UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II” FACOLTÀ DI MEDICINA VETERINARIA CORSO DI LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE CLINICHE VETERINARIE CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI RADIOLOGIA VETERINARIA TESI DI LAUREA SPERIMENTALE IN RADIOLOGIA VETERINARIA E MEDICINA NUCLEARE “ESAME TC DEL GINOCCHIO DEL CANE NELLA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CRANIALE” RELATORE CH.MO PROF. LEONARDO MEOMARTINO CANDIDATO MARIALETIZIA MANCINI MATR. 79/820 Anno Accademico 2005 - 2006 Indice INTRODUZIONE…………………………………...2 PARTE GENERALE………………………………..4 ANATOMIA DEL GINOCCHIO DELCANE………………5 ANATOMIA DEI LEGAMENTI CROCIATI……………...10 DINAMICA DEI LEGAMENTI CROCIATI………………13 MECCANICA FUNZIONALE DEI LEGAMENTI CROCIATI…………………………………………………….15 EZIOPATOGENESI DELLA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CRANIALE………………….18 DIAGNOSI DI ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CRANIAL……………………………………....23 ESAME RADIOGRAFICO………………………………….27 ESAME ECOGRAFICO…………………………………….32 RISONANZA MAGNETICA………………………………...36 PARTE SPERIMENTALE………………………..40 INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE…….41 MATERIALI E METODI…………………………………….44 RISULTATI……………………………………………………50 DISCUSSIONE……………………………………………….54 CONCLUSIONI………………………………………………62 TAVOLA DELLE IMMAGINI TC………………………….64 BIBLIOGRAFIA…………………………………...74 2 Introduzione La rottura del legamento crociato craniale (LCCr) è tra le cause più frequenti di zoppia dell’arto posteriore del cane, mentre è rara nel gatto. La rottura dell’LCCr nel cane è quasi sempre secondaria a degenerazione delle fibre, a differenza della specie umana in cui di solito segue ad un trauma diretto e viene per lo più agevolmente diagnosticata con il solo esame clinico. Pertanto la Diagnostica per immagini viene in genere utilizzata per confermare la diagnosi e, ancor più, per stabilire la prognosi e l’approccio chirurgico o per documentare la patologia ai fini medico-legali. L’esame RX del ginocchio è certamente la tecnica di primo livello, eseguita ormai da decenni, integrata, in alcuni casi, dall’esame ecografico, che consente uno studio più approfondito dei tessuti superficiali dell’articolazione. In Medicina Umana, la Risonanza Magnetica rappresenta l’indagine strumentale di prima scelta, ma, al momento, resta troppo costosa e scarsamente disponibile sul territorio per poter entrare nella pratica clinica veterinaria. L’esame TC è stato fino ad oggi poco utilizzato per lo studio dei tessuti molli del ginocchio del cane, sebbene uno studio (Samii e Dyce, 2004) abbia dimostrato che l’Artrografia Tomografica Computerizzata sia una 3 tecnica specifica e affidabile al pari della Risonanza Magnetica per identificare lesioni delle strutture legamentose intraarticolari. Il presente lavoro, che rappresenta uno studio prospettico dei casi di zoppia, riferibili a rottura/sovradistensione del LCCr, pervenuti presso il Centro di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli nell’arco di circa un anno e mezzo, ha lo scopo di verificare la validità dell’esame TC senza mezzo di contrasto nello studio del ginocchio del cane, come completamento o alternativa alle altre tecniche di Diagnostica per Immagini fino ad oggi utilizzate. In particolare, la presente tesi è divisa in una parte generale, in cui viene descritta l’anatomia del ginocchio, l’anatomia, la dinamica e la meccanica funzionale dei legamenti crociati, l’eziopatogenesi della rottura del legamento crociato craniale, la sua diagnosi clinica e le tecniche di indagine strumentale, rappresentate dall’esame RX, dall’esame ecografico, dalla Risonanza Magnetica. Segue, poi, una parte sperimentale in cui è descritto l’esame TC del ginocchio del cane, i materiali e metodi ed i risultati relativi a tale studio. La tesi è completata da un capitolo dedicato alla discussione e alle conclusioni dei risultati ottenuti. 4 PARTE GENERALE 5 Anatomia del ginocchio del cane L’articolazione femoro-tibio-rotulea o ginocchio (articulatio genus) è una giuntura piuttosto complessa, formata da due componenti: l’articolazione femoro-rotulea (articulatio femoropatellaris), che si stabilisce tra la superficie articolare della rotula e la troclea dell’epifisi distale del femore, e l’articolazione femoro-tibiale (articulatio femorotibialis), che si stabilisce tra i due condili dell’epifisi distale del femore e i condili dell’epifisi prossimale della tibia. Le incongruenze esistenti tra la tibia ed il femore sono occupate da due strutture fibrocartilaginee, i menischi, dei quali uno è posto tra i condili mediali (meniscus medialis) e l’altro (meniscus lateralis) tra i condili laterali di femore e tibia (fig. 1). Fig. 1 – Superfice articolare prossimale della tibia sinistra con menischi del cane (Modificato da Liebich et al., 2005). 6 Nel cane, come in tutti i carnivori, l’articolazione è completata caudalmente e sopra ciascun condilo femorale da un piccolo sesamoide, o fabella, incluso nei tendini di origine del muscolo gastrocnemio. Un terzo piccolo sesamoide si trova nel tendine d’origine del muscolo popliteo e si articola con la superficie caudale del condilo laterale della tibia. (figg. 2 - 3) La rotula, o patella, è, invece, un grosso sesamoide di forma ovalare e schiacciato cranio-caudalmente, posto nel solco trocleare del femore e compreso nel tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale. I lati della rotula si prolungano nella fascia femorale mediante le fibrocartilagini parapatellari mediale e laterale (cartilago parapatellaris medialis et lateralis), che si incontrano dorsalmente, aiutando a prevenire la dislocazione della patella. 7 Fig. 2 – Vista craniale del ginocchio sinistro, che mostra i legamenti e le strutture associati. 1, troclea femorale; 2, labbro laterale della troclea femorale; 3, tendine dell’estensore lungo delle dita; 4, tendine del popliteo; 5, legamento collaterale laterale; 6, menisco laterale; 7, tuberosità tibiale; 8, legamento patellare; 9, rotula; 10, fibrocartilagine parapatellare; 11, legamento intermeniscale; 12, menisco mediale; 13, legamento collaterale mediale; 14, legamento crociato craniale; 15, legamento crociato caudale; 16, labbro mediale della troclea. (Modificato da Carpenter Jr, Cooper, 2000). 8 Fig. 3 – Vista caudale del ginocchio destro, che mostra i legamenti e le strutture associati. 1, legamento crociato craniale; 2, legamento collaterale laterale; 3, menisco laterale; 4, legamento craniale della testa fibulare; 5, legamento caudale della testa fibulare; 6, fibula; 7, legamento tibiale caudale del menisco laterale; 8, legamento crociato caudale; 9, menisco mediale; 10, legamento collaterale mediale; 11, legamento meniscofemorale. (Modificato da Carpenter Jr, Cooper, 2000) La capsula articolare del ginocchio è formata da tre sacchi, tutti intercomunicanti: due sacchi sono situati tra i condili del femore e della tibia (saccus medialis et lateralis) e il terzo è posto sotto la patella. I legamenti meniscali tengono legati i menischi alla tibia e al femore. Sono sei: - i legamenti tibiali craniali dei menischi (ligamentum tibiale craniale menisci lateralis et medialis), che dalla parte laterale di ciascun menisco si portano rispettivamente alla parte laterale e mediale dell’area intercondiloidea craniale della tibia; - i legamenti tibiali caudali dei menischi (ligamentum tibiale caudale menisci lateralis et medialis), dei quali il laterale si estende dall’angolo caudale del menisco laterale all’incisura poplitea della tibia, mentre il 9 mediale va dall’angolo caudale del menisco mediale fino all’area intercondiloidea caudale della tibia; - il legamento femorale del menisco laterale (ligamentum meniscofemorale), che rappresenta l’unico attacco femorale dei menischi e va dall’angolo caudale del menisco laterale alla parte interna del condilo mediale del femore; - il legamento trasverso o intermeniscale (ligamentum transversum genus), che unisce gli angoli craniali dei due menischi. I legamenti femorotibiali sono rappresentati dai legamenti collaterali ed i legamenti crociati. Dei legamenti collaterali laterale e mediale (ligamentum collaterale laterale et mediale) il primo origina dall’epicondilo laterale del femore e, sdoppiandosi, termina con una branca sull’epifisi prossimale della fibula e con l’altra sul condilo laterale della tibia, il secondo, invece, si estende tra l’epicondilo mediale del femore e il bordo mediale della tibia, circa 2 cm. distalmente al condilo tibiale mediale. I legamenti crociati craniale e caudale (ligamentum cruciatum craniale et caudale) Fig. 4 – Aspetto intraoperatorio del legamento crociato craniale. sono localizzati all’interno della capsula articolare, nella fossa intercondiloidea del 10 femore tra i due sacchi sinoviali dell’articolazione femorotibiale e si portano entrambi alla spina tibiale (fig. 4). Il legamento patellare (ligamentum patellae) è rappresentato dalla porzione distale del tendine d’inserzione del muscolo quadricipite femorale e si porta dall’apice distale della rotula alla tuberosità tibiale. Tale legamento risulta separato dalla capsula articolare tramite il corpo adiposo infrapatellare (corpus adiposum infrapatellare), particolarmente spesso nella sua parte distale. La rotula è mantenuta nella troclea del femore in particolar modo dalla fascia laterale (fascia lata) e da quella mediale del femore, supportate in questa loro funzione dai legamenti femoropatellari laterale e mediale (ligamentum femoropatellare laterale et mediale): il laterale va dal bordo laterale della rotula alla fabella posta nel capo laterale del muscolo gastrocnemio, il mediale si fonde con il periostio dell’epicondilo mediale del femore (Liebich et al., 2005 ; Miller’ S, 1979; Pelagalli e Botte, 1999; Carpenter e Cooper, 2000). 11 Anatomia dei legamenti crociati I legamenti crociati sono nel ginocchio strutture fondamentali, in quanto regolatori del movimento articolare. Sono distinti in craniale o anteriore e caudale o posteriore. Il legamento crociato craniale (LCCr) parte da una fossetta posteriore sulla faccia mediale del condilo laterale del femore e, dopo aver attraversato obliquamente la fossa intercondiloidea, in senso mediolaterale e prossimo-distale, termina sull’area intercondiloidea craniale della tibia. Lungo il suo percorso esso descrive una spirale laterale esterna in direzione prossimo-distale di circa 90°. Durante la flessione del ginocchio il legamento si curva e si torce su se stesso. Il legamento crociato caudale (LCCd) parte da una fossetta della faccia ventro-laterale del condilo mediale del femore e raggiunge la porzione mediale dell’incisura poplitea della tibia. Lungo il suo percorso forma una spirale con lieve intrarotazione e durante la flessione del ginocchio anch’esso si torce leggermente su se stesso. Il LCCd, leggermente più lungo e largo del craniale, si trova rispetto a quest’ultimo in posizione mediale e si incrocia con esso (Arnoczky e Marshall, 1977; Heffron e Campbell, 1978; Arnoczky, 1985; Williams et al., 1997; Carpenter e Cooper, 2000; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004). 12 Da un punto di vista istologico i due legamenti crociati sono costituiti da fasci di fibre collagene orientate longitudinalmente e parallele le une alle altre. Tale disposizione regolare delle fibre offre una maggiore resistenza alla trazione, per cui le strutture che ne risultano sono in grado di resistere, senza lacerarsi, a forze anche notevoli applicate parallelamente all’asse maggiore delle fibre stesse. Tra i fasci di collagene, immersi nella scarsa componente amorfa della matrice extracellulare, si trovano pochi fibroblasti affusolati o ovali, ordinati in file parallele. (Rosati e Colombo, 2001; Heffron e Campbell, 1978; Vasseur et al., 1985; Hayashi et al., 2004). Per consentire un graduale passaggio dal tessuto flessibile del legamento a quello rigido dell’osso, tra le due strutture è posta una zona di transizione fibrocartilaginea, che impedisce la concentrazione di stress nel sito di inserzione (Arnoczky, 2001). I legamenti crociati sono ricoperti dalla membrana sinoviale, dalla quale deriva la maggior parte della loro vascolarizzazione. Essi sono raggiunti da rami delle arterie genicolari mediale e laterale, dall’arteria poplitea e dal ramo terminale dell’arteria genicolare discendente, che penetra direttamente sull’inserzione femorale del legamento crociato caudale. Sono, inoltre, vascolarizzati da vasi che scorrono nella membrana sinoviale che ricopre i legamenti; da questi vasi sinoviali o paralegamentosi hanno origine altri vasi più piccoli, che, penetrando 13 nel legamento trasversalmente, formano delle anastomosi con i vasi longitudinali endolegamentosi (Arnoczky, 1985; Carpenter e Cooper, 2000; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004). 14 Dinamica dei legamenti crociati Ciascuno dei due legamenti crociati risulta dall’associazione di due componenti, che funzionano in maniera indipendente l’una dall’altra durante i movimenti di flessione e di estensione del ginocchio. Fig. 5 – Disegno di ginocchio sezionato che mostra il legamento crociato craniale in estensione. Si noti che l’intero legamento è teso (Modificato da Arnoczky, Marshall, 1977). Fig. 6 – Disegno di ginocchio sezionato che mostra il legamento craniale in flessione. Si noti che la banda cranio-mediale (freccia) è tesa, mentre la parte caudo-laterale è rilassata (Modificato da Arnoczky, Marshall, 1977). Il LCCr è diviso in una banda cranio-mediale (CMB), che rimane tesa sia durante l’estensione che durante la flessione, e in una parte caudolaterale (CLP), che è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione (Arnoczky e Marshall, 1977; Williams et al., 1997; Heffron e Campbell, 1978; Scavelli et al., 1990; Carpenter e Cooper, 2000; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004) (figg. 5 – 6). 15 Fig. 7 – Disegno di ginocchio sezionato che mostra il legamento crociato caudale in estensione. Si noti che solo la parte caudale (freccia) è tesa (Arnoczky, Marshall, 1977). Fig. 8 – Disegno di ginocchio sezionato che mostra il legamento crociato caudale in flessione. Si noti che la parte craniale è tesa, mentre quella caudale è rilassata (Arnoczky, Marshall, 1977). Il LCCd è distinto, invece, in una parte craniale, che è rilassata durante l’estensione e tesa durante la flessione, e una parte caudale, che al contrario è tesa durante l’estensione e rilassata durante la flessione (Arnoczky e Marshall, 1977; Scavelli et al., 1990; Carpenter e Cooper, 2000; Arnoczky, 2001) (figg. 7- 8). 16 Meccanica funzionale dei legamenti crociati La stabilità dell’articolazione del ginocchio è dovuta proprio ai legamenti crociati, che ne regolano i movimenti, prevenendo lo slittamento craniale o caudale della tibia sul femore, limitando la rotazione interna della tibia sul femore e opponendosi all’iperestensione del ginocchio (Arnoczky, 1985; Williams et al., 1997; Arnoczky, 2001). Fig. 9 – Diagramma dell’aspetto craniale del ginocchio durante la flessione. Il legamento collaterale laterale si rilassa, permettendo la rotazione interna della tibia. I legamenti crociati “torcono” l’uno sull’altro per limitare questa rotazione (Modificato da Arnoczky, 2001). In un’articolazione sana, durante la flessione il legamento collaterale laterale si rilascia, il condilo tibiale laterale si sposta cranialmente e la tibia subisce una rotazione interna sul femore (fig. 9). Quando, invece, il ginocchio si estende, entrambi i legamenti collaterali si tendono, il condilo laterale della tibia si sposta caudalmente rispetto al condilo femorale laterale e, dunque, si ha la rotazione esterna della tibia sul femore. Durante i movimenti di flessione, la rotazione interna della tibia sul femore è limitata dalla torsione l’uno sull’altro dei legamenti crociati. Essi non hanno, invece, alcun effetto individuale nel 17 limitare la rotazione esterna della tibia sul femore, a cui si oppongono solo i legamenti collaterali, entrambi durante l’estensione e solo il mediale durante la flessione (Vasseur e Arnoczky, 1981; Fig. 10 – Diagramma dell’aspetto craniale del ginocchio durante l’estensione. Quando il legamento collaterale laterale si tende, la tibia ruota esternamente. I legamenti crociati si “detorcono” e di conseguenza non hanno nessun effetto individuale nel limitare la rotazione esterna della tibia (Modificato da Arnoczky, 2001). Johnson e Olmstead, 1987; Carpenter e Cooper, 2000; Arnoczky, 2001) (fig. 10). Pertanto un’eccessiva rotazione esterna si ha solo quando alla lesione del LCCr si associa una lesione ad uno dei legamenti collaterali, soprattutto il collaterale mediale, mentre la rottura di entrambi i legamenti crociati è responsabile di un’abnorme rotazione interna della tibia (Arnoczky, 2001). I legamenti crociati sono anche responsabili della stabilità craniocaudale del ginocchio; in particolare, il LCCr si oppone allo spostamento craniale della tibia sul femore, il LCCd si oppone allo spostamento caudale. La principale struttura che impedisce lo spostamento anteriore della tibia sul femore è la CMB del legamento crociato craniale, in quanto essa risulta tesa sia in estensione che in flessione; se questa componente viene danneggiata, allora subentra l’azione della CLP, che, però, garantisce la stabilità dell’articolazione 18 solo durante l’estensione, ma non in flessione, caso in cui risulta rilassata. Gli effetti individuali sulla stabilità articolare delle due componenti del legamento crociato caudale, a differenza di quanto accade per l’altro crociato, sono minimi (Johnson e Olmstead, 1987; Arnoczky, 2001). In ultimo, come già anticipato, il LCCr impedisce l’iperestensione del ginocchio grazie alla tensione che si instaura durante l’estensione; solo se dovesse danneggiarsi, verrebbe sostituito in questa sua funzione dal legamento collaterale mediale e dal LCCd (Arnoczky, 2001). 19 Eziopatogenesi della rottura del legamento crociato craniale Diversi studi hanno dimostrato che le lesioni dei legamenti crociati riguardano nella maggior parte dei casi il craniale, poiché il crociato caudale è protetto dai movimenti estremi da legamenti e strutture articolari adiacenti. Un trauma molto forte al ginocchio può danneggiare contemporaneamente i due legamenti crociati ed uno dei legamenti collaterali, ma più spesso accade che, solo in seguito all’instaurarsi di una instabilità articolare persistente, causata da danni al LCCr o ai collaterali, il crociato caudale diventi più esposto alle lesioni traumatiche (Arnoczky, 1985; Johnson e Olmstead, 1987; Bruce, 1998; Arnoczky, 2001). La rottura del LCCr è, invece, la più comune lesione del ginocchio del cane (Arnoczky, 1985). Tale rottura può essere totale o parziale; quest’ultima si può verificare a carico della sola banda cranio-mediale, durante la flessione del ginocchio, soprattutto se accompagnata da rotazione interna, o a carico della banda caudo-laterale, durante l’iperestensione dell’articolazione (Scavelli et al., 1990). L’avulsione dell’origine del LCCr è, invece, considerata rara; essa si verificherebbe nei cani molto giovani e, dunque, con scheletro immaturo (Williams et al., 1997). 20 La rottura del LCCr non è quasi mai causata da un trauma, bensì la conseguenza dell’azione di molteplici fattori predisponenti, quali le variazioni di conformazione (come le deformazioni valga e vara del ginocchio) e gli stress reiterati di lieve entità. La lesione, spesso bilaterale, è stata osservata in cani di tutte le taglie, ma con maggiore frequenza in quelli di peso superiore ai 15-20 kg, e soprattutto nei soggetti sovrappeso e di età superiore ai cinque anni. L’ipotesi più accreditata riguardo all’eziologia della rottura del LCCr è quella degenerativa: la sedentarietà, derivante dalla età avanzata e dall’obesità, potrebbe spiegare la comparsa di lesioni degenerative ai legamenti crociati. E’ stato anche ipotizzato, in base a delle ricerche che hanno evidenziato immunocomplessi antifibre dei legamenti crociati sia nel siero che nel liquido sinoviale, che la degenerazione del legamento crociato craniale possa essere causata da un processo immunomediato (Arnoczky, 1985; Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993; Whitehair et al., 1993; Scavelli et al., 1990; Arnoczky, 2001; Hayashi et al., 2004). Secondo alcuni studi sulla biomeccanica dell’articolazione del ginocchio l’inclinazione del plateau tibiale rispetto all’asse della tibia stessa rappresenta un fattore determinante nella patogenesi delle rotture del LCCr. Tale inclinazione, che nel cane varia da 18° a 60°, con una media di 24°, sarebbe responsabile dell’intensità della “spinta tibiale 21 craniale”, ossia di quella forza, generata dalla compressione tra femore e tibia durante il carico ponderale, che provoca la traslazione craniale della tibia prossimale: più l’inclinazione è elevata, maggiore sarebbe la spinta craniale della tibia. Questa spinta è normalmente contrastata da meccanismi attivi, i muscoli, e passivi, il LCCr e i menischi. Pertanto essa sarebbe responsabile di microtraumi ripetuti su un legamento già in degenerazione, determinandone una rottura parziale, che diviene poi completa con la progressione della malattia (Slocum B. e Slocum T.D., 1993; Macias e McKee, 2002; Modenato et al., 2004). La causa di rottura meno frequente è, invece, il trauma. Poiché, come sappiamo, il legamento crociato craniale limita la rotazione interna della tibia sul femore, un danno a suo carico può avvenire quando l’animale in corsa effettua una svolta improvvisa di 180° facendo perno con l’intero peso del corpo sull’arto posteriore interno alla curva; in queste condizioni la tibia è costretta ad un’eccessiva rotazione interna e il condilo laterale del femore può agire sul LCCr, causandone la rottura o l’allentamento per lacerazione della sua inserzione. Un altro meccanismo che potrebbe portare alla lacerazione traumatica del LCCr può verificarsi nel caso in cui, durante la corsa, un arto posteriore resti intrappolato in una buca, perchè in questa condizione la tibia viene fissata e l’articolazione improvvisamente iperestesia. In quest’ultima 22 condizione un’ulteriore iperestensione può causare la rottura anche del legamento crociato caudale (Arnoczky, 1985; Arnoczky, 2001). Qualunque sia la causa, dalla rottura del LCCr deriva una instabilità persistente dell’articolazione del ginocchio, che determina infiammazione della capsula articolare e della membrana sinoviale, degenerazione della cartilagine articolare, produzione di osteofiti periarticolari e danni ai menischi (Arnoczky, 1985; Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). La lesione meniscale più frequentemente associata alla rottura del LCCr interessa il menisco mediale e ciò è dovuto alla sua notevole stabilità rispetto a quella del menisco laterale, che risulta, invece, più libero e mobile. Quando il LCCr si rompe, si ha un incremento della rotazione interna della tibia sul femore, che porta il condilo mediale del femore ad esercitare un’eccessiva forza torsionale sul menisco mediale; questa azione di torsione può, quindi, determinare una distensione del margine concavo interno del menisco e lacerarlo trasversalmente. In alcuni casi il menisco viene schiacciato tra i condili mediali di femore e tibia; quando a questa forza di compressione se ne aggiunge una rotazionale, si può avere una lacerazione longitudinale nella porzione mediale del menisco. Quest’ultima lesione è definita “lacerazione a manico di secchio”, quando la porzione mediale del menisco lacerata risulta dislocata nell’articolazione. Durante l’estrema flessione è il 23 corno caudale del menisco mediale ad essere compresso tra femore e tibia, per cui, in questa posizione, le forze di rotazione possono lacerare la sua inserzione caudale, permettendo al corno stesso di muoversi quasi liberamente (Arnoczky, 1985; Arnoczky 2001). 24 Diagnosi di rottura del legamento crociato craniale In seguito alla lesione del legamento crociato craniale il paziente presenta dolore intenso all’arto colpito, che lo costringe ad una zoppia molto accentuata. Trascorse una o due settimane, la zoppia comincia a migliorare grazie alla regressione dell’infiammazione, al riassorbimento dell’emartro e all’ispessimento della capsula articolare. Mancando, però, l’integrità e quindi la funzione del LCCr, non viene ripristinata la stabilità articolare, per cui le lesioni degenerative o i danni meniscali progrediscono fino a determinare nuovamente la riacutizzazione dei segni clinici (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). La diagnosi di rottura del legamento crociato craniale viene, di solito, effettuata con il solo esame clinico. Il primo passo verso la diagnosi consiste nell’identificare il soggetto e nello stabilire se ha subito un trauma o se la zoppia è comparsa improvvisamente durante la normale attività. L’ispezione va eseguita con il soggetto prima in stazione, poi in movimento, osservato posteriormente e lateralmente, per verificare la presenza di deformazioni vara o valga del ginocchio, l’angolo articolare e il tipo di zoppia. 25 Si passa poi alla palpazione con il paziente in stazione e in decubito laterale per verificare la presenza di atrofia muscolare, dolore, gonfiore, nonché aumento o riduzione del range di movimenti dell’articolazione (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). Se sono presenti concomitanti lesioni al menisco mediale, in alcuni casi il segmento di menisco che si muove liberamente in un corno caudale o in una lesione a manico di secchio può dislocarsi nell’articolazione e interferire con la completa estensione o flessione; oppure, il corno caudale, relativamente libero dopo lacerazione, può subire un ripiegamento craniale quando il condilo femorale passa su di esso e produrre un rumore udibile o trasmesso di scatto, ossia il cosiddetto “click meniscale” (Arnoczky, 1985; Arnoczky 2001). Per valutare la stabilità articolare in senso cranio-caudale, due sono le manovre comunemente utilizzate: il test del cassetto craniale e il test di compressione tibiale. Il test del cassetto craniale (fig. 11) deve essere eseguito sull’animale rilassato, meglio se in sedazione o anestesia generale, soprattutto nei Fig. 11 – Test del cassetto craniale (Modificato da Johnson & Johnson, 1993). cani di grossa taglia, per eliminare la possibilità di falso-negativi causati dalla contrazione dei muscoli della 26 coscia, che conferiscono maggiore stabilità all’articolazione. La manovra si effettua ponendo il palmo di una mano sulla faccia craniodistale del femore e l’altro sulla faccia cranio-prossimale della tibia con ambedue i pollici posti nella fossa poplitea. Si forza, quindi, la tibia in senso cranio-caudale: in caso di legamento integro, nessuno spostamento è possibile; in caso di rottura del LCCr, la tibia si sposta cranialmente rispetto al femore e l’arresto di questa traslazione anteriore è morbido e progressivo, mentre lo spostamento in senso caudale è brusco per la resistenza offerta dal legamento crociato caudale. Possono aversi dei casi di falsi-negativi, quando la lesione sia ormai cronica e accompagnata da fibrosi periarticolare. Secondo acuni autori (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993) sono possibili casi di falsi-positivi negli animali molto giovani a causa della loro maggiore, ma fisiologica, lassità legamentosa. In alternativa o in aggiunta al test del cassetto craniale si può eseguire il test di compressione tibiale (fig. 12). Fig. 12 – Test di compressione tibiale (Modificato da Johnson & Johnson, 1993). Esso si effettua tenendo il palmo di una mano sulla faccia craniale del ginocchio, mantenuto in semiflessione, con il dito indice della stessa mano posto il legamento 27 tibio-rotuleo fino a toccare la cresta tibiale. Contemporaneamente, con l’altra mano si esegue una flessione dell’articolazione tibio-tarsica, agendo sulla regione del metatarso. In questa maniera si ottiene una tensione sui gemelli della gamba e sul tendine di Achille e, pertanto, la tibia viene forzata alla traslazione anteriore. Se il LCCr è integro, con la punta dell’indice non si avvertirà nessuno spostamento della cresta tibiale. In caso di rottura del legamento crociato craniale, la tibia si sposta cranialmente rispetto al femore e tale spostamento sarà avvertito dal dito indice posto sulla cresta tibiale. Tale manovra, per la facilità d’esecuzione, può essere utilizzata quando l’inesperienza dell’esecutore o il mancato rilassamento da parte di animali di grossa taglia non permettano di eseguire il test del cassetto craniale; è poco adatta, però, per valutare la lassità articolare in cani di piccola taglia, in quanto afferrando la coscia in tutta la sua circonferenza, si determina un aumento della stabilità del ginocchio e, quindi, un risultato falsamente negativo (Arnoczky, 1985; Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). L’analisi del liquido sinoviale, invece, può essere utilizzata per differenziare un’infiammazione articolare acuta da una cronica e può essere utile per escludere processi infettivi o immunomediati quali cause della rottura del LCCr (Johnson J. M. e Johnson A. L., 1993). 28 Esame radiografico In Medicina Veterinaria la Radiografia è stata la prima tecnica di Diagnostica per Immagini utilizzata come supporto dell’esame clinico in caso di rottura del LCCr. Ancora oggi l’esame radiografico rappresenta l’esame strumentale di primo livello per la valutazione di questa patologia, eventualmente integrato da altre tecniche di Imaging. Generalmente l’esame radiografico del ginocchio si esegue per precisare la prognosi e per programmare la terapia, in quanto la diagnosi di rottura del LCCr nel cane è prevalentemente clinica. Esso consente di documentare l’instabilità articolare e di valutare, entro certi limiti, non solo i segni di lesione inveterata a carico dei tessuti ossei, ma anche quelli a carico di alcuni tessuti molli nelle fasi acute. Lo studio radiografico del ginocchio si esegue con tecnica diretta, senza l’uso della griglia antidiffusione. Talvolta può essere necessario effettuare l’esame RX anche dell’arto controlaterale per identificare più facilmente, tramite confronto, lesioni di piccola entità sull’arto interessato. Generalmente, il protocollo radiografico per la rottura del LCCr prevede l’utilizzo di due proiezioni ortogonali standard, la mediolaterale neutra e la cranio-caudale o la caudo-craniale. 29 La proiezione ML standard o neutra si ottiene posizionando il paziente in decubito laterale sul lato interessato e, con ginocchio in posizione neutra (con angolo di flessione di circa 135°). Il fascio radiogeno è puntato sulla parte centrale della faccia mediale dell’articolazione, mentre l’arto controlaterale viene abdotto, oppure esteso e spostato cranialmente in modo da rimanere al di fuori della finestra di esposizione (Crovace et al.,2005). All’esame RX, in seguito ad una rottura recente del LCCr, è possibile osservare a volte, lo slittamento craniale dell’epifisi prossimale tibiale rispetto a quella distale del femore. Nelle fasi acute, oltre alla dislocazione tibiale si può osservare la distensione della capsula articolare con obliterazione parziale o totale del cuscinetto adiposo infrapatellare e del recesso caudale del ginocchio (fig. 13). A B Fig. 13 – A: proiezione ML ginocchio sinistro sano. B: proiezione ML ginocchio destro patologico. È possibile osservare lievi irregolarità del profilo della corticale in corrispondenza dei recessi prossimali craniali (1) e caudali (2), aree di osteorarefazione sugli apici prossimale (3) e distale (4) della rotula, obliterazione del cuscinetto adiposo craniale (5) e del recesso caudale (6) causato dalla distensione sinoviale articolare (Modificato da Crovace et al., 2005). 30 Negli animali più giovani con lesione da avulsione, è possibile anche evidenziare direttamente il frammento osseo (Vasseur, 2005). Quando l’instabilità articolare, secondaria alla rottura del LCCr, è ormai cronica, diventano evidenti i segni radiografici dell’artropatia degenerativa, rappresentati da osteofiti ed enteseofiti. Gli osteofiti (fig. 14) sono il risultato dell’ossificazione di condrofiti, che si formano a partire da cellule mesenchimali pluripotenti, localizzati lungo il margine osteocondrale. A B Fig. 14 – Quadro di artropatia secondaria grave. A: proiezione ML. B: proiezione CrCd (Modificato da Crovace et al., 2005). Questi cominciano a formarsi a partire già dal 3° giorno dopo la lesione, ma è possibile evidenziarli radiograficamente solo a distanza di tre settimane, quando sono sufficientemente mineralizzti (Widmer et al., 1994). L’osteofitosi periarticolare compare inizialmente in corrispondenza dei recessi prossimali e sull’apice distale della rotula, 31 poi sui profili delle fabelle e dei condili femorali e tibiali (Crovace et al., 2005). Gli entesofiti si possono osservare prevalentemente lungo il margine medio prossimale e la parte craniale della tibia (Widmer et al., 1994). A causa della complessità dell’articolazione del ginocchio, della sovrapposizione delle diverse strutture e della scarsa risoluzione di contrasto dell’esame RX, le lesioni cartilaginee, localizzate sulla superficie più interna dei condili laterale e mediale del femore, non possono essere evidenziati (Bumin et al., 2001), così come le cisti subcondrali. Anche l’assottigliamento della cartilagine articolare e lesioni meniscali possono essere solo sospettati i caso di restringimento dello spazio articolare femoro-tibiale e femoro-rotuleo (Crovace et al., 2005), determinato anche dalle lesioni meniscali, che spesso sono associate alla rottura del CCL. Per documentare l’instabilità articolare, può essere di grande ausilio l’esecuzione di un radiografia in ML sotto stress. La proiezione ML del ginocchio sotto stress si esegue ponendo il paziente in decubito laterale e, mantenendo l’articolazione femorotibio-rotulea a 90°, si esercita il test di compressione tibiale (de Rooster e van Bree, 1999) (fig. 15). 32 A B Fig. 15 – A: proiezione ML neutra. B: proiezione ML sotto stress. Difficilmente lo slittamento craniale della tibia è visibile nella proiezione ML neutra. Pertanto è necessario eseguire una proiezione ML sotto stress, cioè mentre si esegue una manovra di compressione tibiale. Si noti, inoltre, il di stanziamento caudale del sesamoide del popliteo (freccia) (Modificato da Crovace et al., 2005). 33 Esame ecografico L’esame ecografico è stato proposto come complemento all’esame radiografico convenzionale per lo studio del ginocchio, in particolare dei tessuti molli e delle cartilagini articolari superficiali, sia nei piccoli che nei grossi animali (Gnudi e Bertoni, 2001). L’ecografia presenta diversi vantaggi rispetto ad altre indagini: è relativamente poco costosa e non invasiva, se confrontata con l’esame RX, l’artrografia, la TC e l’artroscopia (Reed, et al., 1995; Seong et al., 2005; Kramer et al., 1999); inoltre, se il paziente è tranquillo, non sono necessarie sedazione o anestesia (Kramer et al., 1999). A ciò si aggiungano, come ulteriori vantaggi, la ripetibilità e la visualizzazione in tempo reale, che consente la realizzazione di studi dinamici tramite movimenti di flesso-estensione dell’articolazione (Brunetti e Petruzzi, 2005). Tuttavia, l’esame ecografico presenta anche numerosi limiti: è una tecnica strettamente dipendente dall’abilità e dall’esperienza dell’operatore (Reed et al., 1995), è di difficile codificazione, è inficiata da numerosi artefatti generati dalle superfici iperriflettenti dei tessuti duri articolari; inoltre, nei soggetti di piccola e media tagli può risultare difficoltoso differenziare le varie strutture articolari (Kramer et al., 1999, Seong et al., 2005). 34 La tecnica per l’esame ecografico dell’articolazione del ginocchio prevede l’impiego di sonde lineari ad alta frequenza (> 7 MHz), perché consentono di visualizzare meglio le strutture superficiali, producendo immagini con minori artefatti, più chiare e meno distorte. Se il paziente è agitato e poco collaborativo è necessario il contenimento farmacologico. Per la corretta visualizzazione delle immagini è indispensabile effettuare un’accurata tricotomia della regione seguita da sgrossamento della cute e abbondanti quantità di un gel d’accoppiamento acustico. Il paziente viene di solito posto decubito dorsale. In alternativa, può essere utilizzato anche il decubito laterale prima sul lato sano, per esaminare le superfici craniale, caudale e laterale dell’articolazione, poi sul lato dell’arto interessato per consentire l’esame della superficie mediale. Per ottenere dei risultati riproducibili, bisogna cercare di standardizzare la tecnica dell’esame, sebbene ciò si di difficile esecuzione pratica. L’ecografia consente una buona visualizzazione delle strutture articolari superficiali. Per rendere accessibili le porzioni più profonde dello spazio articolare, e cercare perciò di visualizzare il LCCr, si deve flettere al massimo il ginocchio (Kramer et al., 1999). La sonda viene posizionata parallelamente e lateralmente al legamento patellare e, quindi, ruotata 35 di circa 20° in senso prossimo-laterale. Il legamento crociato craniale è stato descritto come una banda a struttura fibrillare ipoecogena (Kramer et al., 1999; Reed et al., 1995; Gnudi e Bertoni, 2001) (fig. 16), sebbene nella nostra esperienza esso appaia iperecogeno rispetto alle strutture circostanti. Non sempre è possibile ottenere la visualizzazione del LCCr a causa dei frequenti artefatti da riverbero. Inoltre, anche quando esso sia visibile è difficile poterlo esplorare in tutta la sua estensione fino ai relativi punti di inserzione, prossimale e distale. Per distinguere meglio il LCCr è stato proposto di iniettare una soluzione salina nello spazio articolare (Seong et al., 2005). Fig. 16 – Ginocchio sinistro sano. Legamento crociato craniale in scansione obliqua con articolazione in massima flessione. L’esame ecografico risulta molto sensibile nell’evidenziare ectasie anche minime dei recessi articolari (fig. 17) e ispessimenti della sinovia. I menischi possono essere esplorati solo lungo i loro profili 36 esterni (fig. 18), pertanto, le lesioni meniscali sono difficili da dimostrare, ma i cambiamenti degenerativi cronici hanno un aspetto caratteristico: la struttura del menisco diviene disomogenea e con pattern eteroecoico, caratterizzato, cioè da aree ad ecogenicità mista. Inoltre, è sempre possibile evidenziare evidenziare eventuali cambiamenti di posizione (prolassi) o mobilità abnormi (Kramer et al., 1999). Fig. 17 Scansione Caso n. ?? – longitudinale del recesso craniale prossimale. È evidente la recesso, con liquido dilatazione accumulo sinoviale, del di e l’ispessimento della membrana sinoviale. Fig. 18 – Stesso soggetto della Figura 17 – Scansione longitudinale sulla faccia mediale del ginocchio. Anche a questo livello, è evidente l’ectasia articolare; si evidenzia, inoltre, un marcato ispessimento del capsula e del leg. collaterale mediale; altri reperti significativi sono gli osteofiti sulla superficie del condilo mediale tibiale e il prolasso del menisco. 37 38 Risonanza Magnetica In Medicina Umana, la Risonanza Magnetica (RM) rappresenta la tecnica di Diagnostica per Immagini d’elezione per lo studio dei tessuti molli e delle cartilagini del ginocchio e delle articolazioni in genere, utilizzata spesso in alternativa o a completamento dell’esame RX convenzionale o dell’esame TC. Attualmente, però, in Medicina Veterinaria, non ha ancora trovato grande successo a causa dei notevoli costi di investimento e di gestione delle apparecchiature. Vengono direttamente visualizzate la cartilagine, il liquido sinoviale, la capsula e i legamenti. Anche la spongiosa dell’osso subcondrale può essere indirettamente valutata grazie alla ricchezza d’acqua del tessuto adiposo del midollo giallo contenuto nelle celle dell’osso. Nel cane, studi sperimentali eseguiti con sequenze Spin-Echo pesate in T1 e T2 o, anche, con altre sequenze (Densità Protonica, Gradient-Echo, STIR) hanno dimostrato l’elevata sensibilità e specificità della RM nella valutazione delle lesioni osteocondrali e legamentose (Widmer W.R. et al., 1991; Banfield C.M. e Morrison W.B., 2000; Crovace A., Di Bello A., Meomartino L., 2005). Vanno poi considerati gli importanti vantaggi della RM rappresentati dalla non invasività, dalla mancata esposizione del paziente o dell’operatore a radiazioni ionizzanti e dal fatto di poter ottenere 39 immagini tomografiche di qualità elevata, orientate secondo piani selezionabili a scelta dell’operatore, senza dover modificare la posizione del paziente. Il protocollo per l’indagine di Risonanza Magnetica dell’articolazione del ginocchio prevede che il paziente, in anestesia generale, sia posto in decubito dorsale (Banfield C., Morrison W.B., 2000; Ohlert S. et al, 2001), con l’arto interessato all’interno di una bobina. Normalmente, le immagini vengono acquisite in tre piani: sagittale, frontale e trasverso (assiale). Fra le sequenze più utilizzate possiamo menzionare la STIR (short tau inversion recovery sequence) con soppressione del grasso. Altre sequenze spesso adoperate sono: le sequenze Gradient Echo (GRE), che, oltre al vantaggio dei bassi tempi di acquisizione, consentono acquisizioni 3D; in alternativa alle sequenze Gradient-Echo, possono essere adoperate sequenze Spin-Echo, pesate sia in T1 che in T2, che consentono di visualizzare meglio le altre componenti dell’articolazione femoro-tibio-rotulea, o ancora le sequenze Fast Spin Echo T2 pesate (FSE T2), utilizzate soprattutto per il minor tempo di acquisizione rispetto alle sequenze Spin Echo. La RM del ginocchio, consente di valutare con precisione soprattutto la cartilagine articolare, i menischi e i legamenti, sebbene sia possibile 40 esplorare anche la capsula articolare, l’integrità delle strutture ossee ed i muscoli (Lang J. & Konar M., 2006). Con la RM è possibile individuare anche le più lievi alterazioni della cartilagine articolare e di quella meniscale, sebbene lo spessore delle fette sia fondamentale per una buona risoluzione dell’immagine, a causa degli artefatti da volume parziale e ciò possa rappresentare un ostacolo insormontabile nei piccoli animali, considerata la no elevata risoluzione spaziale della RM (le fette “sottili” hanno spessore di 4mm!) (Widmer W.R. et al., 1994). Il LCCr è difficile da evidenziare in una singola immagine, a causa del suo andamento obliquo nell’articolazione; tuttavia, con immagini sequenziali e tecniche di ricostruzione obliqua è possibile osservarlo nella sua interezza. Il suo aspetto normale è quello di una banda grigioscura nell’ambito di strutture articolari più intense (fig. 19). Il LCCd, invece, può essere visto interamente come una banda grigo-scura, lungo il piano sagittale mediano. Fig. 19 – Scansione sagittale T1 pesata. Rottura del legamento crociato craniale. Nella regione intercondiloidea, si osserva una massa ipointensa moderatamente disomogenea. Il legamento crociato craniale non è individuabile (Modificato da Altόnaga J. et al., 1996). 41 Le lacerazioni dei legamenti si evidenziano in RM come segnali anormalmente intensi, che interrompono il percorso del legamento stesso (Widmer W.R. et al., 1994; Baird D.K. et al., 1998). Oltre alla Risonanza Magnetica convenzionale, la Letteratura Veterinaria riporta anche la possibilità dell’artrografia in Risonanza mediante uso di gadolinio (Banfield C.M., Morrison W.B., 2000). 42 PARTE SPERIMENTALE L’ESAME TC DEL GINOCCHIO DEL CANE NELLA ROTTURA DEL LEGAMENTO CROCIATO CRANIALE 43 Introduzione alla parte sperimentale La Tomografia Computerizzata (TC) è una tecnica altamente specifica per la valutazione dell’apparato osteo-articolare. Nonostante ciò, in letteratura veterinaria non esistono (o esistono pochissime) segnalazioni in cui si propongano o si parli specificamente di protocolli per l’esame del ginocchio nel cane. Esiste un solo lavoro, piuttosto recente, che espone un protocollo di artrografia TC del ginocchio, necessaria, secondo gli Autori, per visualizzare le strutture legamentose e cartilaginee intra-articolari del ginocchio del cane (Samii V.F. & Dyce J., 2004). Potenzialmente la TC, sebbene utilizzi per la formazione delle immagini lo stesso mezzo fisico, i raggi X, rispetto alla Radiografia consente una migliore visualizzazione delle strutture anatomiche del ginocchio grazie alla visualizzazione tomografica, che riduce il problema della sovrapposizione, e alla migliore risoluzione di contrasto, che permette di distinguere tra loro strutture con lievi differenze di densità. La natura digitale delle immagini, inoltre, permette di poterle esaminare cambiando la finestra di visualizzazione, esaltando, di volta in volta, i tessuti o le strutture che maggiormente interessano oppure di ottenere delle ricostruzioni planari, sagittali, frontali o anche oblique, o di tipo 3D. A ciò si aggiungano alcuni vantaggi che la TC presenta anche rispetto alla RM quali una maggiore 44 disponibilità di apparecchiature sul territorio, la minore durata dell’esame e la minore incidenza di artefatti. Gli svantaggi rispetto all’esame RX sono rappresentati dai maggiori costi e dalla necessità dell’anestesia o di una sedazione profonda per la sua esecuzione. Gli svantaggi rispetto alla RM risiedono in particolare nell’impiego di radiazioni ionizzanti e nella minore risoluzione di contrasto fra i tessuti molli articolari e le strutture cartilaginee. L’ecografia, come abbiamo già detto nel relativo capitolo, è da considerare una tecnica complementare alle altre mai sufficiente, da sola, allo studio del ginocchio. In linea di principio, il modo migliore di studiare un’articolazione con la TC sarebbe quello in cui le scansioni siano portate perpendicolarmente al piano articolare. Tuttavia, la conformazione del ginocchio canino e la geometria del gantry permettono di ottenere solo fette parallele al piano articolare. Ciò predispone a possibili artefatti da volume parziale proprio a livello dello spazio articolare. Tali artefatti saranno tanto maggiori quanto più spesse siano le scansioni utilizzate o quanto più piccole siano le dimensioni del ginocchio in esame. Lo studio TC si esegue in anestesia generale o anche solo in sedazione profonda, se si dispone di apparecchi di tipo spirale multislice, ma per quanto riguarda l’esecuzione dell’esame non esistono al momento protocolli universalmente accettati. 45 Il paziente può essere posto in decubito dorsale o sternale (Samii V.F. & Dyce J., 2004), con gli arti pelvici iperestesi caudalmente verso il gantry che viene inclinato in modo che le sezioni tomografiche siano condotte lungo piani di scansione paralleli al plateau tibiale. Non esistendo un protocollo per lo studio TC del ginocchio del cane in caso di sospetta rottura del LCCr, scopo del presente lavoro è stato effettuare un’analisi dell’esperienza maturata presso il Centro di Radiologia Veterinaria, dopo circa un anno e mezzo di attività, con differenti protocolli di esecuzione di esami TC del ginocchio canino in casi di sospetta lesione del LCCr, allo scopo di individuare quale fra i vari protocolli sia in grado di offrire i migliori risultati da un punto di vista diagnostico. 46 Materiali e Metodi Dal Novembre 2004 al Marzo 2006 tutti i cani affetti da zoppia mono o bilaterale riconducibile a sospetta rottura/sovradistensione del LCCr, pervenuti presso il Centro Interdipartimentale di Radiologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli “Federico II”, sono stati sottoposti ad esame TC delle ginocchia. La scelta di sottoporre il paziente all’esame TC era condizionata dalla disponibilità da parte dei proprietari a sottoporre il cane ad anestesia e ad affrontare il costo dell’esame. Il campione, pertanto, è costituito da 14 pazienti. Di questi, tre erano Rottweiler, due Corso, due Labrador Retriever, un Pitt Bull, un Siberian Husky, un Pastore Tedesco e tre Meticci di taglia piccola. Per quanto riguarda il sesso, il campione era formato da 4 erano maschi (4 interi, 0 castrati) e 10 femmine (8 intere e 2 sterilizzate), con età media di 6,9 anni (range: 1,6 – 12 anni) (vedi Tabella 1). Caso N. ID Razza Sesso Anni 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 1346/04 350/05 498/05 500/05 550/05 583/05 775/05 807/05 21/06 226/06 239/06 247/06 287/06 323/06 Meticcio Taglia piccola Corso Meticcio Rottweiler Rottweiler Meticcio Taglia piccola Meticcio Taglia piccola Siberian Husky Labrador Retriever Rottweiler Corso Pitt Bull Pastore Tedesco Labrador Retriever F intera F intera F intera F intera M intero F neutra F intera F intera F intera F neutra F intera M intero M intero M intero 12 1 5 10 4 8 12 6 6 8 3 8 11 2 Mesi 6 6 5 Ginocchio/i patologici Sn Sn Sn Dx Bilat. Bilat. Dx Dx Dx Bilat. Bilat. Bilat. Dx Sn Tabella 1: segnalamento dei soggetti del campione. 47 Tutti soggetti sono stati sottoposti a narcosi secondo il seguente protocollo anestesiologico: a) premedicazione con Atropina (0,025 mg/kg i.m.), seguita dopo 15’ da Medetomidina (10 µg/kg i.m.) e Petidina (3 mg/kg i.m.) o da Acepromazina (5-10 mg/kg i.m.); b) induzione con Propofol (4-6 mg/kg e.v.) o Pentotal sodico (7-10 mg e.v.); c) mantenimento con Isofluorano in O2. In 10 cani sono state esaminate entrambe le articolazioni femoro-tibiorotulee mentre, in 3 soggetti il solo ginocchio sinistro e in un caso il solo ginocchio destro, per un totale di 24 articolazioni. In 5 casi, con lesione monolaterale, a fini comparativi, veniva studiato anche il ginocchio sano. Tutti i pazienti sono stati posizionati sul lettino in decubito dorsale, in cuscini sagomati con gli arti posteriori rivolti verso il gantry. Quando lo studio interessava entrambi i ginocchi, gli arti pelvici venivano iperestesi caudalmente e mantenuti quanto più possibile paralleli fra loro e in maniera tale che il centro del gantry si trovasse tra le due articolazioni femoro-tibio-rotulee. Nel caso in cui lo studio era relativo ad una sola articolazione, questa era tenuta iperestesa caudalmente e quanto più possibile vicina al centro del gantry, mentre l’arto controlaterale veniva mantenuto flesso ed abdotto prossimalmente all’articolazione in esame per evitare artefatti da osso. 48 Tutti gli esami sono stati condotti usando uno scanner TC di terza generazione (TC Pace, General Electric). Gli esami venivano preceduti da uno scanogramma (Scout-View) eseguita con azimut posto a 0° in 8 casi, a 90° in 6 casi. Quando l’azimut del tubo radiogeno era a 0°, si otteneva una visualizzazione cranio-caudale dell’articolazione; quando l’azimut era a 90°, si otteneva una visualizzazione laterale. Sulla Scout-view veniva decisa la localizzazione dei piani di scansione. In 7 pazienti le ginocchia sono state esaminate simultaneamente, nei restanti 7 pazienti singolarmente. Tutti gli esami sono stati effettuati mediante scansioni contigue sottili (spessore 1mm) cercando di comprendere tutta l’articolazione, a partire dalla rotula sino a circa 1 cm distalmente al plateau tibiale. Nei soggetti di grossa taglia, il tratto studiato poteva non comprendere le strutture articolari più prossimali (i recessi prossimali craniali e la metà prossimale delle rotula e della troclea femorale) a causa della limitazione di 6 cm che rappresentava il tratto massimo di estensione dello studio (1 mm x 60 scansioni). Il diametro del FOV (field of view), cioè del campo di vista, era proporzionale al tipo di visualizzazione scelta: quando l’esame era condotto contemporaneamente sulle due ginocchia, il FOV era necessariamente più grande; quando lo studio era condotto su una sola 49 articolazione per volta, il FOV veniva ridotto di conseguenza in base alle dimensioni dell’articolazione stessa. L’uso di FOV più grandi determinava una visualizzazione più rimpicciolita delle articolazioni. Subito dopo l’acquisizione, le immagini venivano trasferite ad una workstation con software di gestione dei file DICOM (Merlino©; Osirix©), mediante i quali si effettuava la valutazione delle scansioni e delle riformattazioni su un monitor LCD da 21” ad alta risoluzione. La valutazione delle singole scansioni assiali veniva effettuata sia con finestra da osso (WL 300; WW 1500), sia con finestra per i tessuti molli (WL 0; WW 500). Successivamente, venivano effettuate delle ricostruzioni planari, frontali sagittali e oblique, con finestra per tessuti molli e, in tempo reale, si valutava visualizzazione dei due legamenti crociati. In alcuni casi, quando si riteneva che potesse fornire informazioni aggiuntive, si è proceduto a ricostruzioni 3D. Nella Tabella 2 vengono esposti i principali parametri tecnici adoperati per ciascun caso. 50 Caso N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 FOV 25 cm. 20 cm. 10 cm. 8 cm. 8 cm. 20 cm. 18 cm. 22 cm. 14 cm. 20 cm. Visualizzazione kV Singola Singola Singola 120 120 120 120 120 120 120 120 120 120 120 120 120 120 Bilaterale Bilaterale Singola Singola Bilaterale Bilaterale Bilaterale Singola Bilaterale mAs 291 224 179 224 224 291 291 291 224 291 Azimut Th 90° 0° 90° 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 1mm. 90° 90° 0° 0° 0° 0° 0° 0° 90° 0° Tabella 2 – Parametri tecnici utilizzati per gli esami TC. FOV = field of view (campo di vista); Azimut = posizione del tubo al momento della Scout-View; Th = thikness(spessore); kV = kiloVolt; mAs = milliAmpere x secondo. Ogni esame TC relativo ai ginocchi affetti da patologia è stato analiticamente valutato per la presenza o l’assenza di una serie di segni o alterazioni: a) osteofiti dei labbri trocleari, mediale e laterale; b) osteofiti della gola intercondiloidea; c) entesiofiti dell’incisura estensoria del condilo femorale laterale (sede del tendine del muscolo digitale lungo); d) osteofiti pericondilari, femorali e tibiali; e) entesiofiti perifabellari; f) entesiofiti rotulei; g) distanza del sesamoide popliteo dalla superficie caudale del condilo laterale della tibia; h) cisti e sclerosi dell’osso sub-condrale; e) ectasia dei recessi articolari; f) ispessimento capsulare; g) ispessimento e/o calcificazioni della guaina sinoviale del tendine estensore lungo delle dita. Per alcune delle alterazioni suddette si valutava solo la presenza o l’assenza mentre, per altre, se presenti, veniva classificata come lieve, moderata o grave. Sulle ricostruzioni planari frontali, sagittali e oblique, si valutava la 51 visibilità o meno, rispettivamente, dei menischi, del legamento crociato caudale e del legamento crociato craniale. 52 Risultati Su 24 ginocchia esaminate, 18 erano patologiche. Considerando la troclea femorale, era evidente una reazione osteofitosica al labbro mediale in 18 articolazioni (100% dei ginocchi patologici; 75% di tutte le articolazioni), mentre il labbro laterale presentava osteofitosi in 14 articolazioni (77,7% dei ginocchi patologici; 58,3% di tutte le articolazioni). In un soggetto (caso n. 3) era evidenziata medialmente alla troclea femorale una “neotroclea”, al di sopra della quale era posta la rotula lussata medialmente (fig. 21). La rotula presentava margini irregolari in 10 ginocchia (55,5% dei ginocchi patologici; 41,6% di tutte le articolazioni), mentre nel caso n. 4 i margini rotulei non erano valutabili, poiché le scansioni non arrivavano a comprendere la rotula. L’osteofitosi della gola intercondiloidea si presentava in 13 articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 51,2% di tutte le articolazioni). Nell’incisura estensoria, sede di inserzione del tendine del muscolo estensore lungo delle dita, si evidenziavano osteofiti in 11 articolazioni (61,1% dei ginocchi patologici; 45,8% di tutte le articolazioni). La reazione osteofitosica si evidenziava intorno ai profili di 15 condili femorali laterali (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni) e 16 condili femorali mediali (88,8% dei ginocchi 53 patologici; 66,6% di tutte le articolazioni). Le fabelle laterali presentavano osteofiti in 17 ginocchia (94,4% dei ginocchi patologici; 70,8% di tutte le articolazioni), mentre le fabelle mediali erano interessate in 13 articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 54,2% di tutte le articolazioni). Osteofiti, infine, erano evidenti sui profili di 14 condili tibiali mediali (77,7% dei ginocchi patologici; 58,3% di tutte le articolazioni) e 17 condili tibiali laterali (94,4% dei ginocchi patologici; 70,8% di tutte le articolazioni). 54 Il sesamoide, posto nel tendine d’origine del muscolo popliteo, risultava distanziato rispetto al condilo laterale della tibia in 13 articolazioni (72,2% dei ginocchi patologici; 54,2% di tutte le articolazioni), mentre in 3 articolazioni non era valutabile (16,6% dei ginocchi patologici; 12,5% di tutte le articolazioni). La sclerosi dell’osso subcondrale si osservava in 7 ginocchia (38,9% dei ginocchi patologici; 21,5% di tutte le articolazioni), mentre le cisti erano presenti in 2 casi (11,1% dei ginocchi patologici; 8,3% di tutte le articolazioni). L’ispessimento della capsula articolare era presente sulla faccia mediale in 16 articolazioni (88,8% dei ginocchi patologici; 66,6% di tutte le articolazioni), su quella laterale in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni). L’ectasia degli sfondati articolari era visibile in 15 ginocchia (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni). L’ispessimento della guaina del tendine del muscolo estensore lungo delle dita, era apprezzabile in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni): in un soggetto il dato non era determinabile; la calcificazione sempre della guaina dell’estensore era visibile in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici; 62,5% di tutte le articolazioni); anche questo dato non era valutabile in un soggetto. 55 L’identificazione del menisco mediale era possibile solo in 4 casi (22,2% dei ginocchi patologici; 16,7% di tutte le articolazioni); il menisco laterale, invece, era visibile in 10 articolazioni (55,5% dei ginocchi patologici; 41,6% di tutte le articolazioni). Nelle ricostruzioni oblique era possibile identificare il legamento crociato craniale in 5 su 6 ginocchi sani (83,3%) mentre non era mai identificabile nei ginocchi patologici. Il legamento crociato caudale in 11 casi (61,1% dei ginocchi patologici; 45,8% di tutte le articolazioni) Nella tabella 3 vengono riportati in dettaglio tutte le osservazioni effettuate. 56 Caso 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Ginocchio Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Dx Sn Osteofiti Osteofiti Osteofiti Ispessimento Osteofiti Osteofiti Ispess. Sclerosi Ectasia Troclea Condili Condili capsulare Gola Incisura Guaina femorale femorali Tibiali e Cisti recessi Intercond. Estens. T.M.E.L.D. Med. Lat. Med. Lat. Med. Lat. Med. Lat. Calcif. Guaina T.M.E.L.D. Cr Cd Osteofiti Distanz. Osteofiti Condili Sesam. Rotula Tibiali Poplit. Med. Lat. dubbio n.v. n.v. +++ ++ - - vis. + ++ + + + ++ + +++ ++ + + + +++ ++ ++ + ++ + + +++ + + + ++ ++ ++ +++ ++ + n.d. + + + + + ++ ++ ++ n.d. + + + + + + + n.d. + + + + n.d. +++ +++ + + Menischi Med. ++ +++ +++ +++ ++ +++ +++ ++ c.:+/s.:- + +++ ++ +++ ++ n.v. ++ +++ + + + ++ - ++ c.:-/s.:+ ++ +++ +++ +++ + vis. + + ++ + +++ + ++ + + ++ +++ + ++ +++ ++ + + +++ ++ + ++ ++ + +++ ++ ++ + + ++ + + + + ++ ++ +++ dubbio +++ + + + + ++ +++ ++ + + + + ++ + + ++ + ++ ++ +++ +++ + + + + + + +++ + + ++ +++ +++ + + +++ + + ++ + ++ + +++ ++ +++ + + +++ + + + + + ++ + + ++ + ++ c.:-/s.:c.:-/s.:+ c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+ c.:-/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+ c.:+/s.:c.:-/s.:c.:-/s.:+ c.:-/s.:+ c.:-/s.:+ + +++ + + + ++ ++ ++ + + + ++ +++ ++ + +++ + ++ ++ +++ +++ +++ +++ ++ ++ ++ + + + + + ++ ++ ++ ++ + +++ n.d. ++ + ++ + ++ + ++ +++ ++ +++ +++ +++ n.d. ++ +++ +++ ++ ++ + ++ + + ++ ++ ++ ++ +++ ++ +++ +++ ++ ++ +++ c.:-/s.:c.:-/s.:- +++ +++ ++ ++ ++ Lat. vis. Legamenti crociati n.v. n.d. n.d. n.v. n.v. n.d. vis. n.v. n.v. n.d. n.v. vis. n.v. dubbio vis. n.v. vis. dubbio vis. n.v. n.v. n.v. vis. n.v. n.v. n.v. n.v. vis. vis. n.d. n.v. n.v. n.v. n.d. n.d. vis. vis. n.v. vis. n.v. vis. n.d. n.d. n.v. vis. n.v. n.v. n.v. vis. n.v. n.v. n.v. vis. n.v. dubbio vis. n.v. vis. vis. n.v. dubbio dubbio n.v. n.v. n.v. vis. dubbio n.v. n.v. dubbio vis. n.v. n.v. dubbio vis. n.v. n.v. n.d. n.d. n.v. dubbio n.v. vis. n.v. vis. vis. n.v. vis. vis. Tabella 3 – Riepilogo delle valutazioni effettuate sulle immagini TC. Legenda: - = assente; + = lieve; ++ = moderato; +++ = grave; c:- = cisti assenti; c:+ = cisti presenti; s:= sclerosi assente; s:+ = sclerosi presente; n.v. = non visibile; vis. = visibile; n.d. = non determinabile Discussione Con il presente lavoro ci eravamo prefissati di valutare l’utilizzo dell’esame TC nella diagnosi di rottura/sovradistensione del legamento crociato craniale. Sebbene l’esame TC permetta di valutare al meglio i tessuti ossei, grazie al loro elevata densità, l’elevata risoluzione di contrasto della tecnica dovrebbe permettere, utilizzando l’idonea finestra di visualizzazione, di identificare anche i vari tessuti molli, intra-articolari ed extra-articolari, e, quindi, di stabilire se essi risultino danneggiati o meno. Nonostante queste premesse, non esistono in letteratura veterinaria, a nostra conoscenza, studi specifici tesi alla messa a punto o alla valutazione dell’esame TC nelle patologie del ginocchio del cane. Dai risultati ottenuti, è emerso che l’esame TC è altamente sensibile nell’individuazione delle reazioni osteofitosiche periostali (fig. 27) anche di lievissima entità, non visibili radiograficamente, ed ha consentito una agevole esplorazione della troclea femorale, della gola intercondiloidea e dell’incisura estensoria, sede di origine del tendine del muscolo estensore lungo delle dita, tutte strutture di difficile valutazione radiografica. L’indagine TC ha consentito di mettere in risalto in due articolazioni (casi nn. 1 e 11) la presenza di cisti dell’osso sub-condrale, evidenziate, nel nostro studio, sempre a livello del condilo femorale laterale. In un paziente (caso n. 4), inoltre, è stato possibile individuare la dilatazione di molti forami vascolari a livello della gola intercondiloidea (fig. 20). Questo segno, a nostro avviso, potrebbe essere un ulteriore indizio della imponente flogosi presente nell’articolazione patologica. In un paziente (caso n. 3) è stata riscontrata la formazione di una “neotroclea” femorale (fig. 21), in esito a concomitante lussazione mediale della rotula; in questo caso la rottura del legamento crociato craniale potrebbe essere conseguenza della dislocazione rotulea. La visualizzazione di questa alterazione risulta molto semplice nella TC, a differenza di quanto avviene con l’esame radiografico convenzionale che richiede una proiezione tangente di difficile esecuzione. Il distanziamento del sesamoide del popliteo, dal condilo tibiale laterale, è stato dimostrato sempre con grande facilità, soprattutto nei soggetti con lesione monolaterale in cui era stato studiato anche il ginocchio sano (figg. 22 – 23). In tutte le articolazioni patologiche, l’esame TC ha permesso di evidenziare con accuratezza la presenza di ispessimento capsulare e 59 legamentoso, ben visibile nelle sezioni tomografiche (fig. 24) e ancor meglio valutabile nelle ricostruzioni planari frontali (fig. 29). L’ispessimento è risultato più frequente sulla faccia mediale dell’articolazione (88,8% dei ginocchi patologici). Nei casi con ectasia degli sfondati articolari, la presenza di liquido si manifestava come aree, subcapsulari-intraarticolari, localizzate per lo più nei recessi caudali e intorno alla guaina del tendine del muscolo estensore lungo delle dita, lievemente ipodense rispetto alla capsula articolare e ai legamenti (fig. 25). Nelle ricostruzioni planari sagittali, l’ectasia era evidente con obliterazione del cuscinetto adiposo infrarotuleo. Nei casi in cui la lesione era monolaterale e lo studio comprendeva anche il ginocchio sano, l’obliterazione del cuscinetto infrapatellare era apprezzabile anche nelle scansioni assiali (fig. 25). Questo segno, a volte visibile anche radiograficamente, è estremamente facile da valutare con la TC grazie alla notevole differenza di densità esistente tra il grasso e i tessuti molli. Oltre all’ispessimento della capsula articolare, la TC ha consentito di individuare, sulla faccia laterale prossimale della tibia, il tendine dell’estensore lungo delle dita; esso appariva come un’area più densa rispetto alla sua guaina sinoviale, che così poteva essere valutata per eventuali ispessimenti (fig. 26). Nell’ambito della stessa guaina 60 sinoviale, in 15 articolazioni (83,3% dei ginocchi patologici) erano evidenti delle calcificazioni più o meno accentuate, a testimonianza della cronicità dell’instabilità articolare (fig. 27). Nel 77,7% dei casi è stato possibile identificare i menischi integri come delle strutture di forma semilunare a discretamente iperdensi rispetto ai tessuti intra-articolari contigui (fig. 28). In nessun soggetto è stato possibile identificare delle lesioni meniscali; ciò, probabilmente, è dovuto al fatto che, in caso di lesione meniscale, si verifica un restringimento dello spazio articolare e questo causa artefatti da volume parziale nelle scansioni che attraversano l’articolazione. In un soggetto (caso n. 1), sebbene lo spazio articolare laterale non fosse collassato, l’individuazione del menisco laterale è rimasta dubbia, potendosi osservare una zona a densità lievemente più elevata rispetto ai tessuti molli circostanti, ma senza la morfologia caratteristica del menisco. Nei soggetti di piccola taglia, dove lo spazio articolare è “fisiologicamente” ridotto, anche utilizzando fette sottili di 1 mm, non sempre è possibile condurre la scansione in maniera che passi esattamente al centro dello spazio articolare. Per questo sono frequenti gli artefatti da volume parziale dovuti ai condili femorali e ai tubercoli della spina tibiale. Nelle ricostruzioni planari frontali, risultava relativamente semplice evidenziare la presenza del collasso dello spazio articolare in uno dei 61 due versanti, laterale o mediale. I nostri risultati hanno messo in luce una prevalenza del collasso dello spazio intercondiloideo mediale. Questo dato è in accordo con precedenti studi secondo i quali la rottura del legamento crociato craniale è seguita da frequente danno al menisco mediale. In un solo soggetto (caso n. 4) tali spazi risultavano aumentati in entrambi i lati, a causa della notevole ectasia articolare presente (fig. 29). Pertanto, la mancata individuazione dei menischi nelle ricostruzioni frontali associata a collasso dello spazio articolare, è stata interpretata come segno indiretto di lesione meniscale. Nel nostro studio i legamenti crociati sono stati osservati solo nelle ricostruzioni planari. Il LCCr (fig. 30) è stato identificato con certezza in quasi tutte le articolazioni sane (5 su 6), come una banda intraarticolare relativamente densa con tipico decorso obliquo caudoprossimale-craniodistale. Per visualizzare al meglio il legamento, era necessario utilizzare ricostruzioni planari oblique di circa 20° in senso mediale rispetto al piano sagittale. La visualizzazione del LCCd (figg. 31 – 32) è stata sempre ottenuta nelle ricostruzioni planari sagittali. Questi dati sono in accordo con quanto descritto in precedenza per gli studi di RM del ginocchio (Widmer W.R. et al., 1994; Baird D.K. et al., 1998). L’individuazione del LCCr nelle articolazioni sane, probabilmente, è stata favorita dalla quasi costante presenza di piccole 62 quantità di tessuto adiposo e di liquido sinoviale che fornivano un adeguato contrasto con il tessuto legamentoso. Nelle articolazioni patologiche, invece, nel 44.4% dei casi era osservabile il solo legamento crociato caudale, che appariva curvato a convessità caudale come a testimoniare una condizione di mancata tensione, verosimilmente legata allo slittamento craniale della tibia rispetto al femore. Nelle articolazioni patologiche, la gola intercondiloidea, sede del LCCr, era di solito occupata da tessuto denso, moderatamente disomogeneo, senza una riconoscibile geometria “a nastro”. Pertanto riteniamo che la mancata visualizzazione del LCCr sia da considerare un segno indiretto, ma molto probabile, di rottura dello stesso. Le immagini provenienti da ginocchi studiati uno alla volta, si sono rivelate più semplici da valutare, poiché, in questi casi, il FOV utilizzato era più piccolo e, dunque, l’immagine appariva ingrandita. Pertanto, nell’impostare un esame TC del ginocchio, anche quando si vogliano esaminare entrambe le articolazioni, è preferibile effettuare lo studio separato prima di uno e poi dell’altro ginocchio. Senza l’impiego del mezzo di contrasto, contrariamente a quanto effettuato da Samii e Dyce, nella nostra esperienza, l’esame TC, oltre ai dati relativi ai tessuti ossei, ha consentito di ottenere precise informazioni sulle strutture legamentose e meniscali del ginocchio, 63 riducendo sensibilmente l’invasività della procedura. Sarebbe, comunque, utile condurre uno studio comparativo tra l’esame TC senza e con m.d.c., per valutare se sia realmente vantaggioso utilizzare la procedura contrastografica. 64 Conclusioni Il nostro studio dimostra che l’esame TC rappresenta un’indagine molto sensibile nella evidenziazione di alterazioni correlate alla rottura del legamento crociato craniale. Sebbene la TC esponga il paziente ad elevate quantità di raggi X, questi sono molto collimati sulla regione di interesse e, d’altra parte, i vantaggi dimostrati nel dare informazioni precise su lesioni, anche minime, sia dei tessuti ossei sia di quelli molli, giustificano il ricorso a tale tecnica di Diagnostica per Immagini. I nostri risultati ci permettono di stabilire che l’esame TC del ginocchio deve essere eseguito mediante scansioni assiali, parallele al piano articolare, utilizzando fette sottili contigue e, nei casi bilaterali o in quelli in cui si voglia, per confronto, studiare anche il ginocchio sano, esaminando un ginocchio alla volta. Le ricostruzioni planari frontali permettono di valutare eventuali lesioni meniscali e ispessimenti dei legamenti collaterali e/o della capsula articolare. Le ricostruzioni planari sagittali permettono di visualizzare il legamento crociato caudale, mentre, per visualizzare il legamento crociato craniale sono necessarie ricostruzioni oblique di circa 20° in senso mediale rispetto al piano sagittale. 65 Con una discreta esperienza l’operatore può interpretare agevolmente le immagini tomografiche assiali e le relative ricostruzioni. L’esame TC non consente di vedere direttamente la lesione sul legamento crociato craniale, ma fornisce molti segni indiretti dell’avvenuta rottura di tale struttura. In conclusione, si può affermare che l’esame TC, in caso di sospetta rottura/sovradistensione del legamento crociato craniale, è una tecnica di Imaging estremamente sensibile in grado, non solo di confermare la diagnosi, ma anche di stabilire, con una accuratezza molto superiore all’esame radiografico, la gravità delle lesioni osteo-articolari secondarie e, quindi, di formulare una prognosi più precisa e, naturalmente, di fornire un prezioso aiuto nel processo decisionale dell’approccio chirurgico. 66 Tavola delle immagini TC 67 Fig. 20 – Caso 4: Nel ginocchio destro è visibile l’ectasia dei forami vascolari al di sopra della gola intercondiloidea, probabile segno di flogosi. Fig. 21 – Caso 3: Il ginocchio sinistro presenta una “neotroclea” e l’osso subcondrale corrispondente appare sclerotico. 68 Fig. 22 – Caso 4: A – articolazione dx patologica. B – articolazione sn sana (per confronto). È evidente, nell’articolazione patologica, il distanziamento del sesamoide del popliteo, che presenta caratteristica morfologia “a cuneo” dalla superficie caudale del condilo tibiale laterale. 69 Fig. 24 - Caso 10 – Ispessimento della capsula e del leg. collaterale mediale. Il ginocchio sinistro, patologico, presenta un ispessimento della capsula e del leg. collaterale, più marcato sul versante mediale. Fig. 25 – Caso 10: Sulle superfici laterale e mediale dei labbri trocleari del ginocchio sn sono evidenti piccole formazioni osteofitosiche. Nell’articolazione patologica si può notare anche la parziale obliterazione del cuscinetto adiposo infrapatellare. 70 Fig. 26 – Caso 4: Ispessimento ed estasia della guana sinoviale del tendine del m. estensore lungo delle dita. A destra, è evidente il tendine, discretamente iperdenso, circoscritto materiale relativamente ipodenso (liquido sinoviale) e da una sottile banda con densità sovrapponibile a quella del tendine (guaina sinoviale ispessita). A sinistra è visibile l’aspetto normale del tendine e della relativa guaina in un ginocchio normale. 71 Fig. 27 – Caso 1 Osteofitosi tibiale e calcificazione della guaina del tendine del m. estensore lungo delle dita. Sono evidenti multiple irregolari formazioni calcifichi periostali, lungo i profili dei condili tibiali, più intense medialmente, e la caratteristica calcificazione “a C” della guaina del tendine del muscolo estensore lungo delle dita. È evidente, anche se solo parzialmente, il sesamoide del popliteo moderatamente distanziato dal condilo tibiale laterale. 72 Fig. 28 – Caso 12: Menisco laterale. In questa scansione assiale, passante per il centro dell’articolazione del ginocchio dx, è ben visibile il menisco laterale come una formazione discretamente iperdensa con tipica forma semilunare. Medialmente, sono evidenti artefatti da volume parziale dovuti al condilo femorale mediale. 73 Fig. 29 – Caso 4: Menisco laterale e ispessimento della capsula e del leg. collaterale mediale. Ricostruzione planare frontale di ginocchio destro. Tra i condili laterale del femore e della tibia, è visibile un formazione leggermente densa “a virgola” riferibile al menisco laterale. Tale formazione non è visibile nello spazio mediale dove invece si apprezza una lieve riduzione dell’ampiezza. È, inoltre, visibile l’ispessimento della capsula articolare e del leg. collaterale mediale. 74 Fig. 30 – Caso 14: Legamento crociato craniale. Ricostruzione obliqua 20° di ginocchio destro sano. È visibile una formazione leggermente densa “a banda” con andamento obliquo caudoprossimale-craniodistale riferibile al leg. crociato carniale. 75 Fig. 31 – Caso 14: Lgamento crociato caudale. Ricostruzione sagittale del ginocchio destro sano. Il legamento crociato caudale appare come un nastro moderatamente denso con andamento curvilineo a convessità caudale. Fig. 32 – Caso 14:Obliterazione del cuscinetto adiposo infrapatellare. Ricostruzione sagittale del ginocchio sinistro patologico. Si apprezza lo “schiacciamento” del cuscinetto da parte della capsula articolare ectasica. È visibile, in parte, il legamento crociato caudale. 76 Bibliografia Altόnaga J.R., Orden J.M.G., Orden A.: Modelos animales de experimentaciόn muscoloesquelético, en resonancia in “Resonancia magnética Magnética del del sistema sistema muscoloesquelético”, ed. on line SERAM (www.seram.es): 227-231. Arnoczky S.P., Marshall J.L.: The cruciate ligaments of the canine stifle: an anatomical and functional analysis. 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