La compensazione «impropria» (o «atecnica»)
Quesito n. 37
Tizio, ex agente della compagnia di assicurazioni Alfa, chiede ed ottiene in giudizio la condanna della predetta compagnia al pagamento, in suo favore, della
somma di euro centomila a titolo di competenze di fine rapporto.
Alfa, tuttavia, aveva trattenuto le predette somme a titolo di risarcimento del danno subito per la mancata vigilanza che Tizio aveva tenuto su un suo sub-agente
che aveva emesso una polizza di assicurazione, dopo la verificazione del sinistro
con effetto retroattivo, non consentendo alla compagnia di opporre valide ragioni alla richiesta di pagamento dell’indennizzo da parte del danneggiato.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Alfa, rediga parere motivato.
Svolgimento
La compensazione è l’elisione di due reciproche obbligazioni, fino al limite della loro concorrenza. L’art. 1241 c.c. stabilisce, infatti, che «quando due
persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti».
Tale istituto rientra tra i modi di estinzione delle obbligazioni diversi
dall’adempimento, e in particolare tra i modi satisfattivi, comportando la
realizzazione, da parte di ciascun soggetto, del proprio diritto e il soddisfacimento dell’interesse ad essere liberati dalla propria obbligazione.
In questa prospettiva ciascuna della parti vede estinto il proprio credito in
quanto acquisisce il valore economico della liberazione dal proprio debito.
La regola su esposta comporta che quando un creditore chieda il pagamento
al proprio debitore, che sia contemporaneamente creditore nei confronti del
primo, questi anziché adempiere possa opporre, salvo patto contrario, l’esistenza del proprio controcredito, provandola, e dunque opporre la compensazione.
Presupposto per l’operare della compensazione è la reciprocità dei debiti,
che devono essere relativi a distinti e autonomi rapporti, anche collegati. È da
osservare che, ai fini della compensazione, rilevano i rapporti intercorrenti tra
le parti sostanziali: da ciò deriva che il debitore non può opporre in compensa-
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zione il suo credito personale verso il rappresentante, né il debitore principale
può opporre in compensazione il credito del fideiussore. Il fideiussore, invece,
può opporre in compensazione il credito del debitore principale.
Ai fini del requisito della reciprocità non è decisivo che vi sia diversità di soggetti, ma piuttosto è determinante la dualità dei patrimoni su cui incide il fenomeno compensativo: può, dunque, accadere che il credito appartenga ad un
certo patrimonio e il debito ad un altro, pur potendo essere unico il proprietario.
Tale meccanismo risponde, innanzitutto, ad un criterio di economia degli atti
giuridici, consentendo di evitare di dar luogo a due adempimenti reciproci,
prevedendo la possibilità per le parti di conseguire un risultato economico direttamente realizzabile mediante il venir meno delle reciproche pretese.
L’istituto si collega, altresì, ad un criterio di garanzia della realizzazione
del credito stesso, evitando al creditore il pericolo dell’insolvenza del proprio
debitore. Nell’ipotesi in cui non esistesse il meccanismo della compensazione,
infatti, il debitore-creditore non potrebbe rifiutare il pagamento, anche in presenza di un inadempimento da parte del proprio creditore-debitore, relativo alla
prestazione a lui dovuta.
La giurisprudenza risalente sottolinea che affinché possa prospettarsi la compensazione, ai sensi dell’art. 1241 c.c., è sufficiente che fra due soggetti intercorrano rapporti di debito-credito liquidi ed esigibili, ovvero che possa riscontrarsi
una reciproca e autonoma posizione debitoria e creditoria, non rilevando l’identità del titolo da cui le reciproche posizioni debitorie traggano origine, purché i
reciproci crediti siano autonomi e non interdipendenti. Nell’ipotesi in cui tale
autonomia difetti a causa del confluire delle varie posizioni creditorie e debitorie
delle parti contrapposte in un’unica situazione debitoria e creditoria dovrà, quindi, escludersi l’operatività della compensazione (Cass. 6-7-1982, n. 2233).
La legge distingue tre forme di compensazione: la compensazione legale,
la compensazione giudiziale e la compensazione volontaria.
L’istituto opera diversamente, e in base a presupposti differenti, a seconda
dell’ipotesi specifica.
L’art. 1243 c.c. prevede come requisiti fondamentali per la compensazione
legale l’omogeneità, la fungibilità, la certezza, la liquidità e l’omogeneità dei
debiti oggetto di compensazione.
In particolare, i requisiti della omogeneità e della fungibilità riguardano l’oggetto delle obbligazioni da compensare: è previsto, infatti, che i debiti siano
«dello stesso genere», ovvero omogenei, nonché intercambiabili, ovvero fungibili e quindi idonei ad essere reciprocamente sostituiti senza che con ciò venga
alterata la struttura del rapporto.
Ai sensi della disposizione in esame la compensazione legale opera, infatti,
tra debiti pecuniari che hanno ad oggetto una somma di denaro o una quantità
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di cose fungibili dello stesso genere. Essa ha luogo, dunque, innanzitutto tra
debiti pecuniari della stessa valuta o pagabili nella stessa valuta, nonché tra
prestazioni fungibili dello stesso genere o qualità.
Il requisito della certezza, invece, fa riferimento al fatto che deve trattarsi di
rapporti non derivanti da negozi soggetti a condizione sospensiva. Più precisamente la certezza comprende anche la determinatezza dei rapporti, sia per ciò
che riguarda le persone dei titolari, sia per quanto riguarda l’oggetto: deve, infatti, trattarsi di rapporti la cui determinazione non sia rimessa all’esercizio di
poteri discrezionali o a fattori obiettivamente incerti.
In giurisprudenza la certezza è intesa anche come certezza processuale, ovvero non contestazione del diritto stesso: deve pertanto trattarsi di rapporti accertati mediante sentenza passata in giudicato o di rapporti non contestati processualmente, salvo in quest’ultimo caso, che siano addotte prove documentali sicure.
Al riguardo la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che il carattere
della certezza difetta nell’ipotesi in cui il credito sia riconosciuto da una sentenza
o da altro titolo provvisoriamente eseguibile, in quanto la provvisoria esecutività
facoltizza solo la temporanea esigibilità del credito determinato nel suo ammontare ma non ne comporta la irrevocabile certezza (Cass. 13-5-1987, n. 4423).
Un credito può, poi, dirsi determinato con precisione nel suo ammontare,
ovvero determinabile mediante un processo di puro calcolo sulla base di elementi aritmetici (Cass. 18-4-1966, n. 961).
L’indispensabilità della concreta determinazione dell’ammontare dei relativi
crediti, ai fini dell’operatività della compensazione legale, si coglie dalla lettura
stessa dell’art. 1241 c.c. laddove prevede che i debiti contrapposti si estinguano
per le quantità corrispondenti. L’incertezza sull’ammontare del debito impedisce
la compensazione perché rende incerta la misura in cui le reciproche posizioni
dovrebbero estinguersi. L’illiquidità non implica, però, incertezza sul titolo e non
esclude, quindi, che la compensazione possa essere disposta dal giudice.
Ultimo requisito è la esigibilità dei crediti, ovvero la scadenza del termine
previsto per l’adempimento e la mancanza di altri impedimenti giuridici all’esercizio della pretesa creditoria.
Un credito è esigibile quando può essere fatto valere in giudizio al fine di
ottenere una sentenza di condanna. Sono da escludersi, dunque, i crediti nascenti da una obbligazione naturale o da un negozio sottoposto a condizione
sospensiva o a termine dilatorio, prima che la condizione si sia avverata o il
termina sia scaduto, non producendosi altrimenti effetti.
Un credito nascente da un negozio sottoposto a condizione risolutiva è invece esigibile, perché immediatamente efficace.
Un’eccezione è prevista dall’art. 1244 c.c. che prevede che qualora il termine
sia scaduto, la dilazione accordata gratuitamente dal creditore non è di ostacolo
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alla compensazione: tale regola risponde all’esigenza di evitare un pregiudizio
che rivesta i caratteri dell’abuso, a carico del concedente.
La giurisprudenza ha precisato che i requisiti prescritti devono intendersi in
base a criteri obiettivi, indipendentemente dal riconoscimento della controparte:
ne consegue che ben può intendersi liquido ed esigibile anche un credito litigioso, qualora sussistano in concreto i requisiti stessi che, se in contrasto fra le parti,
possono essere accertati in giudizio: la conseguenza sarà che, se il credito sussisteva già con i requisiti richiesti, la sentenza che riconosca detta situazione avrà
natura meramente dichiarativa del fatto estintivo risalente al giorno della coesistenza obiettiva dei due crediti (Cass. 21-4-1971, n. 1532; Cass. 21-4-1975, n. 1532).
Gli effetti della compensazione legale sono fissati dall’art. 1242 c.c., che stabilisce che i debiti sono estinti per effetto della compensazione dal giorno della loro coesistenza ma che il giudice non possa rilevarla d’ufficio.
La regola dell’estinzione al momento della coesistenza rileva anche con riferimento al problema della prescrizione: l’art. 1242 c.c. prevede, infatti, che la
prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si
è verificata la coesistenza dei due debiti.
L’efficacia estintiva della compensazione legale è, dunque, immediata e scaturisce ope legis dalla coesistenza dei debiti reciproci, sempre che sussistano i
presupposti prescritti. La pronuncia del giudice che intervenga dopo che il debitore abbia manifestato la volontà di far valere la compensazione si risolverà,
dunque, in un accertamento dell’estinzione dei reciproci crediti delle parti fin
dal momento in cui sono venuti a coesistenza (Cass. 21-5-1979, n. 2916).
Verificandosi l’estinzione dei debiti per il fatto oggettivo della loro coesistenza, la dichiarazione giudiziale della parte che oppone la compensazione legale
equivale a manifestazione di volontà diretta a giovarsi di un effetto già verificatosi e la pronuncia del giudice non fa che accertare l’avvenuta estinzione, per
compensazione legale, dei contrapposti debiti e crediti, con effetto ex tunc. Tuttavia, considerando che la compensazione legale ha per presupposti la liquidità
e l’esigibilità dei crediti, l’effetto estintivo si produrrà non già dalla data della
coesistenza dei fatti giuridici da cui sorgono i crediti e i debiti contrapposti, bensì da quella in cui coesistono crediti liquidi ed esigibili (Cass. 5-6-1976, n. 2037).
La non rilevabilità d’ufficio comporta che il soggetto che voglia avvalersi
della compensazione abbia l’onere di eccepirla: la compensazione rientra, dunque, tra le eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti, ai sensi dell’art.
112 c.p.c.
L’eccezione di compensazione può essere opposta dal debitore principale,
dal fideiussore, dal garante reale (ex art. 1244 c.c.) e dal condebitore solidale.
La proposizione di tale eccezione non richiede formule sacramentali: pertanto essa può ritenersi ritualmente e tempestivamente proposta laddove il conve-
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nuto, nell’effettuare i conteggi delle somme spettanti all’attore, ha portato in
detrazione l’importo del proprio contrapposto credito (Cass. 24-4-1980, n. 406495).
Il secondo comma dell’art. 1243 c.c. disciplina, invece, l’ipotesi della compensazione giudiziale, ovvero la compensazione che avviene per effetto di
una pronuncia del giudice, che non può, però, essere emessa d’ufficio, coerentemente con il disposto dell’art. 1242 c.c. (Cass. 1-4-1995, n. 3823).
La compensazione giudiziale è configurabile quando non può operare la
compensazione legale, in quanto uno dei debiti (o entrambi) non è liquido: come
condizione di operatività è, però, previsto che il debito opposto in compensazione, anche se non liquido, sia di facile e pronta liquidazione.
In tal caso il giudice può dichiarare la compensazione per la parte di debito
che riconosce esistente e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino all’accertamento del credito opposto in compensazione.
La sentenza con cui viene pronunciata la compensazione giudiziale ha, dunque, valore costitutivo ed opera ex nunc, e dunque gli effetti non retroagiscono
al momento della coesistenza dei debiti: ciò distingue tale ipotesi di compensazione da quella legale, dove la sentenza che la dichiara è di mero accertamento
e opera ex tunc (Cass. 16-5-1975, n. 1924).
Da ciò deriva l’inestensibilità alla compensazione giudiziale del principio
secondo il quale la compensazione può operare anche relativamente ad una
ragione creditoria già prescritta al momento della coesistenza, potendo la compensazione in parola aver luogo soltanto ope iudicis, con la conseguenza che
non può verificarsi l’effetto dell’estinzione dei due debiti dal giorno della loro
coesistenza (Cass. 7-2-1998, n. 1298).
Il codice prevede delle norme comuni ai due tipi di compensazione esaminati: l’art. 1246 c.c. dispone, ad esempio, che la compensazione (sia essa legale
o giudiziale) si verifichi qualunque sia il titolo dell’uno o dell’altro debito, e
stabilisce dei casi tassativi in cui i crediti non sono compensabili, e più precisamente: il credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato; quelli per la restituzione di cose depositate o date in comodato; i crediti dichiarati impignorabili; i crediti per i quali vi sia stata preventivamente, da parte del debitore, una rinuncia alla compensazione; e infine le
ipotesi di divieto stabilito ex lege (ad es. l’art. 56 l. fall.).
A seguire l’art. 1247 c.c. concede il potere di eccepire la compensazione al
fideiussore e al terzo ipotecario o datore di pegno. Tale disposizione legittima,
dunque, l’opposizione della compensazione da parte di soggetti interessati
all’estinzione ma che non si trovano direttamente in un rapporto di reciprocità
rispetto al creditore.
L’art. 1248 c.c. stabilisce, poi, i criteri di operatività della compensazione
relativamente al caso di cessione del credito: nel caso in cui il debitore abbia
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accettato puramente e semplicemente la cessione del credito ad un terzo non
potrà poi eccepire al cessionario la compensazione che avrebbe potuto eccepire al cedente. Nella diversa ipotesi, prevista dal secondo comma, in cui la cessione non sia stata accettata ma sia stata comunque notificata al debitore la
compensazione sarà impedita rispetto ai crediti sorti posteriormente alla notificazione.
L’art. 1249 c.c prevede, infine, che in caso di una pluralità di debiti compensabili si applichi la disciplina prevista dall’art. 1193 c.c. in tema di adempimento delle obbligazioni, e in particolare rinvia ai criteri di imputazione del pagamento laddove manchi un’espressa dichiarazione del debitore.
Rilevanti sono poi gli articoli previsti al fine di tutelare il terzo che potrebbe
essere danneggiato dalla vicenda compensativa: l’art. 1250 c.c. prevede, infatti,
che la compensazione non possa verificarsi in pregiudizio dei terzi che abbiano
acquistato diritti di usufrutto o di pegno su uno dei crediti, in periodo anteriore
al momento di coesistenza dei debiti.
L’art. 1251 c.c. pone un’altra regola volta alla tutela dei terzi, prevedendo che
chi ha pagato un debito mentre poteva invocare la compensazione non può più
valersi, in pregiudizio di terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo
credito, salvo che ne abbia ignorato l’esistenza per giusti motivi.
Oltre alla compensazione legale e a quella giudiziale vi è, infine, una terza
forma di compensazione, ovvero quella volontaria, prevista dall’art. 1252 c.c.
Può, infatti, darsi luogo a compensazione anche sulla base dell’accordo delle parti, a prescindere dai requisiti previsti per la compensazione legale e giudiziale, danno così luogo ad una compensazione negoziale. Ciò avviene mediante un contratto che rientra nella categoria dei contratti estintivi e tale tipo di
compensazione può essere diretta sia ad estinguere direttamente determinati
rapporti giuridici, sia a fissare le condizioni necessarie e sufficienti per il prodursi dell’effetto compensativo, dando così luogo ad un patto di compensazione, così come previsto dal secondo comma.
Nell’ipotesi della compensazione è, dunque, la volontà dei soggetti a dar luogo
alla fattispecie compensativa attraverso la stipula di un contratto estintivo: l’effetto
compensativo si realizzerà, secondo alcuni, proprio dal momento della stipula o
dal diverso momento pattuito, e non dalla coesistenza dei crediti. La giurisprudenza, invece, è incline a riconoscere il momento estintivo nella coesistenza dei crediti, al pari di quanto avviene nella compensazione legale (Cass. 28-10-1969, n. 3551).
La compensazione volontaria si concretizza, dunque, in un negozio bilaterale diretto ad elidere le reciproche ragioni di credito, previo riconoscimento
della loro esistenza. Ai fini dell’eccepibilità di detta compensazione, pertanto, è
necessaria la dimostrazione di un incontro di volontà delle parti nel senso indicato (Cass. 12-1-1984, n. 253).
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Anche se non deve rispettare tutti i requisiti richiesti per gli altri due tipi di
compensazione, tale forma di compensazione non può operare in assenza di
qualsivoglia presupposto: in particolare, essa non può non rispettare il requisito della reciprocità dei crediti né derogare i divieti di legge previsti dall’art.
1246 c.c.
È, dunque, superabile solo il difetto delle altre condizioni per la compensazione, quali la liquidità, l’omogeneità e l’esigibilità del credito.
È da sottolineare che la compensazione volontaria ha il medesimo fondamento di quella legale, ovvero l’economia degli adempimenti e che, così come
quest’ultima, essa non può essere rilevata d’ufficio.
Dall’esame dell’istituto della compensazione abbiamo rilevato come uno
dei presupposti per la sua operatività sia l’autonomia dei rapporti ai quali i crediti e i debiti delle parti si riferiscono, che non devono essere legati da
un nesso di sinallagmaticità.
La giurisprudenza da sempre fa costante richiamo a tale requisito e spiega
che nell’ipotesi in cui, invece, i crediti e debiti siano inerenti al medesimo rapporto, questi costituiscono voci attive e passive dello stesso, che vanno dunque
accertate in un unico conteggio di dare e avere, al di fuori dei limiti e dei divieti previsti dalla disciplina della compensazione (Cass. 4-12-1967, n. 2879).
Le regole dettate dagli articoli 1241-1252 c.c. si riferiscono alla compensazione in senso proprio, o tecnico, la quale presuppone appunto tale autonomia tra i crediti.
Tale disciplina non trova invece applicazione con riguardo, sia alle regole sostanziali come quella relativa alla prescrizione, sia a quelle processuali come
quella della non rilevabilità d’ufficio, nell’ipotesi in cui i debiti reciproci siano originati da un unico rapporto.
In tal senso si è pronunciata la Cassazione con riferimento, ad esempio,
all’ipotesi di reciproci crediti al risarcimento derivanti da un unico evento prodotto dalle concomitanti azioni colpose, presunte tali ex art. 2054 c.c.:
in tale ipotesi è stato osservato che non può aver luogo una compensazione in
senso proprio ex art. 1241 c.c. e ss., bensì si avrà un mero accertamento di dare
e avere, con l’elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (Cass. 25-8-2006, n. 18498).
È importante osservare che in tal caso il giudice può procedere a tale
accertamento senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la domanda
riconvenzionale. Si parla a tal proposito di compensazione «impropria», o
«atecnica», la quale pur potendo dar luogo ad un risultato analogo a quello
della compensazione propria non è per questo soggetto alla relativa disciplina
tipica. Ad esempio, non trovano applicazione i limiti previsti dall’art. 1246 c.c.
per la compensabilità dei crediti.
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Quesito n. 37
Quando manchi il requisito dell’autonomia dei contrapposti rapporti di credito si procederà, dunque, con un semplice calcolo aritmetico, ad un’operazione contabile di dare e avere, in un unico rapporto bilaterale o in due rapporti
subordinati (Cass. 3-8-2004, n. 14808).
Al fine della ricorrenza o meno del requisito dell’autonomia, l’identità del
rapporto non è esclusa dal fatto che uno dei due crediti sia di natura risarcitoria, derivando da inadempimento (Cass. 15-3-1983, n. 1905); né è esclusa dalla
circostanza che un credito sia di valore, in quanto risarcitorio dell’inadempimento del rapporto stesso, e l’altro di valuta poiché in tal caso la valutazione delle
rispettive pretese si risolve in un mero accertamento contabile di dare e avere
(Cass. 11-3-1997, n. 2171).
L’unicità del rapporto esclude, dunque, la configurabilità della compensazione tecnica e della sua disciplina, e dà luogo piuttosto ad una «compensazione atecnica», in base alla quale si procede ad un accertamento che ha la
funzione di individuare il dare e l’avere tra le parti, in modo da pervenire all’esatta individuazione dell’effettivo credito, senza necessità di un’eccezione di parte
(Cass. 5-12-2008, n. 28855, conf. Cass. 14688/2012).
Tale indirizzo è stato ribadito anche dalla successiva pronuncia n. 7624 del
30-3-2010 proprio chiamando in causa l’unicità del rapporto quale giustificazione
della compensazione cosiddetta atecnica riaffermando che l’autonomia del giudice non comporta in ogni caso il riconoscimento di poteri officiosi d’indagine.
In caso di compensazione impropria, infatti, è fatta salva per le parti la facoltà di sollecitare in corso di causa, senza incorrere in alcuna decadenza, l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare e avere
derivanti dall’unico rapporto (Cass. 15-10-2004, n. 20324).
Non è neanche possibile obiettare che i crediti da considerare ai fini della
compensazione cd. atecnica debbano essere previamente accertati in un apposito giudizio: si osserva, infatti, a tal proposito che l’accertamento del dare ed
avere va compiuto in un unico contesto giudiziario, perché si tratta di un’operazione che è funzionale alla verifica di quanta parte della pretesa vantata possa
realmente essere riconosciuta. Tant’è che la giurisprudenza afferma che quando
si discute in giudizio della sussistenza dei crediti derivanti da un unico rapporto,
la controversia tra le parti sulla misura di tali crediti comporta l’accertamento del
dare e dell’avere nell’ambito di quel rapporto, senza che sia necessaria la proposizione di un’apposita domanda riconvenzionale o di un’apposita eccezione
di compensazione che postulano, piuttosto, l’autonomia dei rapporti ai quali i
crediti si riferiscono (Cass. 16-5-1981, n. 3220; da ultimo la cit. Cass. 5-12-2008,
n. 28855).
Stando a quanto sinora affermato e tornando alla fattispecie oggetto di parere si può concludere, con la più recente giurisprudenza (Cass. 23539/2011),
La compensazione «impropria» (o «atecnica»)
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che:«quando le contrapposte ragioni di credito delle parti trovino origine nel
medesimo rapporto si è in presenza di una compensazione in senso improprio,
e le parti possono sollecitare in corso di causa l’accertamento contabile del saldo
finale delle contrapposte partite». Alfa avrà dunque buone probabilità di successo in un eventuale appello.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
(V. amplius SIMONE, Codice Civile Commentato – C1, ed. 2014)
In relazione all’estinzione per compensazione:
• art. 1241 c.c.: Ambito di applicabilità.
In relazione agli effetti della compensazione:
• art. 1242 c.c.: Generalità. Effetti e presupposti della compensazione; Istanza
di compensazione.
In relazione alla compensazione legale e giudiziale:
• art. 1243 c.c.: Generalità e criteri di distinzione tra compensazione legale
e compensazione giudiziale; Compensazione legale. Presupposti e requisiti; Liquidità ed esigibilità del credito; Certezza del diritto; Compensazione
giudiziale. Presupposti e requisiti.
In relazione ai casi in cui la compensazione non si verifica:
• art. 1246 c.c.: Profili generali.
In relazione alla compensazione volontaria:
• art. 1252 c.c.: Profili generali.
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