settimanale diretto da luigi amicone
anno 19 | numero 21 | 29 maggio 2013 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
OLOGNA VOTA
COME
AMBINI
+ SCUOLE X TUTTI. Il referendum del 26 maggio sulle paritarie
non è solo una questione locale. È in ballo la libertà di educazione
EDITORIALE
LE PRIGIONI SONO PIENE DI CASI COPPOLA
Finché i pm avranno potere assoluto
non ci sarà giustizia per le loro prede
I
conferma le buone ragioni di
quanti in questi anni si sono battuti per l’amnistia e propone una riforma del nostro sistema penitenziario. Ne discutiamo in queste pagine. Ma cosa c’è a monte? C’è una giustizia che non funziona. Due anni in
prigione, 104 giorni di isolamento, distruzione della persona e del suo patrimonio. Dopo di che, assolto con formula piena «perché il fatto non sussiste». Danilo Coppola non è l’ultimo caso, né un caso isolato. Di gente che finisce in “carcere preventivo” col marchio dell’infamia e viene poi riabilitata
per sentenza ce n’è tanta, troppa, in Italia. Ne consegue che il problema sono i giudici? No, ne consegue che il problema è lo strapotere dei pm. I quali, come si vede nei tanti casi Coppola e nella giustizia che prende di mira le
aziende (vedi caso Ilva), possono annichilire la vita delle persone e fare terra
bruciata intorno a interi comparti produttivi. Non stiamo parlando del conflitto tra giustizia e politica. Stiamo parlando della collocazione istituzionale del Pubblico Ministero.
Perché in Italia un pm non è sotto- Perché il pubblico ministero
posto ad alcun controllo, neppure ge- non è sottoposto ad alcun
rarchico, e può seguire priorità di in- controllo e può DARSI priorità
dagine col fine di dettare a governo, di indagine col fine di dettare
parlamento e opinione pubblica un L’agenda A GOVERNO E MEDIA?
certo tipo di agenda politica? Perché
vige un sistema di pratica discrezionalità e il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale può risolversi facilmente nell’indagine autoprodotta in procura e amministrata in collaborazione con una testata giornalistica? Perché questa anomalia di magistrati che si “scelgono” le inchieste
e poi, grazie alla notorietà acquisita sulla scena mediatica, passano all’incasso politico diventando personalità del jet-set elettorale, come, tra gli altri, è
avvenuto nei casi Di Pietro, De Magistris e Ingroia?
Queste cose succedono in Italia, e solo in Italia, perché con la riforma
Vassalli del 1989 il Pubblico Ministero ha assunto un duplice e contraddittorio ruolo: il ruolo di “parte” in processo e, insieme, il ruolo di titolare
dell’attività investigativa. Non più organo rigorosamente istruttorio, il pm
svolge indagini al pari e col totale supporto della polizia giudiziaria. Ma
l’attività investigativa, diversamente da quella istruttoria, è per sua stessa
natura un’attività tipicamente politico-amministrativa. Tant’è che la polizia giudiziaria dipende organicamente dal governo nelle sue diverse articolazioni (Carabinieri-ministero della Difesa; Polizia-ministero degli Interni; Guardia di Finanza-ministero dell’Economia e delle Finanze, eccetera). Il
Pubblico Ministero, invece, pur essendo organo investigativo, è considerato
non solo del tutto autonomo e indipendente dal potere politico-istituzionale, ma anche organo prettamente giurisdizionale, magistratura al pari dei
collegi giudicanti. Ma così non è: la natura dell’attività dell’uno e degli altri è strutturalmente diversa e imporrebbe, come già aveva intuito un giudice come Giovanni Falcone, una diversificazione di tali organi anche da
un punto di vista istituzionale, separandone le carriere e la disciplina
formativa. Ecco perché la separazione delle carriere tra pm e giudici è l’indispensabile premessa di qualunque riforma della giustizia.
n questo numero un magistrato milanese
FOGLIETTO
Discriminatissimi.
Miserabile il paese in
cui conviene separarsi
e abortire piuttosto
che metter su famiglia
I
n Italia, in caso di separazione,
gli alimenti corrisposti al coniuge
sono detraibili dalla dichiarazione dei redditi, ma non vi è alcuna
detrazione se il denaro è trasferito
all’interno della famiglia, per esempio
per mantenere un figlio all’università.
Quando si introduce una agevolazione
fiscale (rottamazioni, ristrutturazioni…),
essa viene riconosciuta senza limite di
reddito; i sostegni alla maternità e le
detrazioni per i figli a carico sono corrisposti invece in relazione al reddito. Chi
fa sindacato gode di permessi e di distacchi; chi va a scuola per parlare con
i docenti dei figli deve chiedere le ferie.
Il medico di base si sceglie liberamente,
gli insegnanti per i figli no. Il professionista che assume la moglie nello studio
non può dedurre dalla dichiarazione dei
redditi il costo delle retribuzioni e dei
contributi; se invece assume l’amante sì.
È prevista l’obiezione di coscienza per
la sperimentazione sugli animali, non
per quella sugli embrioni. L’aborto è a
carico del Servizio sanitario nazionale
e si esegue il prima possibile, l’ecografia è a pagamento (quanto meno per
il ticket) e ci si mette in lista d’attesa.
L’elenco è lungo e, a qualche giorno dalla celebrazione della “giornata contro
l’omofobia” – ennesima solfa di rivendicazioni gender –, è più che sufficiente
per gridare contro le discriminazioni
antifamiliari. Ed è paradossale che si
tenti di attribuire rilievo istituzionale,
pubblicistico, alle unioni di fatto (in
particolare omosessuali), mentre si procede nella de-istituzionalizzazione della
famiglia; per esempio per mezzo del potere giudiziario, con interventi sempre
più invasivi sui conflitti tra coniugi, tra
genitori e figli e tra i figli stessi, nella
prospettiva della prevalenza dell’interesse dei singoli su quello della famiglia.
Di fronte alla “privatizzazione” della famiglia, parallela alla “pubblicizzazione”
delle convivenze, urge un Family pride.
Alfredo Mantovano
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3
SOMMARIO
06 PRIMALINEA BOLOGNA VOTA SULLA LIBERTÀ DI EDUCAZIONE | BOFFI
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NUMERO
aNNo 19 | NumERo 21 | 29 maggio 2013 |  2,00
sEttimaNaLE DiREtto Da Luigi amicoNE
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
OLOGNA VOTA
COME
AMBINI
+ SCUOLE X TUTTI. Il referendum del 26 maggio sulle paritarie
non è solo una questione locale. È in ballo la libertà di educazione
Il referendum bolognese
del 26 maggio sulle scuole
paritarie è molto più
di una questione locale
LA SETTIMANA
14 INTERNI NON SOLO AMNISTIA | BRAMBILLA, BORSELLI
Foglietto
Alfredo Mantovano...........3
Solo per i vostri occhi
Lodovico Festa........................ 13
Le nuove lettere di
Berlicche................................................33
Presa d’aria
Paolo Togni..................................... 38
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 39
Post Apocalypto
Aldo Trento.................................. 44
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 46
26 L’INTERVISTA CAMILLE PAGLIA
FERRARESI
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 47
Terra di nessuno
Marina Corradi......................50
RUBRICHE
20 ESTERI BRASILE, LIBERI IN CARCERE | CASADEI
34 L’ITALIA CHE LAVORA I SARTI DEL MARMO
Stili di vita........................................... 38
Per Piacere.........................................41
Mobilità 2000............................ 43
Lettere al direttore.......... 46
Taz&Bao................................................48
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Anno 19 – N. 21 dal 23 al 29 maggio 2013
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Alla consultazione del 26 maggio
promossa da grillini e Sel gli elettori
di Bologna dovranno dire se vogliono
che il Comune giri agli asili statali e
comunali i soldi stanziati ogni anno
per quelli paritari (opzione A) o se
invece vogliono che restino alle
scuole non statali (opzione B)
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| Foto: Ansa
COPERTINA
Impetum suum posse sustineri existima-
Un referendum da 600 mila euro per togliere agli
asili paritari un bant.
Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, atque
milione di fondo comunale. A costo di mandare in tilt
un
validissimo
Romanos
non solum itinerum
modello di scuola pubblica. Il raptus suicida della sinistra ideologica
|
DI EMANUELE BOFFI
Bologna vota B come
Bambini
|
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7
G
A
Bologna il 26 maggio i cittadini sono chiamati a
esprimersi su un referendum che già a partire dalla formulazione è fazioso.
Vi si chiede se il Comune debba utilizzare
le risorse per le scuole comunali e statali
(opzione A) o per le scuole paritarie e private (opzione B). Una balla. Perché non si
dice che sia le scuole comunali e statali sia
quelle paritarie sono scuole pubbliche. Lo
dice una legge dello Stato (62/2000 voluta dal ministro Luigi Berlinguer), lo dice
la storia di Bologna che da circa vent’anni
offre ai propri cittadini (a tutti i propri cittadini) un servizio che si regge su tre gambe (scuole statali, scuole comunali, scuole paritarie), lo dice il concetto stesso di
“pubblico” che solo la miopia di certa sinistra fa coincidere con “statale”.
Sinistra, appunto. Ciò che accade a
Bologna in merito alla scuola fa da lente di
ingrandimento per comprendere l’attuale
situazione politica italiana nei suoi scenari nazionali. Da un lato, la sinergia forzata di due mondi distanti – il centrodestra e
il centrosinistra – che, in un momento di
difficoltà del paese, convergono e cercano
soluzioni pragmatiche per il bene di tutti. A loro si affianca (o meglio, fa da traino) una società civile che è oggi indaffarata in altre questioni più urgenti (il lavoro,
la precarietà economica, sbarcare il lunario), ma che non vuole farsi mettere i piedi
in testa da chi ne vuole limitare la libertà
d’azione e di coscienza. Dall’altra, un’opposizione che se ne frega di problemi, soluzioni, numeri, esperienze e taglia col falcetto la realtà in nome di pregiudizi ideologici che sarebbero già stati anacronistici
ai tempi di Napoleone.
Nel 1993 a Bologna fu eletto sindaco
Walter Vitali (Pds-Psi). Fu sotto la sua regia
che la città iniziò a interrogarsi sul significato del termine “pubblico”. Tale deve
essere considerato solo ciò che elargisce
8
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ià il quesito è balordo.
|
“mamma Stato” oppure tutto ciò che offre
un servizio che è un bene per tutti? In fondo, bastava guardare a quel che già c’era
ed è sotto gli occhi di tutti: l’esistenza di
tante esperienze che non erano nate per
iniziativa dello Stato ma da ordini religiosi o gruppi laici che avevano speso energie e quattrini per offrire a tutti la possibilità di frequentare scuole materne (una
volta si chiamavano asili), dove lo Stato
non ce la faceva ad arrivare. Esistono istituti da 150 anni: non li ha inventati lo Stato. Quest’ultimo, al massimo, li ha copiati.
A rischio un sistema efficiente
Presidente della INVESTIMENTO
Regione un certo Pier
Luigi BersaniDEL
(sinistra),
sfruttando
poi gli
COMUNE
DI BOLOGNA
spazi aperti dalla legge Berlinguer (sinistra), confermando la bontà dell’intento
3%nella Costituzione del
con l’introduzione
principio di sussidiarietà nel 2001 (articolo 118, governo Ulivo, sinistra) nel capoluogo emiliano in vent’anni hanno messo
in piedi un sistema che non solo funziona, ma è pure unico in Italia. A Bologna
milioni
€ più delle scuole comunali,
infatti,disono
la metà del totale, un caso unico. Ebbene,
questo modello, chi lo vuole abbattere?
97%
La sinistra di Vendola e i grillini.
Tafazzismo puro. Come? Togliendo il contributo
comunale alle paritarie (1 milione di euro)
per girarlo allo Stato. Quanto costa il refe-
1,116
INVESTIMENTO
DEL COMUNE DI BOLOGNA
3%
19%
1,116
milioni di €
1
97%
NUMERO DEI POSTI
DISPONIBILI
Scuola c
e statale
19%
1.730
posti
81%
Scuola comunale
e statale
Scuola paritaria
privata
È più che lampante che un asilo che costa 600 euro
per bambino l’anno contro uno che ne costa quasi 7.000
non è una fregatura, è un risparmio PER IL COMUNE
rendum? 600 mila euro. Con questi stessi
soldi si potevano avere quasi 800 posti in
più alle materne per un anno.
A Bologna, attualmente, esistono 127
asili. Dal 1995 a oggi, il Comune ha costruito un sistema basato sulle convenzioni
attraverso cui sostiene il servizio pubblico svolto dalle scuole paritarie, siano esse
gestite da privati (religiosi o laici) siano
NUM
D
esse comunali (sì, anche quelle sono “scuole paritarie”). Nel 2011 il Comune ha speso
35,5 milioni di euro per le scuole dell’infanzia comunali, che ospitano 5.137 bambini, 665 mila euro per le scuole dell’infanzia statali, che ospitano 1.495 bambini, e un milione di euro per le paritarie
convenzionate, che ospitano 1.736 bambini. Quindi, il Comune di Bologna spende
2
COPERTINA PRIMALINEA
PRIVATE
STATALI
17%
23%
61%
BOLOGNA
ITALIA
In queste pagine, la riproduzione dei
grafici elaborati nei giorni scorsi dal
Comune di Bologna per spiegare il
modello locale della scuola pubblica,
che prevede la virtuosa integrazione
tra Stato, Comune e privati e va
avanti efficacemente da vent’anni
46%
EMILIA
ROMAGNA
34%
30%
9%
20%
60%
COMUNALI
+1 nuova scuola per 100 bambini
+3 nuove scuole per 177 bambini
2014
+2 sezioni nelle scuole d’infanzia
2013
2011
+9 sezioni nelle scuole d’infanzia
+5 sezioni nelle scuole d’infanzia
6.900 euro per ogni bambino che si iscrive a una scuola comunale, 445 euro per
ogni bambino delle scuole statali e 600
euro per ogni bambino che va a una paritaria convenzionata (il resto ce lo mettono i genitori con le rette). Le scuole comunali paritarie ospitano il 61 per cento dei
bambini, quelle statali il 18 e quelle paritarie il 21. Facendo due conti, sebbene le
scuole paritarie accolgano un quinto dei
bambini bolognesi, ricevono solo il 2,9 per
cento delle risorse che il Comune destina alla fascia di età 3-6 anni. Domanda: se
togliamo quel milione di euro alle parita-
rie e lo destiniamo alle scuole pubbliche,
il Comune potrebbe ospitare solo 150 dei
1.736 bambini che ora vengono educati
nelle paritarie. E degli altri 1.536 bambini
che ne facciamo? Dove li mettiamo?
Un jet-set a Cinque Stelle
È più che lampante che un asilo che costa
600 euro per bambino l’anno contro uno
che ne costa quasi 7.000 non è una fregatura, è un risparmio. Se, per paradosso, i
1.736 bambini delle paritarie si iscrivessero alle comunali, il costo per l’amministrazione sarebbe di 12 milioni. Quin-
di: grillini e Sel per risparmiare un milione vorrebbero farne spendere 12 al Comune. Geniale. Ma i grillini non erano quelli
che andavano in parlamento per mettere
fine agli sperperi pubblici, promettendo
che avrebbero contato «anche le caramelle»? Quante caramelle si possono comprare con 12 milioni di euro?
La storia antiparitarie parte da lontano. Da quando, negli anni Novanta, l’amministrazione bolognese ideò – come d’altronde in moltissime altre parti della Penisola – il sistema delle convenzioni. Subito
partì una denuncia alla Corte dei conti,
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PRIMALINEA COPERTINA
Le scuole dell’infanzia paritarie
private accolgono un quinto dei
bambini bolognesi ricevendo
una minima parte delle risorse
del Comune. Ridestinando
quel milione di euro alle scuole
statali e comunali, il Comune
riuscirebbe a generare posti
sufficienti per appena 150 dei
1.736 alunni che frequentano
le paritarie. E gli altri 1.536?
poi seguirono altri ricorsi al Tar, quindi si
è arrivati ai giorni nostri con una raccolta
di firme che ha permesso al comitato Articolo 33 di fare indire il referendum. Hanno raccolto ben oltre le 9 mila firme necessarie, soprattutto grazie alla mobilitazione
di Sel e dei militanti del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. A loro si sono
aggregati nel tempo una serie di personaggi pubblici che è utile elencare: innanzitutto il presidente del comitato, Stefano Rodotà, il costituzionalista che i grillini volevano come capo dello Stato perché lo avevano votato online “ben” 4.677 internauti.
Poi il sostegno di personalità note come
l’astrofisica Margherita Hack, lo scrittore Andrea Cammilleri, il medico di Emergency Gino Strada, i giornalisti di Repubblica Michele Serra e Corrado Augias, gli
attori Riccardo Scamarcio (quello dei film
di Moccia), Sabina Guzzanti, Isabella Ferrari, Amanda Sandrelli, Valeria Golino, Neri
Marcorè, i musicisti Andrea Mingardi e
Francesco Guccini (che vota A perché «bisogna difendere la Resistenza e la continuità della coscienza morale»). A loro si sono
affiancati i Cobas, la Cgil Scuola, i centri
sociali come il Collettivo Bartleby, già protagonista di alcune occupazioni in città, i
neofascisti di Casa Pound e persino l’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) e il
pastore della Chiesa evangelica metodista
Michele Charbonnier.
Ignoranti ma schierati
Molti di loro, spesso limitandosi a slogan abborracciati, hanno portato il loro
sostegno al comitato, a volte in maniera non proprio efficace, come si racconta sotto i portici di Bologna, riferendosi
al succo dell’intervento di Maurizio Landini (metalmeccanici Fiom, poteva mancare?) che in un incontro pubblico ha detto più o meno così: «Di scuola non so nulla, però…».
Ecco, “però”. Alla fin fine, non potendosi confrontare sul merito – non dovreb10
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SCUOLE PARITARIE
COMUNALI
SCUOLE PARITARIE
PRIVATE
SCUOLE STATALI
35,50
1,11
1,14
94 %
2,9 %
3,1 %
mln €
mln €
be essere una prerogativa di fede capire i
numeri – i referendari hanno dovuto cristallizzare in slogan le loro fragili argomentazioni. E, come sempre accade, sono
diventati o violenti o ridicoli. In alcune
scuole è stato possibile fare propaganda
solo per la “A”. Maurizio Matteuzzi, docente di Filosofia del linguaggio all’Università, ha voluto screditare i ragionamenti altrui dicendo che se lo Stato finanziasse la mafia ne trarrebbe un introito grazie
all’incremento del traffico di droga e puttane. Le scuole paritarie come la mafia,
avete capito bene.
Ma l’ideologia non può fare a meno di
scadere nel grottesco. Il comitato Articolo 33, ad esempio, ha chiesto al Comune
di mettere a disposizione degli autobus
per portare la gente ai seggi a votare. Stiamo parlando di un referendum consulti-
mln €
«in fondo bisognerebbe ringraziare i referendari», perché in questi ultimi mesi
la città è stata un brulicare di incontri e
dibattiti pubblici in cui è stato possibile
mostrare cosa sono e cosa fanno le scuole paritarie. «Contro l’ideologia si può fare
poco – ha raccontato Zamagni – ma quando incontro la gente e chiacchiero, alla
fine è difficile trovare persone che non siano d’accordo con noi».
Il sindaco contro i «cubani»
Trainati dalle associazioni e dalle scuole
paritarie (che, nel caso infausto, dovrebbero aumentare le rette di 500-600 euro),
si è formato un movimento che ha messo assieme personaggi diversi. Da Romano Prodi e Luigi Berlinguer fino a Maurizio Lupi e Gabriele Toccafondi. Dai cardinali Carlo Caffarra e Angelo Bagnasco fino
AI VARI RODOTÀ, HACK, SCAMARCIO E AUGIAS si affiancaNO,
CONTRO LE PARITARIE, I Cobas, LA Cgil, I centri sociali,
i neofascisti di Casa Pound e UN pastore evangelicO
vo, senza quorum, il cui esito non è vincolante per l’amministrazione locale. Però
volevano le navette per evitare di andare a
piedi. «A questo punto – ha detto ironicamente il consigliere comunale Valentina
Castaldini, Pdl – facciamo loro trovare la
scheda con già barrata la A, così il servizio
sarà completo».
Ex malo bonum. Pur potendo contare su una grancassa mediatica minore, a
Bologna intorno a un appello che ha visto
come primo firmatario il professore Stefano Zamagni, si è amalgamato un comitato
che, prima, ha cercato di spiegare l’inutilità dannosa del referendum e, poi, s’è dato
da fare per spiegare le ragioni del voto B,
«come bambini, come Bologna». Certo,
contro l’incaponimento astratto hai voglia
a sciorinare i numeri che mostrano che «la
sussidiarietà conviene». Ma certo, come ha
raccontato lo stesso Zamagni a tempi.it,
all’ex sindaco Vitali e al giornalista Antonio Polito. L’ateo e il cattolico, il democristiano e il comunista, uniti da due idee di
fondo: difendere l’esistente che funziona
e ricordare che il primato della libertà di
scelta e di educazione spetta ai genitori.
Lo Stato viene dopo.
Su tutti, merita una menzione il sindaco Virginio Merola che ha accusato la campagna dei referendari di essere il «trionfo
della demagogia e della disinformazione»;
di volere far fare a Bologna la «cavia agli
esperimenti di persone che molto spesso
non sono riuscite a entrare in parlamento con le proprie proposte politiche»; di
propugnare idee «da sinistra cubana», da
«estremista conservatore». Soprattutto di
aver messo in mezzo i bambini. Gli unici
che non sono «né di destra né di sinistra»,
ma che potrebbero pagare lo sciagurato
esito di un referendum idiota. n
SOLO PER
I VOSTRI OCCHI
di Lodovico Festa
I
a presi- SAN RAFFAELE, LAVORO, GRANDI OPERE, EXPO
dente regionale Roberto Maroni ha incontrato gli imprenditori interessati
alla costruzione della Pedemontana e della
Brebemi iniziando a sbloccare gli intoppi che
rischiavano di mandare in fumo alcuni tra i
piani infrastrutturali più utili per la Lombardia: con buona pace del povero Umberto Ambrosoli, candidato della sinistra, ipercritico
perché interessato solo al centro di Milano
e disinformato sulle esigenze del più ampio
territorio. Subito dopo il neo-presidente ha
iniziato a definire interventi regionali a sostegno della cassa integrazione, aiutando così tra l’altro anche l’esecutivo nazionale a superare i condizionamenti del tipo di quelli
ne generale, elemento strategico essenziale per affrontare anche
di Pietro Ichino (degna staffetta di quel mezle questioni particolari. La base più solida dell’attività politica è
zo disastro che è stata l’Elsa Fornero), che per
sempre il consenso e il consenso si costruisce solo se oltre alle soraggiungere risultati “ideali” (secondo il giuluzioni minute o specifiche si è in grado di indicare anche proslavorista oggi montiano attuati in Danimarspettive dall’ampio respiro: sono queste ultime quelle che giustica) manderebbero a quel paese le risposte
ficano e motivano i sacrifici, che consentono accordi virtuosi tra
imperfette ma reali che la società italiana si
interessi, che permettono investimenti di lungo periodo.
è concretamente data. Qualche giorno ancora e il nuovo capo della giunta lombarda ha
Lo scenario ambizioso che manca
fatto le mosse necessarie
per far decollare una maDALLO SBLOCCO DEI PIANI La giunta del bravo amministratore Maroni è forte pure perché il
nifestazione decisiva per lo
INFRASTRUTTURALI ALLA saggio politico Maroni – con riflessione sulle macroregioni, sforsviluppo locale e nazionaRAPIDA SOLUZIONE zo di rendere federalista il fisco e anche spunti disseminati qui e
le: l’Expo 2015. Il suo vice
IDEATA DA MANTOVANI lì su un futuro partito del Nord (un orizzonte unificante per tutMario Mantovani, intanto,
PER LA CRISI DEL SAN te le forze e le culture liberalpopolarconservatrici) – presenta ai
si è trovato di fronte una
suoi elettori e più in generale alla società lombarda uno scenario
RAFFAELE, I SUCCESSI DI ambizioso e ben articolato. È quello che, per esempio, manca a un
complicata crisi, innanziMARONI PROVANO CHE sindaco sempre più evanescente come Giuliano Pisapia che vivactutto per gli aspetti occuSONO
LE PROSPETTIVE A chia tra un appuntamento e l’altro, con qualche buona scelta di
pazionali, del San Raffaele,
PERMETTERE ACCORDI suoi assessori personalmente capaci, ma senza che la sua giunta
condita da scontri tra dipendenti e polizia, e molVIRTUOSI TRA INTERESSI e la sua leadership trasmettano un’idea delle mete che la sua amto rapidamente ha trovato
ministrazione vuol far raggiungere a Milano.
una soluzione non facile ma intelligente: un accordo per manteÈ questo un tipo di problema che deve porsi e in grande fretnere l’attuale livello occupazionale in cambio di alcune riduzio- ta il nuovo presidente del Consiglio: è stato senza dubbio necesni di stipendio per tutti i dipendenti.
sario affrontare l’emergenza rimediando tra le altre cose alle più
In parte anche il governo Letta è nato sotto il segno del fare astratte delle arroganze di Mario Monti, è stato bene spiegare a
e tra Imu ed esodati sta definendo provvedimenti rapidi che ren- Berlino e Parigi che in Italia è tornato un governo politico che sadano meno aspre le condizioni sociali degli italiani. Ma sinora, rà più attento agli interessi nazionali, è stato opportuno dare il
se si confronta il quadro nazionale con quello determinatosi in senso – chiedendo molta prudenza ai suoi ministri – di una paLombardia, i risultati migliori sono quelli realizzati in questo se- cificazione in corso che forse potrà determinare un nuovo clicondo. Per quel che riguarda l’attività della giunta Maroni si de- ma segnato da una dialettica meno da guerra civile virtuale: anve riflettere certamente anche sul come “il buon inizio” testimo- che se, oltre alle varie irruenze della magistratura combattente,
ni che la situazione lasciata in eredità dalla giunta precedente i tentativi di impedire di manifestare a una delle principali forfosse ben lontana dall’essere disastrosa: tanta tempestiva capaci- ze politiche nazionali potrebbero portare a future terribili burtà di iniziativa non sarebbe stata possibile se si fosse dovuto rime- rasche. Però lo sforzo della concretezza non raggiungerà solidi
diare a troppi guasti del passato. Però la grande capacità di ope- risultati se non sarà accompagnato da un’idea più precisa dello
rare fa intendere pure come la nuova squadra, che da qualche Stato che si vuole costruire. La crisi dell’Italia è segnata dalla crisettimana ha preso in mano il destino dei lombardi, sia perfetta- si dello Stato, non si esce dalla prima se non si risolve la seconda.
mente all’altezza della situazione.
Bene una concretezza analoga a quella di Maroni, ma Enrico doTenendo ferme queste considerazioni, va valutato, inoltre, vrebbe imparare da Roberto anche a darsi mete alte (e precise),
come anche in questi casi conti la capacità di avere una visio- senza le quali non andrà molto avanti.
l giorno stesso della sua nomina
Concretezza sì, ma anche
visione. Dalla Lombardia
una lezione per Letta
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INTERNI
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PENA E REDENZIONE/1
DI GUIDO BRAMBILLA
L’amnistia
per fare
giustizia
«Avrebbe l’effetto di far respirare il rovente
agone giudiziario introducendo la serenità che
serve per le riforme». L’appello del magistrato
di sorveglianza di Milano Guido Brambilla
U
n importante istituto che potrebbe
favorire un clima di pacificazione
in questo momento storico è rappresentato dall’amnistia. Essa, infatti, non
avrebbe solo lo scopo di deflazionare l’insopportabile sovraffollamento carcerario,
che ha raggiunto ormai livelli “sudamericani” con numerose sentenze di condanna dell’Italia da parte della Corte di giustizia europea, ma anche quello “simbolico” di far respirare il rovente agone giudiziario introducendo quella serenità necessaria per por mano alle nuove sfide che la
riforma della giustizia impone.
Intendo qui però chiarire entro quale orizzonte e con quali finalità ultime
dovrebbe – sotto il primo profilo sopra
esposto – inserirsi un auspicabile provvedimento di clemenza. Senza soffermarmi (anche se si tratta di un problema
importante e delicato) sul problema dei
detenuti in attesa di giudizio (per i qua-
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| Foto: Ansa
li sarebbe innanzitutto auspicabile una
maggior celerità dei processi con una
semplificazione globale dell’iter procedimentale), per quanto concerne i detenuti cosiddetti “definitivi” (quindi condannati con sentenza irrevocabile) è diffusa,
infatti, nell’opinione comune, amplificata dal sensazionalismo mass-mediatico,
una concezione della “sicurezza” ridotta a
mera “espulsività-segregazione-isolamento”: il carcere viene visto pertanto nel solo
aspetto custodialistico, specie quando si
tratta di stranieri e ritenuto l’unico mezzo utile a placare il dilagante senso di insicurezza dei cittadini.
L’articolo 27, 3° comma, della Costituzione, invece, recita che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato». Già il noto
giurista Francesco Carnelutti affermava in
quei tempi che il processo penale avreb-
be fallito il suo scopo se anche con l’irrogazione della giusta pena non si fosse raggiunto l’obiettivo del riabbraccio ultimo
tra la società e il reo.
Se dunque il principio dell’effettività della pena non può essere disatteso, va
anche evidenziato che la rieducazione è la
tensione propria dell’esecuzione penale e
che vi è una stretta correlazione tra la rieducazione e lo stesso bisogno di sicurezza. Non esiste una definizione normativa o giurisprudenziale del concetto di rieducazione, sicché gli operatori del settore,
per lo più, fanno coincidere tale concetto
con quello laico e pragmatico di “abbattimento o riduzione della recidiva”. A mio
parere, tale definizione rappresenta, però,
più una conseguenza della rieducazione,
che non la sua essenza. Tuttavia, anche
accettandola così formulata, non si può
non percepire come un successo riabilitativo abbia benefici effetti anche in tema di
sicurezza sociale.
CHI è L’AUTORE
Magistrato
di sorveglianza
Guido Brambilla è
giudice del Tribunale
di Sorveglianza di
Milano, autore di
numerosi articoli sul
tema dell’esecuzione
penale, pene alternative e funzione rieducativa della pena
Non basta lo Stato a rieducare
Quando viene condannata, una persona
viene consegnata sì ad un luogo (in principalità il carcere), ma anche a una serie
di rapporti con altre persone; un universo di incontri con soggetti preposti alla
custodia, ma soprattutto al percorso trattamentale e rieducativo. Durante la sua
vita detentiva il carcerato è seguito (oltre
che dalla polizia penitenziaria), dai direttori degli istituti di pena, dai magistrati
di sorveglianza, e poi da educatori, volontari, medici, psicologi, criminologi, assistenti sociali, insegnanti ecc. Nell’organizzazione della città detentiva intervengono, a fini di sostegno e aiuto, anche gli
Enti locali, banche, fondazioni, imprese e cooperative, proprio perché l’interesse alla promozione umana e alla reinclusività sociale è prevalente rispetto a quello, pur indispensabile, della mera retribuzione, anche in termini di riduzione dei
costi sociali, di valorizzazione delle risorse umane e del territorio.
Chiarito quello che a me pare essere l’essenza dell’intervento rieducativo,
ritengo che il medesimo non possa essere
solo monopolio dello Stato. Abbiamo visto
che attraverso l’intervento di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, più vicini al detenuto (nel tempo dell’esecuzione della pena e nello spazio ove essa viene
espiata), può realizzarsi appieno, attraverso il recupero del reo e all’interno di rapporti significativi, quella “sicurezza integrata” che più efficacemente tutela i cittadini e il territorio dalla devianza di ritorno e quindi dalla recidiva.
Ed è per questo che lo Stato deve
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interni pena e redenzione/1
abbandonare una politica meramente
“segregativa-assistenzialistica” del detenuto, lasciando, in una piena attuazione del principio di sussidiarietà, agli enti
locali e al privato-sociale il compito di un
intervento più capillare e fattivo che possa investire in modo costruttivo nel rapporto con i detenuti. Ma il carcere dovrebbe poi costituire, in un sistema orientato al recupero e all’emenda, l’“extrema
ratio” dell’intervento punitivo. In tale
logica, lo Stato, dopo (o con) una terapeutica amnistia, dovrebbe quindi potenziare le misure alternative (affidamento in
prova, affidamento terapeutico, le varie
forme di detenzione domiciliare ecc.),
rendendole visibili alla collettività come
vere e proprie sanzioni tese al reinserimento più che come forme di assistenzialismo sociale, con una contestuale semplificazione delle stesse (le predette misure alternative potrebbero unificarsi in
una sola misura, chiamata efficacemente
da un ex Dirigente dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Milano-Lodi, “Pena
Comunitaria”: in altri termini una pena
alternativa unica che verrebbe poi calibrata individualmente tenendo conto dei
profili di pericolosità sociale del soggetto
e delle sue necessità riabilitative).
Le potenzialità del privato sociale
Tra il carcere così come attualmente esistente e le misure alternative potrebbero
poi essere realizzate strutture detentive
“a bassa sicurezza”, recuperando caserme
o edifici pubblici dismessi. Non ha senso
infatti, oggi come oggi, mantenere una
promiscuità tra soggetti considerati, per
la natura dei reati commessi ed i profili criminologici, come altamente pericolosi ed altri la cui eteroaggressività è talmente bassa o di diverso tipo (ad esempio
gli autori di reati in materia economicofinanzaria, contro il patrimonio, i tossicodipendenti, i semiliberi, o stranieri privi
di un domicilio) da non rendere necessa16
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ria una contenzione ”severa” con impiego di personale di polizia penitenziaria.
Tali strutture intermedie potrebbero essere gestite con accordi tra il settore pubblico ed il privato sociale, senza presenza di
personale di polizia penitenziaria all’interno, con la permanenza di controlli solo al di fuori delle mura. Nel modello “modulare” spagnolo, per esempio, il
controllo delle persone è stato sostituito
quasi interamente dalla tecnologia (così
come nelle carceri svedesi); l’uso delle
chiavi è limitatissimo e quasi tutti i cancelli sono automatizzati, compresi quelli delle celle : la sicurezza interna è assicurata prevalentemente da “ civili”. Solo
all’esterno la sicurezza è invece garantita dalla “Guardia Civil” (l’equivalente dei
nostri Carabinieri).
La legge, peraltro, offre già dei criteri
orientativi in tal senso: l’articolo 101, comma 8°, del DPR 30.06.2000, nr. 230 (Rego-
lamento di esecuzione dell’ordinamento
penitenziario), prevede, ad esempio, che
«sezioni autonome di istituti per la semilibertà possono essere ubicate in edifici o in
parti di edifici di civile abitazione».
Tali soluzioni, oltre ad un possibile
risparmio economico, rappresenterebbero sicuramente un rimedio al problema
del sovraffollamento.
Concludo, benché un tema simile
richieda ben altri spazi, osservando che
non ci si deve occupare dei detenuti,
anche nei modi sopra descritti, solo per
“far del bene”, per un buonismo o per
praticare “outing” culturale. Ma perché
conviene. Conviene a tutti: ai detenuti, a
chi se ne occupa e alla società. Ciò in termini di recupero delle marginalità, di
valorizzazione delle risorse e di sicurezza
della collettività, per una riduzione dei
costi sociali e per fare anche “impresa”
dentro un’autentica carità. n
Foto: AP/LaPresse
Il capo dello Stato in visita a San
Vittore nel febbraio scorso,
dove è tornato a denunciare
il problema del sovraffollamento
delle carceri italiane e ad auspicare
un provvedimento di amnistia
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DI laura borselli
Condannati
a fare
qualcosa
Le sentenze che certificano lo scandaloso
sovraffollamento delle nostre carceri,
l’ipotesi di strutture “a bassa sicurezza”.
Parlano Manconi, Palma, Pagano e Pugiotto
Foto: AP/LaPresse
P
bri, fotografata al settembre 2011. Dopo
Serbia e Grecia l’Italia è il paese del Consiglio d’Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri, dove per ogni 100
posti ci sono 147 detenuti. Siamo anche al
terzo posto per numero assoluto di detenuti in attesa di giudizio, dopo Ucraina e Turchia. Oltre ai numeri pesano anche le condanne. Particolarmente significativa quella dell’8 gennaio scorso, emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel caso
Torreggiani e altri lo Stato italiano è stato condannato per sistematica violazione
dell’articolo 3 della Convenzione europea
ovvero la proibizione di trattamenti inumani e degradanti.
assessore missione giustizia di Palazzo Madama e da
alla Cultura del comune di Milano anni in prima linea per far tornare il sisteha bloccato il progetto fortemente ma carcerario italiano alla legalità. «I dati
voluto dal suo predecessore Stefano Boe- in base a cui agire ci sono già – dice a Temri: non ci sono i soldi, ha detto Filippo Del pi. Io stesso, con una semplice telefonata
Corno, per portare la Pietà Rondanini di al Dap (Dipartimento affari penitenziari)
Michelangelo nell’androne del carcere di ho raccolto un’informazione significativa:
San Vittore. In quel fatto di cronaca mila- ad oggi ci sono circa 15 mila detenuti al di
nese, archiviato senza nemmeno troppo sotto della soglia dei 18 mesi, prevista per
rumore tra le istanze dell’austerity e le sca- usufruire della detenzione domiciliare». Si
ramucce della politica, c’è una triste analo- tratta della norma che consente ai detenu- E il governo Monti prese tempo
gia con quel che accade nelle patrie prigio- ti che hanno meno di 18 mesi di pena resi- Il “peso” di quella condanna è ben sinteni: nessuna Pietà per San Vittore, nessuna dui di scontarli ai domiciliari, contenuta tizzato da Andrea Pugiotto, ordinario di
pietà per le carceri italiane, ripetutamente nel decreto svuota carceri dell’ex guardasi- diritto costituzionale a Ferrara e firmacondannate da organismi internazionali gilli Paola Severino e in scadenza a settem- tario, insieme a 136 tra giuristi e garanper le condizioni inumane in cui il sovraf- bre. «Personalmente – riprende Manconi ti dei detenuti, di una lettera sullo stato
follamento costringe i detenuti. Eppure – auspico una proroga del decreto Severi- allarmante della giustizia e delle carceri
in queste ultime settimane
al capo dello Stato. «Si tratqualcosa è sembrato muota – spiega a Tempi – di una
PER IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE
versi. La settimana scorGIUSTIZIA DEL SENATO PALMA (PDL) «parlare di sentenza pilota che accerta
sa il ministro dell’Interche le carceri italiane sono
amnistia fuori da un sistema di interventi strutturalmente lesive delno Annamaria Cancellieri
più ampio significa PRESTARE IL FIANCO
ha visitato il carcere romala dignità dei detenuti e che
no di Rebibbia. Il tema del
concede all’Italia un anno
A CHI paventa rischi per la sicurezza»
sovraffollamento delle cardi tempo, da quando la senceri è stato toccato anche dal premier del- no e un innalzamento della soglia anche a tenza diventa definitiva, per mettere in
le larghe intese Enrico Letta nel suo discor- 20-24 mesi. Ridurre il numero delle condi- atto una serie di misure per risolvere il
so di insediamento. La commissione Giu- zioni ostative alla detenzione domiciliare problema del sovraffollamento e risarcistizia del Senato, presieduta dal pdl Nit- darebbe ossigeno alle nostre carceri».
re coloro che ne sono stati danneggiati».
to Palma, ha da poco avviato un’indagiParlare di ossigeno non è fuori luogo. Contro quella sentenza il governo Monne conoscitiva sul tema. Lo stesso Palma, Al 31 luglio 2012 la popolazione detenuta ti ha fatto ricorso, «con evidente intenrispondendo alle domande di Tempi, rico- era di 66.009 detenuti contro una capien- to dilatorio», osserva Pugiotto mettendo
nosce che, come ha scritto la settimana za complessiva di 45.588 persone. La legge sul piatto un’altra “cambiale” in scadenscorsa sul Corriere Luigi Ferrarella, più prescrive che ogni detenuto debba avere za. «Presto infatti la Corte costituzionale
che di indagini le carceri hanno bisogno circa 9 metri quadrati a testa a disposizio- dovrà pronunciarsi su una delle leggi più
di decisioni coraggiose, ma rivendica l’im- ne, ma sono oltre 400 i ricorsi per deten- “carcerogene” del nostro ordinamento, la
portanza di un momento conoscitivo che zione in uno spazio inferiore ai 3 metri Fini-Giovanardi in tema di stupefacenti,
possa fornire una base solida a quello ope- quadrati. Poche settimane fa è stato diffu- nata dall’inserimento delle sue norme nel
rativo. Più scettico il senatore Luigi Man- so il rapporto del Consiglio d’Europa sulla decreto legge sui Giochi invernali di Toriconi (Pd), anch’egli membro della com- popolazione carceraria nei 47 stati mem- no. La sua disomogeneità tematica e l’asoche settimane fa il nuovo
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INTERNI pena e redenzione/1
il sottosegretario alla giustizia
«Lo strumento dell’espulsione
per evitare il sovraffollamento»
senza dei presupposti di straordinarietà,
necessità e urgenza richiesti dalla Costituzione, la rendono un testo illegittimo.
Bene hanno fatto la III sezione della Corte d’Appello di Roma e, ora, la Cassazione
ad impugnarla alla Consulta». Il ritornello della mancanza di soldi non funziona
come scusa, neanche per il governo delle
larghe intese che deve inventarsi la formula per far convivere rigore e crescita. «Chi
non riesce a cogliere la violazione di legalità in atto – riprende il professor Pugiotto
– si ponga almeno il problema dal punto
di vista economico: nel solo 2012 l’Italia è
stata condannata a pagare circa 120 milioni di euro per non aver adeguato i propri
standard giuridici ai livelli imposti dalla
Convenzione Europea dei diritti umani,
non solo in ambito carcerario».
Ma parlare di emergenza carceri significa anche parlare di amnistia, un termine
che anche il magistrato di sorveglianza di
Milano, Guido Brambilla, ha evocato (cfr.
servizio precedente) come una misura che
«potrebbe favorire un clima di pacificazione in questo momento storico». «Non so se
si possa parlare di pacificazione nazionale – osserva il senatore Manconi. Ma carcere e giustizia vivono una condizione di
eccezione, richiedono dunque provvedimenti di eccezione per ripristinare quella normalità che consenta poi di agire per
risolvere il problema alla radice. Oggi la
situazione è troppo congestionata». «È evidente – interviene il vicedirettore del Dap
Pagano – che l’amnistia crea uno spazio
di cui le nostre carceri hanno drammaticamente bisogno, però credo che tecnicamente debba essere l’inizio o il termine di un percorso, non un episodio isolato. Nel 2006 con l’indulto sono usciti trentamila detenuti ed era giusto che accadesse. Però da allora è mancato un progetto
che evitasse di ritrovarsi nella stessa situazione». La necessità di un percorso che eviti uno svuotamento solo temporaneo delle carceri è sottolineata anche dal profes18
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Occorre recuperare il concetto che la pena detentiva, e soprattutto la
pena scontata in carcere, deve costituire l’extrema ratio in un sistema che
avrà sempre meno risorse per gestire e concludere un processo penale; e
per assicurare condizioni di detenzione conformi al senso di umanità. Ma
questo non deve, tuttavia, significare il depotenziamento del deterrente
costituito dalla pena. La pena detentiva sia riservata ai casi più gravi
(delitti di allarme sociale) e quella pena deve essere certa ed effettiva.
Per arrivare a questo risultato occorre sviluppare, oltre ad un massiccio
sfoltimento delle fattispecie di rilievo penale, il ricorso ampio a pene
pecuniarie per i reati di scarso allarme sociale, affidando agli enti locali la
competenza ai fini dell’esazione delle pene, e assegnando loro il ricavato. Occorre tener presente che nella passata legislatura la camera dei
deputati ha approvato a larga maggioranza una legge delega al governo
in materia di pene detentive e non carcerarie, prevedendo che per i delitti
puniti con la reclusione non superiore del massimo di 4 anni la pena
detentiva principale sia la reclusione presso l’abitazione del condannato o
altro luogo pubblico o privato di cura, assitenza, accoglienza denominato
“domicilio”. Nell’attuale legislatura è stato ripresentato lo stesso il testo
la cui discussione è stata calendarizzata in commissione proprio questa settimana. Ciò denota grande attenzione sia del parlamento sia del
governo su un tema molto sentito e la cui soluzione non è più procrastinabile. Inoltre è necessario sviluppare anche lo strumento dell’espulsione: il
problema del sovraffollamento è legato soprattutto all’alta percentuale di
detenuti stranieri che non hanno risorse all’esterno e quindi non possono
fruire di misure alternative. Non ha senso quindi intervenire con la pena
detentiva su questi soggetti, per i quali ben difficilmente si può ipotizzare
un percorso di reinserimento sociale sul territorio nazionale.
Cosimo Maria Ferri
sor Pugiotto («la clemenza collettiva è una
scelta politica imposta dalla necessità di
recuperare la Repubblica al rispetto della
sua stessa legalità, interna e internazionale», sottolinea) e dal Senatore Palma: «Personalmente credo che l’amnistia sia un
formidabile strumento di deflazione dei
carichi giudiziari e solo in parte (e non so
in che misura) può incidere sul sovraffollamento carcerario. Ma parlare di amnistia fuori da un sistema di interventi più
ampio significa porre in essere un intervento non decisivo, che si presta a strumentalizzazioni politiche di chi paventa
rischi per la sicurezza dei cittadini».
Tenere conto della pericolosità
Il tema della sicurezza, tuttavia, va affrontato in un’ottica più ampia e di certo meno
strumentale di quella che mira a suscitare
paure nei cittadini. Perché se è vero, come
scrive il giudice di sorveglianza Brambilla, che la quota dei detenuti socialmente
pericolosi è molto bassa, è allora necessario pensare a strutture che tengano conto
del livello di pericolosità. Può trattarsi di
strutture in cui lo Stato delega, almeno in
parte, la gestione a quelle associazioni del
privato sociale che già operano con successo in tante carceri italiane? «Assolutamente sì – risponde Pagano. Noi come Dap stiamo facendo molto per i detenuti a media
sicurezza e per le cosiddette pene alternative. Il carcere deve essere l’extrema ratio.
Le strutture a bassa soglia di pericolosità,
tuttavia, più che altro devono finire nelle
pene alternative». Molto più cauto il senatore Manconi, che, pur ribadendo l’importanza delle pene alternative, avverte che
«se parliamo di strutture alternative il privato sociale può entrare, ma se si parla di
custodia no: della custodia deve occuparsene lo Stato. Laddove dovesse essere necessario esercitare l’uso della forza ci deve essere solo lo Stato». D’accordo anche Nitto Palma per cui «la parte di sicurezza e ordine
deve rientrare nelle competenze dello Stato». «Le pene alternative e la collaborazione
con il privato sociale – conclude il professor Andrea Pugiotto – sono da valorizzare,
ma il momento della custodia e dell’esecuzione della pena non va in alcun modo privatizzato. Il varco aperto dal meccanismo
del project financing previsto nella scorsa
finanziaria andrà per questo attentamente
monitorato, per evitare questa deriva». n
ESTERI
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PENA E REDENZIONE/2
DA NOVA LIMA (BRASILE) RODOLFO CASADEI
Queste celle
non sono
galere
Nell’Apac di Nova Lima, Brasile, sono i detenuti
ad aprire la porta della prigione. Usano coltelli,
lavorano, vivono insieme ai liberi. Sono trattati
come persone. E ritrovano la propria umanità
È
proprio come raccontava Tomaz de
Aquino Resende, il procuratore brasiliano ospite del Meeting di Rimini l’anno scorso. Non ci sono guardie, né
armi, né manganelli, né divise carcerarie,
né filo spinato o cocci di bottiglia sopra
i muri, e il portone d’ingresso te lo apre
un carcerato, uno che è lì dentro a scontare la sua pena. Invece c’è gente al lavoro in una vera e propria panetteria che
serve le scuole comunali, nella cucina a
preparare i pasti per tutti, nel laboratorio del “regime chiuso” a incollare tesserine di vetro su tondi di legno dipinti
per rimettere ordine nella propria testa.
E tanti non ci sono perché si trovano a
lavorare fuori, nei cantieri, negli uffici
comunali, nei campi, ma torneranno tutti la sera e non ci sarà bisogno di contarli
perché rientreranno tutti. Ci sono in giro
posate, coltelli, martelli, strumenti musicali e altre cose ancora che i detenuti del
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sistema comune, in Brasile come in Italia, non si possono nemmeno sognare. E
del personale amministrativo fanno parte uomini e donne che nessuna barriera
separa dai detenuti dei regimi aperto e
semi-aperto.
Gli Apac (Associação de Proteção e
Assistência aos Condenados), prigioni
pensate e operate per recuperare il detenuto anziché per punirlo, esistono, noi
ne abbiamo visitata una. Poco distante da
Belo Horizonte, capitale del Minas Gerais,
in mezzo al verde esuberante delle colline di Nova Lima, dove le notti sono molto fresche e il calore ti investe all’ora di
pranzo, le mura azzurrine suggeriscono qualcosa che va oltre l’ordinario. «Il
metodo che si applica qui si riassume
in tre parole: amore, fiducia, disciplina.
Come avete visto il portone non ve l’ha
aperto una guardia, ma un recuperando. Qui non c’è posto per manette, poli-
Chiavi delle celle, Apac
maschile in Santa Luzia,
Minas Gerais, Brasile
(foto: Marina Lorusso)
zia, cani da guardia, perché tutto lo spazio è occupato dall’amore: l’amore per
le nostre vite del giudice che ci ha permesso di venire a scontare la nostra pena
qui, l’amore dei volontari che ci assistono e ci accompagnano». João Carlos Silva è un umile muratore che si è già fatto
sei anni di prigione, nell’Apac e nel sistema comune, e altri ancora ne dovrà scontare per un reato che non vi diciamo. Ma
parla come un poeta, o più semplicemente come un uomo dentro al cui cuore la
gratitudine ha preso il posto dello sconforto. Con naturalezza pronuncia la parola “recuperando”, che qui non ha il solito suono vuoto dell’eufemismo di maniera, ma finalmente esprime armonia: tutte le comunicazioni nelle bacheche sono
dirette ai “signori recuperandi” e tali loro
si sentono. Su una delle pareti sta scritto il motto più noto degli Apac: «Aqui
entra o homem o delito fica lá fora».
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ESTERI PENA E REDENZIONE/2
DALL’EUROPA E DALLA BANCA MONDIALE
Corsi per i recuperandi
Premiata l’italiana Avsi
Cioè «Qui entra l’uomo, il delitto resta
fuori». È la chiave del metodo: per recuperare il detenuto occorre far riemergere l’umano che è in lui, sepolto sotto tante cose delle quali il delitto per cui è stato condannato è la più pesante. Schiacciato dalla colpa, un uomo non si redime
e non si recupera. Se si comincia togliendo quel peso, tutto diventa possibile. Perfino accettare di convivere con quelli che
nelle altre prigioni sono gli unici detenuti segregati per non finire linciati: i condannati per stupro e per pedofilia.
Si comincia con una preghiera
«Il sistema comune punisce tutti e non
recupera nessuno. Ti fa diventare un animale, un mostro. Non c’è alcuna prospettiva di vita sociale, ne uscirai peggiore di
come sei entrato», racconta José Antonio
Junio, che deve scontare 33 anni di carcere per una serie di rapine e ha trascorso 7 anni nelle carceri comuni prima di
approdare, nove mesi fa, all’Apac di Nova
Lima. È assegnato, per il momento, al
regime chiuso, che non permette di uscire all’esterno per lavorare o per visite alle
famiglie, ma nel quale è possibile ricevere periodicamente visite dei familiari senza le umiliazioni cui sono sottoposti nelle prigioni comuni (con perquisizioni a
luci rosse) e persino della propria moglie
o compagna, con la quale ci si può periodicamente appartare per qualche ora. Se
ce lo si è meritati con un comportamento
irreprensibile. «Anche qui sono un detenuto, ma non mi sento un detenuto. Ogni
essere umano è recuperabile, ma bisogna far emergere l’umano che è in lui. In
un sistema che opprime il carcerato e la
sua famiglia, questo non è possibile. Qui
sono trattato come una persona, e ciò mi
ha fatto capire che un certo tipo di vita
non conviene. Il dialogo, la comprensione, il rapporto con la tua famiglia ti fanno riscoprire i valori dentro di te e vuoi
intraprendere una nuova vita. Chi viene
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Il progetto ha appena due anni di vita,
ma la Banca Mondiale lo ha già premiato
come uno degli approcci più promettenti in
materia e l’Unione Europea ha già deciso di
rifinanziarlo per un altro biennio. La formazione e l’aggiornamento professionale dei
detenuti degli Apac, le strutture carcerarie
speciali del Brasile in cui è praticata una
metodologia avanzata per il recupero sociale
e umano dei condannati, è valsa alla Ong
italiana Avsi uno dei premi “Experiences from
the Field” istituiti dalla Banca Mondiale per
far conoscere i progetti più efficaci in tema
di creazione di posti di lavoro e di formazione
professionale. Il progetto, che si sta svolgendo in alcuni istituti di pena del Minas Gerais,
ha conquistato il premio nella categoria Most
Promising Approach, ed è stato ritirato a
Washington il 20 maggio scorso dal segretario generale Alberto Piatti e da Maria Teresa
Gatti, direttore Knowledge Management.
L’Unione Europea, che aveva finanziato il
progetto per il biennio 2011-12, ha deliberato
di rifinanziarlo anche per il biennio 2013-14 e
di considerarlo uno dei suoi progetti di punta
in Brasile. Il 16 maggio numerosi ambasciatori dei paesi dell’Unione Europea presenti
in Brasile hanno visitato uno degli Apac
presenti nello stato del Minas Gerais. Avsi è
entrata in contatto per la prima volta con la
realtà degli Apac nel 2009 e ha presentato
nel 2010 il progetto in occasione del bando
indetto nel contesto dello Strumento europeo
per la democrazia e i diritti umani.
qui viene nella casa di Dio, perché l’Apac
è sorto ai piedi della Croce».
Il misticismo di Junio non è per niente
estemporaneo. La spiritualità è parte integrante del cammino di recupero immaginato quarant’anni fa da Mario Ottoboni,
l’avvocato di San Paolo coinvolto in esperienze di pastorale carceraria che ha creato e diffuso il metodo degli Apac. In tut-
te e tre le sezioni della prigione esiste
una cappella riservata alla preghiera personale non solo per aiutare gli esami di
coscienza, ma perché, come diceva l’avvocato paulista, «la redenzione personale
ha bisogno dell’intercessione». In tutte e
tre una volta alla settimana (non la domenica, giorno riservato alle visite dei familiari) si assiste alla Messa o al servizio pro-
«Il dialogo, la comprensione, il rapporto con
la tua famiglia ti fanno riscoprire i valori
dentro di te e vuoi INIZIARE una nuova vita»
«Qui non c’è posto per MANETTE,
POLIZIA, cani da guardia,
perché tutto lo spazio è
occupato dall’amore: l’amore
per le nostre vite del giudice
che ci ha permesso di venire
a scontare la nostra pena qui,
l’amore dei volontari che ci
assistono e ci accompagnano»
Foto: Avsi, Rodolfo Casadei
Nessuno nell’Apac
trascorre il giorno
in cella: i detenuti
del regime aperto
e semi-aperto
lavorano all’esterno
o nella panetteria
interna che sforna
5 mila panini al
giorno per le mense
scolastiche e per
il carcere comune.
In cucina sono
i detenuti stessi,
a turno, a preparare
i pasti per tutti
testante. Tutte le mattine la giornata inizia alle 7 con una preghiera ecumenica
comunitaria, e a chi non partecipa viene
affibbiato un punto di penalità. Una volta all’anno bisogna anche partecipare a
un ritiro spirituale che si chiama Giornate di liberazione con Cristo, una tre giorni di testimonianze cristiane, preghiera e
riflessione personale che coincide col Carnevale (durante il quale vengono annullati tutti i permessi d’uscita per non indurre in tentazione i recuperandi) e a cui
prendono parte molti esterni.
Insomma nell’Apac si trovano riuniti
nella stessa struttura gli stessi regimi car-
cerari che esistono separati nelle prigioni
comuni (chiuso, semi-aperto e aperto, ai
quali a Nova Lima sono assegnati rispettivamente 36, 24 e 10 detenuti, per un totale di 70 soggiornanti); gli alloggiamenti
sono migliori delle celle sovraffollate delle altre prigioni ma simili ai più scadenti
fra quelli italiani. Vi si trovano celle piccole e poco illuminate che ospitano in
uno spazio ristretto quattro detenuti in
coppie di letti a castello ricavati in strutture in muratura oppure camerate da
sedici posti nei regimi aperto e semi-aperto. Ma la vita è completamente diversa. I
detenuti convivono con personale ammi-
nistrativo civile e con volontari, perché
l’Apac di per sé è un ente no profit proprietario o gestore dell’istituto di pena:
ebbene sì, in Brasile esistono carceri privatizzati, gestiti dal privato sociale.
Una donna per capo
Quello di Nova Lima, per esempio, è stato donato dal Comune insieme al terreno su cui sorge all’Apac locale, che oltre
a remunerare una piccola quota di personale amministrativo, si preoccupa di
attirare a prestare la loro opera singoli
volontari e associazioni, che rappresentano il legame della struttura con la
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ESTERI PENA E REDENZIONE/2
«Qui entra l’uomo, il delitto resta fuori» è
il motto che campeggia sulle pareti degli
Apac. A destra, la lavagna delle “valutazioni
disciplinari” dei detenuti e dei volontari
comunità locale. I volontari sono medici, psicologi, dentisti, avvocati o semplici cittadini che si prestano ad accompagnare i detenuti in ospedale o in qualche
ufficio amministrativo. Ad essi si aggiungono sacerdoti e cristiani impegnati che
animano i ritiri spirituali. «I volontari ci
piacciono tantissimo», spiega Silva, «perché vedere gente che dedica il suo tempo gratuitamente per noi ci aiuta a recuperare la stima in noi stessi e la voglia di
migliorare». Sandra Gil Carneiro Tibo, la
presidente dell’Apac di Nova Lima che
svolge compiti analoghi a quelli di un
direttore penitenziario, trascorre qui dieci ore al giorno, dalle 8 alle 18, ed è una
volontaria non retribuita. I detenuti si
sentono onorati del fatto che le autorità si fidino a tal punto da permettere che
sia una donna a interagire con loro senza
barriere, come accade negli Apac.
L’educazione alla responsabilità
Nessun detenuto trascorre la giornata
nelle celle: quelli del regime aperto e
semi-aperto lavorano all’esterno oppure nella panetteria interna che sforna 5
mila panini al giorno per le mense scolastiche comunali ma anche, gratuitamente, per i detenuti del carcere comune, e
nella cucina, dove sono i detenuti stessi, a
turno, a preparare i pasti per tutti coloro
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che all’ora di pranzo e di cena si trovano
dentro alla struttura. Quelli del regime
chiuso si dedicano al bricolage terapeutico, alla musica (hanno un coro e una
band entrata in crisi dopo che il chitarrista è stato “promosso” al regime semiaperto) e alla pallavolo. Tutti sono entusiasti della cucina: «Non c’è paragone
fra il cibo che mangiavamo nelle carceri
comuni, che aveva sempre sapore di andato a male oppure era freddo, con quello che viene acquistato dai responsabili
degli Apac e che noi stessi cuciniamo e
mangiamo con vere posate, non con cucchiai di plastica!», spiega Silva. La politica
degli acquisti alimentari e della preparazione del cibo è uno dei motivi, insieme
all’assenza di guardie carcerarie, del notevole risparmio nei costi di un Apac rispetto a quelli di un carcere comune: in questi ultimi un detenuto costa 2.100 reais al
mese, in un Apac solo 900 (vale a dire 803
e 344 euro rispettivamente). In quello di
Nova Lima, il 30 per cento dei costi sono
coperti dai proventi del lavoro dei detenuti (i quali sono compensati con 250 reais
al mese, quasi 100 euro, e si vedono scalato un giorno di detenzione ogni tre giorni di lavoro), il 70 per cento da fondi dello stato del Minas Gerais.
Si diceva all’inizio che i capisaldi
del metodo Apac sono amore, fiducia e
Un modello anche all’estero
Promozioni e retrocessioni da un regime
all’altro avvengono sulla base delle penalità accumulate o evitate nel corso della
detenzione se si commettono colpe leggere o medie. Il computo delle penalità lievi e medie e la loro cancellazione in forza di comportamenti virtuosi sono invece responsabilità di un organismo composto esclusivamente di detenuti: il Consiglio di sincerità e solidarietà. Ce n’è uno
in ciascun regime. Il suo presidente è scelto dalla direzione fra i detenuti della relativa sezione, dopodiché lui sceglie altri
sei detenuti con cui si riunisce e delibera
quando si verificano infrazioni. Le gerarchie di potere e di controllo fra detenuti,
che in tutte le carceri del mondo esistono
informalmente e inevitabilmente diventano strumento di abusi e ingiustizie, qui
sono formalizzate e messe al servizio del
recupero di tutti i detenuti.
Nati a San Paolo, oggi gli Apac si
trovano quasi esclusivamente nel Minas
Gerais: è lì che si concentrano 33 dei 35
attualmente funzionanti in Brasile. Ma
nel mondo esistono molte esperienze che
si ispirano a questo modello: in Canada,
Colombia, Cile, Costa Rica, Bolivia, India,
eccetera. In Italia no. Non ancora. n
Foto: Rodolfo Casadei
«I volontari ci piacciono tantissimo. vedere
gente che dedica il suo tempo gratIS per noi
ci aiuta a recuperare la stima in noi stessi»
disciplina. Il terzo punto è assai importante. Il metodo Apac funziona perché
i detenuti sono trattati come persone,
ma anche perché sono responsabilizzati per quello che avviene all’interno della struttura. In caso di infrazioni gravi, come la fuga o l’introduzione di droga o alcolici o telefoni cellulari individuali, aggressioni e furti, a pagare sono
tutti i detenuti del regime in cui avviene l’illecito, che si vedono negare privilegi relativi alle telefonate, alle visite familiari e ad altro. Il singolo colpevole viene
rispedito per sempre nel sistema comune. «L’Apac è per tutti, ma non tutti sono
adatti all’Apac», filosofeggia un detenuto.
L’INTERVISTA
GUERRIERA NATURALE
Camille
Paglia
Atea, lesbica e libertina, l’allieva di Harold
Bloom ha detto basta al dogma liberal che
nell’opera d’arte cerca solo lo choc. «La fede
è una fonte di cultura molto più ricca della
sciocca e mortifera religione secolarizzata»
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DA NEW YORK MATTIA FERRARESI
Camille Paglia, 66 anni,
insegna Humanities and
Media Studies alla University
of the Arts di Philadelphia. I
suoi libri più noti sono Sexual
Personae e Break, Blow, Burn
toso. Oggi di quell’epoca idolatrata sono rimasti soltanto surrogati. Negli anni Settanta c’erano le immagini potenti di Mapplethorpe, oggi ci intratteniamo
con quelle insipide usate da David Bowie in un video
che non riesce nemmeno ad aspirare alla blasfemia.
Negli anni Ottanta c’era quella musa pop rigogliosa
e vitale di Madonna, oggi c’è il suo simulacro asessuato e posticcio, Lady Gaga.
Pochi intellettuali cresciuti nel brodo controculturale degli anni Sessanta hanno intuito che la
Foto: Michael Lionstar
A
forza di sbarazzarsi dei vecchi cimeli nel nome dell’avanguardia, del nuovismo, della liberazione da oppressioni non
meglio specificate, della decostruzione, del post-qualunque cosa, della ribellione al principio di non contraddizione, insopportabile retaggio della logica aristotelica, la cultura contemporanea si è ritrovata vuota e triste come una
casa sfitta. Nelle sue stanze l’aria si è fatta irrespirabile. La forza scioccante di tanta arte prodotta in opposizione alle convenzioni si è imborghesita, diventando la più bolsa delle convenzioni. Gli intellettuali “contrarian”,
quelli ostili alle idee da salotto e ai loro meccanismi onanistici, si sono
rifugiati in bolle culturali sterili come quelle che disprezzavano e dai loro
amboni hanno dettato uno sciapo manifesto ideologico: la dimensione del
significato è assurda e inutile. Il significato non esiste. E se esiste fa schifo.
Svuotiamo i musei polverosi, bruciamo le vecchie librerie, cancelliamo i
dogmi, recidiamo i fili, spariamola grossa, scriviamo tanto e male, rigettiamo la trascendenza e cancelliamo la religione organizzata, diciamo ovvietà che possono sembrare intelligenti ai lettori di Hitchens e agli ammiratori di Cattelan. Un programma non particolarmente vasto per una generazione che ha fatto una rivoluzione con il fiato corto e per quella successiva
che tenta di tenerla in vita con risultati che oscillano fra il ridicolo e il pie-
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Foto: Michael Lionstar
L’INTERVISTA CAMILLE PAGLIA
Paglia fa risalire la «passione
per l’aspetto artigianale
dell’arte» alle proprie origini
italiane: «Per la cultura
italiana il lavoro manuale non
era una vergogna, anzi, era
il segno di energia e abilità.
Michelangelo e Bernini non
avevano paura di sporcarsi»
(a lato, Gian Lorenzo Bernini,
Baldacchino di S. Pietro, 1633)
IL LIBRO
GLITTERING
IMAGES
Autore
C. Paglia
Editore
Pantheon
Pagine
202
Prezzo
30 dollari
In uscita in Italia
in autunno
per Il Mulino
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propria generazione si stava infilando in un vicolo cieco come Camille Paglia, critica d’arte e donna di lettere cresciuta alla scuola di Harold Bloom.
Paglia dice di essere stata la prima studentessa lesbica di Yale. Di certo è stata una delle più controverse, la «femminista dissidente» che elogiava la forza vitale della pornografia, difendeva la prostituzione («la prostituta non è la vittima dell’uomo, come
dicono le femministe, ma la sua conquistatrice») e
metteva lo spogliarello nel genere della danza sacra,
con le offerte votive infilate negli slip. Di recente ha
sostenuto che affermare l’indipendenza femminile
andando in giro sole con un abito corto alle tre di
notte è «una fantasia borghese», perché «se fai pubblicità poi devi essere disposta a vendere». Ha criticato Lacan, Foucault, Derrida, ha abbandonato il marxismo che inquinava l’accademia, si è ribellata, da
atea, al cliché antireligioso di rigore fra gli intellettuali liberal e le femministe emancipate, e ha criticato il “suo” partito democratico da posizioni paralibertarie. Le espressioni più taglienti le ha riservate alle donne del partito e in particolare a Hillary Clinton, una «che non ha mai raggiunto nessun
risultato» e che ha alimentato l’ossessione di genere, come se il compito delle donne in politica potesse
essere perimetrato nell’emancipazione. Sono le donne repubblicane che parlano di economia e politica estera senza bisogno di fare rivendicazioni le vere
emancipate. Quando era una studentessa ha mosso
mari e monti per convincere Susan Sontag, nume
tutelare del femminismo, a tenere una conferenza
nel suo college, e ha capito la vacuità del pensiero
della sua eroina quando questa si è messa a leggere un «racconto noioso e sconfortante che non voleva dire nulla».
Sontag è soltanto una delle tante vittime di questa «guerriera naturale». Il suo ultimo libro, Glittering Images, è un viaggio nell’espressione artistica
«dall’Egitto a Guerre Stellari» (sarà pubblicato in Italia per l’editore Il Mulino in autunno); nel viaggio
si scopre che il filo che tiene insieme l’espressione
umana è la ricerca del significato. La critica marxista «che permea l’accademia (attraverso il post-strutturalismo e la scuola di Francoforte)» non è in grado di rendere ragione della dimensione psicologica, metafisica e spirituale dell’uomo, mentre il «dogma liberal» secondo cui «lo choc conferisce automa|
ticamente importanza all’opera d’arte» è tramontato: «Nel ventunesimo secolo cerchiamo il significato, non la sua negazione». In un’intervista a Tempi, Paglia racconta la sua missione di recupero del
significato dopo tanta nullificazione, la natura fisica dell’arte e il rapporto con la dimensione religiosa,
«un vasto sistema di simboli che contiene verità profonde sull’esistenza umana».
Cercare un significato nell’esistenza è un’attività
che è stata dichiarata inutile e persino illegittima
dalla cultura ufficiale. Come siamo arrivati a questo
punto?
La negazione del significato da parte degli artisti
e degli intellettuali contemporanei è una posa antiquata che risale allo choc della cultura europea per i
disastri prodotti dalle due guerre mondiali. Le radici
del nichilismo di oggi si vedono nel Dadaismo, nella
Terra desolata di Eliot dopo la Prima guerra mondiale e in Aspettando Godot di Samuel Beckett dopo la
Seconda guerra. Niente dimostra in modo più chiaro la mia ribellione contro quell’ideologia depressiva, oggi diventata un cliché, della mia avversione
al dramma di Beckett, che accetto come una pietra
miliare del teatro minimalista, ma che penso sia il
prodotto di una mente infantile, sottosviluppata e
misogina.
In che modo Samuel Beckett ha influenzato la cultura successiva?
È molto significativo che Aspettando Godot abbia
ispirato Michel Foucault e anche Susan Sontag, che
ha portato il dramma a Sarajevo. Quand’ero al college, negli anni Sessanta, odiavo quell’opera teatrale, che per me rappresentava la vacuità e l’alterigia
della vecchia, sterile avanguardia, che allora era stata spodestata da Andy Warhol e dalla Pop Art. Fellini ha mostrato che quella visione del mondo elitaria
e claustrale era già esausta nella Dolce vita, dove l’intellettuale Steiner, completamente alienato, si uccide e ammazza i suoi figli.
Poi però c’è stato una specie di revival spiritualista.
La mia generazione “back to nature” si è gettata
nelle braccia di un appassionato, assertivo rock ’n’
roll e dell’emotivamente espressiva musica soul afroamericana, sviluppo delle canzoni religiose, e ha cercato un significato nell’induismo e nella “ricerca di
visione” dei nativi americani. Ma questa alternativa
non ha retto. La distruzione del significato nel poststrutturalismo contemporaneo, che ha saturato l’accademia in Inghilterra e negli Stati Uniti, è un sistema cinico e meccanico che ha distrutto i talenti di
un’intera generazione di studenti promettenti. Non
avremo nulla di interessante nell’arte finché le tossine del post-strutturalismo non saranno state espulse.
Se dovesse fare un nome fra i responsabili di questa
involuzione, quale farebbe?
Direi Foucault, che mosso dall’invidia ha tratto le
sue posizioni da Nietzsche. Riconosco tuttavia Nietzsche come un pensatore sottile ed erudito. Foucault,
invece, a parte la storia moderna non sapeva niente,
i suoi scritti classici sono imbarazzanti e non aveva
la minima idea di cosa fosse l’arte. La sua santificazione da parte di ingenui professori di lettere è uno
scandalo enorme.
Ha scritto che l’arte è «il matrimonio fra l’ideale e
il reale» e spesso contrappone una concezione unitaria alla dicotomia fra il mondo materiale e quello
intellettuale. La crisi culturale di cui parla è anche
frutto di questa divisione radicale?
La critica d’arte è diventata incapace di dire cose
significative perché si è alienata dal regno delle cose
fisiche. La mia definizione di arte è: idee espresse in
forma materiale. L’arte non è filosofia, una rete di
parole. L’arte usa e si rivolge ai cinque sensi. Non c’è
«La critica È INCAPACE DI dire cose
significative perché si è alienata
dal regno delle cose fisiche. L’arte
non è filosofia, UNA RETE DI PAROLE.
SONO idee espresse in forma materiale»
dubbio che la mia passione per l’aspetto artigianale dell’arte venga dalla mia origine italiana. I miei
quattro nonni e mia madre sono nati in Italia. Molti immigrati partivano da Ceccano, il paese di mia
madre, vicino a Frosinone, per andare a lavorare nelle fabbriche di scarpe Endicott-Johnson, nello stato di New York. Mio nonno conciava le pelli durante il giorno e a casa faceva continuamente cose pratiche, dalla lavorazione di metalli al vino. Tutte le donne cucivano. Per la vecchia cultura italiana il lavoro
manuale non era una vergogna, anzi, era il segno di
energia e abilità. Lo si vede in Michelangelo e Bernini, artisti che non avevano paura di sporcarsi. Penso che questo principio ibrido, la fusione di idealità e fisicità, sia uno dei segreti dell’arte italiana. Non
è un caso che abbia passato 42 anni a insegnare nelle scuole d’arte. Non comunico molto bene con la
maggior parte dei professori, che vivono in una bolla mentale artificiale e spesso noiosamente borghese.
Il mio habitat naturale è fra gli artisti, perché penso
con il corpo.
La riduzione marxista «distrugge la magia e il mistero dell’arte». Ma perché quel padrone dell’universo che è l’uomo del ventunesimo secolo dovrebbe avere bisogno di magia e mistero?
L’arte è tutta una questione di magia e mistero,
sia nella fase creativa che in quella ricettiva. L’arte è
una forma di divinazione che opera nel livello prerazionale del sogno. Il marxismo è l’atteggiamento
“di default” fra i professori di arte e lettere, anche se
la maggior parte di loro non sa quasi nulla di economia. Per esempio, negli ultimi quindici anni la parola “rinascimento” è stata lentamente abbandonata
dai dipartimenti di letteratura, che la sostituiscono
con la ridicola dicitura “prima modernità”, basandosi sulla storia economica. Il termine rinascimento
ora è sgradito perché suggerisce che quel magnifico
periodo è stato la “rinascita” di qualcosa che gli accademici di sinistra vogliono negare, le titaniche conquiste greco-romane che incontrano la civiltà giudaico-cristiana e danno forma alla cultura occidentale. Il marxismo può funzionare come strumento per
interpretare il periodo successivo alla rivoluzione
industriale, ma è inutile quando si parla delle società agricole premoderne. E a parte questo, il marxismo è miope: non ha una metafisica, non contempla
la natura e la vastità dell’universo.
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CAMILLE PAGLIA L’INTERVISTA
Lei ha criticato spesso «l’impoverimento visivo»
portato dal protestantesimo, un’ondata iconoclasta
che ha cercato di cancellare l’enorme repertorio di
immagini del cattolicesimo.
I grandi riformatori – Lutero, Calvino, Knox e
Zwingli – hanno accusato il cattolicesimo di idolatria per la sua arte, considerata giustamente un
retaggio dell’incontro con il paganesimo antico. La
Riforma ha lanciato una campagna di distruzione
delle statue medievali, dei crocifissi, delle vetrate,
con l’illusione di ritornare alla parola pura. Il protestantesimo è tutto orientato verso la parola, è quello
l’unico mezzo per arrivare al divino. Nel tempo questa insistenza sul verbo ha ucciso la rappresentazione, la carnalità. Il mio interesse per l’arte è nato in
chiesa: le prime opere che ho visto sono state le meravigliose statue e le vetrate della chiesa di Sant’Antonio da Padova, a Endicott, nello stato di New York. È
lì che sono stata battezzata.
A vedere certe chiese contemporanee sembra che
anche il cattolicesimo sia diventato un po’ protestante…
Sì, e questa tendenza alla protestantizzazione del
cattolicesimo, almeno qui in America, è una cosa
che mi addolora profondamente. Le chiese vengono
rimodellate e “modernizzate”, le statue e i crocifissi a
grandezza naturale associati un tempo alla devozione degli immigrati vengono rimpiazzate con rappresentazioni mediocri e di solito dalle fattezze “astratte”. Niente di tutto questo stimolerà l’amore per il
bello in chi le guarda.
A proposito di religione. Ha litigato spesso con chi
assumeva la “postura cinica” dell’ateo à la Christopher Hitchens, un luogo comune nel mondo degli intellettuali. Perché lei, che è un’intellettuale atea, si è
dedicata a un’attività tanto impopolare?
Hitchens non sapeva quasi niente della storia della religione e del suo ruolo nella società, né si disturbava a fare delle ricerche. I suoi scritti sulla religione
sono inutili, superficiali e incredibilmente pieni di
errori. Ho dichiarato il mio ateismo nel 1990 – molto prima di Hitchens – quando il mio primo libro mi
ha catapultato sulla scena pubblica, ma ho un rispetto enorme per la religione, che considero una fonte
di valore psicologico, etico e culturale infinitamente più ricca dello sciocco e mortifero post-strutturalismo, che è diventato una religione secolarizzata. Una
volta ho anche scritto «meglio Geova di Foucault».
Quello che è stato completamente dimenticato dalla
mia generazione è che molti di noi erano impegnati
in una ricerca di significato di tipo spirituale. La controcultura hippie non era soltanto politica: nel rifiutare le convenzioni sociali, il materialismo e la religione organizzata, cercava la verità in tutte le cose.
Abbiamo ereditato il fascino per il buddismo dai poeti beat e dagli artisti degli anni Cinquanta, ma è l’induismo, con la sua teatralità, la sensualità, il senso
della commedia e la legge del karma che ci ha conquistato. Per questo i Beatles sono andati in India,
anche se poi sono tornati delusi dal loro guru. Tutti i rituali ci affascinavano, anche se, sfortunatamente, troppi dei miei compagni usavano droghe psichedeliche e funghetti allucinogeni per sostenere la loro
ricerca spirituale. Io, cresciuta nella cultura del vino,
«combatto i codici morali puritani,
le regole sui comportamenti SESSUALI,
ma ammiro le religioni per il senso di
grandezza e INSIEME di evanescenza che
l’uomo rappresenta di fronte al divino»
non avevo nessun interesse nelle droghe, e forse è per
questo che sono ancora qui. Un motivo per cui tanti
dicono che i miei lavori sono strani o inclassificabili è
perché molti dei miei coetanei di talento si sono bruciati il cervello e i polmoni. Mi piace chiamare la mia
corrente “critica psichedelica”, anche se non ho mai
provato Lsd: sono stata profondamente influenzata
dal rock psichedelico, con le sue distorsioni mistiche.
Si definisce una persona religiosa?
Anche se sono atea, sono religiosa. Vedo il mondo
come lo vedevano i filosofi del “sublime” nel diciottesimo secolo: sento il timore e lo stupore per la bellezza della natura, per la sua potenza, per la sua grandezza. Ho sempre combattuto i codici morali puritani, le regole sui comportamenti sessuali privati, ma
ammiro le religioni per il profondo senso di grandezza e allo stesso tempo di evanescenza che l’uomo rappresenta di fronte al divino. È il segno di una struggente ricerca di significato documentata in tutta la
storia dell’umanità. n
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LE NUOVE LETTERE
DI BERLICCHE
FRANCESCO ANTICAPITALISTA?
Il diavolo sgrida gli ingenui che
scambiano il Papa per un indignato
M
Malacoda, leggi un po’:
«L’umanità vive in questo momento come un tornante della propria
storia, considerati i progressi registrati in
vari ambiti. Dobbiamo lodare i risultati positivi che concorrono all’autentico benessere dell’umanità, ad esempio nei campi della salute. Tuttavia, va anche riconosciuto che
la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continua a vivere in una
precarietà quotidiana con conseguenze funeste. Alcune patologie aumentano, la paura
e la disperazione prendono i cuori di numerose persone; la gioia di vivere
va diminuendo; l’indecenza e Avverti i tuoi GIORNALISTI: “Crisi antropologica” è
la violenza sono in aumento. Si la stessa formula usata da Benedetto A PROPOSITO
deve lottare per vivere, e spesso della dittatura scientista e della crisi economica
per vivere in modo non dignitoso. Una delle cause di questa situazione, minaccia, perché rifiuta la manipolazione e
a mio parere, sta nel rapporto che abbia- la sottomissione della persona. Perché l’etica
mo con la scienza e la tecnica, nell’accetta- conduce a Dio. E Dio non è gestibile».
Questo è il discorso di un pontefice conre il suo dominio su di noi e sulle nostre società. Così la crisi che stiamo attraversando tro la manipolazione dell’essere umano, lo
ci fa dimenticare la sua prima origine, situa- leggi e pensi agli esperimenti sull’embrione,
ta in una profonda crisi antropologica. Nella all’aborto selettivo, allo scarto dei bambini
negazione del primato dell’uomo! Abbiamo deformati… I commenti della grande stampa
creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico sono prevedibili: reazionario, contro il provitello d’oro ha trovato una nuova e spietata gresso, antiscientifico, contro la libertà e i diimmagine nel feticismo della scienza e nella ritti dell’individuo…
In verità, questo è il discorso di un pontedittatura della tecnica senza volto né scopo
fice, Francesco, ma leggermente manipolato,
realmente umano».
«La grave carenza della loro prospettiva dove leggi “scienza” e “tecnica” c’era scritto
antropologica riduce l’uomo a una sola delle “denaro” e “finanza”. I commenti, soprattutsue esigenze: il consumo. Oggi l’essere uma- to a sinistra, sono stati entusiasti.
Io ti volevo solo mettere in guardia dalla
no è considerato egli stesso come un bene
di consumo che si può usare e poi gettare. superficialità della lettura che si ferma allo
Abbiamo incominciato questa cultura dello slogan e non vede il criterio. “Crisi antroposcarto. Questa deriva si riscontra a livello in- logica” è la stessa formula usata da Benedetdividuale e sociale; e viene favorita! Si instau- to per indicare la causa della dittatura scienra una nuova tirannia invisibile, a volte vir- tista e della crisi economica. Avverti i tuoi
tuale, che impone unilateralmente e senza giornalisti preferiti: l’arruolamento del Parimedio possibile le sue leggi e le sue regole. pa tra gli anticapitalisti pauperisti della deLa volontà di potenza e di possesso è diven- crescita felice è destinato all’insuccesso. Pare
tata senza limiti. Dietro questo atteggiamen- gli piacciano molto le piccole e medie impreto si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto se, non la povertà, quindi, ma la ricchezza
di Dio. L’etica dà fastidio! È considerata con- il più diffusa possibile. Dovremo rassegnarci
troproducente: come troppo umana, perché anche questa volta.
relativizza la scienza e il potere; come una
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
io caro
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L’ITALIA
CHE LAVORA
La boutique
del Marmo
Da ragazzo marinava la scuola per andare a vendere
la pietra nei cantieri di Mirandola. Oggi Gian Marco
Budri ha portato l’azienda di famiglia ai vertici del
mercato europeo. Passando dalle lapidi ai gioielli di
Bulgari. Fino al piazzale della moschea di Abu Dhabi
«S
iamo vivi e questo è ciò che conta». Qualche giorno dopo il tragico terremoto
del maggio 2012, sul sito internet dell’azienda Budri di Mirandola (Modena)
compariva questa scritta. I capannoni dell’impresa, numero uno in Europa
nella produzione e commercializzazione del marmo, si sono accartocciati su se stessi,
ma «nella disgrazia abbiamo avuto la fortuna che nessuno è morto». Gian Marco Budri,
amministratore delegato dell’azienda di famiglia, si è rimboccato le maniche e si è subito diretto a Verona, una sorta di seconda casa per i Budri: qui c’è un’altra azienda di famiglia, guidata dal fratello Gianluca, e ogni anno si tiene la più grande fiera del marmo.
«Abbiamo preso in affitto un capannone, ma era solo un deposito di lastre di marmo,
dovevamo fare tutti i lavori per poter ricominciare a lavorare: 2.600 metri quadrati, ma
mancava tutto. Con elmetto in testa, un buon progetto, un’impresa di costruzioni, elettricisti e idraulici siamo riusciti nel “miracolo”. Eravamo in 36 e lavoravamo giorno e notte: abbiamo portato fuori tutte le lastre, abbiamo fatto l’impianto elettrico e quello idraulico, le fondamenta per i macchinari. Dopo quattro settimane la fabbrica era pronta a
ripartire: il sabato abbiamo fatto la festa d’inaugurazione con le autorità e le maestranze
locali, noi indossavamo una t-shirt con la scritta “Crollo, ma non mollo” e il lunedì mattina abbiamo riavviato la produzione».
La seconda vita della Budri è cominciata nella zona industriale di Cavaion, a Verona. A
Mirandola sono rimasti solo gli uffici commerciali e amministrativi. «Siamo in 35 dipendenti. A Verona ne vivono la metà: alcuni con le proprie famiglie, altri stanno dal lunedì
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In alto, il piazzale
della moschea
di Abu Dhabi.
È pavimentato con
un bouquet floreale,
realizzato con
4 mila pannelli a
intarsio e mosaico.
Con una superficie
di circa 17 mila
metri quadrati è
l’intarsio floreale
a pavimento più
grande al mondo.
Sotto, la festa
di inaugurazione
della sede di Verona
e i danni causati dal
terremoto alla sede
di Mirandola (Mo).
A sinistra, l’ad Gian
Marco Budri
al venerdì in case che abbiamo affittato e poi tornano
per il week-end, altri ancora, come me, fanno i pendolari: partenza alle 6 di mattina e ritorno alle 19».
La prima vita di Budri, invece, era cominciata
negli anni Sessanta. Era una semplice azienda artigiana come ne esistono a migliaia in tutta Italia, specializzata nella produzione di davanzali per le finestre,
scale per le abitazioni e, soprattutto, lapidi. La casa di
papà Enzo e mamma Marisa era proprio sopra il laboratorio di famiglia. Gian Marco mostra di avere una
passione per la pietra fin da bambino, ma soprattutto,
diventando grande scopre di avere una grandissima
attitudine e propensione per il commercio.
L’anno della svolta
«Mi sono diplomato in ragioneria con un miserrimo
36», racconta il cinquantenne. «In quinta mi hanno
bocciato perché, anziché andare a scuola, andavo in
giro per cantieri a cercare di vendere il marmo. Naturalmente i miei genitori non lo sapevano. Lo han-
no scoperto quando i professori hanno chiamato a
casa. Per giustificarmi ho consegnato un ordine da un
milione e mezzo di lire. Non era una cifra astronomica, ma almeno avevo dimostrato che non andavo per
caffè a perder tempo». Terminati gli studi e dopo l’anno di militare, Gian Marco fa il suo ingresso in azienda. Era il 1982. «Ho cominciato dal laboratorio, ci sono
rimasto per una decina d’anni e poi sono passato ad
altri reparti. Ho fatto la classica gavetta: se vuoi vendere un prodotto devi conoscerne i segreti e io so alla
perfezione come funziona ogni fase della lavorazione.
La passione per il commercio credo di averla presa da
mia madre: riusciva sempre a convincere ogni acquirente a scegliere uno dei suoi marmi, anche se a disposizione ne aveva pochissimi. Oggi il mio primo figlio,
21 anni, sta facendo lo stesso. È diplomato in meccanica e sta lavorando nel laboratorio di produzione».
Negli anni Ottanta, con il boom dell’edilizia la
piccola azienda artigiana incrementa il suo fatturato, arrivano nuovi macchinari e soprattutto nuovi
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L’ITALIA CHE LAVORA
Sala da pranzo
di una villa privata.
Il pavimento
è realizzato con
marmo a intarsio
materiali. Ma è il 1992 l’anno della svolta. «Un sabato pomeriggio, per caso, incontro un amico che lavorava nel settore del vetro. Mi dice che era appena stato alla presentazione di una macchina americana in
grado di tagliare il vetro come un pantografo. E lo
stesso faceva con il marmo. Mi sembrava impossibile, ma quando ho visto con i miei occhi che era riuscita a intagliare un pezzo di vetro e uno di marmo dandogli la forma del cavallino della Ferrari sono rimasto
folgorato». Ora doveva convincere il padre ad acquistare quella Waterjet. «Non ho dormito per due notti, ma
dopo averla vista all’opera mi ero convinto. Per intenderci, nel nostro settore era come passare dall’uso
della bicicletta a quello di un aeroplano. Per fortuna
anche papà si convinse. Me lo ricordo ancora il giorno che abbiamo comprato la prima macchina: costava
«Dopo il terremoto Abbiamo preso un capannone
di 2.600 metri quadrati a Verona. Abbiamo fatto
Gli impiantI elettrico E idraulico e installato i
macchinari. Dopo 4 settimAne siamo ripartiti»
490 milioni di lire, esattamente il fatturato annuo della Budri. Papà l’ha pagata con 10 cambiali e ogni volta
che ne firmava una mi guardava fisso nelle palle degli
occhi, come a dire: adesso sono affari tuoi».
Ma avere un aeroplano non significa saperlo usare, anzi. Allora il mercato dei Budri iniziava e finiva a
Modena. Ma con quella macchina si poteva sognare.
«Non ricordo come, ma ero venuto a sapere che era stata avviata la costruzione di una moschea negli Emirati Arabi. Cercavano qualcuno che riuscisse a realizzare delle griglie in marmo per l’aria condizionata. Era
l’occasione giusta. Capito il funzionamento del macchinario è stato un gioco da ragazzi convincere gli arabi: un anno dopo facevamo i turni giorno e notte per
realizzare quelle griglie, e siamo andati avanti così
per due anni. Alla prima Waterjet abbiamo affiancato
la seconda e poi la terza, fino alle sedici attuali. Oggi
è un macchinario che hanno tutti, ma nel 1992 eravamo gli unici ed è stato così per almeno dieci anni: non
immagina quanto abbiamo lavorato».
La Budri era diventata un’azienda terzista, forse
la migliore in Italia. Compravano pietre e marmo da
Verona, Carrara e Vicenza, lo lavoravano e lo rispedivano al mittente. «Dopo dieci anni, decisi che era giun36
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to il momento di iniziare a vendere il nostro marchio.
Ci siamo messi a realizzare pavimentazioni a intarsio
di qualsiasi estensione con marmi pregiati; bagni in
marmo, onice o altre pietre semipreziose; ogni opera
che oggi realizziamo è unica al mondo, preziosa nei
particolari e nelle finiture. Da piccola azienda artigiana siamo diventati una specie di sartoria per il marmo di altissima qualità. Eravamo passati dalla serie B
alla serie A e ora volevamo conquistare la Champions.
E per farlo bisognava riorganizzare l’azienda, cioè creare una nuova struttura amministrativa, commerciale e di comunicazione. È stata mia moglie a farmelo capire, mi ha smontato come solo le donne sanno
fare: “Gian Marco, sei bravo, ma non ti conosce nessuno, nessuno parla di te. Come credi di andare avanti?”.
Da allora è la responsabile comunicazione della Budri
e grazie a lei partecipo a fiere, eventi, mi cercano per
le interviste. Il nostro marchio, pian piano, si è fatto
conoscere in tutto il mondo».
Dall’anello agli occhiali
E così è arrivata la richiesta di Bulgari: realizzare un
anello. Sei mesi dopo e non prima di aver superato 152 test imposti dalla casa di gioielli, l’anello era
pronto. Oggi è uno dei più venduti. «Ne realizziamo
15 mila pezzi l’anno. Ma soprattutto, ora abbiamo
un know-how che nessuno si sogna. E così ci siamo
chiesti: qual è l’altro oggetto cult che usano in tutto
il mondo? Gli occhiali. E li abbiamo realizzati: siamo
partiti da un prototipo che conservo ancora, anche se
il terremoto lo ha spezzato a metà, e dopo svariati tentativi e continue migliorie siamo arrivati alla mascherina». Un oggetto di un’eleganza inimmaginabile che
presto sarà commercializzato. «Per un progetto del
genere lavoriamo anche più di un anno, le tecniche
vanno affinate, migliorate e non va dimenticato che
il tutto ha un costo».
Alla base di questo successo c’è grandissima volontà, abnegazione, voglia di crescere, abitudine e attitudine a risolvere i problemi. «Se decidi di fare una cosa
che non esiste sul mercato, ti devi inventare tutto. Ci
sono centomila difficoltà, ma queste sono il sale del
nostro lavoro». Il prossimo progetto? «È già partito. La
ricostruzione del cantiere di Mirandola è già cominciata, l’obiettivo è ritornare entro dicembre 2013.
Impossibile? Superato il terremoto, tutto è possibile».
Daniele Guarneri
STILI DI VITA
CINEMA
PER UNA SOCIETà PIù GIUSTA
Mettiamo in pratica Radbruch
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
N
el 1946 il filosofo del diritto Gustav Radbruch pubblicò un articolo che conte-
neva una proposizione che divenne successivamente nota come “formula
di Radbruch”. In sintesi, la formula faceva proprie le posizioni del giusnaturalismo: giustizia e norma non necessariamente coincidono, e in caso di conflitto non è la norma formale a dover essere applicata, ma la giustizia. Tra le leggi
sono distinguibili quelle la cui applicazione è non sostenibile per gravi contraddizioni con i princìpi della giustizia (naturale, anche se Radbruch non usa questa
espressione) e quelle talmente in contraddizione con i diritti delle genti da dover
essere addirittura considerate “non leggi”. È importante che questa affermazione
provenga da un non religioso: avrei potuto citare san Tommaso, che disse le stesse cose con alcuni secoli di anticipo, ma un non religioso fa maggiore effetto sulle menti deboli.
Quanto ho appena richiamato fa parte del patrimonio di conoscenze di ogni
persona che aspiri alla qualifica non dico di giurista, ma di esperto del diritto: io
l’ho ricordato perché voglio proporne una applicazione più specifica.
Credo infatti che la formula di Radbruch si possa e si debba applicare non solo
all’apparato normativo, ma anche alle pronunzie giurisprudenziali. Del resto, la
formula fu applicata negli anIl filosofo del diritto,
ni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso per infliggere pene
in sintesi, sosteneva che
anche severissime (in taluni cagiustizia e norma non
si quella capitale) a giudici che
necessariamente coincidono,
durante il nazismo ne avevano
e in caso di conflitto non è la
applicate le leggi.
norma formale a dover essere
Quello di nuovo che propongo è lo spostamento delapplicata, ma la giustizia
la valutazione sul merito della
sentenza per poi decidere se deve essere applicata o meno.
È infatti sotto gli occhi di tutti come il nostro sistema giudiziario sia contaminato da pronunzie che, per l’ignoranza dei giudici o per la loro malafede, non
risultano sostenibili dal comune senso della giustizia. Tali sentenze non sono in
maggioranza tra quelle pronunziate, ma la loro presenza è sufficiente a inficiare la buona considerazione per il sistema giudiziario che gli altri giudici – quelli
onesti, non ignoranti e non faziosi: la larga maggioranza – meriterebbero.
Radbruch, la giurisprudenza tedesca e il diritto naturale: seguirli significa
contribuire alla costruzione di una società più vivibile e più giusta, nella quale le
strutture pubbliche siano al servizio dei cittadini, non i cittadini al servizio del
pubblico. Lo Stato come mezzo, non come fine.
[email protected]
HUMUS IN FABULA
sostenibilità locale
Cresce la febbre
del green meeting
In tutta Italia impazzano gli
eventi “made in green”, i meeting a basso impatto ambientale che puntano a veicolare messaggi di sostenibilità col “buon
esempio” e l’osservanza di linee
guida per l’organizzazione di fiere e congressi. Il ritorno d’immagine è garantito, specie in caso
di eventi promossi dalle ammini-
38
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strazioni pubbliche: accade così che l’Emilia Romagna, con i
suoi tanti eventi a tema, risulti la regione più attenta e sensibile ai problemi della comunità,
capace di creare consenso promuovendo contenuti culturali e
premiando attraverso incentivi, certificazioni e riconoscimenti i comportamenti sostenibili da
parte di privati, enti e no profit.
Partecipatissime anche le ecofeste organizzate dalla Provincia di Roma o da quella Autonoma di Trento, Ecofesta Puglia
o quelle finanziate dalla Regione Umbria attraverso la promozione di un marchio ad hoc. Ma
No – I giorni
dell’arcobaleno,
di Pablo Larrain
Avvincente docu
film su Pinochet
La campagna pubblicitaria
che mise fuori gioco il dittatore Pinochet.
Solido film, avvincente e intelligente, a metà tra il do-
cumentario e la fiction. È
intelligente per due motivi: perché evita la trappola
dell’ideologia e degli steccati (il pubblicitario abbraccia la causa degli avversari di Pinochet ma è
talentuoso, guadagna un
sacco di soldi e non rappresenta certo un nuovo Che)
e perché è una riflessione
acuta sulla comunicazio-
HOME VIDEO
The Master,
di Paul Thomas Anderson
Opera ambiziosa
Il rapporto tra il santone di
una setta e un suo affiliato.
Ispirato alla vicenda di Hubbard, il fondatore di Scientology, The Master è l’ultimo, non
del tutto riuscito film di Anderson, quello di Magnolia e de Il
petroliere. Girato in 70mm, con
uno stile impeccabile che richiama i più grandi di tutti, da Kubrick ad Altman, è un’opera
magniloquente e ambiziosa, dominata da due interpreti titanici. Grande complessità e tante suggestioni: peccato solo per
un finale un po’ monco.
non di solo pubblico vive l’industria dei green events: certamente una splendida cornice naturale comunica più di ogni claim
o protocollo organizzativo qualunque intenzione di sostenibilità.
Così ad Imex 2013, la principale
fiera europea della meeting e incentive industry, che si è svolta a
Francoforte dal 21 al 23 maggio,
anche quest’anno il Lago Maggiore si è segnalato come meta più ambita per meeting e congressi di altissimo livello, e punta
ora a diventare la prima destinazione congressuale sostenibile presente sul mercato italiano ed elvetico, con un’offerta che
coniuga la sostenibilità a qualità, ricettività e cultura. Proprio
su queste rive, tra gli oltre quattrocento alberghi da 3 a 5 stelle
collocati nelle province di Verbano Cusio Ossola, Novara, Varese
e in quelle sulla sponda svizzera
di Locarno, Lago Maggiore Meeting Industry ha varato un piano
di promozione di eventi e convegni a basso impatto ambientale sostenuto dalla Comunità Europea. E proprio qui le spiagge
di Cannero Riviera e Cannobio
si sono aggiudicate le due uniche bandiere blu assegnate al
Piemonte dalla Fondazione per
l’educazione ambientale.
DOVE STANNO LE DIFFERENZE
ne. Da una parte infatti la
tronfia retorica del sì a Pinochet fatta di lunghi primi
piani del dittatore presentato come padre della patria, dall’altra un turbinio di
immagini, colori e musica
in perfetto stile (kitsch) anni Ottanta che fa sognare
un mondo diverso, sorriden-
te, opulento. Il paradosso è
tutto qui: un dittatore fascista che usa i mezzi di propaganda non diversamente dai
sovietici e, contrapposti, comunisti e democristiani che
utilizzano un immaginario da
Coca-Cola per vincere. visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Requisiti per la pensione
Il primo maggio ho terminato la
mia collaborazione come dirigente in Regione Lombardia. Ho 38
anni e 5 mesi tra contributi, riscatto laurea e ricongiunzione
nella cassa Inps/Inpdap. Quando
posso andare in pensione? Ci sono uscite privilegiate per esodati
del pubblico? Ci sarà una finestra
invia il tuo quesito a
[email protected]
I ragazzotti
di ieri e di oggi
Il regista
Pablo Larrain
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
A
nche una volta c’erano bande di
ragazzini che non sapevano che
fare del loro tempo, e lasciati a
se stessi si autocombustionavano e combinavano danni (avevo 10 anni e mi ricordo bene nel paese di mia nonna chi
erano, e uno è diventato sindaco, e cosa facevano) e c’era anche chi aveva una
mamma che, come dice il Papa, «aiuta i
figli a crescere, li educa ad affrontare le
difficoltà della vita, e a prendere le decisioni definitive con libertà», mamme
che erano presenti, forse un po’ meno
i padri… Eppure poteva capitare che ragazzi così entrassero in case disabitate
e le vandalizzassero, così, senza pensarci, o anche, e sono pochi anni, che due
ragazzotti facessero saltare una centralina elettrica spruzzando con un idrante, o, ed è oggi, che entrino nella tua ex
scuola sarda e ti disfino tutto, così, senza pensarci. Se oggi c’è una differenza
non è principalmente nelle famiglie
più o meno brave, presenti o assenti
nella vita dei figli, nei ragazzi scapestrati o meno. Se da mia nonna un adulto
qualsiasi vedeva un ragazzo combinare
qualcosa lo prendeva e con modi poco
moderni ma efficaci lo riconsegnava ai
genitori, perché la famiglia era parte di
una comunità più grande, e se un preside si trovava senza luce nella scuola a
causa di due ragazzotti, li metteva a rimediare al danno fatto, affidati a lui, come fossero suoi. Guardàti come fossero
figli, qui è la differenza, e la prima solitudine delle famiglie di oggi.
mammaoca.wordpress.com
per chi ha 60 anni entro il 2018?
Giorgio M.
Ci sono due possibilità: pensione anticipata, con 42 anni e 6 mesi di contributi a partire dall’1/1/2016; pensione di
vecchiaia, con 66 anni e 3 mesi di età, sempre a partire dal
1/1/2016. Entrambi i requisiti devono essere adeguati alla speranza di vita. Al momento
non sono previste uscite privilegiate per i dipendenti pubblici.
Ho 55 anni, ho lavorato dal
1/03/1978 fino al 06/04/1992.
Poi ho interrotto e ho ripreso
l’1/03/2002 fino al 31/03/2012.
Ho versato 1.066 settimane. Posso andare in pensione ?
Claudia C
Se il calcolo sui contributi è esatto, ha oltre venti anni di versamenti: il requisito previsto dalla
legge Fornero per poter andare
in pensione. Dovrà rispettare il
requisito anagrafico.
Nata nel 1968, sono dipendente nel pubblico dal 1/2/1996 e
ho il 75 per cento di invalidità dal
2007. Ho diritto ai 2 mesi di contribuzione figurativa anche se sono in contributivo pieno? Ho chie-
sto il riscatto della laurea, cambia
qualcosa rispetto a prima? Ho 3
anni di partita Iva, posso riscattare anche quelli? Grazie.
Alessandra L.
Ha diritto alla maggiorazione di
2 mesi per ogni anno di servizio,
nel limite massimo di 5 anni. Con
il calcolo contributivo la maggiorazione è utile per determinare
l’anzianità contributiva e assicurativa, non è rilevante nel calcolo
della pensione. Gli anni riscattati
sono utili per il calcolo dell’assegno. Gli anni con partita Iva non
vanno riscattati, saranno considerati nel calcolo contributivo.
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39
Tempi
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Beppe Grillo e Casaleggio?
Meluzzi: «Il M5S è una setta
messianica e millenarista»
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Simone: Il segreto (rivoluzionario)
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di Oscar Giannino
di religione
spread, ormai è una guerra
Giannino: Altro che debiti e
PER PIACERE
IL POMPIERE, ROMA
Nel Ghetto per assaggiare
i migliori carciofi alla giudìa
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI/1
Chi è Jorge Mario
Bergoglio e chi sarà
papa Francesco
Si intitola La vera storia di papa Francesco (Barbera editore,
9,9 euro, 138 pagine) l’ultimo libro di Stefano Filippi, il giornalista veronese che ha scritto l’appendice di Falce e carrello, il libro
di Bernardo Caprotti che racconta i rapporti tra Esselunga e
le Coop rosse. Il libro ripercorre
la vita di papa Francesco, dall’infanzia a Buenos Aires, alla fede
religiosa, passando per gli studi in Cile, Germania e Spagna, fino alla rapida ascesa tra i gesuiti
argentini. È la storia di un uomo
colto e intelligente che ha insegnato letteratura, filosofia e psicologia e ha cercato di capire e
interpretare i sentimenti del suo
continente. Francesco ha la responsabilità di guidare la Chiesa cattolica in uno dei periodi
più delicati della sua storia. «Sono convinto – ha detto il Papa –
che, al momento attuale, la scelta fondamentale che la Chiesa
deve operare non sia di diminuire o togliere precetti, di rendere più facile questo o quello, ma
di scendere in strada a cercare la gente, di conoscere le persone per nome. E non unicamente perché andare ad annunciare
il Vangelo è la sua missione, ma
perché se non lo fa si danneggia da sola. È ovvio che se uno
esce in strada gli può succedere
di avere un incidente, ma preferisco mille volte una Chiesa incidentata a una Chiesa malata».
LIBRI/2
La successione
al Pontificato
Benedetto XVI ha rinunciato
al ministero petrino richiamando la Chiesa alla necessità di affrontare con vigore le sfide del
nostro tempo. Trascorso poco
di Tommaso Farina
T
ra le zone turistiche di Roma, una delle più incontaminate
resta il Ghetto: vecchie case, vicoli stretti che si aprono improvvisamente su piazzette, bottegucce. E ristoranti. Molti
di essi sono ormai votati al viaggiatore che magari tornerà (forse)
tra dieci anni, di bocca buona e palato d’amianto, con improbabili interpretazioni della cucina giudaico-romanesca. Così, conviene appigliarsi a pochi “porti sicuri”. Uno di questi è il Pompiere.
Entri da un vestibolo disadorno, sali una scala e camerieri in divisa d’altri tempi ti accolgono, scortandoti in una sala antica, ariosa, dai soffitti alti, piena di dignità.
D’altri tempi è l’atmosfera, e d’altri tempi, ma attuale, è la cucina: la miglior tradizione locale, non rivisitata ma di bella purezza. Qui si magnifica il carciofo, oltretutto. Dopo una saporita bruschetta ai pomodori gentilmente offerta dalla casa, è inevitabile
assaggiare i carciofi fritti, quelli alla giudìa (mentre i carciofi alla
romana sono quelli con la mentuccia). Abbinateli a un fragrante,
perfetto fiore di zucca fritto ripieno di zucchina e acciuga, e con
l’arancino di riso ai piselli e champignon, per comporre un simpatico antipasto romano.
Di primo, seguiamo il mercato: tonnarelli carciofi e pecorino,
corposi, suadenti ma freschissimi e vividi. Altrimenti, classico repertorio romanesco: amatriciana; carbonara; cacio e pepe; gnocchi al ragù. Per pietanza, piace assai il fritto alla pecorara: costoletta d’abbacchio impanata, con cervella, carciofi e tocchetti di
ricotta di pecora, il tutto fritto. L’abbacchio si può pure mangiare a scottadito, oppure al forno con (è giusto) di nuovo i carciofi.
Altrimenti, coratella alla romana; animelle; saltimbocca; scaloppina alla vignarola; maialino arrosto con le patate. Tenetevi un
posto, tra i dolci, per la torta con le visciole. Carta dei vini senza gran respiro, ma tuttavia corretta. A testa, mangiando quattro
portate, spenderete tra i 40 e i 50 euro, serviti e riveriti da camerieri estremamente cordiali.
Per informazioni
Al Pompiere
www.alpompiereroma.com
Via di Santa Maria de’ Calderari, 38
Roma – Tel. 066868377
Chiuso la domenica
più di un mese da quel giorno
è stato eletto il cardinale Jorge
Mario Bergoglio, papa Francesco. Da Benedetto a Francesco
(Lindau, 126 pagine, 13 euro) è
la ricostruzione di questo passaggio epocale. L’autore, padre
Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica, lo
fa dal suo privilegiato punto di
osservazione, interrogandosi sul
suo significato e sulle prospettive per il futuro. Essendo gesuita, e dunque formato alla stessa
scuola spirituale di papa Francesco, Spadaro riconosce i tratti specifici della spiritualità di
Ignazio di Loyola, il fondato-
re della compagnia di Gesù, che
plasmano lo stile di vita, di preghiera e di azione del nuovo vescovo di Roma.
EVENTI
Taste of Milano, il più
grande restaurant
festival del mondo
Lo chef Lorenzo Santi
Foto: © Carlo Fico
Quest’anno il più grande restaurant festival del mondo, oltre
200 ristoranti e 300.000 foodies, su Milano vuole andare sul
sicuro. Evitando almeno le situazioni fantozziane che nelle ultime
due edizioni lo hanno visto vitti-
ma di un nubifragio (2011) e di
una tromba d’aria (2012). Hanno
anche spostato la data a cavallo tra maggio e giugno per scongiurare qualsiasi tipo di catinelle
che non sia la preziosa San Pellegrino, sponsor fisso con il suo
stand molto social e molto socievole. Il Superstudio Più, zona Tortona, accoglierà l’edizione
2013 con il compito di traghettare il food nei padiglioni ove solitamente sono il design e l’arte
a farla da padroni. Ci aspettano
gradite conferme, ma anche numerose novità. Tra le prime meritano una citazione il giovane
chef de La Maniera di Carlo Lorenzo Santi, Andrea Aprea del
Vun e Viviana Varese di Alice.
Anticipazioni sui piatti? Zuppetta di ceci con triglie e gamberi,
estratto di rosmarino e cipollotto di Tropea per la chef di Alice
e crema di riso basmati allo zafferano, ragout di vitello, crostini
con gremolada per Santi. Tra le
novità Enrico Bartolini del Devero di Cavenago Brianza, Wicky
Priyan del Wicky’s e i menù ogni
giorno diversi del pop up restaurant affidato ai Jeune Restaurateurs d’Europe. Oltre che la divertente iniziativa Blind Taste!
in cui esperti e chef metteranno alla prova i talenti sensoriali del pubblico con degustazioni al buio. Taste of Milano è dal
30 maggio al 2 giugno. L’ingresso ha un costo di 15 euro, i piatti
degli chef variano da 4 a 6 euro.
I biglietti si possono acquistare
su www.tasteofmilano.it oppure
tramite www.ticketone.it.
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| 29 maggio 2013 |
41
MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
VERSIONE MTJ 1.6 DELLA COMPATTA FIAT
500L, tanto spazio
e grande comfort
L
Fiat 500L presenta
una versione turbodiesel 1.6 più
prestante, che con i suoi 105 cavalli si affianca alla 0.9 TwinAir accreditata
della stessa potenza. Esteticamente non
ci sono novità, e così anche la Fiat 500L
1.6 Multijet si propone con forme tondeggianti e il tetto bianco o nero in alternativa al colore della carrozzeria. La grande
spaziosità dell’abitacolo è il punto forte
a gamma della
La Fiat 500L MJT 1.6. La grande
spaziosità dell’abitacolo è il suo punto
forte. Prezzi a partire da 20.450 euro
della 500L. Ci sono centimetri in sovrabbondanza anche sopra la testa, che contribuiscono a dare una sensazione di notevole abitabilità. Quest’ultima è peraltro
confermata dalla distanza tra i sedili posteriori e quelli anteriori. La capacità del bagagliaio può essere
aumentata dallo scorrimento in
avanti dei sedili posteriori, con un
volume che in configurazione a
cinque posti passa da un minimo
di 343 a un massimo di 400 litri.
Su strada, il turbodiesel di 1.6
litri si mostra elastico e bene utilizzabile anche ai regimi inferiori. La coppia massima di 320 Nm
è erogata a 1.750 giri e questo aiuta non solo nella guida in città
ma anche quando si affrontano percorsi
più tormentati e ricchi di curve. La velocità massima è di 181 km/h. Il consumo
medio omologato è pari a 4,5 litri/100
km, favorito anche dalla presenza dello
Start&Stop. Il cambio manuale ha un’impostazione classica, con innesti più che
sufficientemente precisi delle sei marce
a disposizione. La Fiat 500L 1.6 Multijet è
facile da guidare pure grazie a uno sterzo sufficientemente preciso: è in listino a
partire da 20.450 euro.
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| 29 maggio 2013 |
43
POST
APOCALYPTO
IL RICHIAMO DEL PONTEFICE
Noi preti dobbiamo
puzzare di pecora
come i pastori
T
alla notizia che tre anziani, disperati per il dramma economico che stavano passando, si sono tolti la vita. “Il suicidio come
rimedio alla crisi economica”, intitolava un giornale veneto. Terribile questa affermazione: invece di domandarsi perché succedono queste tragedie, si sbatte in faccia alla gente la circostanza più disumana, più violenta che esiste per fuggire da un serio problema o per risolverlo
radicalmente, ponendo fine alla vita. Viviamo in un mondo nel quale perfino la ragione è scomparsa dalla mappa umana. Come non chiedersi il perché… Qual è la responsabilità di ognuno davanti a questi fatti? Dobbiamo chiederci se è la politica economica la causa di queste drammatiche decisioni o se c’è qualcosa di più profondo. Non solo, ma quando cominceranno i preti a
interrogarsi sulla propria responsabilità, invece di continuare a lanciare pietre contro la società
o contro gli uomini politici (senza scusare nessun politico, molte volte preoccupato solo del potere)? Perché il sacerdote che celebra la funzione funebre non comincia l’omelia domandandosi:
«Ma io cosa ho fatto, cosa sto facendo per accompagnare queste persone disperate?». Se io sono parroco non posso non conoscere i miei parrocchiani, le loro necessità e i loro problemi.
In questo senso occorre scoprire perché papa Francesco, già dal primo giorno del suo pontificato, ha detto a noi pastori che dobbiamo uscire in strada per incontrare la gente e non rimanere
chiusi nella casa parrocchiale, magari usando un pc o guardando la tv per collegarci con il mondo. Il Santo Padre ci ha anche detto che il sacerdote, come il pastore, deve puzzare di pecora, cioè deve condividere la vita con il suo gregge. Fa male vedere come molte volte noi pastori scarichiamo la nostra responsabilità sugli altri. Sembra che un suicidio o un omicidio sia solo
l’occasione per puntare il dito contro un “altro”.
Invece occorre che ci inginocchiamo davanti a un “altro” sacerdote chiedendo umilmente perdono per i nostri peccati di omissione. Sempre su quel giornale ho letto che le autorità politiche e civili hanno messo a disposizione della gente (specialmente per gli imprenditori costretti a chiudere le proprie imprese), un numero telefonico al quale poter ricorrere in un momento
di disperazione… Iniziative belle! Ma la Chiesa? Anche nella Chiesa sono sempre esistite
qual è la nostra
persone o istituzioni che si sono occupate di
responsabilità?
queste importanti e gravi questioni. In special
modo in ogni parrocchia, dove è più semplice
dobbiamo uscire in
raggiungere tutte le persone.
strada per incontrare
Lo affermo per esperienza personale, specialmente in terra di missione, se non ci occupiala gente e non restare
mo delle persone, perdiamo tempo nella corintanati nella casa
struzione di opere inutili. Mai come in questo
momento è necessario affermare che questo
parrocchiale a vedere
“è il tempo della persona”, perché è la persola tv. Le nostre omelie
na che è in crisi e non l’economia. Tutti parlano di crisi antropologica come origine di quaa cosa servono se non
lunque altra crisi. Ed è profondamente vero
conosciamo nemmeno
perché se l’io umano viene privato del signii nostri parrocchiani?
ficato della vita, della coscienza del proprio
44
ristezza e dolore sono state le mie prime reazioni
| 29 maggio 2013 |
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destino, è inevitabile che consegni la sua vita al potere, con l’illusione che questo gli risolva i problemi; mentre in realtà si trova vuoto
ed impotente. Mai come in questi tempi sento
mia questa provocazione: in chi sta la consistenza della mia vita, del mio io? Negli idoli o
nel Mistero che si è fatto carne in Cristo?
La dignità non è l’autonomia
Rispondere a questa domanda è una necessità, perché dalla posizione che assumiamo dipende la possibilità di una resurrezione o di
una morte. L’orgoglio ci ha reso ciechi illudendoci che con le nostre capacità e la nostra forza saremmo stati in grado di risolvere i grandi
punti interrogativi della vita. Mentre di fatto
siamo precipitati nell’abisso del niente, del cinismo; incolpiamo sempre l’altro. Allora da dove riprendere la strada, da dove ricominciare? Occore la Grazia di trovare quell’Uomo che
entrò nella storia affermando «Io sono la via,
la verità e la vita». Papa Francesco parla del-
di Aldo Trento
la mondanizzazione della fede. Cioè di una fede incapace di incidere, di dare una rotta alla
vita. Una fede formale che si adegua al potere
di turno, incapace di scuotere la vita dal suo
letargo e che non permette alla libertà umana
di chiedere: «Vieni Signore Gesù».
Una delle cose più tristi di questa condizione esistenziale è che si è arrivati fino al punto di scambiare il chiedere aiuto con la mancanza di dignità. È quello che si è affermato
a proposito di alcuni anziani che si sono tolti la vita. Ci hanno fatto credere che la dignità
dell’uomo coincide con l’autonomia, con il “fai
da te”. Mentre la dignità suprema dell’uomo
consiste nella libertà di chiedere, di mendicare. Affermava don Giussani: «Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo
mendicante di Cristo». Instancabilmente papa Francesco ci ricorda che mentre Dio non si
stanca di perdonare, l’uomo si stanca di chiedere perdono. «Io posso», pretesa di autorealizzazione prescindendo dalla relazione col
Mistero, è diventato la forma più diabolica
dell’orgoglio. Mentre l’uomo è relazione, è una
domanda, è un fascio di domande . Quale essere umano, afferma Gesù, può allungare la
sua vita di un solo minuto?
Troppo facile parlare dal pulpito
Davanti a questi fatti terribili che colpiscono sia giovani sia adulti, incolpiamo migliaia di fattori estranei alla nostra vita, essendo sleali con essa. Don Giussani ci diceva che
l’uomo può arrivare anche a togliersi la vita,
ma seguendo l’impeto del proprio cuore. Tutte le altre cause hanno sempre come origine
un problema affettivo: in cosa ha consistenza il nostro cuore? E la risposta non ce la dà
né lo psichiatra, né lo psicoanalista, nemmeno gli psicofarmaci. Non esiste rimedio, non
esiste farmaco che possa risolvere il dramma
del senso della vita. Tutta la nostra forza, tutta la nostra volontà non può impedire il “finire” della vita. Leggiamo cosa si afferma nel
Piccolo signor Friedemann di Thomas Mann:
«Che alla fine della storia personale ognuno,
come nuovi Prometei, pretende di raggiungere il cielo con le proprie mani» (Storie di Thomas Mann ne Il Senso Religioso). Solo prendendo sul serio il nostro cuore, aiutato dalla
compagnia della Chiesa, questa crisi, compresa quella economica, troverà l’inizio di una soluzione. Altrimenti i politici continueranno a
discutere per niente, mantenendo solo la loro
vuota loquacità in televisione e i preti continueranno a incolpare “altri”, approfittando del
potere dell’omelia, accusando i politici di essere i responsabili di questi suicidi che avvengono come risposta alla crisi. Tanto gli uni quanto gli altri senza mai domandarsi: «La mia
responsabilità personale dove è?». È arrivata
l’ora, come afferma papa Francesco, di uscire
in strada annunciando Cristo Gesù, l’unica risposta alla sete e fame di felicità, amore, giustizia, verità, del cuore umano.
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LETTERE
AL DIRETTORE
Se sbatti il topless di
Amina in prima pagina
sei un fanatico doc
D
omenica scorsa a Kerouan è stata arrestata Amina,
l’attivista tunisina che ha scelto di imitare le spogliarelliste militanti di Femen per protestare contro la
deriva islamista del suo paese. A quanto pare l’hanno ammanettata un attimo prima che riuscisse a denudarsi davanti al congresso degli estremisti salafiti. Mi ha colpito in
negativo il commento di Renzo Guolo apparso lunedì su Repubblica: «La topless jihad, con i suoi eccessi e le forzature
minoritarie tipiche delle avanguardie, mette in discussione
una dimensione chiave per i movimenti islamisti che della islamizzazione dei
costumi, dunque anche della velatura
del corpo e del rifiuto della sua mercificazione, fanno una questione di principio. Anche Femen, dunque anche
Amina, è contro la mercificazione ma
mettersi a nudo nel mondo della Mezzaluna significa innanzitutto mostrare la contraddizione dell’oppressivo e
claustrofobico dominio maschile. Un
diverso sguardo sul senso della dignità
femminile destinato a una rotta di collisione fatale». Lungi da me voler giustificare le violente usanze di un certo mondo nemico della libertà. Ma qui
non saprei dire se siano più claustrofobiche queste ultime o le categorie
mentali dei nostri giornalisti “liberal”.
Paco Minelli Ferrara
Una volta, di tutta una lectio magistralis svolta a Ratisbona da un papa, le agenzie giornalistiche occidentali isolarono un aneddoto e lo
enfatizzarono con la neanche tanto
segreta aspettativa che ciò avrebbe provocato reazioni a catena. Il
risultato fu tremendo, poiché interi parlamenti musulmani si sollevarono e ambasciatori vennero richiamati in patria. Cristiani furono
ammazzati e folle oceaniche si riversarono nelle piazze arabe. Infine,
prese la parola il New York Times,
bibbia dell’Occidente secolarizzato
e protettore di tutte le libertà. E come una qualsiasi beghina puritana
ottocentesca anche il NYT, al pari
dei mullah, chiese a papa Ratzinger
di oscurarsi e di scusarsi. Cosa che
naturalmente non fece, limitandosi a ristabilire la verità, il contesto
di un’affermazione che nulla aveva
di denigratorio a riguardo dell’islam
ma che era stata presentata e deformata come denigratoria dai due
fondamentalismi che si fronteggiano e producono quel teatrino di po-
sa che ha la stessa madre, l’ideologia, e un’identica prole, il fanatismo.
Naturalmente vi sono gradi diversi di violenza ideologica e di fanatismo. Ebbene, sbattere le tette di
Amina in prima pagina e fare del
corpo di una ragazza il messaggio
propagandistico di “liberazione della donna” secondo il business plan
che finanzia fenomeni come “femen” e nutre le categorie di Repubblica (che sono poi le categorie del
pigro e brutto conformismo di sinistra internazionale, vedi intervista
a Camille Paglia), è una forma molto stupida di violenza ideologica e di
fanatismo. Si buttano su una timida piantina di democrazia pretendendo che il topless sia l’anticamera
di una Magna Charta e Lady Gaga
l’indicatore di una raffinata cultura. Parlano di dialogo, multiculturalismo, tolleranza. In realtà agiscono
come se ci fossero ariani emancipati da una parte, loro; e noi, negri cristiani e negri musulmani dall’altra.
Ovvio che ciò produca l’esatto contrario di un programma di pace e libertà e progresso.
2
Nell’ultimo numero di Tempi mi ha
colpito il grafico riportato a pagina 49
dal quale si evince che la nazione più
virtuosa dell’ultimo decennio in termini di Pil è la Slovacchia. Mi è venuto in
mente che si tratta della stessa Slovacchia che ha difeso a spada tratta
il conio di una moneta da 2 euro con
l’effigie di Cirillo e Metodio, che la Bce
aveva bocciato. Forse che il Pil non è
un mero numero determinato da alchimie politico-finanziarie ma, come
di Fred Perri
MORATTI-AGNELLI, ALLEANZA INEDITA
I
l campionato di serie A è terminato comme d’habitude, tra gli scandali, gli arbitraggi del piffero e le polemiche. Niente di nuovo sul fronte interno. Noi ci scanniamo per un posto ai preliminari
di Champions, mentre tra due giorni i tedeschi occuperanno Wembley con due squadre per la finale di
Coppa dei Campioni. Vorrei parlarvi della strana si-
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tuazione della politica calcistica. La Fiorentina, irritata per il “furto” milanista a Siena (più che il rigore dato al Milan quello non dato al Siena urla vendetta), si
trova stretta in questa strana santa alleanza con nemiche storiche come Inter e soprattutto Juve. Eh già, gli
antichi equilibri sono saltati. Adesso la Lega calcio è
governata dall’asse Lotito-De Laurentiis con Adriano
Foto: AP/LaPresse
Ancora vi stupite se i vecchi nemici
si ritrovano nella stessa coalizione?
[email protected]
tutto il resto, dipende da quella che il
grande Chesterton avrebbe chiamato
“sanità mentale” di un popolo? Gianluca Selmi Modena
Lei non sbaglia, secondo me. E neanche secondo l’Ocse. Quando ci libereremo dall’aristocrazia europea
di ancien régime? I reazionari, infatti sono loro. A noi le tricoteuse!
2
Leggo che la Camera ha approvato
l’estensione dell’assistenza sanitaria
integrativa ai conviventi more uxorio
dei parlamentari anche dello stesso
sesso. Ma non si era parlato di abolire i privilegi/benefit della casta? Ci
siamo persi qualcosa? O è un modo
surrettizio per cominciare a far passare l’equiparazione di tutte le coppie, comprese le coppie gay? Silvana Rapposelli via internet
2
La notizia di una Marcia per la vita indetta a Roma per il 12 maggio ha fatto scattare in me e in altri amici il desiderio di parteciparvi. In breve tempo
ci siamo resi conto che si poteva anche organizzare un pullman da Brescia
e così abbiamo fatto. Era tempo che
pensavo, e così anche i miei amici, che
fosse necessario non restare indifferenti di fronte al genocidio di tante vite umane. Gli strumenti scientifici che
oggi abbiamo a disposizione ci permettono di sapere oltre ogni ragionevole dubbio che nel grembo materno
vi è a tutti gli effetti la vita umana. Lo
stesso ginecologo Bernard Nathanson,
uno dei più decisi promotori dell’aborto negli Stati Uniti (ne fece circa 75
PER USCIRE DAL TUNNEL DELLA CRISI
Occorrono finanzieri e comunicatori
che abbiano cuore e testa cristiani
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
N
on passa giorno che non mi arrivi una richiesta d’aiuto
per trovare un posto di lavoro. Provo una sensazione di soffocamento nel veder persone soffrire senza
che appaia all’orizzonte la luce che annuncia la fine del tunnel. Si sta calmando l’ondata illusoria di protesta contro gli untori che affamano il paese, ormai è chiaro che la situazione è talmente seria che occorre tacere e lavorare. Solo Papa Francesco ha parole di speranza e non teme di dare indicazioni per uscire dalla crisi. «Il
denaro deve servire, non governare» dice il Papa, e questo è il punto. Appare chiaro
che la vera esigenza è che i cattolici escano dallo stato d’intimidazione in cui sono
stati messi dalla cultura dominante. Solo i cristiani hanno il bandolo della matassa:
partono dalla persona e tutto il resto è una conseguenza. Occorrono pensatori, finanzieri, operatori che abbiano un cuore e una testa cristiani. In Italia abbiamo il conforto di un’esperienza positiva che nel Dopoguerra ha portato il nostro paese alla prosperità. Sono stati i cattolici che, assieme a tutti gli italiani, hanno lavorato bene. Ora
è il momento di ricominciare. Occorrono professionisti che siano uomini di fede,
persone con un rapporto vivo con Dio, che leggono il Vangelo, e che siano preparati,
abbiano studiato i meccanismi della finanza e della comunicazione che oggi reggono
il mondo. Fede e scienza aiuteranno i laici cristiani a edificare una società più giusta
e l’incontro del Papa con i movimenti indica la via della speranza.
mila), quando poté utilizzare i primi
strumenti scientifici come le immagini a ultrasuoni (disponibili dal 1976),
si rese conto che l’aborto è l’uccisione
di un essere umano. Smise pertanto di
praticarli e divenne un difensore della
vita (consiglio il video Il grido silenzioso dove racconta anche della sua vita) (…). È solo con un pregiudizio ottuso, oscurantista molto spesso condito
da comodo egoismo che si può negare
l’evidenza dei fatti. Così siamo partiti
per Roma e abbiamo vissuto con gioia e intensità la Marcia per la vita dal
Colosseo a Castel Sant’Angelo e quindi
fino a piazza San Pietro assieme ad altre 30 mila persone perché la coscienza degli uomini e delle donne di oggi
non si nasconda ipocritamente dietro
una legge iniqua ma si rispecchi onestamente nell’evidenza della realtà.
Giorgio Marusi Brescia
Allons enfants, la gloria ai posteri.
Foto: AP/LaPresse
SPORT ÜBER ALLES
Galliani, l’unico vero dirigente di lungo corso e larga
astuzia del calcio italiano, come nume tutelare. Prima del 2006 era l’asse Giraudo-Galliani a determinare
le sorti del football de noantri. Invece adesso la Juventus sta all’opposizione e pur avendo vinto lo scudetto segnala, sotto banco, che gli aiutoni più consistenti quest’anno li ha ricevuti il Milan nella sua rimonta
Champions. Che bizzarria.
Ma vogliamo stupirci perché Agnelli e Moratti sono alleati? Noi no, con un governo dove Brunetta sta a
braccetto con la Finocchiaro. Tutto è ribaltato, compagni e amici. Però il Grifo si è salvato e in fondo a me,
di queste robe da ricchi me ne frega assai.
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taz&bao
Vámonos
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| Foto: AP/LaPresse
Questo momento di crisi, stiamo attenti, non consiste in
una crisi soltanto economica; non è una crisi culturale. È
una crisi dell’uomo: ciò che è in crisi è l’uomo! E ciò che
può essere distrutto è l’uomo! Ma l’uomo è immagine di
Dio! Per questo è una crisi profonda! In questo momento
di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi,
chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Non chiudersi, per
favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali
pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede?
Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, si ammala.
Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai,
c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno.
Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci
dice: «Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date
testimonianza del Vangelo!» (cfr Mc 16,15). Ma che cosa
succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello
che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno
per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille
volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che
una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!
Papa Francesco veglia di Pentecoste con i movimenti,
le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali,
piazza San Pietro, 18 maggio 2013
TERRA
DI NESSUNO
ORA CHE I FIGLI SONO QUASI GRANDI
Questa casa sembra
aspettare qualcuno
M
ilano, maggio. In questa domenica i
figli adolescenti sono, come è giusto, tutti usciti. Il marito è via. Sono rimasta solo io.
Questa casa è grande, e silenziosa. In strada, poco traffico. Di domenica poi non ci sono nemmeno quegli echi quotidiani dalla
casa, la scopa di saggina della portinaia in
cortile, il getto dell’acqua dalla canna che innaffia le piante. È un silenzio assordante.
Io, al computer, sto scrivendo. Sul tappeto il cane dormicchia. Il gatto rosso salta
morbidamente sulla scrivania e viene a strusciare il muso contro le mie guance. Con le
zampe calpesta inavvertitamente la tastiera. “ZZzrrrffffffff. hhhhhhrrrrraah”, leggo,
non senza una certa curiosità. Contemplo interrogativa
i suoi bei ferini occhi verdi:
«Cosa vorresti dire?» domando. Lui chiude pigramente gli
occhi, a godersi un raggio di
sole.
Una domenica tranquilla, per quanti anni l’ho invocata. Quando i figli piccoli mi
tiravano già dal letto alle sei
del mattino, già tonici, loro:
«Dove andiamo? Cosa facciamo?». E mentre ne vestivi uno
e cambiavi il pannolino all’altra ti lambiccavi a immaginare cosa fare quella domenica,
mentre fuori pioveva e il marito dormiva –
facendo finta di niente.
Una domenica tranquilla, quanto l’ho sognata. Quando passavo i pomeriggi ai bordi
di un fangoso campetto di pallone perso nelle periferie; e rabbrividendo di freddo me ne
stavo lì a guardare un grappolo di ragazzini
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di Marina Corradi
che si azzuffavano, cercando di dare un calcio a un pallone.
E ora, ecco: proprio una domenica tranquillissima. La figlia a una festa, un altro a
un concerto, e il maggiore non so nemmeno
dove sia. Ma è davvero grande questa casa, mi
accorgo, ora che è vuota. Andava bene quando coi loro strilli i tre la colmavano fin quasi
a farla scoppiare. Ma ora, il corridoio mi pare
esageratamente lungo, il soggiorno galleggia nel silenzio, e
la cucina con il tavolo e le sedie attorno vuote sembra con
evidenza aspettare qualcuno.
Il fatto è che, quando i figli
crescono, è come un’altra gravidanza – per lasciarli andare.
Ed è giusto, e tu lo vuoi, che
si stacchino da te, da voi, e comincino a prendere il mare.
Resta il fatto che questa casa oggi davvero tace in maniera intollerabilmente rumorosa. E quelle sedie vuote in cucina sembrano
proprio aspettare qualcuno.
Anche tu, forse, ora che i figli sono quasi grandi, devi nascere di nuovo; nascere di
nuovo da vecchia, come domandò Nicodemo
a quel tale che andò a trovare, nottetempo,
per non farsi vedere da nessuno. (Forse perché si vergognava, capisci ora, di osare una
speranza così assurda e grande).
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