A quel tempo vi era un giovane chiamato Connla dalla fiera chioma figlio di Conn delle cento battaglie. Un giorno che stava al fianco di suo padre sulla sommità' di Usna, vide una giovane in strano abbigliamento venire verso di lui. Connla le chiese da dove venisse, e lei rispose che veniva dalle Piane del sempre vivo dove non c'era nè morte nè peccato e che il suo popolo era chiamato la Gente della collina. Il re e gli altri che erano con lui si meravigliarono molto sentire quella voce, ma non vedevano nessuno. Perche' nessuno salvo Connla poteva vedere la fanciulla fatata. Il re allora domandò al figlio con chi stesse parlando, alla domanda rispose la fanciulla e disse che Connla stava parlando con una fanciulla buona e che innamorata di lui voleva portarlo con se nelle sue terre dove regna Boadag e dove la giovinezza non svanirà fino all'ultimo giorno del giudizio. Il re sentendo queste parole chiamò il suo druido di nome Coran e gli comandò di far sparire quella fanciulla con qualche sortilegio. La fanciulla alle parole magiche del druido svanì lasciando a Connla una mela Per tutto il tempo che passò Connla non mangiò altro che la mela incantata della fanciulla, che ad ogni morso si rigenerava; passò così un mese Connla si trovava nuovamente al fianco di suo padre per andare verso la Piana di Arcomin, quando vide di nuovo la fanciulla che gli parlò dicendo che questa volta il druido non avrebbe potuto salvare il giovane con un sortilegio perche' si trovavano nelle terre protette. Il re si accorse che il figlio non diceva parola alcuna ma che fissava il vuoto da dove la melodiosa voce della fanciulla proveniva.... non potendo fare nulla vide suo figlio allontanarsi su una barca d'argento accanto ad una donna dai capelli lunghissimi che doveva essere la fanciulla che lo ha stregato e rapito. Di loro non si seppe più nulla si pensa che siano nel mondo dove nè morte nè peccato possano distruggere la felicità dei suoi abitanti, che giovani senza invecchiare giungeranno fino all'ultimo giorno del giudizio. C'era tanto tempo fa, un giovane Bardo di nome Bertrace, ad ogni Estate abbandonava tutti gli amici e si recava, dopo giorni di viaggio a piedi, attraverso, boschi e foreste, arrivava su un'isola in mezzo al Lago, trascorreva gran parte del suo tempo a guardare le acque dorate dal Sole. D'improvviso nell'aria sentì un brivido, un frullare d'ali, era la Fata Marbena, tramutata in una giovane aquila, dalle penne di fuoco. Volteggiava ridendo intorno al giovane celta, venuto dal Nord, le solleticava i capelli scuri con le remiganti. La Fata si tuffò nelle acque cristalline del Lago, tramutandosi in una Sirena, con la mano invitava il giovane a seguirla nel profondo del Lago, ma lui non sapeva nuotare, sarebbe sicuramente annegato, ricordandosi cosa fanno le Sirene ai naviganti. Sul momento Bertrace, rimase stupito nel vedere tanta bellezza, stette a bocca aperta senza proferire una parola, il chè era assurdo per un cantastorie, sempre in cerca d'avventure amorose, la Sirena dette due colpi di coda sparì nella luce del tramonto e lui si preparò a trascorre la notte sull'isola, nella speranza che il mattino seguente ritornasse la Fata Marbena. Un potente tuono, fece tremare tutta l'isola, Thor scese davanti al giovane bardo spaventato. il dio fece questa ambasciata: - Mille avventure amorose concederò alla tua bella figura, ma guai a te se sfiorerai Marbena! Essa è stata destinata ad Odino, infrangi il suo volere e sarai tramutato in uno scoglio e in eterno non lascerai mai più questa isola! -. Trascorsero, mesi anni, vennero altre estati calde. Bertrace diventava vecchio, perdeva i capelli, nei suoi occhi appariva sempre la visione della giovane Fata e quelle acque limpide che trastullavano il suo corpo perfetto. Il Sole gli cuoceva la pelle, i venti sferzavano le membra, ma lui non cedeva. Non cantò più, non fece galanterie alle dame che passavano davanti all'isola, se una dama gli chiedeva un madrigale, lui girava lo sguardo, nei suoi pensieri vi era solo quel primo incontro, forte come un'esplosione, confidava che Marbena sarebbe ritornata all'isola, mossa forse a compassione di tanta ostinata perseveranza. Passarono 50 anni e il vecchio bardo era sempre deciso sfidare l'incantesimo fatto da Thor. Un mattino lucente, l'aria era trasparente, la cornice delle montagne con le cime ammantate di neve, splendevano in colori dalle sfumature azzurrine l'acqua assumeva il suo inconfondibile tono verdognolo turchino, sull'isola giungevano i rumori dei lavori dell'uomo, nel villaggio sulla riva opposta nel piccolo golfo protetto dalla Roccia del Raduno. Odino era occupato ad incidere con il fuoco alcune Rune, le acque del Lago si animarono di mille stelle, sulla battigia di ciottoli, stava una bellissima ragazza, era Marbena, finalmente sola, splendente, invitante più che mai, gli asciugò le lacrime, l'ho lavò, dalla polvere di dieci lustri, l'ho fece sedere, era rimasto in piedi per 50 anni sullo stesso masso fissando il Lago. La coppia si scambiò mille confidenze, Bertrace le sussurrava dolcissimi versi, la ragazza era estasiata dalla fantasia del vecchio poeta, il Sole riscaldava i corpi dei due amanti, la passione ebbe ragione, per un anno intero i due trasgressori si amarono. Bertrace ritrovò la sua giovinezza, celata da quella lunga astinenza, Marbena era felice fra le braccia dell'uomo, che dimostrava l'età di suo nonno. Passò sopra di loro il Corvo vide quello che succedeva sull'isola trasformata in alcova e andò a riferire ad Odino, che un mortale ed una delle favorite erano diventati amanti. Dapprima Odino, occupato com'era sorrise nel sentire la scappatella di Marbena, poi batté un pugno sulla montagna, la quale si mise a franare nel Lago, la Fata veloce si tuffò ancora una volta, mezza donna, mezzo pesce, tenendo per mano Bertrace, ma lo sentì irrigidirsi, appesantirsi, si voltò e l'ho vide tramutato in uno scoglio che tentava di allungare un braccio verso il fondo del Lago. Thor non aveva scherzato, nel proferire la magia. Vi sono mille laghi con mille scogli intorno a mille isole o isolotti, sono paesaggi idilliaci, giochi della Natura, luoghi invitanti i giovani innamorati. Sono tutti originati da Bertrace, un mortale che osò deliziarsi, godere dei baci di una concubina degli Dei. In qualche tiepida sera verso il Solstizio di Primavera il Druido Bertrace aveva rivisto il calcolo astronomico verificandolo più volte con i numeri solo a lui conosciuti dell'Alfabeto Ogham, inoltre le sedici colonne e le 78 fasi lunari collimavano precisamente con le parole dell'oracolo. Nella prima fase di Luna piena un evento straordinario avrebbe cambiato per sempre il destino della nazione celtica. Ma esattamente cosa fosse questo fenomeno non era ancora chiaro a Bertrace, il capo della triade sacerdotale, così andò sulla collina ad interpellare il dio Cernnunos; aveva un presentimento verso la sua unica figlia Rouna, una ragazza sedicenne bella come la dea Frigga. Cernnunos disse al vecchio padre che Odino si sarebbe invaghito di sua figlia e nelle sembianze di un lupo l'avrebbe posseduta. Ma il dio della fecondazione non disse la verità, in effetti il grande cervo era geloso verso il capo di tutti gli dei. Bertrace non prestò fede alla profezia del suo santo protettore. I neonati si attaccarono alla nuova madre dal morbido pelo e dal nutriente latte. Gli imposero i nomi di Rommos e Remmos che significava i figli di Rouna e Odino. Come tutti i cuccioli di madre Gaia , il primo era più pretendente del fratello. Questa rivalità che la Natura impone, la sua ferrea legge della sopravvivenza del più forte verso il meno dotato. I due fratelli crebbero e si fecero forti in questo contesto naturale. Un giorno stanchi di accudire il nonno, lasciarono il villaggio sui monti per l'avventura verso terre ignote, oltre il grande fiume Po. I due nobili guerrieri celti arrivarono in un luogo deserto dove vi erano solo prati e tanti ovini allo stato brado. Allevati come lupi diedero sfogo al loro istinto animale e fecero strazio di pecore e montoni. Invece di diminuire di numero i greggi aumentavano sempre, sovvertendo l'ordine dei lupi perennemente in moto in cerca di altri luoghi e nuovo cibo. I due semidei decisero di restare in quel luogo strano. Decisero in onore di Odino loro padre, di costruire un Recinto dalle alte mura in pietra così grande che tutto ciò che vi era all'interno del quadrato era all'appannaggio dei due eroi e quello che rimaneva fuori era solo disordine e incertezza. Ai due lati due cime per i riti notturni alla dea della Luna, ma anche per attirare le femmine degli umani, la cui curiosità femminile le soggiogò alle voglie di Rommos e Remmos. La popolazione crebbe in fretta nel Recinto dell'amore e senza saperlo nacque una città alla quale fu imposto il nome di Roumma in onore della madre naturale dei due fondatori. Molto ma molto tempo dopo le profetiche parole del nonno si avverarono e questa nuova nazione fu portatrice di disgrazie e dolori per il popolo celtico "il giorno che non esiste". Era convinto che questo non stava scritto nel segreto del calendario. Invece la verità era di ben altra natura. L'anno solare che andava dal 1 Novembre al 31 Ottobre 365 non combaciava con l'orbita dell'astro solare, ma il periodo siderale era più lungo di sei ore. Il consiglio dei sapienti celtici si riunì immediatamente per udire la relazione di Bertrace, dal volto assorto da umani pensieri: sua figlia e la sua conoscenza. - Eh! Bertrace che cosa è che assilla tanto? - gli chiesero malignamente i saggi - La tua tortorella Rouna sta forse per prendere il volo? - Ah! Ah! ridevano i compagni invidiosi della bellezza della figlia di Bertrace. - Per tutti gli Astri del Firmamento - urlò Accadranno eventi catastrofici nel giorno che non esiste, nel giorno che ha ingoiato 18 dei suoi figli, una giornata che esisterà ogni sedici Solstizi e sparirà per altri sedici. Ecco maledetti infingardi cosa dicono i miei calcoli e lasciate stare mia figlia o vi decapito con la mia roncola! - Ma si sa l'uomo pone dio dispone. Odino scese veramente ed incontrò la fanciulla, che presa da un calore misterioso si recò allo stagno per rinfrescarsi, quando vide davanti a se un grosso lupo nero che si trasformò in un corpo di giovane uomo. Odino pose il suo seme nel ventre della ragazza. Ella partorì due figli maschi ma il suo corpo non resisti allo sforzo e morì poco dopo. Odino ebbe rimorso di questa fanciulla la cui vita svanì e mando ad allevare i due fanciulli una lupa la quale aveva appena perso i tre cuccioli che partorì allo stesso momento di Roana Avalon Il ciclo Arturiano ha come sfondo geografico un'isola imprecisata chiamata Avalon, un tempo considerata solo un parto della fantasia degli autori di saghe e leggende e tradizionalmente associata con il magico modo ultraterreno. Nel 1191 l'isola di Avalon venne improvvisamente identificata con Glastonbury in Somerset. Alcuni preferiscono associare Avalon a Tintagel, secondo l'idea di Geoffrey, altri invece puntano su Bardsey o Holy Island. Tuttavia è assai più probabile che il mondo ultraterreno dei Celti fosse un regno mitico, con una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Leggende sull'isola delle nebbie ne possiamo trovare a decine, ma la maggior parte di esse concordano su alcuni punti in particolare. Avalon è considerata la dimora dei tre incantatori cardine del ciclo arturiano: Viviana, la dama del lago e custode di Excalibur; Merlino il mago Morgana la fata, figlia di Igraine e sorellastra di Artù, e madre di Mordred il cavaliere rinnegato che metterà fine alla vita del grande sovrano. L'isola è perennemente circondata dalle nebbie ed è impossibile trovarla oppure raggiungerla a meno che gli abitanti dell'isola non "aprano le nebbie" permettendo alle persone di approdare all'isola. L'isola è raggiungibile solo tramite una barca; in alcune leggende si dice senza rematori, in altre con esseri non umani che la conducono. Avalon è considerata l'ultima dimora delle spoglie terrene di Artù: la leggenda infatti vuole che dopo che il re venne ferito da Mordred durante una battaglia, abbia chiesto ai cavalieri ancora fedeli di gettare Excalibur nel lago da cui Uther suo padre l'aveva tratta. Quando i cavalieri tornarono videro una barca che, trasportando il corpo in fin di vita di Artù, veniva avvolta dalle nebbie. Artù Artù - Re semileggendario dei britanni, che combatté contro gli invasori anglosassoni. Benché alcuni studiosi lo considerino una figura mitica, è possibile che uno storico Artù abbia condotto la lunga resistenza dei britanni contro i nemici. Per alcuni studiosi Artù è un personaggio ispirato a Cu Chulainn, protagonista di poemi epici irlandesi; per altri un dio del pantheon celtico, forse il simbolo della terra stessa (Art= roccia, da cui Earth), poi trasformato dalla leggenda in un essere umano. C'è invece chi ritiene che sia esistito veramente: nel VI secolo dopo Cristo, fu forse il re o il capo di una tribù britannica impegnata nella resistenza contro gli invasori Sassoni. Il nome, comunque, potrebbe derivare dal latino Artorius (in tal caso Artù era forse un Comes Britanniarum, ovvero un rappresentante dell'impero romano). Secondo la leggenda, tramandata oralmente per lungo tempo dai bardi celti, Artù era figlio di Uther Pendragon, sommo re di Britannia. Tenuto nascosto durante l'infanzia, fu improvvisamente presentato al popolo come re secondo i disegni del druido Merlino. Durante il suo regno si riunì a corte una grande compagnia di cavalieri, che, per evitare i problemi di precedenza dovuta al lignaggio, il sovrano faceva sedere a una tavola rotonda. Dal punto di vista esoterico i Cavalieri della Tavola Rotonda rappresentano la ricerca umana della Luce, della purezza, della redenzione nella giustizia e nel coraggio in difesa dei più deboli; pur non sono del tutto indenni, durante il cammino di ricerca, dagli errori della natura umana. Merlino Ambrosio (o Merlino Celidonio, a seconda dei testi), nacque nel villaggio di Carmarthen, nel Galles meridionale. Figlio di un diavolo incubo e di una vergine, dopo la morte dell'usurpatore Vortigern diventa il consigliere e il protettore dei legittimi re di Britannia, innalza per loro il monumento megalitico di Stonehenge, acquisisce poteri magici grazie ai quali favorisce la nascita di Artù, costruisce la Tavola Rotonda e intercede presso la "Signora del Lago" per dotare il suo re di Excalibur, la spada invincibile. Morgana Morgan Le Fay (Morgana), personaggio direttamente derivato dalle divinità Morrighan, Macha e Modron (la grande madre celtica) compare per la prima volta nella Vita Merlini di Geoffrey; fa parte di un gruppo di nove fate (a loro volta di tradizione celtica) che vivono ad Avalon; figlia di Igraine, aiuta Artù a guarire dalle sue mortali ferite. Nelle narrazioni successive Morgana scoprendo di essere la sorellastra di Re Artù, per causa del sortilegio di Merlino, decide di vendicarsi su di lui, si trasforma in Ginevra e con lui concepisce Mordred, il cavaliere rinnegato che metterà fine alla vita del grande sovrano. Morgana inizia ad assumere connotati sempre più negativi, fino a diventare l'implacabile nemica del sovrano, di Merlino e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Nelle opere tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come una perfida seduttrice, tanto bella quanto malvagia: il prototipo, insomma, della "donna sessuata" - la strega - aborrita e temuta dalla Chiesa cattolica. "...Morgana la Fata non fu data in moglie, ma venne inviata a istruirsi in un monastero, dove divenne una grande esperta in arti magiche." Thomas Malory, Morte di Artù Ginevra era la bella moglie di Artù, e Lancillotto il più forte dei cavalieri della Tavola Rotonda. La loro relazione illecita fu il tema di molti racconti medievali. Il loro amore durò per anni, fin quando Sir Mordred, il cavaliere nero, scoprì la tresca e ne informò il sovrano. Artù "dette quindi licenza" di catturare Lancillotto e condannò al rogo la moglie infedele. Lancillotto accorse così a salvare la sua amata, uccidendo però nell'impresa molti cavalieri e causando la rovina della compagnia della Tavola Rotonda. Successivamente, Ginevra si rinchiuse in convento per il resto dei suoi giorni, mentre Lancillotto si ritirò nella sua Gioiosa Guardia, il castello che da allora chiamò la Dolorosa Guardia (il Bamburgh Castle, nel regione del Northumberland). Viviana La Dama del Lago ha assunto nel tempo vari aspetti: da colei che fornì la spada Excalibur ad Artù, la donna che allevò Lancillotto (in seguito chiamato Lancillotto del lago) fino a diventare insieme a Morgana l'acerrima nemica di Merlino, colei che ne causerà la rovina. L'immagine di questo personaggio si presenta in un primo tempo velata di mistero ma di natura benevola mentre in seguito il suo carattere comincerà a delinearsi facendole prendere forma di creatura malvagia Parsifal Leggendario cavaliere legato al ciclo della Tavola rotonda e alla ricerca del Santo Graal. Parsifal, o Perceval, compare per la prima volta nell'antologia di racconti gallesi Mabinogion. La prima opera in cui si narra di come Parsifal trovi il Graal salvando l'uomo che lo custodisce è un poema incompiuto del poeta francese Chrétien de Troyes (XII secolo). In un altro poema epico, del tedesco Wolfram von Eschenbach (XIII secolo), la storia assume una trama più precisa, ed è proprio su questa stesura che il compositore tedesco Richard Wagner basò la sua opera Parsifal (1872-82). La leggenda del Graal, popolarissima nel Medioevo, forse in ragione dell'aura di sacralità e di mistero che la circonda, esercita il proprio fascino ancora ai giorni nostri. A seconda dei testi e delle versioni, il Graal può essere una pietra trasportata dagli angeli sulla Terra, un vassoio su cui è posata una testa mozza immersa nel sangue, un recipiente dispensatore di cibo, di felicità e di giovinezza, il piatto in cui Gesù e gli apostoli consumarono l'Ultima Cena o la coppa in cui fu raccolto il sangue stillato dalle ferite di Cristo crocefisso. Fu portato in Inghilterra da Giuseppe di Arimatea, nell'ambito della sua opera di evangelizzazione del paese. Successivamente andò perso, e sulla Britannia si abbatté una maledizione chiamata Wasteland, la terra desolata, uno stato di carestia e devastazione. La sua famosa "cerca" animò le gesta di tutti i cavalieri della Tavola Rotonda. Fu infine recuperato dai tre cavalieri più virtuosi, Bors, Parsifal e Galahad, e riportato nel suo luogo d'origine, in terra santa. Sono le due spade che, più di ogni altra, hanno caratterizzato il mito arturiano: la spada nella roccia e, soprattutto, l'invincibile Excalibur. La prima permise al giovane Artù di diventare re della Britannia. Intorno all'arma c'era una scritta in lettere d'oro che recitava: "COLUI CHE ESTRARRÀ QUESTA SPADA DALLA ROCCIA E DALL'INCUDINE È IL LEGITTIMO RE DI TUTTA L'INGHILTERRA". Ovviamente il futuro sovrano la estrasse senza sforzo dando così inizio al suo luminoso regno. La seconda fu fabbricata da Wieland, il fabbro degli dei, e donata ad Artù dalla "Signora del Lago". Chi possedeva l'Excalibur non poteva essere sconfitto. Ma Morgana si impadronì del suo fodero, che proteggeva dai colpi pericolosi, e il sovrano rimase mortalmente ferito. Dopo il suo trasporto ad Avalon, Sir Bedivere gettò l'Excalibur nel Dozmary Pool (un piccolo laghetto della Cornovaglia), ove dimorava la "Signora del Lago". L'arma venne afferrata da una mano femminile, brandita tre volte, e trascinata sotto le acque. Un moderno giornalista Arrivo ad Avalon alle 15:30, il castello dove Re Artù passa le sue giornate è una dimora del XI secolo, ristrutturata durante il secolo scorso dalla Regina Elisabetta II, proprio per dare la possibilità a questo mito della storia inglese di passare una decorosa vecchiaia. Mi viene ad aprire il maggiordomo, con mia estrema sorpresa noto la sua somiglianza con i ritratti di Thomas Malory, colui che al Re dedicò l’opera “La morte di Re Artù”… chissà se è lui. Mi accompagna in un salone immenso con tappeti, pareti decorate, un grande camino, sulla destra una serie di finestroni dietro a due lunghi divani e quattro comode poltrone. Il lampadario è di fattura francese, probabilmente della fine del ‘700, molto bello, un po’ barocco a dire il vero. Nell’insieme però m’aspettavo un’accoglienza del genere. Aspetto 5 minuti e poi arriva lui, nella sua maestosa e possente figura. Mi saluta cordialmente, mi chiede, da buon inglese, se voglio una tazza di tè e si accomoda sulla poltrona alla mia destra. Quando mi dice “cominciamo” io sono già folgorato… AVALON, CASTELLO DI RE ARTÙ, 18 SETTEMBRE 2004 Senta Signor Re Artù, ma lei è di origine Scozzese o Gallese? Ma sa… quando uno deve avere la fama che io ho poco importa delle origini… fate voi, io mi sento Scozzese, Gallese e pure un po’ romano… Ma alcuni sostengono che lei non sia mai esistito… So che ci sono dei buontemponi che per scrivere e vendere libri hanno pensato di inventarsi la storia della mia “inesistenza”: balle! Anche il mio amico Merlino è stato vittima delle stesse menzogne, ma lui s’è rivolto al sindacato dei maghi ed hanno sbrigato tutto loro… sono molto organizzati loro sa? Io invece ho dovuto subire secoli e secoli di illazioni. Ma non mi lamento. Alcuni sostengono che il suo nome derivi dall’unione delle parole celtiche Arthos (orso) e Viros (uomo). In poche parole “uomo orso”… perché? Beh, ai tempi ero davvero un bel giovanotto, un guerriero a tutti gli effetti, grosso e possente, e anche un po’ selvaggio a dire il vero! Divenni famoso per queste mie doti, sa? Tanto è vero che Nennio, famoso storico bretone vissuto intorno alla fine del VIII secolo, disse di me: “Artur sonat ursum horribilem” a riprova della mia fama di valoroso e virile guerriero. Ci spiega come riuscì ad estrarre la famosa spada dalla roccia? Eh! Quelli si che erano bei tempi! Io ero poco più di un ragazzino ricco soltanto di grandi speranze. Erano in molti, da anni e anni, a tentare l’impresa, e io non volevo fare brutta figura… non ero ancora un uomo, "l'orso" di cui mi chiedeva prima, ero gracilino, ma con tanta buona volontà. Chi riusciva nell’impresa sarebbe diventato Re di tutta l’Inghilterra. Tentai pure io. E ci riuscii! Non so come ma mi sembrò tutto così semplice! Mi concentrai e la spada venne via come fosse soltanto appoggiata. Fu così che divenni Re Artù. ome si è sentito quando ha saputo che Geoffrey di Monmouth l’aveva inserita nella sua opera "Historia Regum Britanniae", composta negli anni 1136-38? Beh… come mi sono sentito… lusingato, del resto è stato il primo che ha creduto profondamente in me, anche se altri prima di lui mi avevano citato, ma senza troppa convinzione. E per questo non posso fare altro che ringraziarlo pubblicamente. Che cosa pensa delle rappresentazioni che oggi vengono fatte della sua persona? Ho visto alcune rappresentazioni moderne della mia persona e di quella vicenda che non mi rendono giustizia: quel tale Walter… Walt o come diavolo si chiama… ecco, lui ha raccontato una favola che sembra davvero una fiaba della buona notte… troppi buoni sentimenti, la vita che facevamo ai miei tempi era molto, molto più dura di quella che si vede in quella ricostruzione. Ma quella è una storia per bambini, pensi che lì mi chiamano… Semola! Poi c’è un’altra rappresentazione, diciamo più veritiera, fatta da un mio conterraneo, certo Boorman, "Excalibur"… lì ci sono io, il vero Re Artù… e per questo devo ringraziare anche il mio amico Thomas Malory, al quale questa rappresentazione si ispira. Grazie a lui ho avuto l’opportunità di continuare a sopravvivere nei racconti, nelle leggende e nei pensieri di milioni di uomini e di donne che ancora oggi rimangono affascinati dalle vicende della mia vita. Certo. Giorno dopo giorno continuo a vivere nei pensieri della gente che mi conosce. Oggi sono il re delle storie legate al mondo celtico, il re delle storie raccontate intorno al fuoco, il re delle leggende che mano a mano sono nate intorno alla mia figura, il re delle favole. A volte per strada la gente mi ferma e mi dice: "ma lei assomigli aproprio all'idea che io mi sono fatto di Re Artù". E questo mi lusinga tantissimo e significa che chi ha tramandato il ricordo della mia persona ha fatto davvero un otimo lavoro! Signor Re Artù, come va con Ginevra? Con Ginevra va bene, tra alti e bassi… ho perso il conto degli anni che stiamo insieme. Quando ci si innamora si perde il lume della ragione e spesso si falsa la realtà. Ma con lei tutto questo non è successo, è stata una bellissima avventura… e lo è tutt’ora direi: oggi ci amiamo come se fosse ancora il primo giorno. Ma delle voci insistenti e dei gossip di una relazione segreta tra Ginevra ed il suo cavaliere Lancillotto che mi dice? Ma che voci e voci! Tutta una montatura della stampa! Sa meglio di me che quando non ci sono altre notizie importanti si ricorre alle mezze verità o alle menzogne. E questa è una di quelle. Io mi fido ciecamente di Ginevra e solo Dio sa quanto ci amiamo. Del resto l’ho vista crescere, ne abbiamo passate tante, sa? E comunque se fosse vero credo che l'amore che mi ha dimostrato e continua a dimostrarmi ancora oggi vada oltre qulasiasi tradimento o presunto tradimento. Pure io una volta... lasciamo stare... Ci dica Signor Re Artù… pure lei cosa? C redo di essere stato un ottimo marito ed un buon amante, anche se ho avuto pure io i miei colpi di testa… A proposito di colpi di testa: che mi dice di Morgana? C’è chi dice sia sua sorella, e chi sostiene che invece sia una donna cattiva dedita a strane magie, sua acerrima nemica… cosa c’è di vero in tutto questo? Guardi, quello che posso dirle è che io e Morgana siamo coetanei, altro non so: abbiamo fatto insieme i primi due anni dell’asilo privato di Avalon, poi lei è stata mandata alla S.P.S.A. (Scuola Perfezionamento Streghe di Avalon). Già da allora era un tantino vivace, ricordo che si divertiva a trasformare gli altri bambini in rospi e cornacchie! Ma poi la persi di vista, anche se, da buona strega, come scrisse Thomas Malory, probabilmente tornò con sembianze nuove, mi soggiogò, mi fece innamorare e… sa come vanno queste cose… una sera, al ritorno da un banchetto all’osteria di Avalon successe che finimmo a letto insieme. Ma io ero un po’ ubriaco, e pure lei aveva esagerato con il vino… fu una notte, come dire… magica! Ma ripeto: non so se fosse davvero Morgana. E da quell’unione poi nacque un figlio se non sbaglio… Si, nacque Mordred, gioia e dolore per me… ma ho saputo che era mio figlio solo in punto di morte. Ma è vero che è stato lui ad ucciderla? Ho un ricordo confuso di quel giorno: c’erano centinaia di cavalieri che combattevano. Io ricordo soltanto di aver sentito un dolore acutissimo all’addome, un cavaliere di cui non ricordo le fattezze davanti a me infilzato alla mia spada poi nulla, ... Se è stato Mordred, come dicono tutti, non lo so. Ma so che se l’ha fatto non lo perdonerò mai… non l’ho più visto da quel giorno sa? ei, Signor Artù, si è circondato di numerosi valorosi cavalieri, che ricordo ha di loro? Si, molti famosi guerrieri, come Sir Bedivere, Sir Lancillotto e suo figlio Sir Galahad, e ancora Sir Gawain, e Sir Tristano della Leonessa; molti di loro hanno fatto fortuna e si sono ritirati nelle campagne della Cornovaglia, alcuni di loro sono diventati personaggi molto famosi per i meriti acquisiti al tempo delle nostre favolose avventure. So che Sir Gawain sta partecipando a quella trasmissione TV "Avalon, Isola dei Famosi". L'hanno chiesto anche a me, ma ho gentilmente declinato l'invito... Non vorrei macchiare di vergogna il ricordo che il mondo ha di me... Passiamo ad uno dei misteri più affascinanti di tutti i tempi: il Sacro Graal. Ci spieghi la sua verità. Domandone. Non so se posso rispondere. Sa, ci sono cose che non si possono rivelare, segreti che debbono rimanere celati tra le maglie della storia e le nebbie della leggenda. Posso soltanto dire che il Sacro Graal noi della Tavola Rotonda l’abbiamo cercato... ma non per gloria personale ma per riportare il nostro regno all’antico splendore. Ecco, non posso aggiungere altro . Ma cos’è allora il Sacro Graal? Il Graal può non essere un oggetto, un calice, come dicono molti. Il Graal può anche essere un concetto astratto, una mistica corrispondenza di cause ed effetti, una meta da raggiungere, un pellegrinaggio da compiere per ottenere qualcosa. Il Graal è il simbolo di tutto ciò che è andato perduto e che deve essere ritrovato. Può essere dentro di noi o nelle cose che ci circondano. Dipende dal rapporto che abbiamo noi con noi stessi e col mondo. Molti l’hanno cercato in passato, alcuni sostengono sia un calice dai poteri straordinari. Alcuni dissero che fu il calice dove Gesù Cristo bevve durante l’ultima cena. Ebbene: probabilmente quella sera egli sentì l’avvicinarsi della fine e l’interpretazione che si diede di quell’evento fu che egli volle dare a quell’oggetto il valore supremo della salvezza, sua e dell’umanità tutta. Più recentemente ci fu anche quel pazzo austriaco che si mise alla ricerca di questo famoso calice, ma credo sia impazzito molto prima di ottenere qualsiasi minimo risultato. Il male ebbe il sopravvento e la sua ragione vacillò a lungo, finché non diventò delirio e follia. Il Sacro Graal, se “cercato” con l’intento sbagliato, con la malvagità e l’odio nel cuore, può trasformare la ricerca in delirio di onnipotenza, abominio e pazzia. lei, ci dica la verità, l’ha trovato il suo Sacro Graal? Io l’ho trovato si. Fa parte di me, della mia storia, della mia vita. Ma non mi chieda dove, come e quando che non so neanche io risponderle… E’ stato un vero piacere conoscerla Signor Re Artù. Credo di interpretare il sentimento dei nostri lettori nel ringraziarla per la sua gentilissima disponibilità. Onore tutto mio… seguo il vostro lavoro e devo dire che mi piace molto, so che avete un gran successo, più che meritato direi! Grazie anche ai vostri numerosi lettori che hanno la passione per il tempo che fu. Che non è mai abbastanza. Adesso devo lasciarvi, a malincuore però! Devo andare a seguire la produzione del mio laboratorio… come sa produco tavole, tavole rotonde ovviamente. JACK O’ LANTERN C’era una volta, in un piccolo della verde Irlanda, Jack, un uomo particolarmente imbranato a cui piaceva solo bere e giocare d’azzardo. Durante una notte di Halloween, Jack invitò il Diavolo a bere con lui, meditando di attirarlo in un trabocchetto; dopo aver bevuto tutta la sera, Jack gli propose una scommessa: avrebbe ceduto l’anima al diavolo se questo fosse stato in grado di arrampicarsi su un albero. Naturalmente al diavolo non parve vero di vincere una scommessa così facilmente e, sorridendo, prese a scalare l’alta pianta. Jack, però, incise una croce sul tronco dell’albero intrappolandolo, poiché il simbolo sacro impediva al demone di scendere, e propose di risolvere la questione facendo un patto: il diavolo doveva impegnarsi a non tentarlo mai più, e in cambio lui avrebbe tolto il sigillo dal tronco dell’albero permettendogli di riscendere. Il diavolo, naturalmente, fu costretto ad accettare. Gli anni trascorsero, anni durante i quali Jack visse tranquillo, non essendo più preda dell’alcool e del gioco. Quando arrivò il suo giorno Jack morì, ma l’accesso al Paradiso gli venne negato a causa di tutti i vizi che avevano accompagnato la sua esistenza terrena. Fu così costretto ad avviarsi verso l’Inferno, ma anche qui gli venne negato l’accesso dal diavolo, che in questo modo gli intendeva vendicarsi dello scherzo subito. Ma il diavolo di jack in effetti era, in fondo, un buon diavolo e, mosso a pietà al pensiero del povero Jack costretto a vagare solitario nelle tenebre per l’eternità gli donò un tizzone ardente con cui illuminare il suo cammino. Per mantenere acceso il tizzone il più a lungo possibile, Jack scavò una zucca e ve lo infilò dentro, cominciando così il suo eterno peregrinare. Da quel giorno, ogni notte di Halloween, quando si aprono le porte che conducono all’Altromondo, potete incontrare Jack, con la sua zucca e il suo tizzone ardente, che passeggia per le strade della terra.