Sulle tavole povere era presente soprattutto la carne di maiale. Il “porco da ingrasso” veniva allevato nei pressi dell'abitazione con gli scarti di cucina o i surplus alimentari, con ghiande, bucce di patata, rape, siero scartato dalla lavorazione del latte ed era considerato un investimento in continuo aumento, ogni mese, fino alla “riscossione”, cioè fino alla sua macellazione. Da qui il maialino simbolo del salvadanaio. L'uccisione del maiale avveniva nel periodo più freddo dell'anno perché non essendoci i frigoriferi la carne che rimaneva, veniva conservata sotto sale, in luoghi freschi, nella "carnara". Dell’animale veniva utilizzato tutto, dal sangue alle ossa e si mangiava subito ciò che si poteva mangiare, il resto si conservava.. Le parti nobili venivano essiccate intere (capocolli, spallette e prosciutti), o macinate (salami e salsicce e mazzafegate). Grande importanza aveva la "spogna" del lardo, schiena del maiale, utilizzata come grasso da condimento. Altra parte importante erano le costolette o "puntarelle", che venivano mangiate arrostite alla brace dopo pochi giorni. Venivano usate spesso anche quale base per i brodi. I ritagli o la carne della testa veniva usata per fare la coppa, sorta di salame bollito aromatizzato con spezie e buccia d'arancia. Con il fegato si facevano dei fegatelli cotti alla brace ed aromatizzati con l'alloro, mentre una parte dello stesso serviva per fare delle salsicce particolari, le "mazzafegate", realizzate per metà con carne normale e metà fegato. Il sangue invece veniva usato per fare il "sanguinaccio". Con le cotiche avanzate si cucinavano i “fagioli con le cotiche”, appunto, piatto prelibatissimo e molto calorico. La pelle veniva conciata e usata per confezionare poltrone, divani, selle...Le setole venivano usate dai calzolai per infilare lo spago nelle suole. Le ossa macinate servivano per preparare concime e fosfati. Il grasso di scarto era utile per la lubrificazione dei carri agricoli e per ungere delle carte da zucchero da stendere sul petto delle persone raffreddate. . UCCISIONE DEL MAIALE L’uccisione del maiale per il mondo rurale era un giorno di festa perchè era una delle poche occasioni di consumo di “carne fresca” ; infatti si mangiava subito ciò che non si poteva conservare come i “mazzafegati” , il sanguinaccio, le animelle, i fegatelli: …quanno uno ha ammazzato il majale magari i mazzafegati, c’erano i sanguinacci, se faceano quelli e se magnavano quelli, da quanno che serviva dicevi: ecco ‘na fetta per uno, ‘na mazzafegata per uno e via… (“Le opere e i santi” tradizione alimentare e festività rituale in provincia di Terni a cura di G. Baronti) LI SANGUINACCI Al momento della macellazione si raccoglie il sangue del maiale in un recipiente in cui si versa un pizzico di sale fino; si aggiungono poi pinoli, pezzetti di buccia di arancia, uva passa, cacao, uno o due chiodi di garofano, cioccolato fondente grattugiato, zucchero, mollica di pane bagnata e diversi quadratini di lardo di maiale. Ben mescolato e lasciato riposare per una nottata, il composto va poi insaccato in budello di maiale ben lavato (intestino crasso), messo in acqua salata e lessato a medio bollore per mezz’ora. Una volta cotto e sgocciolato, va appeso ad asciugare. Va, quindi, gustato a fette, caldo o freddo. LA PADELLACCIA … quando si ammazzava il maiale era una grande festa perché dopo se faceva la padellaccia… (“Le opere e i santi” tradizione alimentare e festività rituale in provincia di Terni a cura di G. Baronti) Togliere dalle”pacche” del maiale tante piccole rifilature di carne, volendo aggiungere le animelle a pezzettini, poi far soffriggere in poco olio, aglio, cipolla tritata fina. Salare e pepare abbondantemente, lasciando cuocere sul tegame di coccio lentamente e aggiungendoci, da ultimo, una spruzzata di vino rosso. A cottura quasi ultimata aggiungervi fagioli lessi o fave cotte. Servire il preparato caldo, accompagnandolo con fette di pane tostato. Animella è il nome popolare del timo, una ghiandola situata nel collo Considerato un "cascame", uno scarto di difficile reperibilità, ha un elevato contenuto nutrizionale, nonché un elevato tasso di colesterolo. SALUMI E INSACCATI Nel passato la carne conservata richiamava nozioni di povertà economica e di subalternità sociale quindi i salumi, considerati alla pari delle frattaglie e della testa, venivano consumati soprattutto dalla plebe e dal popolo. Solo dopo la metà del secolo scorso (anni 70 ), con la nouvelle cuisine importata da Marchesi Gualtiero, la nobiltà imparò ad apprezzare le carni di maiale lavorate. Nelle famiglie contadine si faceva un uso molto controllato dei vari pezzi del maiale e a nessuno era concesso prelevarne liberamente qualcuno. Solo il padre poteva fare questo, e la sua era un’azione strettamente connessa alla necessità. Le pancette venivano tagliate quando cominciavano i lavori estivi, durante la fienagione e la mietitura. Poi si consumavano le coppe, e da ultimo i salami, i prosciutti e le spallette. Il prosciutto, in particolare, si mangiava di domenica o nelle grandi occasioni. IL NORCINO In occasione della nascita di un figlio era usanza chiedere al papà “A spalletta o a prosciutti?”, perché se il nascituro era maschio si tagliava il prosciutto, se femmina, la spalla, taglio meno pregiato. La norcineria si praticava solo nella stagione invernale e da Roma o dalla Toscana i commercianti si procacciavano a Norcia, nella Fiera di Ferragosto, i lavoratori interessati a intraprendere la carriera di “norcino”: da garzone a spellatore, a insaccatore, macellaio, aiuto commesso, mezzarolo cioè socio a metà nell’esercizio, fino a divenire autonomo bottegaio o negoziante. Si racconta di una lettera che un apprendista da Roma aveva inviato alla famiglia insieme a delle salsicce, con cui la informava della sua carriera: “Cari genitori, vi mando queste poche salsicce fatte con le mie mani di porco, il padrone per adesso mi fa spellare ma a Pasqua mi farà scannare”. LA LEGGENDA DI S. ANTONIO ABATE Le leggende a carattere popolare vogliono S.Antonio Abate in lotta con il demonio, ovvero con il male, con le passioni umane, con il fuoco eterno. Il Santo divenne così il padrone del fuoco, custode dell’inferno, e per tali prerogative, guaritore dell’herpes zoster, una patologia detta “fuoco di S. Antonio”. I monaci Antoniani, infatti, consigliavano di «implorare il patrocinio del Santo e di cospargere le parti malate con il vino nel quale erano state immerse le sacre reliquie». In epoche successive si adoperò il grasso di maiale che, posto sull’immaginetta del Santo, veniva portato dai monaci all’ammalato e usato per guarire le ferite del “fuoco sacro”. In questo modo era completa la figura di S.Antonio abate, padrone del fuoco, vittorioso sulle tentazioni del demonio, del male e protettore del maiale. In provincia di Terni fino a qualche tempo fa, era ancora presente l’antichissima pratica del consumo collettivo del”porco di Sant’Antonio” ”, allevato nel corso dell’anno precedente a spese pubbliche, tramite offerte e proventi di questue. CINTA SENESE: SAPORI D’ALTRI TEMPI Con la tendenza di questi ultimi tempi a riscoprire valori e sapori d'altri tempi, si è tornati ad allevare razze suine autoctone tradizionali, soppiantate negli anni ‘60, con l’industrializzazione dell’allevamento, da razze straniere più prolifiche e, soprattutto, più precoci nello sviluppo. In Toscana ed in Umbria, ad esempio, c’è stato il recupero della razza Cinta, la razza di suini non solo più apprezzata nel mondo, ma anche quella più frequentemente citata nella storia, nell'arte e nelle leggende. Abbastanza simile ai suoi antenati, la Cinta Senese, è un maiale di taglia media, con cute nera, setole nere poco folte ed una caratteristica fascia bianco rosata che cinge il torace, spalle, garrese e arti anteriori. Il muso è più allungato e stretto rispetto alle altre razze di maiali, frutto dell’adattamento ad uno stile di vita più rustico. La Cinta è infatti ancora oggi dev'essere allevata allo stato brado o semibrado, in ampie aree recintate, dove i boschi si alternano a qualche radura. L'allevamento al pascolo, con la particolare alimentazione che ne deriva (a base soprattutto di ghiande, sia quelle dolci della quercia che quelle amare del leccio, ma anche di tuberi, radici e materiale organico del tappeto erboso), da' alle sue carni sapore e caratteristiche uniche: - ha positivi effetti sulla sapidità e sulla succulenza della carne: è più rossa e gustosa delle altre carni suine; - le carni hanno migliori qualità dietetiche per la maggiore concentrazione di acidi grassi insaturi, in particolare della serie omega 3 (i quali sono associati ad una diminuzione dei grassi nel sangue) e omega 6 (i quali hanno una azione antitrombosi); - il suo lardo è più ricco di acido oleico e di acidi grassi polinsaturi rispetto a quello tradizionale; - il grasso è meno consistente e più fluido, perciò molto più gradevole al palato; - la sua migliore fluidità, dovuta ad una maggiore insaturazione, permette nei salumi che si ottengono, una più rapida diffusione degli aromi usati per la speziatura assicurando al prodotto ottime caratteristiche aromatiche.