMMAROSANO P., L’Alto Medieovo, p. 143. 10 BRUNETTIN G., Una fedeltà insidiosa: la parabola delle ambizioni goriziane sul Patriarcato di Aquileia (1202-1365), in Da Ottone III a Massimiliano I. Gorizia e i Conti di Gorizia nel Medioevo, Mariano del Friuli, 2004, pp. 281-388. 8 5 presule di turno a gratificare i suoi vassalli, il più delle volte dietro pressioni (aiuti finanziari e militari), altre spontaneamente, ma sempre in risposta a un’esigenza precisa: garantirsi appoggio e fedeltà. Quando però l’aristocrazia diventò così forte da cercare e stringere alleanze intorno a sé – magari anche fuori dai confini del patriarcato 11 – rappresentando una minaccia per la stabilità del potere temporale, i patriarchi dovettero cercare qualcosa da contrapporle e la scelta cadde sulle comunità. Cividale, Gemona, Sacile … ma soprattutto la comunità che oggi ci interessa di più, Udine. La creatura ‘nuova’ su cui i patriarchi da Bertoldo di Andechs in poi scommisero, che aveva una posizione centrale rispetto alla cartina del loro potere temporale, che diventerà la loro nuova e preferita sede e il centro dal quale avrebbero voluto riprendere tutti i fili per ritrarli a sé 12 . Non ci riescono. Col senno di poi capiamo e vediamo quanto l’operazione avesse un risvolto negativo: potenziare le comunità (financo crearne di nuove, come Udine) significava continuare a rosicchiare, boccone dopo boccone, quella immensa forma di cacio che era il patriarcato, e che ormai era piena di buchi. Dobbiamo tra l’altro ricordare che parallelamente ai signori di castello, all’interno delle comunità si rinsaldavano e crescevano anche le aristocrazie cittadine (nomi come De Portis o Boiani a Cividale, e Savorgnan o Arcoloniani a Udine, tanto per fare alcuni esempi). Era stata messa in moto una ruota il cui movimento non era facilmente arrestabile, era qualcosa che rischiava di risucchiare gli stessi patriarchi e l’esempio più banale se volete resta quello di Bertando di Saint Geniès, una figura energica che dominò per un periodo abbastanza lungo (1334-1350). Egli provò a inserire un bastone in quella ruota, se non per bloccarla almeno per rallentarne la corsa, ma venne travolto. La sua azione di governo ebbe infatti come risultato quello di creare un blocco nemico vasto e compatto: quando per esempio scelse di contrastare le spinte autonomistiche di Cividale, quella comunità per difendersi non trovò di meglio da fare che allearsi ai conti di Gorizia e accogliere nella nuova lega anche altri e numerosi signori di castello. Il patriarcato è insomma estremamente vivo, ma in questa situazione turbolenta non riesce a diventare una forma statuale completa. Molta storiografia nazionale e locale riferendosi a questa regione parla di “ritardo evolutivo”. È un concetto che cogliamo noi oggi, a posteriori: chi visse dentro a quegli eventi non sapeva di essere in ritardo (rispetto a cosa, poi?). Per questo io preferisco un concetto simile, ma, se volete, più rispettoso del tempo, e parlo di “tenuta dei quadri”. Complici probabilmente il suo difetto congenito (il non essere un potere dinastico) e la fittissima rete feudale che era stata generata dagli stessi patriarchi per saldare il potere, ma che aveva dato esiti opposti, il patriarcato non riuscì a sbocciare. Eppure, come abbiamo visto all’inizio, pur essendo geograficamente marginale tanto al regnum Germanicum quanto al regnum Italicum era tutt’altro che isolato: era una zona strategicamente V. in particolare ZACCHIGNA M., Il patriarcato di Aquileia: l’evoluzione dei poteri locali (1250-1420), in Studi in onore di Giovanni Miccoli, a cura di L. Ferrari, Trieste 2004. 12 Marco Bellabarba ha giustamente parlato di un groviglio di ‘spazi geografici’ (dentro cui possiamo far confluire quelli del patriarca, sia religiosi sia temporali, e quelli privati) e ‘spazi clientelari: BELLABARBA M., The feudal principalities: the east (Trent, 11 6 rilevante da un punto di vista politico ed economico, non a caso sin dalla metà del Duecento attrasse i mercanti fiorentini, che di certo non sceglievano a caso le loro aree di espansione! In alcuni lavori, non molti per la verità, il patriarcato di Aquileia è stato definito come uno stato. È giusto? È sbagliato? Sicuramente è un concetto che rischia di far scivolare nell’anacronismo, perché ci rimanda con la mente all’idea attuale che abbiamo di stato e, per quanto (poco) oggi lo Stato italiano ci appaia un organismo ordinato e funzionale, esso lo è sicuramente in misura molto diversa da quello che poteva essere la realtà patriarcale o qualsiasi altra compagine medievale. Proprio per evitare eccessive semplificazioni, nei testi di storia la parola stato è sempre affiancata da aggettivi che di volta in volta la qualificano: stato feudale, stato regionale, stato moderno… 13 . Ebbene, quali sono gli elementi che ‘fanno’ lo Stato? Oggi come allora sono FISCO, GIUSTIZIA e DIFESA, i tre principali poteri temporali assegnati ai presuli sin dal X secolo. Ma chi li esercitava in concreto nel cosiddetto stato patriarcale? Il fisco era connesso con la possibilità di incassare dazi e gabelle (e più in generale introiti fiscali); lo stesso privilegio di tenere un mercato settimanale era concessione fatta dai patriarchi. A Cividale il suolo su cui si teneva il mercato era e rimaneva terreno patriarcale e a controllare la piazza era un funzionario del presule, l’avvocato. È dunque il patriarca che detiene questi poteri, ma piano piano li devolve col sistema degli appalti: nel caso di Cividale i dazi riscossi sulla merce in transito andavano a rimpolpare le casse comunali, per permettere alla cittadina di avere una fonte di sostentamento e, soprattutto, una risorsa da usare per la difesa. Lo stesso accesso al mercato è concesso agli abitanti del distretto con tutta una serie di esenzioni e franchigie per quanti contribuiranno alla difesa della terra 14 . E ci sono esempi di patriarchi che provarono con scarsi risultati a riappropriarsi dei dazi, come fece il presule Marquardo nel 1373, proprio nei confronti di Udine. La risposta della comunità fu ferma: si trattava di un diritto consolidato, ma soprattutto la cifra era usata per la difesa generale, «quia Utinensis terra est cor Aquilegense» 15 . La giustizia: altro tema enorme su cui rimangono ampie zone d’ombra. La dispersione dell’archivio patriarcale dopo il suo trasferimento a Venezia lascia aperti alcuni interrogativi. Per quel che ne sappiamo, la curia patriarcale era chiamata a giudicare nelle cause contro il presule (fino al Duecento inoltrato) e in quelle che vedevano coinvolti i vassalli. Tutto il resto era progressivamente confluito nelle mani di funzionari patriarcali (marescialli, gastaldi, giudici…), delle comunità e dei feudatari. Nei feudi minori i signori a volte giudicavano anche cause che avrebbero dovuto essere sottoposte al giudizio del presule. Nelle comunità, come a Cividale, si liquidavano anche le cause criminali, mentre Bressanone, Aquileia, Tyrol and Gorizia), in The Italian Renaissance State, a cura di I. Lazzarini, A. Gamberini, Cambridge University Press, 2012, p. 204. 13 Secondo Francesco Senatore, «parole come ‘stato’ hanno una forza tale da evocare continuamente lo Stato che oggi pervade ancora ogni aspetto della nostra esistenza» e per questo stesso motivo riescono a depistarci. Sull’anacronismo come «compagno della ricerca storica» cfr. SENATORE F., Medioevo: istruzioni per l’uso, Milano 2008, pp. 13-14. 14 FIGLIUOLO B., Sulla concessione del diritto di mercato alla città di Cividale, in Città della strada, città della spada: Cividale e Palmanova, a cura di M. A. d’Aronco, Società Filologica Friulana, Udine 2013, pp. 75-81. 15 Statuti e ordinamenti del Comune di Udine, Udine 1898, doc. XI, p. 147. 7 per quelle minori o di natura civile il giudizio era in mano agli astanti, rendendo di fatto responsabile della sentenza l’intera comunità 16 . Ultimo punto tocca la difesa. Militarmente parlando il ruolo del patriarca non è simbolico: ci sono varie rappresentazioni e descrizioni che ci mostrano i presuli alla testa delle loro schiere coperti dall’armatura! Ma un vero e proprio esercito campale non c’è. Come ha osservato Donata Degrassi, non avviene la trasformazione da esercito feudale a esercito campale 17 . Il patriarca fa una convocazione al momento del bisogno, che tiene conto del numero di armati di cui presume aver bisogno, e le comunità rispondono inviando i propri contingenti. Ma manca la formazione (non ci sono esercitazioni) e manca quella coesione che si sarebbe potuta creare contro un nemico comune esterno. Più spesso l’esercito è convocato per muovere contro una delle comunità della Patria. Dal XIII secolo questi poteri, già sfilacciati, vengono sottoposti al giudizio del colloquium generale, quell’assemblea di laici ed ecclesiastici, di signori e comunità che va sotto il nome di Parlamento 18 . Il patriarca non decide più in autonomia: in materia fiscale, militare e giudiziaria ogni istanza va sottoposta al parlamento. Ne deriva una situazione che ho cercato di rappresentare con queste due frecce rosse, che vogliono mostrare quanto il patriarca fosse stretto tra aristocrazie e comunità. Ecco allora che lo stato patriarcale non riesce a sbocciare: è una realtà dinamicissima, ma oscilla tra la matrice imperiale delle origini e i tentativi di conquistare una propria fisionomia e autonomia, il tutto dentro a quel guscio che è la sua natura ecclesiastica, che ne impedisce la dinastizzazione. Chiudo con questa osservazione che vi farà capire quanto il patriarcato fosse una creatura originale nel contesto italiano. Nei manuali di storia medievale che sottoponiamo ai nostri studenti per la preparazione all’esame, l’area friulana è molto presente nei primi secoli del Medioevo (pensiamo a quel castrum di Cividale che con l’arrivo dei Longobardi diventerà il primo ducato longobardo), poi la sua fama (e il numero di citazioni) va vertiginosamente precipitando. Se escludiamo gli accenni che DAVIDE M., La documentazione giudiziaria tardo medievale e della prima Età moderna nel Patriarcato di Aquileia e a Trieste, in La documentazione degli organi giudiziari nell’Italia tardo medievale e moderna. Atti del convegno di studi. Siena, Archivio di Stato, 15-17 settembre 2008, a cura di A. Giorgi, S. Moscadelli e C. Zarrilli, Roma 2012. 17 DEGRASSI D., L’organizzazione militare del Patriarcato nel Due-Trecento, in Il Patriarcato di Aquileia. Uno Stato nell’Europa Medievale,, a cura di P. Cammarosano, Udine 1999, p. 295. 18 LEICHT P.S., Parlamento friulano. 16 8 vengono fatti in relazione allo scisma tricapitolino e alla nomina a re di Berengario, marchese del Friuli, il Patriarcato di Aquileia entra in un cono d’ombra sempre più esteso, dal quale uscirà solo nel Quattrocento, con la fine del potere temporale dei presuli e la sottomissione a Venezia. Perché succede questo? Perché il Patriarcato è una formazione tanto peculiare che non riesce a entrare in quei libri di storia in cui necessariamente di deve fare una sintesi. Nei manuali c’è un’Italia che corre parallela e su cui si riversa tutta l’attenzione. Le vicende del Friuli non vengono accomunate a quelle dell’Italia padana, disseminata di comuni e signorie, ma nemmeno ne vengono esaltate le caratteristiche di principato e quindi, nonostante le dimensioni geografiche non proprio trascurabili, non viene trattato al fianco ad esempio di una realtà come quella del regno meridionale prima normanno, poi svevo, angioino e infine aragonese. Il Patriarcato rimane quindi lì, un esperimento politico originale, troppo originale per entrare nei quadri generali, ma decisamente interessante per chi voglia continuare ad approfondirne i contenuti 9