Anno VIII ISSN 1970-741X PROFESSIONE: CHIRURGO TRA STRESS E CONTENZIOSO SIGASCOT: IL PUNTO SUL TRATTAMENTO DEL MENISCO Numero 4/2013 EVIDENZE SCIENTIFICHE SUGLI INTEGRATORI ALIMENTARI L EDITORIALE Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. I comma I, DCB Milano Taxe Perçue ’ i n t ORTHOVIEWS LA RICERCA NEL MONDO e r v i s t a L ’ i n t e r v i s t a Universalità del sistema e partnership con il privato Secondo i dati di un’indagine del Censis presentata recentemente, oltre il 38% degli italiani negli ultimi due anni ha fatto ricorso almeno una volta alla sanità privata per visite mediche, esami, analisi o interventi. È stato sostenuto che il motivo principale sarebbe da ricercare nelle lunghe liste d'attesa, punto sempre dolente del Servizio sanitario nazionale. Ma io credo che siano anche altri, e più importanti, i motivi che hanno spinto i pazienti verso le strutture di cura private: i costi anzitutto. Quanto costa curarsi in tempo di crisi? Sempre di più. Al punto che molti italiani rinunciano. Il superticket di Tremonti, la spending review di Monti, le varie leggi finanziarie hanno ampliato la "compartecipazione" del cittadino alla sanità pubblica, con il risultato che il check up si accantona o rimanda a tempi migliori, a meno che non sia imprescindibile, e molto spesso si opta per la struttura convenzionata, con una lista d'attesa accettabile, talvolta meno costosa di ospedali e ambulatori pubblici. Insomma, a livello politico sembra che una visione generale di insostenibilità del servizio pubblico stia diventando un pretesto per non cercare risposte efficienti a invertire la rotta, e che quindi non vengano messe in campo tutte le risorse necessarie per potere garantire il suo funzionamento e i livelli essenziali di assistenza. Ma in questo modo nell’opinione pubblica, che non troverà più risposte nel Ssn, si determina la convinzione che il Ssn sia finito. E sul fronte dei medici? Molti optano per il privato per scelta, altri per necessità: assenza di concorsi e contrat- >> >> CONTINUA A PAGINA 3 Augusto Palermo Il chirurgo ortopedico nell’ospedalità privata SCONTO SPECIALE 2013 POLIZZA Giovane Medico IL QUESITO DIAGNOSTICO POLIZZA POLIZZA DIPENDENTE ORTOPEDICO DANNO ERARIALE da RIVALSA per COLPA GRAVE Libero Professionista Polizze R.C. Professionale wwww.winformweb.it La cura dell’ernia non invasiva GRIFFIN EDITORE www.griffineditore.it - [email protected] CORSI E CONGRESSI << << FACTS&NEWS Dal pubblico al privato ma le criticità non mancano 2 LE PRIORITÀ DELLA SICOOP Medici sempre più in fuga verso il settore privato. Il rischio è che le condizioni contrattuali gli chiedano di raggiungere solo numeri e budget, mettendo da parte tutti gli aspetti deontologici della professione Il tredicesimo congresso della Sicoop (Società italiana chirurghi ortopedici dell’ospedalità privata) è alle porte. Si terrà a Genova il 21 e 22 giugno e sarà presieduto da Augusto Palermo. Forte di un’esperienza di quasi 5.000 impianti fra protesi d'anca e di ginocchio da primo operatore, il dottor Palermo esercita attività chirurgica e ambulatoriale, occupandosi di chirurgia protesica ricostruttiva dell'anca e del ginocchio presso diverse strutture private. Ha inoltre fondato il Goa, Gruppo ortopedici associati, al fine di offrire ai pazienti una consulenza chirurgica superspecialistica per le diverse patologie ortopediche. È dunque l’interlocutore più adatto per affrontare per Tabloid di Ortopedia il tema dell’ospedalità privata nei tempi di crisi in cui ci troviamo a vivere e lavorare. Dottor Palermo, qual è la situazione dell’ospedalità privata e quali conseguenze hanno avuto i tagli imposti dalle Regioni in nome della spending review? L'ospedalità privata riveste oggi un ruolo di primissimo piano nel panorama chirurgico e non solo della sanità italiana. La qualità crescente e l'ottimizzazione dei servizi erogati al paziente hanno fatto sì che le strutture private, accreditate con il sistema sanitario nazionale, abbiano assunto un ruolo chiave nella risoluzione del grave problema delle liste di attesa, che le strutture pubbliche non sempre sono in grado di risolvere. I tagli imposti alle Regioni dalla spending review hanno purtroppo generato un grande problema e diventa sempre più difficile ottenere le risorse necessarie al veloce flusso dell'attività, in special modo chirurgica. L'abbattimento dei budget regionali ha rallentato molto questo valore aggiunto delle strutture private. In alcune Regioni si parla anche di un rischio di chiusura di certe strutture. In molte Regioni si è creato effettivamente l'allarme chiusura di molti ospedali e case di cura privati, poiché il decreto Balduzzi minacciava proprio la sospensione di attività delle strutture che avessero meno di 80 posti letto. La ragione del rischio non è stata solo questa ma anche, come dicevo prima, il drastico abbattimento del budget disponibile; questo ha mandato profondamente in crisi molte cliniche “isolate”, favo- rendo invece la sopravvivenza dei grandi gruppi sanitari, per ovvie ragioni di maggior solidità economica. Com’è cambiato negli ultimi tempi il rapporto con le aziende del settore? Il rapporto con le aziende del settore è entrato in alcune realtà in profonda crisi, proprio perché le strutture private, nel tentativo di contenere i costi, hanno avuto la necessità di richiedere un forte abbattimento dei prezzi (per esempio delle protesi articolari). In questi anni abbiamo assistito alla crescita imponente dei corsi di formazione, masterclass dedicati, orthoforum e incontri scientifici di alto livello organizzati dalle aziende fornitrici con i loro stessi mezzi. Metterle in crisi significa rischiare di porre a serio repentaglio anche la formazione. Non dimentichiamo che oggi tutti i congressi sono supportati economicamente dalle aziende fornitrici. Il mio timore è che tagliare le gambe alle aziende possa abbattere l'unica fonte reale di sostentamento per la formazione, purtroppo sempre più affidata all'iniziativa dei singoli pubblici e privati, senza un adeguato sistema di controllo. Sarebbe auspicabile che, in una logica di ridimensionamento dei posti letto e di riduzione della spesa del Servizio sanitario nazionale, si stabilisse una forte integrazione tra pubblico e privato. Quali sono i problemi più scottanti che deve affrontare il chirurgo ortopedico che opera in un ospedale privato? Il più grande problema che l'ortopedico deve affrontare in un ospedale privato è spesso il rapporto con la proprietà di quell'ospedale. Oggi i gruppi sanitari forti possono garantire mezzi, sicurezza e qualità, ma il chirurgo non deve assolutamente scendere a patti solo e unicamente per assicurare numeri e budget. Non dimentichiamo la centralità del paziente! Ecco perché un chirurgo con forte potere contrattuale deve assolutamente farsi garantire mezzi di qualità, sicurezza per il paziente e sicurezza per se stesso. Molto spesso il sistema sanitario privato attuale rischia di inghiottire in questa spirale perversa il singolo chirurgo ed è per questo che sostengo da alcuni anni che i chirurghi ortopedici hanno il dovere di associarsi per difendersi. L'unione fa la forza, lo sappiamo bene. E avere un mag- gior potere contrattuale permette di ottenere un rapporto più equilibrato con la proprietà della struttura privata. Sostengo personalmente con forza questa idea, tanto da aver fondato tre anni fa il Gruppo ortopedici associati, con la finalità di accorpare più specializzazioni chirurgiche nell'ambito dell'ortopedia, e proprio per ottenere un supporto reciproco chirurgico ma anche logistico su più strutture private. È profondamente diverso discutere il proprio contratto con le cliniche in qualità di gruppo piuttosto che da singolo chirurgo. Lavorare nel privato oggi impone di essere anche un manager, occupandosi di lavorare in modo lungimirante e costruttivo anche verso il futuro. La Sicoop, nella fattispecie, avrà certamente un grande futuro, proprio per l'imponente crescita dell'attività a favore dei giovani nel post specializzazione e per il supporto delle eccellenze che trasmigrano dal pubblico al privato. Che tipo di contratti si stipulano tra ortopedici e ospedali privati? I contratti che si stipulano con gli ospedali privati possono essere di tipo libero professionale oppure di dipendenza o formule miste. Personalmente ritengo che, se si è capaci di essere buon manager di se stessi, sia da preferire un rapporto libero professionale, purché si rimanga nelle regole dell’etica professionale. Ringraziando il dottor Palermo per il saluto e l'augurio formulato nella sua intervista, vengo a descrivere le priorità della nostra società scientifica. Essere riconosciuti come terzo componente attivo nel panorama dell’ortopedia nazionale farà sì che venga riconosciuta quantitativamente e qualitativamente l'attività degli ortopedici operanti nelle strutture private. È vero infatti che le nostre strutture sanitarie hanno sede in molte città in cui esistono centri universitari e quindi esiste una collaborazione stretta anche in campo didattico tra il pubblico e il privato. Lo sviluppo e l'espansione dei grandi gruppi privati nazionali sostituisce spesso la carenza di assunzioni dei nuovi specialisti ortopedici da parte delle strutture pubbliche. Infatti è noto come molte associazioni di giovani ortopedici siano insediate in strutture private accreditate offrendo qualità e quantità nel nostro campo specialistico. Come accennato dal dottor Palermo, nelle nostre strutture transitano spesso ortopedici in quiescenza dal servizio nazionale per continuare la propria attività. Con loro si trasferisce un grande bagaglio di esperienza nelle nostre strutture. Abbiamo intrapreso il colloquio con la Siot nazionale, propensa ad ascoltare la voce dell'ospedalità privata, con la quale è auspicabile concertare un protocollo di collaborazione in un unico fronte per un sistema di controllo sulla formazione e sull'eticità. Mario Sbardella Presidente Sicoop La qualità della chirurgia effettuata varia molto da una struttura all’altra? La qualità in molte strutture è davvero molto alta ma ci sono anche cliniche private in cui è difficile mantenere uno standard qualitativo idoneo. Come incidono le controversie legali sull’attività di un ortopedico? Questo è oggi purtroppo il grande limite dell'attività di un chirurgo in Italia, sia che lavori nel pubblico che nel privato. La grave “sottooccupazione” degli avvocati e il loro numero davvero SICOOP: NUOVO FORMAT PER IL CONGRESSO DI GENOVA “Relive surgery: approccio multidisciplinare e innovativo alla patologia ortopedica”: il titolo del congresso nazionale della Sicoop (Genova, 21 e 22 giugno) dice già molto. Altro ancora aggiunge il presidente Augusto Palermo: «c'è bisogno di uno svecchiamento sia della professione, per migliorare la qualità chirurgica, che della modalità di fare congressi. Il congresso nazionale Sicoop di Genova sarà un congresso giovane e pensato all'insegna dell’interdisciplinarietà». Il presidente del congresso spiega poi che, in ogni sessione – anca, ginocchio, spalla, rachide, mano e piede – i temi saranno trattati prima dal radiologo per la diagnosi, con le novità sulle tecniche di imaging, poi dal reumatologo per l'approccio internistico alla patologia, poi dall'anestesista che parlerà delle tecniche anestesiologiche e quindi sarà la volta delle relazioni ortopediche. Ogni relazione ortopedica dovrà contenere un video (ecco perché si parla di “relive surgery”): sarà dunque maggiormente esplicativa. Infine, le sessioni saranno chiuse dagli infermieri professionali per le tecniche di strumentazione e dai fisioterapisti e fisiatri per la guida alla riabilitazione del paziente operato. La sede avrà la sua importanza, poiché il Palazzo Ducale di Genova (che ospita la Fondazione per la cultura) è senza dubbio di grande prestigio. «Desidero ringraziare il consiglio direttivo della Sicoop per avermi offerto l'opportunità di organizzare questa edizione del congresso e in particolare auguro al nostro presidente, il dottor Mario Sbardella, di poter traghettare questa società al posto che le compete nel panorama scientifico nazionale» ha concluso Augusto Palermo. importante porta spesso a risvegliare nel paziente la volontà di fare richieste di risarcimento. Mi rendo conto di fare un’affermazione forte, ma questa è la realtà. Spesso i pazienti sono incentivati dagli avvocati, che promettono loro di non farsi retribuire se non a causa vinta. Nonostante le problematiche che ha esposto, molti chirurghi ortopedici si orientano verso strutture private. Per quali ragioni? Il trattamento che le strutture pubbliche riservano a un chirurgo di qualità è spesso deprimente, anche se non è così ovviamente in tutte le realtà. Purtroppo molti primari ospedalieri e rettori di cattedre sono vessati dalla burocrazia, che oggi si impone nella gestione di un reparto ospedaliero. Questa burocrazia porta via un tempo enorme all’attività chirurgica, assistenziale e scientifica di un primario, a fronte di guadagni spesso davvero troppo bassi. È questo il motivo per cui oggi chirurghi di grande spessore professionale fuggono verso il privato. Renato Torlaschi 3 << << FOCUS ON Sala operatoria: lo stress della chirurgia ortopedica Lo stress psicofisico del chirurgo è paragonabile a quello degli sportivi durante una competizione. Una strategia potrebbe essere quella di “allenare” psicologicamente i chirurghi per resistere meglio allo stress o stress del chirurgo, e in particolare del chirurgo ortopedico, non è argomento da prima pagina: tante visite, tante ore di sala, posizioni di lavoro non certo “ortopediche”, stress emotivo, per non parlare del rischio di contenzioso medico-legale, la spada di Damocle che penzola (e spesso cade) sugli ortopedici, a ruota dietro ginecologi e medici di pronto soccorso. Nella letteratura medica si trovano diversi articoli sullo sforzo psicofisico indotto dall’attività chirurgica ma pochissimi si occupano di quella ortopedica in particolare. Le conclusioni sono piut- L tosto variabili: alcuni definiscono la chirurgia un'attività che provoca esaurimento, altri la giudicano invece non particolarmente faticosa. Variabile anche la qualità degli studi: alcuni non specificano quali interventi eseguivano i chirurghi e, nel complesso, il campione esaminato era molto piccolo (in media otto soggetti). Uno di questi, invece, è particolarmente interessante perché, oltre a prendere in esame soltanto l'ortopedia, fornisce anche una misura quantitativa grazie alla rilevazione dei parametri cardiovascolari mediante monitoraggio Holter. STRUTTURE OSPEDALIERE SEMPRE PIÙ SOTTODIMENSIONATE “Otto ore di attesa per un polso fratturato” titolava qualche mese fa un quotidiano locale della città di Como. Nell’articolo, per la verità, non si leggevano le solite giaculatorie sulla malasanità: il cronista si limitava correttamente a raccogliere lo sfogo della malcapitata paziente e a registrare le risposte del personale sanitario. Anche la signora dimostrava comprensione e riferiva: «lo stesso medico mi ha detto che era dispiaciuto per la mia lunga attesa ma purtroppo era l’unico specialista di turno sia per il reparto sia per il pronto soccorso». Episodi come questo sono sempre più frequenti: da nord a sud, da piccole città a metropoli, da Como a Napoli. Dello stesso periodo è lo sfogo del direttore generale dell’ospedale Cardarelli, il più grande non solo di Napoli ma di tutto il sud Italia, dove negli ultimi tre anni non sono stati rimpiazzati 600 tra medici e infermieri. «Così non si può più andare avanti – ha scritto in una lettera aperta – in ospedale ci sono gravi carenze di personale non colmabili con gli straordinari, causati dall’irrisolto nodo del blocco del turnover. La situazione è particolarmente critica in ortopedia, oncologia e chirurgia». >> >> SEGUE DA PAGINA Cuore non sempre a ritmo Lo studio, pubblicato pochi anni fa (Bergovec M, Orlic D. Clin Orthop Relat Res 2008 Feb;466(2):411-6), è stato condotto su un campione di 29 specialisti di una clinica universitaria durante interventi di artroprotesi dell’anca, un’operazione che rappresenta quasi un terzo dell’attività specialistica e, inoltre, avviene con protocolli ben definiti che non variano molto da un chirurgo all’altro. Questo tipo di intervento è notoriamente uno dei più faticosi per l'équipe chirurgica, sia per la sua durata sia per lo sforzo fisico richiesto (vedi box a destra). L’età dei partecipanti andava da 28 a 65 anni e pertanto sono stati divisi in tre gruppi (minori di 35, maggiori di 51, intermedi); un’ulteriore suddivisione in tre gruppi è stata fatta in base all’esperienza lavorativa. I pazienti operati durante l’esecuzione del test di Holter erano stati selezionati per rappresentare un caso di normale difficoltà e inseriti al primo posto nella lista del giorno. Il monitoraggio del chirurgo registrava pressione arteriosa, frequenza cardiaca, il prodotto “frequenza” per “pressione sistolica”, eventuali aritmie e segni di ischemia; al monitoraggio veniva associata anche la fase operatoria in cui si trovava l'operatore, in modo da documentare eventuali picchi di stress con i momenti più impegnativi dell’intervento 1 ti scadenti spingono a una scelta che talvolta è obbligata. Così, molte professionalità d’eccellenza migrano nel privato, con il rischio che si creino (come in Usa) due sanità, una per ricchi e una per poveri. Il privato e i fondi integrativi possono andare benissimo, ma è evidente che occorre individuare una logica di reale integrazione pubblico-privato, nella quale entrambe le parti operino in sinergia perseguendo la soddisfazione del cittadino-utente e il rispetto dei limiti di spesa. Servono tagli che siano potature e non amputazioni: riqualificare i servizi per ottenere risparmi, spostare alcune prestazioni dall’ospedale al territorio, realizzare non un conflitto ma una vera partnership tra pubblico e privato, che concorrono in modo coordinato a colmare i bisogni di salute. Certamente andare verso il privato significa minore burocratizzazione, maggiore flessibilità nelle scelte e negli investimenti in nuove tecnologie e in risorse umane, e soprattutto nessuna ingerenza politica dei partiti. D’altro canto, però, è più esposto alla vulnerabilità economica. Attenzione all’aspetto deontologico, è la base stessa dell’assistenza al malato: in questo senso alcuni istituti privati no profit, che per statuto reinvestono gli eventuali utili in ricerca e quindi non seguono una logica di profitto, hanno un profilo interessante. E proprio la coesistenza e l’integrazione di pubblico, privato accreditato e privato no profit è la caratteristica che rende eccellente il modello di sanità lombarda. (Paolo Pegoraro) (ad esempio la preparazione dell’acetabolo, l'inserimento della protesi ecc.). In media le misurazioni hanno mostrato un aumento dei parametri cardiovascolari con un picco al momento dell’inserimento della protesi; dal punto di vista energetico questo tipo di intervento – nelle sue fasi meno impegnative – risultava pari a un lavoro di intensità moderata, come camminare a passo lento; nelle sue fasi più faticose invece eguagliava una partita a ping-pong o quattro piani di scale. Nel complesso lo stress psicofisico in sala operatoria era paragonabile, secondo gli autori, a quello degli sportivi durante una competizione. Il confronto dei dati per anzianità di servizio ha rivelato una cosa interessante e, forse, inattesa: l’esperienza non riduce lo stress cardiova- CHIRURGIA MAGGIORE UN LAVORO PER DURI L’ortopedia ha il primato poco invidiabile di essere la disciplina chirurgica fisicamente più faticosa: è necessaria una buona dose di forza e l’uso di strumenti che richiedono una mano non solo ferma ma pure forte, come ci racconta Sabine, che ha lavorato per 10 anni in un ospedale svizzero: «lo stress fisico in sala operatoria si potrebbe paragonare, quanto ad intensità, a quello di un duro allenamento in palestra per rinforzare i muscoli, soprattutto durante i cambi delle protesi: questi possono infatti durare anche diverse ore. Io me la cavavo abbastanza bene grazie ai miei 174 cm di statura che mi permettevano di sfruttare le lunghe leve. Si tratta di un notevole esercizio fisico, specialmente per le protesi d'anca (un po’ meno per quelle del ginocchio): mantenere la gamba del paziente immobile nella giusta posizione, soprattutto quando si tratta degli ormai frequenti sovrappeso, richiede molte energie e prima di entrare in sala bisogna nutrirsi bene. Quando poi se ne fanno 3 o 4 al giorno, alla sera si é fisicamente molto stanchi. I dolori muscolari? Per noi sono routine». Le fa eco Mario, da vent’anni in servizio presso un piccolo ma affollato ospedale del nord Italia: «la chirurgia ortopedica implica interventi con durata media di una-due ore, spesso con posture di ortostasi prolungata, con atteggiamento del rachide scorretto ed esposizione agli arti inferiori di insufficienze venose croniche. La chirurgia ortopedica predispone anche a tendinopatie croniche alle spalle e alle mani (nel sesso femminile non sono infrequenti rizoartrosi e cisti artrogene del polso). La lunga carriera, visto il procrastinarsi dell'agognata età pensionabile, inevitabilmente ci espone ad artrosi del rachide (in particolare cervicale) e delle mani. Col tempo il nostro lavoro si è considerevole affinato nei gesti e nelle tipologie di intervento, con logorio psico-fisico e ricerca quotidiana degli aggiornamenti sulle più moderne tecniche chirurgiche. Tutto ciò causa uno stress lavorativo costante, con insorgenza negli anni di patologie cardiocircolatorie e spesso nevrotiche, che solo un sano ambiente familiare riescono a calmierare». << << FACTS&NEWS scolare; forse, dicono gli autori, i più anziani subiscono meno stress psichico ma faticano di più fisicamente rispetto ai colleghi più giovani. Altrettanto inattese le aritmie registrate in sette medici (extrasistoli sopraventricolari e ventricolari), che in un caso erano così frequenti da consigliare un approfondimento diagnostico. Fortunatamente assenti, invece, i segni ischemici. Medico, cura anche te stesso Nelle loro conclusioni gli autori fanno presenti alcune limitazioni della loro ricerca: la prima è che non è possibile distinguere gli effetti cardiovascolari del lavoro fisico richiesto durante l’intervento da quelli dello stress psichico. Inoltre, non sono stati rilevate le risposte individuali ad altre attività fisiche e le misurazioni sono state prese durante un intervento di media difficoltà a inizio giornata. È chiaro che la routine ospedaliera, specialmente in tempi come quelli attuali, è tutt’altro che tranquilla e lo stress che risulta non fa certo bene, come dimostrano precedenti ricerche sulla mortalità dei chirurghi. Una di queste, eseguita in Svezia nel 1988, rivelò una notevole differenza a sfavore dei chirurghi rispetto ai medici generici nell’incidenza di cardiopatia ischemica; un’altra, svolta in Finlandia nel medesimo periodo, scoprì che, ad eccezione dei tumori, il tasso di mortalità dei medici in generale (non solo dei chirurghi) era pari o superiore a quello degli uomini di altre categorie lavorative ma il tasso di suicidi era addirittura doppio. Insomma, un po’ di stress è come il sale: dà un po’ di sapore alla vita ma, come sempre, il troppo storpia. Lo stress logora Interessante a questo proposito una ricerca pubblicata tre anni fa negli Usa (Saleh et al. Clin Orthop Relat Res 2009; 467:558–565) su circa 200 responsabili di dipartimenti universitari di ortopedia. Il carico di lavoro era di tipo cinese, con una media di 68.3 ore settimanali, di cui più della metà dedicate ai pazienti. Altissimo lo stress riportato nei questionari. Le cause riferite? ai primi posti l’eccesso di lavoro, i problemi di bilancio, i rapporti con l’apparato amministrativo che causano difficoltà non solo nel lavoro ma anche in ambito familiare. L’indagine si è basata sull’analisi delle risposte al Mbi (Maslach Burnout Inventory), il classico questionario dello stress, dalle quali è risultato che il livello di esaurimento percepito era basso nel 22% dei casi, moderato nel 39% e alto nel 38%. Di pari passo con questo valore crescevano irritabilità, tensione nei rapporti coniugali e familiari. I ricercatori hanno anche indagato sul ruolo di sostegno che la famiglia può svolgere, concluden- do che sono proprio i legami affettivi gli antidoti migliori contro l’esaurimento emotivo, anche se sarebbe necessario indagare direttamente lo stress riportato dai familiari. Com’è logico aspettarsi, il ruolo principale di “cuscinetto” tocca al coniuge che, dall’analisi dei questionari, esce promosso a pieni voti dimostrandosi disponibile all’ascolto. Purtroppo, come capita spesso negli stati di stress e nelle dipendenze, il soggetto colpito tende a negare il problema e la necessità di aiuto, una reazione che, alla lunga, può mettere in crisi coppia e famiglia. Individuato il problema, bisogna anche fare qualcosa che, per Saleh e colleghi, significa puntare soprattutto sulla 4 modificazione della risposta individuale allo stress, prendendo ad esempio le esperienze di altre professioni ad alto rischio come controllori di volo, sportivi professionisti e astronauti, che vengono allenati psicologicamente per resistere allo stress. Migliorare la capacità di risposta può migliorare anche le doti di leadership. In secondo luogo, non basta allenare l’ortopedico: bisogna rinforzare anche il coniuge con programmi mirati; infine, la parte forse più difficile in tempi come quelli che stiamo vivendo: migliorare l’organizzazione del lavoro per aumentare efficienza e produttività riducendo il carico individuale. Cosma Capobianco Riceviamo e pubblichiamo la lettera della dottoressa Mirka Cocconcelli, chirurgo ortopedico Ridurre il contenzioso medico-legale per recuperare il rapporto fiduciario medico-paziente Nell’ambito della nostra categoria c’è molta rabbia, impotenza e frustrazione. Noi chirurghi ci sentiamo attaccati da più fronti, come hanno ribadito i presidenti delle tre maggiori specialità chirurgiche (ortopedia, chirurgia e ginecologia: Sic, Siot e Sigo). Dal 1994 il contenzioso medico-legale è cresciuto del 225% e a fronte di 20 milioni di interventi fatti in Italia le denunce superano quota 40.000. L’Amami stima che oltre l’85% dei chirurghi in attività abbia ricevuto o riceverà almeno una richiesta di risarcimento o un avviso di garanzia per presunta malpractice; solo una denuncia su 100, in ambito sanitario, si traduce in condanna effettiva. Inoltre, come scrive il quotidiano La Stampa, su oltre 50.000 procedimenti per lesioni colpose il 98,8% si conclude con l'archiviazione, come attestato dalla commissione d'inchiesta parlamentare sugli errori sanitari. Parlo a nome di tanti chirurghi per illustrare il forte disagio della nostra categoria e cerco di individuare iniziative idonee a ridare serenità al lavoro dei camici bianchi, sempre più ingabbiati nel cappio della paura delle denunce ingiuste. I pazienti in tempi di crisi ci considerano il loro ammortizzatore sociale e pretendono di essere guariti e non curati e tutto questo anche per colpa nostra, che abbiamo fatto credere che la medicina sia onnipotente. Così oggi il paziente vuole essere guarito e non curato: la malattia deve essere guarita ad ogni costo, non esistono le complicanze e deve comunque essere trovato un colpevole anche quando il colpevole non esiste. Spesso si denuncia il medico con la speranza di fare un po' di soldi con la sua assicurazione, tanto la causa non costa niente e, se va male, il giudice decide comunque per la compensazione fra le parti. Attorno al mondo della sanità circolano troppi avvoltoi che hanno fiutato l’affare e propongono ai pazienti la denuncia del medico anche quando non ci sono basi ragionevoli per una causa. Solo il motore economico muove questo perverso meccanismo e la vicenda giudiziaria danneggia irrimediabilmente, sia moralmente che economicamente, il chirurgo accusato (spesso a torto), tanto da modificarne l’approccio con il malato e minarne la serenità in sede di intervento. Nelle cause giudiziarie civili e penali (ricordo che il penale esiste solo in Italia, Messico e Polonia!) il medico, anche se viene assolto, perde sempre e comunque; non solo per lo stress psicologico, ma anche per i danni economici che subisce. Invece le assicurazioni, le infortunistiche, l’apparato legale in genere ci guadagnano sempre: la causa vinta la paga il perdente e quella persa il querelante. Specialista in ortopedia e traumatologia, la dottoressa Mirka Cocconcelli ha controdenunciato un paziente per l’articolo 96 del codice di procedura civile (lite temeraria) > La lotta è impari: il chirurgo è sempre più solo e modifica il suo approccio diagnostico/terapeutico, orientandosi verso una medicina sempre più difensiva, in cui ci perdono tutti gli attori di questo triste teatrino. Il chirurgo si trova accerchiato da sei fuochi: 1) il paziente che è preda della sindrome risarcitoria e/o da indennizzo; 2) l’amministrazione ospedaliera, che fa i suoi interessi e difende se stessa, scaricando sul chirurgo gli oneri giudiziari. Così il chirurgo paga anche per colpe non sue, come le carenze organizzative, strutturalie e di organico; 3) la Corte dei Conti che adesso ci condanna a pagare per danno erariale (siamo alla beffa); 4) le assicurazioni, che non tutelano gli interessi del medico: se conviene transare, transano, indipendentemente dal fatto che il chirurgo sia colpevole o meno. Inoltre, le assicurazioni considerano e conteggiano come sinistri anche le semplici richieste di risarcimento, le informazioni di garanzia e le denunce senza alcun seguito; 5) i media, che non vedono l’ora di trovare il capro espiatorio e di sbattere il mostro in prima pagina ed enfatizzano il vittimismo dei pazienti e dei loro congiunti; 6) la magistratura, che considera il paziente, sempre e comunque, l’anello debole della catena, quando così non è. Mi chiedo perché i medici debbano risarcire personalmente i danni ai cittadini e per i magistrati questa regola non valga e debba pagare lo Stato, cioè i cittadini stessi. È indispensabile depenalizzare l’atto medico. L’atto medico persegue il bene dell’individuo e non è esente da rischi. Quindi se il chirurgo deve operare in serenità, deve avere le stesse tutele e garanzie che ha il magistrato quando giudica o il politico quando amministra. Noi chirurghi siamo stanchi nel fisico e nella psiche e viviamo un profondo disagio, che nasce da un equivoco di fondo: curare non significa guarire. Oggi si vuole negare l'idea stessa della complicanza e della morte, insita nella malattia stessa;da sempre negli ospedali si nasce, ci si ammala e si muore per cause del tutto naturali o per complicanze insite nella patologia stessa. La medicina non è una scienza esatta, non poggia su basi di solido granito, ma su ben più traballanti palafitte. Non voglio giustificare l'errore che, quando c'è ed è comprovato, va perseguito nelle sedi opportune, ma è indispensabile recuperare il rapporto fiduciario medico-paziente prima che sia troppo tardi. Ricordiamoci che l’80% dei chirurghi viene assolto, ma dopo l'evento il chirurgo non è più quello di prima! Tra pochi anni avverrà come in Svezia o negli Usa, dove i pazienti più problematici vengono rifiutati e alcuni tipi di interventi non verranno più eseguiti. Tutto questo per il rischio di denunce. I giovani medici già adesso si stanno allontanando dalle scuole di specialità a rischio, leggasi ortopedia e ginecologia. Anche i media sono colpevoli di questa situazione in quanto per fare lo scoop enfatizzano il vittimismo dei pazienti e dei loro congiunti. Il chirurgo non è infallibile e il chirurgo più bravo è quello che, nonostante l’esperienza, sbaglia meno. Non è più accettabile che il nostro lavoro sia considerato a rischio zero. La mancata guarigione non sempre è imputabile a un colpevole ed è vano e inutile cercare l'errore laddove questo non esiste. 16 aprile, Milano CORTE DEI CONTI: PER GLI ERRORI CLINICI PAGANO I MEDICI E adesso l'Erario pesca direttamente nelle tasche dei medici. Costretti a risarcire con i propri soldi i casi di malpractice. È quanto appena successo a cinque professionisti del San Paolo: tre già in pensione, mentre due addirittura morti. Il provvedimento della Corte dei Conti è arrivato, infatti, dieci anni dopo la denuncia. È una delle prime cause per danno erariale in cui ci si rivale direttamente sui professionisti, chiamati a rimborsare la franchigia all'ospedale. Nel caso specifico il rimborso è di settemila euro a testa. Ma tutta la categoria dei medici ora comincia a tremare: ci sono infatti ospedali con franchigie che arrivano al milione di euro, altri che hanno addirittura smesso di assicurarsi per gli eccessivi costi delle polizze imposti dalle compagnie (dopo il boom di denunce), altri ancora con assicurazioni sempre più riluttanti a farsi carico degli errori medici e che si appellano a mille cavilli per non pagare i danni da malasanità. Così il medico rischia sempre più spesso di dovere pagare di tasca propria cifre da capogiro. Fonte: Corriere della Sera (milano.corriere.it) Quali potrebbero essere le soluzioni? 1) Depenalizzare l'atto medico. Nel nostro Paese la giurisdizione in campo medico risale al codice Rocco (1930) e manca di adeguata specificità. Nel codice penale l’errore medico è paragonato a un atto di delinquenza comune, mentre così non è. Va meglio definito che cosa si intende per atto medico e per colpa grave e lieve. Inoltre chi stabilisce se la colpa è grave o lieve? Il giudice, le linee guida, il Ctu? Il Parlamento si deve far carico del problema, sbloccando la legge 50 che fissa nuove regole assicurative. 2) Limitare i risarcimenti attraverso parametri economici equi e uniformi, come avviene in altri paesi europei. È necessario stabilire un tetto ai risarcimenti: è previsto per i magistrati, per i notai, perfino per gli albergatori. Per noi medici no! Inoltre, se un aereo cade, l’indennizzo agli eredi è limitato dalla Convenzione di Varsavia; se un treno deraglia, l’indennizzo è limitato dal regolamento delle ferrovie. Perché per le cause mediche non c’è limite all’indennizzo? 3) Definire dei protocolli operativi e linee guida validati dalle nostre società scientifiche, ma realmente chiari ed efficaci. 4) Dov’è la copertura assicurativa efficace e garantita per il medico, quando la mia assicurazione non mi tutela e fa esclusivamente i propri interessi? Le tutele assicurative devono essere complete e devono prevedere la postuma. 5) Dov’è il fondo di garanzia istituito dal Dl Balduzzi per rifondere le vittime da malpractice? È indispensabile istituire quanto prima un fondo simile al fondo vittime della strada che liquidi i danni arrecati al paziente o un fondo vittime dell'alea terapeutica, come esiste in Francia, che liquidi i danni arrecati al paziente per le complicanze imprevedibili e imprevenibili. 6) Controdenunciare i pazienti che ci citano in giudizio arbitrariamente, in base all’articolo 96 del codice di procedura civile (lite temeraria). Dr.ssa Mirka Cocconcelli << << CORSI E CONGRESSI 6 L’offerta formativa della società dell’anca Al via il programma formativo della Sida, che si riunirà in dicembre per il suo congresso nazionale. I corsi monotematici sono sulla chirurgia protesica e non; il congresso affronta il tema della displasia congenita dell’anca n attesa del congresso nazionale, la Società italiana dell’anca (Sida www.chirurgiaanca.com) prosegue con le attività formative. Si segnalano in particolare due eventi. Si è appena concluso (il 31 maggio) a Sesto Fiorentino il corso sulla protesizzazione primaria dell'anca con il sistema Cfp e, anche in questo caso, sono stati eseguiti interventi chirurgici in live surgery. Il responsabile scientifico del corso era il presidente della Società italiana dell’anca Piero Garosi, che ci ha spiegato come il sistema Cfp sia un sistema protesico non cementato che presenta caratteristiche uniche: «è composto dalla componente acetabolare (cotile Top) e dalla componente femorale (stelo Cfp). Il cotile Top è in tilastan, lega in titanio, rivestimento in idros- I siapatite e presenta al suo interno un inserto in polietilene Uhmw biequatoriale che, se impiantato con inclinazione di 55 gradi (angolo fisiologico) è perpendicolare alla direzione del carico; questo comporta una riduzione dell’usura del polietilene e quindi un allungamento della vita della protesi». Lo stelo Cfp conserva, a differenza degli altri steli femorali, il collo del femore. «Il design dello stelo – continua Garosi – è anatomico con colletto di appoggio sull'osteotomia del collo femorale, è rimovibile e adattabile. L'insieme del sistema garantisce dal punto di vista biomeccanico una fisiologica trasmissione dei carichi che comporta una riduzione dell'usura del polietilene, una maggiore escursione articolare e la sensazione del paziente di avere ancora "la sua anca"». Inoltre con i nuovi strumentari dedicati si può intervenire con una invasività ridotta al minimo: «in pazienti selezionati (non obesi) si può eseguire l'impianto della protesi, con una incisione di 8-9 centimetri. Infine si deve sottolineare che, essendo lo stelo femorale corto e avendo conservato il collo del femore, una eventuale sostituzione dello stelo protesico sarà un intervento agevole e consentirà l'impianto di una nuova protesi da primo impianto e non da revisione». Il prossimo corso monotematico si svolgerà il 21 giugno a Bologna, dove Sandro Giannini farà un approfondimento sulla via anteriore mininvasiva nella chirurgia protesica dell’anca. La tecnica chirurgica con l’ausilio del sistema Amis extension table potrà essere seguita step by step. Verranno esaminati i vantaggi e gli svantaggi dell’accesso mininvasivo anteriore e in particolare il trattamento delle fratture mediali del collo del femore. In dicembre a Bari il congresso nazionale Sida Intanto arrivano le prime anticipazioni del congresso nazionale. Si terrà a Bari dal 6 al 7 dicembre e il tema principale sarà la displasia congenita dell’anca. «Tale scelta – ha dichiarato Biagio Moretti, che presiederà l’evento – è stata dettata soprattutto dalla considerazione che nella nostra attività didattica spesso non riusciamo a trasmettere notizie aggiornate su questo argomento, a differenza di ciò che accade per altri temi nella nostra disciplina; ciò significa che questa patologia, sebbene ancora presente nella nostra > pratica quotidiana, non è stata oggetto di aggiornamenti scientifici e ricerche cliniche in grado di condurre a un update clinico-strumentale e terapeutico. Il nostro territorio di appartenenza, endemico per questa patologia, ha rappresentato sicuramente una ulteriore motivazione alla scelta dell’argomento congressuale». L’impronta del congresso sarà spiccatamente multidisciplinare. «Lo scopo – chiarisce Moretti – sarà quello di riunire figure professionali di varia estrazione (epidemiologi, genetisti, ortopedici e fisiatri) per un confronto su temi di carattere epidemiologico, patogenetico, clinico, diagnostico e terapeutico, relativamente alle varie fasi anatomopatologiche dell’evoluzione della malattia, allo scopo di fornire ai partecipanti prospettive terapeutiche e linee Piero Garosi, presidente Sida guida di trattamento aggiornate. Saranno esposte, attraverso letture magistrali, relazioni sul tema, simposi e corsi di istruzione, le più attuali linee di ricerca, confrontandole e integrandole con quelle tradizionali, in modo da poter conciliare biologia, scienza di base, progresso tecnologico e biotecnologie. Una tavola rotonda sarà dedicata al trattamento farmacologico preventivo e delle complicanze della chirurgia dell’anca, come Tvp, osteopenie distrettuali, osteointegrazione, infezioni, ossificazioni eterotopiche ecc. Un’intera sessione sarà dedicata a infermieri e fisioterapisti. Ampio spazio, infine, sarà dedicato alle comunicazioni libere che, spero, rappresentino un ulteriore punto di forza di questo congresso». Renato Torlaschi 7 << << CORSI E CONGRESSI Menisco: gold standard sarà la riparazione Il menisco è forse la struttura più importante del ginocchio. Le evidenze sono chiare: in caso di rottura, se non si interviene, l’artrosi è scontata. Oltre i sessant’anni invece non c’è mai l’indicazione all’intervento Professor Marcacci, di cosa si tratterà nella tappa bolognese del corso? Iniziamo con l’inquadramento generale dello stato dell’arte, mentre i corsi successivi effettueranno ulteriori approfondimenti nella ricerca e nella clinica avanzata. Il corso è rivolto a ortopedici ma anche a fisiatri e medici dello sport. Per questi ultimi è importante avere chiara la situazione della ricerca e dell’evoluzione clinica e conoscere quali sono le indicazioni, in modo che possano collaborare con l’ortopedico nel chiarire al paziente cosa deve fare e che cosa si può aspettare. Perché si è sentita la necessità di un corso base sul trattamento del menisco? Il menisco è una struttura di fondamentale importanza nel ginocchio. Quasi più importante dei legamenti, della cartilagine e di tutto il resto, perché è una struttura che assorbe il carico per quasi il 60% in molte situazioni funzionali. L’integrità comporta la possibilità di avere una pressione sinoviale negativa, che è uno degli elementi più importanti per l’omeostasi articolare. La rottura del menisco comporta l’interruzione di questo grande equilibrio, e quindi nel tempo porta all’artrosi. Questo avviene sempre: lo sviluppo automatico della rottura del menisco è l’artrosi. Come vengono trattate oggi queste lesioni? All’inizio, tanti anni fa, il trattamento consisteva nella rimozione di tutto il menisco – perché il menisco rotto fa anche male – poi si è passati alla rimozione di una sola parte del menisco in artro- scopia, quindi con metodi endoscopici. Comunque il problema fondamentale non è se levarne tanto o poco, ma il fatto che il menisco rotto crea problemi funzionali. Ricordiamo che una cosa è la cartilagine e una è il menisco: i due trattamenti sono diversi. Il menisco serve per evitare che la cartilagine si danneggi. Quando un paziente ha una cartilagine degenerata, ossia comincia ad avere un danno articolare, se ha anche un danno meniscale bisogna ricostruire il menisco e poi trattare la cartilagine. Oggi anche nel trattamento della cartilagine si iniziano a ottenere dei risultati. Le recenti acquisizioni a livello funzionale e biomeccanico hanno cambiato l’approccio negli ultimi anni? L’idea della ricostruzione del menisco si è affermata nel tempo per la necessità di evitare l’evoluzione del quadro clinico con lesione meniscale verso l’artrosi del ginocchio. Prima si è tentata la via della riparazione e poi si è affermata la tecnica della sostituzione con protesi biotecnologiche o con dei menischi da donatore. Si utilizzano sia i materiali bioingegnerizzati che i tessuti da donatore. I primi servono per le lesioni meniscali parziali, mentre il trapianto da donatore è indicato per le lesioni totali. La ricostruzione è ormai un intervento che si fa normalmente. O almeno da noi, al Rizzoli di Bologna, si fa con una notevole serenità. Se si osservano le linee di tendenza del trattamento del menisco, è probabile che questa tecnica diventi in futuro quella prevalente. Qual è il decorso post-operatorio? Bisogna aspettare il tempo necessario perché si consolidi la struttura e l’inglobamento; la struttura sarà sottoposta a carichi parziali per circa un mese e il paziente potrà riprendere l’attività sportiva dopo tre o quattro mesi. Il discorso vale sia per atleti che svolgono attività agonistica che per chi pratica sport a livello amatoriale; anzi, questi ultimi hanno più rischi di artrosi degli atleti professionisti che, in un’elevata percentuale di casi, potranno riprendere lo sport agonistico. Come influisce l’età del paziente e la possibilità di evoluzione artrosica? È importante ricordare che stiamo parlando di lesioni traumatiche: persone con un’articolazione sana, che subiscono un trauma e rompono il menisco (o che danneggiano la cartilagine). In questi casi, l’aspettativa di guarigione è abbastanza elevata. C’è ormai l’evidenza che la sostituzione meniscale rallenta l’evoluzione verso l’artrosi. Se invece un paziente ha già un’artrosi, un’articolazione degenerata, oppure se ha una certa età – al di sopra dei sessant’anni – e il menisco appare lesionato nelle immagini ottenute tramite la risonanza magnetica o altre indagini, non si deve curare, perché andrebbe incontro a una degenerazione spontanea di tutta l’articolazione. Superati i sessant’anni, non c’è indicazione al trattamento del menisco come non c’è indicazione alla ricostruzione cartilaginea perché ormai l’articolazione è andata incontro all’artrosi. È importante ribadirlo, perché molte persone di una certa età si aspettano dei risultati che non possono essere ottenuti e rimangono delusi quando il medico li informa della realtà dei fatti. Maurilio Marcacci Professor Marcacci, grazie a cosa sono arrivati i notevoli progressi raggiunti in questi anni? Ha contribuito l’evoluzione delle nostre conoscenze di biomeccanica e si sono ottenuti notevoli miglioramenti tecnologici nell’ideazione e realizzazione di nuovi tessuti, nel trattamento e nella conservazione del materiale, nel prelievo da donatore. Insomma, c’è una base biomeccanica e tanta tecnologia in evoluzione. Renato Torlaschi NEURO NORM ® DHA + ACIDO LIPOICO + VITAMINE C ed E Associazione sinergica – formula brevettata Studio sull’associazione delle 2 molecole sull’edema indotto da carragenina B A Volume dell’edema (ml) “Meniscus pathology: remove, repair, replace”: è il titolo di un corso itinerante che si svolgerà in tre step. A organizzarlo è la Sigascot (Società italiana di chirurgia del ginocchio, artroscopia, sport, cartilagine e tecnologie ortopediche). Il primo appuntamento è a Bologna il primo luglio presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli e a presiederlo sarà il professor Maurilio Marcacci, direttore della III clinica ortopedica e traumatologica dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. Dopo una relazione sull’anatomia dei menischi si passerà alla biomeccanica e alla classificazione delle lesioni meniscali, con qualche consiglio per una corretta valutazione alla risonanza magnetica. Verranno poi ampiamente discusse le indicazioni al trattamento conservativo e quelle all’intervento chirurgico, con attenzione anche al periodo post-operatorio. > 1.2 1.0 0.8 0.6 0.4 Controllo DHA 6 ALA DHA + ALA 3 0.2 0 0 0 1 2 3 4 5 6 Tempo dopo la somministrazione di carragenina (h) Rossoni G., Stankov B. M., 2010. L’attività antinfiammatoria dell’ALA somministrato in concomitanza con DHA è risultata di circa 2 volte maggiore nei confronti dell’ALA da solo e circa 6 volte maggiore nei confronti del DHA Confezione da 30 capsule gastroresistenti - senza glutine e lattosio 2 capsule al giorno per almeno un mese. Mantenimento: 1 capsula al giorno per 3 mesi. www.inpha2000.it - [email protected] LA MIGLIORE PRESCRIZIONE PER LA FORMAZIONE DEL COLLAGENE R GLUCOSAMINA + CONDROITIN SOLFATO + VITAMINA C L’unico con Silicio organico ad azione remineralizzante Confezione da 20 buste - senza glutine e lattosio una busta al giorno per cicli di 3 mesi 9 << << FOCUS ON I reali vantaggi (e i rischi) degli integratori alimentari Con un panel di esperti di primo piano abbiamo realizzato un'inchiesta sull'efficacia della supplementazione alimentare. Mentre il mercato è in crescita, si moltiplicano gli studi scientifici ercato che sembra non conoscere flessione anche in tempi di contrazione economica, produzione ad alto tasso di rinnovamento, comparto dell'offerta “salutistica” che prospera ormai più di quello dei farmaci da banco: il settore ampio e variegato dei prodotti complessivamente detti nutraceutici – formulati come integratori alimentari o come estratti vegetali piuttosto che come alimenti funzionali – è da diversi anni in espansione e può contare su un costante incremento della domanda a dispetto della generale crisi dei consumi (vedi box in questa pagina). Un fenomeno apparentemente paradossale, che invece probabilmente ha più di una spiegazione. Forse il fatto che fino alla definizione di un suo specifico inquadramento legislativo (vedi box in questa pagina) ha incontrato sul suo cammino pochi ostacoli disciplinari. Forse il fatto che sembra corrispondere alle aspettative di M consumatori che, dando adesione, in modo consapevole o meno, alla moderna concezione sistemica della salute, vanno oltre l'esigenza occasionale della cura ed esplicitano anche quella, quotidiana e di lungo termine, della conservazione di una condizione di benessere e di buon “funzionamento”. Forse il fatto che anche la scienza medica mostra da qualche tempo uno specifico interesse per le proprietà biodinamiche, e potenzialmente profilattiche e terapeutiche, dei composti nutrienti e in generale delle sostanze attive contenute negli alimenti, con particolare attenzione per quelli di origine vegetale. Per gli italiani l'alimentazione non basta Per quanto riguarda l'aspetto più strettamente culturale del fenomeno, l'uso di integratori, e in particolare la supplementazione con micronutrienti, sembra essere fondamentalmente legato alla dif- LE DIMENSIONI DEL MERCATO DELLA SUPPLEMENTAZIONE Quale che sia la ragione del successo commerciale della supplementazione dietetica, i numeri sono eloquenti. I dati di recente presentati dalla Società italiana di nutraceutica e dall'Associazione nazionale dei produttori di prodotti salutistici Federsalus nei rispettivi convegni annuali descrivono per il 2012 un trend di crescita che, seppure di entità leggermente inferiore a quello degli anni passati, a metà anno si attestava sull'8% a valore a sul 5% a volume; l'immissione in commercio di quasi 1.200 nuovi prodotti su un totale di circa 14.000 referenze; un valore complessivo del mercato di poco meno di 2 miliardi di euro. Per quanto riguarda i canali di vendita, del fatturato totale la farmacia detiene una quota superiore all'80% con oltre 90 milioni di confezioni vendute all'anno (su un totale di 120 milioni), seguita a distanza dalle parafarmacie, dalla grande distribuzione e dalle erboristerie. A questa realtà “ufficiale” si deve aggiungere il sommerso dell'ecommerce, che secondo alcune fonti rappresenterebbe un'altra fetta cospicua del mercato. Nel repertorio, ormai articolatissimo, delle referenze la graduatoria delle vendite vede ai primi posti nei canali del settore farmaceutico e nelle erboristerie i probiotici e i complessi multivitaminici e di sali minerali seguiti dai preparati contenenti sostanze antiossidanti e dai composti con funzioni specifiche (per l'apparato digerente, le infezioni urinarie, il sistema circolatorio, il controllo del peso, la regolazione del sonno, ecc.), mentre nella grande distribuzione prevalgono gli integratori energetici e i cosiddetti adattogeni. M. O. fusa percezione che l'apporto di tali sostanze non possa essere garantito dall'alimentazione abituale – vuoi a causa di un'intrinseca povertà nutrizionale dei cibi “moderni”, vuoi a causa della difficoltà a operare nella vita quotidiana scelte dietetiche corrette – o, in alternativa, che per mantenere un livello accettabile di funzionamento psicofisico nelle condizioni di vita attuali ne servano di più. Tali convinzioni di fondo devono avere un peso rilevante se è vero, come è risultato da un'indagine condotta nel 2008 da AC Nielsen per Federsalus (“Gli italiani e gli integratori”), che il ricorso a supplementi dietetici – che sia saltuario, stagionale o continuo, “autoprescritto” oppure consigliato dal medico – riguarda quasi un terzo (32%) della popolazione ed è motivato dal desiderio di mantenere uno stato di benessere generale (46,1%) ancor più che dall'esigenza di risolvere specifici problemi di salute (42,8%). Come ben si sa, nel creare e nutrire bisogni la pubblicità commerciale fa la sua parte; nel caso particolare degli integratori alimentari il messaggio promozionale ha sicuramente fatto leva su un'attesa preesistente del pubblico, relativa alla dimensione della qualità di vita oltre che a quella della salute, creando tuttavia anche i presupposti per un abuso o un uso improprio di prodotti che, impiegati in modo oculato, possono invece essere di sostanziale utilità sul piano sanitario. Si moltiplicano le evidenze scientifiche Escludendo la possibilità che, almeno nei paesi occidentali, l'apporto alimentare di nutrienti sia diffusamente deficitario nella popolazione generale, è pur noto che stati carenziali specifici, legati a precise determinanti patologiche o para-fisiologiche o a stili di vita, sussistono, in particolare in alcuni gruppi o in alcune fasce di età. D'altro canto, si vanno ormai accumulando anche le prove scientifiche, di tipo epidemiologico e clinico, degli effetti protettivi per la salute di taluni composti bioattivi di origine alimentare, il cui apporto non è sempre assicurato dagli stili dietetici più comunemente adottati. Vitamina D, calcio, vitamina C, acidi grassi omega-3, antiossidanti di origine vegetale sono le sostanze sulle quali si concentra oggi l'attenzione per il loro potenziale ruolo preventivo nei confronti di alcune patologie osteoarticolari e muscolari, malattie neurodegenerative, patologie cardiovascolari, sindromi dismetaboliche e tumori. Il panorama è estremamente articolato: a fronte di indicazioni evidence-based ormai consolidate vi sono aree di incertezza dovute da un lato all'ancora insufficiente mole di dati e dall'altro alla difficoltà di isolare gli effetti delle diverse sostanze all'interno di una relazione, quella tra alimentazione e salute, che è ben più complessa della semplice somma delle azioni biochimiche dei singoli nutrienti o composti attivi introdotti con la dieta e che, oltretutto, include l'azione modulatrice di molte altre variabili, fisiologiche e ambientali. Monica Oldani I PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI La normativa comunitaria Per quanto riguarda gli elenchi di vitamine e minerali e le loro forme che possono essere aggiunti agli alimenti e presenti negli integratori alimentari: Regolamento CE n.1170/2009 che modifica la direttiva 2002/46/CE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative agli integratori alimentari e il regolamento CE n.1925/2006 sull'aggiunta di vitamine e minerali e di talune altre sostanze agli alimenti. Per quanto riguarda l'indicazione in etichetta e nella pubblicità commerciale delle specifiche proprietà nutritive e degli effetti sulla salute (i cosiddetti “claims”): Regolamento CE n.1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. La normativa nazionale D.L. n.169 del 21.5.2004 relativo a “Attuazione della direttiva 2002/46/CE relativa agli integratori alimentari” e successive integrazioni. Circolare del 5.11.2009 del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali relativa a “Linee di demarcazione tra integratori alimentari, prodotti destinati ad una alimentazione particolare e alimenti addizionati di vitamine e minerali. Criteri di composizione e di etichettatura di alcune categorie di prodotti destinati a una alimentazione particolare”. D.M. del 16.10.2008 del ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali relativo a “Elenco degli stabilimenti autorizzati alla produzione e al confezionamento di alimenti destinati ad una alimentazione particolare e di alimenti arricchiti e integratori alimentari”. << << FOCUS ON 10 IL PARERE DEGLI ESPERTI/1 GLI INTEGRATORI TRA CREDENZE ED EVIDENZE Impegnato nella sua attività di ricerca sul fronte della sicurezza alimentare e del rapporto tra nutrizione e salute, Fabio Galvano, biologo specialista in scienze dalla nutrizione umana, professore associato di scienze e tecniche dietetiche applicate presso l'Università di Catania, risponde sul tema dei rischi e benefici degli integratori in relazione anche al livello di informazione della popolazione e della classe medica sulla loro effettiva utilità e all'educazione al loro uso. Professor Galvano, è possibile che all'origine del successo degli integratori alimentari vi sia anche una responsabilità, nel bene o nel male, della classe medica? Come è noto gli integratori sono prodotti da banco acquistabili senza prescrizione medica. Ne consegue che, nell’analisi del fenomeno integratori, certamente i medici giocano un ruolo importante sebbene non sia facile distinguerne il contributo rispetto a quello dato dal marketing pubblicitario, dal “fai da te” del consumatore e anche dai farmacisti. Tuttavia è pur vero che il medico, più che ogni altra figura, dovrebbe rigorosamente attenersi alle evidenze scientifiche. A suo parere la regolamentazione del settore secondo la normativa comunitaria e le disposizioni nazionali vigenti è sufficientemente tutelante per gli aspetti sanitari? Direi di sì. A livello nazionale, nelle linee guida ministeriali sugli integratori alimentari sono elencate disposizioni sugli apporti di vitamine, minerali, aminoacidi, acidi grassi, fibra alimentare, probiotici. A livello comunitario è tuttora in corso la definizione dei livelli di apporto ammessi per le vitamine e i minerali, mentre non vi sono ancora riferimenti armonizzati per quanto concerne l’impiego degli altri nutrienti e delle sostanze di altro tipo. Bisogna tuttavia ricordare che la regolamentazione è finalizzata a verificare la sicurezza dell'uso dell'integratore ma non attesta la sua efficacia. In altre parole, è sufficiente che un composto non faccia male, ma ciò non significa in modo automatico che faccia bene. Qual è il livello di informazione della popolazione generale riguardo ai prodotti destinati alla supplementazione dietetica? È purtroppo opinione diffusa che i cibi “moderni” siano carenti di principi nutritivi e che, quindi, sia necessario integrarli. In realtà, i dati epidemiologici sull’obesità ci descrivono una popolazione marcatamente ipernutrita, il che rende molto improbabile il rischio di carenze. Discorso a parte va fatto per quanto riguarda gli integratori che promettono effetti miracolistici per il dimagri- ORTOPEDICI E INTEGRATORI: DA PRESCRITTORI A UTILIZZATORI Una recente indagine statunitense ha esplorato l'atteggiamento di alcune categorie di specialisti – nella fattispecie cardiologi, dermatologi e ortopedici – nei confronti degli integratori alimentari, in qualità sia di utilizzatori che di prescrittori, e le relative motivazioni. Il “Life... supplemented” Healthcare Professionals Impact Study è stato in realtà condotto dal Council for Responsible Nutrition di Washington, un'associazione di categoria rappresentante dell'industria del settore. Dal campione sono stati esclusi i professionisti con conflitti di interesse in merito. Sul totale di 900 medici intervistati (300 per ogni categoria) il 75% dei dermatologi, il 73% degli ortopedici e il 57% dei cardiologi ha dichiarato di far uso occasionalmente, ciclicamente o regolarmente di integratori. Anche in termini di consumo abituale sono risultati al primo posto i dermatologi (59%), seguiti dagli ortopedici (50%) e dai cardiologi (37%). Tra le ragioni addotte per giustificare il ricorso alla supplementazione hanno prevalso in tutti e tre i gruppi i riferimenti a “salute/benessere generale”, accompagnati da alcune indi- mento. Ovviamente non esistono prodotti in grado di produrre tali effetti, tuttavia l’attrattiva di questo tipo di promozione sul consumatore è grande perché ne accarezza ad arte la parte “pigra”, quella cioè che vorrebbe dimagrire senza fare sacrifici a tavola e in palestra. Non va infatti sottovalutato l’aspetto psicologico legato all’autoprescrizione di integratori: i sensi di colpa e la ricerca di facili scorciatoie per compensarli, basata sulla convinzione di poter ottenere da un pillola qualcosa che possa annullare o ridurre i guasti di uno stile di vita errato (fumo, sedentarietà, eccessi alimentari). Ne sono un esempio quei fumatori che essendo a conoscenza del fatto che il fumo aumenta il fabbisogno di vitamina C, la assumono sotto forma di integratore invece di smettere di fumare. A tale proposito, in questo settore esistono strumenti di controllo dell'informazione a tutela dei consumatori? I messaggi pubblicitari ingannevoli sono regolarmente sanzionati dal garante per la pubblicità. Tuttavia si ha l’impressione che per la loro entità tali sanzioni non siano particolarmente efficaci e che vengano considerate dalle aziende quasi alla stregua di un costo di produzione ripagato dal ritorno economico in termini di acquisti. Quali sono i rischi prevedibili o accertati di un'eventuale utilizzo inappropriato di tali prodotti? I rischi da sovradosaggio acuto sono relativamente bassi. Per quanto riguarda i rischi di sovradosaggi cronici nel 2007 ha fatto molto scalpore uno studio americano pubblicato su Jama che ha evidenziato, non senza una certa sorpresa, un’associazione tra l’integrazione di vitamina A, vitamina E e betacarotene a dosi alte e un leggero aumento della mortalità. È vero che negli Stati Uniti c'è una propensione al consumo di integratori che non è paragonabile a quella italiana, tuttavia lo studio segnala che l’integrazione vitaminica – particolarmente quella di vitamine liposolubili – non è sempre e comunque una pratica innocua. E le esagerazioni in termini di dosaggio non sono impossibili: il consumatore medio può facilmente credere che se una compressa fa bene, due fanno meglio e tre fanno benissimo. Rispetto a quali condizioni cliniche la supplementazione di micronutrienti e/o altri composti bioattivi può rivestire un ruolo importante come strumento di prevenzione? L’integrazione di folati e ferro in gravidanza rappresenta un esempio di consolidata efficacia. In quali condizioni patologiche la supplementazione di micronutrienti e/o altri composti bioattivi può essere parte integrante dell'approccio terapeutico? Generalmente in tutte le cazioni per così dire “specialty-related”: la salute osteoarticolare, quella cardiovascolare, la protezione dermatologica e anti-aging. Quanto ai tipi di integratori utilizzati, in larga parte si tratta di complessi multivitaminici, seguiti da acidi grassi omega-3, estratti vegetali e preparati a base di glucosamina/condroitin solfato. Anche nel ruolo di prescrittori i medici di questo studio sembrano riporre fiducia negli integratori: il 91% degli ortopedici, il 72% dei cardiologi e il 66% dei dermatologi li raccomanda ai propri pazienti (a volte dietro richiesta degli stessi), con motivazioni in questo caso più strettamente legate al rispettivo ambito specialistico. Complessivamente i professionisti intervistati hanno affermato di utilizzare come fonte di informazione sulla supplementazione dietetica la letteratura scientifica e di essere interessati a ricevere una formazione continua sul tema, che ne approfondisca gli aspetti farmacodinamici, clinici, educativi e anche medico-legali. Monica Oldani Dickinson A et al. Use of dietary supplements by cardiologists, dermatologists and orthopedists. Nutr J 2011;10:20. condizioni di malassorbimento, come nella celiachia, oppure di aumentato fabbisogno, come nelle degenze prolungate, e poi nei casi di malnutrizione per difetto, come nell’anoressia. Oppure, per fare un esempio più specifico, nei casi di ipertrigliceridemia, ove l’approccio dietetico non fosse sufficiente, può essere utile un’integrazione di acidi grassi omega-3. Tra le fasce di popolazione per le quali viene spesso consigliata una qualche forma di supplementazione (micronutrienti, antiossidanti, condroprotettori ecc.) vi sono gli anziani, in particolare in relazione alla prevenzione e cura di disturbi cardiovascolari, malattie neurodegenerative e problemi osteoarticolari. In quali casi questo è, a suo parere, un approccio corretto? In generale, l'approccio corretto dovrebbe prevedere innanzitutto un intervento di tipo dietetico. Ciò premesso, l’anziano è effettivamente un soggetto potenzialmente a rischio di carenze, anche per problemi di malnutrizione per difetto, dovuti a ridotta possibilità di scelta degli alimenti, a disfagia e/o difficoltà di masticazione; ma dovrà essere il medico, previa anamnesi alimentare, a valutare nello specifico le possibili carenze. Quali forme di supplementazione possono rivestire un ruolo preventivo o terapeutico in ambito ortopedico? > Fabio Galvano Nel trattamento della sarcopenia nell’anziano è di una certa efficacia l’integrazione di leucina se associata a esercizi con i pesi. Sempre nell’anziano si riscontrano frequentemente condizioni di ipovitaminosi D, anche a causa di un’insufficiente esposizione alla luce solare per condizioni di ridotta mobilità. Integrazioni di vitamina D e calcio potrebbero essere utili, previo accertamento dei livelli ematici di 25idrossicolecalciferolo e della calcemia, anche nelle donne in menopausa, tenendo conto del fatto che in realtà tale problema è diffuso nei paesi di maggiore latitudine piuttosto che nei paesi mediterranei. Infine, anche se resta da chiarirne i meccanismi, nelle donne in menopausa l’integrazione a base di isoflavoni della soia sembrerebbe essere di aiuto nel migliorare la densità ossea. Al contrario, un integratore a base di olio di pesce che prometteva effetti salutari sulle articolazioni, è stato recentemente sanzionato dalle autorità per pubblicità ingannevole. Monica Oldani 11 << << FOCUS ON IL PARERE DEGLI ESPERTI/2 CONTRO IL CANCRO MEGLIO PUNTARE SULLA DIETA A illustrare il rapporto tra sostanze di origine alimentare, integratori e malattia tumorale allo stato delle conoscenze è Vittorio Krogh, responsabile della Struttura complessa di epidemiologia e prevenzione dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano, la cui attività di ricerca è dedicata a studi osservazionali e di intervento sulla relazione tra esposizioni ambientali, inclusa la dieta, e sviluppo di malattie cronicodegenerative. Dottor Krogh, in quale direzione si sviluppa attualmente la ricerca sull'alimentazione come fattore di rischio oncologico? Negli ultimi anni la ricerca epidemiologica sulla relazione tra dieta e malattie cronico-degenerative, tra cui quelle oncologiche, si sta sempre più indirizzando verso un approccio olistico, nel quale gli stili alimentari vengono studiati in relazione al loro possibile ruolo protettivo o di rischio, e sta abbandonando il tradizionale approccio meccanicistico, nel quale singoli componenti vengono messi in rapporto con eventi o stati patologici. Tipico esempio è la dieta mediterranea, caratterizzata da una prevalenza di alimenti di origine vegetale, che si è ripetutamente dimostrata protettiva nei confronti di varie patologie cronico-degenerative e tumorali, in contrasto con la cosiddetta dieta occidentale, ricca in prodotti di origine animale e zuccheri raffinati, risultata a rischio per tutte le patologie cronicodegenerative, incluse quelle tumorali. Nella patologia tumorale è riconoscibile un ruolo dell'alimentazione anche come fattore prognostico? Sono sempre più forti le indicazioni che i fattori ambientali, tra i quali la dieta, che influenzano il rischio di sviluppare un tumore sono importanti anche come fattori influenzanti la prognosi. Rimane però il fatto che la ricerca in questo campo è ancora ai primi stadi e quindi le evidenze a tutt’oggi non sono ancora conclusive. Tra le misure che più frequentemente sono state considerate efficaci nel migliorare la prognosi e la qualità della vita nella malattia tumorale vi sono quelle collegate al controllo del peso corporeo, ottenibile sia tramite un’attività fisica regolare che tramite una lieve restrizione calorica, in modo da avere un apporto non eccedente il dispendio. Non vi sono invece prove a supporto di un qualche ruolo protettivo della supplementazione ad alte dosi di alcuni microelementi (vitamine e oligoelementi) nella prognosi della patologia tumorale. Fitoterapia e integratori per la salute delle donne Nell’ambito di “Pianeta nutrizione & integrazione”, forum multidisciplinare sui temi della nutrizione che si è tenuto a Parma il mese scorso, la Società italiana di fitoterapia e integratori in ostetricia e ginecologia (Sifiog) si è riunita per mettere in luce le novità del settore e dare un significato clinico alle ricerche riguardanti i prodotti disponibili, ponendo l’accento sulla possibilità che anche gli integratori possano usufruire delle nuove tecnologie per veicolare le sostanze attive all’interno dell’organismo. Obiettivo di Sifiog è quello di fornire un punto di riferimento in grado di valutare le evidenze scientifiche disponibili e incoraggiare la ricerca con gli stessi criteri utilizzati per il farmaco etico. «Esistono molte condizioni sia ostetriche sia ginecologiche in cui l’impiego di integratori e fitoterapici si è dimostrato efficace sia nella prevenzione che nel trattamento di numerosi disturbi – spiegano gli esperti della società scientifica –. In ambito ostetrico un esempio su tutti è quello dell’acido folico (vitamina B9), che dovrebbe essere assunto al dosaggio di 0.4 mg da tutte le donne che programmano una gravidanza, dal periodo preconcezionale fino al termine della 12° settimana di gestazione. L’assunzione di questo integratore è infatti fondamentale per la prevenzione di alcuni difetti congeniti dello sviluppo del sistema nervoso centrale fetale». Secondo Sifiog un'altra integrazione altrettanto valida e supportata dalla letteratura è quella per il trattamento dell’anemia indotta dalla gravidanza con integratori a base di ferro. Una valida alternativa all’assunzione di ferro, che spesso è associata a numerosi effetti collaterali, sarebbe l’utilizzo della lattoferrina, molecola che di recente è stata introdotta nella pratica clinica per il trattamento dell’anemia correlata alla gravidanza. L’azione di questa molecola non è attribuita solo alla quantità di ferro apportato, peraltro molto inferiore a quella somministrata con altri integratori, ma a un più complesso meccanismo che coinvolge i fattori dell’omeostasi sistemica del ferro. Novità assoluta è quella che riguarda l’impiego del myo-inositolo: nell’ultimo decennio numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia di questi integratori nel trattamento della sindrome dell’ovaio policistico, patologia molto complessa caratterizzata da alterazioni endocrinologiche e metaboliche. Sono in corso numerosi studi che hanno l’obiettivo di confermare i dati incoraggianti riguardo all’utilizzo di probiotici somministrati per via orale nelle donne con vaginosi batterica, un disturbo molto diffuso sia al di fuori che durante la gravidanza. La somministrazione di questi preparati agisce a livello vaginale migliorando le difese locali e favorendo l’instaurarsi di un ambiente sfavorevole alla proliferazione di agenti patogeni. Un capitolo molto ampio riguarda poi l’impiego dei fitoestrogeni, soprattutto nel trattamento dei sintomi correlati alla menopausa. Secondo la Società italiana di fitoterapia e integratori in ostetricia e ginecologia il ruolo protettivo dei fitoestrogeni nella comparsa dell'osteoporosi è in attesa di conferme cliniche, ma gode già di ottimi presupposti epidemiologici e sperimentali. Allo stato attuale delle conoscenze quali micronutrienti o altri composti bioattivi di origine alimentare hanno dimostrato un effetto protettivo nei confronti della patologia tumorale? Sono molte le componenti bioattive che sono state via via considerate come potenzialmente dotate di un effetto protettivo nella patologia tumorale (vitamine, oligoelementi ecc). Sulla spinta di queste osservazioni sono iniziate molte sperimentazioni di intervento con supplementi alimentari nell’uomo. Basta qui ricordare il Caret (Carotenoid and Retinol Efficacy Trial), l’Atbc (Alpha-Tocopherol betaCarotene Cancer Prevention Study), il Select (Selenium and Vitamin E Cancer Prevention Trial), i cui risultati sono tuttavia stati sempre deludenti. Anche nel senso che se in alcuni casi si aveva una modesta efficacia protettiva per alcune patologie questa risultava poi completamente annullata da aumentati rischi per altre patologie. Ci sono casi in cui una supplementazione di tali composti può essere utile ai fini della prevenzione primaria o terziaria in ambito oncologico? Negli anni Ottanta diversi studi sperimentali di intervento sull’uomo hanno studiato gli effetti sulla salute di vari integratori alimentari, in generale cocktail di vitamine antiossidanti e sali minerali: con piccole eccezioni, in genere su popolazioni con dieta povera e ripetitiva, non si sono evidenziati vantaggi su nessuna delle patologie in studio in confronto ai benefici garantiti da una dieta equilibrata e ricca di vegetali freschi. Al contrario, si sono evidenziati possibili rischi per la salute che in alcuni casi hanno fatto sospendere precipitosamente queste sperimentazioni: ne sono un esempio la supplementazione con alte dosi di beta-carotene > Vittorio Krogh e quella con alte dosi di vitamina E, che hanno portato a un aumento della mortalità in generale, e in particolare nel caso del beta-carotene a un aumento dell’incidenza di tumore al polmone nei fumatori. Per le persone in buona salute rimane valida la raccomandazione di consumare un’ampia varietà di cibi, possibilmente non sottoposti a tecniche di cottura e di conservazione che ne impoveriscono il contenuto in vitamine e sali minerali. M. O. Sport e attività fisica: Adi critica l’utilizzo di integratori ed energy drink L’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi) ribadisce la propria linea di intransigenza e «ferma condanna all’utilizzo di integratori e alla loro diffusione spesso superficiale e poco consapevole, specialmente alla luce dei dati pubblicati recentemente dall'Harvard School of Public Health di Boston». Nell’ambito di questa ricerca riguardo le bibite zuccherate – spiegano gli esperti dell’Adi – è stato rilevato che queste contribuirebbero all'eccesso di peso e rientrerebbero tra le cause dell'aumento del rischio di sviluppare patologie croniche come il diabete e le malattie cardiovascolari. Tra i prodotti analizzati, responsabili dei suddetti effetti dannosi, compaiono appunto gli integratori idrosalini (bevande sportive) e gli energy drink. «L’abuso di integratori dietetici comporta una serie di potenziali controindicazioni – si legge nella nota diffusa dall’Adi –; la stessa Wada (Agenzia mondiale antidoping) si è espressa con preoccupazione sui possibili rischi e sull’eventuale tossicità di questa tipologia di prodotti. «Quelle che si assumono con gli integratori sono sostanze presenti normalmente negli alimenti: carboidrati, proteine, aminoacidi, creatina, L-carnitina, carnosina, lipidi, vitamine, minerali, caffeina, ecc., che sono commercializzate come “estratti” o sintetizzate industrialmente. La differenza principale tra gli integratori e le stesse sostanze assunte con l’alimentazione comune sta nei dosaggi: spesso quando assunte sotto forma di integratori sono “superdosi”, sulla cui innocuità a lungo termine esistono pareri discordanti». Secondo quanto affermato da Adi – una onlus che opera senza fini di lucro nell’ambito della scienza della alimentazione –, l’adozione di abitudini alimentari corrette, ispirate ai semplici e salutari principi del “modello alimentare mediterraneo”, è sufficiente a coprire per intero i fabbisogni nutrizionali della quasi totalità degli sportivi. L’eccezione è costituita da atleti di altissimo livello che praticano alcune particolari discipline, ma che possono avvalersi della consulenza di specialisti che evitano il pericoloso “fai da te”. In base ad uno studio condotto da Adi è emerso che gli integratori alimentari diffusi in commercio e le bevande energetiche possono essere efficacemente sostituiti con semplici preparati domestici a base di alimenti comuni: questo eviterebbe l’assunzione di coloranti e zuccheri in eccesso. Le diffusissime bevande finalizzate a reintegrare le perdite idro-saline dovute all’attività sportiva, per esempio, hanno le stesse proprietà di una semplice bevanda fatta in casa: 750 ml di acqua, 250 ml di succo di frutta (meglio se albicocca per la maggior presenza di potassio), sale da cucina (1 grammo, massimo 2), preoccupandosi soltanto di far sì che la quantità totale di zuccheri sia compresa tra 30 e 60 g/l. Per quanto riguarda gli integratori energetici si può ottenere lo stesso risultato consumando cibi comuni (biscotti secchi, fette biscottate con miele e marmellata, frutta fresca o essiccata, dolci da forno senza farciture e creme). << << FOCUS ON 12 IL PARERE DEGLI ESPERTI/3 DIRE ANTIOSSIDANTI NON BASTA Popolari come non mai per le proprietà antiossidanti ampiamente dimostrate negli studi in vitro – capaci di eliminare Ros e Rns e di modulare l'azione dei sistemi enzimatici antiossidanti e dei fattori di trascrizione redox-sensibili a livello cellulare – i polifenoli sono in questo momento i composti antiossidanti di origine alimentare ai quali maggiormente si dedicano anche gli studi di intervento nell'uomo. Rappresentano anche uno degli argomenti di interesse di Mauro Serafini, biologo, ricercatore presso l'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (Inran) di Roma, dove si occupa dei meccanismi di difesa dell’organismo nei confronti di stress esogeni ossidativi e infiammatori e del ruolo della modulazione redox e antinfiammatoria di alimenti, nutrienti, micronutrienti e fitochimici. Autore, con alcuni colleghi del Laboratorio di ricerca sugli antiossidanti dell'Inran, di un lavoro di revisione degli studi clinici sulle proprietà antiossidanti dei polifenoli vegetali che lo scorso anno ha avuto molta risonanza, avendo evidenziato – in opposizione alle diffuse interpretazioni semplicistiche – la complessità dei meccanismi attraverso i quali l'azione di questi composti si esplica in vivo. Complessità che, in realtà, sembra caratterizzare l'interazione dell'organismo con tutti i composti bioattivi di origine alimentare. Dottor Serafini, oggi la medicina preventiva dedica molta attenzione al ruolo protettivo di specifici alimenti, grazie alle loro proprietà antiossidanti. Quali sono i più efficaci da questo punto di vista? Tra gli alimenti potenzialmente più efficaci nella prevenzione, per esempio delle malattie cardiovascolari, abbiamo il tè, il mirtillo, i broccoli. Una novità degli ultimi anni è sicuramente il cacao e di conseguenza il cioccolato, purché fondente, che svolge un effetto importante e scientificamente validato nell’uomo come antiossidante, riducendo la pressione sanguigna, l’aggregazione piastrinica e potenziando la funzionalità dell’endotelio. Ma di fondo, direi che è complessivamente protettivo un regime alimentare di origine vegetale. Allo stato attuale delle conoscenze quali sono i composti bioattivi più “promettenti”? A dire il vero, ci troviamo in un momento in cui, dopo dieci anni di ricerche sui flavonoidi, composti polifenolici che sono metaboliti secondari presenti nei vegetali, non abbiamo neppure la certezza che siano loro a svolgere un effetto preventivo. O meglio, ci troviamo a interrogarci su quale sia il loro meccanismo di azione, data la loro bassa biodisponibilità e la profonda metabolizzazione che subiscono nell’organismo, finalizzata alla loro escrezione. Quindi, sebbene ogni giorno si trovino sui media notizie relative alle proprietà curative di singoli composti, le evidenze scientifiche non sono altrettanto incoraggianti quanto lo sono per gli alimenti nella loro totalità. Quanto contano le combinazioni tra diversi micronutrienti e altri composti bioattivi di origine alimentare nel determinarne le proprietà funzionali? L’aspetto delle associazioni alimentari è, a mio avviso, fondamentale per capire se l'alimento o il singolo nutriente possono svolgere una funzione nell’uomo, dato che noi assumiamo i vari composti nell’ambito di un pasto e quindi sempre in associazione con altri. Noi siamo molto attenti a questo aspetto: siamo stati i primi a mettere in evidenza circa dieci anni fa l’effetto negativo che l’associazione tra latte e tè aveva sulle proprietà antiossidanti di quest’ultimo, riducendole. Un effetto che si riscontra anche per il cioccolato e il mirtillo, che se ingeriti con il latte perdono le loro proprietà antiossidanti. Da ciò è facile immaginare che per alcuni composti antiossidanti, principalmente i flavonoidi, dotati di una spiccata affinità per le proteine, con le quali stabiliscono legami secondari abbastanza forti, si possano verificare fenomeni di interferenza che in un pasto normale, normalmente ricco di proteine, ne riducono l'assorbimento. Molto spesso questi fenomeni non vengono studiati perché si preferisce verificare l'effetto del singolo nutriente o del singolo alimento piuttosto che delle eventuali associazioni. La comprensione di queste ultime, invece, è essenziale per poter fornire suggerimenti concreti alla popolazione sull’ottimizzazione dell’apporto antiossidante. A mio parere, bisognerebbe effettuare una ricerca sperimentale più vicina alla realtà dell'assunzione dei vari composti attraverso la dieta. In effetti, nella review da lei di recente pubblicata sulle proprietà antiossidanti dei polifenoli di origine vegetale emerge che i risultati degli studi in vivo sono molto sensibili, oltre che all'effetto dei possibili fattori di confondimento, anche alle caratteristiche del disegno sperimentale. Quali sono le principali difficoltà che si incontrano nel condurre studi di efficacia in questo settore? Il disegno sperimentale è fondamentale per poter comprendere i risultati ottenuti, se lo studio si basa su un singolo giorno di supplementazione (acuto) avremo un modello sperimentale pulito e scevro da variabili, come la modulazione omeostatica o l'attività fisica, che invece sono variabili importanti per gli studi in cronico. Entrambi i modelli sono in realtà validi, ma mentre il primo serve per avere una risposta rapida sulle potenzialità dell'alimento, il secondo è quello che può dare le risposte definitive e più attendibili sugli effetti reali. In entrambi i casi comunque la scelta dei criteri di inclusione ed esclusione dei soggetti è fondamentale per ridurre la variabilità e aumentare la forza statistica dello studio. Se da un lato studi epidemiologici e sperimentali depongono a favore dell'effetto protettivo di alcuni micronutrienti e altri composti bioattivi di origine alimentare rispetto alle principali malattie degenerative, dall'altro non è sempre confermata l'efficacia della supplementazione dei medesimi composti sotto forma di integratori. Quale indicazione di comportamento si può trarre da questa evidente discrepanza? Il concetto dell’integratore come pillola magica che sostituisce alcuni alimenti riproducendone le proprietà – e magari donandoci la vita eterna – deve essere POLIFENOLI AL BANCO DI PROVA > Mauro Serafini assolutamente abbandonato. Le evidenze sperimentali ed epidemiologiche sono a favore di un effetto protettivo esercitato dagli alimenti di origine vegetale e non dalla supplementazione con alcune delle sostanze in essi contenute. Anzi, l’utilizzo di alcune molecole (ne è un esempio il beta-carotene) per lunghi periodi e a dosi molto più alte di quelle raccomandate è stato visto avere un effetto decisamente negativo. Questo fatto può essere imputabile al fatto che, come dicevo, nell’alimento abbiamo una combinazione ottimale di molecole biofunzionali, nonché di altri componenti (fibra, minerali ecc.), che conferiscono all'alimento uno spettro d’azione ampio; mentre estrarre un singolo composto da somministrare, magari in sovradosaggio, può essere controproducente poiché altera i meccanismi omeostatici di controllo dell’organismo. È evidente che in stati carenziali specifici, che non sia possibile o indicato correggere con la dieta, si può pensare di utilizzare gli integratori, ma senza mai eccedere con le dosi. Monica Oldani Si tratta della prima revisione sistematica degli studi di intervento nell'uomo finalizzati a valutare l'espressione delle proprietà antiossidanti dei polifenoli in vivo. Ha incluso 158 lavori per un totale di 227 interventi di somministrazione di polifenoli da fonti alimentari (frutti e succhi di frutta, ortaggi, tè, vino, prodotti a base di cacao, altri derivati vegetali) o da estratti vegetali, nei quali sono state misurate nel plasma le variazioni della capacità antiossidante non enzimatica (Neac) in seguito a intervento dietetico/supplementazione e in rapporto alle concentrazioni di polifenoli. Nonostante l'eterogeneità metodologica degli studi considerati, la revisione di Mauro Serafini e colleghi ha fatto emergere alcuni elementi di grande interesse. In primo luogo, la diversa risposta ottenuta nei trial con singola somministrazione, che hanno ottenuto un effetto chiaramente positivo sui livelli di Neac nel 65% degli interventi, rispetto ai trial con somministrazione prolungata, che hanno rilevato variazioni significative della Neac nel 50% degli interventi; a dimostrazione del peso delle variabili che possono interferire con l'azione degli antiossidanti nell'organismo sul lungo periodo. In secondo luogo, la forte discrepanza tra l'entità degli aumenti della Neac e le concentrazioni di polifenoli circolanti, la quale, unitamente alla loro apparentemente scarsa biodisponibilità e all'alto tasso di trasformazione metabolica cui sono soggetti, fa supporre che il contributo di questi composti esogeni alla difesa antiossidante endogena non sia diretto come si pensava, ma possibilmente legato a interazioni sinergiche con altri meccanismi redox o all'azione di alcuni dei loro metaboliti. In terzo luogo, la diversa efficacia degli interventi nell'aumentare i livelli di Neac a seconda dello stato di salute dei soggetti, con un effetto relativamente scarso negli individui sani (dove il 58% degli interventi non ha prodotto variazioni della Neac) e decisamente maggiore (con innalzamento della Neac nel 70% degli interventi) negli individui con un alto grado di stress ossidativo (per esempio per la presenza di fattori di rischio cardiovascolare come fumo, ipercolesterolemia, sindrome metabolica, ipertensione, ecc) – cioè in quelli che presumibilmente più necessitano di un supporto esogeno ai sistemi antiossidanti endogeni. M. O. Serafini M, Miglio C, Peluso I, Petrosino T. Modulation of plasma Non Enzimatic Antioxidant Capacity (NEAC) by plant foods: the role of polyphenol. Curr Top Med Chem 2011;11:1821-46. Scacco ai sintomi dell’artrosi in un’unica mossa Un trattamento tratta amento UNICO U UNIC O c un’efficacia con un’effica acia pr prolungata olung gata nel tempo. tem mpo. Cross linked Cross linked inno innovativo vativo pe er una stabilizz azione dei polimeri d onato per stabilizzazione dii ialur ialuronato e per un beneficio oltr oltre o e i 6 mesi Efficacia Effi fficacia clinica dim dimostrata mostrata Azione rrapida Azione apida e mirata mirrata sui su ui sintomi dolor dolorosi osi Più P iù sicurezza sicur i ezza senza se enza rischio rischio di flog flogosi gosi e/o aller allergie gie Moono-somministrazione con unn eccellente profilo di sicurezza Mono-somministrazione za e pprolungati benefici (oltre i 6 mesi) m nella riduzione del dolore. doloree Research th that hat becomes care [email protected] www.monovisc.it 98° CONGRESSO NAZIONALE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA SIOT2013 Presidenti: Francesco Franchin, Federico Santolini La ricostruzione articolare Il ritardo di consolidazione delle fratture Genova 26-29 ottobre 2013 Centro Congressi Magazzini del Cotone Segreteria Organizzativa Comitato Scientifico SIOT Studio Ega srl Viale Tiziano, 19 00196 Roma t. +39 06 32812.1 f. +39 06 3240143 [email protected] www.ega.it Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia Via Nicola Martelli, 3 00197 Roma t. +39 06 80691593 f. +39 06 80687266 [email protected] www.siot.it ORTHOviews Review della letteratura internazionale RICERCA COLONNA Un film bioattivo per migliorare l’adesione tra osso e impianto Meccanomiografia, tecnica per aiutare la decompressione discale Un team di ricercatori della North Carolina State University ha reso nota sul Journal of Biomedical Materials Research un’importante scoperta che potrebbe migliorare in maniera sensibile il tasso di successo degli impianti polimerici, frequentemente utilizzati in chirurgia spinale, tramite l’applicazione di un sottile rivestimento in materiale bioattivo. In questo tipo di impianti viene comunemente utilizzato il polyetheretherketone (PEEK), un polimero ad alte prestazioni che, nonostante presenti dei vantaggi rispetto ai biomateriali metallici utilizzati per applicazioni in impianti spinali, tuttavia fatica a legare bene con l’osso o altri tessuti del corpo. Questo suo comportamento genera uno sfregamento dell'impianto contro i tessuti circostanti che può evolvere in complicazioni mediche o rendere necessari ulteriori interventi chirurgici. «Volevamo applicare un rivestimento bioattivo che permettesse agli impianti polimerici di legare con i tessuti circostanti» ha spiegato Afsaneh Rabiei, professore associato di ingegneria meccanica e aerospaziale presso la North Carolina State University e autore della ricerca. «La sfida era che questi rivestimenti devono essere riscaldati a 500°C, ma il polimero fonde a 300°C. Noi abbiamo finalmente risolto il problema». Il primo passo della nuova tecnica messa a punto dai ricercatori consiste nel ricoprire l'impianto con un sottile strato di ossido di zirconia stabilizzata con ittrio (YSZ), al quale viene poi applicato un rivestimento di idrossiapatite (HA), un fosfato di calcio che si lega bene con l’osso. Un piccolo studio ha preso in esame un sistema ancora poco noto ma che promette di fornire un aiuto importante agli specialisti di chirurgia vertebrale. Si chiama meccanomiografia (o, in breve, Mmg) e permette di individuare l’attività meccanica che avviene durante la contrazione dei muscoli in seguito a una stimolazione nervosa, fornendo informazioni con un alto livello di accuratezza utilizzabili nelle procedure in cui i nervi motori sono a rischio. Per esempio, in questo modo i chirurghi possono determinare se la chirurgia è stata efficace per allentare la pressione sui nervi compressi, situazione molto comune che si associa a sciatalgia e debolezza muscolare. Uno studio sulla Mmg è stato presentato al congresso che lo scorso marzo ha riunito i chirurghi ortopedici americani dell’Aaos (American academy of orthoapedic surgeons). L’autore è Stephen Bartol, che ha dimostrato l’efficacia della meccanomiografia nel misurare la funzionalità nervosa e nel determinare se i nervi sono sottoposti a compressione. Il vantaggio concreto è che questa tecnica può fornire informazioni in tempo reale durante l’esecuzione dell’intervento di chirurgia spinale, riducendo in tal modo il rischio di errori e la necessità di interventi successivi. Con il perfezionamento delle procedure di chirurgia mininvasiva, si è resa sempre più manifesta la necessità di disporre di strumenti in grado di monitorare la funzionalità del nervo durante l’intervento. Solitamente i chirurghi controllano la decompressione del nervo Successivamente lo strato di idrossiapatite viene riscaldato mediante microonde. Lo strato di YSZ funge da schermo termico, impedendo la fusione del PEEK. Nel frattempo il calore conferisce all'idrossiapatite una struttura cristallina che la rende più stabile all’interno del corpo e di conseguenza il fosfato di calcio si scioglie più lentamente, favorendo l’adesione all'osso circostante. L'immagine del microscopio elettronico a scansione (b) mostra una sezione trasversale del rivestimento bioattivo in idrossiapatite/YSZ senza trattamento termico, evidenziando come i due strati siano distinti. Nell'immagine in basso (f ), che mostra il > rivestimento dopo il trattamento termico, si nota invece come gli strati siano ben integrati. La ricerca è solo agli inizi ma i ricercatori americani sembrano crederci molto, e non sono i soli: «abbiamo ricevuto finanziamenti dal National Institutes of Health per procedere con la sperimentazione su animali e mettere a punto questa tecnica – conferma il professor Rabiei –. Poi passeremo alla sperimentazione clinica». Rachele Villa Rabiei A, Sandukas S. Processing and evaluation of bioactive coatings on polymeric implants. J Biomed Mater Res A. 2013 Feb 15. Sezioni trasversali del rivestimento bioattivo > Stephen Bartol, l’autore dello studio, esercita la sua attività di chirurgo ortopedico all’Henry Ford Hospital di Detroit attraverso la visualizzazione diretta oppure servendosi della leva di Woodson, metodi che Bartol definisce “puramente soggettivi”. Un’altra tecnica, l’elettromiografia (Emg), è in grado di rilevare la risposta elettrica del muscolo, ma non è affidabile a causa delle interferenze elettriche nella sala operatoria, che rendono difficile quantificare la risposta dei nervi. «Tradizionalmente – spiega il chirurgo americano – quando intervenivamo su qualcuno che presentava una compressione del nervo, non sapevamo se avevamo fatto abbastanza; si trattava di aspettare e osservare il paziente dopo l’intervento. Invece l’Mmg ci permette di distinguere tra nervi compressi e normali e misurare la gravità della compressione». Nella sperimentazione illustrata al congresso Aaos, il team di Bartol ha utilizzato la meccanomiografia per controllare la soglia di stimolazione di 64 nervi, in 41 pazienti ricoverati all’Henry Ford Hospital di Detroit. L’operazione è stata ripetuta prima e dopo la decompressione, durante la quale una piccola porzione di osso è stata rimossa in corrispondenza del nervo, permettendo alla radice nervosa di guarire. La stimolazione è iniziata con una corrente elettrica di 1 mA, che è stata poi aumentata fino all’intensità in cui si otteneva una risposta dell’apparecchiatura di Mmg. Prima della decompressione, l’89% dei nervi presentava una soglia media di 4,89 mA, che è scesa, dopo l’azione del chirurgo, a 2,08 e, nel 70% dei casi, fino al valore normale di 1 mA. Inoltre, il 98% dei nervi ha fatto registrare una diminuzione della soglia almeno pari a 1 mA. Secondo l’autore dello studio, i risultati dimostrano che la tecnologia Mmg «permette al chirurgo di prendere decisioni migliori in sala operatoria; dopo una decompressione inadeguata il paziente continuerà a sentire dolore, mentre un migliore controllo dei nervi si dovrebbe tradurre in outcome clinici più soddisfacenti». L’esperto spiega comunque che sono necessari ulteriori trial clinici per approfondire le conoscenze su questa tecnica e confermare i buoni risultati ottenuti da questo studio. Renato Torlaschi AcademyStore il negozio per i professionisti della salute HOZACK - PARVIZI - BENDER INCLUSO DVD 544 PAGINE OLTRE 600 ILLUSTRAZIONI CHIRURGIA dell’ANCA Ricostruzione, Sostituzione e Revisione Ri È nnecessario raccogliere con padronanza le sfide lanciate da questo se segmento della pratica ortopedica in rapida evoluzione. Chirurgia dell’anca: ricostruzione, sostituzione e revisione offre strategie di de tra trattamento chirurgico aggiornate per tutti i tipi di protesizzazione dell’anca, da parte di esperti di tutto il mondo, per una guida de co completa e di facile consultazione. Novità editoriale In vendita sul portale WWW.ACADEMYSTORE.IT € 153 editore: verduci Edizione 2011 ISBN 8-876-20842-9 Lesioni traumatiche del bacino Dall’urgenza al trattamento programmato mmato “L’opera, che “L’ h non vuole l essere un semplice li rifacimento if i o ddella ll prima edizione, si divide in due parti. La prima, dedicata alle lesioni della pelvi, traccia le linee guida sul trattamento del politraumatizzato in sala emergenza e in pronto soccorso. so. osticoQui vengono elencati i dispositivi salvavita e l’iter diagnosticostrumentale adatto a questo tipo di patologia. Il secondoo rali momento terapeutico inizia quando le condizioni generali dell’infortunato sono migliorate e si può dare inizio alla riduzione e alla contenzione della lesione scheletrica. tata La seconda parte, dedicata alle fratture acetabolari, è stata suddivisa in 27 capitoli: dalla classificazione, alle lesioni ni inveterate e postumi invalidanti. A parte i numerosi disegni che illustrano i vari tipi di lesione sione sia del bacino, sia dell’acetabolo, il volume è corredatoo da numerose tavole fuori testo che riportano immaginii di radiogrammi e di campi operatori sui diversi tipi di frattura tura estrapolati da un’ampia casistica (1400 casi).” Prof. Gianfranco Zinghi Autori G.F. Zinghi R. Pascarella Edizione 2011 Novità editoriale In vendita sul portale WWW.ACADEMYSTORE.IT VOLUME 1 VOLUME 2 prezzo di copertina previsto prezzo di copertina previsto ISBN 978-88-97162-21-6 ISBN 978-88-97162-23-0 € 120 € 180 Acquistabili separatamente in vendita sul portale WWW.ACADEMYSTORE.IT 17 << ORTHOviews Review della letteratura internazionale LAVORO ORIGINALE L’alternativa alle teste di grandi dimensioni: il cotile a doppia mobilità Franco Parente, Pierantonio Gardelin, Simone Gatti, Andrea Milella, Andrea Parente Istituto Clinico S. Siro, Milano L’idea della doppia mobilità – una testina femorale articolata in modo stabile dentro un inserto in polietilene a sua volta capace di muoversi liberamente all’interno di un cotile metallico – fu concepita dal professor Gilles Bousquet nel 1975 con l’intento di associare i vantaggi della bassa usura secondo i concetti della “low friction arthroplasty” espressi da John Charnely, con la grande stabilità delle teste di grande diametro a quel tempo proposte da McKee Farrar. L’impianto di Charnely (stelo monoblocco in acciaio con testina da 22,2 mm articolante in un cotile in polietilene ad alto peso molecolare) aveva rivoluzionato la protesica d’anca garantendo a questa pratica chirurgica una riproducibilità e una affidabilità prima sconosciute, ma conservava un elevato rischio di lussazioni. D’altro canto l’esperienza di McKee Farrar (teste di grande diametro con accoppiamento metallometallo), se da un lato risolveva il problema della instabilità, dall’altro conservava importanti problemi tribologici. Nel 1979 il professor Bousquet perfezionò la sua idea arrivando al disegno di un impianto che già si avvicinava ai concetti attuali. Infatti si trattava di un cotile non cementato (il cotile Novae) con la superficie interna lucidata a specchio su cui si articolava un inserto in polietilene ritentivo che ospitava una testina da 22,2 mm. In questo modo veniva rispettato il principio della “low friction arthroplasty” e al contempo si diminuivano notevolmente le possibilità di lussazione, sia nel caso di impianti primari che di revisione. Secondo il concetto elaborato da Bousquet la maggior parte del movimento ha luogo fra la testina metallica e l’inserto in polietilene (articolazione “interna”), mentre ai gradi estremi dell’escursione articolare (l’area dove può avvenire la lussazione negli impianti tradizionali) subentra l’articolazione “esterna”, cioè quella fra l’inserto mobile in polietilene e la coppa acetabolare (fig. 1). Razionale e tecnica chirurgica Quali sono oggi i vantaggi di un sistema di questo tipo rispetto ad uno tradizionale? Sicuramente la doppia mobilità permette un aumento sia della stabilità articolare che del range of motion (Rom). Infatti l’aumento del diametro della testa aumenta l’opposizione alla lussazione, facendo arrivare la testa più tardi alla perdita di contatto. Oggi sappiamo anche che l’aumento del diametro della testa migliora il Rom (fig. 2). Per esempio il passaggio da una testina da 28 mm a una da 40 mm permette di aumentare l’arco di movimento di più di 29°. Oggi la richiesta funzionale del paziente, anche in età avanzata, è sempre maggiore e molti pazienti chiedono al chirurgo di poter continuare a svolgere, dopo l’intervento, l'attività sportiva abituale. Per questo necessitano della più ampia escursione articolare possibile. Anche le più banali attività quotidiane richiedono comunque ampi archi di movimento. Ad esempio per potersi infilare le scarpe occorrono 125° di flessione, 21° di adduzione e 15° di rotazione interna. Nella tabella sono mostrate le escursioni articolari necessarie per eseguire una serie di comuni movimenti. Molti chirurghi potrebbero essere perplessi riguardo alla possibile usura dell’inserto mobile in polietilene all’interno del cotile a doppia mobilità. A questo proposito dobbiamo ricordare che grazie alla particolare catena cinematica di questo impianto la maggior parte del movimento ha luogo tra la testa metallica (da 22 o da 28 mm) e l’inserto plastico. Solo le posizioni estreme dell’escursione articolare portano al movimento tra inserto e metal back. Da un’analisi cinematica relativa ai gradi di movimento richiesti per le varie attività fisiche è emerso come approssimativamente l’80% del movimento resti a carico dell’articolazione “interna”, mentre solo il 20% è espletato da quella “esterna”. Questo concetto cinematico è supportato anche da pubblicazioni con risultati clinici a > Fig. 1: il meccanismo cinematico del cotile a doppia mobilità. Quando l’articolazione interna giunge “a fine corsa” il collo dello stelo si appoggia sull’inserto mobile e attiva l’articolazione esterna Flessione Salire le scale 67° Scendere le scale 36° Sedersi 103° Infilarsi le scarpe 125° Guidare l’auto 108° Camminare 24° Estensione Abduzione Adduzione lungo termine. Ad esempio il dottor Farizon e altri pubblicarono nel 1997 su International Orthopaedics i risultati di una revisione critica su 135 impianti con 12 anni di follow up, con una sopravvivenza dell'impianto del 95,4% (1). L'usura può essere ulteriormente ridotta utilizzando particolari tipi di polietilene, cioè ricorrendo al polietilene reticolato o a quello arricchito con vitamina E. Per tutto questo oggi questo sistema protesico può essere paragonato al "rotating platform" per il ginocchio. I vantaggi della doppia mobilità non prescindono, ovviamente, dalle regole di un corretto posizionamento delle componenti protesiche. Un'eventuale lussazione con questa tecnica risulta di difficile riduzione incruenta. Comunque la percentuale di lussazioni riportata in letteratura è dello 0,09%, pari a 1 caso su 1.100 (2). Casistica personale La nostra esperienza con questo tipo di impianto parte nel 2006. Fino ad oggi abbiamo utilizzato 400 cotili di questo tipo ripartiti fra due tipologie commericali: Polar Cup (Smith & Nephew) e Dmx (Adler Ortho) (fig. 3). Il 60% della popolazione è costituito da donne, mentre il 40% da maschi. L'età media dei pazienti era di 71,55 anni. In 11 casi questa tipologia di cotile è stata impiantata in pazienti più giovani, di sesso femminile, con acetaboli molto piccoli. Abbiamo valutato i primi 140 casi con follow-up massimo di 4 anni. In questo gruppo non abbiamo verificato alcun problema di lussazione. Abbiamo per contro riscontrato in questi pazienti una mobilità articolare aumentata rispetto a quelli con impianto tradizionale, con Rot. interna 19° 21° Escursioni articolari dell’anca necessarie per eseguire le più comuni attività giornaliere > Fig. 4: impianto con coppa a doppia mobilità Dmx e stelo mininvasivo Pulchra. L’indagine strumentale non evidenzia segni di usura del polietilene aumento della flessione (flessione media 105°) e dell'abduzione (35°). La soddisfazione del paziente è stata sempre elevata, con una ripresa funzionale precoce. Alle radiografie di controllo non si evidenziavano segni di usura del polietilene (fig. 4). Discussione Questo impianto fino ad alcuni anni fa era dichiarato elettivo in alcune tipologie di pazienti. Infatti veniva raccomandato in pazienti con problematiche neurologiche o con ipotrofia muscolare oltre che in pazienti con storia di lussazione recidivante di artroprotesi d'anca. Visto però il positivo feedback clinicamente dimostrato, riteniamo possa essere un impianto acetabolare da utilizzare sistematicamente nei pazienti oltre la settima decade di età e nei casi con acetabolo di piccola dimensione. Riteniamo infine che questa tipologia di impianto possa rappresentare una buona alternativa alle grandi teste metallo-metallo date le problematiche recentemente riscontrate con questo tipo particolare di soluzione. Bibliografia 1. Farizon F et al. Results with a cementless alumina-coated cup with dual mobility. A twelve-year follow-up study. Int Orthop 1998;22(4):21924. 2. Leclercq S et al. Traitement de la luxation récidivante de prothèse totale de hanche par le cotyle de Bousquet. A propos de 13 cas. Rev Chir Orthop, 81, 1995, 389-394. 3. Meek RM et al. Epidemiology of dislocation after total hip arthroplasty. Clin Orthop Relat Res 2006 Jun;447:9-18. 4. Padgett DE, Warashina H. The unstable total hip replacement. Clin Orthop Relat Res 2004 Mar;(420):72-9. 5. Jolles BM et al. Factors predisposing to dislocation after primary total hip arthroplasty: a multivariate analysis. J Arthroplasty 2002 Apr; 17(3):282-8. Rot. esterna 14° 37° 15° > Fig. 3: il cotile a doppia mobilità Dmx (Adler Ortho, Milano). Oggi questo impianto potrebbe essere una valida alternativa alle teste di grande diametro con accopiamenti ceramica-ceramica e metallo-metallo, soprattutto in pazienti anziani con alta richiesta funzionale 15° 24° 8° 5° 24° Fig. 2: un impianto con testina più piccola (rosso) ha un Rom ridotto rispetto a un impianto con testa più grande (blu) > www.sigascot.com Evento Patrocinato SIOT 1° Evento Patrocinato SIOT Corso base sul trattamento meniscale Meniscus Pathology: Remove, Repair, Replace Istituto Ortopedico Rizzoli - Bologna, 1° luglio 2013 Master Class SIGASCOT Cartilage and Sport / Cartilagine e Sport Istituto Clinico Humanitas IRCCS - Rozzano (Milano) 31 May / Maggio 2013 Società Italiana lia di Chirurgia rur chi Artroscopia, Art op del Ginocchio, til ee Sport, Cartilagine e Ortopediche O pe he Tecnologie Presidente Maurilio Marcacci Società Italiana di Chirurgia del Ginocchio, Artroscopia, Sport, Cartilagine e Tecnologie Ortopediche Comitato Scientifico Maurilio Marcacci Stefano Zaffagnini Elizaveta Kon President / Presidente Piero Volpi È stato richiesto il Patrocinio della SIOT Master Class SIGASCOT Controversie nella chirurgia legamentosa del ginocchio Evento Patrocinato SIOT 3° Modena, 6 Dicembre 2013 Current Concepts SIGASCOT “Le Gonartrosi” Sheraton Hotel Catania, 19-20 settembre 2013 Società Italiana di Chirurgia del Ginocchio, Artroscopia, Sport, Cartilagine e Tecnologie Ortopediche Società Italiana lia di Chirurgia rur chi Artroscopia, Art op del Ginocchio, Sport, Cartilagine til ee e Ortopediche O pe he Tecnologie Presidente Comitato Scientifico Luigi Pederzini SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Presidente del Congresso Giuseppe Sessa Presidenti del Programma Scientifico Claudio Zorzi Fabio Catani Segreteria Scientifica Fabio Nicoletta Mauro Prandini Massimo Tosi Informazioni generali: [email protected] Viale Giacomo Matteotti, 7 50121 Firenze Tel. 055 50351 Per mostra e sponsorizzazioni: [email protected] 19 << ORTHOviews Review della letteratura internazionale LAVORO ORIGINALE Diagnosi differenziale in fisioterapia: caso di dolore non specifico all'arto inferiore Dott. Filippo Zanella, fisioterapista e docente di terapia manuale (www.studiozanellafisioterapia.com) Dott. Giovanni Carrossa, fisioterapista Il case report è un’evidenza aneddotica. Come tale, essa è meno scientificamente rigorosa di studi clinici controllati. Esso però ha valore all'interno del metodo scientifico poiché permette la scoperta di nuove malattie e gli effetti inattesi (negativi o positivi), così come lo studio dei meccanismi, e gioca un ruolo importante nella formazione sanitaria (1). In questo articolo verrà descritto un case report di un paziente il cui quadro sintomatologico ha fuorviato la diagnosi medica, causando il non recupero del paziente dalla patologia; secondariamente, dopo attenta valutazione fisioterapica, è stato possibile individuare la causa e indirizzare il paziente a un recupero con successo. Anamnesi Paziente maschio, caucasico di 59 anni, praticante ciclismo amatoriale. Nessuna segnalazione particolare nella storia clinica recente del paziente. Da circa 15 giorni lamenta lieve dolore (Vas = 2) in sede coscia posteriore sinistra, ad altezza del primo terzo distale della coscia, paramediana interna. La sintomatologia algica è insorta a seguito di leggera attività fisica (ascesa rapida delle scale) ed è andata ingravescendosi nei giorni successivi. Non si segnala alcun traumatismo recente. Nei tre giorni successivi il paziente si è rivolto al suo medico di base che, dato il quadro clinico, ha ipotizzato la presenza di uno strappo muscolare di lieve entità. Pertanto il medico prescrive esame ecografico dell’area dolente e successiva vista specialista dall’ortopedico. Esame ecografico All'esame ecografico risulta una “area ipoecogena da lesione focale a 2,5 cm dall’inserzione del capo lungo del bicipite femorale” (fig.1). Non sono apprezzabili presenze di versamenti. L'ecografista conferma la diagnosi del medico di base di strappo muscolare di primo grado, ove non è presente rottura di fibre muscolari e/o riguarda fino al 5% del muscolo (2). Consulto ortopedico Il referto, presentato allo specialista ortopedico insieme al quadro eziologico del paziente, porta alla conferma della diagnosi. Di conseguenza vengono prescritti riposo relativo; assunzione di Diclofenac sodico in cpr da 100 mg tre volte al giorno per 7 giorni; un ciclo (5 sedute) di diatermia a trasferimento energetico capacitivo e resistivo sull'area dolorosa. Trascorsi 15 giorni, al termine del trattamento, il sintomo algico è aumentato, per cui reputando non completamente efficace la terapia effettuata, il paziente si rivolge al fisioterapista per una valutazione complementare. Valutazione fisioterapica Nella prima seduta viene eseguita la diagnosi funzionale e l’indagine anamnestica, durante la quale, oltre a riportare i dati finora presentati, il paziente riferisce anche Fig.1: ecografia nell’area dolente del paziente, la freccia indica la sospetta lesione focale > nella sua anamnesi remota la presenza di un'operazione chirurgica a cui è stato sottoposto 43 anni prima per correggere un atteggiamento di "piede cavo bilaterale pronunciato”. Tale operazione, consistente in una tripla artrodesi del gruppo astragalo-scafoide-cuboide con viti, era una procedura abbastanza diffusa per la correzione chirurgica del piede cavo (3). Ciò ha provocato un blocco completo dei movimenti dell’arco plantare, con una diminuzione del range of motion (Rom) in dorsi-flessione di caviglia, in parte compensata dal gruppo osseo metatarsale. La serendipità, nel caso clinico esaminato, è stata la rilevazione del fatto che tutta la catena posteriore del paziente fosse fortemente retratta, data la limitazione alla dorsiflessione delle caviglie indotta dall’operazione chirurgica subita, che ne impediva uno stretch adeguato e causava un sovraccarico a livello della muscolatura paravertebrale. Il paziente non ha mai notato tale insufficienza, data la giovane età alla quale si è sottoposto all’intervento e all’assenza di deficit funzionali nelle normali attività quotidiane o nello sport (cammino, bici). Registrando tale dato disfunzionale, il fisioterapista ha osservato la cute del paziente senza notare né alterazioni morfologiche cutanee di alcun tipo nell’area del sospetto strappo, né segni di ematomi, emorragie o ecchimosi, spesso associate a questo tipo di problematiche. Assenti anche alla palpazione eventuali tessuti cicatriziali, che spesso si formano una settimana dopo lo strappo parziale del muscolo (4). La palpazione leggera della sospetta area traumatica non produce dolore, che invece si manifesta in forma lieve a una pressione maggiore (Vas = 3). Viene effettuato un test della forza muscolare in ortostatismo secondo Kendall, dal quale non si evidenzia alcuna asimmetria o diminuzione di forza rispetto all’arto controlaterale; il dolore si esacerba in modo lieve solo se il muscolo viene testato con paziente in posizione prona, senza che però vi sia cambiamento della performance muscolare e nel Rom. Viene quindi eseguito un test di Lasegue, che risulta positivo, con comparsa di dolore nella presunta zona lesionale. La positività di questo test è frequente nelle radicolopatie L5-S1 (5). Per differenziare viene effettuato anche uno Slump test che risulta parzialmente positivo (il test provoca impingement della dura, del midollo spinale o delle radici nervose) (6). Se il paziente viene sistemato prono il dolore all’arto inferiore comincia a comparire come fastidio, per poi aumentare d’intensità. Se il paziente effettua delle estensioni del tronco da prono il dolore aumenta (test d’iperestensione lombare: positivo per disfunzioni segmentali) (5). Data la positività dei test, si ipotizza la presenza di una patologia radicolare legata a una problematica di protrusione discale, legata forse al sovraccarico tensionale della componente paravertebrale lombare: vengono pertanto effettuate manovre di scarico del rachide, quali pompage cervicale, pompage del sacro e pompage lombare in flessione passiva degli arti inferiori, durante le quali il paziente riferisce un lieve miglioramento della sintomatologia. Quanto rilevato conferma pertanto l’ipotesi di una radicolopatia di origine discale. Per confermare la diagnosi, al paziente viene consigliato di sottoporsi a una risonanza magnetica del rachide lombare (fig. 2), nella quale si apprezza un “prolasso del disco intraforaminale a sinistra L3-L4”. La radice nervosa in quel segmento è direttamente interessata (in questo caso, è la radice L3 sinistra): il disco sposta la radice nervosa L3 leggermente rostralmente e posteriormente. Oltre a quanto rilevato in sede diagnostica, è statisticamente anche provato che il prolasso discale a livello L3-L4 è il più comune (7). Trattamento Il paziente viene pertanto rimandato dal medico di base, che prescrive una terapia infiltratoria in regione L3-L4. Parallelamente, il paziente effettua delle sedute di terapia di scarico del rachide attraverso pompages ed esercizi di scarico in flessione del rachide da supino di tipo McKenzie. Al cessare della sintomatologia, agli esercizi in flessione vengono addizionati esercizi in estensione da supino e sedute di rieducazione posturale globale. Dopo circa 45 giorni di trattamento il paziente non avverte più dolore e riprende senza problemi l'attività sportiva, con la raccomandazione di continuare gli esercizi di mantenimento. Conclusioni La diagnosi funzionale del fisioterapista è una sezione fondamentale della presa in carico e della cura di qualunque paziente. Essa costituisce parte non solo della seduta fisioterapica, ma bensì di tutto il percorso clinico, valutativo e terapeutico della persona, inteso nella sua più completa accezione di multi- disciplinarietà di figure professionali agenti e interagenti. La funzione sostanziale della diagnosi differenziale in fisioterapia è quella di indirizzare a un trattamento riabilitativo corretto e di evitare terapie non funzionali oppure dannose. Il fisioterapista può combinare le sue capacità diagnostiche con quelle di altri specialisti e/o con tecniche di imaging per ottenere i risultati clinici migliori e terapeuticamente più efficaci. Bibliografia 1. Kidd M, Hubbard C. Introducing journal of medical case reports. J Med Case Rep 2007 Feb 2;1:1. 2. Takebayashi S, Takasawa H, Banzai Y, Miki H, Sasaki R, Itoh Y, Matsubara S. Sonographic findings in muscle strain injury: clinical and MR imaging correlation. J Ultrasound Med 1995 Dec;14(12):899-905. 3. McCluskey WP et al. The cavovarus foot deformity. Etiology and management. Clin Orthop Relat Res 1989 Oct;(247):27-37. 4. Macintosh BR et al. Skeletal muscle: form and function. Champaign, IL: Human Kinetics, 1996. 5. Buckup K. Clinical tests for the musculoskeletal system: examinations, signs, phenomena. Thieme, 2008. 6. Butler D, Gifford L. Adverse mechanical tensions in the nervous system. Physiotherapy 1989; 75: 622–629. 7. Wetzel FT, Hanley EN. Spine surgery: a practical atlas. New York, NY: McGraw Hill; 2001. > Fig. 2: risonanza magnetica pesata in T2 del tratto lombare del paziente. Si noti il prolasso del disco intraforaminale indicato dalla freccia CAMPAGNA ABBONAMENTI con soli 30€ ti abboni al mensile Tabloid Ortopedia e ricevi un buono acquisto del valore dell’abbonamento da spendere sul portale www.academystore.it* AcademyStore il negozio per i professionisti della salute 30€ * una volta effettuato il pagamento dell’abbonamento al mensile Tabloid Ortopedia, riceverai al tuo indirizzo email un codice coupon da inserire sul portale WWW.ACADEMYSTORE.IT per usufruire dello sconto di 30€ sul primo acquisto ? QUESITO DIAGNOSTICO FORMAZIONE CONTINUA LA SOLUZIONE A PAGINA 22 A CURA DI GIORGIO CASTELLAZZI Franca è una signora di 65 anni che vive a Milano e lavora con soddisfazione come dirigente in un’azienda di comunicazione. Da qualche mese lamenta algia all’arto superiore di destra, irradiata a braccio e mano omolaterali: il medico di famiglia, pensando si potesse trattare di una problematica legata al rachide cervicale, ha fatto eseguire una radiografia mirata al collo, risultata negativa, e anche una risonanza magnetica, senza reperti di rilievo. ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI I trattamenti antidolorifici si sono rivelati di scarso beneficio, per cui è stata richiesta anche una radiografia di spalla e omero destri (1): essa ha portato alla luce una grossolana lesione litica che interessa il tratto meta-diafisario prossimale dell’omero stesso, senza calcificazioni. Sono stati subito eseguiti esami a tappeto del sangue riportanti solo lieve anemia microcitica, banda oligoclonale all’elettroforesi e glicosuria. La risonanza magnetica (2), giustamente richiesta come esame di secondo livello, ha confermato tessuto patologico endo-osseo al tratto meta-diafisario prossimale dell’omero, che erode la corticale e invade i tessuti molli adiacenti. > RX (1) omero, pr. frontale > RM (2) coronale, T2 > RM (2) assiale, T1 > RM (2), coronale, SPAIR > RM (2) sagittale, T1 > RM (2) assiale, T2 FFE IPOTESI DIAGNOSTICHE Presa visione dell’iconografia a disposizione, qual è l’ipotesi più plausibile? • • • • Metastasi Mieloma Condrosarcoma Sarcoma di Ewing << << CORSI E CONGRESSI 22 L’ A g e n d a d e l l ’ O r t o p e d i c o 14 giugno XVII Congresso Regionale ACOTO Le fratture articolare: lo stato dell'arte Napoli, Hotel Royal Continental Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700 [email protected] - www.adarteventi.com 14-15 giugno 141° Riunione della Società Emiliano-RomagnolaTriveneta di Ortopedia e Traumatologia (SERTOT) Fratture estremo prossimale dell'omero Revisione delle protesi d'anca Trieste Segreteria Organizzativa: MV Congressi Tel. 0521.290191 - Fax 0521.291314 [email protected] - www.mvcongressi.com 15 giugno Artroscopia e medicina rigenerativa: nuove prospettive. La ricostruzione del difetto condrale La riparazione della lesione massiva della cuffia dei rotatori Roma, Aula Magna - Ospedale Forlanini Segreteria Organizzativa: Balestra Congressi Tel. 06.2148068 - [email protected] 21 giugno Corso SIdA. La via anteriore mininvasiva nella chirurgia protesica dell’anca Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.chirurgiaanca.com Tabloid di Ortopedia Anno VIII - numero 4 maggio 2013 Mensile di informazione, cultura, attualità Direttore responsabile Paolo Pegoraro [email protected] Redazione Andrea Peren [email protected] Rachele Villa [email protected] Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo [email protected] Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Grafica e impaginazione Minù Art • boutique creativa - www.minuart.it Hanno collaborato in questo numero: Cosma Capobianco, Giorgio Castellazzi, Monica Oldani, Renato Torlaschi PUBBLICITÀ Direttore commerciale Giuseppe Roccucci [email protected] Vendite Stefania Bianchi [email protected] Sergio Hefti (Agente) [email protected] Manuela Pavan (Agente) [email protected] TIRATURA DI QUESTO NUMERO: 8.000 copie EDITORE: Griffin srl P.zza Castello 5/E - 22060 Carimate (Co) Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 www.griffineditore.it - [email protected] www.orthoacademy.it - [email protected] L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di autodisciplina pubblicitaria. Dichiara altresì di accettare la competenza e le decisioni del Comitato di controllo e del Giurì dell’autodisciplina pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione. Stampa Reggiani spa - Divisione Arti Grafiche Via Alighieri, 50 - Brezzo di Bedero (VA) Tabloid di Ortopedia, periodico mensile - Copyright© Griffin srl Registrazione del Tribunale di Como N. 17/06 del 26.10.2006 Iscrizione Registro degli operatori di comunicazione N. 14370 del 31.07.2006 Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n.46) art 1 comma 1, DCB Milano Taxe Perçue Abbonamento annuale Italia: euro 2.25 - Singolo fascicolo: euro 0.25 Tutti gli articoli pubblicati su Tabloid di Ortopedia sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. La proprietà letteraria degli articoli pubblicati è riservata a Griffin srl. Il contenuto del giornale non può essere riprodotto o traferito, neppure parzialmente, in alcuna forma e su qulalsiasi supporto, salvo espressa autorizzazione scritta dell’Editore. Ai sensi della legge in vigore, i dati dei lettori saranno trattati sia manualmente sia con strumenti informatici e utilizzati per l’invio di questa e altre pubblicazioni o materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dalla legge. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Griffin srl intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Griffin srl, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione prevista per legge. In base alle norme sulla pubblicità l’editore non è tenuto al controllo dei messaggi ospitati negli spazi a pagamento. Gli inserzionisti rispondono in proprio per quanto contenuto nei testi. 21-22 giugno XIII Congresso SICOOP Relive surgery: approccio multidisciplinare e innovativo alla patologia ortopedica Genova, Palazzo Ducale Fondazione Cultura Segreteria Organizzativa: Balestra Congressi Tel. 06.2148068 - Fax 06.62277364 [email protected] 1 luglio 1° Corso base sul trattamento meniscale "Meniscus pathology: remove, repair, replace" Bologna, Istituto Ortopedico Rizzoli Segreteria Organizzativa: OIC srl Tel. 055.50351 - Fax 055.5001912 - [email protected] 11-14 luglio Annual Meeting of the American Orthopaedic Society for Sports Medicine (AOSSM) Chicago, Usa, Sheraton Hotel and Towers www.sportsmed.org 11-13 settembre 17th meeting ISOLS International Society of Limb Salvage "Common language for the new century” Bologna, Palazzo Re Enzo Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700 [email protected] - www.isols2013.org 19-20 settembre 3rd Current Concept SIGASCOT "Le Gonartrosi" Catania, Sheraton Catania & Conference Center Segreteria Organizzativa: OIC srl Tel. 055.50351 - Fax 055.5001912 - [email protected] 26-28 settembre 6° Trauma Meeting Innovazioni in traumatologia - Le fratture esposte Riccione (RN), Palazzo dei Congressi Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700 [email protected] 2-4 ottobre XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Artroscopia (SIA) Artroscopia e Sport Pesaro, Adriatic Arena Segreteria Organizzativa: Dynamicom srl Fiorella Mortara - [email protected] Tel. 02.89693750 - Fax 02.201176 3-5 ottobre 51° Congresso Nazionale SICM "Artroscopia e artroplastica del polso: metodiche a confronto" 10° Congresso Nazionale GIS RASM-AIRM "Il trattamento conservativo in riabilitazione della mano e dell’arto superiore" Rimini Segreteria Organizzativa: PLS Educational Tel 055.24621 - Fax 055.2462270 [email protected] - www.sicm.it ORTORISPOSTA RISPOSTA AL QUESITO DIAGNOSTICO La diagnosi correttà è quella di metastasi, come da risultato bioptico. La paziente infatti, alcuni anni orsono, è stata sottoposta a nefrectomia destra per carcinoma, finora senza segni di ripresa di malattia. Le altre ipotesi diagnostiche sono poco probabili. Mieloma: normalmente di tratta di lesioni plurime, mentre questa è singola; normalmente sono lesioni tondeggianti, mentre questa è irregolare; normalmente la corticale è dentellata, non francamente erosa. Condrosarcoma: anch’esso si sviluppa principalmente nella IV e VI decade di vita, ma in genere presenta calcificazioni nel contesto (anche se non sempre). Sarcoma di Ewing: non è compatibile con l’età avanzata. 3-5 ottobre International symposium intra articular treatment Barcellona, Spagna Segreteria Organizzativa: Dynamicom srl Valentina Arena - Fiorella Mortara Tel. 02.89693762 - Fax 02.201176 [email protected] [email protected] www.isiat.it 5 ottobre La riprotesizzazione di anca e ginocchio, l'esperienza dei giovani ortopedici Campi Bisenzio, Hotel 500 Firenze Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] 5 ottobre 50° Congresso ALOTO Il ginocchio varo: dalla fisiopatologia ai trattamenti Roma, Aula della Biblioteca Alessandrina Segreteria Organizzativa: Balestra Congressi Tel. 06.2148068 - [email protected] 10-12 ottobre 62° Congresso Nazionale SINch Palermo, San Paolo Palace Hotel Segreteria Organizzativa: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.sinch.it 12 ottobre XIV Congresso Regionale APLOTO Alterazioni morfologiche e meccaniche dell'arto inferiore. Diagnosi e terapia Martina Franca (TA) Segreteria Organizzativa: Ad Arte srl Tel. 051.19936160 - Fax 051.19936700 [email protected] - www.adarteventi.com 13-16 ottobre 8th Combined Meeting of Orthopaedic Research Societies (CORS) San Servolo, Venezia Segreteria Organizzativa: OIC Congressi Tel. 055.50351 - Fax 055.5001912 [email protected] - www.cors2013.org Riunione Sertot A Trieste il 14 e 15 giugno alla 141esima riunione della Società emiliano-romagnola-triveneta di ortopedia e traumatologia (Sertot) si discuterà delle problematiche relative alla diagnosi precoce e al trattamento delle patologie in due ambiti strettamente ortopedici: le fratture estremo prossimale dell’omero e le revisioni delle protesi d’anca. «Le fratture dell’estremo prossimale dell’omero sono sempre in aumento in quanto le persone anziane, spesso affette da osteoporosi, sono obbligate a muoversi e quindi è più frequente che nelle cadute riportino traumi che coinvolgono molto spesso l’arto superiore nei tentativi di difesa, per evitare danni più gravi – ci ha spiegato il professor Giovanni Fancellu, direttore della clinica ortopedica traumatologica dell’Università di Trieste –. Per quanto riguarda la revisione di protesi d’anca anche queste sono in aumento visto che negli anni precedenti sono state impiantate un numero importante di protesi delle quali alcune, alla luce degli studi attuali, non erano certamente le più adatte – spiega il chirurgo, che traccia la rotta per il futuro: «le generazioni attuali di protesi, se ben posizionate, si spera avranno una durata maggiore e soprattutto siano meno dolorose». Il prossimo appuntamento con la Sertot è il corso autunnale di Piacenza, organizzato da Pietro Maniscalco, Giuseppe Leddi e Luigi Bisogno sul tema delle fratture articolari dell’arto superiore. Per informazioni Per informazioni MV Congressi Tel. 0521.290191 - Fax 0521.291314 [email protected] - www.sertot.it TECNOLOGIA DELLE POLVERI Parva Custom Made Calix Fixa TiPor® Omnia TiPor® ADLER A ADL ER ORTHO S.R.L SEDE COMMERCIALE: COMMERCIA ALE: Via Ciro Menot Menotti tti 11 D, 20129 Milan Milano no Tel. +39 www.adlerortho.com 9 02 615437400 - Fax. +39 02 615437444 615437444 - e-mail: [email protected] [email protected] - website: www.adl lerortho.com