L’induzione «non costringe ma convince». di Antonino Piccolo Nota a CASSAZIONE PENALE, SEZIONI UNITE, 14 marzo 2014 (ud. 24 ottobre 2013), n. 12228 SANTACROCE, Presidente – MILO, Estensore – D’AMBROSIO, P.M. (diff.) - Ric. Maldera e altri Massima Il discrimine fra il delitto di concussione e quello di indebita induzione deve essere individuato nei seguenti termini: il primo reato sussiste in presenza di un abuso costrittivo del pubblico ufficiale attuato mediante violenza o minaccia, da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del destinatario che, senza ricevere alcun vantaggio, viene posto di fronte all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’utilità; il secondo consiste nell’abuso induttivo posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che con una condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione morale condizioni in modo più tenue la libertà di autodeterminazione del privato, il quale disponendo di ampi margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto personale. Sommario: 1. Cenni storici; 2. La legge Severino; 3. Induzione indebita; 4. I primi tentativi di individuare un criterio distintivo; 4.1. Il criterio delle modalità di condotta dell’agente pubblico e dell’intensità dell’effetto psicologico sul privato; 4.2. Il criterio della natura ingiusta o giusta del male prospettato dal pubblico agente e del vantaggio ingiusto perseguito dal privato; 4.3. Il criterio misto; 5. La Cassazione a Sezioni Unite. 2014 giurisprudenzapenale © www.giurisprudenzapenale.com [email protected] 1. Cenni storici Il reato di concussione, nella sua struttura tipica, antecedente alla riforma, si atteggia a fattispecie tutta italiana, poiché in altri ordinamenti si ritiene che le modalità di condotte descritte dall’art. 317 c.p. integrano un’ipotesi di estorsione, aggravata in quanto commessa da un pubblico ufficiale. La concussione fu introdotta nel codice Zanardelli e si connotava per una bipartizione delle condotte agli artt. 169 e 170, i quali, rispettivamente, prevedevano le fattispecie di concussione mediante costrizione (cd. esplicita o violenta) ovvero mediante induzione (cd. implicita o fraudolenta)(1). Durante la redazione del codice Rocco, prevalsero le tesi unificatrici che indussero il legislatore alla previsione di un’unica fattispecie che ricomprendesse entrambe le condotte. Nell’impostazione perseguita dal codice Rocco la concussione puniva il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando delle proprie qualità o dei propri poteri, costringeva o induceva taluno a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità. Il reato, quindi, poteva realizzarsi sia «per costrizione» sia «per induzione». Il legislatore del 1930, intendeva reprimere l’attività di coazione psicologica esercitata dal pubblico funzionario nei confronti del privato e il concetto di induzione serviva, dunque, a ricomprendere tutti quei comportamenti di sopraffazione della vittima non rientranti nei confini di violenza o minaccia(2). In tal senso l’interpretazione della norma orientava la giurisprudenza a individuare il discrimen tra costrizione e induzione in riferimento allo stato psicologico del soggetto passivo(3). In realtà il II comma dell’art. 170 del Codice Zanardelli contemplava anche l’ipotesi di concussione cd. negativa, la quale sussisteva allorquando il pubblico ufficiale, senza costringere o indurre il privato alla dazione o alla promessa indebita, si limitava ad accettare ciò che non gli era dovuto, giovandosi dell’errore altrui. Con l’avvento del Codice Rocco tale figura delittuosa rientrò nell’alveo dell’art. 316 c.p. (2) DOLCINI-MARINUCCI, Codice penale commentato, 2011, Milano, pag. 2965. (3) Così Cass. Sez. VI 11 dicembre 1993, n. 2985, in C.E.D. Cass., n. 196049: «l’elemento del metus publicae potestatis si atteggia in modo diverso a seconda che il soggetto passivo soggiaccia alla costrizione oppure all’induzione. Nella prima ipotesi, il metus consiste nel timore di un danno minacciato dal pubblico ufficiale, nella seconda, invece, si risolve nella soggezione alla posizione di (1) Pag. 2 2. La legge Severino Le pressioni connesse al dilagare dei reati contro la pubblica amministrazione, provenienti soprattutto dagli Organismi Internazionali, hanno indotto il legislatore a rivedere interamente la materia, adeguandola agli obblighi assunti. In particolare, la riforma della 2012 ha nuovamente scisso le due modalità di condotta riproponendo due reati distinti, tornando quindi all’impostazione seguita dal Codice Zanardelli (anche dal punto di vista dell’eliminazione dell’i.p.s. dalla concussione introdotto con la l. 86/90). Il nuovo assetto ha inteso differenziare, anche quoad poenam, l’atteggiamento prevaricatore del pubblico ufficiale rispetto a condotte di carattere persuasivo, modificando così anche il ruolo del privato che nel primo caso è vittima nell’altro concorrete. L’art. 317 c.p. ha mantenuto la sola condotta di costrizione, la quale è ormai pacificamente considerata rilevante solo in termini psichici, non assoluta (“non agit, sed agitur”) bensì relativa (“coactus tamen voluit”)(4). Il termine “costringere” significa, quindi, esercitare con violenza o minaccia una pressione su una persona, tale da alterare il processo formativo della sua volontà e determinarla alla dazione o alla promessa dell’indebito(5). L’induzione, invece, è stata inserita in un inedito art. 319-quater c.p., rubricato “induzione indebita a dare o promettere utilità”, la quale ricalca integralmente la struttura della concussione, a cui è stata aggiunta una clausola residuale. Appare intuitivo che i dubbi interpretativi connessi alla concussione per induzione hanno solo mutato fonte, in quanto, il problema consiste nell’esatta delimitazione dei preminenza del P.U. medesimo, il quale abusando della propria qualità o funzione, faccia leva su di essa per suggestionare, persuadere o convincere a dare o promettere qualcosa allo scopo di evitare un male peggiore». In dottrina è possibile ravvisare due orientamenti: da un lato, data l’equiparazione effettuata dal legislatore, si propendeva per l’irrilevanza della distinzione tra costrizione e induzione, la quale appariva come una superfetazione, in quanto gli effetti che dalle stesse si risolvevano sempre in una prestazione indebita effettuata dal privato per paura o per evitare maggiori danni (sul punto v. CHIAROTTI, Concussione, in Enciclopedia del Diritto, vol.11, 1961, pag. 703), dall’altro, si sosteneva la differenza tra le due situazioni (v. FORTE, Concussione, in Trattato di diritto penale. Parte speciale II. I delitti contro la Pubblica Amministrazione, a cura di CADOPPI-CANESTRARI-MANNA-PAPA, 2008, Torino, pag. 162). (4) L’eventuale costrizione fisica o morale, tale da annullare la volontà della vittima, rileverebbe ai sensi dell’art. 629 c.p. aggravato ex art. 61, comma primo, n. 9 c.p. (5) Vd. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, 2008, Milano, pag. 336; Pag. 3 confini del termine “induce”. Si tratta della stessa locuzione, prevista all’attuale articolo 319-quater c.p., che ancora oggi presta il fianco a interpretazioni che potrebbero essere considerate ai margini del corretto rispetto del principio di tassatività e determinatezza cui deve ispirarsi il diritto penale. Tralasciando gli innumerevoli indirizzi circa la corretta definizione dell’alveo dell’induzione, in questa sede basti richiamare una recente pronuncia del Giudice di Legittimità, il quale ha ribadito che «nella nozione di concussione per “induzione” va ricompresa qualsiasi condotta capace di creare nel privato uno stato di soggezione psicologica che lo porti ad agire nel senso voluto dall’agente, che può assumere svariate forme (quali l’inganno, la persuasione, la suggestione, l’allusione, il silenzio o l’ostruzionismo, anche variatamente ed opportunamente combinati tra loro), in considerazione anche del diverso contesto in cui i soggetti si muovono e la loro maggiore o minore conoscenza di certi moduli operativi e dei relativi codici di comunicazione(6)». 3. Induzione indebita Richiamando il concetto di induzione appena descritto, l’art. 319-quater c.p. rappresenta, dunque, un modello intermedio tra la fattispecie di concussione e quella di corruzione in quanto il privato non è libero, altrimenti sarebbe corruttore, né tantomeno costretto, altrimenti sarebbe vittima del reato. La posizione intermedia dell’induzione, lasciando margini di scelta, seppur ridotta, in capo al privato ne giustificano il rimprovero penale. Con l’incriminazione del privato si abbandona quella concezione materialistico-indulgenziale manifestata dalla fattispecie di concussione per induzione, la quale, concependo il privato come vittima del reato, di fatto alimentava i legami corruttivi con il settore pubblico (7). Scongiurare l’impunità del privato che, semplicemente indotto abbia ceduto alla pretese indebite di un pubblico agente, può senza dubbio definirsi il leitmotiv della riforma. In breve, l’art. 319-quater c.p. impone ai consociati un vero e proprio obbligo di resistenza di fronte a quelle lievi forme di prevaricazione poste in essere Cass. Sez. VI 31 dicembre 2003, n. 49538 FIANDACA, Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. pen. proc., 2000, 891; (6) (7) Pag. 4 dai pubblici funzionari. Tuttavia, la scissione effettuata dal legislatore ha acutizzato la necessità di individuare un criterio distintivo tra le norme. 4. I primi tentativi di individuare un criterio distintivo 4.1. Il criterio delle modalità di condotta dell’agente pubblico e dell’intensità dell’effetto psicologico sul privato Facendo leva sulle modalità di condotta dell’agente pubblico e sull’intensità dell’effetto psicologico determinatosi nel privato afferma l’identità di significato della costrizione e dell’induzione pre e post riforma(8). Nella sentenza in esame, la Suprema Corte pone l’accento sulla voluntas legis che si assume essere mirata a formulare il precetto in due autonome figure di reato, all’interno delle quali figurerebbero le stesse parole, costrizione e induzione, contenute nella fattispecie originaria, con le relative modifiche dal lato dei soggetti attivi e di quelli passibili di sanzione penale. Più nel dettaglio, la Corte di Cassazione si è posta il quesito se il reato di induzione indebita abbia assunto una struttura normativa differente rispetto alla precedente concussione per induzione, ossia se si sia assistito al passaggio da fattispecie monosoggettiva ad una a concorso necessario, eventualità che porterebbe a escludere una qualche continuità normativa tra i precetti antecedenti e successivi alla riforma. A tale interrogativo è stato puntualmente risposto che l’induzione indebita non avrebbe subìto alcuna modifica di tipo strutturale poiché è ed è sempre stata un reato a “tipizzazione plurisoggettiva” in quanto richiedente la collaborazione di un altro soggetto. Viene, inoltre, chiarito che la punibilità del privato indotto non inciderebbe in alcun modo sulla struttura del reato, in quanto quest’ultima scelta normativa, come anche quella, parallela, di punire con una pena minore il soggetto pubblico che induce, in nessun modo potrebbero determinare una diversa definizione delle condotte di costrizione Vd. Cass., Sez. VI, Sentenza n. 8695 del 04/12/2012 Ud. (dep. 21/02/2013 ), Rv. 254114. Il giudice di legittimità afferma che «non vi è alcun elemento espresso o implicito nelle due nuove fattispecie che possa distinguere diversamente i due autonomi precetti rispetto a quanto delineato in precedenza dal diritto vivente e, in particolare, che autorizzi a ritenere che la induzione o la costrizione abbiano assunto un altro significato. Tale conclusione comporterebbe inevitabilmente la esclusione di continuità normativa, per la diversità del significato giuridico-fattuale dei due precetti succedutisi nel tempo». (8) Pag. 5 ovvero di induzione(9). Riprendendo i tratti caratteristici delle medesime condotte ai tempi in cui si ponevano come alternative nella medesima fattispecie di reato di cui al precedente art. 317 c.p., in base a questa impostazione la causa efficiente di entrambe era ed è tutt’ora l’abuso di potere o della qualità, mentre l’elemento differenziale era ed è costituito dal mezzo usato per la realizzazione dell’evento, ossia dall’esercizio della minaccia nel caso di costrizione e in opere di suggestione tacita o di altra natura persuasiva nel caso di induzione. 4.2. Il criterio della natura ingiusta o giusta del male prospettato dal pubblico agente e del vantaggio ingiusto perseguito dal privato. La Corte di Cassazione(10) individua come punto di partenza per la distinzione dei reati di cui si sta discorrendo, l’utilizzo da un lato del termine “costringe” e dall’altro del termine “induce”, ricordando, in via preliminare, il loro impiego nella formulazione originaria dell’art. 317 c.p. a proposito del reato della sola concussione e rammentando come la loro precedente equipollenza sotto il profilo sanzionatorio “non aveva stimolato una riflessione sul loro significato specifico”, ricorrendo spesso nei capi di imputazione la formula “costringeva o comunque induceva”, ovvero l’endiadi “costringendo induceva”. In questa sede, la giurisprudenza di legittimità effettua un’analisi dapprima di tipo linguistico dei termini qui in rilievo, escludendo che questi possano indicare gli stessi momenti di un evento: costringere sarebbe un verbo descrittivo di un’azione, mentre indurre connoterebbe soltanto l’effetto e non anche il modo in cui questo venga raggiunto. In sostanza, la Corte afferma che, nella dicotomia costringeinduce, l’induzione, “per l’atipicità della relativa condotta, è il fenomeno residuale perché comprende tutto quello che si realizza senza la costrizione”, ove quest’ultima comprenderebbe l’ipotesi del pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, impieghi violenza o minaccia per ricevere indebitamente la consegna o la promessa di denaro o di un'altra utilità. Ribadendo La Corte ritiene che: «la volontà dei soggetti protagonisti dell’actio criminis è ab origine assolutamente divergente e può, all’esito della dialettica interna che caratterizza le due opposte condotte, divenire pressoché convergente, in particolar modo nell’induzione». (10) Cass., Sez. VI, Sentenza n. 3251 del 03/12/2012 Ud. (dep. 22/01/2013 ), Rv. 253938. (9) Pag. 6 il precedente orientamento che identifica la costrizione ex art. 317 c.p. limitatamente alla violenza morale, la Corte qualifica come costrizione la condotta di chi, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, prospetta un danno ingiusto per ricevere indebitamente la consegna o la promessa di denaro o altra utilità; al contrario, potrà parlarsi di induzione quando l’agente, per ricevere l’indebito, prospetti una qualsiasi conseguenza dannosa che non sia contraria alla legge(11). Seguendo questa impostazione, tuttavia, nulla osta alla sopravvenienza di minacce di tipo implicito ovvero indiretto, le quali, qualora venga sempre prospettato un danno ingiusto, sarebbero oggi classificati come casi di concussione. La Corte giunge quindi alla conclusione per cui “costringere”, condotta tipica della concussione, significherebbe «qualunque violenza morale attuata con abuso di qualità o di poteri che si risolva in una minaccia, esplicita o implicita, di un male ingiusto recante lesione non patrimoniale o patrimoniale, costituita da danno emergente o lucro cessante»; allo stesso tempo, “indurre” comprenderebbe l’ipotesi del «pubblico ufficiale che prospetti conseguenze sfavorevoli derivanti dall’applicazione della legge per ottenere il pagamento o la promessa indebita di denaro o altra utilità. In questo caso è punito anche il soggetto indotto che mira ad un risultato illegittimo a lui favorevole, salva l’irretroattività della legge penale», ove tale ultima ipotesi concernerebbe sempre la prospettazione di un male che però in questo caso non è ingiusto ed «anzi il soggetto che lo dovrebbe legittimamente subire mira ad evitarlo, consentendo l’indebita richiesta». Ricorrerà induzione indebita, quindi, nel caso in cui il privato non subisca la minaccia di un danno ingiusto, quanto piuttosto nell’ipotesi in cui questi, cedendo alla richiesta del funzionario pubblico che lo ponga di fronte all’alternativa di cedere a quanto domandato ovvero di sottostare all’applicazione di atti legittimi della pubblica amministrazione ma per lui dannosi, può trarne addirittura un vantaggio di natura economica(12). 4.3. Il criterio misto In questa ipotesi non si potrebbe parlare di minaccia perché il danno non sarebbe iniuria datum. Nello stesso senso Cass., Sez. VI, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013 Ud. (dep. 12/03/2013 ), Rv. 254440. (12) Cass., Sez. VI, Sentenza n. 13047 del 25/02/2013 (dep. 21/03/2013), Rv. 254466. (11) Pag. 7 La Corte di Cassazione, ha avuto modo di ritornare sulla distinzione tra la riformata “concussione” e la nuova “induzione indebita”, affermando, a proposito della prima, che la fattispecie conserverebbe i caratteri ed elementi costitutivi della previgente concussione per costrizione, le modifiche riguardando l’aumento del limite edittale minimo della pena detentiva e la riduzione dei soggetti attivi che possono rendersi colpevoli del reato. Quanto alla seconda nuova ipotesi delittuosa, questa mutuerebbe «significativamente gli elementi qualificanti la vecchia figura della concussione per induzione» mentre rappresenterebbe una assoluta novità la punibilità del privato, che si determina a dare o promettere perché indotto, elevato da persona offesa a coautore del reato. Individuata una continuità normativa con la previgente disciplina, si esclude una riqualificazione delle condotte di costrizione e induzione. Per cui, la costrizione descriverebbe «una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell’altrui volontà», mentre l’induzione si sostanzierebbe in una «forma di persuasione o di suggestione che sortirebbe l’effetto di spingere taluno a dare o promettere». Entrambe le condotte tipizzanti le due figure criminose si concretizzerebbero in una pressione psichica relativa che, consistendo in una «più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, le cui conseguenze dannose il destinatario cerca di evitare», sono idonee ad ingenerare uno stato di soggezione nel destinatario e orientano la volontà del privato a soddisfare le medesime richieste a lui rivolte. Appare utile ricordare che la Corte ribadisce anche che la natura del pregiudizio non debba essere necessariamente contra ius, potendo ricomprendervi anche l’esercizio di poteri doverosi ma ingiusti perché connessa al perseguimento di un fine illecito. La Corte dà atto delle passate incertezze che la distinzione tra induzione e costrizione, basata esclusivamente sul maggiore o minore grado di coartazione morale, ha di fatto causato, problematiche interpretative che non di rado hanno contribuito ad una dilatazione applicativa della precedente disposizione normativa fino a far sollevare dubbi di costituzionalità per carenza di tassatività della fattispecie penale. La giurisprudenza di legittimità ha proposto di integrare il tradizionale criterio di distinzione proprio prendendo atto di questo possibile deficit, nonché della nuova incriminazione del privato indotto, oggi coautore del reato, eventualità che imporrebbe di ricercare «elementi sintomatici ulteriori idonei a favorire una più netta Pag. 8 differenziazione tra i concetti di costrizione e induzione». L’integrazione operata dalla Cassazione si concretizza per una più corretta e agevole distinzione del tipo di vantaggio che il destinatario di quella pretesa indebita consegue per effetto della dazione o promessa di denaro o altra utilità. In tal senso, quindi, egli sarà persona offesa di una “concussione” (per costrizione) se è stato posto davanti l’alternativa secca di accettare la pretesa o subire il pregiudizio oggettivamente ingiusto (certat de lucro evitando): ciò che dovrebbe rilevare in questo caso è la mancanza, per il privato, di un seppur minimo margine di scelta, determinatosi a sottostare alla pretesa fatta valere per il solo scopo di evitare il pregiudizio minacciato e ciò anche qualora il pubblico ufficiale non abbia utilizzato forme brutali di minaccia. Al contrario, il privato sarà da considerare quale coautore del reato se la richiesta formulata dal pubblico funzionario viene posta come condizione per il compimento ovvero il mancato compimento di un atto, azione od omissione da cui il destinatario trae direttamente un vantaggio indebito (certat de lucro captando): la punibilità si spiega qui per l’esistenza di un significativo margine di autodeterminazione dovuto al fatto che la pretesa è stata presentata in forme più blande ovvero in modo solo suggestivo ovvero ancora perché il privato sia stato allettato ad acconsentire dalla possibilità di conseguire un indebito beneficio. 5. La Cassazione a Sezioni Unite Con ordinanza del 9 maggio 2013, la Sesta Sezione penale, assegnataria dei ricorsi, ne ha rimesso la decisione alle Sezione Unite, per risolvere i contrasti giurisprudenziali in merito ai presupposti per l’applicabilità degli artt. 317 e 319quater c.p. e agli elementi di differenziazione con il seguente quesito: «quale sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 c.p.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319-quater c.p. di nuova introduzione) soprattutto con riferimento al rapporto tra condotta di costrizione e quella di induzione e alle connesse problematiche di successione di leggi penali nel tempo». Le Sezioni Unite richiamando gli orientamenti sopracitati ne hanno rilevato i limiti asserendo quanto segue. In riferimento al primo orientamento, il quale Pag. 9 faceva perno sull’intensità della pressione prevaricatrice e sui relativi effetti nella psiche dell’extraneus, si evidenzia la correttezza da un punto di vista teoretico ma anche la possibilità di sfociare in arbitrio, in quanto tale criterio si affida esclusivamente ad una verifica dello stato psicologico del privato. Il secondo orientamento, se da un lato, ha il pregio di essere ancorato a criteri oggettivi legati all’oggetto della prospettazione ad opera del pubblico agente(13), dall’altro risulta palesemente inadeguato a risolvere quelle situazioni che si collocano nella cd. “zona grigia”. Infine, l’ultimo criterio utilizzato cercava di mediare tra i due orientamenti ma privilegiando il primo criterio a cui, nei casi di più difficile individuazione, si ricorreva ad integrationem al parametro del vantaggio indebito, ma la prevalenza dell’indagine psicologica del privato riproponeva gli stessi limiti, connessi all’eccessiva “soggettivizzazione”, del primo orientamento. La Suprema Corte inizia il suo iter argomentativo qualificando la condotta abusiva del pubblico agente non come presupposto dei reati ex artt. 317 e 319-quater c.p. ma come elemento essenziale e qualificante della condotta di costrizione o di induzione. Importante ricordare che è necessario individuare un nesso causale tra l’abuso e lo stato psicologico del privato, idoneo a determinare la dazione o promessa dell’indebito, onde fuoriuscire dall’alveo dei reati esaminati confluendo in altre fattispecie criminose. Aderendo all’impostazione ormai pacifica della dottrina, la Corte precisa, inoltre, che l’abuso della qualità di pubblico agente – cd. abuso soggettivo – consiste nella «strumentalizzazione […] della propria qualifica soggettiva […] cosi da far sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute» mentre l’abuso dei poteri – cd. abuso oggettivo – consiste nella «strumentalizzazione dei poteri a lui conferiti […] esercitati in modo distorto, vale a dire per uno scopo oggettivamente diverso da quello per cui sono stati conferiti e in Vd. Cass., Sez. VI, Sentenza n. 11794 del 11/02/2013 Ud. (dep. 12/03/2013 ), Rv. 254440, nella quale si afferma: «Il discrimen risiederebbe nell’oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione; danno legittimo e secundum ius nella induzione indebita». (13) Pag. 10 violazione delle regole giuridiche di legalità, imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa(14)». Ciò premesso, inizia, dunque, l’analisi del confine tra la costrizione e l’induzione. Partendo dai precedenti all’epoca della vigenza del Codice Zanardelli, la distinzione aveva riguardo della modalità della condotta del pubblico agente, il quale qualora adoperava la forza rispondeva dell’allora concussione violenta, mentre qualora inducesse in errore il privato, il quale riteneva dovuta una prestazione indebita, rispondeva di concussione fraudolenta. Con l’avvento del Codice Rocco e l’unificazione delle due fattispecie attraverso la previsione di condotte alternative, equiparate anche in riferimento al trattamento sanzionatorio, le differenze terminologiche scomparvero lentamente rilevando solo come parametro per il giudice in sede di commisurazione della pena ex art. 133 c.p. L’assunzione a fattispecie autonome ha posto in evidenza il differente trattamento sanzionatorio del pubblico agente, parametrato alla prevaricazione esercitata nel privato, il ruolo del privato che rimane impunito nella concussione, in quanto vittima, ma è sanzionato nell’indebita induzione, in quanto concorrente, e, infine, la dimensione esclusivamente pubblicistica dell’art. 319-quater(15). La costrizione, precisa la Corte, è generalmente intesa come “eterodeterminazione”, tuttavia, solo la cd. vis compulsiva, sempreché connessa all’abuso di cui sopra, è inquadrabile nello schema dell’art. 317 c.p., in quanto ciò che si intende punire attraverso tale fattispecie è il comportamento del pubblico ufficiale che, «mediante la condotta abusiva, pone la vittima di fronte all’alternativa secca di subire le conseguenze negative di un suo rifiuto, restringendo cosi notevolmente, senza tuttavia annullarlo, il potere di autodeterminazione del privato». Infatti, qualora si È opportuno ricordare che l’abuso soggettivo può configurarsi solo in termini commissivi, in quanto non è ipotizzabile un abuso omissivo delle proprie qualità. Diversamente l’abuso oggettivo, trattandosi di una deviazione della causa tipica dei poteri, può configurarsi in termini omissivi mediante l’astensione dal dovere di esercitarli ed è configurabile sia nei casi di attività vincolata che discrezionale. (15) La Corte rileva che mentre la concussione, in quanto reato plurioffensivo, lede, da un lato, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, dall’altro, la libera autodeterminazione e il patrimonio del privato, l’indebita induzione leda soltanto il primo bene giuridico. (14) Pag. 11 determini in modo assoluto la volontà del privato, cd. vis absoluta, si abbandona l’alveo della concussione in luogo di altre figure criminose. Da ciò si evince, prosegue la Corte, che possa ritenersi implicita nella condotta costrittiva una minaccia del pubblico ufficiale che, senza annullare la volontà del privato, ne condizioni la scelta. All’interno del nostro ordinamento, è possibile individuare due tipi di minaccia: la minaccia-fine (artt. 612 c.p., 2043 c.c.), la quale lede l’integrità psichica del soggetto, indipendentemente dall’effetto coartante della vittima; la minaccia-mezzo (artt. 610, 629, 609-bis c.p.), che lede non solo l’integrità psichica del soggetto ma anche la sua libertà di autodeterminazione e che è idonea a coartare (recte condizionare) la volontà della vittima. Seppur in assenza di una nozione strettamente penalistica della minaccia, è possibile, con un parallelismo in ambito civilistico, in particolare all’art. 1435 c.c., sottolineare che il danno oggetto della minaccia debba essere ingiusto e che l’elemento qualificante della minaccia non è tanto la modalità attraverso cui avviene l’estrinsecazione, quanto la sua «idoneità ad incutere nella persona offesa in relazione a tutte le circostanze del caso concreto e alla personalità dell’agente». In breve, l’antigiuridicità del danno e l’assenza di un qualsiasi movente di vantaggio indebito in capo al privato sono i parametri della costrizione rilevante ai sensi dell’art. 317 c.p. In riferimento al delitto di concussione la Corte conclude definendo il metus publicae potestatis non un elemento strutturale della fattispecie, bensì lo stato psicologico condizionato in cui il privato versa. Tuttavia, non manca di rilevare un’incongruità nel sistema a seguito dell’espunzione, dai soggetti attivi del reato di concussione, gli incaricati di pubblico servizio in quanto, conformemente a quanto sostenuto prima della riforma del 1990, anche l’i.p.s. può, nella attuale struttura della p.a., attuare condotte concussive. Inoltre, qualora tali condotte dovessero verificarsi l’i.p.s. risponderà non più di concussione, bensì di estorsione aggravata con evidenti differenze sia in termini di consumazione del reato(16) che dal punto di vista del trattamento sanzionatorio. Osserva la Corte: «la concussione si consuma anche con la sola promessa dell’indebito, l’estorsione esclusivamente con la realizzazione del profitto». (16) Pag. 12 In riferimento all’art. 319-quater c.p., la Corte precisa che bisogna affidare all’induzione una funzione selettiva residuale che permetta di attrarre nell’alveo dei suoi confini tutti quei comportamenti abusivi dei pubblici agenti non riescano, di per sé, a condizionare la volontà del privato. Infatti, la presenza della clausola di riserva, con la quale esordisce la norma incriminatrice, svolge la funzione di non sottrarre alla concussione e all’estorsione aggravata le condotte rispettivamente del p.u. e dell’i.p.s. che abbiano la vis compulsiva di cui sopra. Il rimprovero penale mosso nei confronti del privato evidenzia che costui, ancorché sopraffatto dalla posizione di preminenza del pubblico agente, abbia mantenuto dei margini di scelta libera e, quindi, viene qualificato come correo. Infatti, la minaccia presuppone una vittima, la cui condotta ancorché tipica e colpevole non sarebbe antigiuridica, ex art. 54 c.p., e, quindi, irrilevante per il diritto penale. La Corte conclude, quindi, ritenendo che l’induzione indebita si configuri attraverso l’abuso prevaricatore del pubblico agente (non sconfinante nella minaccia) e il fine di trarre un indebito vantaggio nel privato. Si evidenzia la logica negoziale, seppur asimmetrica, che pone la fattispecie in esame in una posizione intermedia tra il delitto di concussione e i reati corruttivi(17). La Corte conclude affermando che «il danno ingiusto e il vantaggio indebito sono elementi costitutivi impliciti» rispettivamente riconducibili alla concussione e all’induzione indebita, in presenza dei quali, tuttavia, il giudice non è esonerato da affrontare una indagine conoscitiva circa il movente della dazione o promessa indebita del privato. La Corte rileva che in nuovo art. 317 c.p., prevedendo la sola costrizione ha conferito maggiore determinatezza, dando rilievo alla prevaricazione del pubblico idonea a coartare la volontà del privato. La corruzione, invece, presuppone un perfetto rapporto sinallagmatico. Proprio in riferimento ai rapporti tra l’art. 319-quater c.p. e le fattispecie corruttive sarà proprio il piano negoziale asimmetrico determinato dall’abuso che, se sussistente, determinerà la sussistenza dell’induzione indebita in luogo della corruzione. Infine, la Corte fornisce anche la distinzione tra il tentativo di induzione indebita e l’istigazione alla corruzione attiva (art. 322, III e IV comma c.p.) rilevando che l’induzione possiede un quid pluris rispetto alla sollecitazione, consistente «nel carattere perentorio ed ultimativo della richiesta e nella natura reiterata ed insistente della medesima». (17) Pag. 13 Tuttavia, la sentenza individua anche i limiti del criterio appena enunciato in riferimento ad alcuni casi, puramente esemplificativi, che si connotano per una certo tasso di “ambiguità”, in particolare: - abuso della qualità: il comportamento di un pubblico agente che fa pesare la propria posizione senza fare riferimento a alcun atto del proprio ufficio o servizio. Il privato potrebbe dare o promette l’indebito, sia perché teme possibili ritorsioni antigiuridiche, sia perché intende ingraziarsi il funzionario per futuri favori. Occorrerà individuare il movente della dazione o promessa. - prospettazione di un male indeterminato: bisogna distinguere se il timore sia determinato da fattori soggettivi interni al privato oppure sia provocato dalla minaccia del pubblico agente. L’elemento qualificante è la prevaricazione costrittiva, che è ritenuta maggiore in presenza di un danno particolarmente indeterminato attestandone il carattere intimidatorio. - della minaccia-offerta: in questi casi sono compresenti sia il danno ingiusto sia il vantaggio indebito. Anche in questo caso bisogna aver riguardo del movente della dazione o promessa. - dell’esercizio del potere discrezionale: se l’attività amministrativa è prospettata in modo sfavorevole al privato al solo fine di piegare la sua volontà, sarà concussione. Viceversa, qualora l’attività amministrativa prospettata sia conforme alla legge e produca effetti pregiudizievoli nei confronti del privato, alludendo però ad un indebito vantaggio trattasi di induzione indebita. - del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: nonostante il conseguimento dell’indebito vantaggio, l’acquiescenza prestata dal privato potrebbe essere stata determinata dalla volontà di preservare un proprio interesse particolarmente elevato. Qualora il processo volitivo del privato, ancorché acquisito l’indebito vantaggio, sia stato coartato dalla pretesa del pubblico agente dovrà ritenersi integrata il delitto di concussione, viceversa trattasi di induzione indebita. Pag. 14 In tutti casi appartenenti alla cd. zona grigia si impone una «puntuale e approfondita valutazione in fatto, sulla specificità della vicenda concreta, tenendo conto di tutti i dati circostanziali, del complesso dei beni giuridici in gioco, dei principi e dei valori che governano lo specifico settore di disciplina». Sembra, quindi, che la Corte privilegi ancora una volta il primo orientamento, richiedendo al giudice di rilevare il movente della dazione o promessa indebita, con tutti i problemi in termini di accertamento sopra evidenziati. In effetti, l’accertamento della condotta di costrizione o induzione non può prescindere da un’indagine psicologica, in quanto in entrambi i casi trattasi di stati soggettivi del privato e, quindi, nonostante l’eccessiva connotazione soggettiva, non sembra possibile farne a meno. La Corte, infine, si occupa di regolare anche le questioni intertemporali rilevando che per quanto attiene alla condotta costrittiva sussiste continuità normativa tra il “vecchio” art. 317 c.p. e il nuovo non avendo la riforma modificato la struttura del reato. Si precisa che, limitatamente ai pubblici ufficiali, per effetto della disciplina prevista all’art. 2, IV comma dovrà applicarsi il regime sanzionatorio del precedente art. 317 c.p. in quanto più mite. Quanto agli incaricati di pubblico servizio, invece, la condotta costrittiva può essere inquadrabile nell’estorsione aggravata (artt. 629 c.p., 61, I comma, n.9) in presenza di una deminutio patrimoni o, in difetto, nella violenza privata aggravata (art. 610 c.p., 61, I comma, n.9) ovvero, qualora la vittima sia stata costretta a fornire prestazioni sessuali, nella violenza sessuale (art. 609-bis c.p.). Anche per l’incaricato di pubblico servizio bisogna aver riguardo del trattamento sanzionatorio più favorevole al reo. La continuità normativa è stata rinvenuta anche per le ipotesi di concussione per induzione e l’induzione indebita. Occorre subito precisare che la punibilità del privato è esclusa per i fatti antecedenti alla riforma in quanto violerebbe il principio di irretroattività delle norme penali. Invero, il reato di concussione “per induzione” da fattispecie monosoggettiva assurge a reato plurisoggettivo nell’ottica di enfatizzare la logica negoziale, seppur asimmetrica, che legittima il rimprovero penale mosso nei confronti del privato. Quanto al trattamento Pag. 15 sanzionatorio, in riferimento ai pubblici agenti, la nuova disciplina risulta applicabile in quanto, seppur sopravvenuta, presenta un regime più favorevole. Pag. 16