NOVEMBRE 2013
LA RIVISTA DI AMBIENTE
DELL’ASSOCIAZIONE
ZYGENA
Sfogliamento
Luci e ombre
Sfogliamento
numero di novembre 2013
Italia o Danimarca? Chi vive in Danimarca vorrebbe andare in Italia, anche solo per una breve vacanza (e molti, di
fatto, ci vanno); chi vive in Italia comincia a guardare la Danimarca con curiosità, perchè sempre più spesso viene
indicata come “il luogo felice dove si vive bene”.
Chi ha ragione, gli italiani o i danesi?
Tutti e due, e nessuno dei due.
In Danimarca si vive bene (a cominciare dalla serenità con la quale si accetta la pioggia che ci cade addosso...), ma
una cucina come quella italiana non si trova da nessun’altra parte del mondo.
In Danimarca le donne hanno il loro posto nel mondo del lavoro, molto più che in Italia, ma le donne italiane possono ammirare i “latin lovers” da vicino, e suggerire alle danesi come conquistarli.
In Danimarca si lavora meglio, ma in Italia le vacanze sono migliori e democratiche (il sole splende per tutti, il gelato non costa tanto ed è ancora possibile trovare delle spiagge libere, per fortuna!).
L’Italia un po’ la conoscete: venite a scoprire la Danimarca.
LA REDAZIONE
IN QUESTO NUMERO
SFOGLIAMENTO
LA RIVISTA DI AMBIENTE
DELL’ASSOCIAZIONE
ZYGENA ONLUS
DIRETTORE
FABRIZIO MANZIONE
RESPONSABILE
COORDINAZIONE DI
GISELLA PACCOI
REDAZIONE
REDAZIONE
NICOLETTA BETTINI
FRANCESCO DONATI
ALFREDO VATTIMO
ALESSIA VESPA
WEBMASTER
MASSIMO SCUDO
INDIRIZZO
VIA DEL CASSERO 5,
05100 TERNI
URL
WWW.SFOGLIAMENTO.IT
“Sfogliamento” è il periodico mensile dell’associazione
di ricerca, consulenza e comunicazione ambientale
“Zygena onlus”.
registrazione Tribunale di Terni n.04/07 del 26/3/07
4
La pasta alla carbonara
5
Il senso dei danesi per la pioggia
6
Donne in viaggio
7
Mandorle perchè?
ARTE E TURISMO
9
Nasoni in città
BIZZARRIE E
ITALIANO
10
L’arte di sedurre
NATURA E CIBO
11
I frutti invernali
LE SEZIONI:
3
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
CIBO
La pasta
alla carbonara
una ricetta famosa...
o forse no
GISELLA PACCOI
Si fa presto a dire “pasta alla carbonara”.
Tutti i ristoranti la offrono nei loro menu, è forse uno dei piatti più conosciuti della cucina italiana, dopo la pizza e
la lasagna, ma... siamo sicuri che sia fatta “come si deve”?
Non è un problema solo legato all’esportazione: anche in Italia ci sono molti ristoranti (e molte persone) che preparano la carbonara aggiungendo ingredienti che nella ricetta originale non ci sono.
La panna, ad esempio.
Lo vogliamo dire una volta per tutte, chiaro e tondo: la panna, nella carbonara, non ci va!!!!
Come si fa ad esserne sicuri? Semplice: basta pensare a com’è nata questa ricetta.
Gli uomini che lavoravano con il carbone (i “carbonai”, o “carbonari”) non avevano certamente il tempo per tornare
a casa per pranzo.
Quindi, si portavano una “gamella” (un porta-pranzo) che conteneva un po’ di pasta (cucinata di solito la sera prima,
perchè la mattina non c’era tempo per prepararla, dato che di solito uscivano di casa davvero presto) e un uovo fresco (in campagna, per fortuna, le uova fresche non mancano mai).
Dopo essersi lavati le mani, quindi, aprivano la gamella, e rompevano l’uovo sulla pasta. I più fortunati potevano
anche aggiungere un po’ di formaggio grattugiato. Quindi, mescolavano tutto. Questa era la prima carbonara: semplice, fatta con pasta e uovo.... e alcuni piccolissimi frammenti di carbone, caduti dalle mani o dal corpo dei commensali (non potevano certamente farsi la doccia e cambiarsi gli abiti per pranzare!).
I frammenti di carbone sono oggi simboleggiati dal pepe, che deve essere macinato “a pioggia” sopra la pasta.
Per rendere la pasta più gustosa, oggi è stata aggiunta la pancetta.
Il segreto per ottenere una deliziosa carbonara? Innanzitutto, la pancetta deve soffriggere in padella, ma non bruciarsi: bisogna abbassare il fuoco quando la carne è ancora abbastanza rosa.
A parte si devono battere le uova (una
per ogni commensale), e aggiungere un
po’ di sale e un po’ di pepe.
Quando la pasta è pronta, si scola e si
mette in una zuppiera.
Quello è il momento magico: l’abilità del
cuoco gli permetterà di versare contemporaneamente con una mano l’uovo e
con l’altra la pancetta (con l’olio caldo,
anzi, bollente).
La mano che versa l’uovo deve essere
più bassa di quella che versa la pancetta,
così che l’olio cada sull’uovo e lo cuocia.
Poi si deve condire con tanto pecorino
(meglio quello “romano”, con il caratteristico sapore salato) e pepe “a pioggia”.
Buon appetito!
4
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
BIZZARRIE
Il senso dei danesi
per la pioggia
si può capire l’origine
guardando il modo di camminare
GISELLA PACCOI
Non c’è niente da fare: i danesi hanno un “senso per la pioggia”. Cosa vuol dire? Per capirlo, è sufficiente affacciarsi alla finestra, e guardare la strada durante una giornata di pioggia (non è una cosa rara, da queste parti...).
Vedete una persona, uomo o donna che sia, che cammina tranquilla, addirittura senza ombrello, se la pioggia è leggera? Si tratta sicuramente di un danese.
Vedete una persona che, anche se dal cielo cadono solo poche gocce, cammina a balzelloni, con il collo accartocciato tra le spalle, cercando di ripararsi sotto inesistenti tettoie o balconi e maledicendo l’architettura danese che non
prevede “ombrelli dei cani” (ossia, proprio tettoie, portici e balconi)? Signori e signore, ecco a voi un italiano.
Le donne danesi non hanno problemi ad indossare quello che da noi viene chiamato “abbigliamento sportivo” (o,
ancora peggio, “abbigliamento da trekking”).
Sono perfettamente a loro agio nelle giacche impermeabili, sono bellissime protette da un cappuccio di gore-tex, si
sentono eleganti e rapide nei loro stivali di
gomma variopinti.
Molte signore del Belpaese non riuscirebbero
mai ad accettare l’idea di indossare un tale
abbigliamento, perchè la moda locale suggerisce altre stoffe, altri tagli, tacchi più alti e pettinature vaporose che non vanno d’accordo
con i cappucci.
Una vanità resa possibile dal clima, quasi certamente... ma che risulta assolutamente controproducente da queste parti.
Chi decide di trasferirsi qui, non ha scampo:
deve scendere a patti con il tempo, fare amicizia con la pioggia, dare del tu alla neve.
E, giorno dopo giorno, rilassare i muscoli delle
spalle.
Ritornare a camminare in modo normale,
facendo finta che non stia piovendo.
Anche perchè non si può correre per tutto l’inverno!
Infatti, malgrado l’estate sia stata particolarmente arida, e settembre stia regalando ancora molte giornate di tempo buono, non ci si
può illudere: tra poco arriverà il cielo grigio e
la pioggia costante, per giorni, giorni e giorni.
Probabilmente, ma non certamente: se ci
fosse la certezza, come potrebbero i danesi
dedicarsi ad un’attività che amano, ossia parlare del tempo?
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NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO VIAGGI
Donne
in viaggio
una vacanza “rosa”
in Italia
GISELLA PACCOI
L'Italia non è solo un pentolone di città diverse, diversissime tra loro: è anche un patchwork di culture, mentalità,
retaggi del passato e pensieri straordinariamente nuovi.
Viaggiare da sola, in Italia, è un'altalena di emozioni, un viaggio nel viaggio, un'esperienza sconcertante.
Ricordatevi, intanto, che per quanto evoluti possano essere, gli uomini sono sempre dei gran "mammoni", e troppo
poche generazioni sono passate per cancellare del tutto le vecchie tradizioni, in cui le donne conducevano una vita
"sotterranea", dentro le case o le fattorie, mentre gli uomini si incontravano all'aperto con gli amici.
Ci sono dei paesi, piccoli, lontani dalle grandi città, dove ancora si respira quella stessa aria, dove ancora una viaggiatrice è vista con curiosità e con una lieve scrollata di testa di disappunto da parte degli abitanti più anziani.
Ancora, nei pensieri più vecchi ed "ammuffiti", una donna che va in giro da sola è una mezza mela, un calzino spaiato, un elemento di disordine che non va bene.
Ma questo, per fortuna, ormai è un qualcosa da ricercare come traccia del folclore locale, un modo di pensare che si
va estinguendo.
Una donna che viaggia per conto proprio non è più una "scriteriata" che va in cerca di guai, è un mondo complesso
che, dopo essersi donata agli altri per tutto l'anno, dal lavoro alla famiglia, agli amici, a tutti gli impegni, ha voglia di
ritrovare se stessa, regalarsi delle giornate di quiete, di coccolarsi e di farsi coccolare.
E pazienza se qualche occhio ancora la guarda con pregiudizio.
Per la meta, in Italia, c'è solo l'imbarazzo della scelta, tutto dipende dai propri gusti: arte, natura, "movida", buona
cucina.... ognuno di questi aspetti ha il suo luogo principe.
Quale suggerirei io, prima di tutto?
Non ho dubbi: ancora prima di mettermi a visitare le città, o a passeggiare lungo un sentiero di montagna, prima di
tuffarmi in una discoteca romagnola o in un pomeriggio di shopping, per portare a casa le ultime tendenze della
moda.... vorrei rigenerarmi alle terme.
Non ho dubbi: andrei a Ischia, l'isola nata dai vulcani, unione perfetta di ottima cucina, scenari naturali da sogno,
storia e terme naturali.
Lì sanno davvero cosa vuol dire prendersi cura di sè: piscine calde di acqua
ricca di magnesio, profumata come un
talco, che lasciano la pelle morbida e
setosa; impianti che ricreano la forma
degli invasi, così com'erano ai tempi
degli imperatori romani e che fanno
sentire come fortunate matrone patrizie; fanghi naturali, frutto dell'unione
tra i quattro elementi, tra la terra e
l'acqua, scaldate dal fuoco delle antiche lave e modellate in aria dalle
sapienti mani delle massaggiatrici.
Dove, quando si è sole, ci si può prendere il proprio tempo, tutto quello che
non si ha quando si deve correre dietro
alle incombenze quotidiane e che invece si ritrova in un rigenerante viaggio
"in solitaria" in Italia.
6
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
NATURA
Mandorle:
perchè?
una ipotesi sull’origine
del dolce danese più famoso
GISELLA PACCOI
Danesi ed italiani condividono una buonissima tradizione: quella dei dolci di pasta di mandorle.
Marzapane di Odense, kransekage, napoleonhatte, sono solo alcuni degli esempi delle gustose proposte delle pasticcerie danesi, a cui "rispondono", tra gli altri, fruttini di marturana, pasta reale, ricciarelli italiani.
Attenzione, poi, a chiedere un "confetto": in Italia arriverà una mandorla ricoperta di zucchero glassato, mentre in
Danimarca si intenderà un "bonbon" fatto di pasta di mandorle colorata.
La mandorla è un frutto secco in grado di donare non solo energia, ma anche proteine, vitamina B1, ferro e calcio;
non sorprende, quindi, che in un paese costretto a sopportare inverni freddi come la Danimarca questo alimento sia,
oggi, così diffuso.
Ciò che incuriosisce, invece, è il fatto che esistano dolci tradizionali danesi che risalgono almeno a tre secoli fa, come
la kransekage, che contengono una gran quantità di pasta di mandorle: i mandorli, infatti, possono crescere, a queste latitudini, ma non fruttificare, o comunque non tanto da poterci basare un'industria dolciaria.
Cosa ha portato fin qui questo frutto?
La spiegazione più immediata lega la Danimarca alla Germania: a Lubecca, dove il marzapane è tipico, nel periodo
7
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
NATURA
natalizio, era uso regalare ai servitori più fedeli un pane di marzapane con infilate delle monete, una per ogni anno di servizio.
La kransekage, con la sua forma che può ricordare un gruppo di
monete impilate, non sarebbe altro che un modo per perpetuare
simbolicamente questa tradizione.
Tra l'altro, già dal 1400 il marzapane era largamente impiegato
nei banchetti dei matrimoni, come vanto della capacità dei maestri pasticceri delle varie corti.
La mandorla, infatti, è sempre stata vista come il premio dopo
una lunga fatica, un qualcosa difficile da conquistare: non è facile, infatti, raggiungerne la candida polpa croccante. Si deve prima
di tutto aprire il mallo carnoso e verdastro, poi rompere la corazza legnosa e infine levare la pellicina, dentro la quale apparirà
finalmente il frutto denso di oli e di aromi.
Alcune favole addirittura narrano di mandorle che contengono doni meravigliosi e tesori indicibili.
Una seconda spiegazione, in questo senso, porterebbe a seguire i monaci che, secoli fa, si spostavano di convento in
convento, impiegando un tempo davvero lungo. Nel loro "fagottello" da erranti dovevano necessariamente esserci
alimenti in grado di resistere, poco deperibili e, possibilmente, molto energetici: cosa meglio della frutta secca, in
particolare noci, nocciole e mandorle? Anche in questo caso, quindi, le mandorle avrebbero rappresentato un "tesoro", un vero e proprio salvavita, da presentare come un dono prezioso.
Non a caso, quindi, esisterebbe il dolce "ris à l'amande", il riso cotto nel latte e vaniglia, in cui è nascosta una mandorla che permette di avere il "mandelgave"!
Ma c'è una terza ipotesi.
Seguendo la storia del mandorlo attraverso i secoli, si vede che questo, originario delle regioni asiatiche di Russia e
Cina, fu importato nel bacino mediterraneo dai Fenici, e quindi portato in Sicilia dai Greci, dove attecchì con successo e si diffuse ampiamente: ancora oggi ad Agrigento si celebra la "festa del mandorlo in fiore", a febbraio.
Grazie all'abbondante produzione, la mandorla fu subito impiegata, sia come alimento a sé, sia per la creazione di
dolci prelibati.
Alla corte dell'imperatore romano Vario Avito Bassiano, detto Eliogabalo (218-222), si preparava un impasto con
mandorle, fichi, miele e succhi dolci, mentre lo storico greco Plutarco, vissuto tra il 46 - 127, narra di un medico che
sfidava chiunque a bere del vino senza ubriacarsi, e riusciva sempre a vincere la sfida. Un giorno, però, fu sorpreso
a mangiare mandorle prima del pasto, e dovette confessare che senza quella precauzione il vino, pur in modesta
quantità, gli avrebbe dato alla testa.
Da quel momento, la mandorla fu considerata rimedio contro l'ubriachezza.
Intorno all'anno mille, poi, la leggenda vuole che le suore del convento di Santa Maria dell'Ammiraglio (anche detta
"Martorana" ), a Palermo, avessero raccolto tutti i frutti dagli alberi del loro giardino, quando ricevettero la notizia
della prossima visita del papa al loro convento.
Per sostituire i frutti, quindi, elaborarono una tecnica che consisteva nel cuocere in "acqua d'arance" (acqua aromatizzata con cannella, vaniglia e buccia d'arancia tritata) un impasto a base di zucchero, miele e mandorle sfarinate,
per ottenere la "pasta di marzapane". "U 'mpastu", questo impasto, doveva essere cotto in un recipiente di rame e
modellato prima che si raffreddasse, quindi infornato. Il risultato finale erano tanti fruttini davvero molto somiglianti a quelli veri.
La leggenda nulla dice riguardo la reazione del papa, se cadde nell'inganno oppure no…
La preparazione della martorana fu resa possibile grazie all'importazione dello zucchero di canna durante la dominazione araba. "Marzapane" deriva, infatti, dal termine "mauthaban" che, in origine, indicava una moneta, poi una
misura di capacità (nel caso in specie, le giuste dosi di mandorle e zucchero da mischiare per preparare il marzapane) e, infine, il recipiente in cui riporre lo stesso.
Proprio nel periodo in cui nasceva in Sicilia
la "pasta Martorana" arrivavano in queste
terre i Normanni, provenienti dalle regioni
scandinave.
Si legge nei libri di storia che il loro comportamento era quello di "prendere il meglio
dalle popolazioni dominate, facendolo proprio": perché, allora, non immaginare che,
trovandosi di fronte alla squisita pasta di
mandorle, abbiano deciso di portarla a casa?
8
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO ITALIANO
Nasoni
in città
non una caratteristica fisica
ma una vecchia fontana
GISELLA PACCOI
Nel centro storico di Roma (ma
non solo) si trovano, sparse qua e
là, piccole fontanelle cilindriche in
ghisa, alte circa 1 metro e 10 cm,
che i romani chiamano familiarmente "nasoni" (grandi nasi) per
via del beccuccio dal quale esce
l'acqua potabile.
"Nun ce piove... l’acqua de Roma è
la mejo de tutto er monno!", commentano i romani.
"E ppoi è gratise... quale altra
città te fa sognà, te accoje e t’offre
pure l’acqua? Come Roma nun ce
ne sta n’artra!"
Queste fontane furono installate
per la prima volta nel 1874, ed
erano dotate di tre bocchette a
forma di testa di drago.
Oggi ne rimane una a via delle Tre Cannelle, all'inizio di una grande scalinata; è la stessa che si vede
nel famoso film "i soliti ignoti".
In seguito però, i "nasoni" di nuova installazione
vennero realizzati con un semplice cannello liscio,
che ha un piccolo foro sulla parte superiore dal
quale, una volta tappato con un dito il foro di uscita
principale, esce l'acqua favorendo la "bevuta".
La più grande delle fontane, a Roma, almeno nel
nome è la grande fontana che si trova in cima al
colle del Gianicolo, chiamata il "Fontanone" (anzi....
"er" fontanone, perchè nel dialetto romanesco l'articolo determinativo maschile "il" è sostituito da
"er"),
"Er fontanone" fu voluto da papa Paolo V all'inizio
del XVII secolo, per festeggiare il restauro dell'acquedotto che porta l'acqua dal lago di Bracciano; le
colonne che lo ornano provengono dalla basilica
antica di San Pietro.
9
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
ARTE
L’arte
di sedurre
guida semiseria
per sedurre un uomo italiano
GISELLA PACCOI
Mie care signore, diciamolo
chiaramente: alcuni paesaggi
italiani non sarebbero gli stessi,
senza il contorno di alcuni giovanotti locali, che abbelliscono
un panorama già bello di per sè.
“Chi si accontenta gode”, dice
l’antico proverbio, e noi
potremmo anche accontentarci
di guardarli e basta.
Ma se, una volta individuato il
ragazzo che ci interessa di più,
volessimo provare a conquistarlo, cosa dovremmo fare?
Per prima cosa, dobbiamo chiederci che giorno è.
Se per caso è domenica, conviene non provarci nemmeno.
La mattina, tutti gli uomini
sono focalizzati sul pranzo che
sicuramente devono avere con i
parenti (niente batte la cucina
di mammà!), e il pomeriggio sono concentrati sugli incontri di calcio.
Tifare per la propria squadra, e poi commentare con gran passione l’operato dell’arbitro, dei giocatori e dell’allenatore è un lavoro vero e proprio, che richiede anni e anni di allenamento... e la maggior parte degli uomini italiani
potrebbero presentarsi alle olimpiadi.
Se invece siamo in un altro giorno della settimana, e per caso siamo in macchina, possiamo tentare la “old but gold”
carta della “donzella in pericolo”.
Chi dice che la cavalleria è morta non ha mai visto un uomo italiano in presenza di una bella donna e di un motore
fermo.
Anche il professionista più affermato, vestito col miglior Armani, sarà pronto ad appoggiare delicatamente la propria giacca sul sedile posteriore dell’auto, a rimboccarsi le maniche della camicia e ad aprire il cofano dell’auto imbizzarrita.
Non preoccupatevi se il problema non esiste, e se la macchina in realtà parte al primo colpo: quasi sempre, l’apertura del cofano non è accompagnata da una reale competenza in materia. E comunque si sa: le donne non sanno guidare... non sono pratiche di automobili...
10
NOVEMBRE
SFOGLIAMENTO
NATURA
I frutti
invernali
alcune curiosità
sulle arance
GISELLA PACCOI
In questa stagione, non c'è chi, in casa,
non abbia almeno un'arancia. In questo
modo, la cucina si trasforma in un piccolo
quadro del Rinascimento italiano: infatti,
questi frutti (e anche i relativi fiori) erano
talmente apprezzati da artisti come
Botticelli, Mantegna, Beato Angelico e
Tiziano da essere inseriti molto spesso
nelle loro opere.
"Fiori d'arancio", in italiano, è una metafora delle nozze, del giorno del matrimonio. Secondo una leggenda, infatti, una
giovane vergine che doveva sposarsi e non
possedeva nessun gioiello vide crescere
miracolosamente nel suo giardino una
pianta dai piccoli fiori bianchi, profumatissimi: se ne adornò il capo, diventando
ancora più bella.
I fiori d'arancio sono un ottimo sedativo,
utile anche nella cura dell'insonnia, mentre i frutti hanno incredibili proprietà
terapeutiche, perché sono ricchi non solo
di vitamina C, ma anche di altre vitamine
e sali minerali che sono indispensabili
all'organismo.
Queste proprietà erano note anche nel
passato; addirittura, secondo il naturalista
Pier Andrea Mattioli, vissuto nella metà
del Cinquecento, il loro nome ("arancia")
deriverebbe da "aurantia poma", ossia
"pomi d'oro"… frutti preziosi per il loro effetto.
La spremuta è un modo veloce per assumere queste sostanze, ma fa perdere la possibilità di beneficiare anche delle
fibre che sono contenute nella polpa; un modo completo per mangiarla, invece, è in insalata.
Nell'Italia del sud, dove si trovano moltissimi alberi di aranci, si mangia con le cipolle oppure con le acciughe, condita con olio, sale e pepe.
11
NOVEMBRE
Periodico on-line della
Associazione Zygena Onlus
Direttore Responsabile:
Fabrizio Manzione
Coordinatore di redazione:
Gisella Paccoi
Impaginato il 31/10/2013
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