UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II”
FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA
CORSO DI LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE VETERINARIE
CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RADIOLOGIA
VETERINARIA
TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN
RADIOLOGIA VETERINARIA
E MEDICINA NUCLEARE
“ESAME TC DEL GINOCCHIO DEL CANE NELLA
ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO
CRANIALE”
RELATORE
CH.MO PROF.
LEONARDO MEOMARTINO
CANDIDATO
MARIALETIZIA MANCINI
MATR. 79/820
Anno Accademico 2005 - 2006
Indice
INTRODUZIONE…………………………………...2
PARTE GENERALE………………………………..4
ANATOMIA DEL GINOCCHIO DELCANE………………5
ANATOMIA DEI LEGAMENTI CROCIATI……………...10
DINAMICA DEI LEGAMENTI CROCIATI………………13
MECCANICA FUNZIONALE DEI LEGAMENTI
CROCIATI…………………………………………………….15
EZIOPATOGENESI DELLA ROTTURA DEL
LEGAMENTO CROCIATO CRANIALE………………….18
DIAGNOSI DI ROTTURA DEL LEGAMENTO
CROCIATO CRANIAL……………………………………....23
ESAME RADIOGRAFICO………………………………….27
ESAME ECOGRAFICO…………………………………….32
RISONANZA MAGNETICA………………………………...36
PARTE SPERIMENTALE………………………..40
INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE…….41
MATERIALI E METODI…………………………………….44
RISULTATI……………………………………………………50
DISCUSSIONE……………………………………………….54
CONCLUSIONI………………………………………………62
TAVOLA DELLE IMMAGINI TC………………………….64
BIBLIOGRAFIA…………………………………...74
2
Introduzione
La rottura del legamento crociato craniale (LCCr) è tra le cause più
frequenti di zoppia dell’arto posteriore del cane, mentre è rara nel gatto.
La rottura dell’LCCr nel cane è quasi sempre secondaria a
degenerazione delle fibre, a differenza della specie umana in cui di
solito segue ad un trauma diretto e viene per lo più agevolmente
diagnosticata con il solo esame clinico. Pertanto la Diagnostica per
immagini viene in genere utilizzata per confermare la diagnosi e, ancor
più, per stabilire la prognosi e l’approccio chirurgico o per
documentare la patologia ai fini medico-legali. L’esame RX del
ginocchio è certamente la tecnica di primo livello, eseguita ormai da
decenni, integrata, in alcuni casi, dall’esame ecografico, che consente
uno studio più approfondito dei tessuti superficiali dell’articolazione. In
Medicina Umana, la Risonanza Magnetica rappresenta l’indagine
strumentale di prima scelta, ma, al momento, resta troppo costosa e
scarsamente disponibile sul territorio per poter entrare nella pratica
clinica veterinaria.
L’esame TC è stato fino ad oggi poco utilizzato per lo studio dei tessuti
molli del ginocchio del cane, sebbene uno studio (Samii e Dyce, 2004)
abbia dimostrato che l’Artrografia Tomografica Computerizzata sia una
3
tecnica specifica e affidabile al pari della Risonanza Magnetica per
identificare lesioni delle strutture legamentose intraarticolari.
Il presente lavoro, che rappresenta uno studio prospettico dei casi di
zoppia, riferibili a rottura/sovradistensione del LCCr, pervenuti presso
il Centro di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina
Veterinaria di Napoli nell’arco di circa un anno e mezzo, ha lo scopo di
verificare la validità dell’esame TC senza mezzo di contrasto nello
studio del ginocchio del cane, come completamento o alternativa alle
altre tecniche di Diagnostica per Immagini fino ad oggi utilizzate.
In particolare, la presente tesi è divisa in una parte generale, in cui
viene descritta l’anatomia del ginocchio, l’anatomia, la dinamica e la
meccanica funzionale dei legamenti crociati, l’eziopatogenesi della
rottura del legamento crociato craniale, la sua diagnosi clinica e le
tecniche di indagine strumentale, rappresentate dall’esame RX,
dall’esame ecografico, dalla Risonanza Magnetica. Segue, poi, una
parte sperimentale in cui è descritto l’esame TC del ginocchio del cane,
i materiali e metodi ed i risultati relativi a tale studio. La tesi è
completata da un capitolo dedicato alla discussione e alle conclusioni
dei risultati ottenuti.
4
PARTE GENERALE
5
Anatomia del ginocchio del cane
L’articolazione femoro-tibio-rotulea o ginocchio (articulatio genus) è
una giuntura piuttosto complessa, formata da due componenti:
l’articolazione femoro-rotulea (articulatio femoropatellaris), che si
stabilisce tra la superficie articolare della rotula e la troclea dell’epifisi
distale del femore, e l’articolazione femoro-tibiale (articulatio
femorotibialis), che si stabilisce tra i due condili dell’epifisi distale del
femore e i condili dell’epifisi prossimale della tibia.
Le incongruenze esistenti tra la tibia ed il femore sono occupate da due
strutture fibrocartilaginee, i menischi, dei quali uno è posto tra i condili
mediali (meniscus medialis) e l’altro (meniscus lateralis) tra i condili
laterali di femore e tibia (fig. 1).
Fig. 1 – Superfice articolare prossimale della tibia sinistra con menischi del cane (Modificato da
Liebich et al., 2005).
6
Nel cane, come in tutti i carnivori, l’articolazione è completata
caudalmente e sopra ciascun condilo femorale da un piccolo
sesamoide, o fabella, incluso nei tendini di origine del muscolo
gastrocnemio. Un terzo piccolo sesamoide si trova nel tendine
d’origine del muscolo popliteo e si articola con la superficie caudale
del condilo laterale della tibia.
(figg. 2 - 3) La rotula, o patella, è, invece, un grosso sesamoide di
forma ovalare e schiacciato cranio-caudalmente, posto nel solco
trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo
quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia
femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale
(cartilago parapatellaris medialis et lateralis), che si incontrano
dorsalmente, aiutando a prevenire la dislocazione della patella.
7
Fig. 2 – Vista craniale del ginocchio sinistro, che mostra i legamenti e le strutture associati. 1,
troclea femorale; 2, labbro laterale della troclea femorale; 3, tendine dell’estensore lungo delle dita;
4, tendine del popliteo; 5, legamento collaterale laterale; 6, menisco laterale; 7, tuberosità tibiale; 8,
legamento patellare; 9, rotula; 10, fibrocartilagine parapatellare; 11, legamento intermeniscale; 12,
menisco mediale; 13, legamento collaterale mediale; 14, legamento crociato craniale; 15, legamento
crociato caudale; 16, labbro mediale della troclea. (Modificato da Carpenter Jr, Cooper, 2000).
8
Fig. 3 – Vista caudale del ginocchio destro, che
mostra i legamenti e le strutture associati. 1,
legamento crociato craniale; 2, legamento
collaterale laterale; 3, menisco laterale; 4,
legamento craniale della testa fibulare; 5,
legamento caudale della testa fibulare; 6, fibula; 7,
legamento tibiale caudale del menisco laterale; 8,
legamento crociato caudale; 9, menisco mediale;
10, legamento collaterale mediale; 11, legamento
meniscofemorale. (Modificato da Carpenter Jr,
Cooper, 2000)
La capsula articolare del ginocchio è formata da tre sacchi, tutti
intercomunicanti: due sacchi sono situati tra i condili del femore e della
tibia (saccus medialis et lateralis) e il terzo è posto sotto la patella.
I legamenti meniscali tengono legati i menischi alla tibia e al femore.
Sono sei:
- i legamenti tibiali craniali dei menischi (ligamentum tibiale craniale
menisci lateralis et medialis), che dalla parte laterale di ciascun
menisco si portano rispettivamente alla parte laterale e mediale
dell’area intercondiloidea craniale della tibia;
- i legamenti tibiali caudali dei menischi (ligamentum tibiale caudale
menisci lateralis et medialis), dei quali il laterale si estende dall’angolo
caudale del menisco laterale all’incisura poplitea della tibia, mentre il
9
mediale va dall’angolo caudale del menisco mediale fino all’area
intercondiloidea caudale della tibia;
- il
legamento
femorale
del
menisco
laterale
(ligamentum
meniscofemorale), che rappresenta l’unico attacco femorale dei
menischi e va dall’angolo caudale del menisco laterale alla parte
interna del condilo mediale del femore;
- il legamento trasverso o intermeniscale (ligamentum transversum
genus), che unisce gli angoli craniali dei due menischi.
I legamenti femorotibiali sono rappresentati dai legamenti collaterali ed
i legamenti crociati. Dei legamenti collaterali laterale e mediale
(ligamentum collaterale laterale et mediale) il primo origina
dall’epicondilo laterale del femore e, sdoppiandosi, termina con una
branca sull’epifisi prossimale della fibula e con l’altra sul condilo
laterale della tibia, il secondo, invece, si
estende tra l’epicondilo mediale del femore e
il bordo mediale della tibia, circa 2 cm.
distalmente al condilo tibiale mediale.
I legamenti crociati craniale e caudale
(ligamentum cruciatum craniale et caudale)
Fig.
4
–
Aspetto
intraoperatorio del legamento
crociato craniale.
sono localizzati all’interno della capsula
articolare, nella fossa intercondiloidea del
10
femore tra i due sacchi sinoviali dell’articolazione femorotibiale e si
portano entrambi alla spina tibiale (fig. 4).
Il legamento patellare (ligamentum patellae) è rappresentato dalla
porzione distale del tendine d’inserzione del muscolo quadricipite
femorale e si porta dall’apice distale della rotula alla tuberosità tibiale.
Tale legamento risulta separato dalla capsula articolare tramite il corpo
adiposo
infrapatellare
(corpus
adiposum
infrapatellare),
particolarmente spesso nella sua parte distale.
La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla
fascia laterale (fascia lata) e da quella mediale del femore, supportate
in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale
(ligamentum femoropatellare laterale et mediale): il laterale va dal
bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del
muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio
dell’epicondilo mediale del femore (Liebich et al., 2005 ; Miller’ S,
1979; Pelagalli e Botte, 1999; Carpenter e Cooper, 2000).
11
Anatomia dei legamenti crociati
I legamenti crociati sono nel ginocchio strutture fondamentali, in
quanto regolatori del movimento articolare. Sono distinti in craniale o
anteriore e caudale o posteriore.
Il legamento crociato craniale (LCCr) parte da una fossetta posteriore
sulla faccia mediale del condilo laterale del femore e, dopo aver
attraversato obliquamente la fossa intercondiloidea, in senso mediolaterale e prossimo-distale, termina sull’area intercondiloidea craniale
della tibia. Lungo il suo percorso esso descrive una spirale laterale
esterna in direzione prossimo-distale di circa 90°. Durante la flessione
del ginocchio il legamento si curva e si torce su se stesso.
Il legamento crociato caudale (LCCd) parte da una fossetta della faccia
ventro-laterale del condilo mediale del femore e raggiunge la porzione
mediale dell’incisura poplitea della tibia. Lungo il suo percorso forma
una spirale con lieve intrarotazione e durante la flessione del ginocchio
anch’esso si torce leggermente su se stesso. Il LCCd, leggermente più
lungo e largo del craniale, si trova rispetto a quest’ultimo in posizione
mediale e si incrocia con esso (Arnoczky e Marshall, 1977; Heffron e
Campbell, 1978; Arnoczky, 1985; Williams et al., 1997; Carpenter e
Cooper, 2000; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004).
12
Da un punto di vista istologico i due legamenti crociati sono costituiti
da fasci di fibre collagene orientate longitudinalmente e parallele le une
alle altre. Tale disposizione regolare delle fibre offre una maggiore
resistenza alla trazione, per cui le strutture che ne risultano sono in
grado di resistere, senza lacerarsi, a forze anche notevoli applicate
parallelamente all’asse maggiore delle fibre stesse. Tra i fasci di
collagene, immersi nella scarsa componente amorfa della matrice
extracellulare, si trovano pochi fibroblasti affusolati o ovali, ordinati in
file parallele. (Rosati e Colombo, 2001; Heffron e Campbell, 1978;
Vasseur et al., 1985; Hayashi et al., 2004).
Per consentire un graduale passaggio dal tessuto flessibile del
legamento a quello rigido dell’osso, tra le due strutture è posta una
zona di transizione fibrocartilaginea, che impedisce la concentrazione
di stress nel sito di inserzione (Arnoczky, 2001).
I legamenti crociati sono ricoperti dalla membrana sinoviale, dalla
quale deriva la maggior parte della loro vascolarizzazione. Essi sono
raggiunti da rami delle arterie genicolari mediale e laterale, dall’arteria
poplitea e dal ramo terminale dell’arteria genicolare discendente, che
penetra direttamente sull’inserzione femorale del legamento crociato
caudale. Sono, inoltre, vascolarizzati da vasi che scorrono nella
membrana sinoviale che ricopre i legamenti; da questi vasi sinoviali o
paralegamentosi hanno origine altri vasi più piccoli, che, penetrando
13
nel legamento trasversalmente, formano delle anastomosi con i vasi
longitudinali endolegamentosi (Arnoczky, 1985; Carpenter e Cooper,
2000; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004).
14
Dinamica dei legamenti crociati
Ciascuno dei due legamenti crociati risulta dall’associazione di due
componenti, che funzionano in maniera indipendente l’una dall’altra
durante i movimenti di flessione e di estensione del ginocchio.
Fig. 5 – Disegno di ginocchio sezionato
che mostra il legamento crociato craniale in
estensione. Si noti che l’intero legamento è
teso (Modificato da Arnoczky, Marshall, 1977).
Fig. 6 – Disegno di ginocchio sezionato
che mostra il legamento craniale in flessione.
Si noti che la banda cranio-mediale (freccia)
è tesa, mentre la parte caudo-laterale è rilassata
(Modificato da Arnoczky, Marshall, 1977).
Il LCCr è diviso in una banda cranio-mediale (CMB), che rimane tesa
sia durante l’estensione che durante la flessione, e in una parte caudolaterale (CLP), che è tesa durante l’estensione e rilassata durante la
flessione (Arnoczky e Marshall, 1977; Williams et al., 1997; Heffron e
Campbell, 1978; Scavelli et al., 1990; Carpenter e Cooper, 2000;
Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004) (figg. 5 – 6).
15
Fig. 7 – Disegno di ginocchio sezionato
che mostra il legamento crociato caudale in
estensione. Si noti che solo la parte caudale
(freccia) è tesa (Arnoczky, Marshall, 1977).
Fig. 8 – Disegno di ginocchio sezionato
che mostra il legamento crociato caudale in
flessione. Si noti che la parte craniale è tesa,
mentre quella caudale è rilassata (Arnoczky,
Marshall, 1977).
Il LCCd è distinto, invece, in una parte craniale, che è rilassata durante
l’estensione e tesa durante la flessione, e una parte caudale, che al
contrario è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione
(Arnoczky e Marshall, 1977; Scavelli et al., 1990; Carpenter e Cooper,
2000; Arnoczky, 2001) (figg. 7- 8).
16
Meccanica funzionale dei legamenti crociati
La stabilità dell’articolazione del ginocchio è dovuta proprio ai
legamenti crociati, che ne regolano i movimenti, prevenendo lo
slittamento craniale o caudale della tibia sul femore, limitando la
rotazione
interna
della
tibia
sul
femore
e
opponendosi
all’iperestensione del ginocchio (Arnoczky, 1985; Williams et al.,
1997; Arnoczky, 2001).
Fig. 9 – Diagramma dell’aspetto craniale del ginocchio
durante la flessione. Il legamento collaterale laterale si
rilassa, permettendo la rotazione interna della tibia. I
legamenti crociati “torcono” l’uno sull’altro per limitare
questa rotazione (Modificato da Arnoczky, 2001).
In un’articolazione sana, durante la
flessione
il
legamento
collaterale
laterale si rilascia, il condilo tibiale
laterale si sposta cranialmente e la tibia subisce una rotazione interna
sul femore (fig. 9).
Quando, invece, il ginocchio si estende, entrambi i legamenti collaterali
si tendono, il condilo laterale della tibia si sposta caudalmente rispetto
al condilo femorale laterale e, dunque, si ha la rotazione esterna della
tibia sul femore. Durante i movimenti di flessione, la rotazione interna
della tibia sul femore è limitata dalla torsione l’uno sull’altro dei
legamenti crociati. Essi non hanno, invece, alcun effetto individuale nel
17
limitare la rotazione esterna della tibia sul
femore, a cui si oppongono solo i
legamenti collaterali, entrambi durante
l’estensione e solo il mediale durante la
flessione (Vasseur e Arnoczky, 1981;
Fig. 10 – Diagramma dell’aspetto
craniale del
ginocchio durante
l’estensione. Quando il legamento
collaterale laterale si tende, la tibia
ruota esternamente. I legamenti
crociati si “detorcono” e di
conseguenza non hanno nessun
effetto individuale nel limitare la
rotazione
esterna
della
tibia
(Modificato da Arnoczky, 2001).
Johnson e Olmstead, 1987; Carpenter e
Cooper, 2000; Arnoczky, 2001) (fig.
10). Pertanto un’eccessiva rotazione
esterna si ha solo quando alla lesione
del LCCr si associa una lesione ad uno
dei legamenti collaterali, soprattutto il collaterale mediale, mentre la
rottura di entrambi i legamenti crociati è responsabile di un’abnorme
rotazione interna della tibia (Arnoczky, 2001).
I legamenti crociati sono anche responsabili della stabilità craniocaudale del ginocchio; in particolare, il LCCr si oppone allo
spostamento craniale della tibia sul femore, il LCCd si oppone allo
spostamento caudale. La principale struttura che impedisce lo
spostamento anteriore della tibia sul femore è la CMB del legamento
crociato craniale, in quanto essa risulta tesa sia in estensione che in
flessione; se questa componente viene danneggiata, allora subentra
l’azione della CLP, che, però, garantisce la stabilità dell’articolazione
18
solo durante l’estensione, ma non in flessione, caso in cui risulta
rilassata. Gli effetti individuali sulla stabilità articolare delle due
componenti del legamento crociato caudale, a differenza di quanto
accade per l’altro crociato, sono minimi (Johnson e Olmstead, 1987;
Arnoczky, 2001).
In ultimo, come già anticipato, il LCCr impedisce l’iperestensione del
ginocchio grazie alla tensione che si instaura durante l’estensione; solo
se dovesse danneggiarsi, verrebbe sostituito in questa sua funzione dal
legamento collaterale mediale e dal LCCd (Arnoczky, 2001).
19
Eziopatogenesi della rottura del legamento
crociato craniale
Diversi studi hanno dimostrato che le lesioni dei legamenti crociati
riguardano nella maggior parte dei casi il craniale, poiché il crociato
caudale è protetto dai movimenti estremi da legamenti e strutture
articolari adiacenti. Un trauma molto forte al ginocchio può
danneggiare contemporaneamente i due legamenti crociati ed uno dei
legamenti collaterali, ma più spesso accade che, solo in seguito
all’instaurarsi di una instabilità articolare persistente, causata da danni
al LCCr o ai collaterali, il crociato caudale diventi più esposto alle
lesioni traumatiche (Arnoczky, 1985; Johnson e Olmstead, 1987;
Bruce, 1998; Arnoczky, 2001).
La rottura del LCCr è, invece, la più comune lesione del ginocchio del
cane (Arnoczky, 1985). Tale rottura può essere totale o parziale;
quest’ultima si può verificare a carico della sola banda cranio-mediale,
durante la flessione del ginocchio, soprattutto se accompagnata da
rotazione interna, o a carico della banda caudo-laterale, durante
l’iperestensione dell’articolazione (Scavelli et al., 1990). L’avulsione
dell’origine del LCCr è, invece, considerata rara; essa si verificherebbe
nei cani molto giovani e, dunque, con scheletro immaturo (Williams et
al., 1997).
20
La rottura del LCCr non è quasi mai causata da un trauma, bensì la
conseguenza dell’azione di molteplici fattori predisponenti, quali le
variazioni di conformazione (come le deformazioni valga e vara del
ginocchio) e gli stress reiterati di lieve entità. La lesione, spesso
bilaterale, è stata osservata in cani di tutte le taglie, ma con maggiore
frequenza in quelli di peso superiore ai 15-20 kg, e soprattutto nei
soggetti sovrappeso e di età superiore ai cinque anni.
L’ipotesi più accreditata riguardo all’eziologia della rottura del LCCr è
quella degenerativa: la sedentarietà, derivante dalla età avanzata e
dall’obesità, potrebbe spiegare la comparsa di lesioni degenerative ai
legamenti crociati.
E’ stato anche ipotizzato, in base a delle ricerche che hanno evidenziato
immunocomplessi antifibre dei legamenti crociati sia nel siero che nel
liquido sinoviale, che la degenerazione del legamento crociato craniale
possa essere causata da un processo immunomediato (Arnoczky, 1985;
Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993; Whitehair et al., 1993; Scavelli et
al., 1990; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004).
Secondo alcuni studi sulla biomeccanica dell’articolazione del
ginocchio l’inclinazione del plateau tibiale rispetto all’asse della tibia
stessa rappresenta un fattore determinante nella patogenesi delle rotture
del LCCr. Tale inclinazione, che nel cane varia da 18° a 60°, con una
media di 24°, sarebbe responsabile dell’intensità della “spinta tibiale
21
craniale”, ossia di quella forza, generata dalla compressione tra femore
e tibia durante il carico ponderale, che provoca la traslazione craniale
della tibia prossimale: più l’inclinazione è elevata, maggiore sarebbe la
spinta craniale della tibia. Questa spinta è normalmente contrastata da
meccanismi attivi, i muscoli, e passivi, il LCCr e i menischi. Pertanto
essa sarebbe responsabile di microtraumi ripetuti su un legamento già
in degenerazione, determinandone una rottura parziale, che diviene poi
completa con la progressione della malattia (Slocum B. e Slocum T.D.,
1993; Macias e McKee, 2002; Modenato et al., 2004).
La causa di rottura meno frequente è, invece, il trauma. Poiché, come
sappiamo, il legamento crociato craniale limita la rotazione interna
della tibia sul femore, un danno a suo carico può avvenire quando
l’animale in corsa effettua una svolta improvvisa di 180° facendo perno
con l’intero peso del corpo sull’arto posteriore interno alla curva; in
queste condizioni la tibia è costretta ad un’eccessiva rotazione interna e
il condilo laterale del femore può agire sul LCCr, causandone la rottura
o l’allentamento per lacerazione della sua inserzione. Un altro
meccanismo che potrebbe portare alla lacerazione traumatica del LCCr
può verificarsi nel caso in cui, durante la corsa, un arto posteriore resti
intrappolato in una buca, perchè in questa condizione la tibia viene
fissata e l’articolazione improvvisamente iperestesia. In quest’ultima
22
condizione un’ulteriore iperestensione può causare la rottura anche del
legamento crociato caudale (Arnoczky, 1985; Arnoczky, 2001).
Qualunque sia la causa, dalla rottura del LCCr deriva una instabilità
persistente
dell’articolazione
del
ginocchio,
che
determina
infiammazione della capsula articolare e della membrana sinoviale,
degenerazione della cartilagine articolare, produzione di osteofiti
periarticolari e danni ai menischi (Arnoczky, 1985; Johnson J. M. e
Johnson A. L., 1993).
La lesione meniscale più frequentemente associata alla rottura del
LCCr interessa il menisco mediale e ciò è dovuto alla sua notevole
stabilità rispetto a quella del menisco laterale, che risulta, invece, più
libero e mobile. Quando il LCCr si rompe, si ha un incremento della
rotazione interna della tibia sul femore, che porta il condilo mediale del
femore ad esercitare un’eccessiva forza torsionale sul menisco mediale;
questa azione di torsione può, quindi, determinare una distensione del
margine concavo interno del menisco e lacerarlo trasversalmente. In
alcuni casi il menisco viene schiacciato tra i condili mediali di femore e
tibia; quando a questa forza di compressione se ne aggiunge una
rotazionale, si può avere una lacerazione longitudinale nella porzione
mediale del menisco. Quest’ultima lesione è definita “lacerazione a
manico di secchio”, quando la porzione mediale del menisco lacerata
risulta dislocata nell’articolazione. Durante l’estrema flessione è il
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corno caudale del menisco mediale ad essere compresso tra femore e
tibia, per cui, in questa posizione, le forze di rotazione possono lacerare
la sua inserzione caudale, permettendo al corno stesso di muoversi
quasi liberamente (Arnoczky, 1985; Arnoczky 2001).
24
Diagnosi di rottura del legamento crociato
craniale
In seguito alla lesione del legamento crociato craniale il paziente
presenta dolore intenso all’arto colpito, che lo costringe ad una zoppia
molto accentuata. Trascorse una o due settimane, la zoppia comincia a
migliorare
grazie
alla
regressione
dell’infiammazione,
al
riassorbimento dell’emartro e all’ispessimento della capsula articolare.
Mancando, però, l’integrità e quindi la funzione del LCCr, non viene
ripristinata la stabilità articolare, per cui le lesioni degenerative o i
danni meniscali progrediscono fino a determinare nuovamente la
riacutizzazione dei segni clinici (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993).
La diagnosi di rottura del legamento crociato craniale viene, di solito,
effettuata con il solo esame clinico.
Il primo passo verso la diagnosi consiste nell’identificare il soggetto e
nello stabilire se ha subito un trauma o se la zoppia è comparsa
improvvisamente durante la normale attività.
L’ispezione va eseguita con il soggetto prima in stazione, poi in
movimento, osservato posteriormente e lateralmente, per verificare la
presenza di deformazioni vara o valga del ginocchio, l’angolo
articolare e il tipo di zoppia.
25
Si passa poi alla palpazione con il paziente in stazione e in decubito
laterale per verificare la presenza di atrofia muscolare, dolore, gonfiore,
nonché aumento o riduzione del range di movimenti dell’articolazione
(Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). Se sono presenti concomitanti
lesioni al menisco mediale, in alcuni casi il segmento di menisco che si
muove liberamente in un corno caudale o in una lesione a manico di
secchio può dislocarsi nell’articolazione e interferire con la completa
estensione o flessione; oppure, il corno caudale, relativamente libero
dopo lacerazione, può subire un ripiegamento craniale quando il
condilo femorale passa su di esso e produrre un rumore udibile o
trasmesso di scatto, ossia il cosiddetto “click meniscale” (Arnoczky,
1985; Arnoczky 2001).
Per valutare la stabilità articolare in senso cranio-caudale, due sono le
manovre comunemente utilizzate: il test del cassetto craniale e il test di
compressione tibiale.
Il test del cassetto craniale (fig. 11) deve essere eseguito sull’animale
rilassato, meglio se in sedazione o anestesia generale, soprattutto nei
Fig. 11 – Test del cassetto craniale
(Modificato da Johnson & Johnson, 1993).
cani di grossa taglia, per eliminare la
possibilità di falso-negativi causati dalla contrazione dei muscoli della
26
coscia, che conferiscono maggiore stabilità all’articolazione. La
manovra si effettua ponendo il palmo di una mano sulla faccia craniodistale del femore e l’altro sulla faccia cranio-prossimale della tibia con
ambedue i pollici posti nella fossa poplitea. Si forza, quindi, la tibia in
senso cranio-caudale: in caso di legamento integro, nessuno
spostamento è possibile; in caso di rottura del LCCr, la tibia si sposta
cranialmente rispetto al femore e l’arresto di questa traslazione
anteriore è morbido e progressivo, mentre lo spostamento in senso
caudale è brusco per la resistenza offerta dal legamento crociato
caudale. Possono aversi dei casi di falsi-negativi, quando la lesione sia
ormai cronica e accompagnata da fibrosi periarticolare. Secondo acuni
autori (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993) sono possibili casi di
falsi-positivi negli animali molto giovani a causa della loro maggiore,
ma fisiologica, lassità legamentosa.
In alternativa o in aggiunta al test del cassetto craniale si può eseguire il
test di compressione tibiale (fig. 12).
Fig. 12 – Test di compressione tibiale (Modificato da Johnson &
Johnson, 1993).
Esso si effettua tenendo il palmo di una mano sulla
faccia craniale del ginocchio, mantenuto in
semiflessione, con il dito indice della stessa mano posto il legamento
27
tibio-rotuleo fino a toccare la cresta tibiale. Contemporaneamente, con
l’altra mano si esegue una flessione dell’articolazione tibio-tarsica,
agendo sulla regione del metatarso. In questa maniera si ottiene una
tensione sui gemelli della gamba e sul tendine di Achille e, pertanto, la
tibia viene forzata alla traslazione anteriore. Se il LCCr è integro, con
la punta dell’indice non si avvertirà nessuno spostamento della cresta
tibiale. In caso di rottura del legamento crociato craniale, la tibia si
sposta cranialmente rispetto al femore e tale spostamento sarà avvertito
dal dito indice posto sulla cresta tibiale. Tale manovra, per la facilità
d’esecuzione, può essere utilizzata quando l’inesperienza dell’esecutore
o il mancato rilassamento da parte di animali di grossa taglia non
permettano di eseguire il test del cassetto craniale; è poco adatta, però,
per valutare la lassità articolare in cani di piccola taglia, in quanto
afferrando la coscia in tutta la sua circonferenza, si determina un
aumento della stabilità del ginocchio e, quindi, un risultato falsamente
negativo (Arnoczky, 1985; Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993).
L’analisi del liquido sinoviale, invece, può essere utilizzata per
differenziare un’infiammazione articolare acuta da una cronica e può
essere utile per escludere processi infettivi o immunomediati quali
cause della rottura del LCCr (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993).
28
Esame radiografico
In Medicina Veterinaria la Radiografia è stata la prima tecnica di
Diagnostica per Immagini utilizzata come supporto dell’esame clinico
in caso di rottura del LCCr. Ancora oggi l’esame radiografico
rappresenta l’esame strumentale di primo livello per la valutazione di
questa patologia, eventualmente integrato da altre tecniche di Imaging.
Generalmente l’esame radiografico del ginocchio si esegue per
precisare la prognosi e per programmare la terapia, in quanto la
diagnosi di rottura del LCCr nel cane è prevalentemente clinica. Esso
consente di documentare l’instabilità articolare e di valutare, entro certi
limiti, non solo i segni di lesione inveterata a carico dei tessuti ossei,
ma anche quelli a carico di alcuni tessuti molli nelle fasi acute.
Lo studio radiografico del ginocchio si esegue con tecnica diretta,
senza l’uso della griglia antidiffusione. Talvolta può essere necessario
effettuare l’esame RX anche dell’arto controlaterale per identificare più
facilmente, tramite confronto, lesioni di piccola entità sull’arto
interessato.
Generalmente, il protocollo radiografico per la rottura del LCCr
prevede l’utilizzo di due proiezioni ortogonali standard, la mediolaterale neutra e la cranio-caudale o la caudo-craniale.
29
La proiezione ML standard o neutra si ottiene posizionando il paziente
in decubito laterale sul lato interessato e, con ginocchio in posizione
neutra (con angolo di flessione di circa 135°). Il fascio radiogeno è
puntato sulla parte centrale della faccia mediale dell’articolazione,
mentre l’arto controlaterale viene abdotto, oppure esteso e spostato
cranialmente in modo da rimanere al di fuori della finestra di
esposizione (Crovace et al.,2005).
All’esame RX, in seguito ad una rottura recente del LCCr, è possibile
osservare a volte, lo slittamento craniale dell’epifisi prossimale tibiale
rispetto a quella distale del femore. Nelle fasi acute, oltre alla
dislocazione tibiale si può osservare la distensione della capsula
articolare con obliterazione parziale o totale del cuscinetto adiposo
infrapatellare e del recesso caudale del ginocchio (fig. 13).
A
B
Fig. 13 – A: proiezione ML ginocchio sinistro sano. B: proiezione ML ginocchio destro patologico.
È possibile osservare lievi irregolarità del profilo della corticale in corrispondenza dei recessi
prossimali craniali (1) e caudali (2), aree di osteorarefazione sugli apici prossimale (3) e distale (4)
della rotula, obliterazione del cuscinetto adiposo craniale (5) e del recesso caudale (6) causato dalla
distensione sinoviale articolare (Modificato da Crovace et al., 2005).
30
Negli animali più giovani con lesione da avulsione, è possibile anche
evidenziare direttamente il frammento osseo (Vasseur, 2005).
Quando l’instabilità articolare, secondaria alla rottura del LCCr, è
ormai cronica, diventano evidenti i segni radiografici dell’artropatia
degenerativa, rappresentati da osteofiti ed enteseofiti. Gli osteofiti (fig.
14) sono il risultato dell’ossificazione di condrofiti, che si formano a
partire da cellule mesenchimali pluripotenti, localizzati lungo il
margine osteocondrale.
A
B
Fig. 14 – Quadro di artropatia secondaria grave. A: proiezione ML. B: proiezione CrCd (Modificato
da Crovace et al., 2005).
Questi cominciano a formarsi a partire già dal 3° giorno dopo la
lesione, ma è possibile evidenziarli radiograficamente solo a distanza di
tre settimane, quando sono sufficientemente mineralizzti (Widmer et
al., 1994). L’osteofitosi periarticolare compare inizialmente in
corrispondenza dei recessi prossimali e sull’apice distale della rotula,
31
poi sui profili delle fabelle e dei condili femorali e tibiali (Crovace et
al., 2005). Gli entesofiti si possono osservare prevalentemente lungo il
margine medio prossimale e la parte craniale della tibia (Widmer et al.,
1994). A causa della complessità dell’articolazione del ginocchio, della
sovrapposizione delle diverse strutture e della scarsa risoluzione di
contrasto dell’esame RX, le lesioni cartilaginee, localizzate sulla
superficie più interna dei condili laterale e mediale del femore, non
possono essere evidenziati (Bumin et al., 2001), così come le cisti
subcondrali. Anche l’assottigliamento della cartilagine articolare e
lesioni meniscali possono essere solo sospettati i caso di restringimento
dello spazio articolare femoro-tibiale e femoro-rotuleo (Crovace et al.,
2005), determinato anche dalle lesioni meniscali, che spesso sono
associate alla rottura del CCL. Per documentare l’instabilità articolare,
può essere di grande ausilio l’esecuzione di un radiografia in ML sotto
stress.
La proiezione ML del ginocchio sotto stress si esegue ponendo il
paziente in decubito laterale e, mantenendo l’articolazione femorotibio-rotulea a 90°, si esercita il test di compressione tibiale (de Rooster
e van Bree, 1999) (fig. 15).
32
A
B
Fig. 15 – A: proiezione ML neutra. B: proiezione ML sotto stress. Difficilmente lo slittamento
craniale della tibia è visibile nella proiezione ML neutra. Pertanto è necessario eseguire una
proiezione ML sotto stress, cioè mentre si esegue una manovra di compressione tibiale. Si noti,
inoltre, il di stanziamento caudale del sesamoide del popliteo (freccia) (Modificato da Crovace et
al., 2005).
33
Esame ecografico
L’esame ecografico è stato proposto come complemento all’esame
radiografico convenzionale per lo studio del ginocchio, in particolare
dei tessuti molli e delle cartilagini articolari superficiali, sia nei piccoli
che nei grossi animali (Gnudi e Bertoni, 2001).
L’ecografia presenta diversi vantaggi rispetto ad altre indagini: è
relativamente poco costosa e non invasiva, se confrontata con l’esame
RX, l’artrografia, la TC e l’artroscopia (Reed, et al., 1995; Seong et al.,
2005; Kramer et al., 1999); inoltre, se il paziente è tranquillo, non sono
necessarie sedazione o anestesia (Kramer et al., 1999). A ciò si
aggiungano, come ulteriori vantaggi, la ripetibilità e la visualizzazione
in tempo reale, che consente la realizzazione di studi dinamici tramite
movimenti di flesso-estensione dell’articolazione (Brunetti e Petruzzi,
2005). Tuttavia, l’esame ecografico presenta anche numerosi limiti: è
una tecnica strettamente dipendente dall’abilità e dall’esperienza
dell’operatore (Reed et al., 1995), è di difficile codificazione, è
inficiata da numerosi artefatti generati dalle superfici iperriflettenti dei
tessuti duri articolari; inoltre, nei soggetti di piccola e media tagli può
risultare difficoltoso differenziare le varie strutture articolari (Kramer
et al., 1999, Seong et al., 2005).
34
La tecnica per l’esame ecografico dell’articolazione del ginocchio
prevede l’impiego di sonde lineari ad alta frequenza (> 7 MHz), perché
consentono di visualizzare meglio le strutture superficiali, producendo
immagini con minori artefatti, più chiare e meno distorte.
Se il paziente è agitato e poco collaborativo è necessario il
contenimento farmacologico.
Per la corretta visualizzazione delle immagini è indispensabile
effettuare un’accurata tricotomia della regione seguita da sgrossamento
della cute e abbondanti quantità di un gel d’accoppiamento acustico.
Il paziente viene di solito posto decubito dorsale. In alternativa, può
essere utilizzato anche il decubito laterale prima sul lato sano, per
esaminare le superfici craniale, caudale e laterale dell’articolazione, poi
sul lato dell’arto interessato per consentire l’esame della superficie
mediale.
Per ottenere dei risultati riproducibili, bisogna cercare di standardizzare
la tecnica dell’esame, sebbene ciò si di difficile esecuzione pratica.
L’ecografia consente una buona visualizzazione delle strutture
articolari superficiali.
Per rendere accessibili le porzioni più profonde dello spazio articolare,
e cercare perciò di visualizzare il LCCr, si deve flettere al massimo il
ginocchio (Kramer et al., 1999). La sonda viene posizionata
parallelamente e lateralmente al legamento patellare e, quindi, ruotata
35
di circa 20° in senso prossimo-laterale. Il legamento crociato craniale è
stato descritto come una banda a struttura fibrillare ipoecogena
(Kramer et al., 1999; Reed et al., 1995; Gnudi e Bertoni, 2001) (fig.
16), sebbene nella nostra esperienza esso appaia iperecogeno rispetto
alle strutture circostanti. Non sempre è possibile ottenere la
visualizzazione del LCCr a causa dei frequenti artefatti da riverbero.
Inoltre, anche quando esso sia visibile è difficile poterlo esplorare in
tutta la sua estensione fino ai relativi punti di inserzione, prossimale e
distale. Per distinguere meglio il LCCr è stato proposto di iniettare una
soluzione salina nello spazio articolare (Seong et al., 2005).
Fig. 16 – Ginocchio sinistro sano. Legamento crociato craniale in scansione obliqua con
articolazione in massima flessione.
L’esame ecografico risulta molto sensibile nell’evidenziare ectasie
anche minime dei recessi articolari (fig. 17) e ispessimenti della
sinovia. I menischi possono essere esplorati solo lungo i loro profili
36
esterni (fig. 18), pertanto, le lesioni meniscali sono difficili da
dimostrare, ma i cambiamenti degenerativi cronici hanno un aspetto
caratteristico: la struttura del menisco diviene disomogenea e con
pattern eteroecoico, caratterizzato, cioè da aree ad ecogenicità mista.
Inoltre,
è
sempre
possibile
evidenziare
evidenziare
eventuali
cambiamenti di posizione (prolassi) o mobilità abnormi (Kramer et al.,
1999).
Fig. 17 Scansione
Caso n. ?? –
longitudinale
del
recesso craniale prossimale. È
evidente
la
recesso,
con
liquido
dilatazione
accumulo
sinoviale,
del
di
e
l’ispessimento della membrana
sinoviale.
Fig. 18 – Stesso soggetto della
Figura
17
–
Scansione
longitudinale
sulla
faccia
mediale del ginocchio. Anche a
questo livello, è evidente
l’ectasia articolare; si evidenzia,
inoltre, un marcato ispessimento
del capsula e del leg. collaterale
mediale; altri reperti significativi
sono gli osteofiti sulla superficie
del condilo mediale tibiale e il
prolasso del menisco.
37
38
Risonanza Magnetica
In Medicina Umana, la Risonanza Magnetica (RM) rappresenta la
tecnica di Diagnostica per Immagini d’elezione per lo studio dei tessuti
molli e delle cartilagini del ginocchio e delle articolazioni in genere,
utilizzata spesso in alternativa o a completamento dell’esame RX
convenzionale o dell’esame TC. Attualmente, però, in Medicina
Veterinaria, non ha ancora trovato grande successo a causa dei notevoli
costi di investimento e di gestione delle apparecchiature.
Vengono direttamente visualizzate la cartilagine, il liquido sinoviale, la
capsula e i legamenti. Anche la spongiosa dell’osso subcondrale può
essere indirettamente valutata grazie alla ricchezza d’acqua del tessuto
adiposo del midollo giallo contenuto nelle celle dell’osso. Nel cane,
studi sperimentali eseguiti con sequenze Spin-Echo pesate in T1 e T2
o, anche, con altre sequenze (Densità Protonica, Gradient-Echo, STIR)
hanno dimostrato l’elevata sensibilità e specificità della RM nella
valutazione delle lesioni osteocondrali e legamentose (Widmer W.R. et
al., 1991; Banfield C.M. e Morrison W.B., 2000; Crovace A., Di Bello
A., Meomartino L., 2005).
Vanno poi considerati gli importanti vantaggi della RM rappresentati
dalla non invasività, dalla mancata esposizione del paziente o
dell’operatore a radiazioni ionizzanti e dal fatto di poter ottenere
39
immagini tomografiche di qualità elevata, orientate secondo piani
selezionabili a scelta dell’operatore, senza dover modificare la
posizione del paziente.
Il protocollo per l’indagine di Risonanza Magnetica dell’articolazione
del ginocchio prevede che il paziente, in anestesia generale, sia posto in
decubito dorsale (Banfield C., Morrison W.B., 2000; Ohlert S. et al,
2001), con l’arto interessato all’interno di una bobina. Normalmente, le
immagini vengono acquisite in tre piani: sagittale, frontale e trasverso
(assiale).
Fra le sequenze più utilizzate possiamo menzionare la STIR (short tau
inversion recovery sequence) con soppressione del grasso. Altre
sequenze spesso adoperate sono: le sequenze Gradient Echo (GRE),
che, oltre al vantaggio dei bassi tempi di acquisizione, consentono
acquisizioni 3D; in alternativa alle sequenze Gradient-Echo, possono
essere adoperate sequenze Spin-Echo, pesate sia in T1 che in T2, che
consentono
di
visualizzare
meglio
le
altre
componenti
dell’articolazione femoro-tibio-rotulea, o ancora le sequenze Fast Spin
Echo T2 pesate (FSE T2), utilizzate soprattutto per il minor tempo di
acquisizione rispetto alle sequenze Spin Echo.
La RM del ginocchio, consente di valutare con precisione soprattutto la
cartilagine articolare, i menischi e i legamenti, sebbene sia possibile
40
esplorare anche la capsula articolare, l’integrità delle strutture ossee ed
i muscoli (Lang J. & Konar M., 2006).
Con la RM è possibile individuare anche le più lievi alterazioni della
cartilagine articolare e di quella meniscale, sebbene lo spessore delle
fette sia fondamentale per una buona risoluzione dell’immagine, a
causa degli artefatti da volume parziale e ciò possa rappresentare un
ostacolo insormontabile nei piccoli animali, considerata la no elevata
risoluzione spaziale della RM (le fette “sottili” hanno spessore di
4mm!) (Widmer W.R. et al., 1994).
Il LCCr è difficile da evidenziare in una singola immagine, a causa del
suo andamento obliquo nell’articolazione; tuttavia, con immagini
sequenziali e tecniche di ricostruzione obliqua è possibile osservarlo
nella sua interezza. Il suo aspetto normale è quello di una banda grigioscura nell’ambito di strutture articolari più intense (fig. 19). Il LCCd,
invece, può essere visto interamente come una banda grigo-scura,
lungo il piano sagittale mediano.
Fig. 19 – Scansione sagittale T1 pesata.
Rottura del legamento crociato craniale.
Nella regione intercondiloidea, si osserva
una massa ipointensa moderatamente
disomogenea. Il legamento crociato craniale
non è individuabile (Modificato da
Altόnaga J. et al., 1996).
41
Le lacerazioni dei legamenti si evidenziano in RM come segnali
anormalmente intensi, che interrompono il percorso del legamento
stesso (Widmer W.R. et al., 1994; Baird D.K. et al., 1998).
Oltre alla Risonanza Magnetica convenzionale, la Letteratura
Veterinaria riporta anche la possibilità dell’artrografia in Risonanza
mediante uso di gadolinio (Banfield C.M., Morrison W.B., 2000).
42
PARTE SPERIMENTALE
L’ESAME TC DEL GINOCCHIO DEL CANE
NELLA ROTTURA DEL LEGAMENTO
CROCIATO CRANIALE
43
Introduzione alla parte sperimentale
La Tomografia Computerizzata (TC) è una tecnica altamente specifica
per la valutazione dell’apparato osteo-articolare. Nonostante ciò, in
letteratura
veterinaria
non
esistono
(o
esistono
pochissime)
segnalazioni in cui si propongano o si parli specificamente di protocolli
per l’esame del ginocchio nel cane. Esiste un solo lavoro, piuttosto
recente, che espone un protocollo di artrografia TC del ginocchio,
necessaria, secondo gli Autori, per visualizzare le strutture legamentose
e cartilaginee intra-articolari del ginocchio del cane (Samii V.F. &
Dyce J., 2004). Potenzialmente la TC, sebbene utilizzi per la
formazione delle immagini lo stesso mezzo fisico, i raggi X, rispetto
alla Radiografia consente una migliore visualizzazione delle strutture
anatomiche del ginocchio grazie alla visualizzazione tomografica, che
riduce il problema della sovrapposizione, e alla migliore risoluzione di
contrasto, che permette di distinguere tra loro strutture con lievi
differenze di densità. La natura digitale delle immagini, inoltre,
permette di poterle esaminare cambiando la finestra di visualizzazione,
esaltando, di volta in volta, i tessuti o le strutture che maggiormente
interessano oppure di ottenere delle ricostruzioni planari, sagittali,
frontali o anche oblique, o di tipo 3D. A ciò si aggiungano alcuni
vantaggi che la TC presenta anche rispetto alla RM quali una maggiore
44
disponibilità di apparecchiature sul territorio, la minore durata
dell’esame e la minore incidenza di artefatti.
Gli svantaggi rispetto all’esame RX sono rappresentati dai maggiori
costi e dalla necessità dell’anestesia o di una sedazione profonda per la
sua esecuzione. Gli svantaggi rispetto alla RM risiedono in particolare
nell’impiego di radiazioni ionizzanti e nella minore risoluzione di
contrasto fra i tessuti molli articolari e le strutture cartilaginee.
L’ecografia, come abbiamo già detto nel relativo capitolo, è da
considerare una tecnica complementare alle altre mai sufficiente, da
sola, allo studio del ginocchio.
In linea di principio, il modo migliore di studiare un’articolazione con
la
TC
sarebbe
quello
in
cui
le
scansioni
siano
portate
perpendicolarmente al piano articolare. Tuttavia, la conformazione del
ginocchio canino e la geometria del gantry permettono di ottenere solo
fette parallele al piano articolare. Ciò predispone a possibili artefatti da
volume parziale proprio a livello dello spazio articolare. Tali artefatti
saranno tanto maggiori quanto più spesse siano le scansioni utilizzate o
quanto più piccole siano le dimensioni del ginocchio in esame.
Lo studio TC si esegue in anestesia generale o anche solo in sedazione
profonda, se si dispone di apparecchi di tipo spirale multislice, ma per
quanto riguarda l’esecuzione dell’esame non esistono al momento
protocolli universalmente accettati.
45
Il paziente può essere posto in decubito dorsale o sternale (Samii V.F.
& Dyce J., 2004), con gli arti pelvici iperestesi caudalmente verso il
gantry che viene inclinato in modo che le sezioni tomografiche siano
condotte lungo piani di scansione paralleli al plateau tibiale.
Non esistendo un protocollo per lo studio TC del ginocchio del cane in
caso di sospetta rottura del LCCr, scopo del presente lavoro è stato
effettuare un’analisi dell’esperienza maturata presso il Centro di
Radiologia Veterinaria, dopo circa un anno e mezzo di attività, con
differenti protocolli di esecuzione di esami TC del ginocchio canino in
casi di sospetta lesione del LCCr, allo scopo di individuare quale fra i
vari protocolli sia in grado di offrire i migliori risultati da un punto di
vista diagnostico.
46
Materiali e Metodi
Dal Novembre 2004 al Marzo 2006 tutti i cani affetti da zoppia mono o
bilaterale riconducibile a sospetta rottura/sovradistensione del LCCr,
pervenuti presso il Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria
della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli “Federico II”, sono
stati sottoposti ad esame TC delle ginocchia. La scelta di sottoporre il
paziente all’esame TC era condizionata dalla disponibilità da parte dei
proprietari a sottoporre il cane ad anestesia e ad affrontare il costo
dell’esame. Il campione, pertanto, è costituito da 14 pazienti. Di questi,
tre erano Rottweiler, due Corso, due Labrador Retriever, un Pitt Bull,
un Siberian Husky, un Pastore Tedesco e tre Meticci di taglia piccola.
Per quanto riguarda il sesso, il campione era formato da 4 erano maschi
(4 interi, 0 castrati) e 10 femmine (8 intere e 2 sterilizzate), con età
media di 6,9 anni (range: 1,6 – 12 anni) (vedi Tabella 1).
Caso N.
ID
Razza
Sesso
Anni
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
1346/04
350/05
498/05
500/05
550/05
583/05
775/05
807/05
21/06
226/06
239/06
247/06
287/06
323/06
Meticcio Taglia piccola
Corso
Meticcio
Rottweiler
Rottweiler
Meticcio Taglia piccola
Meticcio Taglia piccola
Siberian Husky
Labrador Retriever
Rottweiler
Corso
Pitt Bull
Pastore Tedesco
Labrador Retriever
F intera
F intera
F intera
F intera
M intero
F neutra
F intera
F intera
F intera
F neutra
F intera
M intero
M intero
M intero
12
1
5
10
4
8
12
6
6
8
3
8
11
2
Mesi
6
6
5
Ginocchio/i
patologici
Sn
Sn
Sn
Dx
Bilat.
Bilat.
Dx
Dx
Dx
Bilat.
Bilat.
Bilat.
Dx
Sn
Tabella 1: segnalamento dei soggetti del campione.
47
Tutti soggetti sono stati sottoposti a narcosi secondo il seguente
protocollo anestesiologico: a) premedicazione con Atropina (0,025
mg/kg i.m.), seguita dopo 15’ da Medetomidina (10 µg/kg i.m.) e
Petidina (3 mg/kg i.m.) o da Acepromazina (5-10 mg/kg i.m.); b)
induzione con Propofol (4-6 mg/kg e.v.) o Pentotal sodico (7-10 mg
e.v.); c) mantenimento con Isofluorano in O2.
In 10 cani sono state esaminate entrambe le articolazioni femoro-tibiorotulee mentre, in 3 soggetti il solo ginocchio sinistro e in un caso il
solo ginocchio destro, per un totale di 24 articolazioni. In 5 casi, con
lesione monolaterale, a fini comparativi, veniva studiato anche il
ginocchio sano.
Tutti i pazienti sono stati posizionati sul lettino in decubito dorsale, in
cuscini sagomati con gli arti posteriori rivolti verso il gantry. Quando
lo studio interessava entrambi i ginocchi, gli arti pelvici venivano
iperestesi caudalmente e mantenuti quanto più possibile paralleli fra
loro e in maniera tale che il centro del gantry si trovasse tra le due
articolazioni femoro-tibio-rotulee. Nel caso in cui lo studio era relativo
ad una sola articolazione, questa era tenuta iperestesa caudalmente e
quanto più possibile vicina al centro del gantry, mentre l’arto
controlaterale veniva mantenuto flesso ed abdotto prossimalmente
all’articolazione in esame per evitare artefatti da osso.
48
Tutti gli esami sono stati condotti usando uno scanner TC di terza
generazione (TC Pace, General Electric).
Gli esami venivano preceduti da uno scanogramma (Scout-View)
eseguita con azimut posto a 0° in 8 casi, a 90° in 6 casi. Quando
l’azimut del tubo radiogeno era a 0°, si otteneva una visualizzazione
cranio-caudale dell’articolazione; quando l’azimut era a 90°, si
otteneva una visualizzazione laterale.
Sulla Scout-view veniva decisa la localizzazione dei piani di scansione.
In 7 pazienti le ginocchia sono state esaminate simultaneamente, nei
restanti 7 pazienti singolarmente.
Tutti gli esami sono stati effettuati mediante scansioni contigue sottili
(spessore 1mm) cercando di comprendere tutta l’articolazione, a partire
dalla rotula sino a circa 1 cm distalmente al plateau tibiale. Nei soggetti
di grossa taglia, il tratto studiato poteva non comprendere le strutture
articolari più prossimali (i recessi prossimali craniali e la metà
prossimale delle rotula e della troclea femorale) a causa della
limitazione di 6 cm che rappresentava il tratto massimo di estensione
dello studio (1 mm x 60 scansioni).
Il diametro del FOV (field of view), cioè del campo di vista, era
proporzionale al tipo di visualizzazione scelta: quando l’esame era
condotto contemporaneamente sulle due ginocchia, il FOV era
necessariamente più grande; quando lo studio era condotto su una sola
49
articolazione per volta, il FOV veniva ridotto di conseguenza in base
alle dimensioni dell’articolazione stessa. L’uso di FOV più grandi
determinava una visualizzazione più rimpicciolita delle articolazioni.
Subito dopo l’acquisizione, le immagini venivano trasferite ad una
workstation con software di gestione dei file DICOM (Merlino©;
Osirix©), mediante i quali si effettuava la valutazione delle scansioni e
delle riformattazioni su un monitor LCD da 21” ad alta risoluzione.
La valutazione delle singole scansioni assiali veniva effettuata sia con
finestra da osso (WL 300; WW 1500), sia con finestra per i tessuti
molli (WL 0; WW 500). Successivamente, venivano effettuate delle
ricostruzioni planari, frontali sagittali e oblique, con finestra per tessuti
molli e, in tempo reale, si valutava visualizzazione dei due legamenti
crociati. In alcuni casi, quando si riteneva che potesse fornire
informazioni aggiuntive, si è proceduto a ricostruzioni 3D.
Nella Tabella 2 vengono esposti i principali parametri tecnici adoperati
per ciascun caso.
50
Caso N.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
FOV
25 cm.
20 cm.
10 cm.
8 cm.
8 cm.
20 cm.
18 cm.
22 cm.
14 cm.
20 cm.
Visualizzazione
kV
Singola
Singola
Singola
120
120
120
120
120
120
120
120
120
120
120
120
120
120
Bilaterale
Bilaterale
Singola
Singola
Bilaterale
Bilaterale
Bilaterale
Singola
Bilaterale
mAs
291
224
179
224
224
291
291
291
224
291
Azimut
Th
90°
0°
90°
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
1mm.
90°
90°
0°
0°
0°
0°
0°
0°
90°
0°
Tabella 2 – Parametri tecnici utilizzati per gli esami TC. FOV = field of view (campo di vista);
Azimut = posizione del tubo al momento della Scout-View; Th = thikness(spessore); kV = kiloVolt;
mAs = milliAmpere x secondo.
Ogni esame TC relativo ai ginocchi affetti da patologia è stato
analiticamente valutato per la presenza o l’assenza di una serie di segni
o alterazioni: a) osteofiti dei labbri trocleari, mediale e laterale; b)
osteofiti della gola intercondiloidea; c) entesiofiti dell’incisura
estensoria del condilo femorale laterale (sede del tendine del muscolo
digitale lungo); d) osteofiti pericondilari, femorali e tibiali; e)
entesiofiti perifabellari; f) entesiofiti rotulei; g) distanza del sesamoide
popliteo dalla superficie caudale del condilo laterale della tibia; h) cisti
e sclerosi dell’osso sub-condrale; e) ectasia dei recessi articolari; f)
ispessimento capsulare; g) ispessimento e/o calcificazioni della guaina
sinoviale del tendine estensore lungo delle dita. Per alcune delle
alterazioni suddette si valutava solo la presenza o l’assenza mentre, per
altre, se presenti, veniva classificata come lieve, moderata o grave.
Sulle ricostruzioni planari frontali, sagittali e oblique, si valutava la
51
visibilità o meno, rispettivamente, dei menischi, del legamento crociato
caudale e del legamento crociato craniale.
52
Risultati
Su 24 ginocchia esaminate, 18 erano patologiche. Considerando la
troclea femorale, era evidente una reazione osteofitosica al labbro
mediale in 18 articolazioni (100% dei ginocchi patologici; 75% di tutte
le articolazioni), mentre il labbro laterale presentava osteofitosi in 14
articolazioni (77,7% dei ginocchi patologici; 58,3% di tutte le
articolazioni). In un soggetto (caso n. 3) era evidenziata medialmente
alla troclea femorale una “neotroclea”, al di sopra della quale era posta
la rotula lussata medialmente (fig. 21).
La rotula presentava margini irregolari in 10 ginocchia (55,5% dei
ginocchi patologici; 41,6% di tutte le articolazioni), mentre nel caso n.
4 i margini rotulei non erano valutabili, poiché le scansioni non
arrivavano a comprendere la rotula.
L’osteofitosi della gola intercondiloidea si presentava in 13
articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 51,2% di tutte le
articolazioni). Nell’incisura estensoria, sede di inserzione del tendine
del muscolo estensore lungo delle dita, si evidenziavano osteofiti in 11
articolazioni (61,1% dei ginocchi patologici; 45,8% di tutte le
articolazioni). La reazione osteofitosica si evidenziava intorno ai profili
di 15 condili femorali laterali (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di
tutte le articolazioni) e 16 condili femorali mediali (88,8% dei ginocchi
53
patologici; 66,6% di tutte le articolazioni). Le fabelle laterali
presentavano osteofiti in 17 ginocchia (94,4% dei ginocchi patologici;
70,8% di tutte le articolazioni), mentre le fabelle mediali erano
interessate in 13 articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 54,2% di
tutte le articolazioni).
Osteofiti, infine, erano evidenti sui profili di 14 condili tibiali mediali
(77,7% dei ginocchi patologici; 58,3% di tutte le articolazioni) e 17
condili tibiali laterali (94,4% dei ginocchi patologici; 70,8% di tutte le
articolazioni).
54
Il sesamoide, posto nel tendine d’origine del muscolo popliteo,
risultava distanziato rispetto al condilo laterale della tibia in 13
articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 54,2% di tutte le
articolazioni), mentre in 3 articolazioni non era valutabile (16,6% dei
ginocchi patologici; 12,5% di tutte le articolazioni).
La sclerosi dell’osso subcondrale si osservava in 7 ginocchia (38,9%
dei ginocchi patologici; 21,5% di tutte le articolazioni), mentre le cisti
erano presenti in 2 casi (11,1% dei ginocchi patologici; 8,3% di tutte le
articolazioni).
L’ispessimento della capsula articolare era presente sulla faccia
mediale in 16 articolazioni (88,8% dei ginocchi patologici; 66,6% di
tutte le articolazioni), su quella laterale in 15 articolazioni (83,3% dei
ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni).
L’ectasia degli sfondati articolari era visibile in 15 ginocchia (83,3%
dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni).
L’ispessimento della guaina del tendine del muscolo estensore lungo
delle dita, era apprezzabile in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi
patologici; 62,5% di tutte le articolazioni): in un soggetto il dato non
era determinabile; la calcificazione sempre della guaina dell’estensore
era visibile in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di
tutte le articolazioni); anche questo dato non era valutabile in un
soggetto.
55
L’identificazione del menisco mediale era possibile solo in 4 casi
(22,2% dei ginocchi patologici; 16,7% di tutte le articolazioni); il
menisco laterale, invece, era visibile in 10 articolazioni (55,5% dei
ginocchi patologici; 41,6% di tutte le articolazioni).
Nelle ricostruzioni oblique era possibile identificare il legamento
crociato craniale in 5 su 6 ginocchi sani (83,3%) mentre non era mai
identificabile nei ginocchi patologici. Il legamento crociato caudale in
11 casi (61,1% dei ginocchi patologici; 45,8% di tutte le articolazioni)
Nella tabella 3 vengono riportati in dettaglio tutte le osservazioni
effettuate.
56
Caso
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
Ginocchio
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Dx
Sn
Osteofiti
Osteofiti
Osteofiti
Ispessimento
Osteofiti Osteofiti
Ispess.
Sclerosi Ectasia
Troclea
Condili
Condili
capsulare
Gola
Incisura
Guaina
femorale
femorali
Tibiali
e Cisti recessi
Intercond. Estens.
T.M.E.L.D.
Med. Lat.
Med. Lat. Med. Lat.
Med. Lat.
Calcif.
Guaina
T.M.E.L.D.
Cr
Cd
Osteofiti
Distanz.
Osteofiti
Condili
Sesam.
Rotula
Tibiali
Poplit.
Med. Lat.
dubbio n.v.
n.v.
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-
-
vis.
+
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n.d.
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n.d.
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n.d.
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+
+
Menischi
Med.
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c.:+/s.:-
+
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n.v.
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-
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c.:-/s.:+
++
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+
vis.
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+
+
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+
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+
+
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+
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++
+
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+
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+
+
+
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++
+++
dubbio
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+
+
+
+
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+
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+
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+
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+
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+
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+
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+
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+
+
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+
++
+
+++
++
+++
+
+
+++
+
+
+
+
+
++
+
+
++
+
++
c.:-/s.:c.:-/s.:+
c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+
c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+
c.:+/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+
c.:-/s.:+
c.:-/s.:+
+
+++
+
+
+
++
++
++
+
+
+
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+++
++
+
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+
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+++
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+++
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+
+
+
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+
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++
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+
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n.d.
++
+
++
+
++
+
++
+++
++
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+++
n.d.
++
+++
+++
++
++
+
++
+
+
++
++
++
++
+++
++
+++
+++
++
++
+++
c.:-/s.:c.:-/s.:-
+++
+++
++
++
++
Lat.
vis.
Legamenti
crociati
n.v.
n.d.
n.d.
n.v.
n.v.
n.d.
vis.
n.v.
n.v.
n.d.
n.v.
vis.
n.v.
dubbio
vis.
n.v.
vis.
dubbio
vis.
n.v.
n.v.
n.v.
vis.
n.v.
n.v.
n.v.
n.v.
vis.
vis.
n.d.
n.v.
n.v.
n.v.
n.d.
n.d.
vis.
vis.
n.v.
vis.
n.v.
vis.
n.d.
n.d.
n.v.
vis.
n.v.
n.v.
n.v.
vis.
n.v.
n.v.
n.v.
vis.
n.v.
dubbio vis.
n.v.
vis.
vis.
n.v. dubbio
dubbio
n.v.
n.v.
n.v.
vis.
dubbio n.v.
n.v.
dubbio
vis.
n.v.
n.v.
dubbio
vis.
n.v.
n.v.
n.d.
n.d.
n.v. dubbio
n.v.
vis.
n.v.
vis.
vis.
n.v.
vis.
vis.
Tabella 3 – Riepilogo delle valutazioni effettuate sulle immagini TC. Legenda: - = assente; + = lieve; ++ = moderato; +++ = grave; c:- = cisti assenti; c:+ = cisti presenti; s:= sclerosi assente; s:+ = sclerosi presente; n.v. = non visibile; vis. = visibile; n.d. = non determinabile
Discussione
Con il presente lavoro ci eravamo prefissati di valutare l’utilizzo
dell’esame TC nella diagnosi di rottura/sovradistensione del legamento
crociato craniale.
Sebbene l’esame TC permetta di valutare al meglio i tessuti ossei,
grazie al loro elevata densità, l’elevata risoluzione di contrasto della
tecnica
dovrebbe
permettere,
utilizzando
l’idonea
finestra
di
visualizzazione, di identificare anche i vari tessuti molli, intra-articolari
ed extra-articolari, e, quindi, di stabilire se essi risultino danneggiati o
meno.
Nonostante queste premesse, non esistono in letteratura veterinaria, a
nostra conoscenza, studi specifici tesi alla messa a punto o alla
valutazione dell’esame TC nelle patologie del ginocchio del cane.
Dai risultati ottenuti, è emerso che l’esame TC è altamente sensibile
nell’individuazione delle reazioni osteofitosiche periostali (fig. 27)
anche di lievissima entità, non visibili radiograficamente, ed ha
consentito una agevole esplorazione della troclea femorale, della gola
intercondiloidea e dell’incisura estensoria, sede di origine del tendine
del muscolo estensore lungo delle dita, tutte strutture di difficile
valutazione radiografica. L’indagine TC ha consentito di mettere in
risalto in due articolazioni (casi nn. 1 e 11) la presenza di cisti dell’osso
sub-condrale, evidenziate, nel nostro studio, sempre a livello del
condilo femorale laterale. In un paziente (caso n. 4), inoltre, è stato
possibile individuare la dilatazione di molti forami vascolari a livello
della gola intercondiloidea (fig. 20). Questo segno, a nostro avviso,
potrebbe essere un ulteriore indizio della imponente flogosi presente
nell’articolazione patologica. In un paziente (caso n. 3) è stata
riscontrata la formazione di una “neotroclea” femorale (fig. 21), in
esito a concomitante lussazione mediale della rotula; in questo caso la
rottura del legamento crociato craniale potrebbe essere conseguenza
della dislocazione rotulea. La visualizzazione di questa alterazione
risulta molto semplice nella TC, a differenza di quanto avviene con
l’esame radiografico convenzionale che richiede una proiezione
tangente di difficile esecuzione.
Il distanziamento del sesamoide del popliteo, dal condilo tibiale
laterale, è stato dimostrato sempre con grande facilità, soprattutto nei
soggetti con lesione monolaterale in cui era stato studiato anche il
ginocchio sano (figg. 22 – 23).
In tutte le articolazioni patologiche, l’esame TC ha permesso di
evidenziare con accuratezza la presenza di ispessimento capsulare e
59
legamentoso, ben visibile nelle sezioni tomografiche (fig. 24) e ancor
meglio valutabile nelle ricostruzioni planari frontali (fig. 29).
L’ispessimento è risultato più frequente sulla faccia mediale
dell’articolazione (88,8% dei ginocchi patologici). Nei casi con ectasia
degli sfondati articolari, la presenza di liquido si manifestava come
aree, subcapsulari-intraarticolari, localizzate per lo più nei recessi
caudali e intorno alla guaina del tendine del muscolo estensore lungo
delle dita, lievemente ipodense rispetto alla capsula articolare e ai
legamenti (fig. 25). Nelle ricostruzioni planari sagittali, l’ectasia era
evidente con obliterazione del cuscinetto adiposo infrarotuleo. Nei casi
in cui la lesione era monolaterale e lo studio comprendeva anche il
ginocchio sano, l’obliterazione del cuscinetto infrapatellare era
apprezzabile anche nelle scansioni assiali (fig. 25). Questo segno, a
volte visibile anche radiograficamente, è estremamente facile da
valutare con la TC grazie alla notevole differenza di densità esistente
tra il grasso e i tessuti molli.
Oltre all’ispessimento della capsula articolare, la TC ha consentito di
individuare, sulla faccia laterale prossimale della tibia, il tendine
dell’estensore lungo delle dita; esso appariva come un’area più densa
rispetto alla sua guaina sinoviale, che così poteva essere valutata per
eventuali ispessimenti (fig. 26). Nell’ambito della stessa guaina
60
sinoviale, in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici) erano
evidenti delle calcificazioni più o meno accentuate, a testimonianza
della cronicità dell’instabilità articolare (fig. 27).
Nel 77,7% dei casi è stato possibile identificare i menischi integri come
delle strutture di forma semilunare a discretamente iperdensi rispetto ai
tessuti intra-articolari contigui (fig. 28). In nessun soggetto è stato
possibile identificare delle lesioni meniscali; ciò, probabilmente, è
dovuto al fatto che, in caso di lesione meniscale, si verifica un
restringimento dello spazio articolare e questo causa artefatti da volume
parziale nelle scansioni che attraversano l’articolazione. In un soggetto
(caso n. 1), sebbene lo spazio articolare laterale non fosse collassato,
l’individuazione del menisco laterale è rimasta dubbia, potendosi
osservare una zona a densità lievemente più elevata rispetto ai tessuti
molli circostanti, ma senza la morfologia caratteristica del menisco. Nei
soggetti di piccola taglia, dove lo spazio articolare è “fisiologicamente”
ridotto, anche utilizzando fette sottili di 1 mm, non sempre è possibile
condurre la scansione in maniera che passi esattamente al centro dello
spazio articolare. Per questo sono frequenti gli artefatti da volume
parziale dovuti ai condili femorali e ai tubercoli della spina tibiale.
Nelle ricostruzioni planari frontali, risultava relativamente semplice
evidenziare la presenza del collasso dello spazio articolare in uno dei
61
due versanti, laterale o mediale. I nostri risultati hanno messo in luce
una prevalenza del collasso dello spazio intercondiloideo mediale.
Questo dato è in accordo con precedenti studi secondo i quali la rottura
del legamento crociato craniale è seguita da frequente danno al
menisco mediale. In un solo soggetto (caso n. 4) tali spazi risultavano
aumentati in entrambi i lati, a causa della notevole ectasia articolare
presente (fig. 29). Pertanto, la mancata individuazione dei menischi
nelle ricostruzioni frontali associata a collasso dello spazio articolare, è
stata interpretata come segno indiretto di lesione meniscale.
Nel nostro studio i legamenti crociati sono stati osservati solo nelle
ricostruzioni planari. Il LCCr (fig. 30) è stato identificato con certezza
in quasi tutte le articolazioni sane (5 su 6), come una banda
intraarticolare relativamente densa con tipico decorso obliquo
caudoprossimale-craniodistale. Per visualizzare al meglio il legamento,
era necessario utilizzare ricostruzioni planari oblique di circa 20° in
senso mediale rispetto al piano sagittale. La visualizzazione del LCCd
(figg. 31 – 32) è stata sempre ottenuta nelle ricostruzioni planari
sagittali. Questi dati sono in accordo con quanto descritto in precedenza
per gli studi di RM del ginocchio (Widmer W.R. et al., 1994; Baird
D.K. et al., 1998). L’individuazione del LCCr nelle articolazioni sane,
probabilmente, è stata favorita dalla quasi costante presenza di piccole
62
quantità di tessuto adiposo e di liquido sinoviale che fornivano un
adeguato contrasto con il tessuto legamentoso. Nelle articolazioni
patologiche, invece, nel 44.4% dei casi era osservabile il solo
legamento crociato caudale, che appariva curvato a convessità caudale
come
a
testimoniare
una
condizione
di
mancata
tensione,
verosimilmente legata allo slittamento craniale della tibia rispetto al
femore. Nelle articolazioni patologiche, la gola intercondiloidea, sede
del LCCr, era di solito occupata da tessuto denso, moderatamente
disomogeneo, senza una riconoscibile geometria “a nastro”. Pertanto
riteniamo che la mancata visualizzazione del LCCr sia da considerare
un segno indiretto, ma molto probabile, di rottura dello stesso.
Le immagini provenienti da ginocchi studiati uno alla volta, si sono
rivelate più semplici da valutare, poiché, in questi casi, il FOV
utilizzato era più piccolo e, dunque, l’immagine appariva ingrandita.
Pertanto, nell’impostare un esame TC del ginocchio, anche quando si
vogliano esaminare entrambe le articolazioni, è preferibile effettuare lo
studio separato prima di uno e poi dell’altro ginocchio.
Senza l’impiego del mezzo di contrasto, contrariamente a quanto
effettuato da Samii e Dyce, nella nostra esperienza, l’esame TC, oltre ai
dati relativi ai tessuti ossei, ha consentito di ottenere precise
informazioni sulle strutture legamentose e meniscali del ginocchio,
63
riducendo
sensibilmente
l’invasività
della
procedura.
Sarebbe,
comunque, utile condurre uno studio comparativo tra l’esame TC senza
e con m.d.c., per valutare se sia realmente vantaggioso utilizzare la
procedura contrastografica.
64
Conclusioni
Il nostro studio dimostra che l’esame TC rappresenta un’indagine
molto sensibile nella evidenziazione di alterazioni correlate alla rottura
del legamento crociato craniale. Sebbene la TC esponga il paziente ad
elevate quantità di raggi X, questi sono molto collimati sulla regione di
interesse e, d’altra parte, i vantaggi dimostrati nel dare informazioni
precise su lesioni, anche minime, sia dei tessuti ossei sia di quelli molli,
giustificano il ricorso a tale tecnica di Diagnostica per Immagini.
I nostri risultati ci permettono di stabilire che l’esame TC del ginocchio
deve essere eseguito mediante scansioni assiali, parallele al piano
articolare, utilizzando fette sottili contigue e, nei casi bilaterali o in
quelli in cui si voglia, per confronto, studiare anche il ginocchio sano,
esaminando un ginocchio alla volta. Le ricostruzioni planari frontali
permettono di valutare eventuali lesioni meniscali e ispessimenti dei
legamenti collaterali e/o della capsula articolare. Le ricostruzioni
planari sagittali permettono di visualizzare il legamento crociato
caudale, mentre, per visualizzare il legamento crociato craniale sono
necessarie ricostruzioni oblique di circa 20° in senso mediale rispetto al
piano sagittale.
65
Con una discreta esperienza l’operatore può interpretare agevolmente
le immagini tomografiche assiali e le relative ricostruzioni. L’esame
TC non consente di vedere direttamente la lesione sul legamento
crociato craniale, ma fornisce molti segni indiretti dell’avvenuta rottura
di tale struttura.
In conclusione, si può affermare che l’esame TC, in caso di sospetta
rottura/sovradistensione del legamento crociato craniale, è una tecnica
di Imaging estremamente sensibile in grado, non solo di confermare la
diagnosi, ma anche di stabilire, con una accuratezza molto superiore
all’esame radiografico, la gravità delle lesioni osteo-articolari
secondarie e, quindi, di formulare una prognosi più precisa e,
naturalmente, di fornire un prezioso aiuto nel processo decisionale
dell’approccio chirurgico.
66
Tavola delle immagini TC
67
Fig. 20 – Caso 4: Nel ginocchio destro è visibile l’ectasia dei forami vascolari al di sopra della gola
intercondiloidea, probabile segno di flogosi.
Fig. 21 – Caso 3: Il ginocchio sinistro presenta una “neotroclea” e l’osso subcondrale
corrispondente appare sclerotico.
68
Fig. 22 – Caso 4: A – articolazione dx patologica. B – articolazione sn sana (per confronto). È
evidente, nell’articolazione patologica, il distanziamento del sesamoide del popliteo, che presenta
caratteristica morfologia “a cuneo” dalla superficie caudale del condilo tibiale laterale.
69
Fig. 24 - Caso 10 – Ispessimento della capsula e del leg. collaterale mediale. Il ginocchio sinistro,
patologico, presenta un ispessimento della capsula e del leg. collaterale, più marcato sul versante
mediale.
Fig. 25 – Caso 10: Sulle superfici laterale e mediale dei labbri trocleari del ginocchio sn sono
evidenti piccole formazioni osteofitosiche. Nell’articolazione patologica si può notare anche la
parziale obliterazione del cuscinetto adiposo infrapatellare.
70
Fig. 26 – Caso 4: Ispessimento ed estasia della guana sinoviale del tendine del m. estensore lungo
delle dita. A destra, è evidente il tendine, discretamente iperdenso, circoscritto materiale
relativamente ipodenso (liquido sinoviale) e da una sottile banda con densità sovrapponibile a quella
del tendine (guaina sinoviale ispessita). A sinistra è visibile l’aspetto normale del tendine e della
relativa guaina in un ginocchio normale.
71
Fig. 27 – Caso 1 Osteofitosi tibiale e calcificazione della guaina del tendine del m. estensore lungo
delle dita. Sono evidenti multiple irregolari formazioni calcifichi periostali, lungo i profili dei
condili tibiali, più intense medialmente, e la caratteristica calcificazione “a C” della guaina del
tendine del muscolo estensore lungo delle dita. È evidente, anche se solo parzialmente, il sesamoide
del popliteo moderatamente distanziato dal condilo tibiale laterale.
72
Fig. 28 – Caso 12: Menisco laterale. In questa scansione assiale, passante per il centro
dell’articolazione del ginocchio dx, è ben visibile il menisco laterale come una formazione
discretamente iperdensa con tipica forma semilunare. Medialmente, sono evidenti artefatti da
volume parziale dovuti al condilo femorale mediale.
73
Fig. 29 – Caso 4: Menisco laterale e ispessimento della capsula e del leg. collaterale mediale.
Ricostruzione planare frontale di ginocchio destro. Tra i condili laterale del femore e della tibia, è
visibile un formazione leggermente densa “a virgola” riferibile al menisco laterale. Tale formazione
non è visibile nello spazio mediale dove invece si apprezza una lieve riduzione dell’ampiezza. È,
inoltre, visibile l’ispessimento della capsula articolare e del leg. collaterale mediale.
74
Fig. 30 – Caso 14: Legamento crociato craniale. Ricostruzione obliqua 20° di ginocchio destro
sano. È visibile una formazione leggermente densa “a banda” con andamento obliquo
caudoprossimale-craniodistale riferibile al leg. crociato carniale.
75
Fig. 31 – Caso 14: Lgamento crociato caudale. Ricostruzione sagittale del ginocchio destro sano. Il
legamento crociato caudale appare come un nastro moderatamente denso con andamento curvilineo
a convessità caudale.
Fig. 32 – Caso 14:Obliterazione del cuscinetto adiposo infrapatellare. Ricostruzione sagittale del
ginocchio sinistro patologico. Si apprezza lo “schiacciamento” del cuscinetto da parte della capsula
articolare ectasica. È visibile, in parte, il legamento crociato caudale.
76
Bibliografia
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muscoloesquelético,
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esame tc del ginocchio del cane nella rottura del legamento crociato