Bulletin des Filignanesi résidents et dans le monde Alla scoperta delle frazioni : cerreto E’ una delle 14 frazioni del Comune di Filignano; nel censimento del 1882 aveva raggiunto l’incredibileRAGIONE numero di 276 abitanti, sicuramente AVEVANO SEMPRE esorbitante se lo si confronta con la esigua disponibilità di abitazioni. Nel 1956, prima di partire per andare in collegio a Isernia, feci un mio censimento contando 37 persone, quasi tutti avanti negli anni; questo crollo della popolazione era il risultato dell’emigrazione massiccia iniziata circa nel 1870 e conclusa nei primi anni successivi al 1960. Il nome Cerreto deriva dal fatto che, all’arrivo dei primi abitanti all’inizio del 1700, il posto era un bosco molto fitto di Cerri (fa parte della famiglia del rovere, ma ha un tronco molto affusolato e alto, mentre la quercia è larga con molti rami e più bassa); il mio bisnonno mi raccontava che gli alberi erano talmente fitti da permettere di muoversi passando da un ramo all’altro senza mai dover scendere (veri Tarzan ante litteram). In mezzo a queste case partiva un’altra via che si snodava in orizzontale verso Est raggiungendo un altro gruppo di case che erano anch’esse come un gruppo unico dove abitavano le persone della stessa famiglia VALENTE. Poco dopo la fine di questo lungo edificio, la via subiva due diramazioni; una a destra scendeva verso la valle per ricollegarsi al secondo ramo della via che veniva dai Pozzi di Cerreto; la seconda risaliva inerpicandosi sulla montagna. Nell’angolo formato da queste nuove vie, c’era un altro blocco di case abitato dall’unica famiglia poco numerosa dei VERRECCHIA. Invece sul lato sinistro della via che risaliva il monte, c’era un altro blocco bislungo di case abitato dalla famiglia SALVATORE (soprannominata dei Pierdë Kiokiëra=Perde Cioce) perché erano stati i primi a usare le scarpe invece delle usuali Cioce, collegata con quelli di Valle. Verso la fine di queste case la via subiva un’ulteriore tripla diramazione; prima girando verso sinistra continuava verso il Monte Cëmmeronë ricollegandosi poco dopo con la via che risaliva dalle case dei MINCHELLA; il secondo ramo, verso destra, s’inerpicava verso in direzione del Monte Pantano; infine il terzo ramo riscendeva sulla destra per collegarsi alla seconda metà del paese. Subito sopra questo groviglio di vie il mio bisnonno Luigi costruì alla fine del 1800 la sua nuova casa, ben visibile esattamente al centro del paese. Tutta la seconda metà del paese era abitata dal nucleo familiare dei FRANCHITTI, anche se poi si erano suddivisi in tre distinti sottogruppi. Il primo e più vecchio, collocato in un unico insieme di case collegate tra loro nell’estrema destra del paese, aveva il soprannome detto dei Cuckiariegljë(cucchiaini), perché talmente poveri che non potevano usare i normali cucchiai; il secondo gruppo di case unite tra di loro era del gruppo Piciernë ed era collocato più a sinistra verso il basso; il terzo e ultimo gruppo, soprannominato dei 7 Saccocce (tante tasche, ma tutte miseramente vuote) era situato più in alto a sinistra. Per comprendere la topografia originaria di Cerreto bisogna osservare le vie del paese cercando di non considerare in alcun modo la strada attuale, che fu realizzata solo verso il 1923. Le principali vie d’accesso, tuttora esistenti, partivano dal cosiddetto Colle dei Pozzi e dalla via principale proveniente da Filignano; questa importante arteria si diramava in tre altre vie; la prima a sinistra si collegava a Frunzo e quindi risaliva verso Lagoni e Mastrogiovanni; la seconda a destra continuava verso la Valle Castello e quindi Selvone/Pantano/Cerasuolo, ma sotto il ramo destro di Cerreto aveva due ramificazioni di collegamento; la terza al centro arrivava nel gruppo di case realizzate attorno al Palazzo IZZI, realizzato su 4 livelli, con circa 40 stanze, la chiesa e la scuola; tutte le persone residenti sia nel palazzo sia nelle casette contigue erano tutte ramificazioni della stessa famiglia, che era la più florida per quel periodo; possedevano tutte le terre della valle di Cerreto, in piano ed estremamente fertile. La via, girando attorno al palazzo, risaliva inerpicandosi sul costone della montagna proseguendo in linea retta verso il Monte Cëmmëronë; subito sulla destra c’è un altro agglomerato di case detto dei Nardonë, tutte collegate tra loro come se fosse un unico edificio, residenza di un altro gruppo di persone dell ceppo familiare dei MINCHELLA. La via che proveniva dai Pozzi di Cerreto e diretta a Selvone, subiva due importanti diramazioni; una risaliva a sinistra collegandosi a quella collegata alle case dei Valente; la seconda invece risaliva a destra per poi diramarsi ulteriormente diritta verso le case dei Cuckiarieglië e a sinistra in direzioni delle case dei Pëcernë e dei Settë Saccoccë. Tutte questo ginepraio di vie erano percorse giornalmente, oltre che dalle persone, dai muli, asini, mucche, pecore, capre e vari animali domestici; la base delle vie era realizzata da un sapiente intreccio di pietre e gradoni incastrati solidamente tra loro. Dopo ogni pioggia avvenivano dei rivoli di acqua che provvedevano a ripulire le vie; era bellissimo vedere le pietre, rese lucide dal passaggio Bulletin des Filignanesi résidents et dans le monde continuo, che brillavano illuminate dal sole; purtroppo l’utilizzo sproporzionato e stupido del cemento ha ricoperto questo patrimonio, rendendo le vie anche molto pericolose da percorrere perché rese scivolose dal muschio; è stato un vero scempio in spregio al lavoro immenso da coloro che le avevano realizzate con tanto sacrificio. Se non fosse per la strada che lo attraversa tutta in orizzontale, anche se è, si è trattato di una sostanziale ferita nella natura, il paese oggi avrebbe già fatto la fine di Travarecce: ricoperto dalla vegetazione e dalla natura che si riprende quello che le era stato tolto. Oggi le persone che ci abitano, anche se non di continuo, sono solo in cinque. Il mio sogno è di diventare il sesto e di terminare la mia vita nella casa dove sono nato, che per me rappresenta un’appendice dell’Eden; conservo il ricordo di quando mi alzavo al mattino e mi affacciavo guardando la vallata che si apriva fino al lontano orizzonte; gli unici rumori erano quelli dei galli esuberanti. Nel paese la vita era come per una grande famiglia, che costituiva una comunità molto coesa, a parte gli inevitabili innocui pettegolezzi e le piccole invidie. Noi bambini eravamo apparentemente liberi di fare tutto quello che volevamo; in realtà eravamo sotto lo stretto controllo, a noi inconsapevole, di tutti gli abitanti, che in realtà ci proteggevano durante tutti i nostri frenetici spostamenti. La vita era cadenzata solo dai ritmi della natura; se il vento era a favore, riuscivamo a sentire i rintocchi dell’orologio dalla chiesa del campanile di Filignano. A volte giungevano i tristi rintocchi delle campane che annunciavano che qualcuno della parrocchia ci aveva lasciati; le persone al lavoro si fermavano, togliendosi il cappello, e dopo il segno della croce e un momento di silenzio a capo chino aveva inizio un’attività frenetica di segnali a distanza per sapere chi era la persona deceduta; tutti erano parenti di tutti, per cui era del tutto ovvio che il lutto era corale. La domenica la gente della frazione si vestiva in modo adeguato per andare in chiesa, le donne sposate di solito alla messa del primo mattino per tornare in tempo per la preparazione del modesto pranzo festivo, mentre le donne più giovani e gli uomini andavano alla seconda messa; era comunque una breve occasione di vedere e farsi guardare; gli uomini avevano un po’ di tempo per fare delle chiacchiere in piazza o per una partita a bocce nel Caffè del paese. Quando possibile, nel pomeriggio festivo i giovani si ritrovavano per il ballo sull’aia o in una stanza disponibile, accompagnati da una fisarmonica o da un’armonica a bocca; il tutto ovviamente nella gioiosa atmosfera accompagnata da noi ragazzini festanti e dall’occhio vigile degli anziani. A Cerreto, come tutte le altre frazioni, l’acqua era attinta dalle cisterne realizzate sotto le stesse strutture della casa; erano riempite dall’acqua piovana e ovviamente era stagnante; era tirata su con dei piccoli secchi legati da una corda; serviva per tutti gli usi domestici e doveva essere utilizzata con parsimonia. Serviva anche per bere, direttamente dal secchio; quando cominciava a far caldo verso l’inizio di giugno, comparivano nell’acqua dei piccolissimi animaletti simili a pesci microscopici trasparenti; mi ricordo che soffiavo sull’acqua per allontanarli prima di berla; ovviamente continuava a essere utilizzata per cucinare. Quando gli animaletti diventavano troppi, si andava a prendere l’acqua da bere nei pochi pozzi scavati in profondità nella terra da cui filtrava pulita e fresca; il pozzo per definizione di Cerreto era quello detto Degli Izzi; era un andirivieni di donne con in testa la “tina” o un barilotto di legno; raramente gli uomini andavano con l’asino su cui venivano legati alcuni barilotti o bidoni militari. La giornata veniva trascorreva prevalentemente nella campagna; potrà sembrare strano, ma una parte importante del tempo avveniva nella stalla dove c’erano gli animali da accudire, da mungere e da pulire; il letame era importante perché era un ottimo fertilizzante per l’orto che veniva seguito con molta attenzione. Fino a circa il 1950, i giovanotti dormivano nei pagliai situati sopra le stalle. A parte l’odore a cui ci si abituava, era comodo e innanzitutto caldo; solo quando si sposavano avevano diritto a una stanza, con un letto matrimoniale, piuttosto stretto, dove il materasso era riempito dei coppi del granoturco; il risultato era che erano molto scomodi, spigolosi, freddi e rumorosi! Solo gli anziani avevano diritto al materasso fatto con la lana, anche se trattata in modo grossolano, con la presenza quasi immancabile dei pidocchi, che rendevano difficile il “riposo”. I “bagni” erano realizzati ovviamente all’eterno in punti di fortuna e con un’intimità grossolana; la carta igienica non era stata ancora inventata. La corrente elettrica, con la prima e sola lampadina in cucina, arrivò solo agli inizi degli anni 50; potemmo finalmente avere anche la radio che trasmetteva in determinati orari; mi ricordo che tutta la famiglia ascoltava in religioso silenzio la lettura del Giornale Radio; poi arrivarono anche le partite di calcio e le corse ciclistiche. L’acqua potabile arrivò a maggio del1955 con la realizzazione dell’acquedotto delle Campate, dall’alto delle Mainarde; era di una bontà incredibile; inizialmente andavamo a prenderla con i fiaschi direttamente dai pozzetti. Mi considero estremamente fortunato di aver avuto la possibilità di essere vissuto nel momento in cui il nostro piccolo e lento mondo si stava trasformando da quello arcaico, sopravvissuto da millenni, a quello travolgente dell’era tecnologica moderna. Quando finalmente avevamo tutto, ci svegliammo dal sogno, accorgendoci che non c’era più niente; il nostro mondo pieno di affetti e umanità era improvvisamente svanito; dal sogno siamo passati senza accorgercene all’incubo.. Daniele Salvatore