“PROGETTO DI INIZIATIVE DI ASSISTENZA TECNICA PER LA RAZIONALIZZAZIONE PRODUTTIVA NEL SETTORE APISTICO” M.I.P.A.F. Ministero per le Politiche Agricole Forestali I quaderni dell’apicoltore 4 FLORA APISTICA A cura di: Barbara Leida Giorgio Della Valle e Lucia Piana Il presente lavoro si pone come obiettivo di passare in rassegna le principali piante di interesse apistico. Non c’è la pretesa, con queste pagine, di offrire un lavoro esauriente. La quantità di specie presenti sul nostro territorio è enorme e le differenze ambientali da nord a sud, dalla montagna alla pianura creano microclimi particolari e varietà di piante all’interno della stessa specie che richiederebbero la stesura di un’opera enciclopedica. Crediamo tuttavia di poter fornire un panorama della principale flora apistica presente e delle produzioni da questa fornite. Un secondo lavoro, sulla flora apistica minore, sarà pubblicato successivamente, data la quantità di specie interessate. Le api raccolgono dalle piante diversi prodotti: il nettare, la melata, il polline, la propoli. In questo lavoro sono state descritte le principali piante interessanti per la produzione di miele. Delle stesse viene indicata comunque l’incidenza della produzione di polline. Prima di passare in rassegna queste specie, merita ricordare brevemente come le api intervengono nella produzione del miele e nella raccolta del polline. Barbara Leida I testi relativi alle diverse specie botaniche sono di Barbara Leida e Giorgio della Valle Le schede del Miele sono di Lucia Piana 2 Il miele e la melata I l miele è “la sostanza zuccherina prodotta dalle api a partire dal nettare, dalla melata e dalle sostanze zuccherine che esse raccolgono su vegetali viventi, che arricchiscono di sostanze provenienti dal loro corpo, trasformano, depongono nei favi e fanno maturare”. Il nettare è un liquido zuccherino secreto dai nettarii, tessuti ghiandolari generalmente presenti nei fiori o, talvolta, in altre parti delle piante. Il nettare deriva dalla linfa floematica ed è costituito essenzialmente da carboidrati (prevalentemente saccarosio, fruttosio e glucosio) e in piccola parte da altre sostanze quali composti azotati, vitamine, pigmenti, oli essenziali (responsabili dell’aroma), sali minerali, ecc. La quantità e la qualità del nettare dipendono dalle caratteristiche morfologiche e fisiologiche della pianta (numero e dimensione dei nettarii, età della pianta, posizione del fiore sulla pianta, ecc.) e dall’ambiente (terreno, temperatura, umidità, esposizione al sole, vento, ecc.). La melata, invece, deriva dalla linfa che viene succhiata ed escreta da insetti dell’ordine dei Rincoti, pertanto è già arricchita di alcuni enzimi di origine animale. Sono inoltre caratteristicamente presenti altri due zuccheri, il fruttomaltoso e il melezitoso. Anche in questo caso la produzione è influenzata dalla pianta stessa e dalle caratteristiche ambientali. Le api suggono queste sostanze zuccherine grazie al loro apparato boccale costituito da galee mascellari e palpi del labbro inferiore che si uniscono a tubo e che, con la ligula, costituiscono la proboscide. Il nettare o la melata, succhiati con la proboscide, passano nella faringe, nell’esofago ed infine nella borsa melaria. Qui, arricchito di enzimi, il nettare viene disidratato e subisce un processo di “maturazione” grazie a numerosi rigurgiti aventi lo scopo di esporlo all’aria. Il completamento della maturazione avviene all’interno delle cellette, ad opera delle api che ventilano. Il polline I l polline viene raccolto dalle api in quanto fonte proteica, fondamentale per la nutrizione della covata. Attraverso espedienti diversi, l’ape prima si imbratta di polline, quindi lo raccoglie attraverso una serie di operazioni effettuate con le zampe. Col primo paio di zampe, con le spazzole tarsali, l’ape raccoglie il polline presente sull’apparato boccale e sul capo e lo umetta col nettare; col secondo paio, sempre con le spazzole tarsali, raccoglie il polline del torace e lo unisce al primo; col terzo paio, raccoglie il polline dell’addome e lo unisce a quello del secondo paio. Quindi, con movimenti rapidi di sfregamento delle zampe posteriori, trasferisce il polline da una spazzola tarsale al pettine dell’altra e viceversa. Infine, flettendo l’articolazione tibio-tarsale, spinge il polline nelle cestelle, situate nella porzione esterna della tibia del terzo paio di zampe, dove le pallottole vengono trattenute da peli ricurvi. 3 Le principali specie vegetative visitate dalle api ACACIA O ROBINIA (ROBINIA PSEUDACACIA L.) a robinia è una pianta di origine americana: sono circa venti le specie che appartengono a questo genere e che si trovano in America settentrionale e centrale. In Europa è presente solo la "falsa acacia", cioè la Robinia pseudacacia L. Le varietà sono numerose: R. pseudacacia pyramidalis ha chioma assurgente, mentre la varietà R. p. ubriciana ha forma pendula e R. p. purpurea ha fogliame rossastro. Le varietà R. p. unbraculifera e R. p. bessoniana sono prive di spine e, la seconda, ha chioma globosa. Al nord, la robinia si spinge fino in Irlanda anche se, come pianta ornamentale, si ritrova fin nella penisola scandinava. In Italia è distribuita su una fascia altimetrica che va dal livello del mare fino a più di 1.000 metri (oltre 1.500 nel sud), dove occupa una superficie di circa 100.000 ettari: solo in Piemonte i boschi di robinia si estendano su una superficie di 85.000 ettari. Oltre che in Piemonte, la robinia è diffusa principalmente in Lombardia, Veneto e Toscana e si sta diffondendo velocemente in altre regioni.E' una specie rustica,con minime esigenze, climaticamente mesofila, ma capace di sopportare la siccità estiva. Non presenta esigenze particolari di terreno, anzi lo migliora (si tratta di una leguminosa, come tale vive in simbiosi con batteri azotofissatori); esige una luce intensa, ma può sopportare, negli stadi giovanili, un parziale aduggiamento. È ritenuta pianta infestante poiché, a causa della sua forza pollonifera, rigetta abbondantemente se ripetutamente tagliata, prendendo il sopravvento sulle specie locali. Il legname della robinia, molto più usato all'estero che in Italia,è duro,di lunga durata,resistente alla rottura,elastico,ben lavorabile e poco soggetto alle alterazioni. Le doti ornamentali di alcune forme di robinia sono il motivo della sua diffusione in Europa; pare vi sia giunta all'inizio del secolo XVII inviata a Jean Robin, erborista del re Enrico IV di Francia. Più L Acacia tardi Linneo denominò il genere riferendosi al cognome Robin. In Italia apparì più tardi, verso la fine del secolo XVIII, sporadicamente e quale pianta da giardino; dimostratasi subito vigorosa e di facile adattamento a diversissime condizioni pedoclimatiche, passò ad usi forestali, tanto che già nel secolo scorso era considerata più pianta da bosco che da giardino. In Italia la robinia è rintracciabile ovunque: forma siepi arbustive lungo le strade e le ferrovie, oppure, in portamento arboreo, è mescolata a molte altre specie, spontaneizzata con querce, castagni, pini ecc. E’ oggi la specie esotica più diffusa in Italia ed in Europa, in particolare nelle regioni danubiane. Tra i diversi tipi di miele quello di robinia è senza dubbio il più estesamente conosciuto ed apprezzato in Italia. E’ la qualità uniflorale più diffusa nei punti vendita della grande distribuzione; la produzione nazionale è largamente insufficiente a soddisfare le richieste e ogni anno ne vengono importati grandi quantitativi dai Paesi dell'Est Europeo (Ungheria, soprattutto) e dalla Cina. I mieli di robinia di origini geografiche diverse (italiane e non) possono essere differenziati grazie ai pollini di accompagnamento che permettono, per lo meno per i prodotti più diffusi e meglio conosciuti, un agevole riconoscimento. 4 Acacia BOTANICA LA SCHEDA La robinia è una pianta a portamento arbustivo ed arboreo, di non elevate dimensioni. La corteccia è scura,percorsa longitudinalmente da solcature sinuose. Dispone di un apparato radicale robusto e particolarmente pollonifero. La chioma è ramificata. Le foglie sono addensate, alterne, imparipennate composte (cioè ogni foglia è formata da numerose foglioline e termina con una foglia all'apice della nervatura centrale). Le foglioline, a loro volta, sono obovate, regolari e di un verde brillante. Spesso le foglie sono dotate di stipole trasformate in spine. La fioritura avviene su grappoli penduli di fiori portati da sottili peduncoli ed assumenti forma papilionacea: il calice è composto da cinque lobi e la corolla da petali larghi, arrotondati verso il margine libero. L'androceo è formato da 10 stami, nove dei quali sono riuniti a formare la parte essenziale del pistillo, mentre uno è libero. Il colore dei petali è generalmente bianco, ma può essere anche rosato.Il nettare viene prodotto nel fondo del fiore, alla base del tubo formato dagli stami e risulta facilmente accessibile agli insetti. Il frutto è un legume portante da tre a dieci semi. Il miele di acacia La produzione di nettare è molto elevata e permette un’ottima produzione qualitativa e quantitativa di miele, anche se molto variabile negli anni. Il miele di robinia presenta un’elevatissima concentrazione di fruttosio (59-60%) che lo rende stabilmente fluido. E’ relativamente povero in sali minerali ed in polline; per dichiarare un miele uniflorale di robinia è sufficiente una presenza di granuli pollinici di questa pianta nella misura del 30% (I classe di rappresentatività), contro il 45% richiesto per i pollini normalmente rappresentati Aspetti organolettici STATO FISICO: generalmente liquido; può eventualmente presentarsi torbido per la formazione di cristalli, senza tuttavia raggiungere una cristallizzazione completa. COLORE: sempre molto chiaro, da quasi incolore a paglierino. ODORE: leggero, floreale, ricorda quello dei suoi fiori o appena fruttato. SAPORE: decisamente dolce, anche stucchevole, con leggerissima acidità. AROMA: molto delicato, tipicamente vanigliato, confettato, poco persistente e privo di retrogusto. L’INTERVISTA "Si dice che il miele di robinia prodotto dagli apicoltori stanziali delle prealpi lombarde e piemontesi sia il migliore. E' vero?" "Generalmente sì: il miele di robinia, o di acacia, come viene anche chiamato, ha un sapore delicato, sensibile a qualsiasi, anche minima, contaminazione: una pur piccola quantità di un altro miele dal sapore forte (ad esempio il miele di tarassaco) è sufficiente a modificarne la colorazione ed il sapore. Nella zona delle Prealpi non sono presenti, se non in misura limitata, siffatte fioriture primaverili e si ha la quasi certezza di produrre un miele autenticamente monoflora." Acacia Difetti Anche piccole quantità di altri nettari che si aggiungano al raccolto principale possono contaminare il prodotto finale, rendendolo semplicemente un millefiori. Lo stesso vale per raccolti aromatici precedenti (tarassaco nelle prealpi ed erica in Toscana) o, più raramente, seguenti (ailanto, melate). Gli effetti sono evidenti sull'aroma, sul colore, sulla composizione e, conseguentemente, sulla cristallizzazione. Per ridurre l'incidenza di questi fenomeni è indispensabile una buona conoscenza del territorio e delle risorse nettarifere, tempismo nella posa e nel prelievo dei melari; ciò può richiedere una successiva deumidificazione in laboratorio. Un altro difetto che si può riscontrare nel miele di robinia è di ritrovare odore e/o aroma di naftalina (usata impropriamente per 5 Acacia LA SCHEDA AGRUMI (CITRUS SPP. L.) proteggere dall'attacco della tarma della cera i favi dei melari immagazzinati), di acido fenico o di benzaldeide (usati, irragionevolmente, per allontanare le api dai melari al momento della raccolta), di fumo (prodotto con materiali inidonei o usato eccessivamente durante le visite e alla raccolta), di timolo (usato per la lotta alla varroa), di covata (qualora si smielino favi vecchi precedentemente covati). Eventuali impurità sono messe in rilievo in caso di mancate o incomplete operazioni di decantazione e filtrazione. Il miele di acacia è liquido. Tuttavia alcuni fattori possono innescare un processo di cristallizzazione. Tra questi, tralasciando la presenza di mieli inquinanti: - il contenuto d’acqua che incide sulla percentuale di glucosio “cristallizzabile”, in eccesso cioè rispetto al punto di saturazione; - formazione di microcristalli per agitazione durante il passaggio nelle pompe; - formazione di microcristalli per presenza di residui di cera dovuti all’uso di disopercolatrici automatiche. Questo difetto può essere eliminato stabilmente con un riscaldamento moderato (4045°C) che sciolga i microcristalli o i cristalli già visibili. Oppure può essere prevenuto sottoponendo i melari a un riscaldamento ancora più moderato (30-35°C) ed estraendo il miele a questa temperatura, in modo che i microcristalli non si formino. Acacia L 'arancio ed il limone sono, in Italia, i più diffusi rappresentanti della famiglia delle Rutaceae. Nel clima mediterraneo e nei suoli del Sud hanno trovato le condizioni adatte per diffondersi. ARANCIO (CITRUS AURANTIUM L. E CITRUS SINENSIS L.) L'introduzione nel bacino del Mediterraneo è relativamente recente e si ritiene risalga ai primi secoli dell'era cristiana sotto le vesti dell'arancio amaro. L'arancio dolce compare in Europa solo dopo il Mille e si ritiene sia stato portato dai portoghesi grazie alle spedizioni nelle Indie. Il nome arancio troverebbe la propria origine nell'arabo "narangi", derivato a sua volta dal persiano o dal sanscrito "nagarang'a", che secondo il Pianigiani, significava “frutto favorito dagli elefanti". Secondo altri glottologi la parola "aurantium" dei latini può originare anche dal vocabolo "aureum" e quindi significherebbe "albero dai frutti aurei". L'arancio è pianta longeva e può vivere oltre cento anni, ma economicamente dura meno e raggiunge lo stadio della piena produzione verso il ventesimo anno. BOTANICA É alto 10-12 metri; la media peraltro è di 6-7 metri. La chioma è compatta e le foglie sono ovate, a margine intero o appena dentate; il picciolo, alato in forma accennata nell'arancio dolce, è evidente in quello amaro. In quest'ultimo le foglie sono profumate. Le spine sono molto piccole nell'arancio dolce e di maggior lunghezza in quello amaro. I fiori, di dimensioni maggiori nell'arancio amaro, sono profumati in entrambe le specie, ma il profumo dell'arancio amaro è più intenso. Sono solitari o riuniti in fascetti o in piccoli grappoli ascellari, hanno perianzio di cinque sepali con lobi calicini arrotondati. Il numero degli stami è pari a quattro volte il numero dei petali. L'ovario è supero, costituito da nove-quindici carpelli. Il frutto è una bacca tipo esperidio, di forma rotonda o subsferica; la buccia - liscia e di colore dal giallo al rosso vinoso nell'arancio dolce e ruvida, rugosa, amarissima, giallo-rossiccia in quello amaro - è 6 Agrumi LA SCHEDA Il miele di agrumi Il miele di agrumi rappresenta uno dei prodotti uniflorali più conosciuti ed apprezzati nel mondo intero. In Italia è secondo, per diffusione nei punti vendita e nelle preferenze del consumatore, solo al miele di acacia. La produzione uniflorale si ha soprattutto dove questa cultura assume carattere intensivo e la fioritura avviene in un periodo definito (e non protratto, e quindi sovrapposto ad altre fioriture, come spesso avviene ai tropici); in particolare sono note le produzioni di Messico, California, Florida, Israele, Spagna e Italia. Nel nostro Paese si produce principalmente in Sicilia e Calabria, ma anche Puglia, Basilicata, Campania, Sardegna e Lazio rientrano nelle regioni produttrici. In Italia, il miele di agrumi più comunemente prodotto è di arancio o di agrumi misti: più rari i mieli di un’unica varietà diversa dall’arancio (limone, mandarino, bergamotto, cedro); in Israele sono noti mieli di pompelmo, in Corsica, i mieli di clementino. Le differenze tra un’origine e l’altra sono poco conosciute e anche a livello di analisi spesso non ci sono elementi sufficienti per verificare se queste denominazioni specifiche, di sicura presa sul consumatore, sono usate correttamente. costituita da un esocarpo, flavedo, nel quale si trovano numerose tasche lisigene ricche di oli essenziali; queste sono appoggiate al mesocarpo bianco e spugnoso, albedo. L'endocarpo, suddiviso in tanti settori avvolti da una sottile membrana, è formato da vescicole pluricellulari contenenti il succo. Nell'arancio amaro i semi sono numerosi, mentre quello dolce ne contiene pochi o nulla. Una specifica caratteristica dei semi di arancio è la poliembrionia. L'arancia deriva il suo pregio da tre suoi componenti: lo zucchero, le vitamine (A, gruppo B, C) e i sali minerali.All’alto contenuto di vitamina C si deve l'azione terapeutica preventiva e curativa in tutti i caso di scorbuto conclamato, ed in tutte le altre forme che allo scorbuto si connettono. Esistono due specie: C. aurantium L., detta "arancio amaro" o "melangolo" e C. aurantium var sinensis L., o Citrus sinensis (L) Osbeck, chiamata arancio dolce. L'utilizzo dell’arancio amaro è industriale per la presenza nelle foglie, nei frutti e nei fiori di cellule oleifere e di principi aromatici. Dalla scorza si estrae l’essenza; dalle foglie e dai polloni si ricava, per distillazione, l’essenza di Petit grain; dai fiori, per estrazione con solventi volatili, si ha l’essenza di Neroli, da Flavia Orsini principessa di Neroli che alla fine del sec. XVII ne introdusse la moda. Dal frutto (polpa e scorza) si ha una confettura di pregio, come pure il "Curacao" ed altri liquori. L’arancio dolce è originario della Cina. Comprende un insieme di varietà classificate da diversi autori in gruppi distinti, ma i caratteri non sono costanti e le identificazioni non sono facili. Le cultivar coltivate in Italia sono numerose, tra queste: Ovale o Calabrese, Belladonna, Tarocco, Moro, Sanguinello comune,Washington Navel,Valencia late, Jaffa. Agrumi Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzato; la cristallizzazione avviene spontaneamente dopo alcuni mesi, con cristalli da piccoli a grossolani, a seconda delle condizioni di umidità e di conservazione. COLORE: da quasi incolore a giallo paglierino quando liquido, da bianco a beige nel cristallizzato. ODORE: mediamente intenso, simile a quello dei fiori dai quali proviene. SAPORE: normalmente dolce con leggera acidità. AROMA: molto intenso, floreale, simile all’odore, ma di tipo più fresco, con tendenza al fruttato. La cristallizzazione è più grossolana, se avviene a temperature maggiori e se il prodotto di partenza è più umido; forma cristalli più fini se il miele è deumidificato o conservato a temperature più fresche. Identificare l’origine botanica attraverso l’analisi pollinica è poco efficace, poiché alcune varietà di agrumi coltivate hanno fiori che producono 7 Agrumi polpa è assai abbondante ed i succhi hanno acidità variabile a seconda delle varietà. I semi sono piccoli, spesso mancanti. Il limone è specie rifiorente; in altre parole porta contemporaneamente sulla stessa pianta fiori e frutti in diversi stadi di maturazione. Si hanno frutti specifici per ogni fioritura. Fioritura di marzo. Dà origine al marzano o malsano, frutto tozzo, con base larga, ordinariamente privo di semi, a buccia spessa e ruvida, succo acido e maturazione in settembre-ottobre. Fioritura di aprile-maggio. Origina il limone propriamente detto, provvisto di semi, con succo fortemente acido e maturazione da settembre ad aprile. Fioritura di giugno-luglio. Dà origine al jancuzzo o biancuzzo, che ha buccia spessa e rugosa, e matura da aprile a maggio. Fioritura di agosto-primi di settembre. Dà il verdello, meno sfusato del limone, a buccia sottile, liscia, pochi semi striminziti, maturazione da giugno ad agosto. Fioritura di fine settembre. Dà l'agostaro, simile al verdello, ma meno sfusato, e matura da agosto a settembre. Fioritura di ottobre. Dà il bastardo, sferico, buccia spessa, semi abortiti, succo lievemente acido e maturazione da settembre ad ottobre. Oltre a quelli descritti il limone dà frutti con caratteristiche intermedie come la marzanella, il limone ammarzanato, il limone jancuzzato, ecc. LA SCHEDA pochissimo polline (o non ne producono affatto). Le particolarità compositive e organolettiche permettono però di confermare o smentire l’origine dichiarata nella maggior parte dei casi. Alcune sostanze sono presenti in maniera esclusiva (o quasi) nel miele di agrumi:fra queste un componente dell’aroma (metilantranilato), un flavonoide (esperetina), la caffeina. LIMONE (CITRUS LIMON L.) La zona di origine del limone è l’Asia orientale. I romani già sin dal I secolo dopo Cristo, conoscevano il limone ed altre specie del genere Citrus. BOTANICA Si tratta di un piccolo albero a lunghe branche irregolari, con brevi spine forti e rigide sui rametti lignificati, a portamento aperto, procombente per i rami a frutto ed assurgente per i getti a legno. Le foglie, persistenti, sono di colore verde pallido, di forma allungato-ovata, appuntiti in sommità, a margini dentati, sempre alterne. I fiori sono isolati, talvolta accoppiati in mazzetti, piuttosto grandi, localizzati all'ascella delle foglie, di colore bianco sfumato di rosso porpora. I frutti sono ovali allungati, isolati o raggruppati, composti da otto-dieci segmenti, contengono molti o pochi semi, talora abortiti; di colore giallo chiaro, hanno una sottile buccia (o scorza) a superficie liscia piuttosto che rugosa, sempre riccamente provvista di produzioni glandolari. La Agrumi 8 Agrumi LA SCHEDA CALLUNA (CALLUNA VULGARIS HULL) Il miele di calluna Il brugo fornisce alle api nel periodo autunnale importanti raccolti sia di nettare che di polline. In questi mieli il fruttosio (56%) prevale sul glucosio (40%). La produzione di miele uniflorale di calluna rappresenta una rarità in Italia, confinata a piccole aree. E’ invece un prodotto importante e ben conosciuto oltralpe. Il miele di calluna è noto per una sua particolare caratteristica fisica: viene definito tixotropico, si presenta cioè in uno stato gelatinoso (gel) e si fluidifica se sottoposto ad agitazione o vibrazione. Lasciato a riposo riacquista lo stato di gel. Questa proprietà, dovuta alla presenza di una proteina colloidale, rende difficile l'estrazione di questo miele. In passato poteva essere estratto solo per pressatura. La soluzione è rappresentata da particolari attrezzature (picoteuses), che permettono di agitare il contenuto delle celle dei favi prima della centrifugazione, e dalla stabilizzazione termica del prodotto (con una pastorizzazione a 60-65° C o con refrigerazione). Un'altra caratteristica costante è l'elevato contenuto d'acqua e di conseguenza una notevole predisposizione alla fermentazione. B rugo, brentoli, baraccia, grecchia, sorcelli, scopetti, ed anche impropriamente erica: questi alcuni dei tanti nomi attribuiti a Calluna vulgaris Hull, pianta diffusa in Europa, Asia, Nord Africa e Nord America. Il termine botanico Calluna deriva dal greco "kalluno", cioè scopare; infatti le branche ramose di questa pianta venivano utilizzate per fare scope da giardino. Dà il nome alle brughiere, zone ai piedi delle Alpi estese su terreni diluviali o in lande ove esistevano boschi che si sono successivamente degradati dando origine a suoli acidificati, spesso molto umiferi, quasi torbosi. In Italia, nell'alta pianura padana, sui terrazzi diluviali della Lombardia e del Piemonte si trovano diffuse brughiere; accanto ai cespugli dalle foglie piccolissime e di un verde cupo ed i fiori autunnali rosa-violetti persistenti, si trovano anche la ginestrina dei carbonai e la molinia.Anche i pascoli montani e ospitano formazioni simili, soprattutto in zone povere e con terreni superficiali, accompagnato dalla scopina (Erica carnea), dai fiori rosa ed a fioritura primaverile precoce. Queste due specie si possono spingere fin oltre il limite del bosco, formando le cosiddette "brughiere alpine" in consociazione con il mirtillo nero, il mirtillo di palude e l'uva ursina. Non diffusamente, ma il brugo è presente anche sull'Appennino e nella zona di Viareggio scende fin quasi al mare. Più a sud è raro. Il brugo è coltivato per l'aspetto decorativo e ne sono state selezionate diverse varietà. Possiede proprietà astringenti ed antinfiammatorie, antisettiche delle vie urinarie e antireumatiche.Viene sfruttato, per uso interno, nella cura delle cistiti, nelle leucorree, nei reumatismi e nelle albuminurie; per uso esterno, per curare la gotta, le degnatosi squamose e le nevralgie reumatiche. La fioritura del brugo inizia in agosto e si protrae fino a novembre. Aspetti organolettici STATO FISICO: gelatinoso. COLORE: piuttosto scuro, rossastro. ODORE: intenso, floreale, artificiale. SAPORE: simile all’odore e leggermente amaro. BOTANICA Il brugo è un arbusto di dimensioni modeste,con i fusticini legnosi, tenaci e generalmente glabri. Le foglie sono minute, ridotte a squame lanceolate brevi (3-4 mm), disposte su quattro linee longitudinali e fittamente embriciate. I fiori, di colore roseo, sono riuniti in racemi terminali provvisti di foglie; la corolla, a quattro petali, è ricoperta dal calice, Calluna 9 Calluna pure roseo, in quanto i sepali sono lunghi circa il doppio dei petali. Il nettario è situato attorno all'ovario ed è un disco con otto protuberanze. Il fiore mostra otto stami ed ovario supero con un solo stilo. Il frutto è una capsula a quattro logge. CASTAGNO (CASTANEA SATIVA Miller) I l castagno appartiene alla famiglia delle Fagacee ed è l’unica specie del genere Castanea che sia presente in Europa. Altre specie sono invece presenti in Asia. È pianta longeva, potendo arrivare ai 400-500 anni di età. Il castagno è una pianta diffusa negli ambienti collinari e montani che raggiunge i 1000 metri di altitudine nelle zone settentrionali del Paese e i 1.300 metri nel Sud. Si tratta di una pianta longeva e di grande mole, con una chioma densa ed espansa. Entra in produzione dopo circa 10 anni. Non è chiaro se si tratti di una specie indigena del territorio italiano o se vi si stata introdotta. In ogni caso l’uomo ha contribuito, negli ultimi due millenni, alla sua diffusione in tutto il territorio, a scopo produttivo. Fino agli anni ’50, il castagno rappresentava un’importante risorsa per l’economia montana e collinare, in agricoltura, nell’industria ed in ebanisteria. I frutti venivano utilizzati per l’alimentazione umana e del bestiame, i ricci bruciati per il riscaldamento, il legname come legna da ardere, per l’estrazione del tannino (utilizzato come conciante e colorante), ma anche, grazie alla notevole durezza e pesantezza, per la costituzione di pali, per costruire mobili, solette, ecc. La fioritura avviene a giugno luglio. A differenza delle altre Fagacee, l’impollinazione è entomogama, ad opera specialmente di coleotteri e di api. Negli anni ’40, il castagno è stato colpito da un fungo detto “cancro del castagno”. Il rimedio trovato sono state abbondanti potature. Tuttavia l’abbandono di questa coltivazione ha fatto si che il cancro devastasse pressoché ovunque. Oggi, nel tentativo di recuperare questa coltura, si sta promuovendo la tecnica della potatura in tree-climbing, per evitare l’utilizzo di mezzi meccanici pesanti. L’INTERVISTA La brughiera mi è nota sin dall'infanzia: spesso mio nonno mi portava con sé nelle lunghe passeggiate nei dintorni dell'aeroporto della Malpensa, vicino a Gallarate. Ricordo, molto vagamente, un incontro con un vecchio apicoltore e l'assaggio del miele autunnale di brugo. Per puro caso ne ho incontrato il figlio, che non è apicoltore, ma ha ancora memoria dell'attività del padre. Attualmente da noi, nel sud della provincia di Varese, non si produce più miele di brugo, ma fino ai primi anni cinquanta questa ericacea era fondamentale per l'economia apistica locale; anche quando non si estraeva il miele, il polline ed il nettare raccolti fino alla fine di ottobre assicuravano un ottimo invernamento alle famiglie. Il mio interlocutore ricorda con precisione una data: 1946. Fino ad allora, infatti, si faceva tutto il possibile per riuscire a produrre il miele di brugo, arrivando anche ad un melario per colonia; in regime di autarchia, con bloccate le importazioni, andava a ruba all'ingrosso acquistato dai produttori di torrone. Ed il prezzo era ottimo, paragonabile a quello della robinia. Dal ‘46 le importazioni ne decretarono un forte deprezzamento ed il circuito si interruppe. Ma allora, prosegue il mio interlocutore, la brughiera era curata e coltivata; regolarmente i cespugli di brugo venivano falciati alla base per ricavarne scopette e lettiere per gli animali e rispuntavano vigorosi formando stupende macchie rosacee. BOTANICA Calluna Il castagno è una pianta alta fino a 30 metri presente su tutto il territorio italiano. La corteccia è liscia, di colore dal grigio chiaro all’ocra, nelle piante giovani; diviene via via più scura e solcata da screpolature con gli anni. 10 Castagno LA SCHEDA Il miele di castagno Il castagno è una pianta, in Italia, diffusa in tutti i boschi collinari. Per questo rappresenta una delle produzioni principali uniflorali su tutto il territorio. Si ottengono notevoli produzioni su tutto l’arco alpino, nelle zone appenniniche e nelle zone montuose della Sicilia e della Sardegna. Pur trattandosi di una produzione uniflorale, spesso il miele di castagno contiene anche miele di melata e/o di tiglio. La presenza della melata scurisce il miele e lo rende meno amaro. Commercialmente è, decisamente, più ricercato il miele di castagno prealpino, con percentuali di melata, rispetto alle produzioni appenniniche e meridionali. Il polline è iperrappresentato nel miele, essendo presente in percentuale superiore al 90% (III-IV classe). Le pallottole di polline sono piccole, di forma irregolare e di colore giallo. Le api visitano i fiori del castagno anche per la raccolta di polline, sempre molto abbondante. Dal punto di vista dei parametri fisico-chimici, i valori di umidità e di HMF rientrano nei limiti previsti, nonostante il miele di castagno sia più ricco in acqua rispetto ad altri mieli. L’apparato radicale è dapprima fittonante, poi espanso e molto ramificato, ma superficiale. Ha foglie caduche oblunghe e lanceolate. È pianta monoica, con fiori unisessuali riuniti in infiorescenze: quelli femminili sono singoli o in gruppi di 2-3 e sono posti alla base delle infiorescenze maschili; quelli maschili sono lunghi 1020 cm e sono di colore giallo verdastro. I fiori maschili presentano un perigonio bianco formato da sei pezzi e sono privi di peduncoli. L’infiorescenza è un amento. Il frutto è un achenio detto castagna rivestita da una capsula spinosa. In ogni capsula sono racchiusi tre frutti. Aspetti organolettici STATO FISICO: liquido, cristallizza lentamente in modo non sempre regolare. COLORE: ambrato. Quando liquido presenta tonalità rossiccio-verdastre. ODORE: intenso; aromatico, amaro, di ceci lessati, di cartone bagnato, di legno secco, di tannino. SAPORE: non eccessivamente dolce, con retrogusto amaro. AROMA: intenso, simile all’odore, tannico; molto persistente. Le peculiarità del miele di castagno non sempre incontrano il gusto dei consumatori; tuttavia, per le stesse caratteristiche, sempre più sono coloro che imparano ad apprezzarlo e a preferirlo a tutti gli altri mieli. Castagno 11 Castagno CILIEGIO (PRUNUS SPP. L.) S otto il termine comune di "ciliegio" vengono comprese tre specie: Prunus avium L. (ciliegio montano o selvatico, duracina, durone); Prunus cerasus L. (visciola, amarena, amarasca, marasca); Prunus mahaleb L. (megaleppo o ciliegio di S. Lucia). Terre d'origine del ciliegio, come del resto di molte altre piante da frutto europee, sono ritenute il Medio Oriente, le regioni del Caucaso e dell'Armenia. L'introduzione del ciliegio in Europa è databile alla preistoria, grazie al ritrovamento nelle palafitte di alcuni insediamenti svizzeri e francesi di noccioli di ciliegio. Attualmente è presente nelle regioni centro meridionali dell'Europa, spingendosi fino nelle regioni meridionali della Svezia. BOTANICA lamina ovale allungata, acuminate e con doppia dentellatura. I fiori, riuniti in mazzi di due-sei presentano il calice rossastro, i petali bianchi ed odorosi, gli stami da venti a trentacinque, con antere gialle. Il ricettacolo del fiori di ciliegio è rivestito da tessuto che produce nettare ad alta concentrazione zuccherina: 55% nel ciliegio dolce e 28% nel ciliegio acido. Mentre il nettare del ciliegio dolce è ricco di saccarosio, quello di ciliegio acido ne è povero. Sui piccioli fogliari sono presenti nettari extrafiorali, raramente visitati dalle api. Il polline raccolto dall'ape appare di colore giallo marroncino. Il frutto è una drupa pendula, ovoidale e cuoriforme, con la cavità di inserzione del peduncolo approfondita; il suo colore va dal giallo, al roseo, al rosso, al rosso scuro quasi moro. Il sapore della polpa può essere dolce od acidulo ed il succo talora incolore, talora fortemente colorato. La fioritura avviene poco prima di quella del pesco (prima l'acido poi il dolce); in zone di collina e di pianura si verifica nel mese di aprile, mentre in zone montane più tardi, verso maggio giugno. Le cultivar di ciliegio dolce sono autoincompatibili ad eccezione di alcune cultivar fra cui la Stella (canadese) e la Cristobalina (spagnola). Per una buona impollinazione si richiedono varietà di ciliegio compatibile e con fioritura contemporanea, abbondante presenza di api nel frutteto e condizioni climatiche favorevoli. Si tratta di una pianta che può raggiungere i 25 metri in altezza e che presenta un tronco diritto, il cui diametro può raggiungere i 70 cm. La corteccia si caratterizza per tipiche striature orizzontali. Le radici sono fittonanti e con micorrizie (associazione di radici di piante vascolari con ife fungine). Le gemme fiorifere sono distinguibili da quelle a legno per la maggior grossezza. Le foglie sono generalmente grandi, più o meno pendule, con la Ciliegio 12 Ciliegio LA SCHEDA COLZA Il miele di ciliegio (BRASSICA I fiori di ciliegio sono fortemente attrattivi per le api: offrono abbondanti quantità di nettare e di polline, in un periodo di intensa attività delle api. Il nettare di ciliegio come quello degli altri alberi fruttiferi, entra nella composizione di quasi tutti i mieli primaverili europei; molto più raramente si creano le condizioni per ottenerne mieli uniflorali. In Italia, mieli puri di ciliegio vengono prodotti occasionalmente in zone a vocazione frutticola (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Puglia). Il polline di ciliegio, nei mieli italiani, si trova, generalmente, associato a quello di tarassaco, di salice e di vari altri fruttiferi; può, talora, essere dominante, sebbene sia normalmente iporappresentato. NAPUS L.) L a colza appartiene al gruppo delle piante oleaginose. Spontanea in Europa ed Africa del Nord-Ovest, si ritiene sia stata addomesticata dopo che fu apprezzato il valore nutritivo del seme di questa malerba, spesso infestante dei campi di cereali. I semi di alcune crucifere, tra cui la colza, contengono dal 45 al 60% di acido erucico e rappresentano la fonte energetica rinnovabile più economica. Attualmente l'industria utilizza un derivato, l'erucamide, per la sintesi di film plastici. L'industria delle vernici e dei lubrificanti li utilizza per l'alta temperatura di infiammabilità, per la resistenza alla degradazione alle alte temperature e per il basso punto di solidificazione. Dall'acido erucico si ottiene per scissione l'acido brassilico che polimerizzato forma il Nylon - 13,13: rispetto al Nylon - 12,12 di origine petrolifera, il nuovo nylon è più stabile dimensionalmente ed è un ottimo isolante. Infine da questi oli si ricava il biodiesel. Parallelamente agli ampi utilizzi industriali l'alto contenuto in acido erucico rende l'olio di colza inadatto al consumo alimentare umano: perché è un acido grasso insaturo, che facilmente si ossida favorendo processi di irrancidimento, e perché, dagli anni '70, è considerato un fattore antinutrizionale, responsabile dell'accumulo di lipidi nel fegato, nei surreni, nel cardio, ecc. I genetisti canadesi per primi selezionarono una varietà (la Canbra) priva di acido erucico e con un contenuto medio di acidi grassi simile all'olio di soia; quindi adatto al consumo alimentare. Aspetti organolettici STATO FISICO: La cristallizzazione, relativamente rapida, dà generalmente origine a una massa pastosa, con cristalli fini. COLORE: abbastanza chiaro, bianco grigiastro una volta cristallizzato. ODORE: ricorda quello del fiori dai quali derivano (e delle Rosacee in genere) e può essere avvicinato a quello della mandorla amara o dei noccioli di ciliegia. SAPORE E AROMA: come l’odore. In Friuli si produce un miele uniflorale da una specie selvatica, il P. mahaleb (ciliegio canino), detto comunemente “miele di marasca". Il colore è ambrato scuro, rossiccio, cristallizza lentamente ed è caratterizzato da un forte aroma di mandorla amara, sciroppo di amarene, quasi di tipo "medicinale". BOTANICA Ciliegio La colza è una pianta erbacea annuale o biennale. La radice è a fittone, relativamente ramificata con il colletto ingrossato e sporgente dal terreno. Il fusto è eretto, ramoso ed alto fino a 150 cm. Le foglie sono sessili (senza peduncolo) ed abbraccianti in parte il fusto. 1’infiorescenza è a grappolo con fioritura scalare. I fiori hanno corolla gialla, raramente bianca; in base alla tipica morfologia dei fiori di crucifere, possiedono quattro petali disposti a croce, sei stami, di cui quattro più lunghi, un pistillo con ovario supero ed un calice con quattro sepali. Il frutto allungato è una siliqua. I 13 Colza semi sono piccoli (l.000 pesano circa 4 grammi) e di colore scuro. La fioritura avviene tra aprile e giugno, oppure in autunno in relazione all'epoca di semina; esistono cultivar a semina invernale ed altre a semina primaverile. I nettarii della colza sono quattro e posti alla base degli stami; solo i due posti presso gli stami più corti sono attivamente funzionali. I semi hanno un elevato contenuto in olio (32-35%). LA SCHEDA Il miele di colza Sulla colza le api raccolgono notevoli quantità sia di nettare sia di polline; quest’ultimo ha un vivace colore giallo. La colza si autofeconda efficacemente; la fecondazione incrociata, favorita dagli insetti impollinatori, dovrebbe apportare modesti benefici alla produzione di semi. Nonostante ciò l'intervento dell'ape è utile in quanto riduce il periodo di fioritura, migliora l'allegagione e induce la pianta a produrre meno fiori; perciò la maturazione dei semi è più concentrata nel tempo, più omogenea e riduce le perdite al momento della raccolta. In Francia è comune trovare mieli che contengono più del 95% di questo polline. È un miele che viene spesso prodotto con un contenuto d'acqua elevato: la tendenza a fermentare è quindi elevata. In Italia la produzione allo stato uniflorale del miele di colza non è così comune: la coltivazione non è altrettanto diffusa e la fioritura precoce fa sì che il raccolto sia più spesso sfruttato per lo sviluppo delle famiglie che per la produzione di miele. Molto comuni invece sono i mieli primaverili in cui la presenza di colza o di altre crucifere selvatiche (Diplotaxis, Sinapis) è riconoscibile all'olfatto. Il miele di colza è caratterizzato da due particolarità: diversamente dalla maggior parte degli altri mieli contiene generalmente più glucosio che fruttosio ed ha un odore che richiama fortemente quello della pianta di origine. Dalla prima caratteristica deriva una tendenza alla rapida cristallizzazione (a volte anche nei favi, prima dell'estrazione), nei 7-15 giorni successivi alla produzione, che si sviluppa praticamente sempre con cristalli molto fini, spesso impalpabili. La seconda costituisce il grosso difetto di questo miele: un odore di cavolo, nelle sue diverse connotazioni (crauti, composti solforati) non è l'ideale per un miele. Per fortuna all'assaggio l'aroma è di solito percepito molto più leggero di quanto l'odore può far supporre e l'attenzione è subito catturata dall'estrema gradevolezza della struttura fisica; inoltre, nei mieli a cristallizzazione così fine, il rapido scioglimento dei piccoli cristalli di glucosio conferisce al miele un effetto rinfrescante, come nelle caramelle fondenti, che li rende particolarmente piacevoli. Visto che raramente il consumatore annusa un miele prima di consumarlo, l'odore di cavolo passa spesso inosservato. Colza LA SCHEDA L’uso che ne viene fatto più spesso è come prodotto "da taglio" per innescare la cristallizzazione del resto della massa (semenza). Il suo apporto di glucosio stabilizza, dal punto di vista della cristallizzazione, i mieli che avrebbero tendenza a dividersi; inoltre le tecniche per ottenere miele cremoso sono molto facilitate nelle miscele che contengono forti percentuali di questo miele. Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzazione molto rapida e generalmente fine. COLORE: molto chiaro, beige nel cristallizzato. ODORE: di cavolo più o meno pronunciato. SAPORE: debole, non molto dolce. AROMA: intenso, vegetale. 14 Colza CORBEZZOLO (ARBUTUS UNEDO L.) I l genere Arbutim appartiene alla famiglia delle Ericacee e comprende circa venti specie, di cui la maggior parte presenti in America. In Italia, l’unica specie spontanea è il corbezzolo, un alberello sempreverde caratteristico della macchia mediterranea, dove si trova insieme al lentisco, all’erica arborea, al mirto e al leccio. Il nome arbutus deriva dal latino e significa appunto piccolo albero, mentre unedo da unum edere, si riferisce ai frutti non troppo saporiti. È una pianta a crescita lenta, presente generalmente allo stato di arbusto, ma può arrivare fino a 10-12 metri. Fornisce un legno duro, adatto a piccoli lavori di artigianato ed ottimo come combustibile. I frutti vengono sfruttati per la preparazione di marmellate o per distillare acquavite. Il corbezzolo viene coltivato anche come pianta ornamentale per la corteccia ornamentale, per il bel fogliame sempreverde e per la caratteristica di fiorire in autunno-inverno insieme ai frutti maturi dell’anno precedente. ceolate, coriacee, con apice acuminato e margine dentellato. I fiori sono riuniti in pannocchie corimbose con 5-35 fiori penduli. Ogni fiore è composto da una corolla bianca-beige ed ha forma di orcio. I frutti sono bacche sferiche di circa 2 cm di diametro, di colore rosso, a superficie rugosa, granulosa. LA SCHEDA Il miele di corbezzolo È una produzione tipica della Sardegna. Produzioni meno significative si ottengono in Toscana e nel Centro-Sud Italia. Anche in Corsica si possono verificare buoni raccolti. Il polline è iporappresentato (classe I). BOTANICA Albero o arbusto sempreverde alto fino a 10-12 metri. La chioma è irregolare e di colore verde carico. La corteccia, variamente ramificata, si presenta bruno-rossiccia e rugosa e fessurata. Le foglie hanno un picciolo peloso e sono oblan- Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzazione generalmente rapida, in funzione del contenuto in acqua. COLORE: ambrato quando liquido; più scuro con riflessi grigio-verde quando cristallizza. ODORE: pungente, amaro, di fondo di caffè. SAPORE: amaro, di medicinale. AROMA: molto caratteristico, simile all’odore, di genziana, di liquirizia, di rabarbaro. Il miele di corbezzolo presenta un caratteristico sapore amaro. Tale peculiarità, insieme alle limitate zone di produzione, rendono questo prodotto particolarmente pregiato tanto da garantirgli un valore di mercato molto superiore a quello degli altri mieli. A causa del periodo di raccolta (autunno), spesso il miele presenta un contenuto di umidità piuttosto elevato che da molti problemi di conservazione, salvo l’applicazione di tecniche di disidratazione e stabilizzazione. Corbezzolo Corbezzolo 15 ERBA MEDICA (MEDICAGO SATIVA L.) L ’erba medica è pianta erbacea coltivata in tutto il mondo. È la pianta foraggera per eccellenza: rispetto alle altre foraggere da prato è più produttiva, longeva, ha capacità notevoli di ricaccio, si conserva facilmente, ha alti valori nutritivi ed è miglioratrice delle proprietà fisiche e chimiche del terreno. Da sempre utilizzata come coltura da fieno viene anche sfruttata come coltura da pascolo, si insila facilmente e recentemente, sotto forma di farina di medica disidratata, ha trovato largo impiego nell'alimentazione del bestiame come concentrato proteico. Si ritiene che sia originaria delle regioni dell'Asia occidentale, dove cresce spontanea. Con i nomadi delle steppe migrò verso la Cina, il Nord Africa e l'Europa. In Italia giunse tra il 200 ed il 150 a.C. L’erba medica è pianta adattabile a climi e terreni differenti. Resiste alle basse come alle alte temperature e cresce bene sia nei climi umidi che in quelli aridi. Predilige le zone a clima temperato piuttosto fresco ed uniforme. La medica cresce stentatamente nei terreni poco profondi, poco permeabili ed a reazione acida. I migliori terreni per la medica sono quelli di medio impasto, dotati di calcare e ricchi di elementi nutritivi. Poiché l'apparto radicale si spinge negli strati più profondi del terreno, non sfrut- ta molto gli strati superficiali che, anzi, si arricchiscono di sostanza organica derivante dai residui della coltura. Inoltre, come del resto le altre leguminose, l'erba medica è in grado di utilizzare l'azoto atmosferico per mezzo dei batteri azotofissatori simbionti che provocano la formazione dei tubercoli radicali. In genere l'infezione avviene normalmente, in quanto i batteri azoto-fissatori specifici sono presenti nel terreno. La medica in Italia rappresenta circa il 60% del totale della superficie investita a foraggere prative. BOTANICA Le piante di erba medica sono erbacee, perenni. La radice, a fittone, molto robusta, è lunga 4-5 metri (può raggiungere anche i 10 metri) ed ha sotto il colletto un diametro di 2-3 cm. Il fusto è eretto o suberetto, alto 50-80 cm, ramificato e ricco, a livello del colletto, di numerosi germogli laterali dai quali, dopo il taglio, si originano nuovi fusti. Le foglie sono alterne, trifogliate e picciolate; la fogliolina centrale presenta un picciolo più lungo delle foglioline laterali. All'ascella delle foglie, soprattutto delle inferiori, si originano nuove foglie trifogliate, mentre all'ascella delle foglie inferiori lunghi peduncoli portano le inflorescenze. Erba Medica Erba Medica 16 Le infiorescenze sono racemi con in media una decina di fiori che presentano brevi peduncoli. Il fiore è quello tipico delle leguminose, composto da cinque petali: i due inferiori sono più o meno saldati fra loro e formano la carena, ai lati di questa si trovano altri due petali od ali e superiormente vi è lo stendardo composto dal quinto petalo. Gli stami sono in numero di dieci; il pistillo è costituito da un ovario composto da 2-7 ovuli, da uno stilo corto e da stigma bilobato. Il nettario è formato da un rigonfiamento del tessuto nettarifero situato all'interno del tubo formato dagli stami e circostante l'ovario. Il frutto è un legume spiralato in media tre volte, con superficie reticolata e pubescente. La sutura dorsale del legume, posta all’esterno, presenta una costolonatura che al momento della deiscenza dei semi origina un filamento ritorto su se stesso. I semi sono molto piccoli, lunghi circa 2 mm e larghi 1 mm; 1.000 semi pesano circa 2 grammi. L’INTERVISTA Tempo fa incontrammo, casualmente, un vecchio apicoltore della Provincia di Pavia il quale, tra i tanti curiosi ricordi, ci raccontò le sue esperienze con l’erba medica negli anni cinquanta. Alcune notizie, a nostro avviso, mostrano come l’evoluzione dell’agricoltura nel dopoguerra abbia influenzato l’attività apistica. Ad esempio: la fioritura del secondo taglio avveniva tra la metà di giugno ed i primi di luglio, la pianta diventava nettarifera e siccome l’agricoltore lasciava la fioritura da semente, proprio questa sfalciata rendeva maggiormente all’apiario. Inoltre l’agricoltore, nonostante incominciasse ad eseguire le operazioni con le macchine, a volte non riusciva a sfalciare tutto in breve tempo. Pertanto le fioriture nei vari appezzamenti erano scalate e quelle dei primi sfalci raggiungevano quasi le altre dei campi falciati tardivamente. Le fioriture del quarto e quinto taglio, dal luglio in poi, venivano lasciate invecchiare e fiori di erba medica erano a disposizione delle api per circa tre mesi. Ancora: nelle colture irrigate da pozzi a motore quasi tutti i tagli della medica venivano eseguiti prima che la pianta sbocciasse completamente il suo fiore. Poiché, secondo il nostro interlocutore, quando la medica ha le radici nell’umido, si sviluppa molto nel fusto, mentre tarda a portare il fiore. Non a caso le api portate sull’erba medica delle colline erano più produttive: lì il fiore soffre meno l’umidità ed il freddo, sia per l’esposizione che per l’inclinazione del terreno che allontana sollecitamente le acque. LA SCHEDA Il miele di erba medica L’erba medica fornisce mieli uniflorali nelle zone di coltivazione estensiva, soprattutto quando portata a seme: costituisce una produzione importante negli Stati Uniti ed in Canada. In Europa se ne ottengono partite di una certa consistenza in Germania come in Francia e in Italia, nella pianura padana. Giudicare la "purezza" di questo miele sulla base dei dati microscopici risulta difficile poiché la quantità totale di polline è sempre molto bassa e la percentuale di Medicago resta, nella maggior parte dei casi, dell'ordine del 5% e raramente sfiora il 10%. Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizza spontaneamente alcuni mesi dopo il raccolto, formando generalmente cristalli grossi. COLORE: molto chiaro da beige a nocciola. ODORE: mediamente intenso ma penetrante, ricorda quello della cera fusa. SAPORE: leggero, vegetale, acido, astringente. AROMA: mediamente intenso; mediamente persistente. Aroma fruttato, di mosto. Erba Medica Erba Medica 17 stenti, fiori di varia foggia singoli o riuniti, frutti a capsula o a bacca. Sono piante generalmente adatte a terreni fortemente acidi e dispongono di una particolare micorrizia (funghi sotterranei che vivono in simbiosi con le parti terminali delle radici delle piante) che permette loro di trarre nutrimento da substrati particolarmente difficili, sui quali solo i funghi sono in grado di compiere la funzione di rimettere in circolo le sostanze nutritive. ERICA (ERICA ARBOREA L.) I l genere Erica (nome di origine oscura, usato da Plinio) è vastissimo, comprende circa 650 specie, si estende dall'Europa atlantica e mediterranea ai monti tropicali africani, fino all'Africa meridionale dove assume il massimo sviluppo. Esistono due specie dominanti di erica, l'arborea, presente in quasi tutta l'Italia peninsulare e l'erica cinerea; caratteristica di una ristretta zona della Liguria occidentale. Le due piante sono nettamente distinguibili, perché l’arborea L. (volgarmente scopa maschio, scopa da ciocco, scopa da fastella, stipa maggiore) ha dimensioni maggiori, con arbusti anche di 2-3 metri, fiori bianchi e predilige ambienti più umidi (nel fondo dei valloni), la cinerea è pianta di dimensioni molto più ridotte, ha fiori di colore azzurro cinereo e vegeta nelle zone più secche. La fioritura delle due specie è contemporanea e dunque, dal punto di vista apistico, vanno considerate assieme. Il legno di erica viene utilizzato per la produzione di pipe, dette ciocco. In erboristeria, l’erica viene sfruttata per l’azione diuretica. LA SCHEDA Il miele di erica La produzione di mieli monoflorali di erica è difficile, dato l'anticipato periodo di fioritura, ma non impossibile in quanto i fiori di erica sono assiduamente visitati dalle api e normalmente non si hanno fioriture concomitanti. Comunque, anche se non riempiono i melari, gli alveari che raccolgono sull'erica sbiancano i nidi ed accumulano buone scorte di polline dal caratteristico colore rosa. Il miele di erica è caratterizzato dalla presenza di materiale insolubile, di natura non identificata, che rende torbido il miele anche quando è ancora liquido e promuove una rapida cristallizzazione. A causa del periodo precoce di fioritura il miele ha spesso un'umidità elevata e questo lo predispone alla fermentazione. BOTANICA Aspetti organolettici Le piante appartenenti a questo raggruppamento si presentano come fruttici (alberelli) di varie dimensioni, ad accrescimento alquanto lento, non di rado con foglie piccole (microfille), persi- STATO FISICO: Si presenta spesso cristallizzato in modo fine (come tutti i mieli che cristallizzano rapidamente) e con consistenza cremosa e non stabile (a causa dell'umidità elevata). COLORE: molto scuro tendente all'arancio. ODORE: pungente, fresco, simile a quello dei fiori. SAPORE: mediamente dolce AROMA: di zucchero caramellato, che risulta in genere gradito, anche se abbastanza forte. Dal punto di vista della composizione presenta alcune particolarità: ha sempre acidità elevata, basso contenuto di enzimi e idrossimetilfurfurale più elevato che negli altri mieli. Queste caratteristiche suggeriscono di tenere questo miele separato dal resto dei raccolti. Una piccola presenza di nettare di erica può alterare notevolmente l'acacia rendendola più scura e saporita e promuoverne la cristallizzazione. I millefiori che lo contengono rischiano di uscire, più rapidamente degli altri mieli, dai limiti legali di invecchiamento. Erica 18 Erica EUCALIPTO (EUCALYPTUS SPP.) L’INTERVISTA Andiamo a fare un giro notturno per vedere la dislocazione degli alveari in una postazione nuova e qui ci attende una sorpresa. La notte è chiara per una bellissima luna quasi piena ed in apiario c'è un forte ronzio di cui, con stupore, verifichiamo subito la causa. Avvicinandoci agli alveari restiamo colpiti dal via vai delle bottinatrici. Siamo in pieno raccolto! Scherzi dell’Eucalyptus, della luna piena o, forse, delle tiepide notti calabresi…. L’Eucalyptus, con questa sua strana fioritura a fiocchi mai completamente omogenei senza dare mai l’impressione dell’abbondanza, dona invece ottime produzioni di miele. La secrezione del nettare si ha soprattutto nelle ore fresche della giornata (la mattina presto e al tramonto), per cui quando si visitano gli apiari l’impressione è di "api ferme” anche se abbastanza vivaci nei confronti degli apicoltori. I l termine Eucalyptus nasce dalla combinazione di due vocaboli greci: éu = bene e kalypto = nascondo. A questo genere appartengono circa seicento specie originarie della Tasmania, della Nuova Guinea, ma soprattutto dell'Australia. Nel Nuovissimo Continente gli eucalipti fanno parte delle formazioni forestali della savana alberata (prateria alberata pascolata da pecore),della foresta arida spontanea a sottobosco di acacie varie, delle foreste localizzate ai margini della zona desertica centrale ed, infine, delle foreste umide localizzate nelle zone montuose e caratterizzate da elevata piovosità e ridottissimi periodi di siccità. Da specie alte pochi metri si passa gradualmente a specie con esemplari giganteschi che possono superare i 100 metri di altezza. Delle numerose specie classificate solo una sessantina hanno anche interesse economico e provengono tutte dalle zone costiere dell'Australia, zone caratterizzate da clima mite e da ricchezza di precipitazioni atmosferiche. Attualmente gli eucalipti sono diffusi in numerosi Paesi in ragione dell’adattabilità delle differenti specie a climi diversi, della rapida crescita e dei molteplici scopi per cui vengono coltivati. L'introduzione in Italia dei primi esemplari di eucalipto avvenne alla fine del '700, contemporaneamente a quanto avveniva nel resto d'Europa. Nonostante le numerose specie già costituite, la classificazione dicotomica risulta spesso inadeguata ed alcune classificazioni sono ritenute artificiose. Il compito è reso difficile anche dai numerosi ibridi in coltivazione. Eucalipto Le specie maggiormente diffuse in Italia sono: Eucalyptus globulus Labill, pianta originaria della Tasmania,diffuso in Liguria,Sardegna e sulla costa tirrenica.Può raggiungere i 50-65 metri di altezza ed un diametro di 2 metri; in Italia non supera i 40 metri. Ha chioma largamente ovale o irregolarmente globosa. Tronco diritto, cilindrico, con rami arcuati; la corteccia si desquama in placche nastriformi longitudinali o spiralate attorno al fusto, liberando zone lisce, chiare azzurrine, rosate. Il legno è di medio peso, duro e di colore giallo chiaro. Le foglie nelle piante adulte sono lanceolate falciformi, lunghe 1030 cm, ad apice acuto e margine liscio, inserite in modo alterno e di colore verde scuro e brillante, emettono un profumo aromatico caratteristico. I fiori sono generalmente solitari, costituiti da numerosissimi stami inseriti sull'ovario; questo è avvolto dal ricettacolo legnoso, da cui deriverà il frutto. Secondo alcuni autori la fioritura avviene da novembre a luglio, mentre secondo altri da maggio a luglio; probabilmente in relazione alle differenti zone d'Italia in cui questa specie è presente. I frutti sono capsule emisferiche con quattro costolature di colore grigio, di 2 cm di diametro. Eucalyptus camaldulensis Dehnh., in Australia è diffusa in tutto il territorio continentale, segnatamente lungo i corsi d'acqua e nei terreni soggetti ad inondazioni primaverili. E' la specie più diffusa in Italia. Può raggiungere i 50-60 metri di altezza e diametri di 2 metri. La corteccia è caduca e si stacca in placche arrotondate di colore rossastro. Il legno è pesante e 19 Eucalipto duro, di colore bianco-giallognolo nell'alburno e rosso-mogano nel durame.Le foglie delle piante adulte e delle piante giovani differiscono di poco;sono di dimensioni leggermente inferiori a quelle dell'E. globulus. Le infiorescenze hanno forma di ombrelle ascellari costituite da 5-10 fiori con peduncoli cilindrici lunghi 10-15 cm. Gli opercoli dispongono di un rostro., da cui l'altro nome dato alla specie, E. rostrata. La fioritura avviene da giugno a novembre. Dato che i rami e le foglie sono pendule e la luce le attraversa facilmente, l'ombra prodotta da questa specie è limitata e consente coltivazioni sottostanti. Eucalyptus viminalis Labill., definito eucalipto della manna, è originario dell'Australia sud orientale. In Italia è noto da tempo, ma è relativamente poco diffuso, tranne nell'Agro Pontino. Questa pianta raggiunge i 30 metri di altezza; i rametti penduli danno alla pianta un aspetto molto gradevole. I caratteri distintivi sono:corteccia liscia e biancastra,foglie giovanili opposte sessili e lanceolate, foglie adulte alterne picciolate allungate, infiorescenze a tre fiori con opercolo a forma conica. Eucalyptus amygdalina, l'albero più alto del genere, superando in Australia i 100 metri di altezza; in Italia raggiunge i 25-30 metri. I caratteri distintivi sono: corteccia liscia, foglie adulte brevemente picciolate ed a nervatura irregolare, infiorescenze in ombrelle ascellari portate da peduncoli subcilindrici, opercoli emisferici appiattiti. Eucalyptus botryoides, specie diffusa nelle piantagioni forestali della Sardegna e della Pianura Pontina nella formazioni di barriere frangivento, adattabile alle più disparate condizioni pedoclimatiche. Eucalyptus gomphocephala, specie, originaria di zone caratterizzate da scarse precipitazioni atmosferiche, che ha dato buoni risultati in Sicilia e nell'Agro Pontino. Il valore degli eucalipti è legato alla loro capacità di valorizzare terreni a reddito scarso, non altrimenti utilizzabili; è questa la ragione che ne ha garantito la diffusione sulle dune sabbiose lungo le coste della Toscana e del Lazio. Tuttavia circa un terzo delle specie di eucalipto contengono nelle foglie oli essenziali richiesti in diverse industrie,profumeria ed in particolare in farmacia.La droga secca fornisce dall'1,5 al 3% di un olio il cui principale costituente è l’eucaliptolo (o cineolo): da esso si ricavano prodotti che hanno funzioni calmanti della tosse, antisettico, balsamico, antiparassitario. Diverse specie di eucalipto contengono, sia nel legno sia nella corteccia, tannino usato nell'industria conciaria. Infine particolarmente alcune specie hanno un indiscusso valore decorativo. LA SCHEDA Il miele di eucalipto La fioritura dell’eucalipto è lunga: in particolare E. globulus fiorisce tra inverno e primavera ed E. camaldulensis in estate. I fiori delle diverse specie di eucalipto producono abbondante nettare dove prevale il fruttosio. In Italia gli eucalipti sono bottinati sia per il nettare sia per il polline; E. globulus ha scarsa importanza apistica sia per la sua scarsa diffusione sia per il periodo in cui fiorisce, mentre E. camaldulensis nell'Italia centro-meridionale garantisce la produzione di mieli uniflorali. Il polline è presente in misura superiore al 90%. La classe di rappresentatività è la III. In Italia mieli uniflorali di eucalipto sono comuni nelle regioni centro-meridionali, soprattutto nelle aree dove questi alberi sono stati piantati per favorire la bonifica dei terreni paludosi. Il miele di eucalipto ha sempre un'umidità molto bassa (anche dell'ordine del 14%) e risulta per questo molto denso. Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizza velocemente generalmente con cristalli fini o medi. COLORE: ambrato, con la cristallizzazione diviene beige tendente al grigio. ODORE: è di tipo legnoso, ricorda i funghi secchi, il dado da brodo, oppure il curry, la liquirizia, l'elicriso. SAPORE: normalmente dolce, a volte leggermente salato. AROMA: di caramella mou alla liquirizia. La descrizione fatta si riferisce essenzialmente al miele di Eucalyptus camaldulensis, specie a fioritura principalmente estiva (luglio). In Calabria, nel crotonese, in settembre si produce un miele uniflorale anche da E. globulus. Questo miele ha tendenzialmente un colore più scuro ed un aroma più forte rispetto al miele estivo di E. camaldulensis e questo ne rende la commercializzazione più difficile. Eucalipto BOTANICA Al genere Eucalyptus appartengono specie in massima parte arboree e facilmente di dimensioni eccezionali; le specie di aspetto arbustivo sono limitate. Due sono le caratteristiche peculiari del genere: il 20 Eucalipto dimorfísmo fogliare e l'opercolo fiorale. Nelle piantine ancora in semenzaio le foglie sono orizzontali, opposte, sessili (senza peduncolo) e cordate (a forma di cuore, come quelle dell'edera); nelle piante adulte le foglie assumono una posizione verticale, sono alterne e picciolate e la forma varia dal rotondato al lanceolato-acuminato. I fiori sono comunemente raggruppati in infiorescenze differenti e si compongono di due parti saldate lungo una linea visibile: la parte inferiore corrisponde al calice e la superiore, detta opercolo, alla corolla; con la maturazione del fiore l'opercolo si stacca lasciando apparire sia gli stami che il pistillo. L’opercolo differisce di forma da specie a specie ed ha valore diagnostico. I fiori sono usualmente bianchi, con numerosi stami dalle piccole antere ed uno stilo indiviso. Il frutto è una capsula legnosa racchiusa nel tubo del calice che contiene numerosi semi normalmente piccoli e spigolosi. resse per l'uso degli oli vegetali quali carburanti alternativi per i motori diesel; in una azienda agricola moderna il 10% della superficie destinata a colture oleaginose garantirebbe l'autosufficienza energetica. Le proposte di politica comunitaria prevedono anche la riconversione verso produzioni non alimentari e non eccedentarie. BOTANICA Il girasole è una pianta erbacea annuale. Il fusto è eretto e può superare i tre metri di altezza. La radice è a fittone con numerose radici secondarie. Le foglie sono opposte in basso ed alterne in alto, cuoriformi, seghettate e con un lungo picciolo. I fiori, detti flosculi, sono riuniti in gran numeri (anche oltre mille) in capolini molto grandi (fino a trenta centimetri di diametro), dette calatidi. Si suddividono in due gruppi: i fiori periferici sterili, sono forniti di un vistoso petalo giallo; i fiori interni fertili, piccoli, si aprono in successione verso il centro. L'ovario (organo riproduttore femminile) si allunga in uno stilo che si suddivide in due stimmi. Gli stami (organi riproduttori maschili) sono cinque ed hanno le antere fuse in una sorta di tubo che racchiude lo stilo. La fioritura avviene in modo tale da impedire l'autoimpollinazione: durante il primo giorno di fioritura le antere si aprono e liberano i granuli di polline; nel secondo giorno lo stilo si allunga fuoriuscendo e aprendo gli stimmi (le parti recettive del polline) al di sopra delle antere. La calatide, durante la fioritura, mediante movimenti di rotazione tende a mantenersi costante- GIRASOLE (HELIANTHUS ANNUUS L.) I l girasole è una delle più importanti piante oleifere erbacee; la buona qualità dell'olio e la capacità di adattamento a climi diversi ne hanno garantita la diffusione rapida in ambito internazionale. Originario del Centro America, sembra che si sia diffuso in epoche remote nei territori attualmente facenti parte dell'Arizona e del Nuovo Messico, estendendosi poi verso le aree settentrionali degli attuali Stati Uniti e precedendo la domesticazione del mais. In Italia la coltura è diffusa specialmente in Toscana, Umbria, Marche, Puglia, Molise e Lazio. Fino ad ora gli usi degli oli vegetali in ambito industriale (saponi, vernici, smalti, lubrificanti, ecc.) sono stati limitati dai più alti costi rispetto ai derivati dal petrolio. Ma le migliori caratteristiche ed i progressi della chimica, della biologia e delle biotecnologie aprono interessanti prospettive all'uso degli oli vegetali, facendo prevedere un graduale passaggio dalla petrolchimica alla botanochimica.Ad un sempre più diffuso utilizzo degli oli vegetali spinge anche il problema delle eccedenze (particolarmente pesante proprio relativamente ai grassi vegetali) e la necessità di ridurre la dipendenza energetica. Si fa sempre meno curioso e più realistico l'inte- Girasole 21 Girasole mente perpendicolare con la direzione dei raggi del sole. Durante la notte, per un breve periodo, la calatide assume posizione orizzontale. L’epoca di fioritura va da Luglio a Ottobre. I frutti sono acheni di forma circa ovale, di colore variabile dal bianco al nero con striature e contengono il seme ricco di olio. I nettarii si trovano sul fondo dei fiori. Il polline è costituito da granuli quasi tondi con spine ovunque e diametro variabile attorno ai 30 millesimi di millimetro. Il colore varia dal giallo vivo all'arancione. Al genere Eucalyptus appartengono specie in massima parte arboree e facilmente di dimensioni eccezionali; le specie di aspetto arbustivo sono limitate. Due sono le caratteristiche peculiari del genere: il dimorfísmo fogliare e l'opercolo fiorale. Nelle piantine ancora in semenzaio le foglie sono LA SCHEDA Il miele di girasole La percentuale zuccherina del nettare è del 35-50% e la produzione giornaliera per fiore è di 0,2-0,5 milligrammi di zucchero. Il girasole è visitato da molti insetti, ma le api rappresentano oltre l’80% dell'entomofauna utile. Le api vi raccolgono anche discrete quantità di polline. La raccolta del nettare, a causa della sua elevata concentrazione zuccherina, è favorita da una elevata umidità atmosferica; in condizioni di siccità il raccolto può essere scarso. A causa del meccanismo di fioritura prima descritto, ed a causa dell'autoincompatibilità esistente tra la maggioranza delle cultivar di girasole, gli insetti pronubi ed, in particolare, le api, sono assolutamente indispensabili ai fini di una buona fecondazione, in assenza di insetti pronubi la produzione di semi è irrisoria e la concentrazione di olio irrilevante. L’INTERVISTA Massimo Carpinteri: “Tutte le volte che scendo in Maremma controllo lo sviluppo delle piante e l'estensione dei campi. Il mare d'oro dovrebbe darci un buon raccolto. E' uno spettacolo meraviglioso vedere la pianura intera brillare con i suoi fiori dorati che, a timida imitazione del sole, lo seguono lungo il suo percorso sino a chinare il capo la sera, quando scompare. Ho indebolito le famiglie e preparato un buon numero di sciami fatti in economia: un favo di covata ed uno di miele con le api, una cella e tre fogli cerei che verranno costruiti con la generosa produzione di nettare. E piano piano, con l'aprirsi dei primi fiori, la pianura si riempie di api. E' un raccolto abbondante e lungo per la scalarità della fioritura, le famiglie producono fino a stremarsi, bloccano la covata e si riducono al minimo, ma accumulano, in compenso, tanto miele da superare bene l'estate siccitosa ed il mite inverno che le porta a consumare moltissimo. A fine raccolto gli sciami hanno costruito bene la cera e riempito i favi di scorte preziose; le famiglie davano, una volta, un prodotto abbondante ma di scarso valore commerciale; ci si ricorda, ancora, dei molti melari prodotti per alveare. Oggi medie produttive superiori ai 20/25 Kg per alveare sono ben rare. Questo mare quindi riempirà d'oro gli occhi e le speranze degli apicoltori. Non certo le loro tasche”. Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzazione rapida con formazione di una massa compatta, generalmente con cristalli fini. COLORE: ambrato nel miele liquido, giallo intenso con tonalità dorate quando cristallizza. ODORE: debole, vegetale. SAPORE: debolmente dolce, caratteristico. AROMA: poco persistente. Girasole 22 Girasole orizzontali, opposte, sessili (senza peduncolo) e cordate (a forma di cuore, come quelle dell'edera); nelle piante adulte le foglie assumono una posizione verticale, sono alterne e picciolate e la forma varia dal rotondato al lanceolato-acuminato. I fiori sono comunemente raggruppati in infiorescenze differenti e si compongono di due parti saldate lungo una linea visibile: la parte inferiore corrisponde al calice e la superiore, detta opercolo, alla corolla; con la maturazione del fiore l'opercolo si stacca lasciando apparire sia gli stami che il pistillo. L’opercolo differisce di forma da specie a specie ed ha valore diagnostico. I fiori sono usualmente bianchi, con numerosi stami dalle piccole antere ed uno stilo indiviso. Il frutto è una capsula legnosa racchiusa nel tubo del calice che contiene numerosi semi normalmente piccoli e spigolosi. LUPINELLA (ONOBRYCHIS VICIIFOLIA SCOP.) L a lupinella assieme ad un centinaio di specie dello stesso genere, spontanee e coltivate, utili all’uomo, porta la denominazione generica di Onobrychis, un vocabolo utilizzato da Dioscoride oltre due mila anni fa e successivamente da Plinio che nella sua etimologia sembra indicare un foraggio gradito in particolare agli asini. Originarie della regione mediterranea, le specie del genere Onobrychis si sono diffuse nell’Europa centrale e nell’Asia temperata. Alcune di esse cre- Lupinella scono spontanee anche in Italia e tra esse la lupinella, avendo un elevato valore alimentare, si è diffusa nella formazione di prati avvicendati di breve durata sia in pianura che in montagna. BOTANICA In Italia sono presenti otto specie appartenenti al genere Onobrychis, do cui la principale è Onobrychis viciifolia Scop. (= sativa Lam.). Lupinella da foraggio. È pianta perenne cespitosa. Ha un apparato radicale profondo con una lunga radice fittonante. Il fusto è legnoso, bruno-scuro, con rami ascendenti o eretti, striati, subglabri in basso, pubescenti in alto, alti 40-60 cm e non di rado anche 100 cm. Le foglie sono composte ed imparipennate, formate da 13-25 foglioline, le inferiori ellittiche, le superiori strette. Sono inserite per paia e quindi opposte sul rachide, ad eccezione della terminale e presentano la pagina inferiore pubescente. I fiori sono riuniti in infiorescenze portate da lunghi peduncoli. Ogni fiore è composto da cinque sepali fusi insieme e dotato di alcuni denti lunghi 3-4 mm; la corolla, di un purpureo intenso, è composta da cinque petali: il vessillo largo, due ali disposte lateralmente e più brevi dei rispettivi denti calicini e carena assai sviluppata, lunga quanto il vessillo e formata da due petali fusi tra loro a contenere gli 23 Lupinella organi riproduttivi. Gli stami sono 10, di cui nove uniti a formare un tubo in mezzo al quale c’è il pistillo. Il nettario si trova in fondo al fiore, tra l’ovario e la base degli stami, all’interno del tubo composto dagli stami. Il frutto è un legume compresso, più o meno rotondo, con creste sul dorso, spesso spinoso, con un solo seme reniforme. La lupinella fiorisce in maggio-giugno nelle zone calde; in montagna la fioritura inizia in giugno e prosegue fino in agosto. Il polline della lupinella è raggiungibile dagli insetti per tutta la giornata. Di colore marroncino chiaro, ha un alto contenuto di azoto (5%). L’INTERVISTA Ci siamo indirizzati alla zona apistica per eccellenza dell’Abruzzo: a Tornareccio e dintorni, là, ove nel raggio di pochi chilometri si trova un numero di aziende apistiche e di alveari superiore a quello di intere regioni Italiane. Nicola Tieri, giovane apicoltore professionale, gestisce, insieme ai familiari, un’azienda con un ragguardevole parco alveari ed in continua evoluzione. Il raggio di azione dell’azienda, come per svariati altri apicoltori della zona, copre diverse regioni ed arriva sino alla Calabria. Ci dice Nicola: “Fino alla chiusura delle stalle la lupinella veniva coltivata quale foraggiera nella zona dell’alta collina e della montagna dagli 800 metri s.l.m. in su, limite estremo della Sulla. Negli ultimi decenni, cessando progressivamente la coltivazione, la si ritrova in quantità significativa spontanea nei prati da sfalcio. Le produzioni non sono quantitativamente enormi: negli anni migliori si aggira intorno ai 20/25 Kg per arnia. Ovviamente a quella quota l’andamento climatico è determinante: un ritorno di freddo o se tira forte il vento caldo da sud est chiamato Garbino si compromette la produzione. Gli apiari collocati su agrumi sovente sono debilitati se non compromessi da avvelenamenti e fitofarmaci. Al ritorno dagli agrumi, la lupinella e le essenze di campo, anche se non riempiono i melari, consentono di superare agevolmente la situazione di stress; con risultati evidenti quando poi portiamo le api su girasole ed eucalipto”. LA SCHEDA Il miele di lupinella La lupinella è bottinata dalle api sia per il nettare sia per il polline; è forse la leguminosa più ricercata dalle api per il nettare concentrato (42-55% di zuccheri). Soprattutto nelle zone appenniniche dell’Italia Centrale la lupinella è un importantissima fornitrice di polline. Se in passato i mieli uniflorali di lupinella erano abbastanza comuni, in Italia come in altri paesi d’Europa, oggi rappresentano quasi una rarità. Questo è dovuto alla notevole riduzione o addirittura all’abbandono della coltura di questa foraggiera. Aspetti organolettici STATO FISICO: tendenza a cristallizzare nella media. COLORE: colore molto chiaro, quasi bianco, una volta cristallizzato. ODORE: molto leggero. SAPORE: delicato, spesso leggermente fruttato. AROMA: debole, non caratteristico. In Italia la produzione attuale è molto frammentata e limitata all’area appenninica di Umbria, Abruzzo e Molise. I testi di melissopolinologia suggeriscono che una percentuale del 35-40% di polline di questa specie sia sufficiente per considerarne uniflorale il miele. Nei mieli italiani la lupinella è sempre associata ad altre leguminose, in particolare alla sulla, che è tendenzialmente iperrappresentata: è probabile che in questo caso la percentuale minima accettabile per definizione di unifloralità possa essere leggermente abbassata. Lupinella 24 Lupinella RODODENDRO (RHODODENDRON SPP) I l termine rododendro deriva da due vocaboli greci, "rhodon", rosa e "dendron", albero, con evidente allusione alle numerose specie arboree dai caratteristici fiori color rosa. Le due specie tipiche delle Alpi, R. ferrugineum diffuso nella zona del granito e della silice e R. hirsutum presente nelle zone calcaree, permisero a Linneo di fondare, nel 1753, il genere Rhododendron, destinato a diventare con le esplorazioni fuori dall'Europa uno dei generi più affollati ed uno dei più importanti per il giardinaggio. I rododendri occupano ogni possibile ambiente: il sottobosco forestale, le rive dei ruscelli, le radure, le catene montuose, le paludi, le macchie, i prati, i dirupi, le pietraie, la base e la cima delle montagne e spesso gli alberi stessi come epifite. La classificazione del genere Rhododendron rappresenta un incubo per i tassonomi: oltre ad essere uno dei più grandi nel regno vegetale, presenta specie strettamente affini al punto che sono più numerose le specie che si confondono tra di loro rispetto a quelle che chiaramente si distinguono. In Italia, tre sono le specie spontanee diffuse: Rhododendron ferrugineum L. Cespuglio sempreverde con rami fragili, generalmente ascendenti. Foglie ellittiche, intere ed arrotondate all'apice, glabre ed inferiormente ferruginee per le dense squame ghiandolari. I fiori sono riuniti in racemi brevi, con peduncoli lunghi 1-2 cm, a calice brevissimo, corolla rosso-purpurea con tubo di 7-8 mm. Il profumo è resinoso ed intenso. Questa specie è caratteristica della fascia subalpina delle Alpi e cresce nelle brughiere su suolo acido. Sale oltre i 2.300 metri, di solito sterile, ed in Val d'Aosta raggiunge i 3.000 metri. Nella zona insubrica scende nei fondovalle (nel Canton Ticino fino a 230 metri). In queste posizioni è presente nei castagneti fitti e raggiunge le massime dimensioni. Sull'Appennino è rarissima e limitata alle vette più alte dell'Appennino ToscoEmiliano. Rhododendron hirsutum L. Simile alla specie precedente si distingue per le foglie che hanno sul bordo lunghe ciglia e nella parte inferiore sono verdi e con sparse ghiandole LA SCHEDA Il miele di rododendro I rododendri spontanei in Italia fioriscono in giugno-luglio. Questa pianta offre abbondante nettare e polline alle api, ma i mieli uniflorali sono piuttosto rari. Per questo i mieli definiti abitualmente di rododendro presentano un aroma più intenso rispetto a quello descritto, dovuto alla presenza di altre specie, quali il lampone (aroma floreale fruttato) e il timo (odore pungente). Il polline, raccolto in pallottoline bianchicce, è presente in percentuale superiore al 20% (classe di rappresentatività: I) Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizza spontaneamente dopo alcuni mesi, formando cristalli da fini a grossi. COLORE: da incolore a giallo paglierino quando è liquido, bianco-beige il cristallizzato. ODORE: molto debole, vegetale, fruttato SAPORE: normalmente dolce AROMA: molto debole e poco persistente. Esistono mieli dannosi. La letteratura, da Senofonte ai giorni nostri, ha riportato casi di avvelenamenti. Tra le specie botaniche citate come produttrici di nettare tossico, e tutte appartenenti alla famiglia delle Ericacee, cinque sono rododendri. Sono endemici in Turchia, in particolare R. ponticum e R. flavum, e popolano le foreste del Nord dell'Anatolia. R. ponticum si è diffuso in Inghilterra ed in altre regioni europee. Rododendro Rododendro 25 puntiformi, inizialmente bianche e successivamente brune. Inoltre la corolla è roseo sbiadita e quasi priva di odore. A differenza della precedente è abbondantissima sulle Alpi calcaree, ove si comporta spesso da pianta pioniera ed è facilmente rintracciabile su ghiaioni e macerati appena consolidati. Sale fino a 2.200 metri, raramente a 2.600, diffusa in arbusteti nani ed in boscaglie di Pino mugo e Pino silvestre. Nella Valle dell'Adige scende fin quasi al piano, ma, a differenza della precedente, sempre in zone soleggiate. Rhodothamnus chamaecistus (L.) Rchb. Secondo alcuni botanici questa specie è considerata un genere a parte, mentre per altri forma una sezione del genere. Comunque la si consideri si tratta di un suffrutice con fusti legnosi, prostrati od ascendenti. Le foglie sono ellittiche, sempreverdi. I fiori sono all'apice dei rami, a corolla rosea. La principale esigenza dei rododendri è un terreno umifero subacido (pH 6), terra d'erica o di castagno o di bosco, mescolata a torba. Il terreno deve anche essere leggero, aggiungendo sabbia e stallatico ben consumato. Pochissime sono le specie che si adattano a terreni alcalini. Il sistema radicale, fitto e piuttosto superficiale, non richiede un terreno profondo; 30-50 cm sono sufficienti. Importante il drenaggio e, pertanto, il dissodamento del sottosuolo. A sud i rododendri esigono luoghi ombreggiati, mentre oltre gli 800 metri l'esposizione soleggiata diventa una necessità. Generalmente sia le specie che gli ibridi resistono bene a - 6°C. I rododendri esotici (R. ponticum e R. luteum), introdotti in Europa nella seconda metà del 1700, sono sfruttati in floricoltura. Un utilizzo LA SCHEDA Solo una parte dei rododendri, quindi, produce tossine. Gli ibridi di rododendro presentano gradi di tossicità in modo imprevedibile. Ad esempio l'ibrido R. "redwing", non tossico, è stato ottenuto dall'incrocio di quattro specie, di cui tre tossiche. Il rododendro delle Alpi, R. ferrugineum, ha foglie tossiche per il bestiame. Le tossine sono presenti nelle foglie, nei fiori e nel loro nettare. L'intossicazione può avvenire per ingestione dei fiori, delle foglie (tisane per curare l'artrite) e del miele contaminato. I rischi di intossicazione si riducono se il miele viene riscaldato (ma questa notizia necessita di conferme), oppure se è miscelato con altre partite di miele non tossico. Sono stati identificati nel miele tossico idrocarburi ciclici polidrossili (diterpenoidi) battezzati grayanotosine o andromedotossine, o ancora rodotossine. La letteratura mette a disposizione l'analisi di 23 casi di tossicità sull’uomo, tra il 1963 e il 1986, a Trabzon sul Mar Nero orientale e a Inebolu sul Mar Nero centrale. La quantità di miele ingerita dagli intossicati variava da due cucchiaini di caffè a cinque da minestra (media 50 grammi). In tutti i campioni analizzati vennero trovati pollini di rododendro. I sintomi comparvero da 30 minuti a due ore dopo l'ingestione, in relazione alla dose assunta. Tra gli effetti si segnalavano: ipersalivazione, respirazione difficoltosa, formicolio attorno alla bocca ed alle estremità degli arti, debolezza e convulsioni. Un prelievo di sangue mostrava un aumento di enzimi nel fegato. Fortunatamente il miglioramento avvenne tra trenta minuti e sei ore, e la guarigione completa dopo uno o due giorni. La mortalità è rarissima per non dire nulla. La terapia consiste nella somministrazione di sostanze vasopressori e per il controllo degli eventuali disturbi cardiocircolatori. Nel 1959 un'epidemia da intossicazione distrusse gli alveari dell'isola di Colonsay. I ricercatori dell'Università di Glasgow riprodussero i sintomi osservati fornendo ad api sane nettare di rododendro. Queste diventarono letargiche, poi inerti, volarono per piccoli tratti, caddero al suolo posandosi sui fianchi o sul dorso, girarono in tondo sbattendo le ali senza riuscire ad alzarsi. Una prostrazione crescente precedette la morte. Rododendro Rododendro 26 BOTANICA marginale è legato alle proprietà curative delle foglie, che contengono arbutina, ericolina, acido rodotannico, altri acidi, cere ed un olio essenziale con una composizione ritenuta velenosa, e che in infuso o per estrazione a mezzo dell'olio, sono usate contro le malattie della pelle, le malattie dei reni ed i dolori reumatici. Inoltre le galle che si formano sulle piante, se raccolte fra giugno ed agosto, posseggono proprietà vulnerarie che permettono l'estrazione di un olio per uso esterno. Infine, nel cosiddetto "tè svizzero" entrano tra le altre foglie anche quelle di R. ferrugineum, meno velenose di quelle dell'altra specie. I rododendri sono arbusti eleganti, talvolta alberi. Le foglie sono alterne, spesso ravvicinate alla sommità dei rami, intere, a ciclo annuale o biennale e, pertanto,le piante presentano fogliame persistente. I fiori sono di solito grandi, da bianchi a rossi a gialli, riuniti in corimbi od in falsi grappoli terminali, raramente solitari. Il calice è variabile, generalmente con cinque sepali a coppa che formano altrettanti denti. La corolla è irregolare, talvolta ad imbuto altrimenti tubulosa, con un lembo più o meno obliquo che si manifesta in cinque lobi. Gli stami sono da otto a dieci, l'ovario presenta uno stilo sottile. L’adattamento a climi tanto differenti hanno selezionato forme e dimensioni disparate. Le foglie variano da pochi millimetri ad un metro di lunghezza, i fiori passano dalle enormi trombette profumate e lunghe fino a 12 cm di R. nuttallii e dai grandi fiori composti di R. sinogrande, entrambi nativi dell'Asia Sud Orientale, fino ai piccoli fiori di alcune specie d'alta montagna della sottosezione Lapponica. Dai rododendri striscianti si arriva ai rododendri arborei dell'Himalaya. Ricordiamo che i rododendri appartengono alla famiglia delle Ericacee e che le numerose specie vengono suddivise in due sottogeneri: Eurhododendron, a cui appartengono le specie a foglie raramente caduche; Azalea, caratterizzato da specie le cui foglie sono caduche, raramente persistenti. L’INTERVISTA Ci dice Ezio Poletti, apicoltore professionista che gestisce una bella azienda nel Novarese: “Parlando di miele di rododendro posso affermare che si tratta di una produzione non costante, costosa e rischiosa, in quanto in alta quota le condizioni meteorologiche sono molto instabili”. Le aree da me visitate sono rappresentate dai pendii del Monte Rosa, Val Sesia e Val Formazza. Gli alveari che destino al trasporto a queste quote sono i più popolosi poiché, vista la difficoltà di collocamento, è un’inutile perdita di tempo portarvi quelli deboli.Il periodo consigliato va da metà giugno a fine luglio. Ho notato che si ottengono raccolti migliori se durante l’inverno precedente ci sono state abbondanti nevicate che hanno protetto i germogli dal gelo. Durante questa produzione gli alveari vanno incontro ad un notevole aumento della deposizione e a volte la covata, se non si interviene con l’escludiregina, si spinge fino al secondo melario. Quindi al rientro sarà necessario mettere a disposizione di questi alveari nuovi raccolti per reintegrare le scorte. Altra caratteristica di questi alveari è la tendenza a sciamare in quanto, a causa delle condizioni climatiche, le api si sentono quasi riportate in una specie di seconda primavera. Il miele ottenuto, almeno per quanto riguarda la nostra zona, raramente è purissimo perché inquinato da altre fioriture di prato e molte volte da colpi di melata. Comunque, se l’annata è favorevole, si ottengono ottimi raccolti arrivando a 30 Kg per alveare” Rododendro SULLA (HEDYSARUM CORONARIUM L.) È una specie poliennale, originaria e diffusa nell’area mediterranea. È diffusa principalmente nel Sud Italia e trova la sua massima diffusione nella regione Marche. Predilige terreni calcareo-argillosi, ma profondi. Non sopporta ristagni idrici ma piuttosto la siccità (coltura non irrigua). Fiorisce a maggio-giugno. BOTANICA Si tratta di una specie a radice fittonante. Gli steli, semplici o ramificati, sono vuoti e fistolosi. Le foglie sono composte, alterne, imparipennate con 2-12 paia di foglioline. I fiori sono riuniti in racemi ascellari e sono di colore rosso porpora. 27 Sulla I frutti sono amenti costituiti da 5-7 articoli contenenti ognuno un seme subreniforme di colore giallo o brunastro. TARASSACO (TARAXACUM spp.) S econdo alcuni autori al genere Taraxacum appartengono 25 specie, secondo altri oltre 60. Una tale discrepanza nasce dal fatto che all’interno delle singole “specie” è possibile distinguere numerose “stirpi”, caratterizzate da caratteri costanti, per quanto localizzate territorialmente. La causa di questo fenomeno è l’apogamia, che si manifesta sostanzialmente a causa dei processi di poliploidizzazione. Nelle nicchie ecologiche fortemente compromesse dall’azione dell’uomo l’apogamia si presenta con maggior frequenza che non negli ambienti naturali. In Italia l’unica specie presente diploide, con normale riproduzione sessuale, è T glaciale, pianta endemica solo sull’Appennino abruzzese e rarissima.Tutte le altre specie sono polipoidi. Per meglio precisare la complessità consideriamo la specie più diffusa in Italia, T. officinale: non viene classificata in realtà come una specie unitaria, ma piuttosto come un aggregato comprendente numerose stirpi apogame (agamospecie), non ancora completamente note. Il genere Taraxacum è diffusissimo; il centro di origine è l’Asia Centrale ed Occidentale e attualmente si trova in tutte le regioni temperate degli emisferi settentrionale e meridionale, fino al limite artico, dal livello del mare al piano montano. In Italia il genere è diffuso ovunque, particolarmente negli incolti e nei prati stabili e ben concimati. E’ una discreta foraggiera, ma è considerata infestante a causa della bassa resa alla fienagione. LA SCHEDA Il miele di sulla Una volta dalla sulla si otteneva un miele uniflorale su tutto l’Appennino fino alla Sicilia. Oggi la produzione uniflorale è circoscritta alle zone collinari di Abruzzo, Molise, Calabria e Sicilia. Fuori dell’Italia, la sulla si produce solo in Nord Africa. Per questo motivo, insieme all’alta presenza del polline (classe di raprresentatività II), si può utilizzare l’analisi melissopalinologica per la determinazione della provenienza italiana di alcuni mieli. Il polline è di colore grigio Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizza spontaneamente dopo alcuni mesi, con formazione di cristalli medio-fini. COLORE: da quasi incolore a giallo paglierino se liquido, da bianco a beige con la cristallizzazione. ODORE: debole, di paglia. SAPORE: mediamente dolce. AROMA: vegetale, a volte con componente fruttata, comunque debole e poco persistente. All’analisi organolettica questo miele si presenta simile a quello di altre leguminose come la lupinella, i trifogli e il ginestrino. Per questo motivo raramente il miele di sulla viene commercializzato come uniflorale, più spesso invece come millefiori o entra in miscele o ancora viene utilizzato per la cristallizzazione guidata, grazie alla formazione di cristalli abbastanza fini. Sulla BOTANICA Le piante, perenni e rustiche, si adattano a condizioni ambientali variabili e ad ogni tipo di terreno. Dispongono di una grossa radice a fittone contenente abbondante latice amarognolo. Le foglie intere, dentate o sinuate e di differente forma sono disposte a rosetta. I fiori, generalmente gialli, sono riuniti in infiorescenze alla estremità di uno scapo cavo, privo di foglie. Il frutto è un achenio allungato che si prolunga 28 Tarassaco in un rostro aperto superiormente in numerose setole originanti la tipica infruttescenza. Il nettario (nel T. officinale) è posto sopra l’ovario, attorno alla base dello stilo. Il nettare prodotto è ricco di zuccheri (18-51%), e tra essi prevale il glucosio (45,4%). Le antere formano, saldate tra loro, una sorta di tubo attraverso il quale lo stilo allungandosi sospinge il polline, rendendolo fruibile agli insetti. LA SCHEDA tarassaco, salice, crucifere e fruttiferi che si considerano uniflorali in quanto fortemente caratterizzati sia dal punto di vista organolettico che compositivo. Il nettare di tarassaco possiede, infatti, un forte odore ed è molto comune ritrovarne traccia nei primi mieli primaverili e anche in quelli di smelatura più tardiva, dove spesso costituisce un difetto (per esempio nei mieli uniflorali di robinia). Una delle caratteristiche più evidenti è la rapida cristallizzazione, dovuta all’alto contenuto in glucosio. Come in altri mieli primaverili è frequente un eccesso d’acqua e presenta quindi una elevata probabilità di fermentazione: è uno dei mieli per i quali può essere consigliabile una deumidificazione con circolazione di aria calda o con deumidificatore. Il fatto che la cristallizzazione avvenga in modo rapido porta quasi sempre a una consistenza pastosa/cremosa nei mieli che hanno circa il 18 - 19 % d’acqua o compatta/dura nei mieli deumidificati. Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzato, generalmente a grana grossa. COLORE: giallo limone quando puro, beige quando in miscela con crocifere, beige rosato quando prevale il salice. ODORE: è molto forte, ammoniacale o vinoso/marsalato. SAPORE: non eccessivamente dolce. AROMA: percepito spesso come fresco, saturante, simile all’infuso di camomilla, persistente. Come tutti i mieli fortemente aromatici deve essere destinato a un pubblico di amatori, che peraltro esistono. Meno facile il tentativo di mascherarne l’aroma miscelandolo con altri mieli. Il tarassaco è raccomandato per le virtù eccitanti epatobiliari ed anticolesterolo della sua radice e delle sue foglie. L’uso della decozione (bollitura per l’ottenimento di un decotto) della radice al 5% esercita azione colagoga (contrazione della cistifellea e svuotamento della bile, in essa contenuta, nel duodeno) in grado di alleviare la cirrosi in fase iniziale; in tal senso se ne può bere una tazza poco prima dei pasti anche per parecchio tempo. Lo stesso effetto, più blando, si ottiene con le foglie. LA SCHEDA Il miele di tarassaco Il polline è presente in percentuale superiore al 5% (classe di rappresentatività: II-III). Il polline di tarassaco, di colore arancione vivace, viene liberato prevalentemente nelle ore del mattino. Il tarassaco è ricercato dalle api sia per il nettare sia per il polline, è spesso competitivo nei confronti dei fiori dei fruttiferi e ne limita l’impollinazione. I fiori del tarassaco si chiudono alle prime ore del pomeriggio, riaprendosi solo la mattina successiva. In annate favorevoli si possono ottenere discreti raccolti di miele di tarassaco. Indipendentemente dalla produzione di miele la fioritura di tarassaco rappresenta un importante fattore per lo sviluppo primaverile delle famiglie di api. Allo stato uniflorale il miele di tarassaco si produce molto raramente in Italia, limitatamente ad alcune regioni del Nord: relativamente più comuni sono i mieli misti di Tarassaco 29 Tarassaco L’INTERVISTA TIGLIO (TILIA SPP. L.) Chi punta alla massima produzione di miele deve impostare per tempo la preparazione delle famiglie, cominciando con l’invernamento (alveari con almeno 7-8 favi coperti di api), scegliendo la postazione ideale e, quindi, prevedendo in primavera la nutrizione stimolante. Non è difficile, in tale situazione, arrivare a porre il secondo e, spesso, il terzo melario. A questo punto quasi tutte le famiglie sciamano o, comunque, entrano in febbre sciamatoria. In entrambe le situazioni il raccolto successivo è compromesso, perché per esso non risultano pronte spesso neppure la metà delle famiglie dell’apiario; il raccolto principale risulterà poi essere il castagno o l’alta montagna. Attualmente va sempre più assottigliandosi il numero degli apicoltori che cercano questo indirizzo produttivo, perché l’acacia ha assunto tale importanza commerciale da soppiantare anche i più pregiati mieli di alta montagna. Il tarassaco si rivela, dunque, fondamentale per la preparazione delle famiglie. Questo fatto non vuol dire che si rinunci a priori alla produzione di miele, ma che essa passa in secondo piano rispetto alla formazione/sviluppo di nuclei e famiglie. La situazione ottimale si verifica quando pressoché tutte le famiglie sono in grado di immagazzinare miele nei melari, anche se la produzione si limita a 5-10 kg per cassa. La posa di molti doppi o terzi melari spesso si accompagna ad una più difficile gestione della sciamatura. Il raccolto, infatti, molto ricco sia in nettare che in polline stimola la produzione di covata e anche le regine giovani possono entrare in febbre sciamatoria. Durante tutto il raccolto del tarassaco è, quindi, essenziale l’intervento dell’apicoltore che cerca di pareggiare le famiglie e, con la covata e le api in esubero, produce sciami artificiali. Anche le annate più sfortunate con piogge e nevicate sul raccolto, consentono comunque lo sviluppo ottimale delle famiglie. Poche ore di sole permettono la riapertura dei fiori ed un improvviso abbondante raccolto. La gestione dell’apiario sul tarassaco è, quindi, molto delicata ed è il trampolino di lancio per tutta la stagione. Il raccolto successivo sulla robinia, provocando un più o meno parziale blocco di covata, potrà semplificare il lavoro dell’apicoltore”. Tarassaco I tigli sono distribuiti in tutte le regioni temperate dell'emisfero settentrionale e sono utilizzati a scopo ornamentale. Rappresentano in tutta Europa un elemento fondamentale del paesaggio urbano in quanto oltre al loro indiscutibile valore ornamentale, risultano affetti da parassiti poco virulenti. Attualmente, specie nel Nord Europa, i tigli sono,però,facilmente colpiti dal marciume radicale, soprattutto nelle zone ad alto inquinamento atmosferico. Questo fatto è oltremodo preoccupante in quanto questi alberi si sono dimostrati ottimi controllori dell'inquinamento, trattenendo le polveri ed accumulando elevate quantità di piombo nelle foglie e nei fiori (fino a 250 ppm). Dai tigli si ottiene un legno ricercato; non è, tuttavia, particolarmente apprezzato dai forestali in quanto incapace di formare popolamenti puri.Altri svantaggi dei tigli, nelle piantumazioni urbane, sono la notevole capacità pollonifera, la presenza di afidi e, quindi, di melata e fumaggini, e l'intenso profumo in fioritura che richiama numerosi insetti melliferi. BOTANICA Le piante che appartengono al genere Tilia presentano alcune caratteristiche comuni: altezza da 25 a 40 metri; apparato radicale espanso e profondo; chioma largamente ovoidale, ramosa e folta; corteccia dapprima liscia, poi fessurata; foglie semplici, alterne, lungamente picciolate; fiori ermafroditi, di 30 Tiglio presa ansia, isteria, ipocondria; indigestioni, spasmi gastrici nervosi; arteriosclerosi; tossi spasmodiche ed asma. La conservazione va attuata in luoghi asciutti, freschi e scuri, in cassette di latta o di legno. La droga deve conservare il colore giallo verdastro, altrimenti va scartata.Tra le varietà di tiglio sono da preferirsi quelle a fiore semplice come: Tilia platyphillos Scop, Tilia x vulgaris Hayne, Tilia cordata Mill. L’INTERVISTA Ci siamo rivolti a Nino Scacchi, apicoltore professionale del novarese: “La sempre crescente richiesta di miele di tiglio promuove questo raccolto come estremamente importante, da molti preferito al miele di alta montagna. Le rese produttive sono abbondanti, nell’ordine anche di 30-35 Kg per alveare, in media solo di poco inferiori alle medie ottenibili sul castagno in questi areali particolarmente vocati. La variabilità produttiva dipende soprattutto dalla possibilità di ottenere miele in purezza. La fioritura del tiglio è, come già visto, quasi concomitante a quella del castagno e forse lievemente in ritardo rispetto ad essa (2-3 giorni). Le api sembrano raccogliere prevalentemente nettare, dirigendosi sul castagno per ottenere il polline. Le famiglie di api raggiungono il massimo dello sviluppo ed appaiono abbastanza mansuete, senza il nervosismo tipico della fioritura del castagno. Il raccolto è solitamente scalare e, quindi, sufficientemente lungo da concludersi quando anche la fioritura del castagno è ultimata. Al momento della smelatura si ha la soddisfazione più grande: un miele giallo come l’oro, con talora lievi riflessi verdastri, cola denso dai favi ed aromatizza ogni cosa con il suo fresco profumo di mentolo. Il gusto è pieno, intenso, così marcato da poter essere identificato anche se presente solo in piccole quantità in una miscela. Pertanto, meno del 10% del miele di tiglio può conferire ad un “tuttifiori”, o ad un delicato miele di montagna un senso di freschezza ed un lieve sapore mentolato, molto gradito al consumatore. In purezza, invece, il tiglio può avere un profumo sin troppo intenso per il consumatore non avvezzo ai gusti più forti. Miscelato al castagno, poi, anche se meno qualificato dal punto di vista commerciale, è l’ideale per gli amanti del gusto balsamico e dei profumi e sapori più pieni”. colore bianco giallastro, generalmente molto odorosi, riuniti in cima alle estremità di un lungo peduncolo aderente ad una brattea membranosa di colore meno intenso di quello della foglia (ha dato il nome al genere: dal greco ptilon = piuma, da cui il latino tilia); il frutto è una piccolo noce detta "carcerulo", completamente chiusa da un pericarpo molto spesso e quasi impermeabile all'acqua; il seme contiene da due a cinque ovuli, uno solo dei quali si sviluppa in un normale embrione. La fioritura è tardiva. Le singole specie appartenenti al genere Tilia possono incrociarsi facilmente tra di loro; la classificazione non è semplice ed il numero variabile di specie classificate (da 18 a 65) nasce dalla differente individuazione degli ibridi come specie autonome oppure no. Le specie spontanee in Italia sono: Tilia cordata Mill. (tiglio selvatico), diffuso in quasi tutta Europa, Tilia platyphyllos Scop. (tiglio nostrano), spontaneo nell'Europa centrale e meridionale, l'ibrido Tilia intermedia DC (T. europea L. x T. vulgaris Hayne), generalmente sterile e non diffuso spontaneamente, Tilia argentea DC, spontaneo in Grecia e Turchia, Tilia americana L., utilizzato nei parchi e Tilia x euchlora C. Koch, o tiglio di Crimea, resistente agli afidi. In erboristeria si utilizzano le infiorescenze ancora chiuse, raccolte assieme alle brattee al momento della fioritura in giugno-luglio.I fiori di tiglio hanno proprietà sedative, antispasmodiche, diuretiche, sudorifere ed anticatarrali. Sono indicati: contro insonnia, emicranie, vomiti nervosi ed ogni altra manifestazione nervosa com- Tiglio 31 Tiglio LA SCHEDA LA SCHEDA Il miele di tiglio spesso rallentata e si attua allora con granuli molto grossi, tondeggianti, agglomerati e a disposizione irregolare COLORE: chiaro, con tonalità giallo brillante, nei mieli più puri di nettare; via via più scuro quando è presente una quantità crescente di melata. Colore crema quando cristallizza. ODORE: fresco, mentolato, balsamico; ricorda il profumo dei fiori solo nei mieli più puri, o quello della sua tisana, l'odore "di farmacia”. SAPORE: normalmente dolce, leggermente amaro quando inquinato da castagno. AROMA: molto persistente, ricorda quello della menta, dei medicinali, oppure il sapore delle noci fresche. I tigli sono intensamente visitati dalle api; in Italia sono diffusi irregolarmente e solo in Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna si produce miele monoflora di tiglio; saltuariamente si raccoglie da essi una melata dalle spiccate caratteristiche. Importanti produttori sono i Paesi dell'Europa centro-orientale. Il polline è presente in percentuale variabile, ma quasi sempre molto bassa, anche in relazione ai forti inquinamenti da polline di Castanea (classe di rappresentatività: I-II). Alcune varietà di tiglio coltivato non producono polline e, di conseguenza, alcuni mieli di tiglio di pianura non contengono, addirittura, polline della specie. L’analisi pollinica quindi non sempre dà indicazioni utili alla diagnosi di unifloralità. Ugualmente le caratteristiche fisico-chimiche non forniscono, in questo caso, informazioni probanti, in quanto i mieli di tiglio non costituiscono un gruppo strettamente omogeneo. Ne consegue che spesso l'analista chiamato a stabilire se per un certo campione è lecita o meno la denominazione "di tiglio" deve decidere solo sulla base dell'analisi organolettica. Il nettare è molto aromatico e marca fortemente i mieli che ne contengono anche piccole percentuali. Per questo, mieli considerati uniflorali di tiglio spesso non lo sono e ciò crea differenze ancora più marcate rispetto ad altri mieli uniflorali di diversa provenienza. In Italia produzioni abbondanti di tiglio si possono ottenere su tutto l'arco alpino: in molte località però non è possibile tener separato questo raccolto da quello del castagno, ottenendo così un prodotto scuro che rimane liquido a lungo. Nella pianura padana si riescono a produrre mieli di tiglio dagli alberi coltivati nei parchi e lungo i viali. In questo caso la flora di accompagnamento, più o meno abbondante (trifogli, erba medica, meliloto e altre leguminose), non interferisce aromaticamente, eccezion fatta per l’ailanto. Sono invece uniflorali puri, mieli di tiglio provenienti dall'Europa dell'est, dall'ex Unione Sovietica e dalla Cina. TIMO (THYMUS T imo è il nome italiano delle piante, circa venti, del genere Thymus, in particolare del Thymus vulgaris, specie indigena dei paesi del Mediterraneo che cresce su pendici assolate, rocciose e luoghi aridi dal mare alla zona montana e viene spesso coltivata negli orti come pianta aromatica. Le specie appartenenti al genere Thymus hanno solitamente portamento cespuglioso, fusto più o Aspetti organolettici Tiglio SPP.) STATO FISICO: cristallizzazione variabile, ma 32 Timo meno lignificato. Del timo si utilizzano la pianta fiorita o le foglie. Il contenuto in essenza è massimo nelle prime ore del pomeriggio e nelle piante al secondo taglio. L'essenza contiene dal 20% al 40% di fenoli, principalmente timolo il cui contenuto ne stabilisce il valore, poi da carvacrolo, linalolo, geraniolo, ecc. Noto fin dall'antichità il timo deve la sua importanza alla presenza dell'essenza e trova impiego come stimolante, coleretico, balsamico, anticatarrale, antispasmodico, antibatterico per via interna. Inoltre Th. vulgaris e Th. serpyllum sono utilizzati per conferire gusto ai cibi. BOTANICA Il genere Thymus è di difficilissima classificazione: le 17 specie presenti in Italia risultano, ad un esame superficiale, quasi uguali. Le specie principalmente presenti in Italia sono: Th. vulgaris L. - Timo maggiore. Fusti generalmente eretti, ramosissimi, con corteccia bruna, alti da uno a tre decimetri. Foglie minute, di forma ovale, con margini ripiegati in sotto e tomentose nella pagina inferiore, più larghe nei rami fioriferi. I fiori minuscoli, di colore rosa pallido, sono riuniti in apicastri formati da diversi verticilli. Diffuso tipicamente nelle zone vicine al mare, su terreni aridi e rocce, prevalentemente in ambienti collinari, spesso coltivato. Gruppo di Th. serpyllum. A questo gruppo appartengono 13 specie fra di loro assai simili e che spesso vengono confuse. Tutte le specie hanno fusti legnosi alla base, più o meno prostrati o striscianti e spesso radicanti in nodi, con apici fioriferi eretti. Foglie coriacee, da arrotondate a lineari. Infiorescenze dense, sferiche, ovali, più o meno allungate. Calice di 3-4 mm. Corolla purpurea o rosea. Diffusione nei prati aridi steppici, pietraie e rupi soleggiate. Th. capitatus (L.) Hofmgg et Lk. - Timo arbustivo. Rami legnosi con corteccia biancastra, portamento a pulvino. Foglie molto fitte picchettate di ghiandole puntiformi, carenate ed un po’ revolute sui margini. Infiorescenze ovoidali. Corolla roseo purpurea. Piccolo arbusto diffuso nelle aree più aride del Mediterraneo, con prevalenza nella zona orientale. Costituisce cenosi estese, nelle quali predomina. Spesso associato a piante xerofile ed arbusti di piccole dimensioni (Mirto e Cisti). Th. Striatus Vahl - Timo bratteato. Fusti legnosi, Timo striscianti o radicanti ai nodi, con rami ascendenti. Foglie lineari con fitte ghiandole puntiformi. Infiorescenze subsferiche. Corolla generalmente biancastra o rosea. Si tratta di un gruppo polimorfo: il timo bratteato descritto corrisponde con la forma diffusa nel meridione d'Italia, dal Napoletano al Pollino; più a Nord, dal Lazio alla Romagna, prevale una forma a foglie più sottili; in Toscana ed Emilia esiste poi una terza forma endemica delle rocce serpentinose. Th. spinulosus Ten. - Timo spinosetto. Fusti legnosi suberetti o striscianti. Foglie lineari o lineari-spatolate. Infiorescenze subsferiche. Specie diffusa sui pendii aridi pietrosi dell'Italia Meridionale e Sicilia. Th. herba-barona Loisel - Timo erba-barona. Fusti legnosi suberetti o striscianti. Foglie linaeri-lanceolate. Infiorescenze ovoidali. Diffuso sui pendii aridi ventosi della Sardegna e della Corsica. Th. richardii Pers. Timo di Marettimo. Fusti legnosi ascendenti pelosi tutt'attorno. Foglie lanceolate. Infiorescenze subsferiche. Corolla purpurea. Diffuso sulle rupi calcaree dell'isola di Marettimo. Th. vulgaris ha fioritura precoce tra marzo e giugno, Th. serpyllum fiorisce in epoche diverse in base all'altitudine, tra maggio e settembre, mentre Th. capitatus e Th. striatus fioriscono nei mesi estivi. Il tessuto nettarifero si trova sotto l'ovario, da cui sporge un poco lateralmente. 33 Timo LA SCHEDA TRIFOGLIO (TRIFOLIUM SPP.) Il miele di timo Delle diverse specie del genere Thymus solo alcune possono dare origine a raccolti uniflorali. Di questi il più conosciuto in Italia è senz’altro quello di Thymus capitatus, specie diffusa nelle zone più aride del mediterraneo orientale, all’origine delle produzioni di miele di timo in Sicilia (sui monti Iblei) e in altre piccole zone delle estreme propaggini meridionali della penisola. Nell’antichità il miele ibleo godeva di grande fama, seconda solo a quella del miele del Monte Imetto (in Grecia): per entrambi questi mieli l’origine botanica prevalente era la stessa: il timo. I l genere Trifolium appartiene alla famiglia della Papilionacee e ne rappresenta una delle unità più numerose e più caratteristiche a causa dei fiori piccoli - a differenza di quelli delle altre papilionacee vistosi e di maggiori dimensioni - riuniti in capolini o in corte spighe. I trifogli si possono trovare ovunque, dal livello del mare fino a 3000 metri di altezza, nei luoghi boscosi e negli incolti, su terreni acidi ed alcalini. Trifolium si compone delle due radici latine, "tres" e "folium", per indicare la caratteristica più appariscente di queste piante, le cui foglie sono composte da "tre foglioline" in disposizione digitata. Il genere venne istituito da Linneo e ad esso, attualmente, si attribuiscono circa trecento specie distribuite essenzialmente nelle regioni temperate e subtropicali dell'emisfero nord; poche specie vivono spontanee sulle Ande e nell'Africa meridionale. La flora spontanea dell'Italia è ricca di specie di Trifolium. Il valore dei trifogli risiede nel loro diffuso utilizzo come piante foraggere in ogni parte del mondo. Le specie più diffuse in Italia sono: T. subterraneum L., specie annua a radice fittonante, stelo eretto, tomentoso e che tende ad indurirsi alla fine della fioritura. Infiorescenza a capolino Aspetti organolettici STATO FISICO: cristallizzazione lenta. COLORE: da ambrato chiaro ad ambrato. ODORE: intenso caratteristico, tra il floreale o lo speziato, che può ricordare i chiodi di garofano, il vin brulè, il legno aromatico, piuttosto pungente. SAPORE: discreta acidità. AROMA: intenso, con le stesse connotazioni descritte per l’odore, ma con una nota di tipo “olio essenziale” (timolo) più netta, che lo rende un miele non adatto al gusto di tutti. Sia sulle Alpi che sugli Appennini sono comuni mieli in cui la presenza di timo serpillo, seppur non dominante a livello di origine, risulta caratterizzante a livello aromatico. In questo caso l’odore e l’aroma possono essere definiti come generalmente non graditi, in quanto le note di tipo “animale” sono prevalenti. L’odore, particolarmente pungente, può ricordare quello di acido acetico, oppure, secondo i casi, la stalla ovina. In Sardegna può essere prodotto un miele uniflorale dal timo locale (Thimus herbabarona), le cui caratteristiche non sono sufficientemente conosciute per essere qui descritte. In Spagna i mieli di timo, da specie ancora diverse da quelle sin qui nominate, sono relativamente comuni: si tratta di mieli con aroma molto forte, a connotazione “animale” o “chimica”, e non incontrano molto, quindi, il gusto del consumatore del resto d’Europa. Infine, il prodotto conosciuto come “miele di timo” in Abruzzo dovrebbe essere più correttamente indicato “di santoreggia”, in quanto da questa specie (Satureja montana) deriva. Timo 34 Trifoglio composta da fiori sessili di colore bianco o leggermente roseo o giallastro che tende a sgranare alla maturazione. Zone di produzione tipiche sono la Toscana, il Lazio e la Puglia. Spontaneo si trova da 0 a 1200 metri s.l.m. negli incolti aridi in tutta Italia. T. incarnatum L., specie annuale ad uno sfalcio, ha infiorescenza a capolino composta da fiorellini rosso purpurei, stelo pieno, morbido, foglie pelose, radice fittonante, non molto profonda. Si utilizza solitamente come componente del miscuglio Landsberg con loietto italico e veccia, e con avena, veccia ed altri trifogli.Viene coltivato anche in purezza, sebbene la diffusione dell'erbaio di incarnato si stia riducendo. Preferisce il clima temperato-fresco, ma vegeta bene anche in Italia meridionale. Spontaneo in Italia è diffuso negli incolti e nei campi in tutto il territorio. T. alexandrinum L., specie annuale con fusti eretti, ramificati e scarsamente pelosi; foglioline grandi e bislunghe; capolini emisferici, composti da piccoli fiori bianchi. Adatto ai ripetuti sfalci (2-5), predilige i terreni fertili, sia sciolti che argillosi e clima temperato-caldo. Sensibile ai cali di temperatura, specialmente nei primi stadi di vegetazione. Si trova spontaneo in Italia negli incolti, da 0 a 800 metri s.l.m., nella provincia di Vercelli, nel Teramano, Brindisino ed in provincia di Palermo. T. pratense L., trifoglio pratense, o violetto, è una tra le più diffuse leguminose foraggere. É una pianta perenne, anche se di longevità limitata e la sua durata, in genere, non supera i due anni. La radice è robusta, fittonante e può approfondirsi notevolmente. Sia sulla radice principale che sulle branche laterali sono inseriti numerosi tubercoli (più che nella medica) di forma cilindrica e della lunghezza di qualche millimetro dovuti alla presenza del rizobio specifico (Rhizobium trifolii) in grado di fissare l'azoto atmosferico (anche tutte le altre specie di trifoglio dispongono dei tubercoli radicali per la fissazione dell'azoto atmosferico). Gli steli possono raggiungere i 70 cm. Le foglie sono caratterizzate dal tipico disegno biancastro a forma di "V". I fiori, di colore rosato o viola pallido, sono numerosi - da 50 a 250 - e riuniti in capolini globosi. In Italia è tipico delle regioni centrosettentrionali nelle quali può sostituirsi alla medica in virtù della maggior tolleranza nei confronti del pH e, grazie alla minore durata, può inserirsi in avvicendamenti brevi (tri o quadriennali). Resiste molto bene al freddo e preferisce terreni argillosi. Spesso entra nei prati artificiali in consociazione con fleolo, erba mazzolina, loietto inglese ecc. Il Trifoglio trifoglio violetto è un gruppo polimorfo, composto da tre sottospecie: pratense, il tipo più comune in tutto il territorio; nivale, presente nei pascoli subalpini delle Alpi orientali; semipurpureum, diffusa nei pascoli subalpini sull'Appennino centro-meridionale ed in Sicilia. T. fragiferum L., chiamato "trifoglio fragolino" è una pianta prostrata, cespugliosa, con foglie di forma molto variabile. I capolini sono ascellari e la corolla bianco-rosata. In Australia è oggetto di selezione per i prati falciabili. In Italia si trova spontaneo in incolti e pascoli, per lo più umidi, pressoché ovunque. T. hybridum L., specie perenne, a radice fittonante, glabra, alta da 20 a 50 cm, con stelo prostrato nella parte inferiore, poi eretto, di colore verde o rosso. Le foglie hanno la pagina inferiore di colore verde-grigio. Fiori di colore rosa chiaro, lungamente peduncolati, riuniti in capolini inizialmente sferici, poi appiattiti. In Italia si trova quasi esclusivamente nel Veneto, in aree di fondovalle o montane fresche. Si semina in monocoltura, o in consociazione con graminacee perenni per prati polifiti (fleolo, festuca pratense, loietti). Si trova spontaneo in Italia sulle Alpi, gli Appennini e la Pianura Padana. T. repens L., conosciuto come trifoglio bianco, oppure ladino, è una specie bi-triennale in condizioni non umide, mentre è perenne nelle zone irrigue-umide della Lombardia. La pianta ha fusti striscianti, per lo più stoloniferi, solo in alcuni casi cespugliosi. Le foglioline sono denticolate sui margini e spesso vagamente chiazzate di bianco. 35 Trifoglio L'infiorescenza è a capolino, composta da fiori pedicellati di colore bianco-roseo. Viene seminato in monocoltura, o in consociazione con loietto inglese ed italico, fleolo, festuca pratense, ecc.Tollera bene i freddi e non sopporta le alte temperature estive. Nella flora italiana è alquanto comune, lo si ritrova lungo le strade campestri, nei prati, in qualsiasi tipo di terreno tranne in quelli troppo compatti o, all'opposto, troppo sabbiosi. In montagna si spinge fino a 2.000 metri. Nella specie T. repens si distinguono le varietà sylvestre, hollandicum, poco diffusa in Italia e giganteum (trifoglio ladino), varietà gigante selezionatasi nelle zone del Cremonese e del Lodigiano T. resupinatum L., specie annua, ramificata, a stelo vuoto molto lungo, infiorescenza a capolino molto profumato,composta da fiori azzurro-roso-purpurei. Predilige il clima temperato-caldo, ma non arido, terreni ricchi sia leggermente sciolti che argillosi. La pianta è di notevoli dimensioni, dà produzioni elevatissime, con ricacci non molto abbondanti. Allo stato spontaneo si trova negli incolti erbosi umidi da 0 a 1000 metri pressoché in tutta la Penisola. T.vesiculosum Savi, conosciuto come trifoglio Ruffo di Calabria è una specie annua, ramificata, cespugliosa a stelo semivuoto, infiorescenza a capolino composta da 15-20 fiori sessili di colore biancoroseo tendenti al porporino verso la fine della fioritura. Spontaneo si rintraccia negli incolti erbosi da 0 a 800 metri nella Penisola a partire dalla Toscana ed in Sicilia. T. squarrosum L., specie annua, a stelo eretto, tomentoso e che tende ad indurirsi alla fine della fioritura. Infiorescenza a capolino composto da fiori sessili di colore bianco o leggermente roseo o giallastro. Preferisce i terreni di medio impasto e neutri; sopporta sia i terreni pesanti che sciolti, mentre non si adatta a quelli umidi.Vegeta bene nel clima mediterraneo-caldo, non eccessivamente arido. Si coltiva in alcuni comprensori dell'Italia centrale e meridionale. Spontaneo si incontra nei pascoli aridi della Penisola e delle isole. LA SCHEDA Il miele di trifogio Le specie appartenenti al genere Trifolium rappresentano un'ottima fonte sia di nettare sia di polline per le api. In alcune località il polline di trifoglio si può raccogliere allo stato monoflora e nei mesi di maggio giugno e luglio rappresenta l'unica fonte nettarifera. Inoltre il nettare dei trifogli favorisce il prolungarsi dell'ovideposizione, predisponendo adeguatamente le api per la stagione fredda. Il polline è presente sui fiori per tutto il giorno, massimamente nelle ore centrali. Viene raccolto in pallottole di colore marroncino. Nell'Italia centrale in estate è importante quale fonte di nettare e polline il trifoglio violetto il cui miele può essere confuso con quello della medica. In realtà, potendo scegliere tra due appezzamenti contigui di medica e di trifoglio, le api scelgono quasi esclusivamente il trifoglio. Sempre nell'Italia centrale e meridionale si possono ottenere discrete quantità di miele di trifoglio incarnato. Sul nostro territorio sono descritte più di 60 specie di trifoglio ma solo tre danno origine con relativa frequenza a mieli uniflorali: il bianco, l’incarnato e l’alessandrino. I mieli di trifoglio bianco erano in passato molto comuni nella pianura padana, ma oggi, pur restando questa specie una delle principali sorgenti di nettare di queste zone, trovare mieli uniflorali puri è decisamente raro. I mieli di trifoglio puri, all’analisi organolettica, non sono distinguibili l’uno dall’altro, né dai mieli di altre leguminose (di sulla, per esempio, o anche di acacia, quando ancora liquidi). Aspetto organolettici STATO FISICO: cristallizza spontaneamente dopo alcuni mesi, formando cristalli grossi. COLORE: chiaro, con la cristallizzazione è beige chiaro, nocciola. ODORE: molto delicato, di erba. SAPORE: dolce, acido, astringente. AROMA: vegetale (di fieno), ma molto leggero. Trifoglio BOTANICA Si tratta di piante erbacee, annuali o perenni, a foglie composte da tre foglioline (raramente cinque-sette). I fiori sono riuniti in infiorescenze a capolino, o spiga, raramente in ombrelle o solitari, sessili o peduncolati. Il calice è persistente, campanulato o gibboso. La corolla è a petali che avvizziscono senza cadere. Il frutto è un legume di forma ovale e compressa. 36 Trifoglio zione di nettare è molto variabile. S. canadensis e S. serotina differiscono da S. virgaurea per le ridotte dimensioni dei capolini (5 mm) e per la disposizione dei fiori in grappoli molto arcuati e formanti una pannocchia. In S. canadensis il fusto è coperto di peli, mentre in S. serotina i peli coprono il fusto nella parte superiore. VERGA D’ORO (SOLIDAGO VIRGAUREA L.) I l genere Solidago venne fondato nel 1735 da Linneo, individuando la forma tipica in Solidago virgaurea, unica specie del genere originaria dell'Europa e conosciuta fin dall'antichità per le sue proprietà curative. Il termine solidago, infatti, deriva dal latino "rendere forte, rendere valido". Le numerose specie del genere, circa ottanta, sono originarie dell'America settentrionale; alcune di esse furono introdotte in Europa per scopi ornamentali, adattandosi ai diversi climi e terreni. Due di esse, Solidago canadensis L. e Solidago serotina Ait. si sono diffuse spontaneamente lungo i fiumi, negli incolti, ai bordi delle strade e nei pioppeti del Nord Italia e vengono facilmente confuse con l'autentica verga d'oro molto meno diffusa. Solidago virgaurea possiede fondamentali virtù diuretiche ed astringenti ed esercita una complessa azione sull'apparato escretore e sul fegato. Ridà limpidezza all'urina carica di sedimenti, disinfetta ed allevia l'ipertrofia prostatica e facilita l'eliminazione dell'acido urico. Le proprietà astringenti la indicano nella cura delle diarree in generale. LA SCHEDA Il miele di solidago I mieli cosiddetti di "verga d'oro" sono invece da attribuirsi, dal punto di vista fiorale, alle due specie nord americane, in particolare a S. serotina, in quanto S. virgaurea è abbastanza rara. Le grandi estensioni incolte sono normalmente fittamente occupate da S. serotina e S. canadensis. Il miele di solidago è prodotto in estate nelle zone adiacenti i fiumi della pianura padana. Il miele di solidago si trova allo stato uniflorale in maniera occasionale, in quanto non si tratta di una produzione particolarmente ricercata. Presenta una certa tendenza alla fermentazione e viene utilizzato come miele da taglio nei millefiori e nei mieli per l'industria. Aspetto organolettici STATO FISICO: cristallizza rapidamente spesso con granuli abbastanza grossi. COLORE: giallo ambrato-giallo aranciato. ODORE, SAPORE E AROMA: piuttosto aromatico, caratteristico, di tipo vegetale, non a tutti gradito. BOTANICA Solidago è pianta erbacea perenne. Il fusto fiorifero eretto misura da pochi centimetri ad oltre un metro. Prende origine da un fusto sotterraneo orizzontale e provvisto di numerose radici avventizie. Le foglie sono di forma ovale-lanceolata, semplici, a disposizione alterna, a margini più o meno dentati. Le foglie inferiori sono peduncolate, mentre le superiori sono sessili. I fiori, di colore giallo, sono riuniti, da 6 a 12, in capolini lunghi 7-10 cm e larghi 8-15 cm. All'interno di ciascun capolino, i fiori periferici sono femminili (dotati di pistillo), mentre i centrali sono ermafroditi. L'involucro dei capolini è formato da brattee lanceolate disposte in più serie. I capolini formano un racemo (grappolo) composto e sono mescolati a foglie. La fioritura avviene da metà luglio ad ottobre. I nettarii si trovano attorno all'ovario. La produ- Verga d’oro Verga d’oro 37 Le melate L e melate sono escreti di insetti fitomizi che attaccano le pareti delle pianti da cui suggono il flusso floematico per trarne le sostanze nutritive. Gli insetti che producono melata sono soprattutto Rincoti. Le api traggono grande vantaggio da queste melate per la produzione di ingenti quantità di miele, spesso ricercate dal mercato. La produzione è tuttavia condizionata dalla dinamica di popolazione di questi insetti e si ha produzione solo quando la densità di popolazione raggiunge valori molto elevati, sempre che condizioni meteorologiche avverse non ne compromettano completamente la produzione. Le melate vengono definite col nome della pianta su cui gli insetti si nutrono (abete, acero, larice, tiglio, ecc.). LA SCHEDA La Melata di metcalfa (Metcalfa pruinosa Say) Il miele di melata di metcalfa è una produzione relativamente nuova per l’Italia, poiché questo parassita, appartenente alla famiglia dei Flatidi, fu introdotto accidentalmente in Italia solo nel 1979 per, poi, diffondersi rapidamente in tutta la penisola. La melata viene raccolta dalle api in un periodo che va da luglio a settembre. La lotta contro questo parassita, che ha creato danni su diverse coltivazioni, sta portando alla sua scomparsa in alcuni areali. LA SCHEDA La Melata di abete Aspetto organolettici La melata di abete è considerata tra le migliori esistenti in Europa. In Italia si produce prevalentemente sull’Arco alpino e sull’Appennino tosco-emiliano. STATO FISICO: allo stato puro si mantiene liquido a lungo. COLORE: da ambrato scuro a nero. ODORE: abbastanza intenso, di frutta cotta, passata di pomodoro. SAPORE: non molto dolce. AROMA: di media intensità, ricorda il sapore delle melasse e della frutta essiccata. Contrariamente ad altre melate, quella di metcalfa viene distinta per l’insetto che lo produce anziché per la pianta. Ciò è dovuto alla polifagia di M. pruinosa. Per il suo gusto particolare, questo miele è particolarmente gradito dai consumatori del centro-europa, motivo per cui la maggior parte di questo miele viene esportato in Germania. Aspetto organolettici STATO FISICO: liquido e molto viscoso. COLORE: da ambrato scuro a quasi nero. ODORE: balsamico, di resina. SAPORE: non molto dolce. AROMA: di caramello, di malto. Abbastanza persistente. Rispetto alla melata di metcalfa, quella di abete è più aromatica e gradevole. La melata di abete, per le sue caratteristiche, è molto apprezzata dal consumatore ed ha un elevato valore commerciale. 38 Qualsiasi riproduzione, noleggio, prestito, utilizzo in rete, rappresentazione pubblica, diffusione e trasmissione è autorizzata a condizione che se ne concordino le modalità con l’ U.N.A.API. 39 Sede operativa: Corso Crimea 69 - 15100 Alessandria tel. 0131250368 - Fax 0131252144