II Forum dei catechisti
di Mazara del Vallo
30 giugno 2011
L’habitat della Chiesa del XXI secolo
La profezia dei catechisti di Mazara
Se io fossi quel profeta che non sono, a pennellate, senza la pretesa
di poter delineare chiaramente le linee verso cui puntare
l’attenzione, potrei così esemplificare: l’habitat della Chiesa del
XXI secolo deve essere caratterizzato
• dalla semplicità di una vita evangelica che la rende desiderabile
a tutti;
• dalla gratuità della proposta, che non rivendica diritti accampati
nel tempo e che non teme di accogliere anche coloro che non
intendono o non sanno viverla in tutta la sua pienezza;
• dalla beatitudine della povertà che riconosce che il Vangelo non
è un’etica, ma ha un’etica, non è una norma ma ha le sue norme,
che vengono offerte non come una cappa che opprime, come un
laccio al piede che impedisce di camminare, ma come
un’opportunità di vita che permette di volare in alto.
Il volto familiare
• Questo schizzo di habitat ecclesiale può essere
definito come “habitat dal volto familiare” e
richiede la presenza di una vera comunità che,
vivendo nel quotidiano il Vangelo, lo offre senza
pretendere che l’altro l’accolga;
• in una logica di offerta libera, l’annuncio è
gratuito non solo perché nasce dall’abbondanza
del cuore, ma anche perché non pretende di
condizionare o giudicare la qualità e i tempi della
risposta.
La logica del seminatore
• La Chiesa dal volto familiare è capace di offrire
qualcosa di bello e di inedito e lo fa con la logica
del seminatore;
• non teme di sciupare il seme, se questo viene
mangiato dagli uccelli del cielo o soffocato dai
rovi e dalle spine.
• L’evangelista Marco, nel capitolo quarto, sembra
dire ai suoi interlocutori di non aver paura a
sprecare il seme, ad annunciare la Parola, anche
se tanta gente la sciupa o la rifiuta, perché alcuni
l’accoglieranno e produrranno frutto a diverso
grado.
Libertà e gratuità
• La Chiesa dal volto familiare offre la sua azione
evangelizzante dentro un contesto di gratuità che coinvolge
sia chi fa l’evangelizzazione, sia da chi la riceve e decide
come vuole e come può.
• Nella vita pastorale si sperimenta che questo habitat di
libertà e gratuità pone la Chiesa in situazione di debolezza
umana, non offre nessuna certezza storica; ma, tale
debolezza è la forza stessa della Chiesa, caratterizza la sua
identità, specifica il significato della sua presenza nel
mondo.
• Nella libertà e nella gratuità si imparare a fare un annuncio
che abbia le caratteristiche della gradualità e della
organicità, in modo da recuperare la complessità della
iniziazione cristiana.
Gradualità e organicità
• Per gradualità e organicità si intende la messa in
atto di tutto il processo di introduzione alla fede,
così come era interpretato e attuato nella prassi
del catecumenato antico;
• Le
scelte
strutturali che,
negli
anni
immediatamente successive al Concilio, sono
state compiute, oggi risultano essere un ostacolo,
perché dividono, settorializzano e qualche volta
contrappongono le diverse sfaccettature della
vita ecclesiale.
Il catecumenato
• Ripensare al catecumenato della Chiesa dei primi secoli,
come modello di pastorale per la Chiesa di oggi, significa
mettere mano a ristrutturare gli uffici diocesani per
ricollocare in unità la totalità della vita cristiana.
• Per quanto ci è dato di sapere, la Chiesa che ha maturato lo
stile catecumenale era una Chiesa attenta alle singole
persone e predisponeva un cammino di accompagnamento
secondo i bisogni di ciascuno e non secondo ambiti o
settori.
• I Padri ci hanno lasciato la testimonianza di una Chiesa dal
volto e dalle relazioni familiari, con una complementarietà
di figure ministeriali che in comunione si facevano carico di
coloro che desideravano vivere il Vangelo.
Relazioni interpersonali
• Nella logica della familiarità è possibile stabilire
relazioni
interpersonali
contrassegnati
dalla
conoscenza personale reciproca, dalla spontaneità
degli affetti, dalla cordialità e sincerità dei tratti, dalla
partecipazione di tutti alla progettazione e
all’attuazione della vita comunitaria.
• Il non conoscersi, il non essere spontanei, la non
sincerità, l’estraneità ai progetti comuni, non
permettono di entrare nella logica della chiesa
famiglia e di far nascere la familiarità; tutti questi
elementi non sono esterni, come conseguenze della
familiarità, ma sono la “familiarità” stessa; senza
questi elementi non vi è familiarità.
Le motivazioni di coloro
che vengono in Chiesa
• Questa scelta comporta il riconoscere una dignità
educativa agli “interessi – motivazioni” di cui sono
portatori gli uomini; bisogna tenere presente che in
ogni interesse della persona, in ogni vissuto
esistenziale, vi è sempre una potenzialità educativa
su cui poter costruire.
• Accogliere gli interessi degli uomini, potrebbe
significare accogliere la loro domanda di identità e
porle a confronto con le risposte deboli e
distorcenti, che offre la società dei consumi;
• è chiaro che queste domande, a volte inficiate di
tradizionalismi, vanno educate e fatte evolvere verso
una consapevolezza più evangelica ed ecclesiale.
Ambrogio e Agostino
• Quello che Ambrogio ha fatto con Agostino, oggi la
Chiesa deve imparare a farlo con tutti gli uomini;
l’accoglienza paterna e amorevole del giovane retore
che il santo vescovo ha fatto è stata la porta di
ingresso per un percorso di fede che non era da
nessuno previsto, se non dallo Spirito.
• Le motivazioni improprie con cui Agostino si
avvicinava ad Ambrogio non furono un ostacolo, ma
un trampolino di lancio, per iniziare una relazione
libera e gratuita che con i tempi della vita di Agostino
lo accompagnarono nella maturazione di una nuova
vita che non pensava di poter vivere.
Il tempo dell’accoglienza e dell’ascolto
• Inoltre, non basta informare, dare contenuti o far fare
esperienza, bisogna dare il tempo per far maturare,
assimilare, far proprio, nella libertà delle proprie
scelte.
• C’è un processo esistenziale di andata e di ritorno, che
ciclicamente, in tutte le tappe evolutive della vita, si
ripresenta e che non può essere misconosciuto.
• L’accoglienza e l’ascolto, per una Chiesa dal volto
familiare, non sono facoltative, ma “conditio sine qua
non”, per intessere relazioni che abbiano il sapore del
Vangelo;
• la pedagogia ci insegna non vi è accoglienza senza
ascolto e che l’ascolto per essere efficace e vero deve
essere “empatico”.
L’ascolto empatico
• L’ascolto empatico non si pone nella prospettiva del
controbattere, del giudicare, né, tanto meno, del
giustificare; quanto, piuttosto, nella prospettiva del
capire le ragioni e le motivazioni di una scelta o di
una esperienza.
• La comprensione empatica, ossia l’essere aperto a
tutti i messaggi dell’altro, anche quelli non verbali,
anche quelli che non mi piacciono o non condivido,
rappresenta il processo più importante dell’ascolto e
quindi dell’accoglienza.
• L’ascolto chiede, inoltre, la capacità di silenzio, come
spazio offerto all’altro, perché possa esprimersi nei
modi e nei tempi a lui congeniali; questa è la sfida
educativa che in questo decennio ci viene
consegnata.
La relazione educativa
• Nella relazione educativa, l’accoglienza e l’ascolto
sono condizione indispensabile perché si trovi anche
lo spazio ed il tempo, nella fiducia reciproca, per
esprimere il disagio e lasciarsi accompagnare nella
scoperta della domanda, che porta all’elaborazione di
un progetto educativo.
• Solo quando ci si sente accolti, ben voluti, stimati, si è
in grado di esprime il proprio disagio per chiedere
implicitamente o esplicitamente aiuto a guardare
oltre l’immediato, verso l’orizzonte a cui Cristo apre.
• Ogni vero progetto educativo deve proporsi di sfidare
i bisogni e di ancorarsi a qualcosa che va oltre
l’orizzonte dei bisogni, del benessere immediato,
dell’utilità commerciale.
Una comunità accogliente
• Per i disagi esistenziali che portano alle domande di fede è
necessaria una comunità accogliente, a cui il catechista deve fare
riferimento, per introdurli nella fede della Chiesa.
• Accogliere con simpatia e fiducia nella vita della comunità,
significa aiutare a riconoscersi più cordialmente nella continuità
della tradizione, a riscoprire la dimensione comunitaria della fede,
condivisa e vissuta con i fratelli, a maturare un più profondo senso
di Chiesa.
• L’accoglienza aiuta a superare i limiti di un soggettivismo
superficiale, a condividere in un fruttuoso scambio le esperienze
e gli impegni, ad aprirsi al riconoscimento del ruolo degli altri
nella propria vita.
• L’Accoglienza deve avvenire sempre nella libertà reciproca e nel
rispetto della verità, mai nella “violenza”, nell’ambiguità o
nell’inganno. La Libertà personale piena e duratura e la verità
sono le condizioni fondamentali per una evangelica accoglienza.
La sfida della semplicità
• Questa consapevolezza pone all’attenzione di tutti la
sfida della semplicità, che non vuol dire banalità o
riduzionismo; la sfida della semplicità come ricerca
semplice della via da percorrere insieme, andando
alla sostanza, all’anima, alla bellezza della fede,
eliminando gli orpelli e le caricature, che rendono
meno credibile la testimonianza.
• Su questo “habitat”, che in qualche modo ho tentato
di delineare, credo che sia possibile elaborare un
“Documento condiviso”, che permetta di passare
dalle affermazioni di principio ad una prassi pastorale
che coinvolge e crea speranza nuova di vita piena.
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L`habitat della Chiesa del XXI secolo